SECONDA SEZIONE
CAUSA CAVALLO C. ITALIA
( Richiesta no 9786/03)
SENTENZA
STRASBURGO
4 marzo 2008
DEFINITIVO
04/06/2008
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Cavallo c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell'uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Antonella Mularoni, Ireneu Cabral Barreto, Rıza Türmen, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jo�ienė, András Sajó, giudici,,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 12 febbraio 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All'origine della causa si trova una richiesta (no 9786/03) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. A. C. ("il richiedente"), ha investito la Corte il 20 agosto 2001 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle Libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, il Sig. I.M. Braguglia, dal suo coagente, il Sig. F. Crisafulli, e dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Tanto il richiedente che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte sul merito della causa (articolo 59 § 1 dell'ordinamento).
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DI LO SPECIFICO
4. Il richiedente è un cittadino italiano, nato nel 1956 e detenuto a Carinola.
A. I perseguimenti penali
5. In detenzione dal 6 febbraio 1991, il richiedente è stato condannato a pesanti pene nella cornice dei diversi procedimenti penali relativi ai crimini legati ad un'associazione di malviventi di tipo mafioso operante in Sicilia e di cui è uno dei capi.
Con una sentenza del 23 dicembre 1994, la corte d’assise di Agrigento condannò il richiedente all’ergastolo per omicidio.
Con una sentenza del 1 luglio 1997, la corte d’assise di appello di Caltanissetta condannò il richiedente all’ergastolo per associazione di malviventi di tipo mafioso ed altri crimini.
Con una sentenza del 16 gennaio 1998, la corte d’assise di Siracusa condannò il richiedente all’ergastolo per un altro omicidio.
B. Il regime speciale di detenzione previsto dall'articolo 41bis della legge sull'amministrazione penitenziaria
6. Il 20 luglio 1992, il ministro della Giustizia emise un'ordinanza che imponeva al richiedente ed a 123 altri detenuti, tutti considerati pericolosi, per un periodo di un anno, il regime speciale di detenzione previsto dall'articolo 41bis, capoverso 2, della legge sull'amministrazione penitenziario no 354 del 26 luglio 1975 ("la legge no 354/1975"). Modificata dalla legge no 356 del 7 agosto 1992, questa disposizione permetteva la sospensione totale o parziale dell'applicazione del regime normale di detenzione quando delle ragioni di ordine e di sicurezza pubblici l'esigevano.
Questa ordinanza imponeva le seguente restrizioni:
-interdizione di utilizzare il telefono;
-interdizione di tenere corrispondenza con un altro detenuto o internato, anche se si trattava di un coniuge o di un compagno o di una compagna;
-interdizione di ogni corrispondenza epistolare e telegrafica non sottoposta a controllo da parte del direttore dell'istituto penitenziario o di uno dei suoi delegati;
-interdizione di intrattenimenti con terzi;
-limitazione delle visite dei membri della famiglia (al massimo una al mese della durata di un’ora);
-interdizione di ricevere delle somme di denaro al di là di un determinato importo mensile;
-interdizione di ricevere dall'esterno più di un pacco mensile di un determinato peso contenente della biancheria e dei vestiti ed interdizione di ricevere dei pacchi contenenti altro;
-interdizione di organizzare delle attività culturali, ricreative e sportive;
-interdizione di eleggere un rappresentante dei detenuti e di essere eletto come rappresentante;
-interdizione di esercitare delle attività artigianali;
-interdizione di acquistare degli alimenti che richiedono una cottura; e
-interdizione di passeggiate superiori alle due ore.
La terza limitazione concernente la corrispondenza era prevista dalle prime due ordinanze; in seguito, tutta la sua corrispondenza fu sottoposta a controllo su autorizzazione preliminare delle autorità giudiziali competenti.
7. Il richiedente adduce di essere stato anche sottomesso ad una serie di altre limitazioni e restrizioni che, secondo lui, avrebbero ignorato la sua dignità umana. Si tratterebbe in particolare di:
a. la perquisizione del detenuto, completamente nudo, prima e dopo ogni incontro, o col suo difensore, o coi membri della sua famiglia, anche se questo incontro aveva avuto luogo in un'unità sorvegliata dal personale dell'amministrazione penitenziaria e benché fosse separato dal suo interlocutore da un vetro blindato e che il loro contatto fosse unicamente audiovisivo;
b. l'obbligo di compiere, nudo, delle flessioni sulle gambe dinnanzi agli agenti della polizia penitenziaria affinché questi ultimi potessero controllare se, durante l'incontro come descritto precedentemente, avesse potuto nascondere degli eventuali oggetti nell'orifizio anale;
c. l'ispezione delle piante dei piedi, della cavità orale e della cavità anale con l'utilizzazione di un rilevatore di metalli, dopo ogni partecipazione ad un'udienza, sebbene questa partecipazione avesse avuto luogo in una sala d’udienza o a distanza in videoconferenza, in un luogo scelto dall'amministrazione penitenziaria e sotto la consolidata sorveglianza di agenti; e
d. la costante ripresa cinematografica della sua unità 24 ore su 24, per mezzo di cineprese a circuito chiuso, con un danno evidente alla sua intimità .
8. L'applicazione del regime speciale di detenzione contro il richiedente fu prorogata per i periodi successivi di sei mesi fino al dicembre 2002, poi di un anno fino al dicembre 2003, datando l'ultima ordinanza giunta alla Corte il 28 dicembre 2002. Le restrizioni furono tuttavia alleviate, una prima volta nel febbraio 1994, con la soppressione dell'interdizione di corrispondere con un altro detenuto o internato; nell'aprile 1995, con la soppressione dell'interdizione di eleggere un rappresentante dei detenuti o di essere eletto come rappresentante, e la soppressione delle limitazioni delle visite dei membri della famiglia; nel luglio 1997, con l'autorizzazione di utilizzare il telefono; e nel luglio 1998, con la soppressione della limitazione del tempo della passeggiata. Questa ultima restrizione fu reintrodotta tuttavia il 28 dicembre 2002, ma in modo alleggerito, perché il ministro della Giustizia limitò il periodo di tempo fuori dall'unità , in gruppi di cinque persone al massimo, alle quattro al giorno di cui due ore all'aria aperta. Nella stessa data furono, da una parte, annullate le interdizioni di organizzare delle attività culturali, ricreative e sportive e di esercitare delle attività artigianali, e fu, dall’altra parte, reintrodotta l'interdizione di utilizzare il telefono.
9. Il richiedente afferma avere attaccato tutte le ordinanze ministeriali dinnanzi ai tribunali dell'applicazione delle pene; la pratica della richiesta permette tuttavia di confermare queste affermazioni solo per 18 delle 21 ordinanze. Si tratta rispettivamente dei seguenti ricorsi:
-ricorso in una data non precisata dinnanzi al tribunale dell'applicazione delle pene ("il TAP") di Sassari contro l'ordinanza del 16 luglio 1993, respinto il 18 novembre 1993 al motivo che l'applicazione del regime speciale di detenzione si giustificava alla luce dei procedimenti pendenti contro il richiedente per omicidi ed associazione di malviventi;
-ricorso in una data non precisata dinnanzi al TAP di Caltanissetta contro l'ordinanza del 1 agosto 1994, respinta l’ 11 ottobre 1994 al motivo che l'applicazione del regime speciale di detenzione si giustificava alla luce dei procedimenti pendenti contro il richiedente per omicidi ed associazione di malviventi;
-ricorso in una data non precisata dinnanzi al TAP di Sassari contro le ordinanze del 6 febbraio e 5 agosto 1995, 2 febbraio e 31 luglio 1996, respinti rispettivamente il 27 aprile e 5 ottobre 1995, 18 marzo e 14 ottobre 1996, i motivi indicati dal ministro giustificavano pienamente l'applicazione del regime speciale;
-ricorso del 18 dicembre 1996 dinnanzi al TAP di Caltanissetta contro l'ordinanza del 31 luglio 1996, respinto il 30 aprile 1997 poiché tardivo;
-ricorso in una data non precisata contro l'ordinanza del 4 febbraio 1997 dinnanzi al TAP di Catania, respinta il 5 novembre 1997 al motivo che il periodo di validità dell'ordinanza attaccata era scaduto il 4 agosto 1997;
-ricorso in una data non precisata dinnanzi al TAP di Bologna contro le ordinanze del 31 luglio 1997 e del 4 febbraio 1998, respinto rispettivamente il 21 novembre 1997 e il 4 giugno 1998, al motivo che altre condanne all’ergastolo avevano colpito nel frattempo il richiedente;
-ricorso dinnanzi al TAP di L'Aquila contro le ordinanze dal 30 luglio 1998 al 10 giugno 2002, respinto al motivo che le condizioni per l'applicazione del regime speciale erano assolte e che l'applicazione di questo si giustificava alla luce delle informazione raccolte dalla polizia e dalle autorità giudiziali sul conto del richiedente; e
- ricorso dinnanzi al TAP di Roma contro l'ordinanza del 28 dicembre 2002. Con una decisione del 28 maggio 2003, il TAP revocò l'applicazione del regime speciale previsto dall'articolo 41bis al motivo che questa ultimo non era più necessaria tenuto conto dell'atteggiamento del richiedente.
10. Nessuna informazione è stata fornita a proposito delle ordinanze del 20 luglio 1992, 31 gennaio 1994 e 28 dicembre 2002 così come delle eventuali ordinanze posteriori a quella del dicembre 2002.
11. Sette ricorsi in cassazione furono introdotti dal richiedente contro la decisione di rigetto del TAP di Sassari del 5 agosto 1995 e le decisioni di rigetto del TAP dell'Aquila rispettivamente del 8 settembre 1998, 23 marzo e 28 settembre 1999, 13 febbraio 2001, 12 febbraio e 30 luglio 2002.
Fatta eccezione per il ricorso contro la decisione del 12 febbraio 2002-respinto per mancanza di interesse con una sentenza del 13 novembre 2002, depositata alla cancelleria il 9 gennaio 2003-la conclusione di questi procedimenti è sconosciuta alla Corte.
C. La destinazione ad un settore con Livello di Sorveglianza Elevato (Elevato indice di Sorveglianza-E.I.V)
12. Ad una data non precisata ed in seguito alla decisione del 28 maggio 2003 con la quale il tribunale dell'applicazione delle pene di Roma revocò l'applicazione del regime speciale di detenzione previsto dall'articolo 41bis, l'amministrazione penitenziaria pose il richiedente in un settore della prigione con Livello di Sorveglianza Elevato (Elevato indice di Sorveglianza-E.I.V).
D. Il controllo della corrispondenza del richiedente
13. Risulta dagli elementi della pratica che la corrispondenza del richiedente fu sottoposta al controllo delle autorità penitenziarie dal luglio 1992 al dicembre 1993 in modo automatico, poi a partire dal dicembre 1993 su autorizzazione preliminare delle giurisdizioni dell'applicazione delle pene competenti.
I seguenti documenti portano il timbro senza data che prova il controllo:
-ordinanze del 10 giugno e del 28 dicembre 2002;
-decisioni del TAP di Bologna del 21 novembre 1997, 4 febbraio 1998 e 12 febbraio 2002; e
-3 documenti della Corte di cassazione (comunicazione che riguarda un'udienza e due copie di una comunicazione relativa alla sentenza del 13 novembre 2002) arrivati alla Corte il 16 giugno 2003.
II. IL DIRITTO E LA RATICA INTERNA PERTINENTI
14. La Corte ha riassunto il diritto e la pratica interna pertinenti in quanto al regime speciale di detenzione applicata nello specifico ed in quanto al controllo della corrispondenza nella sua sentenza Ospina Vargas c. Italia (no 40750/98, §§ 23-33, 14 ottobre 2004,). Ha fatto anche stato delle modifiche introdotte dalla legge no 279 del 23 dicembre 2002 e dalla legge no 95 del 8 aprile 2004 (ibidem).
Tenuto conto di questa riforma e delle decisioni della Corte, da ultimo la sentenza Ganci c. Italia del 30 ottobre 2003 (§§ 19-31) la Corte di cassazione si è scostata dalla sua giurisprudenza e ha stimato che un detenuto ha interesse ad avere una decisione, anche se il periodo di validità dell'ordinanza attaccata è scaduto, e ciò in ragione degli effetti diretti della decisione sulle ordinanze posteriori all'ordinanza attaccata (Corte di cassazione, prima camera, sentenza del 26 gennaio 2004, depositata il 5 febbraio 2004, no 4599, Zara).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
15. Il richiedente adduce che l'applicazione del regime speciale di detenzione a suo carico l'ha sottoposto per molto tempo a "pene disumane e degradanti e superiori a quelle previste dalla legge all'epoca in cui i fatti rimproverati sono stati commessi." Si lamenta anche del fatto che, prima e dopo gli incontri con la sua famiglia ed il suo avvocato, viene sottoposto ad ispezioni nel corso delle quali la sua intimità non viene preservata e viene filmato costantemente nella sua unità . Si lamenta anche del suo collocamento in un settore della prigione con Livello di Sorveglianza Elevato (Elevato indice di Sorveglianza-E.I.V).
Invoca l'articolo 3 della Convenzione, così formulato:
"Nessuno può essere sottomesso alla tortura né alle pene o trattamenti disumani o degradanti. "
16. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull'ammissibilitÃ
17. Il Governo eccepisce del non-esaurimento delle vie di ricorso interne nella misura in cui il richiedente si sarebbe potuto rivolgere ai tribunali di applicazione delle pene per contestare la sottomissione a perquisizioni corporali.
18. Il richiedente si oppone a questa tesi.
19. La Corte constata che l'eccezione è legata strettamente al merito della richiesta e decide di unirla a questo. La Corte constata che questa parte della richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione e non incontra nessun altro motivo di inammissibilità .
B. Sul merito
20. Il Governo osserva che le restrizioni imposte al richiedente dal regime speciale di detenzione non hanno raggiunto il livello minimo di gravità richiesto per ricadere nel campo di applicazione dell'articolo 3 della Convenzione. Inoltre, il richiedente non ha fornito alcuna prova dell'esistenza di maltrattamenti differenti rispetto alle restrizioni ordinarie previste dall'articolo 41bis della legge sull'amministrazione penitenziaria.
21. In quanto alle perquisizioni corporali, il Governo osserva che si sono svolte nel rispetto dell'ordinamento e della dignità umana e dopo i contatti del richiedente con terzi. Sottolinea che questi controlli erano rigorosamente necessari alla vista del comportamento del richiedente e miravano a garantire delle esigenze di sicurezza della prigione.
22. In quanto alla mancanza di intimità nell'unità dovuta al controllo con una cinepresa a circuito chiuso, il Governo fa notare che si tratta di un controllo ordinario nelle prigioni e, nello specifico, completamente proporzionato alla vista della pericolosità del richiedente.
23. Il richiedente si oppone alle tesi del Governo.
24. La Corte ricorda che secondo la sua giurisprudenza, per ricadere sotto l'influenza dell'articolo 3 della Convenzione, un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravità . La valutazione di questo minimo è relativa per essenza; dipende dall'insieme dei dati della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o mentali così come, talvolta, dal sesso, dall'età , dallo stato di salute della vittima (Irlanda c. Regno Unito, sentenza del 18 gennaio 1978, serie A no 25, p. 65, § 162).
25. In questa ottica, la Corte deve ricercare se l'applicazione prolungata del regime speciale di detenzione previsto dall'articolo 41bis-che, peraltro, dopo la riforma del 2002, è diventata una disposizione permanente della legge sull'amministrazione penitenziaria –per più di dieci anni nel caso del richiedente costituisca una violazione dell'articolo 3 della Convenzione (Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 119, CEDH 2000-IV).
26. La Corte ammette che in generale, l'applicazione prolungata di certe restrizioni può porre un detenuto in una situazione che potrebbe costituire un trattamento disumano o degradante, ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione. Però, non potrebbe considerare una durata precisa come il momento a partire dal quale viene raggiunta la soglia minima di gravità per ricadere nel campo di applicazione dell'articolo 3 della Convenzione. In compenso, ha il dovere di controllare se, in un dato caso, il rinnovo ed il prolungamento delle restrizioni si giustificavano (Argenti c. Italia, no 56317/00, § 21, 10 novembre 2005).
27. Ora appare che ogni volta, il ministro della Giustizia si è riferito, per giustificare la proroga delle restrizioni, alla persistenza delle condizioni che motivavano la prima applicazione, che i tribunali dell'applicazione delle pene hanno controllato la realtà di queste constatazioni e che quando l'applicazione di questo regime non era più necessaria, è stata revocata.
28. Da parte sua, la Corte nota che il richiedente non ha fornito alla Corte alcun elemento che le permetterebbe di concludere che l'applicazione prolungata del regime speciale di detenzione previsto dall'articolo 41bis gli abbia causato degli effetti fisici o mentali ricadenti sotto l'influenza dell'articolo 3. Quindi, la sofferenza o l'umiliazione che il richiedente ha potuto provare non è andata al di là di quella che comporta inevitabilmente una data forma di trattamento - nello specifico prolungato - o di pena legittima (Labita, precitata, § 120, e Bastone c. Italia, (déc) no 59638/00, 18 gennaio 2005).
29. In compenso, la Corte nota che il regime speciale è stato alleggerito:
- nel febbraio 1994 (soppressione dell'interdizione di corrispondere con un altro detenuto o internato);
- nell'aprile 1995 (soppressione dell'interdizione di eleggere un rappresentante dei detenuti e di essere eletto come rappresentante, e soppressione della limitazione delle visite dei membri della famiglia);
- nel febbraio 1997 (autorizzazione di una chiamata telefonica di un’ora al mese coi membri della famiglia in mancanza di visita di questi; possibilità di ricevere due pacchi al mese e due pacchi annui straordinari e di acquistare degli alimenti che richiedono una cottura);
- nel luglio 1997 (autorizzazione di utilizzare il telefono);
- nel luglio 1998 (soppressione della limitazione del tempo della passeggiata);
- nel dicembre 2002 (soppressione delle interdizioni di organizzare delle attività culturali, ricreative e sportive e di esercitare delle attività artigianali; reintroduzione della limitazione del tempo di passeggiata ma in modo alleggerito, perché il ministro della Giustizia limitò il periodo di tempo fuori dall'unità , in gruppi di cinque persone al massimo, alle quattro ore aò giorno di cui due ore all'aria aperta); e
- nel maggio 2003, quando questo regime fu revocato.
Queste modifiche fanno stato della preoccupazione delle autorità italiane di trovare un giusto equilibrio tra i diritti del richiedente e gli scopi previsti dal regime speciale.
30. Pertanto, secondo la Corte, l'applicazione continua del regime speciale di detenzione dell'articolo 41bis non ha raggiunto il minimo necessario di gravità per ricadere sotto l'influenza dell'articolo 3 della Convenzione.
31. Peraltro, in quanto alle perquisizioni ed alla videosorveglianza, la Corte nota che il richiedente non ha fornito nessuna prova tale da permettere di concludere al di là di ogni ragionevole dubbio che c'è stata un'incomprensione dell'articolo 3 della Convenzione. In queste circostanze, la Corte non potrebbe scoprire nessuna apparenza di violazione di questa disposizione.
32. In conclusione, non c'è stata violazione dell'articolo 3 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
33. Il richiedente si lamenta delle restrizioni ininterrotte al suo diritto al rispetto della sua vita familiare in ragione delle restrizioni e delle modalità delle visite familiari così come della distanza esistente tra la prigione dove è detenuto ed il luogo di abitazione della sua famiglia. Si lamenta anche della violazione del suo diritto al rispetto della sua corrispondenza.
Invoca l'articolo 8 della Convenzione, così formulato nella sua parte pertinente:
"1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza pubblica,(…), alla difesa dell'ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, (…).�
34. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull'ammissibilitÃ
35. Trattandosi del motivo di appello relativo alla violazione del diritto al rispetto della vita familiare, la Corte ricorda che ha dovuto già deliberare sul fatto di sapere se le restrizioni previste dall'applicazione dell'articolo 41bis in materia di vita privata e familiare di certi detenuti così come la lontananza del luogo di detenzione dal domicilio della famiglia di un detenuto costituiscono delle ingerenze giustificate dal paragrafo 2 dell'articolo 8 della Convenzione (vedere ls sentenza Messina c. Italia (no 2), no 25498/94, §§ 59-74, CEDH 2000-X ed Indelicato c. Italia, (déc.), no 31143/96, 6 luglio 2000).
Ricorda la sua giurisprudenza secondo la quale il regime contemplato all'articolo 41bis tende a tagliare i legami esistenti tra la persona riguardata ed il suo ambiente criminale di origine, per minimizzare il rischio di vedere utilizzare i contatti personali di questi detenuti con le strutture delle organizzazioni criminali di suddetto ambiente.
Prima dell'introduzione del regime speciale, un buon numero di detenuti pericolosi riusciva a tenere la loro posizione in seno all'organizzazione criminale alla quale appartenevano, a scambiare delle informazione con gli altri detenuti e con l'esterno, ed ad organizzare e fare eseguire delle violazioni penali. In questo contesto, la Corte stima che, tenuto conto della natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata, in particolare di tipo mafioso, e del fatto che certamente le visite familiari sono state spesso il mezzo di trasmissione di ordini e di istruzioni verso l'esterno, le restrizioni, certamente importanti, alle visite ed i controlli che ne corredano lo svolgimento così come la lontananza della famiglia non potrebbero passare per sproporzionate rispetto agli scopi legittimi perseguiti (vedere Salvatore c. Italia, (déc.), no 42285/98, 7 maggio 2002).
In conclusione, la Corte stima che le restrizioni al diritto del richiedente al rispetto della sua vita familiare non sono andate al di là di ciò che, ai termini dell'articolo 8 § 2, è necessario, in una società democratica, alla sicurezza pubblica, alla difesa dell'ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali. Pertanto, questo motivo di appello deve essere respinto come essendo manifestamente mal fondato in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
36. Trattandosi del motivo di appello relativo alla violazione del diritto al rispetto della corrispondenza, la Corte constata che non è manifestamente mal fondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che incontra nessun altro motivo di inammissibilità . Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
37. Il Governo ricorda che il controllo della corrispondenza del richiedente è stato ordinato in applicazione dell'articolo 18 della legge sull'amministrazione penitenziaria. Ora, la Corte ha stimato già che questa disposizione non costituiva una base giuridica sufficiente ai termini della Convenzione, perché non indicava né la durata del controllo, né i motivi che potevano giustificarlo, né l’estensione e le modalità di esercizio del potere di valutazione delle autorità competenti.
38. Secondo il Governo, nelle circostanze particolari del presente caso, la Corte dovrebbe scostarsi però, della sua giurisprudenza. Difatti, nello specifico, l'ingerenza dell'autorità pubblica prevedeva uno scopo legittimo ed il controllo della corrispondenza del richiedente tendeva a salvaguardare l'ordine e la sicurezza dello stato. Questa restrizione, autorizzata dal regime mirato all'articolo 41bis del sistema penitenziario, intendeva impedire che la corrispondenza potesse diventare un mezzo di trasmissione di comunicazioni vietate.
39. Riguardo alla corrispondenza del richiedente con la Corte, il Governo osserva che non essendo datato il timbro di controllo, non è provato sufficientemente che suddetta corrispondenza sia stata controllata dalle autorità penitenziarie.
40. Il richiedente si oppone alle tesi del Governo.
41. La Corte constata che per ciò che riguarda in generale la corrispondenza del richiedente, c'è stata "ingerenza di un'autorità pubblica" nell'esercizio del diritto del richiedente al rispetto della sua corrispondenza garantito dall'articolo 8 § 1 della Convenzione. Simile ingerenza ignora questa disposizione salvo se, "prevista dalla legge", insegue uno o degli scopi legittimi allo sguardo del paragrafo 2 e, in più, è "necessaria, in una società democratica" per raggiungerli (Calogero Diana c. Italia, sentenza del 15 novembre 1996, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V, § 28; Domenichini c. Italia, sentenza del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, § 28; Petra c. Romania, sentenza del 23 settembre 1998, Raccolta 1998-VII, p. 2853, § 36; Labita precitata, § 179; Musumeci c. Italia, no 33695/96, § 56, sentenza del 11 gennaio 2005).
42. La Corte rileva che prima del 2004, il controllo della corrispondenza del richiedente è sempre stato ordinato dal giudice dell'applicazione delle pene conformemente all'articolo 18 della legge sull'amministrazione penitenziaria. Ora, la Corte ha giudicato già a più riprese che il controllo di corrispondenza fondato sull'articolo 18 ignorava l'articolo 8 della Convenzione perché non "era previsto dalla legge" nella misura in cui non regolamentava né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti, né i motivi che potevano giustificarli, e non indicava con abbastanza chiarezza l’estensione e le modalità di esercizio del potere di valutazione delle autorità competenti nella tenuta considerata (vedere, tra altre, le sentenze Labita c. Italia, precitata, §§ 175-185, e Calogero Diana c. Italia, precitata, § 33). Non vede nessuna ragione di scostarsi nello specifico da questa giurisprudenza.
43. Alla luce di ciò che precede, la Corte constata che il controllo della corrispondenza del richiedente non "era previsto dalla legge" ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione. Questa conclusione rende superfluo verificare nello specifico il rispetto delle altre esigenze del paragrafo 2 della stessa disposizione.
44. Tuttavia, riguardo la corrispondenza del richiedente con la Corte, tenuto conto del fatto che, da una parte, il timbro di controllo sui documenti non è datato e del fatto che, dall’altra parte, la pratica non contiene le buste in cui i documenti in questione furono mandati, non può essere escluso che la corrispondenza controversa sia stata controllata nel momento in cui è stata mandata ai terzi dal richiedente. Tuttavia, la Corte stima che non è stabilito al di là di ogni ragionevole dubbio in che momento suddetta corrispondenza è stata controllata. In queste condizioni, la Corte non potrebbe scoprire nessuna apparenza di violazione della Convenzione avuto riguardo alla corrispondenza scambiata tra il richiedente e la Corte.
45. La Corte prende atto, del resto, dell'entrata in vigore della legge no 95/2004 (vedere la sentenza Ospina Vargas precitata, § 32,). E’ forzata tuttavia di constatare che le modifiche portate alla legge sull'amministrazione penitenziaria non permettono di risanare le violazioni che hanno avuto luogo anteriormente alla loro entrata in vigore.
46. C'è stata dunque violazione dell'articolo 8 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL'ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE
47. Il richiedente si lamenta infine di non avere potuto disporre di un ricorso interno effettivo in ragione del fatto che "il ritardo commesso dai tribunali dell'applicazione delle pene competenti nel decidere i suoi ricorsi l'ha privato della possibilità di ricorrere in cassazione." Invoca l'articolo 13 della Convenzione, così formulato:
"Ogni persona i cui diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un'istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali. "
48. La Corte ricorda che, quando una questione di accesso ad un tribunale si pone, le garanzie dell'articolo 13 sono assorbite da quelle dell'articolo 6 della Convenzione ( Brualla Gómez del Torre c. Spagna, sentenza del 19 dicembre 1997, Raccolta 1997-VIII, p. 2957, § 41). C'è luogo dunque di esaminare il motivo di appello del richiedente sotto l'angolo di questa ultima disposizione (vedere anche la sentenza Ganci c. Italia, no 41576/98, §§ 19 e 33-34, CEDH 2003-XI ) la cui parte pertinente si legge così:
"1. Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita da un tribunale chi deciderà , o delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile, o della fondatezza di ogni accusa in materia penale diretta contro questa ."
Sull'ammissibilitÃ
49. La Corte ricorda che nella sentenza Ganci c. Italia, precitata, si è pronunciata sulla questione del diritto di accesso ad un tribunale e delle possibili ripercussioni dei ritardi controversi. Ha constatato la violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione. Prima, aveva esaminato la questione solo sotto l'angolo dell'articolo 13 della Convenzione e concluso all'incomprensione di questa disposizione (sentenza Messina c. Italia (no 2), del 28 settembre 2000, no 25498/94, §§ 84-97).
Tuttavia, nello specifico, solo due ricorsi-quello del 18 dicembre 1996 introdotto dinnanzi al tribunale dell'applicazione delle pene di Caltanissetta contro l'ordinanza del 31 luglio 1996, e quello introdotto ad una data non precisata dinnanzi al tribunale dell'applicazione delle pene di Catania contro l'ordinanza del 4 febbraio 1997-furono respinti rispettivamente il 30 aprile 1997 ed il 5 novembre 1997, molto prima dell'introduzione della richiesta, per difetto di interesse del richiedente, essendo scaduto il periodo di validità delle ordinanze attaccate. Il richiedente è ricorso in cassazione sette volte, ma non ha informato la Corte della conclusione di sei dei suoi ricorsi (vedere sopra paragrafo 11). Questo motivo di appello è, di conseguenza, manifestamente mal fondato perché in parte tardivo e in parte non supportato. Deve essere dunque respinto in applicazione dell'articolo 35 §§ 1, 3 e 4 della Convenzione.
IV. SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
50. Ai termini dell'articolo 41 della Convenzione,
"Se la Corte dichiara che c'è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c'è luogo, una soddisfazione equa. "
A. Danno
51. Il richiedente chiede 1 000 000 euro (EUR) per il danno subito in ragione delle violazioni denunciate.
52. Il Governo SI oppone alla richiesta del richiedente.
53. La Corte ricorda che ha concluso unicamente alla violazione della Convenzione per ciò che riguarda il controllo della corrispondenza del richiedente. Non vede nessun legame di causalità tra questa violazione ed un qualsiasi danno materiale. In quanto al danno morale, stima che nelle circostanze dello specifico, la constatazione di violazione basta a compensarlo.
B. Oneri e spese
54. Il richiedente non ha chiesto il rimborso degli oneri e spese sostenuti a livello interno o a livello europeo, e la Corte considera che questo aspetto dell'applicazione dell'articolo 41 non richieda un esame d0ufficio (vedere, tra molte altre, Cardarelli c. Italia, sentenza del 27 febbraio 1992, serie A no 229-G, p. 75, § 19).
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello derivati dall'articolo 3 della Convenzione e dal'articolo 8 (diritto al rispetto della corrispondenza);
2. Dichiara la richiesta inammissibile per il surplus;
3. Stabilisce che non c'è stata violazione dell'articolo 3 della Convenzione;
4. Stabilisce che c'è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione;
5. Stabilisce che la constatazione di violazione della Corte costituisce di per sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale;
6. Respinge la richiesta di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto il 4 marzo 2008 in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 dell'ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa