Conclusione Parzialmente inammissibile; Violazione dell'art. 6-1; violazione dell'art. 8; violazione dell'art. 13; violazione di P1-1; Violazione di P4-2; Danno materiale - domanda respinta; Danno giuridico - risarcimento pecuniario; Rimborso parziale oneri e spese - procedimenti nazionali e della Convenzione
TERZA SEZIONE
CAUSA DE BLASI C. ITALIA
( Richiesta no 1595/02)
SENTENZA
STRASBURGO
5 ottobre 2006
DEFINITIVO
12/02/2007
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa de Blasi c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell'uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
SIGG. B.M. Zupancic, presidente,
J. Hedigan, C. Bîrsan, V. Zagrebelsky, la Sig.ra A. Gyulumyan, il
Sig. E. Myjer, la Sig.ra I. Ziemele, giudici,
e della Sig.ra F. Araci, greffière collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 14 settembre 2006,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All'origine della causa si trova una richiesta (no 1595/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. A. D. B. ("il richiedente"), ha investito la Corte il 11 dicembre 2001 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle Libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. Il richiedente è rappresentato dal Sig. C. D. F., avvocato a Parma. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, il Sig. Ivo Maria Braguglia, e dal suo coagente aggiunto, il Sig. Nicola Lettieri.
3. Il 14 giugno 2005, la Corte, terza sezione, ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi dell'articolo 29 § 3, ha deciso che sarebbero state esaminate l'ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1944 e ha risieduto ad Opera (Milano).
1. Il procedimento di fallimento
5. Con un giudizio depositato il 13 febbraio 1996, il tribunale di Milano dichiarò il fallimento della società "D. B. A. e C. S.n.c. " così come del Sig. G.T, socio di questa, ed il fallimento personale del richiedente.
6. L'udienza per la verifica dello stato del passivo del fallimento fu fissata al 24 maggio 1996 e, il 2 luglio 1996, lo stato del passivo fu dichiarato esecutivo.
7. Ad una data non precisata, l'inventario dei beni dei falliti fu redatto. Questo comprendeva i mobili che fanno parte dei loro abitazioni, due automobili del richiedente, un appartamento del Sig. G.T, la metà di un altro appartamento con rimessa del richiedente, la metà di una rimessa del richiedente così come dei terreni e degli immobili del richiedente di cui una parte era in comproprietà, situata a Partanna (Trapani).
8. In date non precisate del 1997, le due automobili del richiedente ed i mobili facenti parte dell'abitazione del Sig. G.T. sono stati venduti.
9. Il 15 gennaio 2001, l'appartamento del Sig. G.T. è stato venduto in seguito ad un procedimento di esecuzione.
10. Il 13 novembre 2002, la metà della rimessa del richiedente fu venduta alle aste.
11. Il 27 agosto 2003, i terreni e gli immobili di Partanna furono oggetto di una perizia secondo la quale la maggior parte di questi beni era difficilmente vendibile, tenuto conto del fatto che alcuni di loro erano in comproprietà e che uno degli immobili era in cattivo stato.
12. Il 14 gennaio 2005, la metà dell'appartamento con rimessa del richiedente che era stata oggetto di un procedimento di esecuzione, fu venduta alle aste.
13. Un'udienza fu fissata al 26 ottobre 2006.
2. Il procedimento introdotto conformemente alla legge Pinto
14. Il 28 maggio 2002, il richiedente introdusse un ricorso dinnanzi alla corte di appello di Brescia conformemente alla legge Pinto lamentandosi della violazione dell'articolo 6 della Convenzione così come del suo diritto al rispetto della sua corrispondenza, della sua vita familiare, del suo diritto al rispetto dei suoi beni, in particolare in ragione della durata del procedimento, e della limitazione del suo diritto di voto.
15. Con una decisione dell’ 11 novembre 2002, la corte di appello respinse la domanda del richiedente. Sottolineò la rapidità delle fasi di esecuzione dello stato del passivo del fallimento e di inventario dei beni. La corte considerò anche che il ritardo nella chiusura del procedimento era legato alle difficoltà obiettive di liquidazione e "ai limiti del sistema italiano che, eccezione fatta per l'asta pubblica e quella con negoziato privato, non contempla altri mezzi per liquidare i beni del fallimento." La lunghezza del procedimento non era imputabile alle autorità competenti dunque. Peraltro, la corte indicò che un appartamento ed una rimessa di proprietà del richiedente erano oggetto di un altro procedimento di esecuzione, che il curatore era intervenuto in questo procedimento e che i tentativi di vendere la parte della rimessa che non era oggetto del procedimento di esecuzione avevano avuto luogo, tuttavia senza successo.
16. Ad una data non precisata di gennaio 2003, il richiedente ricorse in cassazione. Si lamentò della durata del procedimento di fallimento e per il fatto che questo era ancora pendente. Il richiedente sottolineò anche che, a partire dalla sua dichiarazione di fallimento, aveva subito la limitazione di certe libertà personali, come la libertà di circolazione, il diritto al rispetto della sua corrispondenza e della sua vita familiare, il suo diritto di voto ed il suo diritto al rispetto dei suoi beni. Peraltro, osservò che, fin dalla sua dichiarazione di fallimento, non aveva potuto aprire un conto corrente e che, anche se la legge sul fallimento non impedisce esplicitamente l'esercizio di una nuova attività di impresa, questo è reso di facto impossibile in ragione delle difficoltà ad assegnare dei fondi. In più, l'accesso alle funzioni pubbliche è vietato fino a cinque anni dopo la chiusura del procedimento. Infine, secondo il richiedente, il risarcimento giuridico relativo alla durata del procedimento di fallimento deve tenere conto, tra l’altro, del prolungamento delle incapacità che derivano dello statuto di fallito.
17. Con una sentenza depositata il 15 settembre 2005, la Corte di cassazione respinse la domanda del richiedente e condannò questo al pagamento degli oneri e spese. Osservò che le considerazioni del richiedente riguardanti il prolungamento dello statuto di persona fallita non si rilevavano nel caso specifico, in ragione del fatto che possono riguardare solamente una situazione nella quale la durata del procedimento è stata irragionevole e del fatto che erano state sollevate in astratto, senza riferimento alla situazione personale del richiedente. Considerò anche che la decisione attaccata aveva preso debitamente in conto le circostanze e la complessità della causa così come il comportamento delle parti. In più, la Corte di cassazione ricordò la sua giurisprudenza, sentenze numero 1338 e 1340 del 2004 secondo la quale, in materia di durata del procedimento, i corsi di appello competenti devono prendere in conto "i criteri temporali medi" elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. La Corte di cassazione affermò che può concludere però ad una soluzione differente nella misura in cui questa sia motivata debitamente.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
18. Il diritto interno pertinente è descritto nelle sentenze Campagnano c. Italia (no 77955/01, §§ 19-22, 23 marzo 2006, Albanese c,). Italia, no 77924/01, §§ 23-26, 23 marzo 2006, e Vitiello c. Italia (no 77962/01, §§ 17-20, 23 marzo 2006,).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO ALLA DURATA DEL PROCEDIMENTO,
19. Senza invocare nessuno articolo della Convenzione, il richiedente si lamenta della durata del procedimento di fallimento. Questa lagnanza deve essere analizzata sotto l'angolo dell'articolo 6 § 1 della Convenzione che è formulato così:
"Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile."
A. Sull'ammissibilità
20. La Corte constata che il richiedente ha esaurito le vie di ricorso interne conformemente alla legge Pinto. Considera che questa lagnanza non è manifestamente mal fondata al senso dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che questo non si urta a nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
21. Il richiedente sostiene che le osservazioni del Governo sono state presentate tardivamente, contrariamente all'articolo 38 dell'ordinamento della Corte.
22. La Corte rileva di avere fissato al 13 ottobre 2005 il termine per la presentazione delle osservazioni del Governo e che questo ha mandato anche le sue osservazioni il 13 ottobre 2005.
23. Il Governo fa valere che la durata del procedimento è stata dovuta al comportamento del richiedente che non ha tenuto delle scritture contabili e, dopo la dichiarazione di fallimento, ha sottratto degli importi che derivavano della sua attività di imprenditore, così il curatore è stato sottoposto a delle attività complesse per destinare gli importi sottratti" ai creditori. Secondo le osservazioni mandate dal giudice delegato del fallimento, "non risulta dalla pratica che il richiedente, a seguito della sua dichiarazione di fallimento, abbia acquisito dei beni che fanno parte del fallimento." Il Governo fa valere anche che "le autorità statali (tribunale, giudice delegato e curatore) possiedono pochi mezzi per influire sulla rapidità del procedimento di fallimento."
24. Il richiedente considera che il comportamento relativo alle scritture contabili non dovrebbe essere preso in conto dalla Corte, trattandosi di fatti anteriori alla sua dichiarazione di fallimento. In più, sottolinea che, dopo la sua dichiarazione di fallimento, non ha sottratto nessuno bene facente dell'attivo e che questa informazione è confermata dalle osservazioni del giudice delegato.
25. La Corte ricorda che il carattere ragionevole della durata di un procedimento che dipende dall'articolo 6 § 1 della Convenzione deve rivalutarsi in ogni caso seguendo nello specifico le circostanze della causa ed avuto riguardo ai criteri consacrati dalla giurisprudenza della Corte, in particolare alla complessità della causa, al comportamento dei richiedenti ed a quello delle autorità competenti (vedere, tra molti altri, Comingersoll c. Portogallo, [GC], no 35382/97, CEDH 2000-IV).
26. La Corte nota che, nel caso specifico, il carattere "ragionevole" della durata del procedimento è stato oggetto di un esame da parte della corte di appello di Brescia così come con da parte della Corte di cassazione al senso del legge Pinto.
27. Allo stesso tempo, ricorda essere chiamata a verificare se il modo in cui il diritto interno è interpretato ed applicato produce degli effetti conformi ai principi della Convenzione come interpretati nella sua giurisprudenza e "un errore manifesto di valutazione da parte del giudice nazionale può derivare anche da una cattiva applicazione o interpretazione della giurisprudenza della Corte" (vedere Cocchiarella c. Italia [GC], no 64886/01, § 82).
28. La Corte osserva che, nel caso specifico, la lunghezza del procedimento non è imputabile al comportamento del richiedente. Difatti, il Governo non ha supportato la sua affermazione relativa alla mancanza delle scritture contabili ed è vero che la mancanza di sottrazione dei beni che fanno parte del fallimento da parte del richiedente è confermata dalle osservazioni del giudice delegato.
29. Allo stesso tempo, risulta dalla pratica che la durata del procedimento in questione è stata legata alle difficoltà obiettive di liquidazione dei beni che non sono, in quanto tale, imputabili allo stato. Difatti, seguito all'inventario dei beni del richiedente e del Sig. G.T, gli organi del fallimento si sono sequestrati per liquidare l'attivo. Gli intervalli di tempo tra una vendita e l’ altra erano giustificati dal fatto che certi beni immobili erano oggetto di altri procedimenti di esecuzione allo stesso tempo così come dallo scarso interesse commerciale di altri beni.
30. Pure ammettendo che si tratti di un procedimento complesso dunque e che nessuno ritardo specifico è imputabile allo stato, la Corte constata che il procedimento di fallimento è cominciato il 13 febbraio 1996 e che è sempre pendente. È durato dunque già più di dieci anni.
31. Peraltro, la Corte nota che le sole vendite che fanno ostacolo alla definizione del procedimento sono quelle relative ai mobili dell'abitazione del richiedente ed ai beni situati a Partanna che, secondo una perizia del 27 agosto 2003, sono parti "difficilmente vendibili."
32. In questo contesto, la Corte stima che la carenza di mezzi del sistema legislativo italiano che mira ad accelerare la definizione dei procedimenti di fallimento, come menzionata nelle osservazioni del Governo e nella decisione della corte di appello di Brescia, non potrebbe giustificare la limitazione del diritto del richiedente a vedere la sua causa chiusa in un termine ragionevole al senso dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.
33. A questo riguardo, la Corte ricorda anche che l'articolo 6 § 1 della Convenzione obbliga gli Stati contraenti ad organizzare il loro sistema giudiziale "in modo tale che i corsi ed i tribunali possano assolvere ciascuna delle sue esigenze, ivi compreso di troncare le cause in un termine ragionevole" (vedere Pélissier e Sassi c. Francia [GC], no 25444/94, CEDH 1999-II).
34. La Corte stima dunque che, nel caso di specifico, la durata del procedimento controverso non soddisfa l'esigenza del "termine ragionevole."
35. Pertanto, c'è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 8 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO AL RISPETTO DELLA CORRISPONDENZA E DELLA VITA FAMILIARE, DEL PROTOCOLLO 1 NO 1 E DEL PROTOCOLLO 4 NO 2
36. Invocando l'articolo 8 della Convenzione, il richiedente si lamenta della violazione del suo diritto al rispetto della sua corrispondenza e della sua vita familiare. Invocando l'articolo 1 del Protocollo no 1, si lamenta che la dichiarazione di fallimento l'abbia privato dei suoi beni, in particolare in ragione della durata del procedimento. Invocando l'articolo 2 del Protocollo no 4, si lamenta della limitazione della sua libertà di circolazione, in particolare in ragione della durata del procedimento. Questi articoli sono formulati così:
Articolo 8 della Convenzione
"1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita familiare e della sua corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto che per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e che costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà di altrui. "
Articolo 1 del Protocollo no 1
"Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà che a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge ed dei principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l'uso dei beni conformemente all'interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. "
Articolo 2 del Protocollo no 4
"1. Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di un Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di scegliere liberamente la sua residenza.
2. Ogni persona è libera di lasciare qualunque paese, ivi compreso il suo.
3. L'esercizio di questi diritti non può essere oggetto di restrizioni salvo quelle che, previste dalla legge, costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al mantenimento dell'ordine pubblico, alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà di altrui.
4. I diritti riconosciuti al paragrafo 1 possono anche, in certe zone determinate, essere oggetto di restrizioni che, previste dalla legge, sono giustificate dall'interesse pubblico in una società democratica. "
A. Sull'ammissibilità
37. La Corte nota da prima che il richiedente ha omesso di supportare la lagnanza riguardante il suo diritto al rispetto della sua vita familiare. Questa parte della richiesta deve essere respinta per difetto manifesto di fondamento secondo l'articolo 35 §§ 3 e 4 dunque della Convenzione.
38. La Corte rileva poi che, nella sua sentenza no 362 del 2003, depositata il 14 gennaio 2003, la Corte di cassazione ha per la prima volta riconosciuto che il risarcimento giuridico relativo alla durata dei procedimenti di fallimento deve tenere conto, tra l’altro, del prolungamento delle incapacità che derivano dello statuto di fallito.
39. La Corte ricorda avere considerato che, a partire dal 14 luglio 2003, la sentenza no 362 del 2003 non può più essere ignorata dal pubblico e che è a contare di questa data che deve essere esatto dai richiedenti che utilizzino questo ricorso ai fini dell'articolo 35 § 1 della Convenzione (vedere Sgattoni c. Italia, no 77132/01, § 48, 6 ottobre 2005).
40. La Corte constata che, nel caso specifico, il richiedente ha esaurito le vie di ricorso interne conformemente alla legge Pinto. Questa parte della richiesta non si rivela manifestamente mal fondata al senso dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che questa non si urta a nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararla ammissibile dunque.
B. Sul merito
41. In quanto all'articolo 1 del Protocollo no 1, nelle osservazioni mandate dal Governo, questo fa valere che il richiedente ha utilizzato degli immobili che fanno parte dell'attivo del fallimento per acquisire dei guadagni illeciti." Non c'è stata dunque una reale sospensione dell'amministrazione dei suoi beni. Tuttavia, secondo le osservazioni mandate dal giudice delegato del fallimento, "non risulta dalla pratica che il richiedente, a seguito della sua dichiarazione di fallimento, abbia acquisito dei beni che fanno parte del fallimento." In più, il Governo sottolinea che la grande parte dei beni che fanno parte dal fallimento è stata venduta in un termine ragionevole e che, in quanto ai beni restanti, le autorità statali possiedono pochi mezzi per influire sulla rapidità del procedimento, all'infuori dei tentativi di vendita dei beni alle aste o con negoziato privato.
42. Il richiedente afferma essere stato privato del suo diritto di proprietà per più di dieci anni. In più, sottolinea che, dopo la sua dichiarazione di fallimento, non ha sottratto nessuno bene facente parte dell'attivo del fallimento e che questa informazione è confermata dalle osservazioni del giudice delegato.
43. In quanto all'articolo 2 del Protocollo no 4, il Governo sostiene che "il richiedente non ha rispettato mai questa restrizione e che si è recato all'estero per giocarsi degli importi che dovevano rientrare nell'attivo del fallimento."
44. Il richiedente sostiene che la limitazione della sua libertà di circolazione non è stata proporzionata all'obiettivo perseguito, in particolare in ragione della durata del procedimento. In più, sottolinea che il Governo non ha fornito nessuna prova in quanto al non rispetto della limitazione della sua libertà di circolazione da parte del richiedente.
45. Per ciò che riguarda il diritto al rispetto della corrispondenza, il Governo osserva che "la limitazione ivi relativa è giustificata da un bisogno sociale imperioso, cioè ricostruire il movimento di cause e ricuperare i crediti del fallimento".
46. Secondo il richiedente, la limitazione del diritto al rispetto della sua corrispondenza non è stata proporzionata all'obiettivo perseguito, in particolare in ragione della durata del procedimento.
47. La Corte rileva che, a seguito della sua dichiarazione di fallimento, il richiedente ha subito un'ingerenza nel suo diritto al rispetto dei suoi beni e della sua corrispondenza così come nella sua libertà di circolazione (vedere Luordo c. Italia, no 32190/96, §§ 67, 75 e 91, CEDH 2003-IX e Bottaro c. Italia, no 56298/00, §§ 28, 36 e 50, 17 luglio 2003).
48. Questa ingerenza, prevista dagli articoli 42, 48 e 49 della legge del fallimento, insegue in particolare un obiettivo legittimo, cioè la protezione dei diritti altrui, dei creditori del fallimento.
49. Resta da sapere tuttavia se, nel caso specifico, esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo mirato, al senso del capoverso 2 degli articoli 1 del Protocollo no 1 e 8 della Convenzione e dell'articolo 2 del Protocollo no 4 capoverso 4, in particolare alla luce della durata del procedimento (vedere Luordo, precitato, §§ 70, 71, 78, 79, 96 e 97 e Bottaro, precitato, §§ 31, 32, 39, 40, 54 e 55),.
50. La Corte ricorda che questo procedimento è cominciato il 13 febbraio 1996 e che è sempre pendente. È durato più di dieci anni dunque. Tenuto conto delle considerazioni che precedono riguardanti il carattere "ragionevole" di questa durata, secondo la Corte, la lunghezza del procedimento in questione ha provocato la rottura dell'equilibrio da predisporre tra gli interessi generali al pagamento dei creditori del fallimento e l'interesse del richiedente al rispetto dei suoi beni, della sua corrispondenza e della sua libertà di circolazione.
51. Pertanto, c'è stata violazione degli articoli 1 del Protocollo no 1, 8 della Convenzione e 2 del Protocollo no 4.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA
52. Il richiedente si lamenta per il fatto che le incapacità personali che derivano del suo collocamento in fallimento perdurano fino all'ottenimento della riabilitazione e per il fatto che, secondo l'articolo 143 della legge sul fallimento, questa non può essere chiesta che cinque anni dopo la chiusura del procedimento. Questa lagnanza deve essere analizzata sotto l'angolo dell'articolo 8 della Convenzione, in quanto al diritto al rispetto della vita privata del richiedente che è formulato così:
"1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata.
2. Non può esserci ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto che per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e che costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessario alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà di altrui. "
A. Sull'ammissibilità
53. La Corte constata che la lagnanza non è manifestamente mal fondata al senso dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che questa non si urta a nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararla ammissibile dunque.
B. Sul merito
54. La Corte considera che l'insieme delle incapacità che derivano dall'iscrizione del nome del fallito nel registro provoca in sé un'ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata del richiedente che, tenuto conto della natura automatica di suddetta iscrizione, della mancanza di una valutazione e di un controllo giurisdizionale sull'applicazione delle incapacità ivi relative così come del lasso di tempo previsto per l'ottenimento della riabilitazione, non è "necessaria in una società democratica" al senso dell'articolo 8 § 2 della Convenzione.
La Corte stima dunque che c'è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 3 DEL PROTOCOLLO NO 1
55. Invocando l'articolo 3 del Protocollo no 1, il richiedente si lamenta inoltre della limitazione del suo diritto di voto. Questo articolo è formulato così:
"Le Alte Parti contraenti si impegnano ad organizzare, ad intervalli ragionevoli, delle elezioni libere dallo scrutino segreto, nelle condizioni che garantiscono la libera espressione dell'opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo. "
Il Governo non ha presentato osservazioni.
Secondo il richiedente, la limitazione del suo diritto di voto ha un carattere afflittivo incompatibile con l'articolo 3 del Protocollo no 1.
La Corte nota che la perdita del diritto di voto a seguito del collocamento in fallimento non può superare cinque anni a partire dalla data del giudizio che dichiara il fallimento. Ora, essendo stato depositato questo giudizio il 13 febbraio 1996, il richiedente avrebbe dovuto introdurre al più tardi la sua lagnanza il 13 agosto 2001. Essendo stata introdotta la richiesta l’ 11 dicembre 2001, la Corte stima che questa lagnanza è tardiva e deve essere respinta conformemente all'articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
V. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 6 § 1 E 13 DELLA CONVENZIONE
56. Invocando gli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione, il richiedente si lamenta di non disporre di una via di ricorso per lamentarsi delle incapacità che derivano dal collocamento in fallimento. Questi articoli sono formulati così:
Articolo 13
"Ogni persona i cui diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un'istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali. "
Articolo 6
"1. Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita da un tribunale chi deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile. "
A. Sull'ammissibilità
Il Governo sostiene che il richiedente si sarebbe potuto avvalere dei rimedi contemplati agli articoli 26 e 36 della legge sul fallimento. Comunque, questa parte della richiesta dovrebbe essere respinta poiché non si tratta di "lagnanze difendibili."
Secondo il richiedente, il sistema legislativo non offre alcun rimedio effettivo per lamentarsi del prolungamento delle incapacità che derivano dal collocamento in fallimento.
La Corte ricorda avere constatato al primo colpo già la violazione dell'articolo 13 della Convenzione in ragione della mancanza di un ricorso effettivo per lamentarsi della limitazione prolungata del diritto al rispetto della corrispondenza dello fallito (Bottaro c. Italia, no 56298/00, §§ 41-46, 17 luglio 2003). Stima dunque che la lagnanza sollevata dal richiedente deve essere esaminata unicamente sotto l'angolo dell'articolo 13 della Convenzione.
Osserva poi che l'articolo 26 della legge sul fallimento contempla certo la possibilità per il richiedente di introdurre un ricorso dinnanzi al tribunale. Tuttavia, questo ricorso non ha per oggetto che le decisioni del giudice delegato e non può, per questo fatto, costituire un rimedio efficace contro la restrizione prolungata del diritto al rispetto della corrispondenza, dei beni e della libertà di circolazione del richiedente, conseguenza diretta del giudizio che dichiara il fallimento e non di una decisione del giudice delegato.
Inoltre, la Corte rileva che l'articolo 36 della legge sul fallimento contempla la possibilità di investire il giudice delegato per lamentarsi degli atti di amministrazione del curatore. Tuttavia, la Corte osserva che questo ricorso riguarda le attività di amministrazione del patrimonio dello fallito compiute dal curatore fino alla vendita dei beni e la soddisfazione dei creditori. Non può essere dunque in nessun caso di natura tale da portare rimedio al prolungamento delle incapacità di cui il richiedente ha fatto oggetto (Bottaro, precitato, § 45).
57. La Corte constata che questa parte della richiesta non è manifestamente male fondata al senso dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che questa non si urta a nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararla ammissibile dunque.
B. Sul merito
58. La Corte ha trattato già cause che sollevano delle questioni simili a quelle del caso specifico e ha constatato la violazione dell'articolo 13 della Convenzione (vedere Bottaro c. Italia, precitato, §§ 41-46).
59. La Corte ha esaminato la presente causa e ha considerato che il Governo non ha fornito nessuno fatto né argomento che possa condurre ad una conclusione differente nel caso presente.
Pertanto, la Corte conclude che c'è stata violazione dell'articolo 13 della Convenzione.
VI. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO A L'IMPOSSIBILITÀ DI ADERIRE AI DOCUMENTI DEL PROCEDIMENTO,
60. Infine, invocando l'articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta dell'impossibilità di aderire ai documenti del procedimento.
61. La Corte stima che, avendo omesso il richiedente di supportare questa lagnanza, questo deve essere respinto per difetto manifesto di fondamento secondo l'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
VII. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO DI RIMANERE IN GIUSTIZIA,
62. Invocando l'articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta per la prima volta nelle sue osservazioni della limitazione del suo diritto di restare in giustizia.
63. La Corte constata che questa lagnanza è stata introdotta tardivamente, dopo la comunicazione della richiesta al Governo. Non l'esaminerà dunque.
VIII. SU LL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
64. Ai termini dell'articolo 41 della Convenzione,
"Se la Corte dichiara che c'è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette di cancellare che imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c'è luogo, una soddisfazione equa. "
A. Danno
65. Il richiedente richiede 338 279,27 euro (EUR) a titolo di danno materiale e 12 394,98 EUR a titolo di danno morale che avrebbe subito.
66. Il Governo si oppone a queste pretese.
67. La Corte non vede alcun legame di causalità tra le violazioni constatate ed il danno materiale addotto e respinge questa domanda. In quanto al danno morale, stima che il richiedente abbia subito un torto morale certo. Deliberando in equità, gli accorda 13 000 EUR a questo titolo.
B. Oneri e spese
68. Il richiedente chiede anche 25 520,96 EUR per oneri e spese incorsi dinnanzi alle giurisdizioni interne e dinnanzi alla Corte.
69. Il Governo si oppone a queste pretese.
70. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solamente nella misura in cui si trovano stabiliti la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei criteri suddetti, la Corte stima ragionevole la somma di 2000 EUR per gli oneri sostenuti e l'accorda al richiedente.
C. Interessi moratori
71. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PERQUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto alle lagnanze tratte dagli articoli 6 § 1, per ciò che riguarda la durata del procedimento, 8 e 13 della Convenzione, 1 del Protocollo no 1 e 2 del Protocollo no 4, ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione;
4. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 13 della Convenzione;
5. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo no 1;
6. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 2 del Protocollo no 4;
7. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all'articolo 44 § 2 della Convenzione, 13 000 EUR (tredicimila euro) per danno morale e 2 000 EUR (duemila euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;
8. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto il 5 ottobre 2006 in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 dell'ordinamento.
Fatos Araci Boštjan il Sig. Zupancic
Cancelliera collaboratrice Presidente