Conclusione Non-violazione di P1-1; Non-violazione dell'art. 14+P1-1; Non-violazione dell'art. 6-1; non-violazione dell'art. 13
CORTE (PLENARIA)
CAUSA JAMES ED ALTRI C. REGNO UNITO
( Richiesta no 8793/7)
SENTENZA
STRASBURGO
21 febbraio 1986
Nella causa James ed altri ,
La Corte europea dei Diritti dell'uomo, deliberando in seduta plenaria in applicazione dell'articolo 50 del suo ordinamento e composta dai giudici di cui segue il nome:
SIGG.. R. Ryssdal, presidente,
W. Ganshof Van der Meersch,
J. Cremona,
G. Wiarda,
Thór Vilhjálmsson,
La Sig.ra D. Bindschedler-Robert,
SIGG.. D. Evrigenis,
G. Lagergren,
F. Gölcüklü,
F. Matscher,
J. Pinheiro Farinha,
L. - E. Pettiti,
B. Walsh,
Sir Vincent Evans,
SIGG.. C. Russo,
R. Bernhardt,
J. Gersing,
A. Spielmann,
così come di Sigg.. SIG. - A. Eissen, cancelliere, e H. Petzold, cancelliere aggiunto,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 27 e 28 settembre 1985, poi il 21 e 22 gennaio 1986,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa ultima, data:
PROCEDIMENTO
1. La causa è stata deferita alla Corte dalla Commissione europea dei Diritti dell'uomo ("la Commissione") il 12 luglio 1984, nel termine di tre mesi aperti dagli articoli 32 paragrafo 1 e 47 (art. 32-1, art. 47) della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle Libertà fondamentali ("la Convenzione"). Alla sua origine si trova una richiesta (no 8793/79) diretta contro il Regno Unito di Gran Bretagna e dell'Irlanda del Nord e in cui quattro cittadini di questi Stati, J. N. C. J., G. C., sesto duca di Westminster, P. G. C. e Sir R. B. W., avevano investito la Commissione nel 1979.
2. La domanda della Commissione rinvia agli articoli 44 e 48 (art. 44, art. 48) così come alla dichiarazione britannica di riconoscenza della giurisdizione obbligatoria della Corte. Ha per scopo di ottenere una decisione sul punto di sapere se i fatti della causa rivelano, da parte dello stato convenuto, una trasgressione agli obblighi che gli incombono sui termini dell'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1), considerato isolatamente o combinato con l'articolo 14 (art. 14+P1-1) della Convenzione, così come dell'articolo 13 (art. 13).
3. In risposta all'invito prescritto all'articolo 33 paragrafo 3 d, dell'ordinamento, i richiedenti hanno espresso il desiderio di partecipare all'istanza pendente dinnanzi alla Corte e hanno designato i loro consiglieri (articolo 30).
4. La camera di sette giudici da costituire comprendeva di pieno dritto Sir Vincent Evans, giudice eletto di nazionalità britannica (articolo 43 della Convenzione) (art. 43) ed il Sig. G. Wiarda, allora presidente della Corte (articolo 21 paragrafo 3 b, dell'ordinamento). Il 2 agosto 1984, questo ha designato tirando a sorte gli altri cinque membri,ossia il Sig. W. Ganshof Van der Meersch, la Sig.ra D. Bindschedler-Robert, il Sig. G. Lagergren, il Sig. R. Bernhardt ed il Sig. J. Gersing, in presenza del cancelliere (articoli 43 in fine della Convenzione e 21 paragrafo 4 dell'ordinamento) (art. 43).
5. Avendo assunto la presidenza della Camera (articolo 21 paragrafo 5 dell'ordinamento) il Sig. Wiarda ha consultato, tramite il cancelliere, l'agente del governo del Regno Unito ("il Governo"), il delegato della Commissione ed i consiglieri dei richiedenti sulla necessità di un procedimento scritto (articolo 37 paragrafo 1). Conformemente alle sue ordinanze e direttive, la cancelleria ha ricevuto in seguito:
- il 14 dicembre 1984, l'esposto dei richiedenti, corredato di documenti che si trovavano menzionati
- il 22 dicembre 1984, quello del Governo.
Con una lettera arrivata il 19 aprile 1985, il segretario della Commissione ha informato il cancelliere che il delegato non desiderava rispondere per iscritto.
6. Il 22 aprile 1985, il presidente ha fissato al 23 settembre l'apertura del procedimento orale dopo avere consultato l’agente del governo, il delegato della Commissione e i consiglieri dei richiedenti tramite il cancelliere (articolo 38).
7. Il 26 giugno 1985, la Camera ha deciso di disfarsi con effetto immediato a profitto della Corte plenaria (articolo 50).
8. I dibattimenti si sono svolti in pubblico il 23 e 24 settembre 1985, al Palazzo dei Diritti dell'uomo a Strasburgo. La Corte aveva tenuto immediatamente prima una riunione preparatoria. Durante le udienze il Governo ed i richiedenti hanno depositato delle risposte scritte alle domandedella Corte.
Sono comparsi:
- per il Governo
SIGG.. Il Sig. Eaton, giureconsulto,
ministero delle Cause estere e del Commonwealth,
agente,
R. Alexander, Q.C,
N. Bratza, avvocato,
J. Cane, ministero dell'ambito, consiglieri;
La Sig.ra D. Phillips, ministero dell'ambito, consigliare,;
- per la Commissione
Il Sig. Gaukur Jörundsson, delegato,;
- per i richiedenti
SIGG.. IL SIG. B., Q.C,
F. J., Q.C,
D. N., consigleri,
T. S. B.,
P. H., avvocati
H. K., consigliare.
9. La Corte ha sentito nelle loro dichiarazioni, così come nelle loro risposte alle sue domande, il Sig. Alexander per il Governo, il Sig. Gaukur Jörundsson per la Commissione ed il Sig. B. per i richiedenti. Questi ultimi hanno completato le loro risposte con un documento depositato alla cancelleria il 13 novembre 1985 ed all'argomento del quale il Governo ha presentato delle osservazioni scritte il 10 gennaio 1986.
FATTI
A. Introduzione
10. I richiedenti sono o erano degli amministratori fiduciari (trustees) che agivano conformemente al testamento del secondo duca di Westminster. Il primo di essi, J. N. C. J., è un perito-geometra vivente a Londra. Il secondo, G. C., sesto duca di Westminster, ha il suo domicilio a Chester. Il terzo, P. G. C., è un contabile che abita il Sussex. Il quarto, Sir R. B. W., banchiere a Londra, è stato nominato trustee il 31 dicembre 1981 al posto del terzo che è andato in pensione.
Nel quartiere di Belgravia, al centro di Londra, su un vecchio sfruttamento agricolo ubicato nei dintorni della Città, la famiglia Westminster ed i suoi amministratori fiduciari hanno pianificato un vasto campo che comprende circa 2.000 case; è diventato una delle zone residenziali più ricercate della capitale. In quanto trustees, i richiedenti sono stati spossessati di numerose proprietà di questo campo perché gli occupanti hanno esercitato i diritti di acquisto che accordava loro la legge modificata del 1967 sulla riforma degli affitti.
11. Questa legislazione conferisce all'acquirente che rimane in una casa in virtù di un affitto enfiteutico a "basso affitto", di una durata iniziale, o dopo rinnovi, superiore a 21 anni, il diritto di ottenere la cessione obbligatoria della proprietà, il "freehold" o dritto fondiario del proprietario, alle condizioni ed ad un prezzo definiti (paragrafi 20-26 sotto). Nel sistema dell'enfiteusi, l'inquilino acquisisce in generale l'affitto con un versamento iniziale dopo di che egli non paga che un affitto modesto o anche simbolico. L'affitto è un diritto reale da iscrivere al catasto. La legislazione in causa non riguarda il tipo abituale di locazione nella l'acquirente versa un "affitto di uso" che riflette il pieno valore annuo della proprietà. I rapporti tra proprietari ed inquilino ubbidiscono in simile caso, per le case di un valore, imponibile, inferiore ad un certo massimale, ad una legislazione distinta - le "leggi sugli affitti" - che contempla un meccanismo di determinazione dei "giusto affitto" ed offre agli inquilini una certa sicurezza di occupazione.
B. Il sistema dell'enfiteusi e l'origine della legge del 1967 sulla riforma dell'enfiteusi
12. Esistono due forme principali di enfiteusi per gli immobili di abitazione.
La prima è l'affitto da costruzione, acconsentito d’abitudine per 99 anni; l'inquilino paga un basso "affitto fondiario" (ground rent) - sulla base del valore del terreno nudo - ed s’impegna ad edificare una casa sui luoghi e, generalmente, a lasciarla al proprietario in buono stato alla scadenza del contratto.
Il secondo è l'affitto a versamento iniziale; l'inquilino regola al proprietario, per la casa messa a sua disposizione da questo, una somma forfetaria e, in seguito, un affitto. La durata dell'affitto varia, come l'importanza rispettiva del forfait e dell'affitto. Secondo le informazioni fornite alla Corte, il versamento iniziale tiene di solito conto del costo della costruzione e di un elemento di profitto adeguato. Tra i fattori presi in considerazione raffigurano per esempio per abitudine la lunghezza dell'affitto considerato, le sue condizioni, in quanto alla possibilità di un subaffitto, e lo stato della proprietà al momento della conclusione. Il metodo utilizzato per il calcolo dei versamenti relativi agli affitti di cui si tratta nello specifico si trova descritto sotto (paragrafo 27).
La distinzione tra i due tipi non è assoluta. Per esempio, un affitto a versamento iniziale può prevedere l’obbligo di realizzare dei grossi risarcimenti, modifiche, aggiunte o miglioramenti ad una proprietà esistente, ed diventare così simile ad un affitto a costruzione. Ad ogni modo secondo una pratica quasi costante simile contratto rinchiude, una clausola che mette a carico dell'inquilino ciascuno dei risarcimenti in cui si incorre durante la durata dell'affitto e lo costringe a rendere la proprietà in buono stato alla scadenza.
L'enfiteuta può vendere normalmente l'affitto ad un terzo che acquisisce allora i suoi diritti ed obblighi per il periodo che resta da passare. Gli affitti enfiteutici sono frequentemente oggetto di tali transazioni sul mercato immobiliare, senza che i proprietari vi giochino nessuno ruolo. Di abitudine, l'inquilino può subaffittare anche il bene Però, l'esistenza di un diritto di vendere l'affitto o di subaffittare dipende giuridicamente dai termini di ogni contratto.
13. Il valore finanziario dell'attivo del proprietario nel bene ceduto in enfiteusi ha due origini: l'affitto stipolato e la prospettiva di ritorno del bene alla fine dell'affitto. All'inizio di enfiteusi molto lunga, il valore del secondo elemento può essere insignificante ed il valore commerciale totale dell'attivo del proprietario non superare il valore capitalizzato dall'affitto. Il valore finanziario dell'attivo dell'inquilino risulta dal diritto di occupare la casa in virtù dell'affitto, e dipende al primo capo dal tempo durante il quale questo diritto rimarrà. All'inizio di un affitto di durata molto lunga, può uguagliare più o meno quella dei bene-fondi sé se l'affitto è molto basso.
L'affitto è però un avere che si assottiglia. Dal momento che passa il tempo, il valore del diritto dell'inquilino decresce mentre aumenta quella del diritto del proprietario. Alla scadenza del contratto, il diritto dell'acquirente si estingue e gli edifici, ivi compreso i miglioramenti e le riparazioni effettuati, spettano al proprietario senza compenso per il primo.
Siccome né il locatore solo, né l'inquilino solo non possono offrire ad un terzo la proprietà esente da occupante, i loro diritti riuniti hanno un valore inferiore a quella che avrebbe la proprietà libera. Se però la reversione è venduta all'inquilino occupante che può fondere allora i due diritti in una proprietà unica, il valore di questa supera il valore di investimento per un terzo che acquisterebbe la reversione gravata di un affitto. Nelle operazioni del mercato libero, venditore ed acquirente hanno costume di dividersi, nelle proporzioni convenute tra essi, questo valore supplementare detto "valore di consolidamento" ("merger valso").
14. L'enfiteusi è stata utilizzata largamente in Inghilterra ed nel Galles, in particolare in occasione dell'urbanizzazione consecutiva alla rivoluzione industriale del XIX secolo.
15. Verso il 1880, gli inquilini hanno cominciato a rivendicare il diritto di imporre al loro proprietario la cessione del suo bene, per liberarsi dalla reversione ("leasehold enfranchisement"). Dal 1884 al 1929, una serie di progetti di legge destinati a facilitare simile riscatto è stata sottomessa in vano al Parlamento.
16. La domanda di riforma della legge è rispuntata dopo la seconda guerra mondiale. Nel 1948, il Lord Chancellor ha incaricato una commissione, il Leasehold Committee, di esaminare diversi aspetti del problema dell'enfiteusi.
Nel suo rapporto del 1950 al Parlamento (Command Paper Cmd 7982) la maggioranza della Commissione sconsigliava di dare agli acquirenti un diritto di riscatto (right of enfranchisement). Concludeva che la concessione di un tale diritto cozzava al tempo stesso contro obiezioni generali di principio ed ostacoli pratici. Esprimeva anche il parere che non avrebbe servito l'interesse pubblico" (paragrafo 100). Raccomandava tuttavia che l'inquilino che occupava una casa di valore imponibile inferiore ad un dato investimento godesse del diritto al mantenimento nei luoghi in virtù delle leggi sugli affitti.
Il rapporto della minoranza della Commissione segnalava il profondo ed amaro sentimento di ingiustizia provata dagli enfiteuti nel caso di affitti da costruzione, e raccomandava di riconoscere a certi inquilini occupanti il diritto di riscatto con cessione obbligatoria.
Il governo laburista dell'epoca non ebbe il tempo di presentare una legislazione permanente ispirata dal rapporto di suddetta commissione. In quanto al governo conservatore generato dalle elezioni del 1951, accettò l'opinione maggioritaria di questa di cui la cui legge del 1954 sulle locazioni ("legge del 1954") adottò le raccomandazioni. In grosso, questo testo aveva e ha sempre per effetto di dare all'inquilino, alla scadenza dell'enfiteusi, il diritto di continuare ad occupare la casa in virtù delle leggi sugli affitti, saldando un "giusto affitto" al senso di queste leggi e beneficiando del mantenimento nei luoghi garantiti dalla legislazione ordinaria sulle locazioni. Questo privilegio si trasmette, in caso di decesso, ai membri della famiglia dell'inquilino residenti sul posto.
17. Il dibattito proseguì sulla questione nel pubblico. Nel 1961, delle parlamentari dichiararono in seduta che gli enfiteuti incontravano delle serie difficoltà in ragione dei prezzi elevati che i locatori esigevano per cedere la proprietà o per prolungare o rinnovare l'affitto. Il governo invitò gli organismi professionali in materia con più esperienza (avvocati, geometri, periti estimatori, agenti immobiliari) ad informarlo a questo riguardo sulla pratica dei proprietari,. Nel luglio 1962 uscì un Libro bianco che riassumeva le loro conclusioni ( Residential Leasehold Property - Command Paper Cmnd 1789). In un modo generale, gli organismi professionali trovavano che il sistema funzionava correttamente, ma che molti inquilini erano scontenti del carattere limitato dei loro diritti.
18. Da alcuni anni, il riscatto obbligatorio figurava al programma del Labour Party. In seguito alla vittoria elettorale dei laburisti nel 1964, un nuovo Libro bianco, pubblicato nel 1966, presentò le riforme proposte dal governo; comprendevano un piano di riscatto obbligatorio (Leasehold Reform in England and Wales - Command Paper Cmnd 2916). Spiegava così le ragioni per le quali il governo stimava necessaria una riforma:
"Obiettivo
1. Il presente Libro bianco riguarda gli affitti enfiteutici di abitazione, in particolare quelli di cui l'origine risale alla seconda metà dell’ultimo secolo. L'esperienza ha mostrato che l'enfiteusi lede in modo molto ingiusto l'inquilino che occupa. Il proprietario fondiario ha fornito il terreno, ma nella grande maggioranza dei casi è l'acquirente o il suo predecessore titolare che ha edificato la casa, con suoi soldi. Anche se esistono delle eccezioni, è quasi sempre vero che durante gli anni, sono gli inquilini successivi che hanno sopportato il costo dei miglioramenti e della manutenzione, ed supera probabilmente di molto quello della costruzione stessa. A loro spese, hanno conservato all'immobile il carattere di abitazione abitabile e l'hanno utilizzato in quanto tale; è abbastanza naturale che arrivando alla scadenza dopo i lunghi anni di occupazione, lo considerano come il loro focolare familiare. In simile caso non si potrebbe ammettere, se ci si preoccupa della giustizia tra proprietari ed inquilino occupante, che alla scadenza del contratto la legge garantisca al primo il ritorno della casa senza sborsare nulla, così da recuperare non solo il terreno ma l'edificio, i miglioramenti e tutte le aggiunte che hanno potuto fare l'inquilino o i suoi predecessori.
2. Il governo ha deciso di cercare un rimedio a questa ingiustizia. Secondo lui, il principio di base di una tale riforma consisterebbe nel riconoscere al locatore la proprietà del suolo ed all'acquirente occupante un titolo morale, (morally entitled,) sulla proprietà dell'edificio eretto e tenuto sul terreno.
3. Due elementi rendono urgenti la riforma. Di prima, la maggior parte delle persone acquisiscono la loro casa grazie ad un'ipoteca e per essi il sistema dell'enfiteusi gioca in modo particolarmente duro. Un acquirente su ipoteca rischia di pagare ancora quasi il prezzo della proprietà per un affitto in corso per lunghi anni; alla scadenza della sua ipoteca, proverà un sentimento acuto di ingiustizia. Constaterà, dopo avere scontato l'ipoteca, che si trova alla testa di un attivo di un valore inferiore rispetto all'epoca dell'acquisizione, e difficile da vendere perché un acquirente, non riuscirà forse ad ipotecare. Ecco dinnanzi a quale situazione si trovano molti occupanti che hanno acquistato la loro casa per abitarvi subito dopo la guerra. Secondariamente, numerosi campi in enfiteusi si sono edificati nella seconda metà del XIX secolo, mentre i proprietari fondiari si avvalevano del loro monopolio per impedire ogni altro mezzo di collocamento in valore diverso dall'enfiteusi. Ciò si è prodotto in particolare nel sud del paese del Galles ed in certe regioni dell'Inghilterra. Gli affitti in questione cominciano ad arrivare al loro termine e gli inquilini subiscono tutta la durezza del sistema dell'enfiteusi.
Il piano
4. Il governo dunque presenterà un progetto di legge destinata a dare più di sicurezza ai titolari di un affitto enfiteutico ed ad offrire loro la possibilità di acquistare la proprietà alle giuste condizioni. Il progetto si baserà in equità sul principio che se la terra appartiene al proprietario fondiario, la casa all'inquilino occupante. Pertanto, questo ultimo avrà il diritto di conservare la sua casa dopo la scadenza ed il diritto di ricomprarla (to enfranchise his lease).
Il Libro bianco dettagliava le proposte governative che mirano a permettere a certi inquilini qualificati di acquisire la proprietà o di ottenere la proroga dell'affitto per cinquant' anni. I paragrafi 11 e 12 spiegavano le proposte relative alle condizioni di riscatto:
"11. Salvo eccezione nei casi speciali, un inquilino qualificato avrà il diritto, durante tutta la durata del contratto, di acquisire la proprietà tramite cessione obbligatoria. Importa di badare al fatto che il riscatto si operi ad un prezzo equo. Però, i corsi reali del mercato riflettono la situazione che risulta dal diritto in vigore, iniquo verso l'inquilino; quindi, il prezzo di riscatto deve basarsi no su essi, ma sul valore del terreno stesso, avuto riguardo delle prospettive eventuali di collocamento in valore. Deve calcolarsi in equità conformemente al principio che i muri appartengono all'inquilino qualificato, il terreno al proprietario.
12. Segue - ed il progetto di legge lo preciserà - che nella mancanza, frequente, di altre prospettive di collocamento in valore, il giusto prezzo di riscatto sarà il valore della proprietà del suolo, tenuto conto dell'affitto e della sua proroga per cinquant' anni. Lascerà interamente da parte il valore che l'edificio avrebbe avuto al momento del ritorno."
19. Il Governo investe il Parlamento di un progetto di legge che tende ad eseguire questo programma. Durante i dibattimenti parlamentari, l'opposizione conservatrice accettò il principio, enunciato nel suo manifesto elettorale del 1966, di una legislazione che "abilita gli inquilini ad acquisire o affittare la loro casa a condizioni eque, salvo quando la proprietà deve essere messa in valore", ma combatté le modalità del progetto, giudicandole confiscatorie. Secondo lei, l'idea di basare il prezzo di riscatto sul solo valore del terreno si appellava all'argomento interamente falso che la casa apparteneva all'inquilino. Ora questo aveva acquistato solamente il diritto di vivere durante un tempo determinato. Conveniva pagare il prezzo del mercato per ciò che apparteneva al proprietario.
Durante la discussione del progetto al Parlamento, dei membri di tutte le parti politiche espressero l'opinione che la legge del 1954 che garantisce il mantenimento nei luoghi (paragrafo 16 sopra) non era riuscita ad alleggerire il danno o l'ingiustizia che la fine dell'affitto enfiteutico causava agli inquilini. Tra le ragioni avanzate raffiguravano da un lato l'obbligo, per l'inquilino, di continuare a pagare degli affitti fissati recentemente, dall'altro la minaccia d’iomportanti rivendicazioni per danni che certi proprietari utilizzavano per incitare gli acquirenti a rinunciare al loro diritto legale al mantenimento nei luoghi.
Alcuni rimproveravano al progetto di non distinguere tra inquilini "meritevoli" e "non meritevoli", così come di non aprire un ricorso ad una giurisdizione competente per decidere se fosse ragionevole rendere un'ordinanza di riscatto in favore di un inquilino. A questa critica, si rispondeva che avuto riguardo dl numero molto considerevole delle case affittate ad affitto enfiteutico, un sistema esigente di stabisterline in ogni caso il carattere ragionevole del riscatto non mancherebbe di generare una grande incertezza, dei ritardi e molte controversie; inoltre, darebbe l'impressione che avrebbe potuto rivelarsi troppo costoso lanciarsi in un procedimento aleatorio per certi inquilini.
Altro punto sollevato nei dibattimenti: il progetto riservava il diritto di riscatto agli inquilini di case che non superavano un dato valore. Se il sistema dell'enfiteusi, si diceva, funzionava in modo ingiusto per le ragioni invocate dal governo, doveva in buona logica giocare in modo ingiusto al riguardo di tutti gli inquilini, qualunque fosse il valore della casa. Per restringere l'applicabilità della legislazione alle case di un valore inferiore ad un certo investimento, il governo sosteneva in sostanza:
a) che una legislazione che migliora la situazione degli inquilini doveva regolare normalmente la stessa categoria di proprietà delle leggi sugli affitti;
b) che aveva tentato di definire i casi di difficoltà maggiore che l'autorizzava a rettificare dei contratti in vigore; che dunque aveva seguito il precedente dei limiti fissati dalle leggi sugli affitti; che si poteva richiedere la mancanza di limiti a nome della logica e della coerenza, ma che spingerebbe le rettifiche al di là dei bisogni;
c) che la prospettiva dei grossi benefici in capitale che certi inquilini potrebbero realizzare se si annullasse ogni limite aveva un po' influenzato il governo.
Dopo le ampie discussioni nelle due camere del Parlamento, il progetto fu adottato sotto il titolo di legge del 1967 sulla riforma dell'enfiteusi. A questa data, esisteva in Inghilterra e nel paese del Galles circa duecentocinquantamila case occupate dagli enfiteuti. Il governo stimava, all'epoca che l’uno o il due per cento di esse dipendevano dal meccanismo di riscatto previsto dalla legge. Quindi, un emendamento del 1974 ha esteso questo ultimo ad una frazione delle abitazioni più facoltose che figuravano nell’uno o due per cento restante (paragrafo 21 b, sopra).
C. La legislazione di riforma dell'enfiteusi
20. La legislazione relativa al riscatto da parte dell'inquilino comprende oggi la legge del 1967 sulla riforma dell'enfiteusi ("legge del 1967"), come emendata dalla legge del 1969 sull'alloggio ("legge del 1969"), la legge del 1974 sull'alloggio ("legge del 1974"), la legge del 1979 sulla riforma dell'enfiteusi, la legge del 1980 sull'alloggio ("legge del 1980") e la legge del 1984 sul controllo dell'alloggio e della costruzione. Conferisce agli acquirenti che occupano delle "case" affittate ad affitto enfiteutico in Inghilterra ed nel Galles il diritto di acquisirne la proprietà, o di ottenere una proroga di affitto, ai prezzi e condizioni date. Il termine "casa" è definito come includente le case bifamigliari e le case a schiera, ma non gli appartamenti di un immobile o di una piccola casa (articolo 2 della legge del 1967).
21. Affinché l'inquilino abbia il diritto di acquisire una tale casa in virtù della legge devono trovarsi assolte, in grosso, le principali seguenti esigenze:
a) deve trattarsi di un affitto di "lunga" durata, cioè o per almeno 21 anni, o per meno molto tempo se il contratto iniziale è stato rinnovato per i periodi di più di 21 anni al totale (articoli 1 e 3 della legge del 1967).
b) Sotto riserva di eccezioni senza importanza nello specifico, il "valore imponibile" della casa (cioè il valore locativo annuo teorico ritenuto per i bisogni della fiscalità locale) non deve superare 750 sterline, o 1.500 per una casa situata nella Grande Londra (articolo 1 della legge del 1967) come ha modificato dall'articolo 118 della legge del 1974. I massimale di valore imponibile fissato all'origine dalla legge del 1967, 200 sterline 400 per la Grande Londra, sono stati rivisti, e portati rispettivamente a 500 e 1.000 sterline, con la legge del 1974 per tenere conto della rivalutazione operata su scala nazionale nel 1973. In più, la legge del 1974 ha esteso il campo di applicazione del sistema di riscatto instaurato dalla legge del 1967 alle abitazioni di un valore imponibile ancora più forte, da 500 a 750 sterline e, per la Grande Londra, da 1.000 a 1.500, ma nel loro caso il prezzo di riscatto è differente (paragrafo 23 sotto). In quanto alle proprietà il cui valore supera i limiti del valore imponibile globale, restano fuori dal campo della legislazione.
c) L'affitto annuo deve essere "basso", cioè meno dei due terzi del valore imponibile (articoli 1 e 4 della legge del 1967).
d) L'inquilino deve occupare la casa in quanto residenza unica o principale, e questo da almeno tre anni prima del momento in cui notifica il suo desiderio di esercitare i diritti che gli conferisce la legge (articolo 1 della legge del 1967) come hanno modificato l'articolo 141 e l'allegato 21 della legge del 1980; la legge del 1967 contemplava un periodo minimale di cinque anni.
22. Se le condizioni precitate si trovano assolte, l'acquirente ha due diritti:
a) ottenere una proroga del suo affitto per cinquant' anni, ad un affitto che rappresenta il valore locativo del terreno, senza edificio, rivisto dopo venticinque anni (articoli 14 e 15 della legge del 1967);
b) proporsi come acquirente della proprietà nelle condizioni indicate (articolo 8 della legge del 1967).
Il secondo di questi diritti può esercitarsi fino alla scadenza dell'affitto iniziale, ma non oltre (articolo 16 della legge del 1967).
23. La proroga dell'affitto non dà adito a nessuno versamento o premio diverso dall'affitto.
L'acquirente di una proprietà deve pagare una somma fissata secondo la "base di calcolo del 1967" o la "base di calcolo del 1974" al proprietario, definite rispettivamente dalla legge del 1967, emendate nel 1969, e da quella del 1974. La prima si applica alle proprietà di valore inferiore ad un massimale dato, la seconda al piccolo numero di proprietà più facoltose sottoposte per la prima volta alla legislazione dalla legge del 1974 (paragrafi 19 in fine e 21 b, sopra). Le loro caratteristiche essenziali si possono riepilogare così:
a) La base di calcolo del 1967 riguarda le proprietà di cui il valore imponibile non supera 500 sterline, o 1.000 per una casa situata nella Grande Londra. Il prezzo da regolare è allora quello che potrebbe raggiungere la casa in caso di vendita volontario sul mercato libero, supponendo, tra altri, i. che l'inquilino abbia esercitato il suo diritto legale di ottenere una proroga dell'affitto per cinquant' anni ed ii. che l'acquirente non sia l'inquilino (articoli 9 della legge del 1967, 82 della legge del 1969 e 118 della legge del 1974). In ragione della prima ipotesi, l'inquilino paga approssimativamente il valore del terreno, ma niente per l'edificio. In quanto al secondo, introdotto dalla legge del 1969, esclude anche dal prezzo ogni elemento di "valore di consolidamento" (paragrafo 13 sopra). Questa base di calcolo riflette la politica esposta nel Libro bianco del 1966 (paragrafo 18 sopra).
b) La base di calcolo del 1974 si applica alle proprietà il cui il valore imponibile va da 500 a 750 sterline, o da 1.000 a 1.500 per le case situate nella Grande Londra. Il prezzo da pagare è quello che potrebbe raggiungere la casa in caso di vendita volontario sul mercato libero supponendo, tra altri che alla fine dell'affitto l'acquirente abbia il diritto di restare in possesso della casa in virtù della legge del 1954, cioè in quanto inquilino legalmente qualificato e versando un "giusto affitto" che riflette la sua occupazione della casa (paragrafo 16 sopra - articolo 9 della legge del 1967,come modificato dall'articolo 118 della legge del 1974). In principio, questa base di calcolo era più favorevole al proprietario e mirava a garantirgli un prezzo pressappoco uguale al valore commerciale del terreno e della casa, supponendo quella occupata in virtù della legge del 1954; inoltre, gli accorda una parte del "valore di consolidamento."
Tuttavia, in un genere dove un inquilino aveva ottenuto il prolungamento dell'affitto per cinquant' anni poi chiesto il riscatto prima della scadenza iniziale del contratto, il tribunale fondiario (paragrafo 25) ha stimato che il calcolo dell'indennità doveva basarsi sul fatto che l'interessato aveva prolungato il suo affitto (Hickman v. Phillimore Estate, Estates Gazzette, 1985, vol. 274, p. 261). In tali circostanze, il proprietario percepisce dunque molto meno del valore del mercato. All'udienza, il Governo ha riconosciuto che questa decisione aveva rivelato nella legge del 1974 una faglia da colmare con un emendamento legislativo. Quindi, ha informato la Corte che suddetto giudizio era stato colpito di appello.
Delle disposizioni speciali hanno tratto all'estinzione di ogni contratto intermedio quando l'inquilino che occupava la casa e voleva acquistarla non tiene direttamente il suo affitto dal proprietario (allegato 1 della legge del 1967). Non sembrano giocare però un ruolo nella presente causa.
24. In ogni momento fino alla determinazione del prezzo della proprietà, l'inquilino può iniziare un procedimento che tende all'adeguamento del valore imponibile della casa ai fini dell’applicazione della legge, in modo da dedurre il valore dei miglioramenti strutturali portati da sé o dai suoi predecessori (articolo 118 e annesso 8 della legge del 1974). Il tribunale di distretto (County Court) ha competenza per troncare le dispute sul punto di sapere se i miglioramenti ricadono sotto l'influenza del sistema; dall'entrata in vigore della legge del 1980, esiste un diritto di appello all'Alta Corte contro tali decisioni.
25. La legislazione precisa la via da seguire per realizzare le operazioni e regolare i conflitti. L'inquilino desideroso di diventarne acquirente deve avvisare per iscritto il proprietario (articolo 8 della legge del 1967). Le controversie relative al suo diritto di acquistare la proprietà in virtù della legge, ed alle questioni connesse, dipendono dal tribunale di distretto (articolo 20 della legge del 1967). In materia, può condannare agli oneri l'inquilino che non ha assolto o ha tardato indebitamente ad assolvere gli obblighi che derivano dall’avviso di riscatto ( ibidem). A difetto di consenso, la determinazione del prezzo incombe oramai su un tribunale locale di valutazione degli enfiteusi (Leasehold Valuation Tribunal) con possibilità di ricorso al tribunale fondiario (Lands Tribunal) che si riunisce a Londra ed annesso all'Alta Corte (articolo 142 ed annessi 22 della legge del 1980). Prima dell'entrata in vigore della legge del 1980, le dispute concernenti il prezzo erano delle giurisdizione del tribunale fondiario (articolo 21 della legge del 1967). Se un proprietario stima che l'inquilino frena deliberatamente o senza necessità il corso del procedimento di riscatto, può investire il tribunale di valutazione degli enfiteusi (una volta il tribunale fondiario). La regolamentazione prescrive un calendario per le operazioni di acquisto una volta deciso il prezzo (paragrafo 6 della parte I dell'allegato all'ordinamento del 1967 sulla riforma dell'enfiteusi (affrancamento e proroga) S.I. 1967, no 1879).
26. Per la determinazione del prezzo, la casa è valutata al giorno al quale l'inquilino avvisa il proprietario del suo desiderio di acquistare la proprietà (articoli 9 paragrafo 1 e 37 paragrafo 1 d, della legge del 1967) e non alla data della valutazione stessa
D. Operazioni che interessano i richiedenti
27. Tra aprile 1979 e novembre 1983, gli inquilini di 80 proprietà in enfiteusi che appartenenti al campo residenziale di Belgravia (Londra), che la famiglia Westminster ed i suoi trustees hanno pianificato (paragrafo 10 sopra) hanno esercitato il diritto, che conferiva loro la legislazione incriminata, di acquisire i bene-fondi obbligando i richiedenti a cedere loro. Si trattava di 77 enfiteusi a forfait iniziale e di 3 affitti enfiteutici da costruzione (paragrafo 12 sopra). I richiedenti hanno spiegato che conformemente alla pratica in vigore all'epoca nel campo, i versamenti iniziali sono stati calcolati sulla seguente base: innanzitutto, la quota fissata dall'affitto costituiva una percentuale del valore locativo stimato sul mercato dopo il quale il versamento rappresentava il valore capitalizzato della differenza tra gli affitti effettivi e l'affitto stimato sul mercato durante la durata del contratto. La base di calcolo del 1967 è servita per 28 delle proprietà in questione, quella del 1974 per altre 52 (paragrafo 23 sopra).
Secondo i richiedenti, col tempo la legge del 1974 toccherà una proporzione sempre più forte delle proprietà del loro campo. Da novembre 1983 hanno avuto luogo 43 nuovi riscatti, portando a 215 il numero totale delle proprietà del campo acquistate in virtù della riforma legislativa. I richiedenti si aspettano che ce ne siano ancora di 500 a 800 all'avvenire.
28. In ciascuna delle 80 transazioni controverse, il prezzo pagato è stato fissato tramite negoziato. I consiglieri giuridici dei richiedenti avevano indicato loro che non avevano nessuno mezzo di contestare agli inquilini il diritto di ricomprare i bene-fondi e che non potevano sperare di ottenere ragionevolmente dei prezzi migliori rivolgendosi al tribunale fondiario o, per le operazioni più recenti, al tribunale di valutazione degli enfiteusi.
29. I richiedenti hanno attirato l'attenzione sui seguenti aspetti delle operazioni di cui si tratta:
i. in tre casi solamente l'edificio era stato edificato, dall'inquilino acquirente o dai suoi predecessori;
ii. in sei casi solamente, dei membri della famiglia dell'inquilino avevano occupato continuamente la proprietà dalla conclusione dell'affitto iniziale;
iii. la durata dell'occupazione da parte dell'inquilino prima della data del parere di riscatto andava da tre a trentacinque anni; in 34 degli 80 casi, non raggiungeva otto anni;
iv. in ogni caso, l'acquirente aveva diritto al mantenimento nei luoghi alla scadenza del suo affitto, sotto le condizioni previste dalle leggi sugli affitti (paragrafo 16 sopra);
v. l'intervallo tra l’avviso dell'inquilino, data ritenuta per la valutazione del prezzo – (paragrafo 26 sopra) ed il completamento della vendita éa variato di un'a tredici anni, e per 34 delle 80 operazioni ha superato cinque anni;
vi. franche di ipoteca, le proprietà valevano - secondo le stime dei richiedenti - da 44.000 a 225.000 sterline, mentre il prezzo di riscatto pagato dall'inquilino si trovava tra le 2.500 e 111.000 sterline;
vii. per gli inquilini, la frazione dell'affitto non ancora scaduta sarebbe valso fino a 153.750 sterline - non tenuto conto del diritto al riscatto;
viii. in 15 casi, l'inquilino avrebbe venduto l'affitto, dopo il suo parere di riscatto ma prima della realizzazione di questo ultimo (trasmettendo il diritto al riscatto);
ix. in almeno 25 degli 80 casi, l'inquilino non sarebbe rimasto nella proprietà ricomprata da lui, ma l'avrebbe rivenduta nell'anno stesso dell'acquisizione; in 9 di questi casi, non l'avrebbe occupata del tutto dopo il riscatto;
x. gli inquilini avendo rivenduto così la loro proprietà ne avrebbero tolto un profitto compreso tra 32.000 e 182.000 sterline, e superiore a 100.000 in almeno 7 casi; in particolare, un inquilino che si era installato nella casa tre mesi prima della pubblicazione del Libro bianco del 1966 (paragrafo 18 sopra) - ed aveva acquistato l'affitto a basso prezzo, 9.000 sterline, senza prospettiva di riscatto all'epoca - ha potuto acquistare i bene-fondi al 28% del suo valore reale, come stimata dai richiedenti, e rivenderlo dopo meno di un anno più con un beneficio del 636%, o 116.000 sterline.
Le perdite che i richiedenti avrebbero subito per avere dovuto vendere alle condizioni della legge, e non del libero mercato, andrebbero da 1.350 a 148.080 sterline per ogni operazione; totalizzerebbero 1.479.407 sterline per le proprietà valutate secondo la base del 1967 e 1.050.496 per gli altri, valutati secondo la base del 1974.
PROCEDIMENTO DINNANZI ALLA COMMISSIONE
30. I richiedenti hanno investito la Commissione il 23 ottobre 1979, richiesta no 8793/79. Sostenevano che la cessione obbligatoria di dieci dei loro immobili avevano provocato, tramite lei stessa o in ragione del prezzo pagato, una violazione dell'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1, alla Convenzione,). Adducevano inoltre che le condizioni dei trasferimenti di proprietà comprendevano una discriminazione contraria all'articolo 14 (art. 14) della Convenzione e che la mancanza di vie di ricorso contro tali trasferimenti infrangeva l'articolo 13 (art. 13). Per il fatto che hanno chiamato 17 "richieste supplementari", introdotte tra il 17 aprile 1980 ed i 3 gennaio 1984, hanno denunciato 70 altre transazioni.
31. La Commissione ha dichiarato la richiesta ammissibile il 28 gennaio 1983. Nel suo rapporto del 11 maggio 1984 (articolo 31) (art. 31) esprime all'unanimità l'opinione che non ha avuto la violazione di nessuno degli articoli invocati (P1-1, art. 14, art. 13,). Il testo integrale del suo parere figura qui accluso alla presente sentenza.
CONCLUSIONI PRESENTATE ALLA CORTE
32. All'epoca delle udienze pubbliche del 23 e 24 settembre 1985, il Governo ha presentato le seguente conclusioni:
"Avuto riguardo alle tesi esposte per iscritto ed oralmente, così come al rapporto della Commissione, invitiamo la Corte a deliberare a nostro favore ed a respingere le lagnanze dei richiedenti."
33. Dalla loro parte, questi ultimi hanno chiesto alla Corte
"di dichiarare le richieste buone fondate, di constatare che in ciascuno dei casi controversi vi è stata violazione dei diritti invocati [daessi], in particolare del loro diritto di proprietà garantita dall'articolo 1 [del Protocollo no 1] (P1-1), e di accordare perciò ai richiedenti una soddisfazione equa."
IN DIRITTO
I. ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 (P1-1)
34. Secondo i richiedenti, il trasferimento obbligatorio della loro proprietà in virtù della legge di 1967, emendata, sulla riforma dell'enfiteusi ha provocato una violazione dell'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1, alla Convenzione, così formulata,):
"Ogni persona fisica o morale ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà che a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge ed i principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l'uso dei beni conformemente all'interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe."
La legge di cui si tratta
i. avrebbe recato offesa ai contratti che avevano concluso liberamente coi loro inquilini anteriori la sua entrata in vigore;
ii. avrebbe sventato le speranze che li animavano all'epoca della firma di suddetti contratti e sulle quali rimettevano i termini di questi ultimi;
iii. avrebbe costretto i richiedenti a cedere i loro immobili agli individui a profitto di questi;
iv. li avrebbe sempre privati dei loro beni ad un prezzo inferiore, e spesso lontano, dal valore commerciale;
v. avrebbe permesso agli inquilini di rivendere in via amichevole gli immobili, con grossi benefici, dopo avere espresso il desiderio di ricomprarli,;
vi. non avrebbe contemplato, una volta stabilito che si applicava a tale enfiteusi, nessun meccanismo grazie al quale i richiedenti avrebbero potuto contestare sia la validità che la ragione di essere del loro spodestamento, o i principi che devono presiedere al calcolo dell'indennità;
vii. avrebbe introdotto delle distinzioni arbitrarie tra i beni di cui potevano e quelli di cui non potevano essere privarti.
A. Considerazioni generali
35. I richiedenti stimano che siccome si lamentano in sostanza delle incidenze della legislazione sulla proprietà degli immobili determinati che appartenevano loro, ciascuna degli operazioni d ' "affrancamento" richiama un controllo allo sguardo dell'articolo 1 (P1-1).
La Commissione respinge questa tesi nel suo rapporto. Le differenti lagnanze degli interessati trarrebbero la loro origine da cause negoziate tra privati e di cui il Regno Unito risponderebbe solamente a titolo di legislatore. Ci sarebbe luogo probabilmente di avere riguardo delle conseguenze pratiche della legislazione, ma il problema capitale da decidere consisterebbe in sapere se lo stato convenuto ha infranto la Convenzione abilitando gli inquilini a ricomprare gli immobili dei richiedenti sotto le condizioni definite dalla legge; ora, per troncarlo, bisognerebbe verificare la compatibilità di questa con la Convenzione piuttosto che di propendersi separatamente sulle diverse operazioni.
Il Governo adotta lo stesso passo della Commissione.
36. La Corte ha molte volte rilevato che senza dimenticare il contesto generale della controversia, deve per quanto possibile, nella conclusione del genere di una richiesta individuale, limitarsi a studiare il caso concreto di cui si trova investita (vedere, da ultimo, la sentenza Ashingdane del 28 maggio 1985, serie A no 93, p. 25, paragrafo 59).
Nell'occorrenza, però, gli interessati attaccano per l'essenziale le modalità fissate dalla legislazione in causa; non hanno da dire sul modo in cui è stata applicata da un'autorità, amministrativa o giudiziale, dello stato. Gli rimproverano del resto, in particolare, di non lasciare nessuno margine di valutazione e di non suscitare un'esecuzione adattata alle circostanze proprie ad ogni immobile. Al maniera della Commissione, la Corte comincerà con ricercare dunque se la legislazione stessa si concilia con l'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1).
Non l'esaminerà per tanto in abstracto. I diversi riscatti incriminati illustrano le ripercussioni pratiche della riforma dell'enfiteusi e, come tali, entrano in fila di conto per giudicare la sua compatibilità con la Convenzione. A questo riguardo, decide di prendere in considerazione le conseguenze che sono derivate della legge nelle 80 operazioni deferite alla Corte.
Pertanto, per studiare le lagnanze dei richiedenti la Corte seguirà il metodo così esposto.
37. L'articolo 1 (P1-1) garantisce in sostanza il diritto di proprietà (sentenza Marckx del 13 giugno 1979, serie A no 31, p. 27, paragrafo 63). Secondo l'analisi che la Corte ne ha dato nella sua sentenza Sporrong e Lönnroth del 23 settembre 1982, "contiene tre norme distinte": la prima che si esprime nella prima frase del primo capoverso e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda che figura nella seconda frase dello stesso capoverso, mira la privazione di proprietà e la sottopone a certe condizioni; in quanto alla terza, registrata nel secondo capoverso, riconosce agli Stati il potere, tra altri, di regolamentare l'uso dei beni conformemente all'interesse generale (serie A no 52, p. 24, paragrafo 61). La Corte ha aggiunto che deve assicurarsi dell'applicabilità delle due ultime prima di pronunciarsi sull'osservazione della prima (ibidem). Non si tratta per tanto di regole prive di rapporto tra esse. La seconda e la terza hanno tratto agli esempi privati di attentati al diritto di proprietà; quindi, devono interpretarsi alla luce del principio consacrato dalla prima.
B. Seconde frase del primo capoverso ("la regola relativa alla privazione")
1. Applicabilità
38. I richiedenti sono stati "privati di proprietà", al senso della seconda frase dell'articolo 1 (P1-1)) tramite il gioco della legislazione controversa; ciò non ha suscitato discussione dinnanzi alla Corte.
2. "A causa di utilità pubblica": i beneficiari, dei semplici privati
39. Prima affermazione dei richiedenti: il criterio dell’ ' "utilità pubblica", fissato da suddetta frase, si troverebbe rispettato solamente nel caso di un'espropriazione operata nell'interesse generale, a favore dell'insieme della collettività; di conseguenza, il trasferimento della proprietà di un bene di una persona ad un altro per il profitto esclusivo del secondo non potrebbe rispondere mai all’"utilità pubblica". Ora la legislazione incriminata non assolverebbe questa esigenza.
A contrario, Commissione e Governo si accordano a pensare che un trasferimento obbligatorio di proprietà di un individuo ad un altro può, in principio, passare per conforme a l ' "utilità pubblica" se ha luogo nel perseguimento di una politica sociale legittima.
40. La Corte stima, coi richiedenti, che una privazione di proprietà realizzata al solo scopo di concedere un vantaggio ad un individuo non saprebbe ispirarsi a l ' "utilità pubblica." Tuttavia, un trasferimento obbligatorio di proprietà di un individuo ad un altro può, in certe circostanze, rappresentare un mezzo legittimo di servire l'interesse generale. A questo riguardo, non si scopre nella Costituzione, la legislazione e la giurisprudenza degli Stati contraenti, anche là dove i testi in vigore adoperano delle parole come "all'uso del pubblico", nessuno principio comune che autorizza a comprendere la nozione di utilità pubblica come proscrivendo allo stesso modo trasferimento. Si può dire tanto di certi altri paesi democratici; così, richiedenti e Governo hanno citato una sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti dell'America, relativa ad una legge degli stati delle Hawaii che trasferisce obbligatoriamente la proprietà di beni immobiliari agli inquilini per ridurre la concentrazione dei bene-fondi in un piccolo numero di mani ( Hawaii Housing Authority v. Midkiff, Raccolta 1984, vol. 104, pp. 2321 e s.).
41. Non si può dedurre neanche dal'espressione inglese "in the public interest" che il bene in questione debba essere a disposizione del pubblico né che la collettività intera, o anche una larga frazione di questa, debba approfittare direttamente del trasferimento. Si può considerare perfettamente come "in the public interest" una privazione di proprietà operata a titolo di una politica di giustizia sociale. Specialmente, l'equità di un sistema giuridico che regola i diritti contrattuali e reali degli individui riguarda ciascuna persona; pertanto, delle misure legislative che tendono a garantire possono servire "the public interest" anche se implicano un trasferimento obbligatorio di proprietà da un individuo ad un altro.
42. In quanto al testo francese dell'articolo 1 (P1-1), i termini "a causa di utilità pubblica" suscitano certo l'interpretazione stretta invocata dai richiedenti, come risulta dal diritto interno di alcuni - ma no dall'insieme - degli Stati contraenti dove questa espressione o il suo equivalente si incontrano in materia di espropriazione. Ciò non è tuttavia decisivo perché la giurisprudenza della Corte abbia riconosciuto l' "autonomia" di numero di nozioni della Convenzione. Si può assegnare inoltre, anche un senso più ampio, di natura tale da inglobare delle misure di espropriazione stimate nella cornice di una politica di giustizia sociale, all’ "utilità pubblica."
Con la Commissione, la Corte trova che simile interpretazione concilia per il meglio le versioni francesi ed inglesi, avuto riguardo dell'oggetto ed dello scopo dell'articolo 1 (P1-1) (articolo 33 paragrafo 4 della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati e sentenza Sunday Time del 26 aprile 1979, serie A no 30, p. 30, paragrafo 48): proteggere, innanzitutto, contro le privazioni arbitrarie di proprietà.
43. Secondo i richiedenti, un principio generalmente riconosciuto tramite interpretazione dei trattati obbliga a presumere che l'impiego di espressioni diverse nello stesso contesto - "utilità pubblica" nel primo capoverso del paragrafo 1, "interesse generale" nel secondo - riveli l'intenzione di mirare dei concetti dissimili. L'articolo 1 (P1-1) lascerebbe più latitudine agli statisia per regolamentare l'uso dei beni che per privare qualcuno della sua proprietà.
Agli occhi della Corte, anche se esistessero delle differenze, all'articolo 1 (P1-1), tra i nozioni d ' "utilità pubblica" e d ' "interesse generale", sul punto di cui si tratta non si potrebbe stabilire tra esse nessuna distinzione fondamentale come fanno i richiedenti.
44. Secondo questi ultimi, l'articolo 1 (P1-1) autorizza delle misure, per esempio fiscali, destinate a garantire una distribuzione equa delle ricchezze, ma solamente col suo secondo capoverso e non col primo. La Corte non discerne tuttavia il perché l'articolo 1 (P1-1) impedirebbe agli Stati di condurre una tale politica per via di espropriazione.
45. La Corte raggiunge così la Commissione: un trasferimento di proprietà operata nella cornice di una politica legittima - di ordine sociale, economico o altro - può rispondere all’"utilità pubblica" anche se la collettività nel suo insieme non se ne serve o non approfitta lei stessa del bene di cui si tratta. La legge sulla riforma dell'enfiteusi dunque non infrange in sé l'articolo 1 (P1-1) a questo capo. Pertanto, c'è luogo di ricercare se per altri aspetti assolveva la condizione dell’ "utilità pubblica" ed il surplus delle esigenze della seconda frase dell'articolo 1 (P1-1).
3. Sul punto di sapere se la legislazione relativa alla riforma dell'enfiteusi assolveva la condizione della "utilità pubblica" ed il surplus delle esigenze della seconda frase dell'articolo 1 (P1-1)
a) Margine di valutazione
46. Grazie ad una cognizione diretta della loro società e dei suoi bisogni, le autorità nazionali si trovano in principio meglio collocate rispetto al giudice internazionale per determinare ciò che è "di utilità pubblica." Nel sistema di protezione creato dalla Convenzione, tocca loro di conseguenza di pronunciarsi per primi tanto sull'esistenza di un problema di interesse pubblico che giustifica delle privazioni di proprietà che sulle misure da prendere per deciderlo (vedere, mutatis mutandis, la sentenza Handyside del 7 dicembre 1976, serie A no 24, p. 22, paragrafo 48). Quindi, godono qui di un certo margine di valutazione, come in altri campi ai quali si estendono le garanzie della Convenzione.
In più, la nozione d ' "utilità pubblica" è ampia per natura. La decisione di adottare delle leggi che portano privazione di proprietà implica in particolare, di solito, così come lo rileva la Commissione, l'esame di questioni politiche, economiche e sociali sulle quali delle profonde divergenze di opinioni possono ragionevolmente regnare in un Stato democratico. Stimando normale che il legislatore disponga di una grande latitudine per condurre una politica economica e sociale, la Corte rispetta il modo in cui concepisce gli imperativi della "utilità pubblica" salvo si il suo giudizio si riveli manifestamente privo di base ragionevole. In altri termini, non potrebbe sostituire la sua propria valutazione a quella delle autorità nazionali, ma deve controllare allo sguardo dell'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1) le misure controverse e, a questo fine, studiare i fatti alla luce dei quali suddette autorità hanno agito.
b) sul punto di sapere se la legislazione incriminata mirava un scopo legittimo, in principio e nello specifico
47. Così come precisa il Libro bianco del 1966, la legge del 1967 mirava a correggere l'ingiustizia che gli inquilini occupanti subivano, si pensava, per il gioco del sistema dell'enfiteusi (paragrafo 18 sopra). Tendeva a riformare la legislazione in vigore, rinomata come iniquo verso essi, ed a concretizzare ciò che si chiamava il loro "titolo morale" sulla proprietà della loro casa (ibidem).
Eliminare ciò che si percepisce come ingiustizie sociali figura tra i compiti di un legislatore democratico. Ora le società moderne considerano l'alloggio come un bisogno primordiale di cui non si potrebbe abbandonare interamente la soddisfazione alle forze del mercato. Il margine di valutazione va abbastanza lontano per inglobare una legislazione destinata a garantire in materia più di giustizia sociale, anche quando simile legislazione si immischia nelle relazioni contrattuali tra individui e non conferisce nessuno vantaggio diretto agli stati né alla collettività nel suo insieme. Lo scopo che inseguiva la legge del 1967 è dunque legittimo in principio.
48. Secondo i richiedenti, non mirava al bene pubblico ma in realtà si ispirava puramente a considerazioni politiche, in quanto misura elettorale del governo laburista al potere.
La Corte constata tuttavia che la riforma dell'enfiteusi in Inghilterra ed nel Galles costituiva un argomento di preoccupazione pubblica da quasi un secolo e che all'epoca della promulgazione della legge di 1967, li partiti più importanti, accettavano tutto il principio del riscatto pure divergendo sulle sue modalità di collocamento in opera (paragrafi 15 a 19 sopra). I richiedenti non contestano che le critiche formulate oggi da essi contro le regole di fondo della legislazione non siano state espresse allora e che il Parlamento non ne abbia dibattuto pienamente prima di allontanarle (paragrafo 19 sopra). Del parere della Corte, le considerazioni politiche che hanno potuto influire sul procedimento legislativo - una legislazione economica e sociale riflette necessariamente, ad un grado più o meno alto, degli atteggiamenti politici - non tolgono all'obiettivo della legge del 1967 il suo carattere legittimo "di utilità pubblica."
Un ragionamento analogo vale per un'altra tesi dei richiedenti, assegnando al semplice opportunismo politico l'emendamento del 1974 con il quale il governo conservatore ha, per la prima volta, fatto ricadere sotto l'influenza della legislazione una debole percentuale di case più facoltose, (paragrafi 19 in fini e 21 b, sopra).
49. I richiedenti negano inoltre l'esistenza di ogni problema che richiama una regolamentazione. Credendo loro, il sistema dell'enfiteusi, almeno nel caso degli affitti a versamento iniziale (paragrafo 12 sopra) non aveva in realtà niente di iniquo ed non si potrebbe riconoscere all'acquirente nessun "titolo morale" sulla proprietà dell'immobile per il solo fatto che occupava una casa costruita, riparata o migliorata dai suoi predecessori conformemente ai termini del contratto.
La Corte ha competenza per studiare i dati di fatto invocati dal Governo (paragrafo 46 sopra) ma il suo controllo si limita a ricercare se il modo in cui il legislatore ha preso in conto le circostanze economiche e sociali pertinenti restava nei limiti del margine di valutazione degli stati (ibidem). Il Governo concede che le convinzioni sottostanti alla legge del 1967 non raccoglievano per niente un'adesione generale, e ciò risulta dal Libro bianco del 1962 (paragrafo 17 sopra). Così come la Commissione rileva nel suo rapporto, la giustizia o ingiustizia del sistema dell'enfiteusi ed i "titoli morali" rispettivi degli inquilini e dei locatori possono suscitare manifestamente delle divergenze legittime di punti di vista. Non si potrebbe considerare l'opinione dei richiedenti come priva di fondamento, ma esistono abbastanza elementi per supportare la concezione opposta. In un affitto da costruzione il primo acquirente avrà edificato la casa, in un affitto a versamento iniziale avrà pagato di solito un capitale calcolato in funzione del costo della costruzione e nei due casi il carico di tutti i risarcimenti sarà pesato su di lui e su i suoi successori (paragrafo 12 sopra). Pertanto, l'enfiteuta ed i suoi precursori avranno, col passare degli anni, investito delle somme considerevoli in un immobile che è il loro focolare; il proprietario, dopo avere accordato l'affitto originale non avrà contribuito in generale alla manutenzione dei luoghi.
Egli decide dunque di aderire alla conclusione della Commissione: non si potrebbe ritenere per manifestamente irragionevole l'opinione del Parlamento britannico secondo la quale c'era là un'ingiustizia sociale.
c) Mezzi scelti per raggiungere lo scopo perseguito
50. Il problema non è troncato per tanto. Non basta che una misura privativa di proprietà persegua, nello specifico come in principio, un obiettivo legittimo "di utilità pubblica"; deve esistere anche un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo mirato( vedere in particolare, mutatis mutandis, la sentenza Ashingdane precitata serie A no 93, pp. 24-25, paragrafo 57). La sentenza Sporrong e Lönnroth ha espresso la stessa idea in termini differenti: parla del "giusto equilibrio" da predisporre tra le esigenze dell'interesse generale e gli imperativi dei diritti fondamentali dell'individuo (serie A no 52, p. 26, paragrafo 69) equilibrio rotto se la persona riguardata ha dovuto subire "un carico speciale ed esorbitante" (ibidem, p. 28, paragrafo 73). La Corte si pronunciava nel contesto del principio del rispetto della proprietà, proclamata dalla prima frase del primo capoverso, ma ha sottolineato che "la preoccupazione di garantire un tale equilibrio si riflette anche nella struttura dell'articolo 1( P1-1") tutto intero (ibidem, p. 26, paragrafo 69).
Secondo i richiedenti, la legislazione sulla riforma dell'enfiteusi non assolve queste condizioni: supponendo che ci sia ingiustizia sociale, il legislatore avrebbe applicato dei rimedi così poco appropriati e così esorbitanti che la sua decisione supererebbe il margine di valutazione.
La Corte considera che una misura deve essere al tempo stesso idonea alla realizzazione del suo scopo e non sproporzionata con essa. Ricercherà dunque, esaminando i diversi argomenti dei richiedenti, se è stato così nell'occorrenza.
i. Il principio del riscatto
51. Secondo i richiedenti, il diritto al mantenimento nei luoghi, accordato agli inquilini con la legislazione in vigore (paragrafo 11 sopra) costituiva già una risposta adeguata; il metodo - una privazione di proprietà - adottata per dare effetto al preteso "titolo morale" avrebbe superato i limiti col suo carattere draconiano. Questa opinione si troverebbe corroborata dalla mancanza, nell'ordine giuridico interno in generale degli altri Stati contraenti e dei paesi democratici, di un vero equivalente della legge del 1967. Il correttivo estremo dell'espropriazione non potrebbe conciliarsi con l'articolo 1 (P1-1) che in mancanza di un modo meno radicale di correzione.
Uguale tesi deve estrarre dal testo un criterio di rigorosa necessità, interpretazione che la Corte non giudica fondata. In se stessa, l'esistenza di soluzioni di ricambio non rendono ingiustificata la legislazione controversa; rappresentano un fattore, tra altri, che aiuta a determinare se i mezzi adoperati possono passare per ragionevoli ed atti alla realizzazione dello scopo legittimo perseguito, avuto riguardo del "giusto equilibrio" da preservare. Finché il legislatore rimane in questi limiti, la Corte non deve dire se ha scelto la migliore modo di trattare il problema o se avrebbe dovuto esercitare differentemente il suo potere di valutazione (vedere, mutatis mutandis, la sentenza Klass ed altri del 6 settembre 1978, serie a no 28, p. 23, paragrafo 49).
Il Parlamento ha stimato in equità che l'inquilino occupante aveva un "titolo morale" sulla proprietà della casa e del quale la legislazione in vigore all'epoca non teneva abbastanza conto (vedere sopra i brani del Libro bianco di 1966 citati al paragrafo 18). Non ha voluto limitarsi a regolare su delle basi più eque le relazioni tra locatore ed acquirenti: ha inteso cancellare un'ingiustizia che toccava la questione stessa della proprietà. Permettere all'inquilino di acquistare obbligatoriamente la proprietà della casa e del terreno, indennizzando il locatore, non potrebbe in sé essere considerato come un modo inadeguato o sproporzionato di riplasmare il diritto positivo per soddisfare a questa preoccupazione.
ii. Limiti del valore locativo imponibile
52. In quanto alle condizioni di riscatto, i richiedenti affermano che la legislazione introduce un elemento di arbitrarietà e contraddice i suoi propri principi restringendo la sua applicabilità agli immobili di un valore imponibile inferiore ad un certo livello (paragrafo 21 b, sopra): il "titolo morale" dell'acquirente non potrebbe dipendere da questo valore.
La Corte rileva che dopo le stime non contestate dal Governo, tutte le case affittate ad affitto enfiteutico in Inghilterra e nel Galles, a quasi l’uno o il due per cento, ricadevano sotto l'influenza della legge del 1967 (paragrafo 19 sopra). Non si potrebbe respingere come irragionevoli le spiegazioni fornite a nome del governo, durante la discussione del progetto, per fissare dei massimali di valore locativo (ibidem). Sebbene l'argomento derivato del "titolo morale" possa logicamente giocare in ogni caso, non si potrebbe accusare in particolare il Parlamento di avere agito in dispetto del buonsenso impiegando l’espediente di restringere l'esercizio del diritto di riscatto creato dalla legge del 1967 alle case del minimo prezzo, per ovviare alle situazioni più faticose ai suoi occhi. La Corte non trova in più che l'emendamento del 1974 che estendeva questo diritto agli immobili più facoltosi (paragrafi 19 in fine e 21 b, sopra), abbia superato il margine di valutazione degli stati.
iii. Indennizzo
53. I richiedenti denunciano per di più le modalità di indennizzo previste dalla legislazione incriminata.
a) ', Diritto ad indennità
54. La prima questione consiste in sapere se l'esistenza e l'importo di un risarcimento entrano in fila di conto allo sguardo della seconda frase dell'articolo 1 (P1-1), silenziosi in materia. Secondo la Commissione con la quale Governo e richiedente segnano il loro accordo, l'articolo 1 (P1-1) esige implicitamente, in linea di massima, il versamento di un compenso per espropriare chiunque dipenda dalla giurisdizione di uno Stato contraente.
La Corte constata con la Commissione che, nei sistemi giuridici rispettivi degli Stati contraenti, una privazione di proprietà a causa di utilità pubblica non si giustifica senza il pagamento di un'indennità, sotto riserva di circostanze eccezionali estranee alla presente controversia. Dalla sua parte, nella mancanza di un principio analogo l'articolo 1 (P1-1) garantirebbe solamente una protezione largamente illusoria ed inefficace del diritto di proprietà. Per valutare se la legislazione contestata predispone un giusto equilibrio tra i diversi interessi in causa e, tra altri, se non impone ai richiedenti un carico smisurato (sentenza Sporrong e Lönnroth precitata, serie A no 52, pp. 26 e 28, paragrafi 69 e 73) occorre all'evidenza avere riguardo alle condizioni di risarcimento.
In quanto al livello dell'indennizzo, la Corte si dispone anche al parere della Commissione: senza il versamento di una somma ragionevolmente in rapporto col valore del bene, una privazione di proprietà costituirebbe di solito un attentato eccessivo che non potrebbe giustificarsi sul terreno dell'articolo 1 (P1-1). Questo ultimo non garantisce tuttavia in ogni caso il diritto ad un compenso integrale. Alcuni obiettivi legittimi "di utilità pubblica", come perseguiti dalle misure di riforma economica o di giustizia sociale, possono militare per un rimborso inferiore al pieno valore commerciale. Inoltre, il controllo della Corte si limita a ricercare se le modalità scelte superano il larghe margino di valutazione di cui gli stati godono in materia (paragrafo 46 sopra).
b) ', Le lagnanze concrete dei richiedenti
55. Per ciò che riguarda l'indennizzo, i richiedenti formulano due lagnanze distinte. Innanzitutto, la base di calcolo del 1967 non corrisponderebbe al pieno valore commerciale degli immobili ricomprati (paragrafo 23 a, sopra). Poi, nel sistema del 1967 come in quello del 1974 il bene è valutato al giorno in cui l'acquirente ha espresso il desiderio di acquistarlo (paragrafo 26 sopra); ora il termine che trascorre tra questa data e gli ordinamenti, una volta compiuta l'operazione, lederebbe il locatore.
56. Per ciò che riguarda la prima lagnanza, la base di calcolo del 1967 avvantaggia manifestamente e di proposito l'acquirente che rimborsa pressappoco il valore del terreno ma niente per l'edificio. Riflette l'idea sottostante all'insieme della legislazione controversa: "in equità i muri spettano all'enfiteuta qualificato", in ragione del denaro che questo, o il suo predecessore, ha speso all'origine in capitale, ha investito poi col passare degli anni per riparare, ristrutturare ed abbellire la casa (vedere sopra i passaggi del Libro bianco del 1966 citati al paragrafo 18). In pratica, l'acquirente ed i suoi predecessori sono supposti avere pagato già per questa ultima. Il Parlamento, la Corte lo ripete, era in diritto di analizzare cose del tipo e di agire perciò a nome dell'utilità pubblica (paragrafo 49 sopra). Corollario della concezione adottata da lui: "in equità", l'acquirente non deve pagare che quello che non ha versato ancora, ossia il valore del suolo. Sebbene lascia da parte il "valore di consolidamento" (paragrafi 13 e 23 a, sopra), la base di calcolo del 1967 indennizza il proprietario dell'investimento che per lui rappresenta il terreno. La legislazione di riforma dell'enfiteusi mira ad impedirgli di realizzare un arricchimento considerato come ingiusto nel momento in cui ritornerà in possesso del suo bene. Alla luce di questo obiettivo, giudicato legittimo dalla Corte sotto l'angolo dell'articolo 1 (P1-1), ed avuto riguardo al largo margine di valutazione dello stato convenuto, suddetta base di calcolo non appare incapace di garantire un giusto equilibro tra gli interessi dell'individui in causa e, allo stesso tempo, tra gli interessi generali della società ed il diritto di proprietà del locatore.
57. In quanto alla seconda lagnanza, capita che certi lassi di tempo, talvolta lunghi, trascorrono tra le date di valutazione e l'ordinamento del prezzo; le circostanze della causa lo provano (paragrafo 29 v. sopra). Dall’ altro lato, il proprietario ha la facoltà di investire il tribunale competente se le operazioni di riscatto gli sembrano deliberatamente rallentate o senza necessità (paragrafo 25 sopra). Se decide di non avvalersi di questo ricorso e, pertanto, lascia l'acquirente frenare la marcia dei negoziati, non si potrebbe vedere un vizio del sistema. Inoltre, esistono dei testi che tendono ad evitare e sanzionare i ritardi (ibidem). La Corte ammette quindi che il procedimento di indennizzo fissato dalla legislazione incriminata non conduce necessariamente a termini abbastanza importanti per provocare una violazione dell'articolo 1 (P1-1).
c) "Principi generali del diritto internazionale"
58. A titolo sussidiario, i richiedenti sostengono che rinviando ai "principi generali del diritto internazionale", la seconda frase dell'articolo 1 (P1-1) estende ai nazionali l'esigenza - derivante secondo essi da diritto internazionale - di un indennizzo pronto, adeguato ed effettivo degli stranieri privati della loro proprietà.
59. La Commissione ha stimato costantemente che suddetti principi non valgono per l'espropriazione, da parte di uno Stato, dei suoi cittadini. Il Governo sottoscrive questa opinione. La Corte si schiera dalla sua parte per i seguenti motivi.
60. In primo luogo, secondo il diritto internazionale generale stesso, i principi di cui si tratta si applicano ai soli esteri. Sono stati concepiti specificamente per questi ultimi. In quanto tale, non regolavano il modo di cui ogni Stato tratta i suoi connazionali.
61. A sostegno della loro tesi, i richiedenti invocano di prima la formula dell'articolo 1 (P1-1). La seconda frase che comincia dal pronome "Nullo", sembra loro impossibile di comprenderla come se significasse che se ciascuno ha bene dritto alle garanzie che derivano delle espressioni "a causa di utilità pubblica" e "nelle condizioni previste dalla legge", quelle che risultano dalle parole "nelle condizioni contemplate dai principi generali del diritto internazionale" riguardano, esclusivamente gli stranieri. Sottolineano inoltre che là dove gli autori della Convenzione hanno voluto distinguere tra nazionali e non-nazionali, non hanno mancato di precisarlo, per esempio all'articolo 16 (art. 16).
Argomentazione non privata di forza dal punto di vista grammaticale; delle ragioni convincenti sono tuttavia in favore di una lettura differente. La Corte stima più naturale di dedurre del testo che col rinvio ai principi generali del diritto internazionale questi si trovano incorporati all'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1), ma unicamente per gli atti che ricadono normalmente sotto il loro impero, ossia quelli di un Stato al riguardo di uno straniero. Inoltre, bisogna assegnare ai termini di un trattato il loro senso ordinario (articolo 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati); ora interpretare la porzione di frase sotto esame come estendente i principi generali del diritto internazionale al di là dei limiti del loro campo normale quadra meno col senso ordinario delle parole impiegate, nonostante il loro contesto.
62. I richiedenti affermano per di più che se si seguisse la Commissione, l'articolo 1 (P1-1) enuncerebbe qualche cosa di superfluo menzionando suddetti principi perché gli stranieri godono già della protezione di questi ultimi.
La Corte non giudica così. Il riferimento in questione può passare per offrire, almeno, una doppia utilità. Innanzitutto, permette ai non-nazionale di utilizzare direttamente il meccanismo della Convenzione per invocare i loro diritti sulla base dei principi pertinenti del diritto internazionale, altrimenti occorrerebbe loro provare ad ottenere il ricorso per via diplomatica o per altri modi d’ordinamento disponibili. Secondariamente, preserva la loro situazione impedendo di pretendere che l'entrata in vigore del Protocollo no 1 (P1) ha avuto per effetto di restringere i loro diritti. A questo proposito, decide anche di notare che l'articolo 1 (P1-1) richiede espressamente una privazione di libertà operata "a causa di utilità pubblica"; figurando simile esigenza tra i principi generali del diritto internazionale da sempre, la sua inserzione sarebbe essa stessa stata superflua se l'articolo 1 (P1-1) fosse arrivato a renderli applicabili ai nazionali come agli stranieri.
63. I richiedenti sottolineano infine che se si fosse ritenuta l'espropriazione dei nazionale per non soggetta al rispetto di suddetti principi, si sarebbe aperta la porta alle distinzioni fondate sulla nazionalità. Secondo essi, ciò cozzerebbe contro due clausole integrate al Protocollo no 1 in virtù del suo articolo 5 (P1-5): l'articolo 1 (art. 1) della Convenzione che obbliga gli Stati contraenti a riconoscere a chiunque dipenda dalla loro giurisdizione i diritti e libertà garantite, e l'articolo 14 (art. 14 ) che consacrano il principio di non discriminazione.
Per ciò che riguarda l'articolo 1 (art. 1) della Convenzione, è vero che la maggior parte delle disposizioni di questo e dei suoi Protocolli accordano la stessa protezione ai nazionale ed agli stranieri, ma ciò non esclude che le eccezioni possano liberarsi di un dato testo (vedere, per esempio, gli articoli 4 paragrafo 3 b, 5 paragrafo 1 f, e 16 della Convenzione così come gli articoli 3 e 4 del Protocollo no 4, (art. 4-3-b, art. 5-1-f, art. 16, P4-3, P4-4).
In quanto all'articolo 14 (art. 14) secondo la giurisprudenza costante della Corte le differenze di trattamento non rivestono un carattere discriminatorio se hanno una "giustificazione obiettiva e ragionevole" (vedere, da ultimo, la sentenza Abdulaziz, Cabale e Balkandali del 28 maggio 1985, serie A no 94, pp. 35-36, paragrafo 72).
Ora nel caso di una privazione di proprietà realizzata a titolo di una riforma sociale, possono esistere dei buoni motivi di distinguere, in materia di indennizzo, tra cittadini e non-cittadini. Questi sono più vulnerabili rispetto alla legislazione interna di quelli: contrariamente ad essi, non sostengono di solito nessun ruolo nell'elezione o la designazione dei suoi autori e non sono consultati prima della loro adozione. Inoltre, se un'espropriazione deve sempre rispondere all'utilità pubblica dei fattori dissimili possono valere per i nazionali e per gli stranieri; può avere una ragione legittima di chiedere ai primi di sopportare, nell'interesse generale, un sacrificio più pesante che i secondi.
64. A fronte di un testo la cui l'analisi ha suscitato così grandi controversie, la Corte stima adeguato ricorrere ai lavori preparatori come mezzo complementare di interpretazione (articolo 32 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati).
L'esame di questi ultimi rivela che la menzione di un diritto ad un’ indennità figurava in certe versioni anteriori dell'articolo 1 (P1-1) ma che l'opposizione, del Regno Unito e di altri Stati ne provocò in particolare, l'abbandono. Si introdusse poi un rinvio ai principi generali del diritto internazionale; parecchie delegazioni precisarono che proteggevano i soli stranieri. Così, quando il governo tedesco dichiarò potere accettare il testo se si ammetteva in termini espressi che questi principi comprendevano l'obbligo di versare un'indennità in caso di espropriazione, la Svezia sottolineò che si applicavano unicamente alle relazioni tra uno Stato ed i non-cittadini. Alla domanda delle delegazioni tedesche e belghe, si riconobbe allora che"i principi generali del diritto internazionale, come sono intesi attualmente, comprendono l'obbligo di versare ai non-nazionali un'indennità in caso di espropriazione", sottolineata dalla Corte.
Soprattutto, con la sua risoluzione (52) 1 del 19 marzo 1952, approvando il testo del Protocollo (P1) ed aprendola alla firma, il Comitato dei Ministri ha specificato, "per ciò che riguarda l'articolo 1 (P1-1), che i principi generali del diritto internazionale, nella loro accezione reale, comprendono l'obbligo di versare ai non-nazionali un'indennità in caso di espropriazione", sottolineata dalla Corte. Avuto riguardo alla cronostoria dei negoziati nel suo insieme, questa risoluzione dà nettamente a pensare che il riferimento ai principi generali del diritto internazionale non era destinato ad inglobare i nazionali.
I lavori preparatori non supportano dunque l'interpretazione difesa dai richiedenti.
65. Infine, niente mostra che dall'entrata in vigore del Protocollo no 1 (P1), la pratica delle Parti contraenti si sia evoluta al punto di autorizzare a dire che ai loro occhi i principi in questione regolano anche il modo in cui trattano i loro propri cittadini. Gli elementi forniti alla Corte vanno chiaramente nel senso opposto.
66. Per queste diverse ragioni, la Corte conclude che i principi generali del diritto internazionale non si applicano all'espropriazione di un nazionale da parte del suo stato.
d ) "Condizioni previste dalla legge",
67. In ordine più sussidiario, i richiedenti sostengono che una privazione di proprietà senza indennità, o senza giusta indennità, non assolve le condizioni previste dalla legge" come ordina l'articolo 1 (P1-1); secondo essi questa porzione di frase designa, in aggiunta al diritto interno, i principi fondamentali di diritto comune a tutti gli Stati contraenti. Ora un'espropriazione sarebbe arbitraria, dunque non conforme alle "condizioni previste dalla legge", se, come nello specifico, non esistesse un rapporto ragionevole tra gli importi del compenso versato ed il valore del bene in questione.
Secondo la giurisprudenza costante della Corte, al senso della Convenzione la parole "legge" (law) e "regolare" (lawful) "non si limitano a non rinviare al diritto interno, ma riguardano anche la qualità del ‘legge '; la vogliono compatibile con la preminenza del diritto" (vedere, da ultimo, la sentenza Malone del 2 agosto 1984, serie A no 82, p. 32, paragrafo 67). Nell'occorrenza tuttavia, e per i motivi dati sopra ai paragrafi 56 e 57, non c'è ragione di constatare che il riscatto degli immobili dei richiedenti si trovava inficiato di arbitrarietà a causa delle modalità di indennizzo definita dalla legislazione di riforma dell'enfiteusi. In quanto alle altre esigenze che possono comprendere "le condizioni previste dalla legge", la Corte le stima rispettate a capo dei richiedenti (vedere i paragrafi 141-143 del rapporto della Commissione e, mutatis mutandis, la sentenza Malone precitata, pp. 32-33, paragrafi 66-68, coi riferimenti).
iv. Difetto di esame, da parte di un organo indipendente, del carattere ragionevole di ogni riscatto considerato
68. I richiedenti rimproverano alla legislazione controversa di giocare in modo cieco una volta stabilito che tale enfiteusi ricade sotto il suo impero, mancando di predisporre un meccanismo che permette al proprietario di chiedere l'esame, da parte di un organo indipendente, o della giustificazione intrinseca del riscatto, o dei principi che devono presiedere al calcolo dell'indennità. Rilevano delle differenze manifeste tra gli inquilini delle case modeste del sud del Galles e quelli, più agiati, della loro tenuta di Belgravia che non potrebbero nell'insieme passare per bisognosi o degni di protezione. Secondo essi, per non ledere né i locatori né gli acquirenti si sarebbe dovuto offrire un controllo giudiziale delle circostanze e del carattere ragionevole di ogni riscatto considerato.
Pari sistema poteva concepirsi, e del resto una proposta che tende ad istituirne uno fu presentata durante i dibattimenti relativi al progetto di legge (paragrafo 19 sopra). Il Parlamento preferì creare tuttavia all'interno delle categorie ampie e generali dalle quali sarebbe nato il diritto al riscatto. Volle così, secondo il Governo, evitare le incertezze, le controversie, gli oneri ed i ritardi che avrebbe fatalmente provocato, per gli inquilini come per i proprietari, lo studio individuale di migliaia e migliaia di casi. In materia di privazione di proprietà, una legislazione di grande portata, in particolare se esegue un programma di riforma economica e sociale, non può arrivare ad una giustizia integrale di fronte alla varietà delle situazioni nelle quali si trovano le numerose persone riguardate.
Spetta da prima al Parlamento di soppesare i vantaggi e gli svantaggi inerenti alle diverse soluzioni tra le quali scegliere (paragrafo 46 sopra). Siccome si stimava che la legislazione sarebbe stata valida probabilmente per il 98 o 99% degli immobili, per un numero pari al quarto di milione, affittati ad affitto enfiteutico in Inghilterra e nel Galles (paragrafo 19 in fine sopra) il sistema adottato dalle Camere non potrebbe in sé essere considerato irrazionale o di inadeguato.
v. Le diverse transazioni
69. I richiedenti adducono infine che anche se il principio del riscatto poteva rispondere all' "utilità pubblica", le 80 operazioni incriminate (paragrafo 27) non si giustificavano nell'occorrenza. Segnalano gli elementi enumerati sopra al paragrafo 29, per mostrare che gli inquilini delle 80 case di Belgravia in questione non somigliavano alle persone, degni di protezione che dopo il Libro bianco del 1966 la legislazione doveva favorire (paragrafo 18 sopra). Nonostante la sua eventuale compatibilità generale con l'articolo 1 (P1-1), la legislazione di riforma dell'enfiteusi infrangerebbe, con le sue modalità di applicazione nello specifico, il principio di proporzionalità perché le sue ripercussioni supererebbero di molto le esigenze del suo scopo ufficiale. All'appoggio della loro tesi, i richiedenti menzionano una delle loro vecchie proprietà di cui l'inquilino che aveva acquisito l'affitto a basso prezzo quasi al suo termine, prima della promulgazione della legge del 1967, ha realizzato un guadagno sostanziale, interamente "immeritato", rivendendo l'immobile dopo averlo ricomprato (paragrafo 29 x. Sopra).
Considerata dalla Corte come dipendente dal margine di valutazione degli stati (paragrafo 49 sopra) l'opinione del Parlamento in quanto al "titolo morale" dell'acquirente sulla proprietà della casa vale anche per gli immobili dei richiedenti a Belgravia. La legislazione che la riflette implica necessariamente che se un acquirente rivende, franca di ipoteche, la proprietà - casa e terreno – dopo averla ricomprata, non mancherà di ricavarne un profitto apparente perché il costo del riscatto, almeno secondo la base di calcolo del 1967, non inglobava la casa e l'inquilino ha beneficiato del "valore di consolidamento" (paragrafi 13 e 23 sopra). L'ampiezza della ridistribuzione di interessi che risultano dalla riforma va di pari in passo inoltre, inevitabilmente con alcune anomalie, per esempio delle "fortune" che toccano agli inquilini che hanno acquisito, al giusto momento, degli affitti sul punto di scadere. Il Parlamento ha deciso di privare i proprietari mirati dalla legislazione dell'arricchimento, giudicato ingiusto che a difetto sarebbe stato loro quando avrebbero ricuperato il possesso dei loro immobili, a rischio di procurare delle "fortune" a certi inquilini "non meritati." Si trattava là di una scelta politica; la Corte non può trovarla irragionevole al punto che deriva dal margine di valutazione degli stati. Alla luce, in particolare, delle 80 transazioni concernenti i richiedenti, il modo in cui la legislazione ha giocato in pratica non mostra più anomalie abbastanza gravi per rendere questa ultima inaccettabile allo sguardo dell'articolo 1 (P1-1). In più, in ciascuna delle 80 operazioni denunciate, anche quelle che sono valse agli acquirenti delle "fortune" in occasione delle rivendite, i richiedenti hanno toccato l'indennità prescritta in equità per ciò che il Parlamento considerava come il loro diritto di proprietari (paragrafo 28 sopra). Non sono loro che hanno subito il danno che può derivare da simile "fortuna" - non ha avuto incidenza né sulla loro perdita né sul loro risarcimento -, ma il predecessore o i predecessori a titolo dell'inquilino avendo proceduto al riscatto.
Le diverse operazioni incriminate sono restate nella cornice, che la Corte ha giudicato compatibile con la seconda frase dell'articolo 1 (P1-1), della legislazione. Non hanno condotto ad imporre un carico eccessivo che si aggiunge allo svantaggio che implica di solito, per i locatori, l'applicazione delle leggi di 1967 e 1974 ai richiedenti. Non c'è stata dunque rottura dell'equilibrio voluto dall'articolo 1 (P1-1).
4. Ricapitolazione
70. In riassunto, ciascuna delle esigenze della seconda frase dell'articolo 1 (P1-1) si trovano dunque assolta per le privazioni di proprietà controverse.
C. Prima frase del primo capoverso ("il principio del rispetto dei beni")
71. In più o a difetto, i richiedenti denunciano l'incomprensione dei diritti che garantisce loro la prima fase dello stesso articolo (P1-1), relativa al rispetto dei beni.
La seconda che subordina le privazioni di proprietà a certe condizioni, ha tratto ad un tipo determinato di attentati - più radicali - al diritto di ciascuno al rispetto dei suoi beni (paragrafo 37 in fine sopra); completa e delimita il principio generale proclamato nella prima. Quindi, l'applicazione di suddetto principio nello specifico non potrebbe condurre la Corte ad una conclusione differente da quella alla quale è arrivata già sul terreno della seconda frase.
D. Conclusione
72. Non vi è stata infrazione all'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1) né in ragione delle disposizioni della legge di 1967, emendata, sulla riforma dell'enfiteusi, né a causa delle circostanze nelle quali hanno avuto luogo il riscatto degli immobili dei richiedenti.
II. ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE COMBINATO CON L'ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 (ART. 14+P1-1).
73. I richiedenti si definiscono vittime di discriminazioni nel godimento del loro diritto di proprietà, protetto dall'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1). Invocano l'articolo 14 (art. 14) della Convenzione, così formulata,:
"Il godimento dei diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza nessuna distinzione, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche od ogni altra opinione, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita o ogni altra situazione."
La riforma dell'enfiteusi avrebbe introdotto delle discriminazioni fondate sul "patrimonio" ("property" nel testo inglese): si tratterebbe di una misura di ridistribuzione che colpisce solamente una categoria ristretta di immobili, ossia le case affittate ad affitto enfiteutico ed occupate dagli acquirenti; inoltre, il proprietario si vedrebbe più svantaggiato in quanto la sua proprietà ha meno di valore.
A. Applicabilità
74. Secondo il Governo, la legislazione contestata non stabilisce nessuna distinzione sulla base del "patrimonio", al senso dell'articolo 14 (art. 14): né in lei stessa né nella sua applicazione non si fonderebbe sul criterio della ricchezza.
L'elenco dei capi di discriminazione proibita dall'articolo 14 (art. 14) non riveste un carattere esauriente (vedere, da ultimo, la sentenza Rasmussen del 28 novembre 1984, serie A no 87, p. 13, paragrafo 34 in fine). Ora asserisce che le leggi controverse instaurano delle differenze di trattamento tra diversi gruppi di proprietari nel godimento del diritto garantito dall'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1). Agli occhi della Corte, i motivi da cui procedono queste differenze entrano in fila di conto alla fine dell'articolo 14 (art. 14) della Convenzione che gioca dunque nello specifico.
B. Osservazione
75. Sotto l'angolo dell'articolo 14 (art. 14) una distinzione è discriminatoria se manca di giustificazione obiettiva e ragionevole, cioè se non insegue un scopo legittimo o nella mancanza di un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo mirato (vedere, da ultimo, la sentenza Abdulaziz, Cabale e Balkandali precitata, serie A no 94, pp. 35-36, paragrafo 72). In quanto ai mezzi per garantire il rispetto del diritto di proprietà, gli Stati contraenti godono di una certa latitudine per valutare se e fino a che punto delle differenze autorizzano delle dissomiglianze tra le situazioni ad altri riguardi analoghi di trattamento giuridico (ibidem).
76. Per ciò che riguarda la prima lagnanza dei richiedenti, la legislazione attaccata, destinata a correggere uno squilibrio nelle relazioni tra locatori enfiteutici ed acquirenti occupanti, doveva toccare inevitabilmente questa categoria ristretta di locatori e non tutti i proprietari o altri proprietari. Persegue così, la Corte ha rilevato, un scopo legittimo di utilità pubblica (paragrafi 47-49 sopra). Secondo i richiedenti, ciò non basta tuttavia a giustificare la distinzione perché le leggi in causa non tengono nessuno conto della situazione personale, ed in particolare delle risorse e bisogni rispettivi, delle parti nel contratto. Sebbene presentata sotto una luce differente, uguale tesi coincide con una lamentela già espressa sul terreno dell'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1). Nel contesto di questo ultimo, la Corte ha stimato che la mancanza di un sistema di esame dettagliato di ciascuno dei riscatti considerati non arrivava a rendere inaccettabile l'applicazione di suddette leggi (paragrafo 60 sopra). Non vede nessuna ragione di non arrivare alla stessa conclusione sotto l'angolo dell'articolo 14 (art. 14): avuto riguardo al margine di valutazione, il legislatore del Regno Unito non ha trasgredito al principio di proporzionalità. La distinzione controversa si fonda dunque su una giustificazione obiettiva e ragionevole.
77. In quanto alla seconda lagnanza, bisogna studiarla anch’essa alla luce della constatazione, fatta dalla Corte sul terreno dell'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1) secondo la quale il Parlamento del Regno Unito era in diritto di considerare il programma consacrato dalla riforma dell'enfiteusi come un mezzo ragionevole ed adeguato per raggiungere lo scopo legittimo ricercato. Così come sottolinea la Commissione, le distinzioni stabilite dalle leggi del 1967 e 1974 in materia di concessione del diritto di riscatto e di livelli di indennizzo (paragrafi 21 e 23 sopra) trovano una base obiettiva nel valore imponibile degli immobili. L'introduzione di massimale di valore imponibile e l'istituzione di due livelli di indennizzo riflette il desiderio che provava il Parlamento di non accordare il diritto di riscatto alla debole percentuale degli acquirenti più agiati che non gli sembravano avere bisogno di una protezione economica, e di offrire delle condizioni più favorevoli di acquisizione all'immensa maggioranza degli inquilini che rischiavano di più di patire per il sistema in vigore (paragrafo 19 sopra). Avuto riguardo agli scopi legittimi perseguiti a causa di utilità pubblica ed al margine di valutazione dello stato convenuto, una tale politica differenziata non potrebbe passare per irragionevole né per generatrice di un carico smisurato a scapito dei richiedenti (vedere, mutatis mutandis, la conclusione analoga della Corte nel contesto dell'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1), paragrafi 52 e 56 sopra). Le prescrizioni legislative dalle quali deriva, per il proprietario, un trattamento molto più svantaggioso del suo immobile che ha meno valore devono essere considerate come se si basassero su una giustificazione obiettiva e ragionevole; pertanto, non costituiscono una discriminazione.
C. Conclusione
78. La Corte conclude dunque, con la Commissione, che i fatti della causa non rivelano nessuna infrazione all'articolo 14 della Convenzione combinata con l'articolo 1 del Protocollo no 1 (art. 14+P1-1).
III. ARTICOLO 6 PARAGRAFO 1 (ART. 6-1) DELLA CONVENZIONE,
79. I richiedenti adducono anche la violazione dell'articolo 6 paragrafo 1 (art. 6-1) ai termini del quale
"Ogni persona ha diritto a ciò che la sua causa sia sentita da un tribunale chi deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile".
80. Si tratta di una lagnanza nuova perché non sollevata dinnanzi alla Commissione. Presenta tuttavia una connessione manifesta con quelle di cui è a conoscenza. Lo si incontra del resto, sotto un'altra forma, nelle tesi sviluppate sul terreno dell'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1) così come degli articoli 13 e 14 (art. 13, art. 14) della Convenzione ( paragrafi 68 e 76 sopra, paragrafo 83 sotto); ha tratto agli stessi fatti che la richiesta considerata dalla Commissione e né questa né il Governo non gli hanno opposto un'eccezione di inammissibilità. La Corte si stima quindi competente per esaminarla (vedere in particolare, mutatis mutandis, la sentenza Delcourt del 17 gennaio 1970, serie A no 11, p. 20, paragrafo 40, e la sentenza Bönisch del 6 maggio 1985, serie A no 92, p. 17, paragrafo 37).
81. I richiedenti si lamentano che nel sistema delle leggi del 1967 e 1974, i proprietari minacciati di perdere la loro proprietà non hanno nessuno mezzo, una volta riuniti i criteri definiti dalla legislazione, di contestare il diritto degli acquirenti al riscatto. Ci sarebbe violazione dell'articolo 6 paragrafo 1 (art. 6-1) perché nessun tribunale può propendersi sulle circostanze, eventualmente difficili, di ogni caso specifico.
L'articolo 6 paragrafo 1 (art. 6-1) vale solamente per le "contestazioni" relative ai "diritti ed obblighi" - di carattere civile - che si possono dire, in modo almeno difendibile, riconosciuti in dritto interno; non garantisce lui stesso ai "diritti ed obblighi", di carattere civile, nessuno contenuto materiale determinato nell'ordine giuridico degli Stati contraenti.
La precisione di questa analisi si trova confermata dal fatto che l'articolo 6 paragrafo 1 (art. 6-1) non esige l'esistenza di una giurisdizione nazionale abilitata a censurare o annullare il diritto in vigore. Nello specifico, la legislazione britannica in causa ha per conseguenza diretta di impedire il proprietario di combattere il diritto dell'acquirente al riscatto dal momento che questo ultimo quadra con lei.
Nella causa Sporrong e Lönnroth, che i richiedenti hanno citato molto, la Corte ha concluso all'applicabilità dell'articolo 6 paragrafo 1 (art. 6-1) in ragione dell'esistenza di una lagnanza, difendibile, di inosservanza del diritto svedese (serie A no 52, p. 30, paragrafo 81) poi alla sua violazione in mancanza della possibilità di deferire questa lagnanza ad un "tribunale che gode della pienezza di giurisdizione" (ibidem, p. 31, paragrafo 87). Qui al contrario i richiedenti, nella misura in cui avrebbero stimato avere luogo di addurre una trasgressione alle esigenze della legge di riforma dell'enfiteusi, godevano di un libero accesso ad un tribunale competente per troncare simile questione ( paragrafi 24 e 25 sopra).
82. Non c'è stata dunque trasgressione alle esigenze dell'articolo 6 paragrafo 1 (art. 6-1).
IV. ARTICOLO 13 (ART. 13) DELLA CONVENZIONE,
83. I richiedenti invocano anche l'articolo 13( art. 13) formulato così:
"Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un'istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa dalle persone che agiscono nell'esercizio di funzioni ufficiali."
84. In virtù dell'articolo 13 (art. 13) "un individuo che, in modo plausibile, si definisce vittima di una violazione dei diritti riconosciuti nella Convenzione deve disporre di un ricorso dinnanzi ad una ‘istanza ' nazionale per vedere deliberare sulla sua lagnanza e, se c'è luogo, di ottenere risarcimento" (sentenza Silver ed altri del 25 marzo 1983, serie A no 61, p. 42, paragrafo 113). Tuttavia, "né l'articolo 13 (art. 13) né la Convenzione non prescrivono in generale agli Stati contraenti un [modo] determinato di garantire nel loro diritto interno l'applicazione effettiva di tutte le disposizioni di questo strumento" (sentenza Sindacato svedese dei conducenti di locomotive, del 6 febbraio 1976, serie A no 20, p. 18, paragrafo 50). Sebbene dunque non tenuti ad incorporare la Convenzione al loro sistema giuridico nazionale, non devono nemmeno, ai termini dell'articolo 1 (art. 1) e sotto una forma o un’altra, garantirvi a chiunque dipenda dalla loro giurisdizione la sostanza dei diritti e libertà riconosciuti (sentenza Irlanda c. Regno Unito del 18 gennaio 1978, serie A no 25, p. 91, paragrafo 239). Sotto riserva di ciò che segue, l'articolo 13 (art. 13) garantisce l'esistenza in diritto interno di un ricorso effettivo che permette di prevalersi dei diritti e libertà della Convenzione come vi si possono trovare consacrati.
85. La Convenzione non fa parte del diritto interno del Regno Unito che non comprende neanche un controllo costituzionale della compatibilità delle leggi con le libertà fondamentali. Quindi, nessuno ricorso interno si apriva e non poteva aprirsi ai richiedenti per lamentarsi del fatto che la legislazione sulla riforma dell'enfiteusi non raggiunga lei stessa il livello voluto dalla Convenzione ed dai Protocolli. La Corte stima tuttavia, con la Commissione, che l'articolo 13 (art. 13) non arrivi ad esigere un ricorso con il quale si possa denunciare, dinnanzi ad un'autorità nazionale, le leggi di uno Stato contraente come contrarie in quanto tali alla Convenzione o alle norme giuridiche nazionali equivalenti. Non potrebbe dunque accogliere la lagnanza formulata in questo senso dai richiedenti.
86. Sulla base degli stessi fatti che nel contesto dell'articolo 6 paragrafo 1 (art. 6-1) questi ultimi invocano anche l'articolo 13 (art. 13) in quanto alle conseguenze che risultano per essi dalla legislazione controversa. Ora la Corte ha constatato che suddetta legislazione, ivi compreso le sue ripercussioni sulla situazione degli interessati, quadrava con le clausole normative della Convenzione e dei Protocolli. In simile caso, l'articolo 13( art. 13) si trova rispettato se si può ottenere l'osservazione delle leggi in causa per mezzo di un procedimento interno (sentenza Silver ed altri precitati, serie A no 61, p. 44, paragrafo 118). Ora si offrivano e si offrono dei ricorsi effettivi di questo genere ai richiedenti. In particolare, il tribunale di distretto è a conoscenza delle dispute relative sia al punto di sapere se un enfiteuta assolve le condizioni legali di acquisizione dell'immobile, sia alle questioni annesse; in mancanza di consenso, il tribunale locale di valutazione dell’ enfiteusi - una volta il tribunale fondiario - fissa da parte sua il prezzo del riscatto (paragrafi 24 e 25 sopra).
87. I fatti della causa non rivelano dunque nessuna violazione dell'articolo 13 (art. 13) della Convenzione.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
Dice che non vi è stata violazione né dell'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1), considerato isolatamente o combinato con l'articolo 14 (art. 14+P1-1) della Convenzione, né degli articoli 6 paragrafo 1 e 13 (art. 6-1, art. 13) di questa.
Fatto in francese ed in inglese, poi pronunciato in udienza pubblica al Palazzo dei Diritti dell'uomo a Strasburgo, il 21 febbraio 1986.
Rolv RYSSDAL
Presidente
Marc-André EISSEN
Cancelliere
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 51 paragrafo 2 (art. 51-2) della Convenzione e 52 paragrafo 2 dell'ordinamento, l'esposizione delle seguenti opinioni separate, tutte concordanti:
- opinione del Sig. Thór Vilhjálmsson, articolo 1 del Protocollo no 1, (P1-1);
- opinione della Sig.ra Bindschedler-Robert e di Sigg.. Gölcüklü, Matscher, Pettiti, Russo e Spielmann, articolo 1 del Protocollo no 1, (P1-1);
- opinione della Sig.ra Bindschedler-Robert e di Sigg.. Gölcüklü, Matscher e Spielmann, articolo 13 della Convenzione, (art. 13),;
- opinione del Sig. Pinheiro Farinha (articolo 13 della Convenzione) (art. 13);
- opinione di Sigg.. Pettiti e Russo (articolo 13 della Convenzione) (art. 13).
R. R.
SIG. - A. E.
Opinione Concordante Di M. Il Giudice THÓR VILHJÁLMSSON, Articolo 1 Del Protocollo No 1, (P1-1,
(Traduzione)
Ho votato nello specifico coi miei colleghi, ma non posso aderire alla sentenza per ciò che riguarda l'indennizzo di una persona espropriata (paragrafi 53-57). A dispiacere, arrivo alla conclusione che l'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1) non consacra un diritto ad indennità.
L'articolo (P1-1) non dice niente dell'indennizzo. Ora, secondo me, l'avrebbe dovuto fare se avesse inteso, in particolare, garantire un diritto ad indennità. Come si presenta, il testo ha per senso ordinario dunque che non regola l'indennizzo.
Se si giudicava tuttavia necessario di cercare una conferma ricorrendo ai mezzi complementari di interpretazione, i lavori preparatori sostengono la stessa conclusione, ossia che l'articolo (P1-1) non conferisce un diritto ad indennità. A questo riguardo, c'è luogo di rilevare ciò che segue.
Nel novembre 1950, il Comitato dei Ministri esaminò diversi emendamenti al progetto di Convenzione dei Diritti dell'uomo, presentato dall'assemblea Consultiva parlamentare. Quando un consenso immediato si rivelò impossibile su certi punti, si decise di toglierli del progetto e di incaricare un comitato di periti di studiarli più avanti. Si trattava, tra altri, del diritto di proprietà. L'emendamento proposto dall'assemblea non parlava di indennizzo. La maggioranza degli Stati membri stimò invece che bisognava garantire un'indennità, così che una menzione corrispondente figurò nel testo elaborato dal Comitato di periti (Raccolta dei lavori preparatori, volume VII, pp. 208 e 223-224). Certi governi non poterono consentire tuttavia di vedere introdurre nella Convenzione il principio di un indennizzo, così che suddetta menzione fu ulteriormente cancellata. Si trova nel commento del Segretario generale, del 18 settembre 1951, una breve idea del modo in cui la formula é cambiata strada facendo (loc. cit., volume VIII, pp. 5-11).
Tutto ciò che precede mi obbliga a concludere che l'oggetto e lo scopo dell'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1) non andavano a comprendere la garanzia di un diritto ad indennità. Anche se la Convenzione deve interpretarsi alla luce delle condizioni di oggi, non discerno nessuna circostanza che possa giustificare al momento un'altra interpretazione dell'articolo (P1-1).
OPINIONE CONCORDANTE DELLA SIG.RA E dei SIGG.. GIUDICI BINDSCHEDLER-ROBERT, GÖLCÜKLÜ, MATSCHER, PETTITI, RUSSO E SPIELMANN, ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1, (P1-1)
Al paragrafo 66, la sentenza afferma che i principi generali del diritto internazionale non si applicano all'espropriazione di un nazionale da parte del suo Stato.
Bisogna riconoscere però che la motivazione sviluppata ai paragrafi 60 a 65 sia, nel suo insieme, lontana da essere convincente, anche se, in parte, comprende certi argomenti non trascurabili (così, per esempio, il riferimento ai lavori preparatori, paragrafo 64, pure non dimenticando che è spesso pericoloso fidarsi troppo di tali lavori).
Comunque sia, la tesi ammessa dalla sentenza conduce ad una differenza di trattamento tra i nazionali e gli stranieri nella cornice della Convenzione, ciò che è tanto in contraddizione manifesta sia con la filosofia che con l'economia di questa (vedere in particolare il suo articolo 1) (art. 1). Difatti, le poche eccezioni a questo principio di parità sono regolate sempre o esplicitamente (vedere, per esempio, gli articoli 16 della Convenzione e 3 e 4 del Protocollo no 4) (art. 16, ,P4-3, P4-4), o in un modo che non lascia nessuno dubbio su questo argomento (per esempio, l'articolo 5 paragrafo 1 f, della Convenzione, (art. 5-1-f).
Per questa questione, secondo noi capitale per l'interpretazione della Convenzione, la sentenza non risponde per niente in un modo soddisfacente. Siamo anche di parere che l'argomentazione evoluta, ai paragrafi 61 e 63 sia in particolare, insufficiente e che, i principi di interpretazione ai quali ricorre la sentenza costituiscono in genere, solamente delle spiegazioni di dettaglio.
Del resto, non bisogna dimenticare che nei diversi Stati contraenti la dottrina sia molto divisa sul problema riguardato, e che al momento, i sostenitori dell'applicabilità dei principi generali del diritto internazionale ai nazionali, nella cornice dell'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1), trovano sempre più adepti.
La relatività dei principi generali del diritto internazionale in materia giurisdizione anche di numerosi arbitraggi internazionali che fanno un'applicazione flessibile di questi principi quando si tratta delle nazionalizzazioni praticate dagli Stati in via di sviluppo del Terzo Mondo.
In queste condizioni, avremmo preferito vedere non troncare la questione nella cornice della presente sentenza, tanto più che non influisce sulle condizioni finali di questa: da un lato, è ammesso che i principi generali del diritto internazionale di cui il contenuto è incerto del resto, in materia di privazioni di proprietà nella cornice di riforme sociali ed economiche sembrano accontentarsi di un indennizzo adeguato; dall'altro, è riconosciuto che l'articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1) esige anche egli in principio un certo indennizzo per raggiungere il giusto equilibrio tra gli interessi della società ed i sacrifici imposti all'individuo.
OPINIONE CONCORDANTE DELLA SIG.RA E SIGG. GIUDICI BINDSCHEDLER-ROBERT, GÖLCÜKLÜ, MATSCHER E SPIELMANN, ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE, (art. 13)
Sappiamo che l'articolo 13 (art. 13) è uno dei più ambigui della Convenzione e che la giurisprudenza della Corte sulla sua applicazione non è ancora consolidata. Tuttavia, nell'evoluzione della sua giurisprudenza, la Corte ha cercato di circoscriverne la portata (vedere in particolare le sentenze Klass ed altri - paragrafo 63 ss., Silver ed altri - paragrafo 113, Sporrong e Lönnroth - paragrafo 88).
Uno dei problemi più difficili che posa la sua interpretazione riguarda gli "autori" della violazione addotta di una regola materiale della Convenzione contro i quali l'articolo 13 (art. 13) garantisce un ricorso dinnanzi ad un'autorità nazionale. A questo riguardo, la disposizione in questione non contempla nessuna limitazione. Secondo il suo testo, preso alla lettera, un tale ricorso dovrebbe esistere anche quando la violazione addotta risulta dal gioco di una legge, ciò che equivale a dire che l'articolo 13 (art. 13) esigerebbe la possibilità, per l'individuo in causa, di denunciare anche dinnanzi ad un'autorità nazionale una legge degli stati considerata come contraria alla Convenzione. Questo parere è stato espresso in alcune sentenze recenti della Corte ( vedere Silver ed altri - paragrafi 118, 119, Campbell e Fell - paragrafo 127, Abdulaziz, Cabale e Balkandali - paragrafo 93).
Ora, appare abbastanza improbabile che gli autori della Convenzione abbiano voluto estendere a questo punto la portata dell'articolo 13 (art. 13). Difatti, all'epoca della ratifica della Convenzione sola alcuni Stati contraenti contemplavano nella loro legislazione la possibilità, per gli individui, di scatenare un controllo della costituzionalità di una legge, o della sua conformità alla Convenzione, e tale è ancora il caso. Quindi è dunque a buon diritto, sembra, che la sentenza dichiara, al paragrafo 85, che l'articolo 13 (art. 13) non vada fino ad esigere un ricorso con il quale si possa denunciare, dinnanzi ad un'autorità nazionale, le leggi di uno Stato contraente come contraria in quanto tale alla Convenzione. Tuttavia, una constatazione di questo tipo che ritorna ad una "riduzione terminologica" dall'articolo 13 (art. 13) non dovrebbe limitarsi ad una semplice affermazione, senza offrire almeno gli inizi di una motivazione, tanto che il principio contrario, conforme egli alla lettera dell'articolo 13( art. 13) era stato enunciato in alcune sentenze anteriori.
Non spetta ad una breve opinione separata di supplire a questa deficienza. Ci limiteremo a schizzare i capi di una tale motivazione che dovrebbe essere approfondita in una prossima sentenza dunque, quando l'occasione si presterà:
1. Come l'abbiamo già indicato lo stato della legislazione della grande maggioranza degli Stati contraenti milita in favore di un'interpretazione restrittiva della portata dell'articolo 13 (art. 13).
2. Dalla formula dell'articolo 13 (art. 13) stesso, quando si riferisce alle violazioni della Convenzione che sarebbero state commesse dalle persone che agiscono nell'esercizio di funzioni ufficiali, è permesso di dedurre anche che questa disposizione consideri, almeno in primo luogo, delle violazioni eventuali della Convenzione commessa dagli organi che appartengono al potere esecutivo o giudiziale.
E’ pensando ad una motivazione di questa natura che al riguardo anche dell'articolo 13( art. 13) abbiamo aderito alle conclusioni della sentenza.
Sottolineiamo, per finire che per noi l'argomento della sovranità del Parlamento che si ribellerebbe ad un controllo dei suoi atti da parte di un'altra "istanza nazionale", non ci sembra convincente perché da un lato, sul terreno del diritto internazionale, la responsabilità degli stati, anche per gli atti del potere legislativo, non è più messa in dubbio, dall'altra la legislazione di parecchi Stati prevede un controllo degli atti del Parlamento da parte di una corte costituzionale.
OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE PINHEIRO FARINHA (Articolo 13 Di La Convenzione) (art. 13)
1. Sono in accordo con la maggioranza per ciò che riguarda le conclusioni della sentenza. Accetto anche i motivi di questa ultima, salvo il paragrafo 85.
2. La Convenzione, difatti, garantisci la garanzia collettiva di certi diritti, in particolare all'articolo 13 (art. 13):
"Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella presente Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un'istanza nazionale, anche se la violazione sarebbe stata commessa dalle persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali." (sottolineato da me)
La violazione dei diritti riconosciuti può risultare della legge in sé e gli atti incriminati possono essere in conformità al diritto interno, cioè non derivare da una cattiva applicazione della legge. In questo caso - non vedo nessuna ragione di fare un'eccezione per l'attività legislativa -, occorre che un'istanza nazionale esista ed abbia competenza per conoscere la violazione.
La Corte stessa ha preso già questa posizione – (cause Silver ed altri, Abdulaziz, Cabale e Balkandali, Campbell e Fell).
3. Nello specifico, e perché "La Corte ha constatato che suddetta legislazione quadrava con le clausole normative della Convenzione e dei Protocolli", ciò che ho appena detto non mi impedisce di concludere, per le ragioni date al paragrafo 86 della sentenza, che "i fatti della causa non rivelino nessuna violazione dell'articolo 13 (art. 13) della Convenzione".
OPINIONE CONCORDANTE DEI Giudici PETTITI E RUSSO (Articolo 13 Di La Convenzione) (art. 13)
Riconosciamo la difficoltà di interpretazione dell'articolo 13 (art. 13); spiega le divergenze in seno alla Corte. Tuttavia, restiamo favorevoli alla vecchia giurisprudenza tradizionale della Corte per ciò che riguarda l'interpretazione dell'articolo 13 (art. 1), (vedere in particolare le sentenze Silver, Campbell e Fell, Abdulaziz, Cabale e Balkandali). Stimiamo che se la Corte era portata a cambiare una tale giurisprudenza, il che non è il caso per noi, ci sarebbe stato luogo per una motivazione più approfondita che quella adottata da lei nella presente sentenza.
Nota del cancelliere: La causa porta il n° 3/1984/75/119. Le prime due cifre designano il suo posto nell'anno di introduzione, le ultime due il suo posto sull'elenco delle immissione nel processo della Corte dall'origine e su quella delle richieste iniziali, alla Commissione, corrispondenti.
MALONE V. THE UNITED KINGDOM JUGDMENT
SENTENZA JAMES ED ALTRI C. REGNO UNITO
SENTENZA JAMES ED ALTRI C. REGNO UNITO
SENTENZA JAMES ED ALTRI C. REGNO UNITO
OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE THÓR VILHJÁLMSSON, ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N° 1, (P1-1)
SENTENZA JAMES ED ALTRI C. REGNO UNITO
OPINIONE CONCORDANTE DELLA SIG.RA E DEI SIGG.. GIUDICI BINDSCHEDLER-ROBERT, GÖLCÜKLÜ, MATSCHER, PETTITI, RUSSO E SPIELMANN, ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N° 1, (P1-1)
SENTENZA JAMES ED ALTRI C. REGNO UNITO
OPINIONE CONCORDANTE DELLA SIG.RA E DEI SIGG.. GIUDICI BINDSCHEDLER-ROBERT, GÖLCÜKLÜ, MATSCHER, PETTITI, RUSSO E SPIELMANN, ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N° 1, (P1-1)
SENTENZA JAMES ED ALTRI C. REGNO UNITO
OPINIONE CONCORDANTE DELLA SIG.RA E DEI SIGG.. GIUDICI BINDSCHEDLER-ROBERT, GÖLCÜKLÜ, MATSCHER E SPIELMANN, Articolo 13 Di La Convenzione, (art. 13,
SENTENZA JAMES ED ALTRI C. REGNO UNITO
OPINIONE CONCORDANTE DELLA SIG.RA E DEI SIGG.. GIUDICI BINDSCHEDLER-ROBERT, GÖLCÜKLÜ, MATSCHER E SPIELMANN, Articolo 13 Di La Convenzione, (art. 13)
SENTENZA JAMES ED ALTRI C. REGNO UNITO
OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE PINHEIRO FARINHA (Articolo 13 Di La Convenzione) (art. 13)
SENTENZA JAMES ED ALTRI C. REGNO UNITO
OPINIONE CONCORDANTE DEI SIGG.GIUDICI PETTITI E RUSSO (Articolo 13 Di La Convenzione) (art. 13)