SECONDA SEZIONE
CAUSA GÖKSEL TÜTÜN TİCARET VE SANAYİ A.Ş. c. TURCHIA
( Richiesta no 32600/03)
SENTENZA
STRASBURGO
22 settembre 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Göksel Tütün Ticaret ve Sanayi A.Ş. c. Turchia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jo�ienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 25 agosto 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All'origine della causa si trova una richiesta (no 32600/03) diretta contro la Repubblica della Turchia e in cui una persona giuridica di questo Stato, G. T. T. v. S. A.Ş. ("la richiedente"), ha investito la Corte il 1 settembre 2003 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. La richiedente è rappresentata dai Sig. Y. e S. A., avvocati a İzmir. Il governo turco ("il Governo") è rappresentato dal suo agente.
3. Il 6 marzo 2008, il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall'articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull'ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. La richiedente, G. T. T. v. S. A.Ş, è una società anonima di diritto turco che ha la sua sede sociale a İzmir.
5. Il 28 novembre 1989, un terreno di una superficie di 10 450 metri quadrati su cui si trovava un magazzino di tabacco di cinque piani, situato a Ä°zmir-Bornova, fu stabilito e fu registrato al registro fondiario sotto il numero di appezzamento 317 a nome della richiedente.
6. Con una deliberazione (no 53) del 26 gennaio 1993, il consiglio comunale di Bornova decise che una pianificazione dei suoli era necessaria nell'isolato 7 e che avrebbe riguardato due appezzamenti di terreno (numeri 315 e 5534). L'appezzamento no 317 della richiedente non era riguardato da questo atto.
7. Il 25 maggio 1995, il consiglio comunale di Bornova annullò però, la sua decisione iniziale e prese una nuova decisione (no 823).
8. In seguito a questa decisione, il 3 agosto 1995, basandosi principalmente sulle disposizioni dell'articolo 18 della legge sul piano di sviluppo del territorio, il municipio procedette alla modifica del piano di pianificazione dei suoli e stabilì un nuovo piano di lottizzazione e di distribuzione dei terreni.
9. 3224 metri quadrati, o il 30,9% della superficie totale, dell'appezzamento di terreno appartenente alla richiedente fu preso a titolo di partecipazione al piano di sviluppo del territorio, il che permise al municipio di procedere alla creazione di un spazio verde, di un parco e di un'area giochi per bambini.
10. Il 7 settembre 1995, la richiedente contestò questa decisione presso il municipio.
11. Il 24 ottobre 1995, il consiglio comunale respinse il suo reclamo e confermò la sua precedente decisione.
12. Il 27 novembre 1995, la richiedente investì il tribunale amministrativo di İzmir (qui di seguito, "il tribunale") di un’istanza per annullamento dell'atto amministrativo del 25 maggio 1995 e del piano di lottizzazione che gli era annesso. Sostenne, da prima, che la nuova lottizzazione era stata effettuata nell'interesse di un individuo e, poi che non era stata stabilita nessuna rivalutazione del suo terreno, ai sensi dell'articolo 18 della legge no 3194 sul piano di sviluppo del territorio.
13. Il 28 febbraio 1997, il tribunale considerò che l'atto amministrativo attaccato era conforme alla legge. Per fare questo, si basò principalmente su un rapporto di perizia e sul piano di pianificazione urbana.
14. Il 15 maggio 1997, la richiedente ricorse in cassazione.
15. Il 20 aprile 1998, il Consiglio di stato annullò il giudizio attaccato. L'alta giurisdizione amministrativa rilevò che, per certi appezzamenti concernenti l'isolato, il tasso si partecipazione ai carichi pubblici aveva superato il massimo del 35% previsto dall'articolo 18 della legge sul piano di sviluppo del territorio.
16. Il 28 dicembre 1999, il tribunale si conformò alla sentenza del Consiglio di stato chiarendo i fatti e modificando i motivi del suo giudizio del 28 febbraio 1997, e respinse di nuovo la richiedente della sua istanza. Osservò in particolare che all'epoca della ridistribuzione dei terreni che erano oggetto del progetto di pianificazione urbana riguardata, il 65% della superficie totale dell'appezzamento di terreno appartenente al municipio erano stati considerati anche a titolo della partecipazione al piano di sviluppo del territorio. Considerò che c'era una causa di utilità pubblica come fondamento dell'atto amministrativo attaccato nella misura in cui il municipio aveva proceduto nell'insieme dell'isolato alla creazione di una strada, di una piazza e di un spazio verde.
17. Il 12 aprile 2000, la richiedente formò un ricorso in cassazione contro questo giudizio.
18. Con una sentenza del 25 ottobre 2001, il Consiglio di stato confermò in tutte le sue disposizioni la decisione della giurisdizione amministrativa di prima istanza, considerando che era conforme alla legge ed alle regole di procedimento.
19. Il 9 gennaio 2002, la richiedente formò un ricorso per rettifica della sentenza.
20. Il 19 febbraio 2003, il Consiglio di stato respinse anche questo ricorso. Questa sentenza fu notificata alla richiedente il 31 marzo 2003.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
21. Secondo l'articolo 18 di legge no 3194 sul piano di sviluppo del territorio, quando un terreno trae profitto da una pianificazione di interesse pubblico, come una rete viaria, una piazza pubblica, un parcheggio, un parco, una zona verde, un luogo di preghiera o un’ ufficio di polizia, la sua superficie può essere ridotta in compenso del plusvalore derivato della pianificazione in questione, e questo senza nessuno indennizzo. La parte così prelevata può andare fino al 35% della superficie iniziale del terreno (il 40% dalla legge del 3 dicembre 2003).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
22. Invocando l'articolo 1 del Protocollo no 1, la richiedente si lamenta de fatto che è stata privata di 3 224 metri quadrati del suo terreno senza nessun indennizzo, in applicazione dell'articolo 18 della legge no 3194 sull'urbanistica. È di parere che non c'era interesse pubblico da poter giustificare la modifica del piano di pianificazione dei suoli e la determinazione di un nuovo piano di lottizzazione e di distribuzione dei terreni. Sostiene che il nuovo piano di urbanistica è stato adottato a profitto di un individuo. Inoltre, stima che nessuna rivalutazione del restante del suo terreno è risultata dalle pianificazioni effettuate.
23. Il Governo eccepisce del non-esaurimento delle vie di ricorso interne. Secondo lui, se la richiedente stimasse che l'atto attaccato era stato adottato per favorire un individuo, avrebbe avuto il dovere di investire prima le giurisdizioni nazionali competenti di questo motivo di appello prima di introdurre la sua richiesta dinnanzi alla Corte. Sul merito, il Governo fa osservare che l'ingerenza era prevista dalla legge no 3194 sull'urbanistica e che inseguiva un scopo di utilità pubblica. Secondo lui, l'articolo 18 di suddetta legge permette alle municipalità di acquisire una parte di terreno facente parte di una proprietà privata allo scopo di portare lì dei servizi o delle attrezzature di interesse pubblico. Per il Governo, questa competenza assegnata alle municipalità non ha per effetto di imporre un carico eccessivo ai proprietari. Fa valere che nello specifico, il collocamento in posto di una strada, di una piazza e di uno spazio verde ha avuto insindacabilmente per effetto di aumentare il valore del terreno controverso. Così, secondo il Governo, un giusto equilibrio è stato rispettato e di conseguenza, la situazione denunciata non è incompatibile con le disposizioni dell'articolo 1 del Protocollo no 1.
24. La richiedente si oppone a questa tesi e reitera in particolare i suoi argomenti secondo cui nessuno interesse pubblico rendeva necessario la modifica del piano di pianificazione urbana effettuata dalla municipalità . Così, sostiene che la privazione del 30,9% della superficie del suo terreno senza che nessuna indennità le sia stata accordata è un attentato sproporzionato al suo diritto al rispetto dei suoi beni ai sensi dell'articolo 1 del Protocollo no 1.
25. La Corte non stima di doversi pronunciare sulla questione dell'esaurimento delle vie di ricorso interne al motivo che ad ogni modo, il motivo di appello derivato dall'articolo 1 del Protocollo no 1 è manifestamente mal fondato per le ragioni esposte qui sotto.
26. La Corte ricorda che l'articolo 1 del Protocollo no 1 esige che un'ingerenza dell'autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni sia legale. La preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è inerente all'insieme degli articoli della Convenzione (Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 58, CEDH 1999-II).
27. L'ingerenza nel diritto di proprietà deve prevedere uno "scopo legittimo" conforme all’"interesse generale." Deve esistere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto da ogni misura che priva una persona della sua proprietà (Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri c. Belgio, 20 novembre 1995, § 38, serie Ha no 332, e Yagtzilar ed altri c. Grecia, no 41727/98, § 40, CEDH 2001-XII). È ciò che esprime la nozione di "giusto equilibrio" da predisporre tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo (Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 69, serie A no 52). La preoccupazione di garantire tale equilibrio si riflette anche nella struttura dell'insieme delle disposizioni dell'articolo 1 del Protocollo no 1.
28. Per valutare se è preservato un giusto equilibrio tra i diversi interessi in causa e, tra l’altro, se non è stato imposto un carico smisurato alla persona privata della sua proprietà , occorre all'evidenza avere riguardo alle condizioni del risarcimento (Lithgow ed altri c. Regno Unito, 8 luglio 1986, §§ 120-121, serie A no 102). A questo riguardo, la Corte ha giudicato già che, senza il versamento di una somma ragionevolmente in rapporto col valore del bene, una privazione di proprietà costituisce normalmente un attentato eccessivo. Tuttavia, degli obiettivi legittimi "di utilità pubblica", come perseguiti dalle misure di riforma economica o di giustizia sociale, possono militare per un rimborso inferiore al pieno valore commerciale (James ed altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 54, serie A no 98).
29. Per ciò che riguarda l'applicazione nello specifico dei suddetti principi, la Corte constata in primo luogo che la privazione di 3 224 metri quadrati del suo terreno costituisce un'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni della richiedente che si analizza in una privazione di proprietà ai sensi della seconda frase del primo capoverso dell'articolo 1 del Protocollo no 1.
30. La Corte osserva, innanzitutto, che questa privazione di proprietà era prevista dalla legge, nell'occorrenza con l'articolo 18 della legge no 3194.
31. Considera, poi, che questa ingerenza inseguiva uno scopo legittimo di utilità pubblica nella misura in cui la modifica del piano di pianificazione dei suoli e la determinazione di un nuovo piano di lottizzazione e di distribuzione dei terreni ha permesso alla municipalità di Bornova di creare una strada, una piazza ed uno spazio verde, (vedere sopra paragrafo 16). Peraltro, niente indica nella pratica che la municipalità abbia tratto dall'applicazione delle disposizioni dell'articolo 18 della legge no 3194 un utile (vedere, a contrario, Karaman c. Turchia, no 6489/03, § 32, 15 gennaio 2008).
32. La Corte ammette che, nel suo principio, la cessione di una parte del terreno della richiedente a titolo della partecipazione al costo della pianificazione urbana costituisce una contropartita del plusvalore portato al terreno dai lavori realizzati dalla municipalità in questa zona.
33. In quanto all'opportunità di fissare il tasso di questa partecipazione al 30,9% della superficie del terreno, la Corte non stima di dovere mettere in causa i criteri di stima del plusvalore portato ad un terreno dai lavori pubblici e della quantità di terreno da cedere a titolo della partecipazione ai costi della pianificazione urbana (vedere Seyhan c. Turchia, (dec.), no 45810/99, 20 maggio 2008, mutatis mutandis, Oral c. Turchia, (dec.), no 32362/03, 25 novembre 2008, Yýltaþ Yıldız Turistik Tesisleri A.Ş. c. Turchia, no 30502/96, § 38, 24 aprile 2003, e Papachelas c. Grecia [GC], no 31423/96, § 49, CEDH 1999-II).
34. Alla vista degli elementi della pratica ed avuto riguardo al margine di valutazione che l'articolo 1 del Protocollo no 1 lascia alle autorità nazionali, la Corte considera che il tasso della partecipazione alla pianificazione urbana imposta al richiedente non era di natura tale da compromettere il giusto equilibro tra l'interesse generale e gli imperativi di salvaguardia dei diritti dell'interessata.
35. Ne segue che questa parte della richiesta è manifestamente mal fondata e deve essere respinta in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
36. Invocando l'articolo 6 § 1 della Convenzione, la richiedente si lamenta anche della durata del procedimento dinnanzi ai tribunali interni.
37. Il Governo contesta la tesi della richiedente. Sostiene che la causa di questa è stata sentita in un "termine ragionevole" dalle giurisdizioni nazionali.
38. La Corte osserva che il periodo da considerare è cominciato il 7 settembre 1995, data dell'immissione nel processo preliminare della municipalità da parte della richiedente. A questo riguardo, ricorda che se l'immissione nel processo di una giurisdizione deve essere preceduta da un ricorso preliminare, il procedimento amministrativo preliminare che ne deriva viene incluso nel periodo da considerare (Vallée c. Francia, 26 aprile 1994, § 33, serie A no 289-ha, e Santoni c. Francia, no 49580/99, § 37, 29 luglio 2003). Il periodo in causa nello specifico si è concluso il 19 febbraio 2003 con la sentenza del Consiglio di stato. È durata più di sette anni e cinque mesi, per due gradi di giurisdizione, dunque.
39. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione rileva inoltre che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità . Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
40. La Corte ricorda che il carattere ragionevole della durata di un procedimento si rivaluta secondo le circostanze della causa ed avuto riguardo ai criteri consacrati dalla sua giurisprudenza, in particolare la complessità della causa, il comportamento della richiedente e quello delle autorità competenti così come la posta della controversia per gli interessati (vedere, tra molte altre, Frydlender c. Francia [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
41. Ricorda anche che ha trattato a più riprese cause che sollevano delle questioni simili a quella del caso di specifico in cui ha constatato la violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione (Frydlender, precitato).
42. Nello specifico, dopo avere esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti, considera che il Governo non ha esposto nessuno fatto né argomento che possano condurre ad una conclusione differente nella presente causa.
43. Tenuto conto della sua giurisprudenza in materia la Corte stima, che nello specifico la durata del procedimento controverso, di più di sette anni e cinque mesi, per due gradi di giurisdizione, è eccessiva e non risponde all'esigenza del "termine ragionevole."
44. Pertanto, c'è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.
III. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
45. Resta la questione dell'applicazione dell'articolo 41 della Convenzione. La richiedente richiede 806 000 euro (EUR) per danno materiale e 100 000 EUR per danno morale. Chiede anche 50 000 EUR per oneri e spese e fornisce a titolo di giustificativo una convenzione di parcella.
46. La Corte non vede legame di causalità tra la violazione constatata ed il danno materiale addotto e respinge questa domanda. In compenso, considera che c'è luogo di concedere al richiedente 4 000 EUR a titolo del danno morale. In quanto agli oneri e spese, la Corte stima ragionevole la somma di 1 000 EUR, ogni onere compreso, e l'accorda al richiedente.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, alla maggioranza, la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello tratto dall'articolo 6 § 1 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce, all'unanimità , che c'è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce, all'unanimità ,
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva in virtù dell'articolo 44 § 2 della Convenzione, 4 000 EUR (quattromila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale, e 1 000 EUR (mille euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese, da convertire in nuove lire turche al tasso applicabile in data dell'ordinamento;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge, all'unanimità , la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 22 settembre 2009, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 dell'ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell'ordinamento, l'esposizione dell'opinione dissidente dei giudici Popoviæ e Sajó.
F.T.
S.D.
OPINIONE PARZIALMENTE DISSIDENTE DEI GIUDICI POPOVIĆ E SAJÓ
Nella causa di cui veniamo a conoscenza qui, la proprietaria di un terreno è stata presumibilmente privata dalla sua proprietà ad un scopo di utilità pubblica. Ora il governo convenuto non ha provato questa utilità pubblica, ed rimangono delle serie ragioni di pensare che l'espropriazione serviva da prima gli interessi di uno solo particolare. Allo stesso tempo, lo stato non ha indennizzato la richiedente secondo il pieno valore commerciale del bene di cui è stata spossessata, ma il Governo considera che trae un utile dall'uso pubblico che è fatto di questa frazione del suo terreno e che, tenuto conto dell'utile così derivato, non debba percepire un indennizzo finanziario per i 31% della superficie del terreno che ha perso. Il Governo invoca la legislazione interna a sostegno della sua tesi.
Dobbiamo porci due domande in quanto alle circostanze menzionate più sopra. Primariamente, un giusto equilibrio è stato predisposto nello specifico tra, da una parte, l'interesse pubblico e, dall’altra parte, l'interesse privato e, secondariamente, la legislazione interna non accorda all'amministrazione un potere eccessivo quando questa inizia ad espropriare dei beni?
Per ciò che riguarda la prima domanda, conviene osservare che il principio generale sull'indennizzo è stato enunciato nella causa Lithgow ed altri c. Regno Unito, (8 luglio 1986, § 121, serie A no 102) dove la Corte ha detto che l'articolo 1 del Protocollo no 1 non "garantisce in ogni caso il diritto ad un compenso integrale." Partiremo dall'ipotesi, puramente teorica, che nello specifico bisognava dedicarsi unicamente a ricercare un giusto equilibrio e non un compenso integrale, e che le circostanze previste nella causa Lithgow si trovassero riunite. Resta che la Corte pone dei limiti all'abbassamento del compenso al di qua del pieno valore commerciale, perché dice al paragrafo 122 della stessa sentenza che il margine di valutazione di cui dispone uno Stato membro di stabilire le modalità di indennizzo non deve rivelarsi "manifestamente privo di base ragionevole."
È precisamente qui che entra in gioco la seconda domanda posta più sopra. Sembra evidente che la legislazione turca non risponda in materia al criterio della "base ragionevole." Permette all'amministrazione di dire quale parte di un bene immobiliare, fino al 35% della totalità , non dà luogo all’indennizzo e di compensare il resto, o il 65%, ad un prezzo inferiore al valore del mercato senza indicare sotto quale limite questa somma non deve scendere. Si ha il sentore che l'amministrazione si vede conferire in qualche modo un potere arbitrario che è irragionevole in sé. Inoltre, il Governo non ci ha convinti che nella presente causa l'amministrazione abbia predisposto un giusto equilibrio e dunque sia riuscito a sfuggire ad una decisione arbitraria, e dunque irragionevole ai nostri occhi che si scosta manifestamente dalla giurisprudenza consolidata della Corte, senza nessuno motivo.
La presente causa è stata decisa sulla base del decisione Seyhan c. Turchia ( (dec.), no 45810/99, 20 maggio 2008) e della sentenza Papachelas c. Grecia ([GC], no 31423/96, § 54, CEDH 1999-II,). Il principio invocato in queste cause è che in caso di espropriazione per causa "di utilità pubblica", se la parte espropriata trae un beneficio dall'espropriazione, questo utile può entrare in fila di conto per la determinazione del compenso. Ciò non rileva tuttavia dell'obbligo di ricercare se un giusto equilibrio sia stato realmente predisposto. Nello specifico, non si è proceduto per niente a questa analisi. Per di più, a differenza delle cause citate, non appare chiaramente nella presente causa che la richiedente abbia derivato un qualunque beneficio dall'espropriazione. Nella causa Seyhan, il terreno del proprietario era stato riclassificato da rurale a "urbano" e dei lavori di infrastrutture erano stati effettuati, il che non è il caso nello specifico; nella causa Papachelas, i proprietari avevano beneficiato del varco su una nuova strada nazionale, mentre nello specifico la proprietaria aveva già un accesso sufficiente alla strada. ( Non si può concepire che la fabbrica di tabacco della proprietaria abbia derivato un beneficio dallo spazio verde progettato.) Infine, in tutte le cause citate, l'utile per il pubblico è stato valutato e considerato come una parte del compenso, ma ciò non permetteva di fare economia dell'analisi del giusto equilibrio. L'approccio del giusto equilibrio è stato applicato in queste cause al compenso stesso: una volta dedotto l'utile, i richiedenti hanno percepito un compenso minimo fondato su una valutazione reale che predisponeva il giusto equilibrio voluto.
Nello specifico, la Corte stima che, dato che la proprietaria è stata privata di meno del 31% della superficie e che ne avrà derivato personalmente l'utile addotto, non è necessario determinare se la perdita di valore (che potrebbe superare di molto in proporzione la riduzione della superficie) sia stata realmente e proprio equilibrata con l'utile addotto. È di giurisprudenza consolidata che le presunzioni irrefragabili, come quella considerata nello specifico in quanto agli utili derivati, siano contrarie alla Convenzione. Al paragrafo 53 della sentenza Papachelas precitata, la Grande Camera si è espressa in questi termini:
"La Corte osserva che, nel sistema applicato nell'occorrenza, l'indennità è, in ogni caso, ridotta di un importo che equivale al valore di una striscia di quindici metri, senza che sia permesso ai proprietari interessati di fare valere che in realtà i lavori di cui si tratta abbiano per effetto, o di non procurare loro nessuno vantaggio o un vantaggio minimo, o di fare loro subire un danno più o meno importante. (italico aggiunto da noi)
Di una rigidità eccessiva, questo sistema che non tiene nessuno conto della diversità delle situazioni, ignorando le differenze che risultano in particolare dalla natura dei lavori e dalla configurazione dei luoghi, ha portato già la Corte a concludere alla violazione dell'articolo 1 del Protocollo no 1 in due cause simili (vedere le sentenze Katikaridis ed altri c. Grecia del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, pp. 1688-1689, § 49, e Tsomtsos ed altri c. Grecia del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, pp. 1715-1716, § 40. ")