SECONDA SEZIONE
CAUSA DI GIACOMO C. ITALIA
( Richiesta no 25522/03)
SENTENZA
STRASBURGO
24 gennaio 2008
DEFINITIVO
24/04/2008
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa di Giacomo c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell'uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, András Baka, Ireneu Cabral Barreto, Riza Türmen, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jo�ienė, Dragoljub Popović, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 4 gennaio 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All'origine della causa si trova una richiesta (no 25522/03) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, Sig. G. d. G. ("il richiedente"), ha investito la Corte il 8 agosto 2003 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle Libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. Il richiedente è rappresentato da G. S., avvocato a Bari. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, il Sig. I. M. Braguglia, e dal suo co-agente aggiunto, N. Lettieri.
3. Il 28 agosto 2006, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell'articolo 29 § 3, ha deciso che sarebbero state esaminate l'ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1954 ed attualmente è detenuto a Palmi.
5. Sconta una pena d’ergastolo per i reati di omicidio, di tentativo di omicidio, di associazione criminale di tipo mafioso e parecchi altri reati legati al traffico di stupefacenti.
6. Con un'ordinanza del ministro della Giustizia del 20 luglio 1992, fu sottoposto al regime di detenzione speciale previsto dall'articolo 41 bis della legge no 354 del 26 luglio 1975 sull'organizzazione penitenziaria che deroga alle condizioni normali di detenzione quando delle ragioni di ordine e di sicurezza pubblici l'esigono.
7. Il 22 dicembre 1998, in seguito alla revoca del regime di detenzione speciale previsto dall'articolo 41bis, l'amministrazione penitenziaria pose il richiedente in un settore della prigione con livello di sorveglianza elevato (Elevato indice di Sorveglianza-E.I.V).
8. Con un'ordinanza del 10 luglio 2001, il giudice di applicazione delle pene di Palermo ordinò la sottomissione della corrispondenza del richiedente a censura per un periodo di sei mesi, eccezione fatta per quella indirizzata "al Consiglio dell'Europa, al Segretario Generale, alla Commissione ed alla Corte", in virtù dell'articolo 18 della legge sull'amministrazione penitenziaria.
9. In seguito, con le decisioni dell’ 8 gennaio 2002, dell’ 8 luglio 2002, del 18 dicembre 2002 e del 30 luglio 2003, il giudice di applicazione delle pene prorogò suddetta misura per dei periodi successivi di sei mesi.
10. Il richiedente introdusse un reclamo contro la decisione del 10 luglio 2001 dinnanzi al giudice di applicazione delle pene di Palermo.
11. Il 9 luglio 2003, il giudice di applicazione delle pene respinse il reclamo del richiedente, affermando che il controllo della corrispondenza del detenuto era motivato dalla sua pericolosità e dal suo comportamento.
12. Il richiedente interpose appello dinnanzi al tribunale di applicazione delle pene di Palermo. Con un'ordinanza del 12 marzo 2004, il tribunale si dichiarò incompetente per deliberare sugli appelli contro le decisioni del giudice di applicazione delle pene.
13. Il richiedente ha prodotto parecchie lettere che fanno parte della corrispondenza del richiedente con la sua famiglia e col suo avvocato che sono stateo aperte e sottomesse a censura dalle autorità penitenziarie.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
14. Nella sua sentenza Ospina Vargas, la Corte ha dato un riassunto del diritto e della pratica interna pertinenti in quanto al regime di detenzione speciale ed in quanto al controllo della corrispondenza (Ospina Vargas c. Italia, no 40750/98, §§ 23-33, 14 ottobre 2004). Ha fatto anche stato delle modifiche introdotte dalla legge no 279 del 23 dicembre 2002 (ibidem).
15. Nella sentenza Musumeci, la Corte ha riassunto il diritto e la pratica interna concernenti il regime E.I.V. ( Musumeci c. Italia, no 33695/96, §§ 28-31, 11 gennaio 2005).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
16. Il richiedente si lamenta dell'apposizione di un visto di controllo sulla sua corrispondenza da parte delle autorità penitenziarie.
Invoca l'articolo 8 della Convenzione, così formulato nella sua parte pertinente:
"1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, (…) [e] alla difesa dell'ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali,(…) "
17. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull'ammissibilitÃ
18. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità . Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
19. Il Governo ricorda che il controllo della corrispondenza del richiedente è stato ordinato in applicazione dell'articolo 18 della legge sull'amministrazione penitenziaria. Ora, la Corte ha stimato già che questa disposizione non costituiva una base giuridica sufficiente ai termini della Convenzione, perché non indicava né la durata del controllo, né i motivi che potevano giustificarlo, né l’estensione e le modalità di esercizio del potere di valutazione delle autorità competenti.
20. Secondo il Governo, nelle circostanze particolari del presente caso, la Corte dovrebbe scostarsi però, della sua giurisprudenza. Difatti, le decisioni del giudice di applicazione delle pene concernenti la causa del richiedente contenevano tutti gli elementi richiesti dai giudici europei e, sebbene fondate su una "legge non perfetta", non potrebbero essere stimate contrarie alla Convenzione.
21. Peraltro, il controllo della corrispondenza del richiedente prevedeva un scopo legittimo, ossia la protezione dell'ordine e la sicurezza dello stato. Questa restrizione intendeva impedire che la corrispondenza potesse diventare un mezzo di trasmissione di comunicazioni vietate.
22. Il richiedente considera che l'ingerenza nel suo diritto al rispetto della sua corrispondenza non fosse previsto dalla legge.
23. La Corte constata che, evidentemente, c'è stata "ingerenza di un'autorità pubblica" nell'esercizio del diritto del richiedente al rispetto della sua corrispondenza garantito dall'articolo 8 § 1. Simile ingerenza ignora questa disposizione salvo se, "prevista dalla legge", insegue uno o degli scopi legittimi allo sguardo del paragrafo 2 e, in più, è "necessaria, in una società democratica" per raggiungerli (vedere, tra molte altre, Calogero Diana c. Italia, sentenza del 15 novembre 1996, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V, p. 1775, § 28, Domenichini c. Italia, sentenza del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, p. 1799, § 28, e Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 179, CEDH 2000-IV).
24. La Corte rileva che il controllo della corrispondenza del richiedente è stato ordinato dal giudice di applicazione delle pene in virtù dell'articolo 18 della legge sull'amministrazione penitenziaria. Ora, la Corte ha constatato già a più riprese che il controllo della corrispondenza fondata su questa disposizione ignora l'articolo 8 della Convenzione perché non "è previsto dalla legge" nella misura in cui questa non regolamenta né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti, né i motivi che possono giustificarle, e non indica con abbastanza chiarezza l’estensione e le modalità di esercizio del potere di valutazione delle autorità competenti nella tenuta considerata (vedere, tra altre, Labita precitata, §§ 175-185). Non vede alcuna ragione di scostarsi nello specifico da una giurisprudenza che mira a permettere ad ogni detenuto di godere del grado minimo di protezione voluto dalla preminenza del diritto in una società democratica (Calogero Diana precitata, p. 1776, § 33, e Campisi c. Italia, no 24358/02, § 50, 11 luglio 2006).
25. Alla luce di ciò che precede, la Corte constata che il controllo della corrispondenza del richiedente non "era previsto dalla legge", ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione. Questa conclusione rende superfluo verificare nello specifico il rispetto delle altre esigenze della stessa disposizione.
La Corte prende atto, del resto, dell'entrata in vigore della legge no 95/2004 che modifica la legge sull'amministrazione penitenziaria; il nuovo articolo 18ter contempla che il controllo della corrispondenza possa avere luogo, per un periodo massimale di sei mesi, allo scopo di prevenire la commissione di crimini o di proteggere la sicurezza delle strutture penitenziari ed il segreto delle investigazioni. Il controllo è stabilito da un'ordinanza motivata dal'autorità giudiziale su richiesta del pubblico ministero o del direttore della struttura. Il paragrafo 2 dell'articolo 18ter esclude dal controllo la corrispondenza del detenuto con, in particolare, il suo avvocato e gli organi internazionali competenti in materia dei diritti dell'uomo. Si è tuttavia forzati di constatare che le modifiche portate alla legge sull'amministrazione penitenziaria non permettono di risanare le violazioni che hanno avuto luogo anteriormente alla loro entrata in vigore (Argenti c. Italia, no 56317/00, § 38, 10 novembre 2005).
26. C'è stata dunque violazione dell'articolo 8 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE COMBINATA CON L'ARTICOLO 8
27. Il richiedente si lamenta di non disporre di nessun ricorso efficace per contestare il controllo della sua corrispondenza.
Invoca una violazione dell'articolo 13 della Convenzione combinato con l'articolo 8. L'articolo 13 è redatto così:
"Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un'istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali. "
28. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull'ammissibilitÃ
29. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che questo non incontra nessun altro motivo di inammissibilità . Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
30. Il Governo rileva che la censura della corrispondenza può essere oggetto di un'opposizione dinnanzi alla stessa autorità che ha pronunciato la misura, il che costituirebbe una via di ricorso efficace.
31. Nella sua sentenza Calogero Diana (precitata, pp. 1777-1778, § 41) la Corte ha precisato ciò che segue:
"Secondo la Corte, il ricorso gratuito al giudice dell'applicazione delle pene non potrebbe passare per un ricorso effettivo ai sensi dell'articolo 13 perché suddetto magistrato è chiamato a riesaminare la fondatezza di un atto che ha preso lui stesso, del resto in mancanza di ogni procedimento contraddittorio.
Il preteso carattere giurisdizionale delle decisioni controverse derivanti dalla natura dell'autorità che può adottarle non resiste neanche alla critica.
In quanto al terzo argomento, c'è luogo di procedere ad una doppia constatazione. Da una parte, la Corte di cassazione ha affermato che il diritto italiano non contempla vie di ricorso a riguardo delle decisioni che ordinano il controllo della corrispondenza dei detenuti. Dall’altra parte, nessuno giudizio di tribunale amministrativo regionale sembra essere stato reso ad oggi sulla materia. "
32. Agli occhi della Corte, niente permette di ritornare su queste conclusioni nel presente genere.
33. Ne segue che il richiedente non disponeva di nessun ricorso effettivo per contestare il controllo della sua corrispondenza e che c'è stata violazione dell'articolo 13 della Convenzione.
III. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
34. Ai termini dell'articolo 41 della Convenzione,
"Se la Corte dichiara che c'è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c'è luogo, una soddisfazione equa. "
35. Il richiedente non ha fatto richiesta di soddisfazione equa nel termine che gli era stato assegnato a questo fine. Pertanto, la Corte stima che non c'è luogo di concedere alcuna somma a titolo dell'articolo 41 (Willekens c. Belgio, no 50859/99, § 27, 24 aprile 2003).
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione;
3. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 13 della Convenzione, composto con l'articolo 8.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto il 24 gennaio 2008 in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 dell'ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa