SECONDA SEZIONE
CAUSA MOLE C. ITALIA
( Richiesta no 24421/03)
SENTENZA
STRASBURGO
12 gennaio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Mole c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jo�ienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, Kristina Pardalos, giudici,
e di Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio l’ 8 dicembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All'origine della causa si trova una richiesta (no 24421/03) diretta contro la Repubblica italiana e di cui un cittadino di questo Stato, il Sig. G. M. ("il richiedente"), ha investito la Corte il 20 giugno 2003 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. Il richiedente è rappresentato da C. D. F., avvocato a Parma. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 9 ottobre 2007, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall'articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l'ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1961 e risiede a Parma.
1. Il regime speciale di detenzione previsto dall'articolo 41bis della legge sull'amministrazione penitenziaria
5. Il richiedente sconta una pena all’ergastolo per omicidio e altri reati legati ad attività di un'associazione di malviventi di tipo mafioso.
6. Il 16 dicembre 1997, il ministro della Giustizia emise un'ordinanza che imponeva al richiedente - considerato come estremamente pericoloso -, per un periodo di un anno, il regime di detenzione speciale previsto dall'articolo 41bis, capoverso 2, della legge sull'amministrazione penitenziaria - no 354 del 26 luglio 1975 ("la legge no 354/1975"). Modificata dalla legge no 356 del 7 agosto 1992, questa disposizione permetteva la sospensione totale o parziale dell'applicazione del regime normale di detenzione quando delle ragioni di ordine e di sicurezza pubblici lo esigevano. L'ordinanza imponeva le seguenti restrizioni:
- limitazione delle visite dei membri della famiglia, al massimo una al mese della durata di un’ora;
- interdizione di incontrare dei terzi;
- interdizione di utilizzare il telefono, salvo una chiamata al mese alla famiglia, ascoltata e registrata, nel caso in cui la visita mensile della famiglia non avesse avuto luogo;
- interdizione di ricevere o di mandare verso l'esterno delle somme di denaro al di là di un determinato importo;
- interdizione di ricevere più di due pacchi al mese ma possibilità di riceverne due all’ anno contenenti della biancheria;
- interdizione di eleggere dei rappresentanti dei detenuti e di essere eletto come rappresentante;
- interdizione di esercitare delle attività artigianali;
- interdizione di organizzare delle attività culturali, ricreative e sportive;
- limitazione della passeggiata a due ore al giorno.
7. Inoltre, tutta la corrispondenza del richiedente doveva essere sottoposta a controllo su autorizzazione preliminare dell'autorità giudiziale.
8. L'applicazione del regime speciale di detenzione fu in seguito prorogata per periodi di sei mesi fino al dicembre 2004. Però, con l'ordinanza del 17 dicembre 1998, la limitazione alla passeggiata fu tolta.
9. Il ministro della Giustizia considerò che le restrizioni inflitte si imponevano in considerazione delle informazioni raccolte che lasciavano presumere che il richiedente aveva mantenuto dei contatti con l'ambiente criminale da cui proveniva e che li avrebbe potuti utilizzare per dare delle direttive o instaurare dei legami col mondo esterno, potendo recare offesa all'ordine pubblico ed alla sicurezza delle strutture penitenziarie.
10. Il 19 giugno 2002 e il 30 dicembre 2002, il richiedente attaccò dinnanzi al tribunale di applicazione delle pene di Bologna le ordinanze ministeriali rispettivamente del 17 giugno 2002 e del 28 dicembre 2002. Contestava l'applicazione del regime speciale e chiedeva l'abrogazione delle restrizioni relative.
11. Con una decisione del 21 marzo 2003, il TAP dichiarò inammissibile il ricorso contro l'ordinanza del 17 giugno 2002, perché il periodo di applicazione di questo era scaduto, e respinse il ricorso contro l'ordinanza del 28 dicembre 2002, al motivo che le condizioni per l'applicazione del regime 41 bis erano riuniti alla luce delle informazioni raccolte dalla polizia e dalle autorità giudiziali sul conto del richiedente. Il richiedente non ricorse in cassazione.
2. Il controllo della corrispondenza del richiedente
12. Risulta dalle ordinanze ministeriali che la corrispondenza del richiedente fu sottoposta al controllo delle autorità penitenziarie dall'applicazione del regime contemplato all'articolo 41 bis, su autorizzazione preliminare delle giurisdizioni dell'applicazione delle pene.
Il richiedente ha prodotto parecchie note dell'amministrazione penitenziaria che attestavano il controllo della corrispondenza con la sua famiglia ed il suo avvocato. Le date di suddette note sono comprese tra il 5 gennaio 2001 ed il 2 ottobre 2002.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
13. La Corte ha riassunto il diritto e le pratica interna pertinenti in quanto al regime speciale di detenzione applicata nello specifico ed in quanto al controllo della corrispondenza nella sua sentenza Enea c. Italia ([GC], no 74912/01, §§ 30-42, 17 settembre 2009). Ha fatto anche stato delle modifiche introdotte dalla legge no 279 del 23 dicembre 2002 e dalla legge no 95 dell’ 8 aprile 2004, ibidem.
Tenuto conto di questa riforma e delle decisioni della Corte, la Corte di cassazione si è scostata dalla sua giurisprudenza e ha stimato che un detenuto ha interesse ad avere una decisione, anche se il periodo di validità dell'ordinanza attaccata è scaduto, e ciò a ragione degli effetti diretti della decisione sulle ordinanze posteriori all'ordinanza attaccata (Corte di cassazione, prima camera, sentenza del 26 gennaio 2004, depositata il 5 febbraio 2004, no 4599, Zara).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
14. Il richiedente adduce che la sua sottomissione al regime di detenzione speciale previsto dall'articolo 41 bis della legge sull'organizzazione penitenziaria si analizza in un trattamento contrario all'articolo 3 della Convenzione. Questa disposizione si legge così:
"Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. "
15. La Corte ricorda che, per ricadere sotto l'influenza dell'articolo 3, un cattivo trattamento deve raggiungere un minimo di gravità .� La valutazione di questo minimo è relativa per essenza; dipende dall'insieme dei dati della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o mentali così come, talvolta, dal sesso, dall'età , dallo stato di salute della vittima ,ecc. (Irlanda c. Regno Unito, sentenza del 18 gennaio 1978, serie A no 25, p. 65, § 162).
16. In questa ottica, la Corte deve ricercare se l'applicazione prolungata del regime speciale di detenzione previsto dall'articolo 41 bis-che, peraltro, dopo la riforma del 2002, è diventato una disposizione permanente della legge sull'amministrazione penitenziaria -per più di sette anni nel caso del richiedente costituisce una violazione dell'articolo 3. Deve fare però astrazione della natura del reato rimproverato al richiedente, perché il "divieto alla tortura o a pene o trattamenti disumani o degradanti è assoluto, qualunque sia il reato della vittima" (Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 119, CEDH 2000-IV).
17. La Corte ammette che in generale, l'applicazione prolungata di certe restrizioni può porre un detenuto in una situazione che potrebbe costituire un trattamento disumano o degradante, ai sensi dell'articolo 3. Però, non potrebbe considerare una durata precisa come costituente il momento a partire del quale si raggiunge la soglia minima di gravità per ricadere nel campo di applicazione dell'articolo 3 della Convenzione. In compenso, ha il dovere di controllare se, in un dato caso, il rinnovo ed il prolungamento delle restrizioni si giustificavano.
18. La Corte constata innanzitutto che ogni volta, il ministro della Giustizia si è riferito, per giustificare la proroga delle restrizioni, alla persistenza delle condizioni che giustificavano la prima applicazione; inoltre, il tribunale dell'applicazione delle pene ha controllato la realtà di queste constatazioni (vedere paragrafi 9 e 11).
Da parte sua, la Corte considera che questi argomenti non erano arbitrari.
19. Infine, il richiedente non ha fornito alla Corte alcun elemento tale da permetterle di concludere che l'applicazione prolungata del regime speciale di detenzione previsto dall'articolo 41 bis gli ha causato degli effetti fisici o mentali ricadenti sotto l'influenza dell'articolo 3. Quindi, la sofferenza o l'umiliazione che il richiedente ha potuto provare non è andata al di là di quelle che comprende inevitabilmente una data forma di trattamento - nello specifico prolungato - o di pena legittima (Labita, precitata, § 120, e Bastone c. Italia, (dec) no 59638/00, 18 gennaio 2005).
20. Alla vista di ciò che precede, la Corte stima che il trattamento di cui il richiedente è stato oggetto non ha superato il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione. Non essendo stata raggiunta la soglia minima di gravità per ricadere sotto l'influenza dell'articolo 3 della Convenzione, questa disposizione non è stata ignorata nello specifico.
21. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell'articolo 35 § 4 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE IN QUANTO ALLE RESTRIZIONI AL DIRITTO DI VISITE
22. Il richiedente si lamenta della violazione del suo diritto al rispetto della sua vita familiare in ragione delle restrizioni alle quali è sottoposto. Invoca l'articolo 8 della Convenzione, ai termini del quale:
"1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, (…)alla difesa dell'ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, (…)"
23. La Corte ricorda che ha già dovuto deliberare sul fatto di sapere se le restrizioni previste dall'applicazione dell'articolo 41bis in materia di vita privata e familiare di certi detenuti costituiscono un'ingerenza giustificata dal paragrafo 2 dell'articolo 8 (vedere, tra altre, il sentenza Enea, precitata, § 125.
24. Queste restrizioni tendono a tagliare i legami esistenti tra la persona riguardata ed il suo ambiente criminale di origine, per minimizzare il rischio di vedere utilizzare i contatti personali di questi detenuti con le strutture delle organizzazioni criminali di suddetto ambiente.
25. Prima dell'introduzione del regime speciale, un buon numero di detenuti pericolosi riusciva a tenere la loro posizione in seno all'organizzazione criminale alla quale appartenevano, a scambiare delle informazioni con gli altri detenuti e con l'esterno, ed ad organizzare e fare eseguire dei reati penali. In questo contesto, la Corte stima che, tenuto conto della natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata, in particolare di tipo mafioso, e del fatto che le visite familiari sono state spesso certamente il mezzo di trasmissione di ordini e di istruzioni verso l'esterno, le restrizioni, importanti, alle visite ed ai controlli che ne accompagnano lo svolgimento non potrebbero passare per sproporzionate rispetto agli scopi legittimi perseguiti (ibidem, § 126).
26. In conclusione, la Corte stima che le restrizioni al diritto del richiedente al rispetto della sua vita familiare non sono andate al di là di ciò che, ai termini dell'articolo 8 § 2, è necessario, in una società democratica, alla sicurezza pubblica, alla difesa dell'ordine ed alla prevenzione dei reati penali. Pertanto, questo motivo di appello deve essere respinto come manifestamente mal fondato in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE IN QUANTO ALLE RESTRIZIONI AL DIRITTO AL RISPETTO DELLA CORRISPONDENZA
27. Sempre ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione, il richiedente considera che l'ingerenza nel suo diritto al rispetto della sua corrispondenza non era prevista dalla legge.
28. Il Governo si oppone a questa tesi. Ricorda che il controllo della corrispondenza del richiedente è stato ordinato in applicazione dell'articolo 18 della legge sull'amministrazione penitenziaria. Ora, la Corte ha stimato già che questa disposizione non costituiva una base giuridica sufficiente ai termini della Convenzione, perché non indicava né la durata del controllo, né i motivi che potevano giustificarlo, né la superficie e le modalità di esercizio del potere di valutazione delle autorità competenti.
29. Secondo il Governo, nelle circostanze particolari del presente caso, la Corte dovrebbe scostarsi però, della sua giurisprudenza. Difatti, le decisioni del giudice di applicazione delle pene concernenti la causa del richiedente contenevano tutti gli elementi richiesti dai giudici europei e, sebbene fondate su una "legge non perfetta", non potrebbero essere stimate contrarie alla Convenzione.
30. La Corte considera che non è necessario dedicarsi sulla questione di sapere se vi è stata "ingerenza di un'autorità pubblica" nell'esercizio del diritto del richiedente al rispetto della sua corrispondenza e se questa ingerenza era "prevista dalla legge", perché, ad ogni modo, questa parte della richiesta è inammissibile per il seguente motivo.
31. Ricorda che i richiedenti che adducono una violazione del loro diritto al rispetto della corrispondenza devono supportare le loro affermazioni fornendo la prova del fatto che la loro corrispondenza è stata effettivamente aperta e letta dalle autorità (vedere, Gelsomino c. Italia, (dec.), no 2005/03, 3 maggio 2006; Enea, precitata, § 145). Nello specifico, il richiedente ha prodotto delle note emesse dall'amministrazione penitenziaria al più tardi il 2 ottobre 2002 (vedere sopra paragrafo 12)
Ora, essendo stata introdotta la richiesta il 20 giugno 2003, la Corte rileva che l'interessato non ha rispettato il termine dei sei mesi assegnati dalla Convenzione.
32. Ne segue che questo motivo di appello è tardivo e deve essere respinto in applicazione dell'articolo 35 §§ 1, 3 e 4 della Convenzione.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
33. Il richiedente si lamenta di una restrizione subita nell'esercizio del suo diritto ad un tribunale nella misura in cui il suo reclamo contro l'ordinanza del 17 giugno 2002 non è stato esaminato sul merito al tribunale di applicazione delle pene. È in causa l'articolo 6 § 1 della Convenzione di cui la parte pertinente è formulata così:
"Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita da un tribunale che deciderà , sia delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa in materia penale diretta contro lei ."
34. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull'ammissibilitÃ
35. Il Governo eccepisce del non-esaurimento delle vie di ricorso interne nella misura in cui il richiedente non è ricorso in Cassazione contro la decisione del tribunale di applicazione delle pene di Bologna.
36. Il richiedente contesta l'eccezione sollevata dal Governo.
37. La Corte constata, alla luce dell'insieme degli argomenti delle parti, che l'eccezione è legata strettamente al merito alla richiesta e decide di unirla a questo. La Corte constata che questa parte della richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità . Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
38. Secondo il richiedente, la violazione dell'articolo 6 § 1 sarebbe la conseguenza della decisione di rigetto per perdita di interesse dell'esame in ragione della scadenza del termine di validità dell'ordinanza ministeriale attaccata.
39. Il Governo afferma che il superamento del termine dei dieci giorni previsto dalla legge sull'amministrazione penitenziaria non potrebbe passare per un'omissione del dovere di controllo giurisdizionale. Il tribunale dell'applicazione delle pene avrebbe sempre deliberato nei termini ragionevoli tenuto conto del tempo necessario per l'istruzione delle cause. Nello specifico, il ritardo accusato dalla risposta non avrebbe causato un diniego di accesso ad un tribunale.
40. La Corte osserva che, il 19 giugno 2002, il richiedente ha introdotto un ricorso contro l'ordinanza del 17 giugno 2002. Con una decisione del 21 marzo 2003, il tribunale dell'applicazione delle pene di Bologna ha respinto il ricorso al motivo che l'ordinanza controversa era scaduta (vedere sopra paragrafo 11).
41. La Corte ha giudicato già a più riprese che la mancanza di ogni decisione sul merito svuota della sua sostanza il controllo esercitato dal giudice sulle ordinanze del ministro della Giustizia (vedere, tra altre, la sentenza Enea, precitata, § 82. Non vede nessuna ragione di scostarsi nello specifico da questa giurisprudenza.
42. Quindi, l'eccezione derivata dal no-esaurimento delle vie di ricorso interne non potrebbe essere considerata e vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.
V. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
43. Ai termini dell'articolo 41 della Convenzione,
"Se la Corte dichiara che c'è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c'è luogo, una soddisfazione equa. "
44. Il richiedente non ha fatto alcuna richiesta di soddisfazione equa. Pertanto, la Corte stima che non c'è luogo di concedergli alcuna somma a questo titolo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello tratto dall'articolo 6 § 1 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 12 gennaio 2010, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 dell'ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa