SECONDA SEZIONE
CAUSA GUIDI C. ITALIA
( Richiesta no 28320/02)
SENTENZA
STRASBURGO
27 marzo 2008
DEFINITIVO
27/06/2008
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Guidi c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell'uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Antonella Mularoni, Ireneu Cabral Barreto, Rıza Türmen, Vladimiro Zagrebelsky, Dragoljub Popović, András Sajó, giudici,
e da Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 4 marzo 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All'origine della causa si trova una richiesta (no 28320/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. V. G. ("il richiedente"), ha investito la Corte il 13 luglio 2002 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle Libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, il Sig. I.M. Braguglia, e dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il richiedente adduceva in particolare una violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione in ragione dell'applicazione del regime di detenzione speciale prevista dall'articolo 41bis della legge sull'amministrazione penitenziaria.
4. Il 14 giugno 2005, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell'articolo 29 § 3, ha deciso che sarebbero state esaminate l'ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
5. Tanto il richiedente che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte sul merito della causa (articolo 59 § 1 dell'ordinamento).
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
6. Il richiedente, il Sig. V. G., è un cittadino italiano, nato nel 1966 ed attualmente detenuto alla prigione di Ascoli Piceno.
A. I perseguimenti penali
7. Il 24 febbraio 2001, la corte d’assise di Cosenza condannò il richiedente, in detenzione dal 23 luglio 1998, all’ergastolo per omicidio ed associazione di malviventi di tipo mafioso ed altri reati. Questa pena fu confermata in appello il 20 dicembre 2002.
8. Il 17 luglio 2002, il tribunale di Rossano condannò il richiedente a sei anni di detenzione per estorsione e furto. Questa pena fu confermata in appello il 28 marzo 2003.
9. Il 23 giugno 2004, la corte d’assise di Cosenza condannò il richiedente a diciannove anni e due mesi di reclusione per partecipazione ad un omicidio ed altri reati.
B. L'applicazione del regime speciale di detenzione prevista dall'articolo 41bis della legge sull'amministrazione penitenziaria
10. Il 17 ottobre 2000, tenuto conto della pericolosità del richiedente, il ministro della Giustizia prese un'ordinanza che gli imponeva, per un periodo di tre mesi, il regime di detenzione speciale prevista dall'articolo 41bis, capoverso 2, della legge sull'amministrazione penitenziaria - no 354 del 26 luglio 1975 ("la legge no 354/1975"). Modificata dalla legge no 356 del 7 agosto 1992, questa disposizione permetteva la sospensione totale o parziale dell'applicazione del regime normale di detenzione quando delle ragioni di ordine e di sicurezza pubblici l'esigevano. Suddetta ordinanza imponeva le seguenti restrizioni:
- limitazione delle visite da parte dei membri della famiglia (al massimo una al mese per un’ora);
- interdizione di incontrare dei terzi;
- interdizione di utilizzare il telefono;
- interdizione di ricevere o di mandare verso l'esterno delle somme di denaro al di là di un determinato importo;
- interdizione di ricevere più di due pacchi al mese ma possibilità di riceverne due all’ anno contenenti della biancheria;
- interdizione di organizzare delle attività culturali, sportive e ricreative;
- interdizione di eleggere dei rappresentanti di detenuti e di essere eletto come rappresentante;
- interdizione di esercitare delle attività artigianali.
Inoltre, tutta la corrispondenza del richiedente doveva essere sottoposta ad un controllo su autorizzazione preliminare dell'autorità giudiziale.
11. Il richiedente afferma di essere stato anche sottoposto ad una serie di altre limitazioni e restrizioni che, secondo lui, avrebbero ignorato la sua dignità umana. In particolare, adduce:
a. la perquisizione, con il detenuto completamente nudo, prima di e dopo ogni incontro, o col suo difensore, o coi membri della sua famiglia, anche se questo incontro aveva avuto luogo in un'unità sorvegliata dal personale dell'amministrazione penitenziaria e benché sia stato separato dal suo interlocutore da un finestrino blindato e che il loro contatto sia stato unicamente visuale;
b. l'obbligo di compiere, nudo, delle flessioni sulle gambe dinnanzi agli agenti della polizia penitenziaria affinché questi ultimi potessero controllare se, durante l'incontro come descritto precedentemente, aveva potuto nascondere degli eventuali oggetti nell'orifizio anale;
c. l'ispezione delle piante dei piedi, della cavità orale e della cavità anale con l'utilizzazione di un rilevatore di metalli, dopo ogni partecipazione ad un'udienza, sebbene questa partecipazione abbia avuto luogo in una sala d’udienza o a distanza in videoconferenza, in un luogo scelto dall'amministrazione penitenziaria e sotto la consolidata sorveglianza di agenti;
d. sarebbe stato sottomesso ad una costante ripresa cinematografica, 24 ore su 24, per mezzo di cineprese a circuito chiuso, nella sua unità a disprezzo della sua intimità .
12. L'applicazione del regime speciale fu in seguito prorogata a quattro riprese per periodi successivi di sei mesi fino al dicembre 2002, ed a tre riprese per periodi successivi di un anno fino al dicembre 2005, datando l'ultima ordinanza del ministro della Giustizia il 17 dicembre 2004. A partire dal 28 dicembre 2002, il ministro della Giustizia, da una parte, aumentò la durata della passeggiata da due a quattro ore di cui due da passare in biblioteca, in palestra o in gruppi di cinque persone al massimo, e, dall’altra parte, tolse l'interdizione di esercitare delle attività artigianali.
13. Il richiedente attaccò certe ordinanze del ministro della Giustizia dinnanzi al tribunale dell'applicazione delle pene competenti. Contestava ad ogni volta l'applicazione del regime speciale a suo carico e denunciava la mancanza di ragioni concrete che giustificassero la proroga. Si lamentava inoltre della limitazione degli incontri coi membri della sua famiglia.
Si tratta rispettivamente del:
- ricorso del 25 ottobre 2000 dinnanzi al tribunale dell'applicazione delle pene ("il TAP") di Ancona contro l'ordinanza del 17 ottobre 2000 respinto il 7 dicembre 2000;
- ricorso del 27 dicembre 2000 dinnanzi al TAP contro l'ordinanza del 21 dicembre 2000, respinto il 3 maggio 2001,;
- ricorso del 22 giugno 2001 dinnanzi al TAP di Ancona contro l'ordinanza del 18 giugno 2001, respinto il 15 novembre 2001,;
- ricorso del 17 dicembre 2001 dinnanzi al TAP di Ancona contro l'ordinanza del 13 dicembre 2001, respinto il 14 febbraio 2002,;
- ricorso del 13 giugno 2002 dinnanzi al TAP di Ancona contro l'ordinanza del 10 giugno 2002, respinto il 17 ottobre 2002,;
- ricorso del 30 dicembre 2002 dinnanzi al TAP di Roma contro l'ordinanza del 28 dicembre 2002, respinto il 20 febbraio 2003,;
- ricorso in una data non precisata dinnanzi al TAP di Roma contro l'ordinanza del 23 dicembre 2003, respinto il 30 marzo 2004.
Questi ricorsi furono respinti ogni volta al motivo che l'applicazione del regime speciale si giustificava alla luce delle informazione raccolte dalla polizia e dalle autorità giudiziali sul conto del richiedente.
14. Il 20 agosto 2004, il richiedente introdusse un ricorso dinnanzi al TAP di Ancona contro la decisione di rigetto del 30 marzo 2004. Questa volta, il richiedente si lamentava anche della limitazione degli incontri coi suoi bambini.
15. Con una decisione del 21 ottobre 2004, il TAP di Ancona respinse il ricorso come tardivo e mal fondato, sottolineando in particolare che nel frattempo (il 23 giugno 2004) il richiedente aveva ricevuto un'altra condanna.
16. Il 29 settembre 2004, la Corte di cassazione respinse il richiedente del ricorso introdotto in una data non precisata contro la decisione del 30 marzo 2004. I motivi del rigetto non sono stati comunicati alla Corte.
17. Il 21 dicembre 2004, il richiedente introdusse dinnanzi al TAP di Ancona un ricorso contro l'ordinanza del 17 dicembre 2004, respinto il 17 febbraio 2005 al motivo che l'applicazione del regime speciale si giustificava alla luce delle informazione raccolte dalla polizia e dalle autorità giudiziali sul conto del richiedente.
18. Il 10 marzo 2005, il richiedente ricorse in cassazione.
C. Il controllo della corrispondenza
19. La corrispondenza del richiedente è sottoposta al controllo da parte delle autorità penitenziarie dal 19 ottobre 2000.
20. Risulta dalla pratica che la lettera del 16 ottobre 2003, inviata dalla Corte al richiedente, è stata controllata e che il documento del 14 giugno 2004 ed i giudizi qui acclusi alle corrispondenze mandate alla Corte dal richiedente-in particolare, anche le ordinanze del tribunale dell'applicazione delle pene di Ancona che datano 3 maggio 2001, 15 dicembre 2001 e 14 febbraio 2002 e le ordinanze del ministro della Giustizia, eccetto quelle del 21 dicembre 2000 e del 28 dicembre 2002-sono state controllate dalle autorità penitenziarie ma in una data non precisata.
Infine, la lettera mandata dalla Corte al richiedente il 1 giugno 2005 è stata aperta e controllata il 7 giugno 2005, come provano i timbri di controllo apposti sulla lettera e la busta.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
21. La Corte ha riassunto il diritto e la pratica interna pertinenti in quanto al regime di detenzione speciale applicata nello specifico ed in quanto al controllo della corrispondenza nella sentenza Ospina Vargas c. Italia (no 40750/98, §§ 23-33, 14 ottobre 2004,). Ha fatto anche stato delle modifiche introdotte dalla legge no 279 del 23 dicembre 2002 e dalla legge no 95 del 8 aprile 2004 (ibidem).
Tenuto conto di questa riforma e delle decisioni della Corte (da ultimo la sentenza Ganci c. Italia, del 30 ottobre 2003, §§ 19-31) la Corte di cassazione si è scostata dalla giurisprudenza anteriore e ha stimato che un detenuto ha interesse ad avere una decisione, anche se il periodo di validità dell'ordinanza attaccata è scaduto, e ciò in ragione degli effetti diretti della decisione sulle ordinanze posteriori all'ordinanza attaccata (Corte di cassazione, prima camera, sentenza del 26 gennaio 2004, depositata il 5 febbraio 2004, no 4599, Zara).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
22. Il richiedente si lamenta di essere sottomesso a trattamenti disumani e degradanti nella misura in cui, al di là delle limitazioni previste dall'articolo 41bis della legge sull'amministrazione penitenziaria, subisce altre restrizioni, in particolare delle perquisizioni corporali nel corso delle quali la sua intimità non viene preservata e la sua dignità umana viene ignorata. Invoca l'articolo 3 della Convenzione che si legge così:
"Nessuno può essere sottomesso alla tortura né alle pene o trattamenti disumani o degradanti. "
23. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull'ammissibilitÃ
24. Il Governo eccepisce del non-esaurimento delle vie di ricorso interne nella misura in cui il richiedente non ha sollevato dinnanzi alle giurisdizioni interne competenti la sua lamentela concernente le perquisizioni corporali.
25. La Corte constata, alla luce dell'insieme degli argomenti delle parti, che l'eccezione è legata strettamente al merito della richiesta e decide di unirla a questo. La Corte constata che questa parte della richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità . Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
26. Il Governo stima che le restrizioni imposte al richiedente dal regime di detenzione speciale non hanno raggiunto il livello minimo di gravità richiesto per ricadere nel campo di applicazione dell'articolo 3 della Convenzione. Sottolinea che queste restrizioni erano rigorosamente necessarie per impedire al richiedente, socialmente pericoloso, di mantenere dei contatti con l'organizzazione criminale alla quale apparteneva.
27. Per ciò che riguarda le perquisizioni corporali, osserva che queste si sono limitate ad una sola occasione durante la quale il detenuto è entrato in contatto diretto e fisico con terzi venuti dell'esterno, senza nessuna separazione o protezione.
28. Il Governo sottolinea che i detenuti sono sottoposti a perquisizioni corporali quando ciò si rivela necessario ad uno scopo legittimo, ossia la protezione dell'ordine e della sicurezza. Nota anche che sono proporzionate allo scopo perseguito nella misura in cui una perquisizione superficiale non basterebbe ad allontanare ogni rischio di presenza di oggetti vietati nelle cavità corporali. Sottolinea poi che queste perquisizioni hanno luogo in modo discreto e nelle condizioni proprie a garantire il rispetto della dignità della persona.
29. Il Governo sottolinea infine che il richiedente non ha provato le sue affermazioni e ne conclude che le circostanze di cui il richiedente si lamenta, previste dalla legge e proporzionate al loro scopo legittimo, non raggiungono la soglia della gravità necessaria per ricadere nel campo di applicazione dell'articolo 3 della Convenzione.
30. Il richiedente si oppone alle tesi del Governo.
31. Secondo la giurisprudenza della Corte, per ricadere sotto l'influenza dell'articolo 3, un cattivo trattamento deve raggiungere un minimo di gravità . La valutazione di questo minimo è relativa per essenza; dipende dall'insieme dei dati dello specifico, in particolare della durata del trattamento e dei suoi effetti fisici o mentali, così come, talvolta, dal sesso, dall'età , dallo stato di salute della vittima, ecc. (vedere, tra altre, le sentenze Irlanda c. Regno Unito del 18 gennaio 1978, serie A no 25, § 162; Van der Ven c. Paese Basso, no 50901/99 /, CEDH 2003-II, § 47, 4 febbraio 2003; Lorsé c. Paese Basso, no 52750/99, § 59, 4 febbraio 2003; Frérot c. Francia, no 70204/01, § 35, 12 giugno 2007).
1. L'applicazione prolungata del regime speciale di detenzione
32. La Corte deve ricercare da prima se l'applicazione prolungata del regime speciale di detenzione prevista dall'articolo 41bis-che, peraltro, dopo la riforma del 2002, è diventata una disposizione permanente della legge sull'amministrazione penitenziaria -per quasi cinque anni nel caso del richiedente costituisce una violazione dell'articolo 3 della Convenzione. Per fare questo, deve fare però astrazione della natura della violazione rimproverata al richiedente, perché il "divieto della tortura o delle pene o trattamenti disumani o degradanti è assoluto, qualunque siano i maneggi della vittima" (Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 119, CEDH 2000-IV).
33. La Corte ammette che in generale, l'applicazione prolungata di certe restrizioni può porre un detenuto in una situazione che potrebbe costituire un trattamento disumano o degradante, ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione. Però, non potrebbe considerare una durata precisa come il momento a partire da cui viene raggiunta la soglia minima di gravità per ricadere nel campo di applicazione dell'articolo 3 della Convenzione. In compenso, ha il dovere di controllare se, in un dato caso, il rinnovo ed il prolungamento delle restrizioni si giustificavano o se, al contrario, costituivano la reiterazione di limitazioni che non si giustificano più (Argenti c. Italia, no 56317/00, § 21, 10 novembre 2005).
34. Ora appare che ad ogni volta, il ministro della Giustizia si è riferito, per giustificare la proroga delle restrizioni, alla persistenza delle condizioni che giustificavano la prima applicazione, ed i tribunali dell'applicazione delle pene hanno controllato la realtà di queste constatazioni.
Da parte sua, la Corte nota che il richiedente non le ha fornito alcun elemento da permetterle di concludere che l'applicazione prolungata del regime speciale di detenzione previsto dall'articolo 41 bis gli abbia causato degli effetti fisici o mentali che ricadevano sotto l'influenza dell'articolo 3. Quindi, la sofferenza o l'umiliazione che il richiedente ha potuto provare non è andata al di là di quelle che comporta inevitabilmente una forma data di trattamento - nello specifico prolungato - o di pena legittima (Labita, precitata, § 120, e Bastone c. Italia, (déc) no 59638/00, 18 gennaio 2005).
2. Le perquisizioni corporali
35. La Corte rileva poi che il richiedente afferma di essere stato anche sottomesso ad una serie di altre limitazioni e restrizioni, come numerose perquisizioni corporali e la mancanza di intimità che, secondo l'interessato, avrebbero ignorato la sua dignità . Trattandosi specificamente della perquisizione corporale dei detenuti, la Corte non ha nessuna difficoltà a concepire che un individuo che si trova obbligato a sottoporsi ad un trattamento di questa natura si senta solo per questo fatto raggiunto nella sua intimità e nella sua dignità , in modo particolare quando ciò implica che si svesta dinnanzi ad altri, e più ancora quando gli occorre adottare delle posizioni imbarazzanti.
Tale trattamento non è tuttavia in sé illegittimo: delle perquisizioni corporali, anche integrali, possono rivelarsi talvolta necessarie per garantire la sicurezza in una prigione -ivi compresa quella del detenuto stesso-, per difendere l'ordine o prevenire le violazioni penali.
Non da meno le perquisizioni corporali devono, pur necessarie per giungere ad uno di questi scopi, essere condotte secondo delle modalità adeguate, in modo che il grado di sofferenza o di umiliazione subita dai detenuti non superi quello che presuppone inevitabilmente questa forma di trattamento legittimo. In mancanza di questo, infrangono l'articolo 3 della Convenzione (Frérot c. Francia, precitata, § 38).
36. Tuttavia le affermazioni di cattivo trattamento devono essere supportate dinnanzi alla Corte da elementi di prova adeguati (mutatis mutandis Klaas c. Germania, sentenza del 22 settembre 1993, serie A no 269, p.17, § 30). Per stabilire i fatti addotti, la Corte si serve del criterio della prova "al di là di ogni ragionevole dubbio "; tale prova può tuttavia risultare da un fascio di indizi, o da presunzioni non confutate, sufficientemente gravi, precise e concordanti (vedere, da ultimo, Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 121, CEDH 2000-IV).
37. Nello specifico, la Corte constata la mancanza di ogni prova che mostra al di là di ogni ragionevole dubbio che le limitazioni e le restrizioni addotte abbiano raggiunto la soglia di gravità richiesta dalla disposizione invocata.
38. In conclusione, la Corte stima che non c'è stata violazione dell'articolo 3 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
39. Il richiedente si lamenta della violazione del suo diritto al rispetto della sua vita familiare in ragione delle restrizioni alle quali è sottoposto da molto e delle modalità delle visite familiari. Denuncia anche la violazione del suo diritto al rispetto della sua corrispondenza. Invoca l'articolo 8 della Convenzione, così formulato:
""1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. "
40. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull'ammissibilitÃ
41. Concernente la mancata osservanza della vita familiare del richiedente, la Corte nota innanzitutto che ha dovuto già deliberare sul fatto di sapere se le restrizioni previste dall'applicazione dell'articolo 41bis in materia di vita privata e familiare di certi detenuti costituiscano un'ingerenza giustificata dal paragrafo 2 dell'articolo 8 (vedere la sentenza Messina c. Italia (no 2), no 25498/94, §§ 59-74, CEDH 2000-X; Indelicato c. Italia, (déc.), no 31143/96, 6 luglio 2000).
42. Ricorda poi la sua giurisprudenza secondo la quale il regime contemplato all'articolo 41bis tende a tagliare i legami esistenti tra la persona riguardata ed il suo ambiente criminale di origine, per minimizzare il rischio di vedere utilizzare i contatti personali di questi detenuti con le strutture delle organizzazioni criminali di suddetto ambiente.
Prima dell'introduzione del regime speciale, u buon numero di detenuti pericolosi riusciva a tenere la loro posizione in seno all'organizzazione criminale a cui appartenevano, a scambiare delle informazione con gli altri detenuti e con l'esterno, ed ad organizzare e fare eseguire delle violazioni penali. In questo contesto, la Corte stima che, tenuto conto della natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata, in particolare di tipo mafioso, e per il fatto che le visite familiari sono state spesso certamente il mezzo di trasmissione di ordini e di istruzioni verso l'esterno, le restrizioni, certo importanti, alle visite ed i controlli che accompagnano il loro svolgimento non potrebbero passare per sproporzionate rispetto agli scopi legittimi perseguiti (vedere Salvatore c. Italia, (déc.), no 37827/97, 9 gennaio 2001).
43. In quanto alla questione di sapere se l'applicazione prolungata di questo regime ad un detenuto infranga il diritto garantito dall'articolo 8 della Convenzione, la Corte ha dovuto anche dedicarsi a questa problematica. Nella causa Gallico c. Italia (no 53723/00), la Corte ha stimato utile precisare che non vedeva alcuna incomprensione di questa disposizione in ragione del semplice scorrimento del tempo. Nel caso di specifico, la Corte osserva che il richiedente è sottoposto al regime speciale da ottobre 2000 e che ad ogni rinnovo, il ministro della Giustizia ha preso in conto dei rapporti recenti della polizia che attestavano che il richiedente rimaneva una persona pericolosa (vedere anche la causa Bastone c. Italia, precitata).
44. In conclusione, la Corte stima che le restrizioni al diritto del richiedente al rispetto della sua vita familiare non sono andate al di là di ciò che, ai termini dell'articolo 8 § 2, è necessario, in una società democratica, alla sicurezza pubblica, alla difesa dell'ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali.
45. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
46. Concernente il controllo della corrispondenza, la Corte constata che questa parte della richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che questa non incontrs nessuno altro motivo di inammissibilità . Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
47. Il Governo ricorda che il controllo della corrispondenza del richiedente è stato ordinato in applicazione dell'articolo 18 della legge sull'amministrazione penitenziaria. Sottolinea che la Corte ha stimato già che questa disposizione non costituiva una base giuridica sufficiente ai termini della Convenzione, perché non indicava né la durata del controllo, né i motivi che potevano giustificarlo, né l’estensione e le modalità dell’ esercizio del potere di valutazione delle autorità competenti.
Però, nelle circostanze particolari del presente caso, la Corte dovrebbe scostarsi della sua giurisprudenza, perché da una parte, l'articolo 18 della legge sull'amministrazione penitenziaria prima della riforma non era privo dei requisiti necessari per servire da base legale ai sensi della Convenzione e che, dall’altra parte, le decisioni concernenti la corrispondenza del richiedente non potrebbero essere considerate contrarie alla Convenzione.
48. In quanto alla corrispondenza scambiata tra il richiedente e la Corte prima del 2004, il Governo sottolinea che il timbro di controllo apposto sulla lettera del 16 ottobre 2003 e sugli altri documenti non prova che un controllo delle autorità penitenziarie sia stato esercitato sui plichi mandati alla o provenienti dalla Corte.
49. Riguardo la lettera mandata dalla Corte al richiedente il 1 giugno 2005 e controllata il 7 giugno 2005, il Governo nota che il controllo è stato effettuato nel rispetto della legge nella misura in cui il controllo della corrispondenza dei detenuti viene effettuato per ragioni di sicurezza.
50. Il richiedente si oppone alle tesi del Governo.
51. La Corte considera che perciò che riguarda in generale la corrispondenza del richiedente, c'è stata "ingerenza di un'autorità pubblica" nell'esercizio del diritto del richiedente al rispetto della sua corrispondenza garantita dall'articolo 8 § 1. Simile ingerenza ignora questa disposizione salvo se, "prevista dalla legge", insegue uno o degli scopi legittimi allo sguardo del paragrafo 2 e, in più, è "necessaria, in una società democratica" per raggiungerli (Silver ed altri c. Regno Unito, sentenza del 25 marzo 1983, serie A no 61, p. 32, § 84; Campbell c. Regno Unito, sentenza del 25 marzo 1992, serie A no 233, p. 16, § 34; Calogero Diana c. Italia, sentenza del 15 novembre 1996, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V, p. 1775, § 28; Domenichini c. Italia, sentenza del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, p. 1799, § 28; Petra c. Romania, sentenza del 28 settembre 1998, Raccolta 1998-VII, p. 2853, § 36; Labita, precitata, § 179).
52. La Corte rileva che prima del 2004, il controllo della corrispondenza del richiedente è stato ordinato dal giudice dell'applicazione delle pene ai sensi dell'articolo 18 della legge sull'amministrazione penitenziaria. Ora, la Corte ha constatato già a più riprese che il controllo della corrispondenza fondato su questa disposizione ignora l'articolo 8 della Convenzione perché non "è previsto dalla legge" nella misura in cui non regolamenta né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti, né i motivi che possono giustificarla, e non indica con abbastanza chiarezza l’estensione e le modalità d’esercizio del potere di valutazione delle autorità competenti nella tenuta considerata (vedere, tra altre, Labita precitate, §§ 175-185). Non vede alcuna ragione di scostarsi nello specifico da una giurisprudenza che mira a permettere ad ogni detenuto di godere del grado minimo di protezione voluto dalla preminenza del diritto in una società democratica (Calogero Diana precitata, p. 1776, § 33).
53. Inoltre, riguardo alla corrispondenza della Corte da parte del richiedente, la Corte nota che la lettera che aveva mandato al richiedente il 1 giugno 2005 è stata aperta e controllata dalle autorità penitenziarie il 7 giugno 2005 come provano i timbri apposti sulla lettera e sulla busta.
54. Alla luce di ciò che precede, la Corte constata che il controllo della corrispondenza del richiedente non "era previsto dalla legge" ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione. Questa conclusione rende superfluo verificare nello specifico il rispetto delle altre esigenze del paragrafo 2 della stessa disposizione.
55. La Corte prende atto, del resto, dell'entrata in vigore della legge no 95/2004 (vedere la sentenza Ospina Vargas, precitata, § 21). E’ obbligata tuttavia a constatare che, da una parte, le modifiche portate alla legge sull'amministrazione penitenziaria non permettono di risanare le violazioni che hanno avuto luogo anteriormente alla loro entrata in vigore (Argenti precitata, § 38) e che, dall’altra parte, malgrado l'entrata in vigore di suddetta legge, la corrispondenza tra il richiedente e la Corte sono state sottoposte a controllo.
56. C'è stata dunque violazione dell'articolo 8 della Convenzione.
57. Questa conclusione dispensa la Corte dal dedicarsi sulla questione di sapere se i timbri di controllo che figurano sulla lettera del 16 ottobre 2003 e sugli altri documenti sono stati attaccati nel momento in cui sono stati mandati alla Corte o ricevute da questa ultima.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 6 E 13 DELLA CONVENZIONE
58. Il richiedente si lamenta di non avere potuto disporre di un ricorso interno effettivo contro le ordinanze del ministro della Giustizia. Adduce in particolare che le giurisdizioni interne competenti hanno esaminato fuori termine i suoi ricorsi ed in particolare quello contro l'ordinanza del 21 dicembre 2000.
Invoca l'articolo 13 della Convenzione così formulato:
"Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un'istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali. "
Conformemente alla sua pratica recente (vedere Ganci c. Italia, no 41576/98, §§ 19-26, 30 ottobre 2003, la Corte è dell'avviso che questo motivo di appello deve essere esaminato piuttosto sotto l'angolo dell'articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
"Ogni persona ha diritto affinché la sua causa venga sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà , delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile "
Sull'ammissibilitÃ
59. La Corte nota che nello specifico, nessuna prova dell'esistenza di un ritardo da parte delle autorità competenti sia stata portata dal richiedente. Peraltro, risulta dalla pratica che i tribunali di applicazione delle pene investiti si sono pronunciati sui reclami del richiedente prima della scadenza del periodo di validità delle ordinanze controverse (vedere sopra paragrafi 13-18) e che non vi sono stati nella presente causa né mancanza di decisione sul merito né ritardi sistematici del tribunale tali da provocare una concatenazione di ordinanze prese dal ministro della Giustizia senza tenere conto delle decisioni giudiziali.
Tenuto conto dell'insieme degli elementi in suo possesso, la Corte non ha rilevato nessuna apparenza di violazione dei diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli (vedere Campisi c. Italia, no 24358/02, §§ 71-79, 11 luglio 2006).
60. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
IV. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
61. Ai termini dell'articolo 41 della Convenzione,
"Se la Corte dichiara che c'è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c'è luogo, una soddisfazione equa. "
Danni, oneri e spese
62. Il richiedente adduce che le violazioni denunciate hanno provocato un danno. Chiede 1 000 000 euro (EUR) a titolo di danno materiale e morale.
63. Il Governo nota che la somma chiesta dal richiedente è eccessiva e che non ha supportato per niente la sua richiesta. Stima che la constatazione di violazione costituirebbe, di per sé, una soddisfazione equa sufficiente.
64. La Corte ricorda che ha concluso alla violazione della Convenzione unicamente per ciò che riguarda il controllo della corrispondenza del richiedente. Non vede nessuno legame di causalità tra questa violazione ed un qualsiasi danno materiale. In quanto al danno morale, stima che nelle circostanze dello specifico, la constatazione di violazione basta a compensarlo.
65. In quanto agli oneri e spese, il richiedente non ne ha chiesto il rimborso e la Corte considera che questo aspetto dell'applicazione dell'articolo 41 non richiama un esame d’ufficio (vedere, tra molte altre, Cardarelli c. Italia, sentenza del 27 febbraio 1992, serie A no 229-G, p. 75, § 19).
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dagli articoli 3 e 8 (controllo della corrispondenza) della Convenzione, ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che non c'è stata violazione dell'articolo 3 della Convenzione;
3. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione in ragione del controllo della corrispondenza del richiedente;
4. Stabilisce che la constatazione di violazione della Corte costituisce di per sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto il 27 marzo 2008 in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 dell'ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidente