SECONDA SEZIONE
CAUSA DARRAJI C. ITALIA
(Richiesta no 11549/05)
SENTENZA
STRASBURGO
24 marzo 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Darraji c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jo�ienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e di Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 3 marzo 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All'origine della causa si trova una richiesta (no 11549/05) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino tunisino, il Sig. K. D. ("il richiedente"), ha investito la Corte il 22 marzo 2005 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. Il richiedente è rappresentato da S. C. e B. M., avvocati a Milano. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora e dal suo co-agente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il richiedente adduce in particolare che il collocamento in esecuzione della decisione di espellerlo verso la Tunisia violerebbe gli articoli 2, 3 e 6 della Convenzione e che il procedimento di convalida di questa decisione non è stato equo.
4. Il 9 novembre 2006, la Corte ha dichiarato la richiesta parzialmente ammissibile e ha deciso di comunicare i motivi di appello derivati dagli articoli 2, 3 e 6, al Governo. Come permesso dall'articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la Camera si sarebbe pronunciata sull'ammissibilità e sul merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1967 e ha risieduto a Milano.
A. La condanna del richiedente in Italia
6. Il richiedente risiede in Italia. La sua data di entrata sul territorio italiano non è stabilita. Aveva ottenuto un permesso di soggiorno e di lavoro regolare, ma questo è scaduto l’ 8 settembre 2003.
7. In una data non precisata, il richiedente fu accusato di appartenenza ad un'associazione di malviventi legati ai gruppi islamici integralisti e di assistenza all'immigrazione clandestina. Con un giudizio del 3 dicembre 2004, il tribunale di Milano lo condannò a cinque anni e dieci mesi di detenzione. Era precisato nel giudizio che dopo avere scontato la sua pena, il richiedente sarebbe stato espulso dal territorio italiano. Difatti, ai termini dell'articolo 235 del codice penale ("il CP"), quando uno straniero viene condannato ad una pena di più di due anni di detenzione, il giudice ordina la sua espulsione.
8. Il richiedente interpose appello. Arguì che gli elementi su cui rimettevano la sua condanna, ossia parecchie intercettazioni telefoniche, il fatto che aveva fondato una società , la sua presenza in un appartamento all'epoca di una perquisizione e dei documenti che gli era stati sequestrati, non costituivano degli indizi sufficientemente gravi e precisi. Sottolineò che la difesa aveva tentato di spiegare la sua presenza nell'appartamento in questione chiedendo la convocazione di testimoni che avrebbero attestato che era appena stato sfrattato del suo alloggio, ma che il tribunale aveva rifiutato queste prove. Fece valere anche che la conclusione che l'associazione alla quale era sospettato di appartenere aveva dei legami coi terroristi islamici era stata dedotta da un giudizio pronunciato contro un coimputato da un tribunale tunisino. Secondo lui, questo documento non avrebbe dovuto essere utilizzato e la sua traduzione in italiano era dubbia. Chiese dunque alla corte di appello di allontanarla.
9. Il richiedente rilevò anche che i pretori avevano interpretato certi passaggi delle sue conversazioni come se indicassero che aveva avuto dei guai con la giustizia del suo paese. Contestò questa interpretazione e, citando dei brani del rapporto di Amnesty Internazionale del 2002, richiamò l'attenzione delle autorità giudiziali italiane sullo “stato della giustizia in Tunisia", adducendo delle violazioni dei diritti fondamentali ed il carattere sommario dei procedimenti penali.
10. Contestò inoltre il rifiuto di convocare e di esaminare il Sig. M., un giornalista spesso inviato nelle zone di guerra che avrebbe potuto testimoniare che i documenti audiovisivi sequestrati a casa gli imputati erano molto diffusi e facilmente accessibili nei paesi musulmani. Infine, chiese la levata del della sua espulsione, adducendo che non rappresentava un pericolo per la società e che la sua integrità fisica, addirittura la sua vita, sarebbero state minacciate in caso di ritorno in Tunisia.
11. Con una sentenza del 29 settembre 2005 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 21 dicembre 2005, la corte di appello di Milano ridusse la pena inflitta al richiedente a tre anni e sette mesi di detenzione. Confermò il giudizio di prima istanza per il surplus.
12. La corte di appello stimò in particolare che mancava la prova che l'associazione di malviventi alla quale apparteneva il richiedente era legata ai gruppi terroristici o aveva per scopo di mettere in pericolo il regime democratico. Stimò che la presenza dell'interessato nell'appartamento perquisito dalla polizia non costituiva tale prova, questo solo fatto potendosi spiegare con altre ragioni differenti dall'adesione alle ideologie integraliste. In quanto al materiale audiovisivo trovato in casa gli imputati, la corte considerò che non era possibile stabilire se si trattava di strumenti di propaganda sovversiva o di una semplice evocazione di avvenimenti di interesse per la cultura islamica. Infine, giudicò che la condanna pronunciata in Tunisia contro un coimputato del richiedente non dimostrava che l'associazione alla quale questo apparteneva fosse legata ad altri gruppi criminali.
13. Il 2 febbraio 2006, il richiedente ricorse in cassazione. Contestò di avere fatto parte dell'associazione in questione di cui stimò che l'esistenza non era stata provata. Non reiterò le sue affermazioni concernente i rischi di maltrattamenti in Tunisia.
14. In una data non precisata, la Corte di cassazione confermò la sentenza della corte di appello. Il testo di questa decisione non è stato prodotto dinnanzi alla Corte.
B. La condanna del richiedente in contumacia in Tunisia ed il tentativo di espellerlo
15. Il richiedente ha prodotto la traduzione in italiano di un documento tunisino intitolato " "avviso di giudizio pronunziato in contumacia�. Nelle sue parti pertinenti, la traduzione in questione si legge come segue:
"Informo il Sig. K. D., figlio di H. E. M., nato il 22 luglio 1967, residente a Menzel Bouzelfa che all'udienza del 20 febbraio 1999 è stato condannato in contumacia a dieci anni [di detenzione] per appartenenza ad un'organizzazione terroristica che agisce in tempo di pace. A questa pena si aggiungono la privazione dei diritti civili ed una misura di precauzione [di una durata di] cinque anni. "
16. Il richiedente introdusse parecchie istanze di misure di emergenza (articolo 39 dell'ordinamento della Corte), pregando la Corte di sospendere o di annullare ogni eventuale procedimento di espulsione verso la Tunisia. Rispettivamente il 9 e 27 novembre 2006, la terza sezione ed il suo presidente decisero, tenuto conto delle circostanze, di non indicare al governo italiano la misura in questione.
17. Il 12 gennaio 2007, verso le 22h15, il richiedente fu condotto alla prefettura di Varese. Secondo gli avvocati del richiedente, le autorità desideravano mettere l'ordine di espulsione che figurava nel giudizio del 3 dicembre 2004 in esecuzione. Però, risulta da una lettera di un "collettivo della comunità tunisina in Europa" che al suo arrivo alla prefettura di Varese, il richiedente si sarebbe visto notificare una decisione di espulsione immediata, probabilmente un'ordinanza ministeriale adottata in virtù del decreto-legge no 144 del 27 luglio 2005 intitolata "misure urgenti di lotta contro il terrorismo internazionale"). L'avvocato del richiedente fu informato che il suo cliente era stato posto in un centro di ritenzione provvisoria fino al suo rimpatrio.
18. Il 15 gennaio 2007, il presidente della terza sezione decise di indicare al governo italiano, in applicazione dell'articolo 39 precitato, che era auspicabile, nell'interesse delle parti e del buon svolgimento del procedimento dinnanzi alla Corte, di non espellere il richiedente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. Chiamò l'attenzione del Governo sul fatto che, quando un Stato contraente non si conforma ad una misura indicata a titolo dell'articolo 39 dell'ordinamento, ciò può provocare una violazione dell'articolo 34 della Convenzione (vedere Mamatkoulov ed Askarov c. Turchia [GC], i numeri 46827/99 e 46951/99, §§ 128-129 e punto 5 del dispositivo, CEDH 2005-I).
19. Lo stesso giorno, un'udienza ebbe luogo dinnanzi al giudice conciliatore di Milano, in presenza del richiedente e del suo avvocato. Il giudice conciliatore convalidò l'ordinanza di espulsione.
20. Risulta dal verbale dell'udienza del 15 gennaio 2007 che poco prima di prendere la sua decisione, il giudice si era intrattenuto con un rappresentante della prefettura senza che l’avvocato del richiedente non potesse ascoltare la loro conversazione e malgrado l'opposizione di questo.
C. L'ascolto del richiedente da parte della commissione per la concessione dello statuto di profugo
21. Il 10 novembre 2006, il richiedente aveva chiesto nel frattempo, la concessione dello statuto di profugo. Il Governo afferma che nessuna traccia dell’istanza del richiedente è stata trovata negli archivi dell'amministrazione.
22. Il 1 febbraio 2007, la commissione per la concessione dello statuto di profugo ascoltò il richiedente. Risulta dal verbale che questo ascolto cominciò alle 9h25 e si concluse alle 13h05.
23. L'interessato dichiarò, tra l’altro, di essere entrato in Italia l’ 8 agosto 1990 e di avervi risieduto senza titolo di soggiorno per cinque anni circa. Indicò che era tornato in Tunisia nel luglio 1995 per compiere le formalità di ottenimento di un permesso di soggiorno e di lavoro; che aveva in questa occasione rinnovato il suo passaporto; e che i permessi gli erano stati concessi da prima fino al 1999, poi fino al 2003.
24. Il richiedente produsse dinnanzi alla commissione una copia della sua condanna pronunziata in contumacia in Tunisia per partecipazione, a partire dal 1994, alle attività terroristiche. Precisò che conosceva personalmente solo tre dei suoi coimputati che abitavano a Busto Arsizio e frequentavano la moschea.
25. Il richiedente dichiarò che tra il 1995 e il 1997, si era recato parecchie volte in Tunisia, dove si era sposato nell'agosto 1996; che in Tunisia ogni persona "che [faceva] la sua preghiera" era incarcerata; che aveva cominciato a praticare la religione musulmana in Italia a partire dal 1996; che aveva frequentato la moschea di Gallarate prima della sua chiusura; e che in occasione del suo matrimonio, aveva deciso di non più commettere peccati, come frequentare "altre mogli" o ascoltare un certo tipo di musica.
26. Indicò che nel 1997, all'epoca della sua ultima visita in Tunisia, aveva ricevuto una convocazione dal servizio "politico" della polizia che era legato al tribunale militare; e che aveva appreso che tre dei suoi amici erano stati arrestati.
27. Affermò che era stato informato che uno dei suoi cugini che aveva un nome similare al suo era stato arrestato al suo posto e torturato; che, avendo compreso la polizia che c'era errore sulla persona, aveva deciso di lasciare la Tunisia; e che le persone, due cognati che l'avevano ospitato ed accompagnato all'aeroporto erano stati condannati.
28. Aggiunse che, non riuscendo ad ottenere copia del giudizio di condanna in contumacia, il suo avvocato aveva interposto appello, e che era stato minacciato allora ed aveva dunque rinunciato al suo mandato.
29. Spiegò poi che nel 2000, essendo stato sfrattato dal suo alloggio, era stato ospitato da un compatriota e che, essendo questo controllato dalla polizia, fu condotta una perquisizione al suo domicilio il 18 luglio 2000. Infine, espose le sue vicissitudini giudiziali in Italia.
30. La commissione per la concessione dello statuto di profugo chiese al richiedente di indicare le ragioni per cui non desiderava tornare in Tunisia. Questo produsse allora dei documenti relativi al caso del Sig. F. B., un compatriota torturato a morte nel 1991, ed affermò che non era permesso esprimere liberamente la sua religione in Tunisia, adducendo che solo le persone vecchie erano libere di andare alla moschea. Aggiunse che il Sig. B. faceva parte di una gruppo politico chiamata "Annahda" i cui membri erano stati incarcerati arbitrariamente dal Presidente tunisino. Dichiarò che questo non era che un esempio della repressione esistente in Tunisia.
31. Secondo la versione del richiedente, le autorità tunisine si procuravano i nomi da quelli che andavano a pregare alla moschea in Italia.
32. Il richiedente riferì che uno dei suoi amici, il Sig. R. H. che era tornato in Tunisia nel dicembre 2006 in occasione della "festa della pecora", era stato contattato dalla polizia ed invitato, minacce in appoggio, a non frequentarla più.
33. Infine, il richiedente precisò che i membri della sua famiglia non erano stati spaventati in Tunisia perché sua sorella era funzionario di polizia.
D. Le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità italiane
34. Il 29 agosto 2008, l'ambasciata dell'Italia a Tunisi indirizzò al ministero tunisino delle Cause estere la nota verbale (no 3124) segui:
"L'ambasciata dell'Italia presenta i suoi complimenti al ministero delle Cause Estere e si riferisce alle sue proprie note verbali no 2738 del 21 luglio e no 2911 del 6 agosto scorsi ed alla visita in Tunisia della delegazione tecnica dei rappresentanti dei ministeri italiani dell'interno e della Giustizia, tenutasi il 24 luglio scorso, concernente un esame dei procedimenti da seguire a proposito dei ricorsi pendenti della Corte europea dei diritti dell'uomo, presentato dai cittadini tunisini, che sono stati o che potrebbero essere oggetto di decreti di espulsione.
L'ambasciata dell'Italia ringrazia il ministero delle Cause Estere per la nota verbale DGAC no 011998 del 26 agosto scorso e tramite questo il ministero della Giustizia e dei diritti dell'uomo per la concreta collaborazione espressa per il caso del Sig. E. S. B. K..
Conformemente a ciò che era stato convenuto all'epoca della riunione del 24 luglio, le autorità italiane hanno l'onore di sottoporre qui di seguito tramite via diplomatica la loro richiesta di elementi addizionali specifici che si rivelano necessari nel contenzioso in corso dinnanzi alla Corte di Strasburgo tra l'Italia ed i cittadini tunisine citati qui sotto: (...)
A questo effetto, l'ambasciata dell'Italia ha l'onore di chiedere al ministero delle Cause Estere di volere cortesemente investire le autorità tunisine competenti affinché possano fornire tramite via diplomatica le assicurazioni specifiche su ciascuno di questi ricorrenti che si riferiscono ai seguenti argomenti:
- in caso di espulsione verso la Tunisia del ricorrente le cui generalità saranno specificate, non sarà sottomesso a torture né a pene o trattamenti disumani o degradanti;
- che possa essere giudicato da un tribunale indipendente ed imparziale, secondo i procedimenti che, nell'insieme, saranno conformi ai principi di un processo equo e pubblico;
- che possa, durante la sua detenzione, ricevere le visite dei suoi avvocati ivi compreso quello italiano che lo rappresenta nel processo dinnanzi alla Corte di Strasburgo, così come dei membri della sua famiglia e di un medico.
Poiché la scadenza per la presentazione delle osservazioni del governo italiano a Strasburgo per suddetto caso è fissata al 19 settembre prossimo, l'ambasciata dell'Italia sarebbe grata al ministero delle Cause Estere di volere cortesemente farle giungere al più presto gli elementi richiesti, fondamentali per la strategia della difesa del governo italiano e suggerisce che la Sig.ra C., primo segretario [dell'] ambasciata, possa recarsi al ministero della Giustizia e dei diritti dell'uomo per fornire ogni delucidazione opportuna.
L'ambasciata dell'Italia sarebbe inoltre grata al ministero delle Cause Estere di volere cortesemente verificare se le autorità tunisine competenti giudicano opportuno che il governo tunisino partecipi, per suddetto ricorso, ai procedimenti dinnanzi alla Corte di Strasburgo, in quanto terzo, e questo, conformemente agli articoli 36 [della Convenzione], 44 dell'ordinamento della Corte [e] A1 paragrafo 2 dell'allegato all'ordinamento.
L'ambasciata dell'Italia ringrazia in anticipo il ministero delle Cause Estere per l'attenzione che sarà riservata alla presente nota ed coglie l'occasione per rinnovargli le assicurazioni della sua alta considerazione. "
35. Il 5 novembre 2008, le autorità tunisine fecero pervenire la loro risposta, firmata dall'avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziali. Nelle sue parti pertinenti, questa risposta si legge come segue:
"Nella sua nota verbale in data del 29 agosto 2008, come completata dalla sua nota verbale datata 4 settembre 2008, l'ambasciata dell'Italia a Tunisi ha sollecitato, delle autorità tunisine, le assicurazioni, qui di seguito enumerate, concernente i cittadini tunisini e M. B. se dovessero essere espulsi verso la Tunisia.
(...)
III. Concernente i denominati K. D., conviene, prima di tutto, precisare che sono oggetto di giudizi in contumacia per violazioni terroristiche.
Se gli interessati [vengono] espulsi verso la Tunisia, saranno, fin dal loro arrivo in Tunisia, presentati ad un giudice. Potranno esercitare allora il loro diritto di opposizione, essendo sentito che l'ammissibilità dell'opposizione nella forma ha per conseguenza, in applicazione dell'articolo 182 del codice di procura penale, di annientare i giudizi attaccati e di permettere loro di essere giudicati di nuovo e di presentare i mezzi di difesa che giudicano utili.
All'epoca della loro comparizione dinnanzi al giudice, gli interessati beneficeranno obbligatoriamente dell'assistenza di avvocati di loro scelta. Se si rivela che non ne hanno i mezzi, degli avvocati saranno commessi loro d’ufficio a spese dello stato. Il giudice ordinerà in seguito o la liberazione degli imputati o il loro arresto. Godranno, per tutto il loro processo, dell'insieme delle seguente garanzie:
1. La garanzia del rispetto della dignità degli interessati:
Il rispetto della dignità degli interessati è garantito, la sua origine risiede nel principio del rispetto della dignità di ogni persona qualunque sia lo stato in cui si trova, principio fondamentale riconosciuto dal diritto tunisino e garantito per ogni persona e più particolarmente per i detenuti il cui statuto è regolamentato minuziosamente.
È a questo riguardo utile ricordare che l'articolo 13 della Costituzione tunisina dispone nel suo capoverso 2 che "ogni individuo che ha perso la sua libertà è trattato umanamente, nel rispetto della sua dignità ."
La Tunisia ha ratificato peraltro senza nessuna riserva la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti. Ha riconosciuto così la competenza del comitato contro la tortura per ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate da o per conto di individui che dipendono dalla sua giurisdizione che pretendono essere vittime di violazione delle disposizioni della Convenzione (ratifica con la legge no 88-79 del 11 luglio 1988. Gazzetta ufficiale della Repubblica tunisina no 48 del 12-15 luglio 1988 (pagina 1035).
Le disposizioni di suddetta Convenzione sono state trasposte in diritto interno, l'articolo 101 bis del codice penale definisce la tortura come "ogni atto con cui un dolore o delle sofferenze acute, fisiche o mentali, sono inflitte intenzionalmente in particolare ad una persona ai fini di ottenere da lei o da una terza persona delle informazioni o delle confessioni, di punirla di un atto che lei o una terza persona ha commesso o è sospettata di avere commesso, di intimidirla o di fare pressione su una terza persona, o quando il dolore o le sofferenze acute sono inflitte per ogni altro motivo fondato su una forma di discriminazione [qualunque] sia."
Il legislatore ha contemplato delle pene severe per questo genere di violazioni, così l'articolo 101 bis sopra citato dispone che è punito con una detenzione di otto anni il funzionario o assimilato che sottopone una persona alla tortura e questo, nell'esercizio o in occasione dell'esercizio delle sue funzioni."
È da segnalare che la custodia preventiva è, secondo l'articolo 12 della Costituzione, sottoposta al controllo giudiziale e che si può procedere al carcere preventivo solo su ordine giurisdizionale. È vietato sottoporre chiunque ad una detenzione arbitraria. Parecchi garanzie accompagnano il procedimento della custodia preventiva e tendono a garantire il rispetto dell'integrità fisica e morale del detenuto tra cui in particolare:
- Il diritto della persona in custodia preventiva di informare, fin dal suo arresto, i membri della sua famiglia.
- Il diritto di chiedere durante il termine della custodia preventiva o alla sua scadenza di essere sottomessi ad un esame medico. Questo diritto può essere esercitato all'occorrenza dai membri della famiglia.
- La durata del carcere preventivo è regolamentata, il suo prolungamento è eccezionale e deve essere motivato dal giudice.
C'è luogo anche di notare che [la] legge del 14 maggio 2001 relativa all'organizzazione delle prigioni dispone nel suo articolo primo che ha per obiettivo di regolare "le condizioni di detenzione nelle prigioni preventiva di garantire l'integrità fisica e morale del detenuto, di prepararlo alla vita libera e di aiutare al suo reinserimento. "
Questo dispositivo legislativo è rinforzato dal collocamento in posto di un sistema di controllo destinato a garantire il rispetto effettivo della dignità dei detenuti. Si tratta di parecchi tipi di controlli effettuati da diversi organi ed istituzioni:
- C'è da prima un controllo giudiziale assicurato dal giudice di esecuzione delle pene tenuto, secondo i termini dell'articolo 342-3 del codice di procedura penale tunisino, [a] visitare la struttura penitenziaria che dipende dalla sua giurisdizione per prendere cognizione delle condizioni dei detenuti, queste visite sono in pratica effettuate in media nell’ordine di due volte alla settimana.
- C'è poi il controllo effettuato dal comitato superiore dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, il presidente di questa istituzione nazionale indipendente può effettuare delle visite inopinate alle strutture penitenziarie per informarsi dello stato e delle condizioni dei detenuti.
- C'è anche il controllo amministrativo interno effettuato dai servizi dell'ispezione generale del ministero della Giustizia e dei diritti dell'uomo e l'ispezione generale che dipende dalla direzione generale delle prigioni e della rieducazione. È da notare in questa cornice che l'amministrazione penitenziaria dipende dal ministero della Giustizia e che gli ispettori di suddetto ministero sono dei magistrati di formazione il che costituisce una garanzia supplementare di un controllo rigoroso delle condizioni di detenzione.
- Bisogna segnalare infine che il comitato internazionale della Croce Rossa è abilitato dal 2005 ad effettuare delle visite nei luoghi di detenzione, prigioni e locali della polizia abilitati ad accogliere dei detenuti tenuti in custodia preventiva. Al termine di queste visite dei rapporti dettagliati vengono stabiliti e degli incontri vengono organizzati dai servizi riguardati per mettere in opera le raccomandazioni formulate dal comitato sullo stato dei detenuti.
Le autorità tunisine ricordano che non esitano ad indagare su tutte le affermazioni di tortura ogni volta che ci sono dei motivi ragionevoli che lasciano credere che un atto di maltrattamenti è stato commesso. Si citeranno a delucidazione due esempi: il primo riguarda tre agenti dell'amministrazione penitenziaria che hanno maltrattato un detenuto, a seguito di un'inchiesta aperta per questo motivo i tre agenti sono stati deferiti dinnanzi alla giustizia e sono stati condannati ciascuno a quattro anni di detenzione con una sentenza della corte di appello di Tunisi resa il 25 gennaio 2002.
-Il secondo esempio riguarda un agente di polizia che è stato perseguito per percosse e lesioni volontarie e che è stato condannato a 15 anni di detenzione con una sentenza resa dalla corte di appello di Tunisi il 2 aprile 2002.
Questi due esempi dimostrano che le autorità tunisine non tollerano nessuno cattivo trattamento e non esitano ad impegnare i perseguimenti necessari contro gli agenti dell'applicazione della legge ogni volta che ci sono dei motivi ragionevoli che lasciano credere che gli atti di tale natura [sono] stati commessi.
Alcuni casi di condanna per maltrattamenti sono stati segnalati nel rapporto presentato dalla Tunisia dinnanzi al Consiglio dei diritti dell'uomo e dinnanzi al Comitato dei diritti dell'uomo che denota così del politica di volontà dello stato di perseguire e reprimere ogni atto di tortura o di maltrattamenti, il che è di natura tale da confutare ogni affermazione di violazione sistematica dei diritti dell'uomo.
In conclusione, è evidente che:
- Così K. D. [e le altre persone riguardate sono] espulsi verso la Tunisia, saranno presentati ad un giudice e beneficeranno dell'assistenza di un avvocato.
- Gli interessati potranno esercitare il loro diritto di opposizione contro i giudizi resi a loro carico. L'ammissibilità dell'opposizione ha per effetto di annientare tutti gli effetti dei giudizi e le cause saranno giudicate di nuovo.
- L'autorità giudiziaria competente o la liberazione o l’arresto degli interessati..
- Ad ogni modo, gli interessati beneficeranno di tutte le garanzie offerte loro dalla legislazione tunisina di natura tale da conferire loro tutta la protezione necessaria contro ogni forma di abuso.
2. La garanzia di un processo equo agli interessati:
Se essi [vengono] espulsi in Tunisia, gli interessati beneficeranno in particolare di procedimenti di perseguimento, di istruzione e di giudizio che offrono tutte le garanzie necessarie ad un processo equo,:
- Il rispetto del principio della separazione tra le autorità di perseguimento, di istruzione e di giudizio.
- L'istruzione in materia di crimini è obbligatoria. Ubbidisce al principio del doppio grado di giurisdizione (giudice istruttore e camera di accusa).
- Le udienze di giudizio sono pubbliche e rispettano il principio del contraddittorio.
- Ogni persona sospettata di crimine ha obbligatoriamente diritto all'assistenza di uno o parecchi avvocati. Gliene viene, all'occorrenza, commesso uno d’ufficio e gli oneri sono sopportati dallo stato. L'assistenza dell'avvocato prosegue durante tutte le tappe del procedimento: istruzione preparatoria e fase di giudizio.
- L'esame dei crimini è di competenza dei corsi criminali che sono formati dai cinque magistrati, questa formazione allargata rinforza le garanzie dell'imputato.
- Il principio del doppio grado di giurisdizione in materia criminale è consacrato dal diritto tunisino. Il diritto di fare appello ai giudizi di condanna è dunque un diritto fondamentale per l'imputato.
- Nessuna condanna può essere resa se non sulla base di prove solide che sono state oggetto di dibattimenti contraddittori dinnanzi alla giurisdizione competente. Anche la confessione dell'imputato non è considerata come una prova determinante. Questa posizione è stata confermata dalla sentenza della Corte di cassazione tunisina no 12150 del 26 gennaio 2005 con cui la Corte ha affermato che la confessione estorta con violenza è nulla e non avvenuta e questo, in applicazione dell'articolo 152 del codice di procedura penale che dispone che: "la confessione, come ogni elemento di prova, è lasciata alla libera valutazione dei giudici." Il giudice deve dunque valutare tutte le prove che gli sono presentate per decidere della forza probante da conferire a dette prove secondo la sua intima convinzione.
3. La garanzia del diritto di ricevere delle visite:
Se l'arresto degli interessati [viene] decisa dall'autorità giudiziale competente, beneficeranno dei diritti garantiti ai detenuti dalla legge del 14 maggio 2001 relativa all'organizzazione delle prigioni. Questa legge consacra il diritto di ogni prevenuto a ricevere la visita dell'avvocato incaricato della sua difesa, senza la presenza di un agente della prigione così come la visita dei membri delle loro famiglie. Se il loro arresto [viene] deciso, gli interessati godranno di questo diritto conformemente alla regolamentazione, in vigore e senza restrizione nessuna.
Concernente la domanda di visita degli interessati da parte degli avvocati che li rappresentano nel procedimento in corso dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, le autorità tunisine osservano che tale visita non può essere autorizzata in mancanza di convenzione o di cornice legale interna che l'autorizzi.
Difatti la legge relativa alle prigioni determina le persone abilitate ad esercitare questo diritto: si tratta in particolare dei membri della famiglia del detenuto e del suo avvocato tunisino.
La Convenzione di aiuto giudiziale concluso tra la Tunisia e l’Italia il 15 novembre 1967 non contempla la possibilità per gli avvocati italiani di rendere visita ai detenuti tunisini. Tuttavia gli interessati potranno, se lo desiderano, incaricare degli avvocati tunisini di loro scelta [di] rendere loro visita e di procedere, coi loro omologhi italiani, al coordinamento delle loro azioni nella preparazione degli elementi della loro difesa dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo.
4. La garanzia del diritto di beneficiare delle cure mediche:
La legge precitata relativa all'organizzazione delle prigioni dispone che ogni detenuto ha diritto alla gratuità delle cure e dei medicinali dentro alle prigioni e, a difetto, nella struttura ospedaliera. Inoltre, l'articolo 336 del codice di procedura penale autorizza il giudice di esecuzione delle pene a sottoporre il condannato ad esame medico.
Se l'arresto degli interessati [viene] deciso, saranno sottoposti ad esame medico fin dalla loro ammissione nell'unità penitenziaria. Potranno, d’altra parte, beneficiare ulteriormente di un seguito medico nella cornice di esami periodici. In conclusione, gli interessati beneficeranno di un seguito medico regolare come ogni detenuto e non c'è luogo per questo fatto di autorizzare il loro esame da parte di un altro medico.
Le autorità tunisine reiterano la loro volontà di cooperare pienamente con la parte italiana fornendole tutte le informazione ed i dati utili alla sua difesa nel procedimento in corso dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo."
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
36. I ricorsi che è possibile formare contro un'ordinanza di espulsione in Italia e le regole che disciplinano la riapertura di un processo in contumacia in Tunisia sono descritti in Saadi c. Italia ([GC], no 37201/06, §§ 58-60, 28 febbraio 2008).
III. TESTI E DOCUMENTI INTERNAZIONALI
37. Si trova nella sentenza Saadi precitata una descrizione dei testi, documenti internazionali e sorgenti delle seguenti informazioni: l'accordo di cooperazione in materia di lotta contro la criminalità firmato dall'Italia e Tunisia e l'accordo di associazione tra la Tunisia, l'unione europea ed i suoi Stati membri, (§§ 61-62),; gli articoli 1, 32 e 33 della Convenzione delle Nazioni unite del 1951 relativi allo statuto dei profughi (§ 63); le linee direttive del Comitato dei Ministri del Consiglio dell'Europa (§ 64); i rapporti relativi alla Tunisia di Amnesty Internazionale (§§ 65-72) e di Human Rights Watch (§§ 73-79); le attività del Comitato internazionale della Croce Rossa (§§ 80-81); il rapporto del Dipartimento di stato americano relativo ai diritti dell'uomo in Tunisia (§§ 82-93); le altre sorgenti di informazione relative al rispetto dei diritti dell'uomo in Tunisia (§ 94).
38. Dopo l'adozione della sentenza Saadi, Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuo 2008. Le parti pertinenti della sezione di questo rapporto consacrato alla Tunisia sono riferite in Ben Khemais c. Italia, no 246/07, § 34,... 2009.
39. Nella sua risoluzione 1433(2005, relativa alla legalità della detenzione di persone da parte degli Stati Uniti a Guantanamo Bay, l'assemblea parlamentare del Consiglio dell'Europa ha chiesto al governo americano, tra l’altro, "di non rinviare o trasferire i detenuti basandosi su delle "assicurazioni diplomatiche" di paesi conosciuti per ricorrere sistematicamente alla tortura ed in ogni caso se la mancanza di rischio di maltrattamento non è fermamente stabilita."
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 2 E 3 DELLA CONVENZIONE
40. Il richiedente considera che l'esecuzione della sua espulsione l'esporrebbe ad un rischio di trattamenti contrari agli articoli 2 e 3 della Convenzione. Queste disposizioni si leggono come segue:
Articolo 2
"1. Il diritto di ogni persona alla vita è protetto dalla legge. La morte non può essere inflitta a chiunque intenzionalmente, salvo in esecuzione di una sentenza capitale pronunziata da un tribunale nel caso in cui il reato sia punito con questa pena per legge.
2. La morte non è considerata come inflitta in violazione di questo articolo nei casi in cui risultasse da un ricorso alla forza reso assolutamente necessario:
a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;
b) per effettuare un arresto regolare o per impedire regolarmente l'evasione di una persona detenuta;
c) per reprimere, conformemente alla legge, una sommossa o un'insurrezione. "
Articolo 3
"Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. "
41. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull'ammissibilitÃ
1. L'eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne sollevata dal Governo
42. Il Governo eccepisce innanzitutto del non-esaurimento delle vie di ricorso interne, arguendo che il procedimento in cassazione è ancora pendente e che ad ogni modo, il richiedente non ha sollevato dinnanzi all'alta giurisdizione italiana nessuno motivo di appello in materia di espulsione.
43. Il richiedente sostiene al contrario che si è opposto al alla sua espulsione nei suoi mezzi di appello e di ricorso in cassazione, dove ha chiesto l'annullamento della condanna pronunciata a suo carico, e dunque della misura che ne derivava.
44. La Corte nota al primo colpo che il procedimento in cassazione si è concluso dalla conferma della condanna pronunciata in appello (vedere sopra il paragrafo 14). Osserva per di più che la misura di sicurezza che consiste nell’espulsione del territorio italiano che ha applicato il tribunale e la corte di appello di Milano, era, ai termini dell'articolo 235 del CP, una conseguenza automatica della condanna del richiedente. Per evitare tale misura di sicurezza, l'interessato avrebbe dovuto sottoporre degli argomenti che miravano a convincere i giudici interni che la sua pena doveva essere ridotta a meno di due anni di detenzione. Ora, tali argomenti non riguardavano una violazione dei principi della Convenzione. Peraltro, il Governo non ha prodotto nessuno esempio che mostri che le affermazioni di rischio di sottomissione a trattamenti contrari all'articolo 3 della Convenzione nel paese di destinazione potevano portare le giurisdizioni italiane a negare di applicare l'articolo 235 del CP.
45. Ne segue che l'eccezione preliminare del Governo non potrebbe essere considerata.
2. Altri motivi di inammissibilitÃ
46. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità . Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
47. Il richiedente rinvia alle inchieste condotte da Amnesty International e dal Dipartimento di stato degli Stati Uniti dell'America che dimostrerebbero che in caso di espulsione verso la Tunisia, sarebbe esposto ad un rischio concreto e serio di violazione dei diritti garantiti dagli articoli 2 e 3 della Convenzione. Riporta anche che l'associazione internazionale di sostegno ai prigionieri politici ha riferito il caso di un giovane uomo, il Sig. H. B. S. F. che, il 10 ottobre 2006, si sarebbe gettato dalla finestra di un commissariato poco prima un interrogatorio. L'avvocato di M. B. F. avrebbe spiegato che il suo cliente era stato detenuto per venticinque giorni nelle unità del ministero delle Cause interne a Tunisi, dove era stato torturato selvaggiamente. Infine, il richiedente sottolinea che numerosi articoli di stampa denunciano la condizione dei detenuti politici e delle loro famiglie. Afferma che tutti i tunisini accusati in Italia di attività terroristiche hanno subito delle violenze e delle torture dopo il loro rimpatrio.
48. Il richiedente considera di fronte ai rischi seri ai quali sarebbe esposto in caso di espulsione, il semplice richiamo dei trattati sottoscritti dalla Tunisia non potrebbe bastare. Dichiara che la sua famiglia ha ricevuto parecchie visite della polizia e che è stata oggetto di minacce e di provocazioni continue.
b) Il Governo,
49. Il Governo sottolinea che la Tunisia ha ratificato parecchi strumenti internazionali in materia di protezione dei diritti dell'uomo, ossia il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, e la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti; e che l'Italia e la Tunisia hanno firmato delle intese bilaterali in materia di immigrazione e di lotta contro la criminalità . Stima che l'efficacia di queste intese sarebbe messa in pericolo se la Corte dovesse affermare un principio secondo cui i cittadini tunisini non possono essere espulsi.
50. Il Governo ricorda anche che la Tunisia ha firmato con l'unione europea un accordo di associazione in virtù del quale la questione del rispetto delle libertà fondamentali e dei principi democratici è un elemento del dialogo politico tra i firmatari; e che l'unione europea è un'organizzazione internazionale che, secondo la giurisprudenza della Corte, è presunta di offrire una protezione dei diritti fondamentali "equivalenti" a quelli garantiti dalla Convenzione. Sottolinea peraltro che le autorità tunisine permettono alla Croce Rossa internazionale di visitare le prigioni.
51. Secondo il Governo, si può presumere che la Tunisia non si scosterà dagli obblighi che le spettano in virtù dei trattati internazionali.
52. In più, il sistema giuridico italiano contemplerebbe delle garanzie per l'individuo-ivi compresa la possibilità di ottenere lo statuto di profugo-che renderebbero " una repressione contraria alle esigenze della Convenzione praticamente impossibile."
53. Il Governo arguisce comunque che le affermazioni relative ad un pericolo di morte o al rischio di essere esposto a tortura o a trattamenti disumani e degradanti devono essere supportate da elementi di prova adeguata; e che nello specifico, il richiedente non ha né prodotto elementi precisi a questo riguardo né fornito spiegazioni dettagliate, ma che si è limitato a descrivere una situazione falsamente generalizzata in Tunisia. Le "sorgenti internazionali" citate dal richiedente sarebbero vaghe e non pertinenti, come gli articoli di stampa prodotti dall'interessato. Il caso del Sig. H. B. S. B. F., citato dal richiedente, non sarebbe pertinente nello specifico, trattandosi di un caso di suicidio.
54. Il Governo rinvia alle assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine, in cui vede il risultato di un dialogo intergovernativo molto fruttuoso. Queste assicurazioni garantirebbero una protezione adeguata del richiedente contro il rischio di subire, in Tunisia, dei trattamenti vietati dalla Convenzione.
55. Sottolinea che le autorità tunisine hanno corredato suddette assicurazioni con una "lunga e rassicurante spiegazione, in fatto ed in diritto, delle ragioni per cui bisogna credere loro", e stima che la loro buona fede non dovrebbe essere messa in dubbio. Aggiunge che si è potuto verificare il rispetto effettivo di queste assicurazioni all'epoca dei controlli del Comitato superiore dei diritti dell'uomo e della Croce Rossa, così come delle visite degli avvocati e dei prossimi del richiedente.
56. Secondo il Governo, l'impossibilità per il rappresentante del richiedente dinnanzi alla Corte di visitare il suo cliente se incarcerato in Tunisia si spiega col fatto che questo Stato non ha aderito alla Convenzione. Sarebbe dunque ragionevole non permettere le visite di avvocati esteri che operano fuori dalla cornice nazionale ed internazionale in cui si iscrive la Tunisia. A questo riguardo, il Governo osserva che l'interessato potrà , se lo desidera, dare mandato agli avvocati tunisini di sua scelta affinché procedano, in collaborazione con gli omologhi italiani, alla preparazione della sua difesa dinnanzi alla Corte.
57. Secondo il Governo, le assicurazioni date dalla Tunisia sono rassicuranti per ciò che riguarda la sicurezza ed il benessere del richiedente così come il rispetto del suo diritto ad un processo equo. Sottolineando che nella causa Saadi precitata, avendo la Corte stessa chiesto se tali assicurazioni erano state sollecitate ed ottenute, il Governo stima che, senza che ci sia questione di rimetterli in causa, i principi affermati dalla Grande Camera devono essere adattati alle particolari circostanze di fatto del caso specifico.
2. Valutazione della Corte
58. I principi generali relativi alla responsabilità degli Stati contraenti in caso di espulsione, agli elementi da considerare per valutare il rischio di esposizione a trattamenti contrari all'articolo 3 della Convenzione ed alla nozione di "tortura" e di "trattamenti disumani e degradanti" è riassunta nella sentenza Saadi (precitata, §§ 124-136) in cui la Corte ha riaffermato anche l'impossibilità di mettere sulla bilancia il rischio di maltrattamenti ed i motivi invocati per l’espulsione per determinare se la responsabilità di un Stato è impegnata sul terreno dell'articolo 3 (§§ 137-141).
59. La Corte ricorda le conclusioni a cui è giunta nella causa Saadi precitata (§§ 143-146) che erano le seguenti:
- i testi internazionali pertinenti fanno stato di numerosi casi regolari di tortura e di maltrattamenti inflitti in Tunisia a persone sospettate o riconosciute colpevoli di terrorismo;
- questi testi descrivono una situazione preoccupante;
- le visite del Comitato internazionale della Croce Rossa nei luoghi di detenzione tunisina non possono dissipare il rischio di sottomissione a trattamenti contrari all'articolo 3 della Convenzione.
60. La Corte non vede nello specifico nessuna ragione di ritornare su queste conclusioni che si trovano del resto confermate dal rapporto 2008 di Amnesty Internazionale relativo alla Tunisia (vedere sopra il paragrafo 38). Nota per di più che in Italia, il richiedente è stato accusato di fare parte di un'associazione di malviventi legati ai gruppi islamici integralisti. Anche se la corte di appello di Milano ha stimato che mancava la prova che l'associazione di malviventi alla quale apparteneva il richiedente fosse legata ai gruppi terroristici o aveva per scopo di mettere in pericolo il regime democratico, l'interessato è stato condannato poi in Tunisia a dieci anni di detenzione per appartenenza, in tempo di pace, ad un'organizzazione terroristica. L'esistenza di questa condanna è stata confermata dalle autorità tunisine (vedere sopra il paragrafo 35).
61. In queste condizioni, la Corte stima che nello specifico, dei fatti seri ed accertati giustifichino di concludere ad un rischio reale di vedere il richiedente subire dei trattamenti contrari all'articolo 3 della Convenzione se venisse espulso verso la Tunisia (vedere, mutatis mutandis, Saadi, precitata, § 146. Resta da verificare se le assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine bastano ad allontanare questo rischio.
62. A questo riguardo, la Corte ricorda, primariamente, che l'esistenza di testi interni e l'accettazione di trattati internazionali che garantiscono, in principio, il rispetto dei diritti fondamentali non basta, da sola, a garantire una protezione adeguata contro il rischio di maltrattamenti quando, come nello specifico, delle sorgenti affidabili fanno stato di pratiche delle autorità -o tollerate o da queste -manifestamente contrarie ai principi della Convenzione (Saadi, precitata, § 147 in fine). Secondariamente, appartiene alla Corte esaminare se le assicurazioni date dallo stato di destinazione forniscono, nella loro applicazione effettiva, una garanzia sufficiente in quanto alla protezione del richiedente contro il rischio di trattamenti vietati dalla Convenzione (Chahal c. Regno Unito, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V, § 105, 15 novembre 1996). Il peso da accordare alle assicurazioni che provengono dallo stato di destinazione dipende difatti, in ogni caso, dalle circostanze che prevalgono all'epoca considerata (Saadi, precitata, § 148 in fine).
63. Nel presente caso, l'avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziali ha garantito che la dignità umana del richiedente sarebbe rispettata in Tunisia, che non sarebbe sottomesso a tortura, a trattamenti disumani o degradanti o ad una detenzione arbitraria, che beneficerebbe di cure mediche adeguate e che potrebbe ricevere delle visite dal suo avvocato e dai membri della sua famiglia. Oltre le leggi tunisine pertinenti ed i trattati internazionali firmati dalla Tunisia, queste assicurazioni si fondano sui seguenti elementi:
- i controlli praticati dal giudice di esecuzione delle pene, dal comitato superiore dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (istituzione nazionale indipendente) e dai servizi dell'ispezione generale del ministero della Giustizia e dei Diritti dell'uomo;
- due casi di condanna di agenti dell'amministrazione penitenziaria e di un agente di polizia per maltrattamenti;
- la giurisprudenza interna, ai termini della quale una confessione estorta sotto la costrizione è nulla e non avvenuta (vedere sopra il paragrafo 35).
64. La Corte nota, però, che non è stabilito che l'avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziali fosse competente per dare queste assicurazioni a nome dello stato (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko c. Ucraina, no 2440/07, § 73, 23 ottobre 2008.) In più, tenuto conto del fatto che delle sorgenti internazionali serie ed affidabili hanno indicato che le affermazioni di maltrattamenti non erano esaminate dalle autorità tunisine competenti (Saadi, precitata, § 143) il semplice richiamo di due casi di condanna di agenti dello stato per percosse e lesioni su dei detenuti non potrebbe bastare ad allontanare il rischio di tali trattamenti né a convincere la Corte dell'esistenza di un sistema effettivo di protezione contro la tortura, in mancanza di cui è difficile verificare che le assicurazioni date verranno rispettate. A questo riguardo, la Corte ricorda che nel suo rapporto del 2008 relativo alla Tunisia, Amnesty International ha precisato in particolare che, sebbene numerosi detenuti si siano lamentati di essere stati torturati durante la loro custodia provvisoria, "le autorità non hanno condotto praticamente mai alcuna inchiesta né preso una qualsiasi misura per tradurre in giustizia i presunti torturatori " (vedere sopra il paragrafo 38).
65. In più, nella sentenza Saadi precitata (§ 146), la Corte ha constatato una reticenza delle autorità tunisine a cooperare con le organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti dell'uomo, come Human Rights Watch. Nel suo rapporto 2008 precitato, Amnesty International ha notato peraltro che, sebbene il numero di membri del comitato superiore dei diritti dell'uomo sia stato aumentato, questo non includeva organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti fondamentali." L'impossibilità per il rappresentante del richiedente dinnanzi alla Corte di rendere visita al suo cliente nel caso fosse stato incarcerato in Tunisia conferma anche la difficoltà di accesso dei prigionieri tunisini ai consiglieri stranieri indipendenti quando sono parti ai procedimenti giudiziali dinnanzi a delle giurisdizioni internazionali. Questi ultimi rischiano dunque, una volta un richiedente viene espulso in Tunisia, di trovarsi nell'impossibilità di verificare la sua situazione e di conoscere degli eventuali motivi di appello che potrebbe sollevare in quanto ai trattamenti ai quali viene sottoposto (Ben Khemais, precitata, § 63).
66. In queste circostanze, la Corte non potrebbe aderire alla tesi del Governo secondo cui le assicurazioni date nel presente genere offrono una protezione efficace contro il rischio serio che corre il richiedente di essere sottomesso a trattamenti contrari all'articolo 3 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko precitata, §§ 73-74). Ricorda al contrario il principio affermato dall'assemblea parlamentare del Consiglio dell'Europa nella sua risoluzione 1433(2005) secondo cui le assicurazioni diplomatiche non possono bastare quando la mancanza di pericolo di maltrattamento non è fermamente stabilita (vedere sopra il paragrafo 39).
67. Pertanto, la decisione di espellere l'interessato verso la Tunisia violerebbe l'articolo 3 della Convenzione se fosse messa in esecuzione.
68. Questa conclusione dispensa la Corte dall’ esaminare la questione di sapere se l'esecuzione dell’espulsione violerebbe anche l'articolo 2 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DI UNA MANCANZA D’EQUITÀ DEL PROCEDIMENTO PENALE ESSENDOSI SVOLTA IN TUNISIA
69. Nella sua decisione parziale sull'ammissibilità della richiesta, la Corte ha osservato che il richiedente aveva prodotto la traduzione di un avviso che l'informava di una condanna pronunciata in contumacia a suo carico con un tribunale militare (vedere sopra il paragrafo 15). Ha stimato quindi che la richiesta poneva anche la questione di sapere se l'interessato avrebbe rischiato di subire un diniego di giustizia flagrante in Tunisia (vedere, mutatis mutandis, Einhorn c. Francia,( déc.), no 71555/01, § 32, CEDH 2001-XI). Questa causa solleva dunque delle questioni sotto l'angolo dell'articolo 6 della Convenzione.
70. Il Governo considera che questo motivo di appello non potrebbe essere considerato.
71. La Corte considera che questo motivo di appello è ammissibile (Saadi, precitata, § 152). Però, avendo constatato che l’espulsione del richiedente verso la Tunisia costituirebbe una violazione dell'articolo 3 della Convenzione (vedere sopra il paragrafo 67) e non avendo nessuno motivo di dubitare che il governo convenuto si conformerà alla presente sentenza, non stima necessario decidere la questione ipotetica di sapere se, in caso di espulsione verso la Tunisia, ci sarebbe anche violazione dell'articolo 6 della Convenzione (Saadi, precitata, § 160).
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DI UNA MANCANZA D’ EQUITÀ DEL PROCEDIMENTO PENALE ESSENDOSI SVOLTA DINNANZI AD IL GIUDICE CONCILIATORE DI MILANO
72. Nella sua lettera del 18 gennaio 2007, il richiedente si è lamentato di una mancanza di equità del suo processo tenuto dinnanzi al giudice conciliatore di Milano il 15 gennaio 2007. Adduce che prima di prendere la sua decisione, il giudice si è intrattenuto con un rappresentante della prefettura senza che il suo avvocato potesse ascoltare la loro conversazione e malgrado l'opposizione di questo.
73. Il richiedente invoca l'articolo 6 della Convenzione.
74. La Corte osserva che il procedimento controverso riguardava la convalida dell'ordinanza ministeriale che ordinava l’espulsione del richiedente. Ora, secondo la giurisprudenza ben stabilita degli organi della Convenzione, le decisioni relative all'entrata, al soggiorno ed all'allontanamento degli stranieri non portano contestazione sui diritti od obblighi di carattere civile di un richiedente né hanno fatto riferimento alla fondatezza di un'accusa in materia penale diretta contro lui, ai sensi dell'articolo 6 § 1 della Convenzione (Mamatkoulov ed Askarov, precitata, § 82; Sardinas Albo c. Italia, (déc.), no 56271/00, CEDH 2004-I; Penafiel Salgado c. Spagna,( déc.), no 65964/01, 16 aprile 2002; Maaouia c. Francia [GC], no 39652/98, § 40, CEDH 2000-X).
75. Pertanto, l'articolo 6 § 1 della Convenzione non si trova ad applicare nello specifico.
76. Ne segue che questo motivo di appello è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell'articolo 35 § 3 e deve essere respinto in applicazione dell'articolo 35 § 4.
IV. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
77. Ai termini dell'articolo 41 della Convenzione,
"Se la Corte dichiara che c'è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c'è luogo, una soddisfazione equa. "
A. Danno
78. Il richiedente sollecita 50 000 euro (EUR) a titolo del danno morale che stima di avere subito.
79. Il Governo ricorda che l’espulsione del richiedente non è stato eseguita e stima che sarebbe singolare che uno straniero che ha infranto le regole del paese di accoglienza possa ottenere un risarcimento in ragione di un'ordinanza legittima di repressione.
80. La Corte stima che la constatazione che l’espulsione, se fosse condotta all’ esecuzione, costituirebbe una violazione dell'articolo 3 della Convenzione rappresenta una soddisfazione equa sufficiente (Saadi precitata, § 188,).
B. Oneri e spese
81. Il richiedente non ha fatto domanda di rimborso a titolo di oneri e spese. Pertanto, la Corte stima che non c'è luogo di concedergli alcuna somma a questo titolo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dagli articoli 2 e 3 della Convenzione e del rischio di un diniego flagrante di giustizia in Tunisia ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che, nell'eventualità del collocamento in esecuzione della decisione di espellere il richiedente verso la Tunisia, ci sarebbe violazione dell'articolo 3 della Convenzione;
3. Stabilisce che non c'è luogo di esaminare anche se il collocamento in esecuzione della decisione di espellere il richiedente verso la Tunisia violerebbe anche gli articoli 2 e 6 della Convenzione;
4. Stabilisce che la constatazione di una violazione costituisce una soddisfazione equa sufficiente a titolo del danno morale subito dal richiedente;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 24 marzo 2009, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 dell'ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa