SECONDA SEZIONE
CAUSA GALLUCCI C. ITALIA
( Richiesta no 10756/02)
SENTENZA
STRASBURGO
12 giugno 2007
DEFINITIVO
12/11/2007
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Gallucci c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell'uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
La Sig.ra F. Tulkens, presidentessa, Sigg. A.B. Baka, I. Cabral Barreto, V. Zagrebelsky, il Sig.re A. Mularoni, D. Jo�ienė, il Sig. D. Popović, giudici,
e dalla Sig.ra S. Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 22 maggio 2007,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All'origine della causa si trova una richiesta (no 10756/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. G. G. ("il richiedente"), ha investito la Corte il 18 dicembre 2001 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle Libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. Il richiedente è rappresentato da C. D., avvocato a Parma. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, il Sig. Ivo Maria Braguglia e dal suo coagente aggiunto, il Sig. Nicola Lettieri.
3. Il 3 gennaio 2005, la Corte ha deciso di comunicare i motivi di appello derivati dagli articoli 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione al Governo, 8 della Convenzione, 2 del Protocollo no 4 alla Convenzione, 6 § 1 (in quanto al diritto di accesso ad un tribunale) e 13 della Convenzione. Il 1 giugno 2006, la Corte ha deciso di comunicare anche il motivo di appello tratto dall'articolo 6 § 1 della Convenzione al Governo (in quanto alla durata del procedimento di fallimento) formulato dal richiedente il 27 gennaio 2006. Avvalendosi delle disposizioni dell'articolo 29 § 3, ha deciso che sarebbero state esaminati l'ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato in 1934 e risiede a Noceto (Parma).
A. Il procedimento di fallimento
5. Con un giudizio depositato il 5 marzo 1992, il tribunale di Parma dichiarò il fallimento della società del richiedente, che esercitava un'attività di merceria, così come il suo fallimento personale.
6. L'udienza per la verifica dello stato del passivo del fallimento fu fissata al 8 maggio 1992 e, il 2 giugno 1992, il giudice delegato dichiarò esecutivo lo stato del passivo del fallimento.
7. Il 16 aprile 1992, il curatore depositò nel frattempo, un rapporto che indicava, tra l’altro, che il richiedente non aveva tenuto le scritture contabili in modo regolare e che aveva omesso di depositare alla cancelleria lo stato dettagliato delle sue attività .
8. Il 28 luglio 1992, il 4 novembre 1992 ed l’ 11 ottobre 1994, certi beni facenti parte dell'attivo del fallimento furono venduti.
9. Nel frattempo, il 5 marzo 1993, il curatore depositò un secondo rapporto che indicava che l'attività principale del fallimento aveva per oggetto dei procedimenti, che miravano a ricuperare dei crediti del richiedente, iniziati da questo ultimo e dagli organi del fallimento contro, tra l’altro, l'amministrazione fiscale, di alcuni clienti del richiedente così come del proprietario dei locali utilizzati dalla società .
10. Il 1 ottobre 1993, il curatore depositò un altro rapporto che indicava che, secondo una perizia, il valore dell'attività del richiedente all'epoca della dichiarazione di fallimento era di circa 15 000 000 di lire italiane (circa 7 747 euro) e che "alcune centinaia di milioni di lire italiane erano state sottratte dal richiedente." Secondo il curatore, si trattava di un caso di bancarotta fraudolenta.
11. Il 2 gennaio 1995 altri crediti furono tardivamente ammessi al passivo del fallimento.
12. Il 30 giugno 1997, fu chiuso un procedimento impegnato dal richiedente contro la provincia di Salerno riguardante il recupero di un credito.
13. Il 12 settembre 2000, il richiedente, in seguito ad un procedimento, ottenne 79 000 000 ITL (circa 40 800 euro) da parte dell'amministrazione fiscale.
14. Ad una data non precisata del mese di dicembre 2003, il richiedente ottenne un altro credito non precisato da parte dell'amministrazione fiscale.
15. Il 6 luglio 2004 ed il 31 dicembre 2004, il giudice invitò il curatore a verificare l'opportunità di continuare il solo procedimento fiscale che era un ostacolo alla chiusura del procedimento.
16. Con una decisione del 5 febbraio 2007, il tribunale dichiarò il procedimento chiuso per ripartizione finale dell'attivo del fallimento.
B. Il procedimento introdotto conformemente alla legge Pinto
17. Il 20 dicembre 2001, il richiedente introdusse un ricorso dinnanzi alla corte di appello di Ancona conformemente alla legge Pinto lamentandosi della durata del procedimento di fallimento così come delle incapacità derivanti da questa.
18. Con una decisione depositata il 17 maggio 2002, la corte di appello respinse l’istanza del richiedente. Considerò che la durata del procedimento non era stata irragionevole, tenuto conto della necessità di iniziare parecchi procedimenti civili e fiscali che miravano a ricuperare dei crediti del richiedente e, dunque, a proteggere i creditori del fallimento.
19. Il 6 marzo 2003, il richiedente ricorse in cassazione.
20. Con una sentenza depositata il 3 ottobre 2005, la Corte di cassazione considerò che la decisione della corte di appello era stata debitamente motivata e respinse il richiedente.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
21. Il diritto interno pertinente è descritto nelle sentenze Campagnano c. Italia (no 77955/01, §§ 19-22, 2 marzo 2006), Albanese c. Italia, (no 77924/01, §§ 23-26, 2 marzo 2006) e Vitiello c. Italia (no 77962/01, §§ 17-20, 2 marzo 2006,).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO ALLA DURATA DEL PROCEDIMENTO,
22. Invocando l'articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta della durata del procedimento. Questo articolo è formulato così:
"Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà , delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile "
A. Sull'ammissibilitÃ
23. La Corte constata che il richiedente ha esaurito le vie di ricorso interne conformemente alla legge Pinto. Considera che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che questo non incontra nessun altro motivo di inammissibilità . Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
24. Il Governo ammette al primo colpo che il procedimento in questione, "iniziato il 5 marzo 1992 e finito il 5 febbraio 2007, ha superato il termine ragionevole" e nota che la corte di appello di Ancona è arrivata ad una conclusione differente poiché, all'epoca della decisione, la durata criticata era ancora "ragionevole", ai sensi dell'articolo 6 § 1 della Convenzione. Il Governo considera poi che, in ogni caso, non ci sarebbe luogo di concedere al richiedente una soddisfazione equa in ragione, da una parte, della complessità del procedimento e, dall’altra parte, del comportamento del richiedente.
25. Il richiedente mantiene il suo motivo di appello.
26. La Corte ricorda che il carattere ragionevole della durata di un procedimento che dipende dall'articolo 6 § 1 della Convenzione deve rivalutarsi in ogni caso specifico a seguito delle circostanze della causa ed avuto riguardo ai criteri consacrati dalla giurisprudenza della Corte, in particolare alla complessità della causa, al comportamento dei richiedenti ed a quello delle autorità competenti (vedere, tra molte altre, Comingersoll c. Portogallo, [GC], no 35382/97, CEDH 2000-IV).
27. Il periodo da considerare è cominciato il 5 marzo 1992 e si è concluso il 5 febbraio 2007. È durato dunque quattordici anni ed undici mesi.
28. La Corte ha trattato a più riprese cause che sollevano delle questioni simili a quella del caso specifico e ha constatato la violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere, tra molte altre, Frydlender c. Francia [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
29. Dopo avere esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti, la Corte constata la complessità del procedimento di fallimento del richiedente. Tuttavia, considera che il Governo non ha esposto nessuno fatto né argomento convincente da poter giustificare un termine di quasi quindici anni o condurla ad una conclusione differente nel caso presente. Tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte stima che nello specifico la durata del procedimento controverso è eccessiva e non risponde all'esigenza del "termine ragionevole" (Di Blasi c. Italia, no 1595/02, 5 ottobre 2006).
30. Pertanto, c'è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEI GLI ARTICOLI 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 ALLA CONVENZIONE, 8 DELLA CONVENZIONE E 2 DEL PROTOCOLLO NO 4 ALLA CONVENZIONE
31. Invocando rispettivamente gli articoli 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, 8 della Convenzione e 2 del Protocollo no 4 alla Convenzione, il richiedente si lamenta in particolare della violazione del suo diritto al rispetto dei beni, della sua corrispondenza e della sua vita familiare e della sua libertà di circolazione, in ragione della durata del procedimento. Questi articoli sono formulati così:
Articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione
"Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l'uso dei beni conformemente all'interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. "
Articolo 8 della Convenzione
Articolo 8 della Convenzione
"1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare e della sua corrispondenza.
2. Non esserci ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla protezione dei diritti e libertà altrui. "
Articolo 2 del Protocollo no 4 alla Convenzione
"1. Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di un Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di scegliere liberamente la sua residenza.
2. Ogni persona è libera di lasciare qualsiasi paese, ivi compreso il suo.
3. L'esercizio di questi diritti non può essere oggetto di altre restrizioni se non quelle che, previste dalla legge, costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica,(…) alla protezione dei diritti e libertà altrui.
4. I diritti riconosciuti al paragrafo 1 possono anche, in certe determinate zone, essere oggetto di restrizioni che, previste dalla legge, sono giustificate dall'interesse pubblico in una società democratica. "
A. Sull'ammissibilitÃ
32. La Corte nota da prima che il richiedente ha omesso di supportare il motivo di appello riguardante il suo diritto al rispetto della sua vita familiare. Questa parte della richiesta deve essere dunque respinta per difetto manifesto di fondamento secondo l'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
33. Rileva poi che, nella sua sentenza no 362 del 2003, depositata il 14 gennaio 2003, la Corte di cassazione ha per la prima volta riconosciuto che il risarcimento morale relativo alla durata dei procedimenti di fallimento deve tenere conto, tra l’altro, del prolungamento delle incapacità derivanti dallo statuto di fallito.
34. La Corte ricorda di avere considerato che, a partire dal 14 luglio 2003, la sentenza no 362 del 2003 non può più essere ignorata dal pubblico e che è a contare da questa data che deve essere richiesto dai richiedenti che utilizzino questo ricorso ai fini dell'articolo 35 § 1 della Convenzione (vedere Sgattoni c. Italia, no 77132/01, § 48, 6 ottobre 2005).
35. La Corte constata che, nel caso specifico, il richiedente ha esaurito le vie di ricorso interne conformemente alla legge Pinto. Questa parte della richiesta non è dunque manifestamente mal fondata ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che questa non incontra nessuno altro motivo di inammissibilità . Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
36. Il Governo reitera il suo argomento secondo cui il comportamento tenuto dal richiedente ha contribuito alla lunghezza del procedimento. Peraltro, in quanto al motivo di appello derivato dall'articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, sostiene che i beni facenti parte dell'attivo del fallimento "sono solamente dei beni acquistati a credito, cioè dei beni che il fallito ha ricevuto dai fornitori senza pagarli, sotto promessa di pagamento". In breve, si tratterebbe di beni dei creditori e non della persona messa in fallimento.
37. Il richiedente mantiene i suoi motivi di appello.
38. La Corte rileva che ha trattato già delle cause simili a quella del caso specifico e ha constatato la violazione degli articoli 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, 8 della Convenzione e 2 del Protocollo no 4 alla Convenzione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere Luordo c. Italia, no 32190/96, CEDH 2003-IX, e Di Blasi c. Italia, precitata).
39. Dopo avere esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti, la Corte considera che il Governo non ha esposto nessuno fatto né argomento convincente da poter condurre a conclusioni differenti nel caso presente. La lunghezza del procedimento in questione ha provocato la rottura dell'equilibrio da predisporre tra gli interessi generali del pagamento dei creditori del fallimento e l'interesse del richiedente al rispetto dei suoi beni, della sua corrispondenza e della sua libertà di circolazione.
40. Pertanto, c'è stata violazione degli articoli 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, 8 della Convenzione e 2 del Protocollo no 4 alla Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 6 § 1, IN QUANTO AL DIRITTO D’ACCESSO AD UN TRIBUNALE, E 13 DELLA CONVENZIONE
A. Sull'ammissibilitÃ
41. Invocando l'articolo 6 § 1 (precitato, paragrafo 22 sopra, e l'articolo 13 della Convenzione, il richiedente si lamenta per il fatto che il legge Pinto non fornisce una via di ricorso effettivo per lamentarsi del prolungamento delle incapacità che derivano del collocamento in fallimento. L'articolo 13 è formulato così:
Articolo 13
"Ogni persona i cui diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un'istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali. "
42. Il Governo sostiene che il richiedente avrebbe potuto avvalere dei rimedi previsti dagli articoli 26 e 36 della legge sul fallimento, che prevedevano rispettivamente la possibilità di introdurre un reclamo contro le decisioni del giudice delegato e contro gli atti del curatore.
43. Il richiedente osserva che questi articoli non forniscono un rimedio effettivo per lamentarsi della durata del procedimento e delle limitazioni prolungate derivanti dal collocamento in fallimento.
44. La Corte ricorda di avere già constatato al primo colpo la violazione dell'articolo 13 della Convenzione in ragione della mancanza di un ricorso effettivo per lamentarsi della limitazione prolungata del diritto al rispetto della corrispondenza del fallito (Bottaro c. Italia, no 56298/00, §§ 41-46, 17 luglio 2003). Stima dunque che il motivo di appello sollevato dal richiedente deve essere esaminato unicamente sotto l'angolo di questa disposizione.
45. Osserva poi che l'articolo 26 della legge sul fallimento contempla certo la possibilità per il richiedente di introdurre un ricorso dinnanzi al tribunale. Tuttavia, questo ricorso ha per oggetto solo le decisioni del giudice delegato e non può, per questo fatto, costituire un rimedio effettivo contro la restrizione prolungata del diritto al rispetto della corrispondenza, dei beni e della libertà di circolazione del richiedente, conseguenza diretta del giudizio che dichiara il fallimento e non di una decisione del giudice delegato.
46. Inoltre, la Corte rileva che l'articolo 36 della legge sul fallimento contempla la possibilità di investire il giudice delegato per lamentarsi degli atti di amministrazione del curatore. Tuttavia, la Corte osserva che questo ricorso riguarda le attività di amministrazione del patrimonio del fallito compiute dal curatore fino alla vendita dei beni e la soddisfazione dei creditori. Non può essere dunque in nessun caso di natura tale da portare rimedio al prolungamento delle incapacità di cui il richiedente è stato oggetto (Bottaro, precitata, § 45).
47. La Corte constata che questa parte della richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che questa non incontra nessun altro motivo di inammissibilità . Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
48. La Corte ha trattato già cause che sollevavano delle questioni simili a quelle del caso specifico e ha constatato la violazione dell'articolo 13 della Convenzione (vedere Bottaro c. Italia, precitata, §§ 41-46, Campagnano c. Italia, precitata, §§ 67-77, e Di Blasi c. Italia, precitata, §§ 56-59).
49. La Corte ha esaminato la presente causa e ha considerato che il Governo non ha fornito nessuno fatto né argomento convincente da poter condurre ad una conclusione differente nel caso presente.
50. Pertanto, conclude che c'è stata violazione dell'articolo 13 della Convenzione.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 3 DEL PROTOCOLLO NO 1 ALLA CONVENZIONE
51. Invocando l'articolo 3 del Protocollo no 1 alla Convenzione, il richiedente si lamenta della limitazione del suo diritto di voto seguito al suo collocamento in fallimento. Questo articolo è formulato così:
"Le Alte Parti contraenti si impegnano ad organizzare, ad intervalli ragionevoli, delle elezioni libere dallo scrutino segreto, in condizioni che garantiscono la libera espressione dell'opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo."
52. La Corte nota che la perdita del diritto di voto in seguito al collocamento in fallimento non può superare cinque anni a partire dalla data del giudizio che dichiara il fallimento. Ora, essendo stato depositato questo giudizio il 5 marzo 1992, il richiedente avrebbe dovuto introdurre il suo motivo di appello al più tardi il 5 settembre 1997. Essendo stata introdotta la richiesta il 18 dicembre 2001, la Corte constata che questo motivo di appello è stato introdotto al di là del termine dei sei mesi e deve essere respinto conformemente all'articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
V. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO A L'IMPOSSIBILITÀ D’ACCEDERE AI DOCUMENTI DEL PROCEDIMENTO,
53. Invocando l'articolo 6 § 1 della Convenzione (precitato, paragrafo 22 sopra) il richiedente si lamenta dell'impossibilità d’accedere ai documenti del procedimento.
54. La Corte nota che il richiedente ha omesso di supportare questo motivo di appello e stima dunque che questo deve essere respinto per difetto manifesto di fondamento secondo l'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
VI. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO DI STARE IN GIUDIZIO
55. Nelle sue osservazioni in risposta a quelle del Governo, il richiedente, invocando l'articolo 6 della Convenzione (precitato, paragrafo 22 sopra) si lamenta per la prima volta della limitazione del suo diritto di stare in giudizio derivante dalla dichiarazione di fallimento.
56. La Corte constata che questo motivo di appello, introdotto dopo la comunicazione della richiesta al governo convenuto, non costituisce un aspetto dei motivi di appello su cui le parti hanno scambiato le loro osservazioni (vedere Piryanik c. Ucraina, no 75788/01, §§ 19-20, 19 aprile 2005 e Nuray Şen c. Turchia (no 2), no 25354/94, §§ 199-200, 30 marzo 2004).
57. Tenuto conto di queste considerazioni, a questo stadio del procedimento, la Corte stima che non c'è luogo di esaminare separatamente questo motivo di appello.
VII. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
58. Ai termini dell'articolo 41 della Convenzione,
"Se la Corte dichiara che c'è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c'è luogo, una soddisfazione equa. "
A. Danno
59. Il richiedente richiede 100 000 euro (EUR) a titolo del danno materiale e 78 000 EUR a titolo del danno morale che avrebbe subito.
60. Il Governo si oppone a queste pretese.
61. La Corte non vede legame di causalità tra le violazioni constatate ed il danno materiale addotto e respinge questa richiesta. In compenso, considera che c'è luogo di concedere al richiedente 17 000 EUR a titolo del danno morale.
B. Oneri e spese
62. Il richiedente chiede anche 9 710,22 EUR per gli oneri e le spese sostenute dinnanzi alla Corte.
63. Il Governo si oppone a queste pretese.
64. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà , la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei criteri suddetti, la Corte stima ragionevole la somma di 1 500 EUR per il procedimento dinnanzi alla Corte e l'accorda al richiedente.
C. Interessi moratori
65. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dagli articoli 6 § 1 (accesso ad una corte e termine ragionevole), 8 (rispetto della corrispondenza) e 13 della Convenzione, così come l'articolo 1 del Protocollo no 1 e l'articolo 2 del Protocollo no 4, ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione in quanto alla lunghezza del procedimento;
3. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione;
4. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione;
5. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 2 del Protocollo no 4 alla Convenzione;
6. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 13 della Convenzione;
7. Stabilisce che non c'è luogo di esaminare il motivo di appello tratto dall'articolo 6 § 1 della Convenzione, in quanto alla limitazione del diritto del richiedente di stare in giudizio;
8. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, 17 000 EUR (diciassettemila euro) per danno morale e 1 500 EUR (mille cinque cento euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
9. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto il 12 giugno 2007 in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 dell'ordinamento.
S. Dollé F. Tulkens
Cancelliera Presidentessa