Conclusione Violazione di P1-1; Non-violazione dell'art. 13; danno materiale - risarcimento pecuniario; Danno morale - risarcimento pecuniario; Rimborso parziale oneri e spese
PRIMA SEZIONE
CAUSA PARISI & 3 ALTRI C. ITALIA
( Richiesta no 39884/98)
SENTENZA
STRASBURGO
5 febbraio 2004
DEFINITIVO
05/05/2004
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Parisi & 3 altri c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell'uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
SIGG. C.L. Rozakis, presidente,
P. Lorenzen, G. Bonello, il Sig.re F. Tulkens,
N. Vajic, Sigg. K. Hajiyev, giudici, R. Baratta, giudice ad hoc, e del Sig. S. Nielsen, cancelliere aggiunto,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 15 gennaio 2004,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All'origine della causa si trova una richiesta (no 39884/98) diretta contro la Repubblica italiana e di cui quattro cittadini di questo Stato, Sigg. M. P., M. T. e M.C. P. ("i richiedenti"), avevano investito la Commissione europea dei Diritti dell'uomo ("la Commissione") il 23 maggio 1997 in virtù del vecchio articolo 25 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle Libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. La richiesta è stata trasmessa alla Corte il 1 novembre 1998, data di entrata in vigore del Protocollo no 11 alla Convenzione, articolo 5 § 2 del Protocollo no 11.
3. I richiedenti sono rappresentati da P. P., avvocato a Bari. Il governo italiano ("il Governo") è stato rappresentato dal suo agente, il Sig. U. Leanza, i suoi co-agenti successivi, Sigg. V. Esposito e F. Crisafulli. In seguito all'astensione del Sig. V. Zagrebelsky, giudice eletto a titolo dell'Italia (articolo 28), il Governo ha designato il Sig. R. Baratta come giudice ad hoc per riunirsi al suo posto, articoli 27 § 2 della Convenzione e 29 § 1 dell'ordinamento.
4. I richiedenti adducevano la violazione degli articoli 3, 5 § 1, 6 § 1 e 13 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione.
5. Il 27 giugno 2002 la Corte ha dichiarato ammissibili le lagnanze derivate dagli articoli 1 del Protocollo no 1 e 13 della Convenzione.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
6. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1963, 1958, 1955 e 1952. I primi tre risiedono a Bari, l'ultimo a Vicenza.
A. Il procedimento di fallimento
7. Il 1 luglio 1980, il tribunale di Bari dichiarò il fallimento di F. D. P.
8. Nel suo rapporto del 12 novembre 1982, il curatore del fallimento constatò l'esistenza di una società di fatto composta da cinque altre persone tra le quali il padre dei richiedenti. Nello stesso rapporto, il curatore chiese che tutti i soci di questa società fossero dichiarati falliti.
9. Con un giudizio del 9 giugno 1983, notificato il 18 giugno 1983, il tribunale di Bari dichiarò il fallimento del padre dei richiedenti. Questo fece opposizione il 28 giugno 1983.
10. Tra il 15 ed il 27 giugno 1983, il curatore del fallimento redasse l'inventario e l'elenco dei creditori. Il 30 maggio 1984, la verifica dello stato dei crediti ebbe luogo.
11. Con un'ordinanza del 25 giugno 1987, il giudice delegato ("il giudice") dispose l'asta pubblica di certi beni immobili.
12. Il 26 giugno 1987, il padre dei richiedenti attaccò suddetta ordinanza al motivo che il procedimento di opposizione al giudizio dichiarante il fallimento era ancora pendente e che l'esistenza della società di fatto non era stata provata ancora.
13. Il 13 luglio 1987, il tribunale respinse questo reclamo in ragione del fatto che l'esistenza della società di fatto era stata provata così come risultava dal giudizio dichiarante il fallimento e che questo ultimo era provvisoriamente esecutivo.
14. Il 10 settembre 1987, il padre dei richiedenti ricorse in cassazione.
15. Con due altre ordinanze del 12 maggio e del 20 luglio 1988, il tribunale decise che certi altri beni immobili fossero venduti alle aste.
16. Il 25 ottobre 1988, il padre dei richiedenti decedette.
17. In un rapporto del 26 giugno 1992, il curatore si espresse favorevolmente affinché i beni del padre dei richiedenti ritornassero a questi ultimi.
18. In seguito al giudizio del 5 novembre 1997 della corte di appello di Bari, che disponeva la revoca del giudizio di fallimento, qui sotto al B, il 14 gennaio 1998, i richiedenti, introdusse una domanda affinché la parte restante dei beni di loro padre fosse restituita loro.
19. Il 3 marzo 1998, il curatore depositò un rapporto alla cancelleria che reiterava la sua opinione favorevole alla restituzione dei beni ai richiedenti.
20. Il 23 marzo 1998, il giudice ordinò la restituzione. Tuttavia, decise che le somme di denaro liquido restassero al curatore fino alla fine del procedimento di fallimento, per garantire il pagamento di questo ultimo.
21. In quanto ai beni immobili, bisogna notare che i richiedenti non hanno ottenuto la disponibilità di questi, potendo essere riconosciuta questa ultima solamente quando il giudizio di revoca di fallimento, è annotato nel registro dei beni immobili, o con la dichiarazione di chiusura del procedimento di fallimento.
B. Il procedimento di opposizione al giudizio che dichiara il fallimento
22. Il 28 giugno 1983, il padre dei richiedenti introdusse dinnanzi al tribunale di Bari un ricorso in opposizione per ottenere la revoca del giudizio dichiarante il fallimento ed il risarcimento dei danni.
23. Il collocamento in stato della causa cominciò il 9 novembre 1983. Dopo tre udienze consacrate alla congiunzione della presente causa con due altre relative all'intervento di certi creditori ed un rinvio di ufficio, con ordinanza del 13 giugno 1984, il giudice decise la congiunzione delle tre cause. L'udienza di arringhe dinnanzi alla camera competente ebbe luogo il 10 novembre 1986, data in cui, a seguito del decesso di una delle parti, il giudice dichiarò l'interruzione del processo. Il procedimento fu ripreso il 10 dicembre 1986 dal padre dei richiedenti ed il presidente del tribunale fissò l'udienza di arringhe al 2 marzo 1987. Il 16 gennaio 1990 il curatore depositò una copia del giudizio del tribunale di Bari del 17 novembre 1989, abbandonando, i procedimenti contro il padre dei richiedenti per associazione a delinquere, estorsione e frode in ragione del suo decesso. La stessa decisione proscioglieva due dei richiedenti, imputati di dissimulazione di beni, al motivo che i fatti non erano stabiliti. Il 10 aprile 1990, le parti presentarono le loro conclusioni e l'udienza di arringhe fu fissata al 1 ottobre 1990.
24. Con un giudizio dell’ 8 ottobre 1990 il cui testo fu depositato il 13 novembre 1990, il tribunale respinse la domanda del padre dei richiedenti.
25. Il 21 gennaio 1991, i richiedenti interposero appello dinnanzi alla corte di appello di Bari, respinto il 28 ottobre 1992.
26. Il 18 febbraio 1993, i richiedenti ricorsero in cassazione. Con una sentenza del 27 settembre 1994, l'alta giurisdizione annullò in parte la sentenza della corte di appello e rimise le parti dinnanzi a questa ultima.
27. Il 31 luglio 1995, i richiedenti ripresero il procedimento dinnanzi alla corte di appello. Il 1 dicembre 1995, una società cooperativa creditore si costituì nel procedimento. Il 25 marzo 1996, le parti presentarono delle conclusioni. Il 24 ottobre 1997, il rappresentante della cooperativa chiese la sospensione del procedimento, essendo la sua cliente in liquidazione. L'udienza di arringhe dinnanzi alla camera competente fu fissata al 19 settembre 1997. Questa udienza fu rimessa al 3 novembre 1997 su richiesta delle parti. Il 5 novembre 1997, la corte di appello separò dal procedimento principale quello relativa alla società cooperativa. Con sentenza dello stesso giorno, la corte revocò il giudizio dichiarante il fallimento del 9 giugno 1983 e respinse la domanda di risarcimento dei danni avanzati dai richiedenti perché era vaga, imprecisa e non-supportata.
28. Tre ricorsi in cassazione contro la sentenza del 5 novembre 1997 furono introdotti rispettivamente dal curatore il 20 gennaio 1998 e, in date non precisate, dal fallito originario ed da uno dei creditori. All'udienza di arringhe del 1 dicembre 1999, la Corte di cassazione ordinò che i ricorsi fossero notificati alle parti che non avevano avuto ancora cognizione, affinché il principio del contraddittorio fosse rispettato e rinviò la causa al 30 maggio 2000. Con una sentenza dello stesso giorno il cui testo fu depositato alla cancelleria il 17 novembre 2000, la Corte di cassazione respinse i tre ricorsi. Questa sentenza acquisì forza di cosa giudicata il 14 dicembre 2000.
29. Il 27 dicembre 2000, i richiedenti chiesero al giudice, tra l’altro, di ordinare al curatore l'annotazione nel registro dei beni immobili della revoca del fallimento per ottenere la restituzione dei loro beni.
30. Con una decisione del 19 marzo 2001, notificata ai richiedenti il 17 maggio 2001, il giudice autorizzò suddetta annotazione.
31. Il 22 maggio 2001, i richiedenti introdussero una nuova richiesta dinnanzi al giudice. Stimarono che certi pagamenti erano stati effettuati dopo la revoca del fallimento e reiterarono la loro domanda del 27 dicembre 2000.
32. Il 29 giugno 2001, i richiedenti indicarono al giudice che la revoca del fallimento non era stata annotata ancora nel registro dei beni immobili e chiesero dunque che il giudice ordinasse al conservatore del registro di procedere a questa annotazione.
33. Il 12 luglio 2001, i richiedenti chiesero che il giudice prendesse le misure necessarie per ottenere la restituzione dei loro beni.
34. Il 19 luglio 2001, il curatore segnalò al giudice che, secondo il conservatore del registro, l'autorizzazione del 19 marzo 2001 aveva una carattere generale e che una decisione giudiziale era necessaria per annotare la revoca del fallimento.
35. Il 23 luglio 2001, il giudice ordinò al conservatore di annotare nel registro la revoca del fallimento.
36. Il 3 agosto, il 25 ottobre ed il 29 novembre 2001 ed il 30 gennaio 2002, i richiedenti reiterarono la loro domanda.
37. Secondo le informazione fornite dai richiedenti, la revoca del fallimento è stata annotata nel registro in questione nel mese di marzo 2002. A partire da questa data, i richiedenti hanno acquisito dunque di nuovo la disponibilità dei loro beni.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
38. Il diritto interno pertinente è descritto nella sentenza Luordo c. Italia (no 32190/96, §§ 62-71, 17 luglio 2003,).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
39. I richiedenti si lamentano del fatto che la dichiarazione di fallimento li ha privati dei loro beni.
40. Invocano l'articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, così formulata,:
Articolo 1 del Protocollo no 1
"Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l'uso dei beni conformemente all'interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. "
41. La Corte ha trattato già cause che sollevano delle questioni simili a quelle del caso specifico e ha constatato la violazione dell'articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere in particolare §§ 62-71 la sentenza Luordo, precitata,).
42. La Corte ha esaminato la presente causa e ha considerato che il Governo non ha fornito nessuno fatto né argomento che possano condurre ad una conclusione differente nel caso presente. Il procedimento di fallimento è durato circa diciotto anni e nove mesi, il che ha provocato la rottura del giusto equilibrio tra gli interessi generali inerenti al pagamento dei creditori del fallimento e gli interessi individuali dei richiedenti, ossia il loro diritto al rispetto dei loro beni. L'ingerenza nel diritto dei richiedenti si è rivelata sproporzionata all'obiettivo perseguito.
43. C'è stata di conseguenza violazione dell'articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
44. I richiedenti si lamentano della violazione dell'articolo 13 per il fatto che la mancanza o l'omissione di decisioni degli organi competenti equivarrebbe ad un diniego di chiudere il procedimento di fallimento contro le quali non esisterebbe nessuna via di ricorso interno. Questo provocherebbe anche la violazione dell'articolo 1 del Protocollo no 1. L'articolo 13 è formulato così:
"Ogni persona i cui diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un'istanza nazionale, allorché la violazione fosse stata commessa da persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali. "
45. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza costante, l'articolo 13 esige un ricorso interno per le sole lagnanze che si possono stimare "difendibili" allo sguardo della Convenzione. L'articolo 13 garantisce l'esistenza in diritto interno di un ricorso che permette di prevalersi in sostanza dei diritti e libertà della Convenzione come vi si possono trovare consacrati. Questa disposizione esige dunque un ricorso interno che abiliti "l'istanza nazionale competente" a conoscere del contenuto della lagnanza fondata sulla Convenzione ed ad offrire la correzione appropriata. Il ricorso deve essere "effettivo" in pratica come in diritto (vedere Soering c. Regno Unito, sentenza del 7 luglio 1989, serie A no 161, § 120 e Rotaru c. Romania [GC], no 28341/95, CEDH 2000-V, § 67).
46. Nello specifico, i richiedenti hanno una lagnanza difendibile sotto l'angolo dell'articolo 1 del Protocollo no 1. Avevano dunque dritto a beneficiare di un ricorso interno effettivo al senso dell'articolo 13 della Convenzione.
47. La Corte osserva che, affinché i richiedenti ottenessero la restituzione dei loro beni e, dunque, la chiusura del procedimento, l'annotazione della revoca del fallimento nel registro dei beni immobili si rivelava necessaria.
48. La Corte rileva che, in seguito all'introduzione di parecchie richieste, a partire dal mese di marzo 2002, i richiedenti hanno ottenuto l'annotazione della revoca del fallimento nel registro dei beni immobili e, dunque, la chiusura del procedimento.
49. La Corte stima dunque che i richiedenti hanno disposto di un ricorso "effettivo" al senso dell'articolo 13 della Convenzione.
50. Di conseguenza, non c'è stata violazione di questa disposizione.
III. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
51. Ai termini dell'articolo 41 della Convenzione,
"Se la Corte dichiara che c'è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c'è luogo, una soddisfazione equa. "
A. Danno materiale e morale
52. I richiedenti richiedono in primo luogo il risarcimento di un danno materiale e lo valutano a 8 666 435 euro (EUR). Chiedono anche il risarcimento del danno morale a concorrenza di 450 000 EUR ciascuno.
53. Il Governo contesta queste pretese.
54. La Corte rileva che l'unica basa di concessione di una soddisfazione equa per danno materiale risiede nello specifico nel fatto che i richiedenti non hanno disposto dei loro beni per tutta la durata del procedimento. La Corte stima inoltre che gli interessati hanno subito un danno moale innegabile legato all'incertezza in quanto alla conclusione del procedimento (vedere Capuano c. Italia, sentenza del 25 giugno 1987, serie A no 19, § 37 e Savona c. Italia, sentenza del 15 febbraio 2000, § 20).
55. Questi diversi elementi non suscitano nello specifico un calcolo esatto. Valutandoli nel loro insieme e, come vuole l'articolo 41, in equità, la Corte assegna ad ogni richiedente un'indennità di 45 000 euro (EUR).
B. Oneri e spese
56. I richiedenti chiedono anche 300 398 EUR per oneri e spese esposti dinnanzi alle giurisdizioni interne e presentano tutti i relativi giustificativi. Si rimettono alla saggezza della Corte per gli oneri e spese incorsi dinnanzi alla Commissione e la Corte.
57. Il Governo si rimette alla saggezza della Corte in quanto agli oneri incorsi dinnanzi agli organi di Strasburgo.
58. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente non può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese che nella misura in cui si trovano stabiliti la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei criteri suddetti, la Corte stima ragionevole la somma di 100 000 EUR per oneri e l'accorda ai richiedenti.
C. Interessi moratori
59. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
1. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione;
2. Stabilisce che non c'è stata violazione dell'articolo 13 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 45 000 EUR (quarantacinquemila euro) ad ogni richiedente per danno materiale e morale,;
ii. 100 000 EUR (centomila euro) ai richiedenti per oneri e spese,;
iii. più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto il 5 febbraio 2004 in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 dell'ordinamento.
Søren Nielsen Christos Rozakis
Cancelliere aggiunto Presidente