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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

CASE OF TARANTINO v. ITALY –

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 35, P1-2
Numero: 25851/09/2013
Stato: Italia
Data: 2013-04-02 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA TARANTINO E ALTRI c. ITALIA

(Ricorsi nn. 25851/09, 29284/09 e 64090/)

SENTENZA

STRASBURGO

2 aprile 2013

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Tarantino e altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Danutė Jočienė, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
Işıl Karakaş,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 5 marzo 2013,
Pronuncia la seguente sentenza adottata in tale data:
PROCEDURA
1. All’origine della causa vi sono tre ricorsi (nn. 25851/09, 29284/09 e 64090/09) proposti contro la Repubblica italiana con i quali OMISSIS («i ricorrenti») hanno adito la Corte, rispettivamente il 18 maggio 2009, il 2 e il 16 novembre 2009, in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. I ricorrenti sono stati rappresentati dall’avv. OMISSIS, del foro di Misilmeri. Il Governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo co-agente P. Accardo.
3. I ricorrenti lamentano una violazione del loro diritto all’istruzione come previsto dall’articolo 2 del Protocollo n. 1 alla Convenzione. In particolare asseriscono che i fini perseguiti dalla Legge n. 127/1997, che regolamenta il numero chiuso, non siano legittimi e la misura non proporzionata.
4. Il 21 giugno 2011 i ricorsi sono stati riuniti e comunicati al Governo. E’ stato inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente sulla ricevibilità e sul merito della causa (articolo 29 § 1).
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
5. I ricorrenti sono tutti cittadini italiani. I dati pertinenti sono riportati alla tabella in appendice.
A. Contesto delle cause
1. La prima ricorrente, OMISSIS
6. Il 4 settembre 2007, la sig.ra Tarantino non riuscì a superare il test di accesso per il corso di laurea in medicina a Palermo. Nel 2007, a fronte di duecentodieci posti disponibili, si presentarono a sostenere tale esame duemila studenti. La ricorrente tentò invano l’esame ancora due volte, nel 2008 e nel 2009.
7. Il 14 dicembre 2007, la prima ricorrente e altri studenti presentarono un ricorso al Presidente della Repubblica asserendo che la Legge n. 264/1999, in particolare i due criteri vincolanti usati dal Ministero per determinare il numero degli studenti che potevano essere ammessi ai diversi corsi di laurea di ogni ateneo (il paragrafo 17 infra), fossero incompatibili con l’articolo 3(2)(c) e (g) del Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea, con la Direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, con l’articolo 15 della Carta dei Diritti Fondamentali della Unione Europea (la «UE»), con l’articolo 6 § 2 del Trattato sulla Unione Europea in riferimento al principio di uguaglianza, e con l’articolo 2 del Protocollo n. 1 alla Convenzione. La ricorrente contestava inoltre la decisione dello Stato di imporre le stesse limitazioni agli atenei privati, e lamentava l’inadeguatezza dei test di accesso. La prima ricorrente chiedeva inoltre di essere provvisoriamente ammessa al corso universitario con una clausola condizionale.
8. Con decreto del 2 luglio 2008, il Consiglio di Stato respinse la sua richiesta di un provvedimento provvisorio.
9. Il 23 settembre 2008 la prima ricorrente presentò altri ricorsi e richiese nuovamente che la questione venisse rinviata alla Corte di Giustizia Europea (la «CGE»). Tali ricorsi vennero trasmessi al Consiglio di Stato nell’ottobre 2008.
10. Con decreto del 28 aprile 2009, adottato sulla base del parere consultivo del Consiglio di Stato emesso il 12 novembre 2008 (n. 2256) e notificato alla prima ricorrente il 14 maggio 2009, il Presidente della Repubblica rigettò i ricorsi. Il decreto disponeva che, in considerazione delle risorse umane e materiali degli atenei, le limitazioni di accesso impugnate, consentendo l’accesso solo ai più meritevoli, fossero ragionevoli e pertanto compatibili con le disposizioni comunitarie invocate. Inoltre, in linea con l’aumento del fabbisogno della società di medici qualificati, i posti al corso di laurea di medicina nel 2008/09 erano aumentati del 10-20%. Osservava inoltre che l’esame di abilitazione professionale, dopo che era stato conseguita la laurea, non era un titolo accademico in sé ma un esame di stato, ritenuto tale nella maggior parte degli Stati. Infine, rigettava la doglianza relativa alla inadeguatezza dei test di accesso.
2. I restanti sette ricorrenti
11. Gli altri sette ricorrenti hanno lavorato per diversi anni o lavorano tuttora come odontotecnici o igienisti dentali.
12. Il 4 settembre 2009, nonostante la loro rilevante esperienza professionale, i sette ricorrenti non superarono il test di accesso al corso di laurea in odontoiatria. Tutti i tentativi precedenti e successivi si rivelarono comunque vani.
13. Al contrario degli altri ricorrenti, il sig. Marcuzzo (di seguito «l’ottavo ricorrente») aveva invece superato il test di accesso nell’anno accademico 1999/2000. Ciò nonostante, poiché egli non aveva sostenuto esami per 8 anni consecutivi a causa di gravi problemi familiari, (come previsto dal Regolamento Universitario, articolo 149 del Regio Decreto n. 1592/1933), l’iscrizione al corso universitario e gli esami che aveva già superato persero validità nel luglio 2009.
14. Questi ricorrenti ammisero di non aver esperito i mezzi di ricorso nazionali visto che, secondo la loro opinione, essi sarebbero stati inefficaci. Secondo la giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato, infatti, l’accesso limitato alle università è compatibile con la Costituzione e con la normativa comunitaria (ex pluribus, il sopra citato parere consultivo del 12 novembre 2008). L’ottavo ricorrente sostenne inoltre che il Consiglio di Stato aveva costantemente ritenuto che i motivi soggettivi, ad esempio i problemi familiari (come nel suo caso), non potessero essere considerati eccezioni alla norma che privilegiava la continuità degli studi. Di conseguenza, il suo ricorso non avrebbe avuto esito positivo.
II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI
A. Legge n. 127/1997
15. La Legge n. 127/1997, in modifica dell’articolo 9(4) della Legge n. 341/1990, ha introdotto, per la prima volta, il numero chiuso (accesso limitato) agli atenei italiane pubbliche e private. L’articolo 17 (116) della stessa legge stabilisce che sia il Ministero della Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica a determinare tali limitazioni. Tuttavia la legge non stabiliva criteri per determinare i corsi di laurea soggetti a limitazioni, il numero di posti disponibili o le procedure di selezione.
16. Il 27 novembre 1998 (sentenza n. 383/98), essendo stata adita per esaminare la costituzionalità dell’articolo 17(116) della Legge n. 127/1997, la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza che confermava la costituzionalità della legge. Riteneva, infatti, che la discrezionalità applicata dal Ministero dell’Università e della Ricerca non fosse illimitata, visto che il Ministero doveva agire secondo un quadro normativo ben determinato. A questo proposito, in assenza di una normative nazionale in merito, la Corte Costituzionale faceva riferimento a direttive comunitarie rilevanti, che miravano a garantire un adeguato livello di istruzione. La Corte Costituzionale inoltre osservava che era il Parlamento l’organo competente a legiferare in merito.
17. In seguito alla sentenza della Corte Costituzionale, venne promulgata la Legge n. 264/1999. Essa disponeva che il Ministero dell’Università e della Ricerca avrebbe programmato gli accessi ai corsi di laurea in medicina, medicina veterinaria, odontoiatria, architettura e scienze infermieristiche sulla base di due criteri vincolanti: l’offerta potenziale del sistema universitario e il fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo. Basandosi su tale valutazione, il Ministero avrebbe determinato il numero di studenti ammessi ai corsi di laurea in questione di ogni ateneo.
18. Il 21 aprile 2009, l’Authority per l’Antitrust (la «AA») emise una raccomandazione sui criteri di accesso al corso di laurea in odontoiatria. La AA osservava che: (a) in pratica, i due criteri fissati dalla legge erano applicati sulla base delle osservazioni del Ministero della Università e della Ricerca e del Ministero della Salute; e (b) tutti i dati raccolti sarebbero stati discussi da una task-force di esperti, composta inter alios, dai rappresentanti della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici e dall’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri.
19. Secondo la AA, il Governo italiano stava agendo in violazione della sentenza della Corte Costituzionale (n. 383/98 sopra citata) e della normativa comunitaria, visto che la legge promulgata prendeva in considerazione non solo gli standard educativi ma anche i dati relativi alla richiesta occupazionale. Visto che la valutazione era compiuta esclusivamente in riferimento alla richiesta occupazionale del servizio sanitario nazionale, la AA concludeva che la limitazione dell’accesso al corso di laurea in odontoiatria si traduceva in una insensata limitazione della concorrenza dei servizi professionali. Effettivamente, prendendo in considerazione solo la richiesta pubblica, al punto da escludere la richiesta privata, il numero degli odontoiatri era stato forzosamente ridotto e gli onorari dentistici erano ingiustificatamente aumentati. Inoltre, la AA disapprovava la partecipazione delle associazioni professionali alla task force (sopra citata), visto che le loro decisioni potevano essere assai condizionate dalla tutela dei loro stessi interessi.
20. Per essere ammessi, i candidati dovevano superare un test a scelta multipla che consisteva in ottanta domande di cultura generale (comprese geografia e storia internazionale), biologia, chimica, matematica e fisica. L’esame, basato sui programmi della scuola secondaria superiore, mirava ad accertare la predisposizione dei candidati per le discipline oggetto dei corsi di laurea di loro scelta.
B. Giurisprudenza
21. I tribunali nazionali competenti ritennero ripetutamente che il numero chiuso e il modo in cui esso era applicato nel contesto normativo italiano fossero in conformità con la Costituzione e con la normativa comunitaria. Le sentenze a sostegno di tali determinazioni includevano, inter alia: la sentenza n. 1931 del Consiglio di Stato del 29 aprile 2008; la sentenza n. 5418 del Consiglio di Stato del 24 giugno 2008; la sentenza n. 5542 del Consiglio di Stato del 6 giugno 2008; la sentenza n. 197 del TAR toscano di Firenze del 12 febbraio 2007; la sentenza n. 4559 del TAR di Napoli del 2008; la sentenza n. 1931 del TAR toscano di Firenze del 17 aprile 2008; la sentenza n. 145 del TAR di Trento dell’11 giugno 2008; e la sentenza n. 1631 del Consiglio di Stato del 15 aprile 2010.
In particolare, rispetto alla doglianza dei ricorrenti secondo la quale che il criterio basato sul fabbisogno della società di una particolare professione non dovesse essere limitato al territorio nazionale – arrivando all’esclusione del fabbisogno attuale e imminente dell’intera Comunità Europea – il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 1931 del 29 aprile 2008, decise nel modo seguente: prima di tutto era evidente che il criterio maggiormente determinante fosse quello basato sulla valutazione dell’offerta del sistema universitario, tale da consentire una formazione scientifica adeguata come richiesto dalla legislazione comunitaria. Inoltre, come era stato confermato in precedenza dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 393 dal 1998), il diritto a livelli più alti di istruzione, anche per i più meritevoli, dipendeva dalla disponibilità dei mezzi tecnici e delle risorse umane, in particolare nello studio di discipline sia teoriche che pratiche. Effettivamente la normativa comunitaria non proibiva il numero chiuso. Le direttive europee prevedevano il riconoscimento di titoli e diplomi basati su un livello minimo di studi e sulla garanzia del possesso reale delle conoscenze necessarie per esercitare una determinata professione. Tuttavia, esse lasciavano allo Stato la libertà di individuare gli strumenti, i mezzi e i metodi per dare attuazione agli obblighi di risultato stabiliti. Dunque il criterio impugnato ha meno importanza di quello sopra citato e risulta effettivamente secondario. Esso entrerebbe in gioco solo nell’improbabile eventualità che la disponibilità di posti fosse talmente copiosa da rendere necessaria la limitazione dell’accesso alla professione per evitare la saturazione del mercato. Con riferimento alla raccomandazione del Ministero della Salute di limitare il numero degli studenti immatricolati (che ha costituito la base per la decisione sul numero dei posti disponibili per gli anni 2006-07) la Corte Costituzionale ha ritenuto che la limitazione quantitativa non dovesse basarsi sul fabbisogno della società, ma dovesse essere volta a garantire che gli studi specialistici raggiungessero i livelli europei. Visto che l’importanza di questo criterio per la decisione sul numero dei candidati da immatricolare ogni anno non era stata dimostrata, e visto che la normativa comunitaria non prevedeva l’accesso illimitato e incondizionato degli studenti all’istruzione, non era necessario rinviare la questione alla CGE.
22. Secondo la sentenza del Consiglio di Stato n. 1855 del 2005, il limite di tempo degli otto anni indicato nel decreto n. 1592 del 1933 non è un periodo di prescrizione che può essere interrotto, ma l’intervallo di tempo massimo consentito prima della decadenza dal diritto (di frequentare il corso di laurea).
C. La normative pertinente dell’Unione Europea
a. L’articolo 39 (ex articolo 48) del Titolo III riguarda la libera circolazione di persone, servizi e capitali del Trattato istitutivo della Comunità Europea. Recita come segue:

«1. La libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicurata.

2. Essa implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.

3. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto:

a) di rispondere a offerte di lavoro effettive;

b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri;

c) di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali;

d) di rimanere, a condizioni che costituiranno l’oggetto di regolamenti di applicazione stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego.

4. Le disposizioni del presente articolo non sono applicabili agli impieghi nella pubblica amministrazione.»

23. Altri testi rilevanti dell’Unione Europea sono: la Direttiva del Consiglio 86/457/CEE del 15 settembre 1986 relativa alla formazione specifica in medicina generale; la Direttiva del Consiglio 93/16/CEE del 5 aprile 1993 intesa ad agevolare la libera circolazione dei medici e il reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati e altri titoli; e la Direttiva del Consiglio 2005/36/CE del 7 settembre 2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.
IN DIRITTO
I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 2 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE
24. I ricorrenti lamentano una violazione del loro diritto all’istruzione, invocando l’articolo 2 del Protocollo n. 1 alla Convenzione che recita:
«Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche.»
25. Il Governo contesta tale tesi.
A. Sulla ricevibilità
26. Il Governo ritiene che il ricorso straordinario dinanzi al Presidente della Repubblica sia un ricorso giudiziario che i ricorrenti potevano scegliere in alternativa ai procedimenti dinanzi ai tribunali amministrativi regionali (i «TAR»). Ritiene che nel caso di specie tutti i ricorrenti potevano, ed effettivamente avevano, proposto tale ricorso per lamentare la violazione dedotta.
27. I ricorrenti sostengono che i procedimenti dinanzi al TAR sarebbero stati inefficaci vista la consolidata giurisprudenza esistente rispetto alla compatibilità dell’accesso limitato ai corsi universitari con la normativa nazionale, con la normativa comunitaria e con la Convenzione. Si riferivano in particolare alle sentenze nn. 1931, 5418, 5542 del Consiglio di Stato del 2008, e alla sentenza n. 1631 del Consiglio di Stato del 15 aprile 2010. I ricorrenti osservano inoltre che il Governo aveva ammesso che tutti i ricorrenti avevano esaurito le vie di ricorso interne.
28. La Corte ribadisce che l’articolo 35 § 1 della Convenzione richiede che le vie di ricorso che devono essere esaurite sono unicamente quelle disponibili e sufficienti a garantire riparazione rispetto alle violazioni addotte. L’articolo 35 § 1 ha la finalità di fornire allo Stato contraente l’opportunità di prevenire o di correggere le violazioni dedotte contro lo stesso prima che le relative doglianze siano presentate alla Corte (si veda, inter alia, Selmouni c. Francia [GC], n. 25803/94, § 74, CEDU 1999-V). Tuttavia un ricorrente non è obbligato a fare ricorso a rimedi che sono inadeguati o inefficaci (si veda Raninen c. Finlandia, 16 dicembre 1997, § 41, Reports of Judgements and Decisions 1997-VIII). Ne consegue che il ricorso a tali rimedi si rifletterà sulla identificazione della «decisione finale» e, di conseguenza, sulla determinazione del momento a partire dal quale calcolare il termine dei sei mesi (si veda, per esempio, Kucherenko c. Ucraina (dec.), n. 41974/98, 4 maggio 1999, e Prystavska c. Ucraina (dec.), n. 21287/02, 17 dicembre 2002).
29. La Corte osserva che quanto affermato dal Governo in merito al fatto che tutti i ricorrenti avevano presentato ricorso dinanzi al Presidente della Repubblica non risulta corretto, visto che è stata solo la prima ricorrente ad avvalersi di tale procedimento, e che i procedimenti dinanzi al Presidente della Repubblica sono considerati un ricorso straordinario del quali i ricorrenti non sono obbligati ad avvalersi al fine di soddisfare il requisito previsto dall’articolo 35 della Convenzione (si veda Nasalli Rocca c. Italia (dec.), n. 8162/02, 31 marzo 2005).
30. Tuttavia, la Corte osserva che, come risulta dalla giurisprudenza nazionale (si veda il diritto e la prassi interni pertinenti sopra citati), la questione in esame nel caso di specie è stata ripetutamente presentata dinanzi ai tribunali nazionali, che hanno regolarmente rigettato le richieste dei ricorrenti. In tali circostanze la Corte può convenire sul fatto che portare il procedimento dinanzi ai tribunali amministrativi regionali e presentare in seguito un appello dinanzi al Consiglio di Stato non offriva prospettive di successo. Pertanto, in linea con la mancanza di obiezioni del Governo a tale proposito, la Corte non trova motivi per respingere questa parte del ricorso per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.
31. La stessa cosa vale per il motivo di ricorso proposto dall’ottavo ricorrente in via subordinata.
32. La Corte osserva inoltre che, visto che la prima ricorrente tentò l’esame anche nel 2008 e nel 2009, non si pone alcun problema rispetto al limite di tempo dei sei mesi da calcolare a partire dalla data in cui ha presentato il sopracitato ricorso straordinario.
33. Infine, la Corte osserva che questa parte del ricorso non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incorre in nessun altro motivo di irricevibilità. E’ quindi opportuno dichiararlo ricevibile.

B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
(a) I ricorrenti
34. I ricorrenti sostengono che le limitazioni applicabili all’accesso ai corsi di laurea di loro scelta, vale a dire la base per l’applicazione del numero chiuso, sono contrarie alla Costituzione e alla normativa comunitaria.
35. Asseriscono inoltre che i fini perseguiti dalla legge non sono né legittimi né proporzionati. In particolare, pur riconoscendo la necessità di garantire un adeguato livello di competenze per i futuri professionisti, contestano i due criteri stabiliti dalla Legge n. 264/1999, applicabile agli atenei pubblici e privati. Inoltre ritengono che i fabbisogni della comunità non possano essere valutati unicamente sulla base del settore pubblico, in particolare visto che la maggior parte dei professionisti, soprattutto in campo odontoiatrico, svolgono la loro attività nel settore privato. Inoltre, la valutazione si basava su un dato totalmente locale non prendendo in considerazione la possibilità che le persone che studiavano in Italia avrebbero potuto andare a svolgere la loro professione in un altro paese.
36. I ricorrenti spiegano che il numero di posti per ogni corso universitario è stato stabilito dal Ministero dell’Università su base regionale in conformità con i fabbisogni della zona. Tuttavia, recentemente, le istituzioni italiane si sono rese conto che l’accesso limitato aveva determinato una mancanza di professionisti tanto che alcune regioni avevano dichiarato che presto nei loro ospedali vi sarebbe stata carenza di medici e di odontoiatri. Citano ad esempio (come riportato dalla stampa) la regione Lombardia, che aveva calcolato che entro il 2015 avrebbe perso il 40% della attuale forza lavoro (medici e odontoiatri) a causa dei pensionamenti. La regione aveva quindi chiesto al Governo di abolire l’attuale sistema dell’accesso limitato, ma il Ministero della Salute italiano aveva ritenuto che in Italia vi fossero già più medici del necessario. I ricorrenti ritengono che il punto di saturazione di un settore non rappresenti un motivo legittimo per impedire agli operatori l’accesso al mercato. L’opinione dei ricorrenti è che il vero scopo delle limitazioni sia quello di proteggere gli interessi dei medici e degli odontoiatri limitando la concorrenza nel settore, un fine in conflitto con la normativa comunitaria. In particolare, contestano l’applicazione delle misure restrittive agli atenei privati che potrebbero, al contrario, aumentare il numero delle ammissioni senza causare un ulteriore onere finanziario per lo Stato. Pertanto, l’attuale sistema impediva l’accesso dei ricorrenti ad un corso di studi di loro scelta, anche corrispondendo un pagamento a un ateneo privato o, se necessario, anche a un ateneo statale. Ciò equivale a una limitazione del loro diritto all’istruzione senza un valido motivo. A questo proposito, i ricorrenti fanno presente che nella causa linguistica del Belgio, la Corte ha ritenuto adeguata la misura impugnata in considerazione del fatto che non impediva a tali ricorrenti di iscriversi (a loro spese) a scuole private della regione di lingua francese.
37. I ricorrenti osservano che la Corte è stata adita per determinare la compatibilità con la Convenzione delle misure in questione e non i fatti di causa esaminati dai tribunali nazionali. Ritengono che la misura, vale a dire la combinazione dei test di accesso con la limitazione basata sul «fabbisogno della società di una particolare professione» (e non il numero chiuso per se), non siano adeguati a raggiungere il fine perseguito.
38. Inoltre asseriscono che l’esistenza di un esame di abilitazione professionale volto a valutare l’adeguata preparazione di medici e di odontoiatri alla fine del ciclo di studi universitari, renda innecessaria la limitazione precedente all’accesso al corso universitario. Inoltre il test di accesso consiste in un questionario a scelta multipla ed è pertanto utile unicamente a valutare nozioni scolastiche e non la naturale predisposizione individuale. Asseriscono che l’esito del test è casuale, inadeguato e contaminato da numerosi episodi di corruzione e di errori nella formulazione delle domande. Affermano che la maggior parte di loro ha ottenuto ottimi giudizi negli altri diplomi e che pertanto non si può attribuire l’esito negativo ottenuto nel test di accesso alla mancanza di preparazione ma all’esiguo numero di posti fissato. Citano ad esempio l’esame per odontoiatria del 2010, in cui, per ogni posto disponibile, vi erano 26 candidati.
(b) Il Governo
39. Il Governo osserva che, in linea di principio, la limitazione dell’accesso agli studi universitari non è incompatibile con l’articolo 2 del Protocollo n. 1, tenendo presenti le risorse disponibili e il fine di ottenere alti livelli di professionalità, in particolare rispetto a professioni critiche come quelle attinenti al campo della medicina. Pertanto, l’applicazione del numero chiuso non può violare la citata norma se è ragionevole e nell’interesse generale della società. La materia ricade nell’ampio margine di apprezzamento dello Stato.
40. Nel caso di specie, lo Stato ha optato per un processo di selezione basato su un test attitudinale, che fornisce una valutazione oggettiva consentendo ai migliori candidati di beneficiare del limitato numero di posti disponibili. Ritiene inoltre che la raccomandazione dell’AA non riguarda l’aspetto generale che giustifica la misura e osserva che non spetta alla Corte esaminare i fatti che hanno portato i tribunali nazionali ad adottare determinate particolari decisione piuttosto che altre.
41. Il Governo inoltre ritiene che la situazione dell’ottavo ricorrente è conforme a regole prestabilite.
2. Valutazione della Corte
(a) Principi generali
42. La Corte ribadisce che le garanzie di cui all’articolo 2 del Protocollo n. 1 si applicano alle istituzioni didattiche di ordine superiore presenti all’interno degli Stati membri del Consiglio d’Europa e che l’accesso a tutte le istituzioni didattiche di ordine superiore esistenti in un dato momento è parte intrinseca del diritto enunciato nella prima frase dell’articolo 2 del Protocollo n. 1 (si veda Leyla Şahin c. Turchia [GC], n. 44774/98, §§ 134-42, CEDU 2005-XI, e Mürsel Eren c. Turchia, n. 60856/00, § 41, CEDU 2006 II).
43. A dispetto della sua importanza, tale diritto non è, tuttavia, assoluto, ma può essere soggetto a limitazioni; esse sono permesse in quanto il diritto di accesso «per la sua stessa natura, richiede di essere regolamentato dallo Stato» (si veda «Cause relative ad alcuni aspetti del regime linguistico dell’insegnamento in Belgio» c. Belgio (Sul merito), 23 luglio 1968, Series A n. 6). Effettivamente, la regolamentazione delle istituzioni responsabili dell’istruzione può variare nel tempo e nello spazio, inter alia, in conformità con i fabbisogni e le risorse della comunità e con le caratteristiche peculiari dei diversi gradi di istruzione. Di conseguenza, gli Stati contraenti godono di un certo margine di apprezzamento in questo campo, sebbene la decisione finale relativa al rispetto dei requisiti della Convenzione spetta della Corte (si veda Leyla Şahin, [GC], sopra citata, § 154 e , Ali c. il Regno Unito, n. 40385/06, § 53, 11 gennaio 2011).
44. Al fine di assicurare che le limitazioni imposte non ledano il diritto in questione al punto da comprometterne la stessa essenza e privarlo della sua efficacia, la Corte può solamente riconoscere che esse sono prevedibili per le persone interessate e che perseguono un fine legittimo. Tuttavia, al contrario di quanto accade con gli articoli da 8 a 11 della Convenzione, la Corte non è vincolata da una lista esaustiva dei «fini legittimi» perseguiti dall’articolo 2 del Protocollo n. 1. Inoltre, una limitazione sarebbe compatibile con l’articolo 2 del Protocollo n. 1 unicamente se vi fosse una ragionevole relazione di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito (si veda Leyla Şahin, [GC], sopra citata, § 154).
45. La Corte osserva che l’articolo 2 del Protocollo n. 1 permette comunque di limitare l’accesso ai corsi universitari solo a coloro che abbiano debitamente presentato domanda di accesso e abbiano superato il relativo test di accesso (si veda Lukach c. Russia (dec.), n. 48041/99, 16 novembre 1999).
(b) Motivo di ricorso comune a tutti i ricorrenti
46. Nel caso di specie, la Corte prende atto che le limitazioni scelte dallo Stato italiano, vale a dire il test di accesso e il numero chiuso per se, sono prevedibili in virtù della Legge n. 127/1997 e della Legge n. 264/1999, promulgata successivamente, di ulteriore approfondimento sulla applicazione del numero chiuso.
47. La Corte rileva inoltre che tali limitazioni rispondono al fine legittimo di raggiungere alti livelli di professionalità, assicurando un livello di istruzione minimo e adeguato in atenei gestiti in condizioni adeguate, e che questo è nell’interesse generale.
48. Per quanto riguarda la proporzionalità delle limitazioni, prima di tutto in relazione al test di accesso, la Corte osserva che la valutazione dei candidati attraverso opportuni test al fine di identificare gli studenti più meritevoli è una misura proporzionata volta a garantire un livello di istruzione minimo e adeguato negli atenei. Per quanto riguarda il contenuto dei test, sebbene in un contesto diverso, la Corte ha ritenuto in Kjeldsen, Busk Madsen e Pedersen c. Danimarca (7 dicembre 1976, § 53, Serie A n. 23) che l’istituzione e la programmazione dell’offerta formativa rientra, in linea di principio, nelle competenze dello Stato contraente, e non spetta alla Corte deliberare su tali materie. Analogamente, la Corte non è competente per decidere sul contenuto o sulla adeguatezza dei test interessati.
49. Per quanto riguarda il numero chiuso, la Corte osserva che i ricorrenti concentrano il ricorso sulla base usata per l’applicazione del numero chiuso, vale a dire sui due criteri che si riferiscono a) alla valutazione dell’offerta potenziale del sistema universitario, e b) al fabbisogno della società di una particolare professione – la Corte ritiene che debba essere raggiunto un equilibrio tra l’interesse soggettivo dei ricorrenti e quello dell’intera società, ivi compresi gli altri studenti che frequentano i corsi universitari. La Corte osserva che i due criteri sono in linea con la propria giurisprudenza che ritiene che la regolamentazione del diritto all’istruzione possa variare a seconda dei fabbisogni e delle risorse della comunità e degli individui (si veda La causa linguistica del Belgio, sopra citata). Osserva inoltre che, nel caso di specie, tali limitazioni devono essere viste nel contesto del più alto grado di istruzione, vale a dire dell’istruzione universitaria.
50. Per quanto riguarda il primo criterio, l’analisi delle risorse è certamente rilevante e indubbiamente accettabile – una nozione che consegue logicamente dalla interpretazione data alla norma, vale a dire che il diritto all’istruzione comprende l’accesso a tutte le istituzioni didattiche di ordine superiore «presenti» in un dato momento (ibid.). La Corte ribadisce che la Convenzione non prevede obblighi specifici relativi alla quantità dei mezzi di istruzione e al modo in cui essi sono organizzati o finanziati (si veda X c. Regno Unito, n. 8844/80, Decisione della Commissione del 9 dicembre 1980, DR 23, p. 228, e Georgiou c. Grecia (dec.), n. 45138/98, 13 gennaio 2000). Pertanto il diritto di accesso all’istruzione esiste solo nella misura in cui essa è disponibile ed entro i limiti ad essa pertinenti. La Corte osserva che tali limiti dipendono spesso dalle risorse necessarie per gestire tali istituzioni comprese, inter alia, le risorse umane, materiali e finanziarie con la relative analisi, come la qualità di tali risorse e che questo aspetto è particolarmente rilevante per gli atenei statali.
51. Per quanto riguarda la doglianza dei ricorrenti relativa alla applicazione delle stesse limitazioni anche agli atenei privati e pertanto a un tipo di istruzione per il quale sarebbero disponibili a pagare, è innegabile che le risorse relative all’istruzione teorica e pratica dipendano effettivamente dai capitali umani, materiali e finanziari degli atenei privati e che pertanto, su tale base, sarebbe possibile avere numeri di posti più elevati senza causare un ulteriore onere per lo Stato e per le sue istituzioni. Tuttavia bisogna tener conto del fatto che il settore privato in Italia si basa parzialmente su sussidi statali e, ancora più importante, che nelle attuali circostanze la Corte non ritiene sproporzionata o arbitraria la regolamentazione che lo Stato fa delle istituzioni private visto che tale regolamentazione può essere considerata necessaria per impedire l’ammissione o l’esclusione arbitraria e per garantire un uguale trattamento delle persone. Si rammenta infatti, che il diritto fondamentale di ogni persona all’istruzione è un diritto garantito in modo paritario agli studenti delle scuole statali e indipendenti, senza distinzione (si veda Leyla Sahin, [GC], sopra citata, § 153), e che di conseguenza, lo Stato ha l’obbligo di regolamentarlo per assicurare il rispetto della Convenzione. In particolare, la Corte ritiene che sia giusto che lo Stato regolamenti rigorosamente tale settore – soprattutto nel campo degli studi in questione in cui un livello minimo e adeguato di istruzione è della massima importanza – per garantire che l’accesso alle istituzioni private non sia disponibile unicamente in base alle possibilità finanziarie dei candidati, a prescindere dai loro titoli e predisposizione per la professione.
52. Inoltre, la Corte riconosce che il sovraffollamento delle classi possa essere dannoso ai fini dell’efficacia del sistema educativo tanto da costituire un ostacolo per l’acquisizione di una specifica esperienza formativa.
53. Pertanto, tenendo presenti gli interessi concorrenti, la Corte ritiene che il primo criterio imposto sia legittimo e proporzionato.
54. Per quanto riguarda il secondo criterio, vale a dire il fabbisogno della società di una particolare professione, la Corte ritiene che tale interpretazione sia invero restrittiva in quanto adotta unicamente una prospettiva nazionale relativa, oltretutto, al settore pubblico, ignorando in questo modo i fabbisogni derivanti dal più ampio contesto europeo o privato. Inoltre, sembra essere poco lungimirante visto che non prenderebbe seriamente in considerazione i futuri fabbisogni locali.
55. Tuttavia, secondo l’opinione della Corte tale misura è comunque equilibrata visto che il Governo è autorizzato ad adottare misure al fine di evitare un’eccessiva spesa pubblica. La Corte osserva che la formazione di determinate specifiche categorie di professionisti rappresenta un enorme investimento e che è pertanto ragionevole che lo Stato aspiri all’assorbimento da parte del mercato del lavoro di ogni candidato promosso. Effettivamente una indisponibilità di posti di lavoro per tali categorie dovuta alla saturazione del mercato del lavoro rappresenta un motivo di ulteriori spese visto che la disoccupazione è indubbiamente un onere sociale che grava sull’intera società. Visto che è impossibile che lo Stato possa prevedere con certezza quanti saranno i laureati che cercheranno di uscire dal mercato locale andando a lavorare all’estero, la Corte non può ritenere irragionevole che lo Stato eserciti prudenza e dunque basi la sua politica sul presupposto che una alta percentuale di loro rimanga nel paese per cercarvi lavoro. Secondo l’opinione della Corte, pertanto, anche il secondo criterio risulta essere proporzionato.
56. Infine, la Corte osserva che ai ricorrenti non è stato negato il diritto di iscriversi ad altri corsi di laurea per i quali avessero espresso un interesse (si veda, mutatis mutandis, Lukach, (dec.) sopra citata) e rispetto ai quali avevano il requisito del titolo, né è stata negata loro l’opportunità di proseguire i loro studi all’estero in linea con il loro eventuale desiderio di continuare le carriera all’estero. Inoltre, dato che non risulta esservi un limite al numero di volte che un candidato può sostenere l’esame, i candidati hanno ancora l’opportunità di superarlo e di avere accesso al corso di laurea di loro prima scelta.
57. In conclusione, la Corte ritiene che le misure imposte non siano sproporzionate e che nell’applicare tali misure lo Stato non sia andato oltre il proprio margine di apprezzamento.
58. Ne consegue che non vi è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.
(c) Motivo di ricorso relativo al sig. Marcuzzo
59. Visto che si può affermare che la richiesta di cui al ricorso dell’ottavo ricorrente va oltre quanto sopra discusso, in quanto gli è stato chiesto di sostenere nuovamente il test di accesso dopo essere stato escluso dal corso di laurea in seguito ad una assenza di otto anni, la Corte osserva che non si può sostenere che la misura fosse imprevedibile. Ritiene inoltre che non sembra irragionevole escludere da un corso di studi uno studente che non ha sostenuto esami per otto anni consecutivi, soprattutto in considerazione del fatto che al corso universitario in questione si applica il numero chiuso. Di conseguenza, la Corte ritiene che la misura perseguisse un fine legittimo e che, alla luce del diritto dello Stato di regolamentare il diritto all’istruzione, fosse proporzionata. Infatti essa raggiugeva un equilibrio tra gli interessi del ricorrente da una parte e quelli delle altre persone che desideravano iscriversi a tale corso e il fabbisogno dell’intera comunità dall’altra.
60. Ne consegue che non vi è stata violazione rispetto a questa parte del motivo di ricorso relativo all’ottavo ricorrente.
II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE
61. La prima ricorrente lamenta l’ingiustizia dei procedimenti, in particolare il loro esito, il fatto che il tribunale nazionale non ha richiesto il rinvio alla CGE per garantire la conformità delle misure con la normativa europea, e la mancanza di motivazioni, visto che la decisione del 28 aprile 2009 non ha risposto a tutte le argomentazioni proposte. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione, che, per quanto rilevante, recita quanto segue:
«1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile […].»
62. La Corte osserva che la prima ricorrente, presentando un appello speciale al Presidente della Repubblica nel 2007, non ha avviato un procedimento contenzioso del tipo descritto all’articolo 6 della Convenzione (si veda Nardella c. Italia (dec.), n. 45814/99, CEDU 1999 VII, e Nasalli Rocca (dec.), sopra citata), e che, pertanto, la disposizione non è applicabile.
63. Ne consegue che la doglianza è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve essere respinta ai sensi dell’articolo 35 § 4 della Convenzione.
III. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE
64. I ricorrenti (con l’eccezione della prima ricorrente) lamentano di essere stati discriminati, in contrasto con quanto previsto dall’articolo 14, che prevede quanto segue:
«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.»
65. I ricorrenti affermano che gli studenti che hanno appena conseguito il diploma di scuola secondaria hanno maggiori opportunità di superare un esame di tipo nozionistico, in particolare i test basati su programmi di scuola secondaria superiore, e che pertanto il sistema risulta discriminatorio sulla base dell’età.
66. La Corte osserva che l’università è una istituzione basata sulle conoscenze, e che pertanto non può essere ritenuto irragionevole o arbitrario predisporre esami basati sulle conoscenze. Oltretutto non è stato dimostrato che persone di una certa età abbiano maggiori difficoltà a superare l’esame. Il motivo di ricorso è pertanto infondato. Infine, la Corte ritiene che la percezione soggettiva che un ricorrente può avere di un esame non solleva in sé una questione ai sensi dell’articolo 14.
67. Ne consegue che il motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere respinto ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE
1. Dichiara all’unanimità il motivo di ricorso relativo all’articolo 2 del Protocollo n. 1 alla Convenzione ricevibile e i restanti ricorsi irricevibili;

2. Dichiara con 6 voti contro 1 che non vi è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;

3. Dichiara all’unanimità che non vi è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 1 alla Convenzione per quanto riguarda l’ulteriore motivo di ricorso dell’ottavo ricorrente.

Fatta in inglese, poi comunicata per iscritto il 2 aprile 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Françoise Elens-Passos Danutė Jočienė
Cancelliere aggiunto Presidente
Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione parzialmente dissenziente del giudice Pinto de Albuquerque.
D.J.
F.E.P.

ALLEGATO

Ricorsi nn. Data di presentazione Nome, data di nascita, residenza
25851/09
18/05/2009 OMISSIS
22/07/1988
Palermo

29284/09
02/11/2009 OMISSIS
30/01/1973
Catania

64090/09
16/11/2009 OMISSIS
22/10/1985
Milano

OMISSIS
01/06/1966
Macerata

OMISSIS
21/01/1969
Piacenza

OMISSIS
11/12/1967
Catania

OMISSIS
24/04/1969
Catania

OMISSIS
23/11/1974
Siracusa

OPINIONE PARZIALMENTE DISSENZIENTE DEL GIUDICE PINTO DE ALBUQUERQUE
La causa Tarantino e altri riguarda il sistema del numero chiuso imposto dallo Stato per accedere agli studi universitari, pubblici o privati, in relazione a determinati corsi di laurea, come odontoiatria e medicina. La causa verte sui criteri non proporzionati utilizzati dal Governo convenuto nel regolamentare il numero chiuso, ma alla base della questione relativa alla proporzionalità ci sono temi fondamentali, come la portata e le implicazioni del diritto all’istruzione universitaria nonché il margine di apprezzamento degli Stati parte nel disciplinare l’accesso alle università. Con tutto il dovuto rispetto, non posso concordare con la maggioranza, dal momento che reputo i criteri utilizzati dallo Stato convenuto sicuramente non proporzionati. Quanto alle altre doglianze dei ricorrenti, condivido l’opinione della maggioranza.

Istruzione universitaria come diritto dell’uomo
Il diritto all’istruzione universitaria è un diritto dell’uomo. Nonostante la formulazione negativa dell’articolo 2 del Protocollo n. 1 alla Convenzione europea sui diritti dell’uomo (la Convenzione), gli Stati parte hanno l’obbligo positivo non solo di assicurare l’accesso alle scuole e agli istituti di istruzione esistenti e di garantire il riconoscimento ufficiale degli studi compiuti[1], ma anche quello di promuovere l’accesso allo studio di ogni candidato, prevedendo, ove necessario, ulteriori opportunità di istruzione. Questo vasto obbligo internazionale è enunciato anche dall’articolo 28 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo (193 Stati parte, tra cui lo Stato convenuto, che l’ha ratificata nel 1991 senza riserve), in combinato disposto con l’articolo 26 (1) della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e con l’articolo 13 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (160 Stati parte, tra cui lo Stato convenuto, che lo ha ratificato nel 1978 senza riserve)[2]. L’obbligo degli Stati parte corrisponde al diritto all’istruzione all’interno di un sistema scolastico pubblico[3], ivi comprese le università statali[4].
Infatti, gli Stati parte hanno il potere di regolamentare l’accesso all’istruzione e a fortiori agli studi universitari[5], ma questa regolamentazione è soggetta alla supervisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (la Corte), come in caso di diniego di accesso all’università a causa del mancato accertamento, nei tempi opportuni, di requisiti specifici[6], di rifiuto di riammettere uno studente a ripetere il primo anno degli studi universitari in ragione del mancato superamento degli esami del primo anno e della scarsa frequenza delle lezioni obbligatorie[7], di sospensione o espulsione dall’università o da altri istituti di istruzione superiore[8], di annullamento dei risultati del test di ammissione all’università[9], di divieto di sostenere un esame universitario o di forzata interruzione degli studi a causa dell’esecuzione di una pena detentiva[10].
Dal momento che il diritto all’istruzione comprende la libertà di provvedere all’educazione, l’articolo 2 del Protocollo n. 1 abbraccia anche il diritto di fondare e gestire scuole e università private[11]. Sebbene questo diritto non comporti un obbligo positivo per lo Stato di finanziare scuole e università private [12], esso impone l’obbligo negativo di non discriminarle, ad esempio, evitando di imporre vincoli, restrizioni o divieti ingiustificati rispetto alle scuole e alle università statali.

Il margine di apprezzamento dello Stato nella regolamentazione delle università
I governi godono di una certa discrezionalità nell’esercizio delle loro funzioni di regolamentazione delle scuole statali[13]. Gli Stati parte possono imporre un periodo di frequenza obbligatorio delle scuole statali[14], ma le scuole statali hanno l’obbligo di provvedere all’insegnamento delle lingue nazionali[15], di trasmettere il sapere in modo oggettivo, critico e pluralistico[16] e di garantire che nelle classi non vi sia discriminazione[17] ma un ambiente sicuro, privo di qualsivoglia forma di maltrattamento[18]. I governi non possono esercitare sulle scuole private lo stesso livello di controllo che esercitano su quelle statali. Se le scuole statali godono di un certo grado di autonomia istituzionale, in linea con la politica di ciascuno Stato nel campo dell’istruzione, le scuole private devono godere di un grado di autonomia maggiore.
L’autonomia istituzionale include, come minimo, la costituzione del curriculum accademico e il controllo sull’ammissione, valutazione, sospensione ed espulsione degli studenti, la selezione e promozione del personale accademico e amministrativo e l’organizzazione finanziaria e di bilancio dell’istituto[19]. In quanto garanzia essenziale della libertà accademica, l’autonomia istituzionale è, al contempo, la migliore garanzia della libertà di provvedere all’educazione e del diritto all’istruzione[20]. Qualora il Governo o un’altra autorità pubblica intervenisse nella regolamentazione di uno di questi aspetti, imponendo a priori determinate regole o annullando a posteriori regole o decisioni approvate dalle scuole private, ebbene questo intervento dovrebbe essere conforme ai rigidi requisiti della necessità e della proporzionalità[21]. Ne consegue che il margine di apprezzamento degli Stati parte è più ampio in relazione alla regolamentazione delle scuole pubbliche e meno ampio in relazione alle scuole private. Un margine di apprezzamento ancora più limitato si applica a fortiori all’istruzione superiore, nella quale l’autonomia istituzionale svolge un ruolo chiave[22]. Per contro, tanto più uno Stato finanzia le scuole e le università private, tanto maggiore è il suo margine di apprezzamento.

L’applicazione dello standard della Convenzione al caso di specie
Il Governo italiano individua il numero chiuso per l’accesso ai corsi di laurea in medicina e odontoiatria nelle università pubbliche e private sulla base di due criteri: l’offerta potenziale del sistema universitario e il fabbisogno di professionalità del sistema sociale. In realtà, il secondo criterio fa riferimento alle esigenze del settore del servizio sanitario nazionale. Questi criteri sono il risultato del lavoro di un tavolo tecnico cui partecipano anche rappresentanti della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri. Il numero dei posti per ciascun ateneo è determinato su base regionale. In generale, l’aumento del numero dei posti assegnati a un particolare ateneo è controbilanciato da una diminuzione del numero dei posti assegnati ad altri atenei della stessa regione.
Il primo criterio è giustificato dal Governo convenuto sulla base della necessità di garantire elevati standard qualitativi della formazione universitaria e un alto grado di professionalità degli ordini medici e odontoiatri, garantendo, in particolare, un rapporto bilanciato tra studenti e personale accademico, un uso razionale delle risorse materiali disponibili e l’accesso controllato ai tirocini presso ospedali pubblici e, di conseguenza, al mercato del lavoro. Pertanto il numero chiuso è presentato come una sorta di formula magica, che ha lo scopo di prevenire il sovraffollamento negli atenei, con pochi professori e troppi studenti, che in questo modo non avrebbero l’opportunità di compiere un tirocinio prima di entrare nel mondo del lavoro.
Il secondo criterio è giustificato dal Governo convenuto in quanto finalizzato a prevenire, oggi e in futuro, una spesa pubblica eccessiva, dal momento che l’insegnamento e il tirocinio dei medici chirurghi e odontoiatri comporta una spesa notevole per questa generazione e un’eventuale saturazione del mercato del lavoro implicherebbe un’ulteriore spesa, considerati gli oneri sociali legati alla disoccupazione.
Purtroppo entrambi questi criteri sono privi di fondamento, dal momento che essi appartengono più alla fantasia che alla realtà.

Offerta potenziale del sistema universitario come criterio del numero chiuso
Il Governo convenuto non ha fornito alla Corte alcun dato relativo all’offerta potenziale del sistema universitario in grado di giustificare il numero chiuso introdotto negli anni 2007-2009. Il Governo convenuto non ha spiegato neppure perché il numero chiuso debba essere applicato alle università private.
In effetti, le decisioni dei ministeri relative al numero chiuso non adducono motivazioni tecniche, ma sono il risultato di scelte discrezionali[23]. Non sussiste alcun fondamento oggettivo per questa scelta politica, che è svincolata da qualsiasi motivazione oggettiva realmente fondata.
Ma ancora peggio, questo criterio ignora il semplice fatto che in Italia le università private sono in larga parte indipendenti dal finanziamento statale e che, pertanto, potrebbero aumentare il numero dei posti disponibili a proprie spese. Come già esposto in precedenza, il Governo convenuto dispone di un margine di apprezzamento molto limitato nell’imporre eventuali limitazioni alle università private[24] e alla Corte non ha comunicato alcuna ragione sostanziale idonea a giustificare questa grave ingerenza nel diritto di fondare università private e nella loro autonomia istituzionale. Pertanto, le università italiane private hanno il diritto di determinare da sole i limiti al numero delle immatricolazioni, tenendo conto delle proprie risorse finanziarie, materiali e umane. In altri termini, il numero chiuso imposto dallo Stato alle università private interferisce in maniera grave con la libertà di provvedere all’educazione, nella misura in cui impedisce alle università private, che dispongono di infrastrutture materiali adeguate e di sufficiente personale, di aumentare il numero dei posti disponibili a proprie spese, ma interferisce anche con il diritto all’istruzione, in quanto nega l’accesso all’università a coloro che sono in grado di finanziare a proprie spese il costo di questo servizio[25]. Ne consegue che il contestato regime del numero chiuso non rispetta il principio della proporzionalità, anche solo considerando il primo criterio utilizzato dal Governo convenuto.

Il fabbisogno di professionalità del sistema sociale come criterio del numero chiuso
Il Governo convenuto interpreta il fabbisogno del sistema sociale come il fabbisogno del servizio sanitario nazionale italiano. Questo criterio aggrava la mancanza di proporzionalità dell’ingerenza dello Stato convenuto nel diritto all’istruzione, in quanto non tiene conto del fatto che il settore sanitario italiano include anche il settore privato, che ha esigenze sue proprie[26]. Questa omissione è particolarmente censurabile nel caso di odontoiatria, dal momento che la stragrande maggioranza degli odontoiatri lavora nel settore privato[27]. Inoltre, questo criterio non tiene conto del fatto che l’Italia è parte di un mercato più esteso di servizi sanitari e, segnatamente, l’Unione Europea, nella quale i liberi professionisti hanno la facoltà di circolare e lavorare liberamente[28]. Per di più, questo criterio è sostanzialmente in contrasto con lo Spazio europeo dell’istruzione superiore, che si sta sviluppando attraverso il Processo di Bologna[29], il quale auspica non solo una maggiore autonomia istituzionale per le università, nel senso che i singoli istituti sono i principali responsabili dell’assicurazione della qualità nell’istruzione superiore[30], ma anche all’ampliamento della partecipazione globale e, in particolare, all’aumento della partecipazione dei gruppi sottorappresentati nell’istruzione superiore[31]. Inoltre, questo criterio collide con lo spirito della Convenzione di Lisbona sul riconoscimento del 1997, che è alla base del Processo di Bologna[32]. Considerato da una prospettiva più ampia, questo criterio si scontra con l’obbligo degli Stati di rendere l’istruzione superiore egualmente accessibile a tutti, sulla base del merito, come statuito dall’articolo 13 (2) (c) del Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali[33] e dall’articolo 26 (1) della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo[34]. Il criterio ultimo per valutare i candidati è il merito, non il fabbisogno del mercato. Infine, questo criterio è fondamentalmente iniquo, giacché frappone a chi aspira ad entrare nel mercato un ostacolo, giustificandolo con l’asserito fabbisogno del mercato. Un nuovo concorrente può farsi strada con le proprie capacità e lavorando duramente e, pertanto, può riuscire dove altri falliscono. Infatti, l’esito pratico dell’attuale regime del numero chiuso è stato, purtroppo, quello di limitare la competizione tra i professionisti del settore sanitario e di mantenere il mercato della sanità rigido e inefficiente, dipendente dall’offerta statale o da servizi sanitari con tariffe artificiosamente elevate[35]. Di conseguenza i candidati, perlomeno quelli che possiedono i mezzi necessari per farlo, sono costretti ad andare a studiare all’estero[36].
L’arbitrarietà di questo regime giuridico, nelle forme in cui è stato messo in pratica, è lampante per il semplice fatto che non è servito ad altro scopo concreto, se non quello di avvantaggiare i professionisti che già operano nella sanità. Tanto è vero che al tavolo tecnico, che discute e determina le quote dei posti disponibili, partecipano le associazioni professionali, il che è un chiaro esempio di conflitto di interessi[37].

Conclusioni
Citando le parole di alcuni studiosi del Sud Africa espresse contro la politica del governo di contingentazione delle immatricolazioni, il giudice Frankfurter ha affermato: “È compito dell’università garantire un’atmosfera che favorisca la speculazione, la sperimentazione e la creazione. E’ un’atmosfera in cui prevalgono ‘le quattro libertà fondamentali’ dell’università – decidere autonomamente, sulla base di motivi accademici, chi può insegnare, che cosa può essere insegnato, come deve essere insegnato e chi deve essere ammesso allo studio.”[38] In altri termini, l’autonomia istituzionale è una condizione necessaria per la libertà dell’individuo di provvedere all’istruzione superiore e per il diritto dell’individuo all’istruzione superiore.
Alla luce di tali diritti e libertà, i criteri stabiliti dal Governo convenuto per il regime del numero chiuso si sono rivelati privi di fondamento, se non addirittura arbitrari, sia per il modo in cui sono stati concepiti, sia per il modo in cui sono stati messi in pratica. Pertanto, l’ingerenza nel diritto all’istruzione del ricorrente non è proporzionata e vi è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 1.

________________________________________
[1] Causa “relativa ad alcuni aspetti del regime linguistico dell’insegnamento in Belgio” c. Belgio (merito), serie A, n. 6, § 42.
[2] Si veda altresì il Commento generale n. 13 del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali relativo al diritto all’educazione, E/C.12/1999/10, 8 dicembre 1999, par. 6, ove si sottolinea che “nella giurisdizione dello Stato parte devono essere disponibili, in quantità sufficiente, istituti e programmi di istruzione efficaci”, che si traduce nell’obbligo rafforzato di fondare istituti e organizzare programmi, laddove l’offerta non sia sufficiente. Inoltre, in una società democratica, il diritto all’istruzione, indispensabile per la promozione dei diritti dell’uomo, riveste un ruolo così fondamentale che un’interpretazione restrittiva della prima frase dell’articolo 2 del Protocollo n. 1 non corrisponderebbe allo scopo o all’oggetto di tale norma (si veda Leyla Şahin c. Turchia [GC], n. 44774/98, § 137, CEDU 2005 XI).
[3] Campbell e Cosans, serie A, n. 48, § 33 e Timishev c. Russia, n. 57762/00, §§ 63-67, 13 dicembre 2005.
[4] Leyla Sahin, sopra citata, § 137. Si veda altresì il par. 17 del Commento generale n. 13 del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali, sopra citato: “L’istruzione superiore include elementi di disponibilità, accessibilità, accettabilità e adattabilità che sono comuni allo studio in tutti gli ordini e gradi.”
[5] Leyla-Sahin, sopra citata, § 136.
[6] Lukach c. Russia (dec.), n. 48041/99, 16 novembre 1999.
[7] X c. Regno Unito, n. 8844/80, decisione della Commissione del 9 dicembre 1980.
[8] Irfan Temel e altri c. Turchia, n. 36458/02, 3 marzo 2009, Yanasik c. Turchia, n. 14524/89, decisione della Commissione del 6 gennaio 1993, e Sulak c. Turchia, n. 24515/94, decisione della Commissione del 17 gennaio 1996.
[9] Mursel Eren c. Turchia, n. 60856/00, 7 febbraio 2006.
[10] Georgiou c. Grecia (dec.), n. 45138/98, 13 gennaio 2000 e Durmaz, Isik, Unutmaz e Sezal c. Turchia (dec.), nn. 46506/99, 46569/99,46570/99 e 46939/99, 4 settembre 2001.
[11] Costello-Roberts c. Regno Unito, serie A, n. 247, § 27 Kjeldsen e altri c. Danimarca, serie A, n. 23, § 50. Si veda altresì l’articolo 13 (4) del PDESC, che afferma “la libertà degli individui e degli enti di fondare e dirigere istituti di istruzione” purché detti istituti siano conformi agli obiettivi educativi sanciti dall’articolo 13 (1) e a determinati standard minimi.
[12] Verein Gemeinsam Lernen c. Austria, n. 23419/94, decisione della Commissione del 6 settembre 1995, sul finanziamento delle scuole private non religiose e, in precedenza, X. c. Regno Unito, n. 7527/76, decisione della Commissione del 5 luglio 1977 e X. e Y. c Regno Unito, n. 9461/81, decisione della Commissione del 7 dicembre 1982, relative al finanziamento di scuole private religiose. Si veda altresì il par. 54 del Commento generale n. 13 del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali, sopra citato.
[13] Lautsi c. Italia (GC), n. 30814/06, 18 marzo 2011.
[14] Konrad c. Germania (dec.), n. 35504/03, 11 settembre 2006.
[15] Cipro c. Turchia (GC), n. 25781/94, §§ 273-280, 10 maggio 2001.
[16] Folgero e altri c. Norvegia (GC), n. 15472/02, 29 giugno 2007, Hasan e Eylem Zengin c. Turchia, n. 14448/04, 9 ottobre 2007 e Kjeldsen e altri, sopra citata, § 50. Si veda altresì il Commento generale n. 13 del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali, sopra citato, par. 28, che fa riferimento all’insegnamento “imparziale e obiettivo, rispettoso delle libertà di opinione, di coscienza e di espressione” e Keyishian c. Board of Regents, 385 US 589 (1967) nonché le parole ispiratrici del giudice Brennan sulla libertà accademica: “La nostra nazione è profondamente impegnata a salvaguardare la libertà accademica, che costituisce un valore trascendentale per tutti noi e non solo per gli insegnanti coinvolti.”
[17] D.H. e altri c. Repubblica ceca, n. 57325/00, 13 novembre 2007, e par. 31-34 e 59 del Commento generale n. 13 del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali, sopra citato.
[18] Campbell e Cosans, sopra citata, § 41.
[19] Si veda la Dichiarazione di Lisbona del 2009 dell’Associazione delle università europee, che stabilisce che “ciascuna università deve definire e perseguire la propria missione e, in tal modo, deve provvedere collettivamente al soddisfacimento dei bisogni tanto dei singoli paesi quanto dell’Europa intera”. Alla luce di questa missione, l’autonomia degli istituti deve includere “l’autonomia di tipo accademico (curricula, programmi e ricerca), l’autonomia finanziaria (lump sum budgeting), quella di tipo organizzativo (riguardante la struttura dell’università) e l’autonomia del personale (la responsabilità per quanto riguarda il reclutamento, gli stipendi e le promozioni)”. Sulla stessa linea, il paragrafo 40 del Commento generale n. 13 del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali, sopra citato, che recita: “Per la libertà accademica è necessaria l’autonomia degli istituti di istruzione superiore. L’autonomia è quel grado di autogoverno necessario affinché possano essere prese decisioni efficaci dagli istituti di istruzione superiore in relazione a lavoro accademico, standard, gestione e attività correlate.”. Sull’autonomia degli istituti delle università, si veda altresì l’opinione del giudice Powell in merito a una politica di ammissione che tiene conto della razza in Regents of University of California c. Bakke, 438 US 265, 312 (1978), l’opinione del giudice Stevens sulla politica universitaria di negare agli studenti l’utilizzo delle strutture del campus per finalità religiose in Widmar c. Vincent, 454 US 263, 278 (1981), l’opinione del giudice Stevens, adottata all’unanimità, sul potere di negare la riammissione di uno studente a seguito del mancato superamento di alcuni esami in Regents of University of Michigan c. Ewing, 474 US 214 (1985), l’opinione del giudice Souter, con cui concordano i giudici Stevens e Breyer, sulle tasse obbligatorie per finanziare le attività delle associazioni studentesche in Board of Regents of University of Wisconsin c. Southworth, 529 US 217 (2000) e l’opinione del giudice O’Connor sul programma di “azioni affermative” con attenzione verso la razza in Grutter c. Bollinger, 539 US 306, 329 (2003).
[20] A questo proposito, il principio dell’autonomia istituzionale delle università è strumentale sia all’interpretazione e applicazione delle leggi, sia alla risoluzione di contrastanti richieste di go

Testo Tradotto

Conclusions
Remainder inadmissible No violation of Article 2 of Protocol No. 1 – Right to education-{general} (Article 2 of Protocol No. 1 – Right to education)
No violation of Article 2 of Protocol No. 1 – Right to education-{general} (Article 2 of Protocol No. 1 – Right to education)

SECOND SECTION

CASE OF TARANTINO AND OTHERS v. ITALY

(Applications nos. 25851/09, 29284/09 and 64090/09)

JUDGMENT

STRASBOURG

2 April 2013

This judgment will become final in the circumstances set out in Article 44 § 2 of the Convention. It may be subject to editorial revision.

In the case of Tarantino and Others v. Italy,
The European Court of Human Rights (Second Section), sitting as a Chamber composed of:
Danutė Jočienė, President,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
Işıl Karakaş,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque, judges,
and Françoise Elens-Passos, Deputy Section Registrar,
Having deliberated in private on 5 March 2013,
Delivers the following judgment, which was adopted on that date:
PROCEDURE
1. The case originated in three applications (nos. 25851/09, 29284/09 and 64090/09) against the Italian Republic lodged with the Court under Article 34 of the Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms (“the Convention”) by OMISSIS (“the applicants”), on 18 May 2009, 2 and 16 November 2009 respectively.
2. The applicants were represented by OMISSIS, a lawyer practising in Misilmeri. The Italian Government (“the Government”) were represented by their co-Agent, Ms P. Accardo.
3. The applicants complained of a violation of their right to education as provided by Article 2 of Protocol No. 1 to the Convention. In particular they alleged that the aims pursued by Law no. 127/1997 regulating the numerus clausus were not legitimate and the measure not proportionate.
4. On 21 June 2011 the applications were joined and communicated to the Government. It was also decided to rule on the admissibility and merits of the applications at the same time (Article 29 § 1).
THE FACTS
I. THE CIRCUMSTANCES OF THE CASE
5. The applicants are all Italian nationals. The relevant information can be found in the table in the appendix.
A. Background of the cases
1. The first applicant, Ms Tarantino
6. On 4 September 2007, Ms Tarantino failed to pass the entrance examination to gain access to the Faculty of Medicine in Palermo. In 2007 two thousand students sat this examination and there were two hundred and ten places available. She unsuccessfully attempted the examination again in 2008 and 2009.
7. On 14 December 2007, the first applicant and other students lodged a complaint with the President of the Republic alleging that Law no. 264/1999, in particular the two binding criteria used by the Ministry to set the number of students allowed entry to the relevant faculty of each university (see paragraph 17 below), were incompatible with Article 3(2)(c) and (g) of the Treaty establishing the European Economic Community, Directive 2005/36/CE on the recognition of professional qualifications, Article 15 of the Charter of Fundamental Rights of the European Union (the “EU”), Article 6 § 2 of the Treaty on the European Union, with regard to the principle of equality, and Article 2 of Protocol No. 1 to the Convention. She further contested the State’s decision to impose the same limitations on private universities, and the adequacy of the entrance examinations. The first applicant also asked to be provisionally admitted to the university under a conditional clause.
8. By a decree of 2 July 2008 the Supreme Administrative Court (Consiglio di Stato) rejected her request for an interim measure.
9. On 23 September 2008 the first applicant made further pleadings and reiterated her request that the matter be referred to the European Court of Justice (the “ECJ”). Those pleadings were passed on to the Supreme Administrative Court in October 2008.
10. By a decree of 28 April 2009, adopted on the basis of the Supreme Administrative Court’s advisory opinion, delivered on 12 November 2008 (no. 2256) and notified to the first applicant on 14 May 2009, the President of the Republic rejected the complaints. The decree held that, bearing in mind the human and material resources of the universities, the contested access restrictions, allowing access only to the most meritorious, were reasonable and therefore compatible with the EU provisions invoked. Moreover, in line with the increase in society’s needs for qualified doctors, admissions to the faculties of medicine in 2008-09 had increased by 10-20%. It noted that the professional exam, after a degree had been obtained, was not an academic title in itself but a State examination as held in most States. Lastly, it dismissed the allegation that the entry examination’s content was inadequate.
2. The remaining seven applicants
11. The other seven applicants had been or are still working as dental technicians or hygienists for a number of years.
12. On 4 September 2009, despite their relevant professional experience, those seven applicants failed to pass the entrance examination to gain access to the Faculty of Dentistry. Any preceding and subsequent attempts were also unsuccessful.
13. Mr Marcuzzo (hereinafter “the eighth applicant”) had, nevertheless passed the entrance examination in the academic year 1999/2000. However, following his failure to sit exams for eight consecutive years by reason of grave family problems (as provided by the University Rule, Article 149 of Royal Decree no. 1592/1933), he lost his student status in July 2009.
14. These applicants conceded that they had not pursued available domestic remedies, since in their view they would have been ineffective. According to the well-established jurisprudence of the Supreme Administrative Court, limited access to universities is compatible with the Constitution and EU law (ex pluribus, the above-mentioned advisory opinion of 12 November 2008). The eighth applicant also argued that the Supreme Administrative Court had constantly held that subjective reasons, such as family problems (as in his case), could not be considered as exceptions to the rule favouring continuity of studies. In consequence, his claim could not be successful.
II. RELEVANT DOMESTIC LAW AND PRACTICE
A. Law no. 127/1997
15. Law no. 127/1997, modifying section 9(4) of Law no. 341/1990, introduced, for the first time, a numerus clausus (limited access) to both public and private Italian universities. Section 17(116) of the same law provided that it was for the Ministry of Universities and Scientific and Technological Research to establish those limits. However, the law did not establish or set clear criteria to determine the faculties subject to restrictions, the number of available places or the selection procedure.
16. On 27 November 1998 (judgment no. 383/1998), having been asked to examine the constitutionality of section 17(116) of Law no. 127/1997, the Constitutional Court delivered a judgment upholding the constitutionality of the law. It considered that the discretion applied by the Ministry of Universities and Research was not unfettered, since it must act according to an established legal framework. In this respect, in the absence of national legislation on the matter, the Constitutional Court made reference to relevant EU directives, which aimed to ensure an adequate standard of education. The court further noted that it was for Parliament to rule on the subject.
17. Following the Constitutional Court judgment, Law no. 264/1999 was enacted. It provided that the Ministry of Universities and Research would establish the entrance quota of the Faculties of Medicine, Veterinary Medicine, Dentistry, Architecture and Nursing on the basis of two binding criteria: the capacity and resource potential of the universities; and society’s need for a particular profession (fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo). Based on that assessment, the Ministry would set the number of students allowed entry to the relevant faculty of each university.
18. On 21 April 2009, the Antitrust Authority (the “AA”) delivered a recommendation on the criteria for access to the Faculty of Dentistry. The AA noted that: (a) in practice, the two criteria established by the law were applied on the basis of the observations of the Ministry of Universities and Research and the Ministry of Health; and (b) any data gathered would be discussed by an expert task-force, composed inter alios of representatives from the National Federation of Doctors, and the Chamber of Doctors and Dentists.
19. In the AA’s view, the Italian Government were acting in breach of the Constitutional Court judgment (no. 383/1998 mentioned above) and EU law, in so far as the enacted law took into account not only educational standards but also data concerning occupational demand. Noting that the assessments were made with exclusive regard to the national health service occupational demand, the AA concluded that limiting access to the Faculty of Dentistry amounted to an unreasonable restriction of competition in professional services. Indeed, by considering only public demand, to the exclusion of any private demand, the number of dentists was artificially reduced and dental fees were unjustifiably increased. Furthermore, the AA disapproved of the participation of professional associations in the task force (mentioned above), in so far as their decisions might be highly influenced by their own interests.
20. To be admitted, candidates were required to pass a multiple-choice examination consisting of eighty questions on general culture (including international geography and history), biology, chemistry, mathematics and physics. The exam, based on the high school syllabus, aimed to test the candidates’ aptitude for the subject matter pertaining to the faculty of their choice.
B. Jurisprudence
21. The relevant domestic courts repeatedly found that a numerus clausus and the way in which it was applied in the Italian legal framework were in accordance with both the Constitution and European Union legislation. Judgments in support of those findings include, inter alia: judgment no. 1931 of the Supreme Administrative Court of 29 April 2008; judgment no. 5418 of the Supreme Administrative Court of 24 June 2008; judgment no. 5542 of the Supreme Administrative Court of 6 June 2008; judgment no. 197 of the Florence Tuscany Administrative Tribunal of 12 February 2007; judgment no. 4559 of the Naples Administrative Tribunal of 2008; judgment no. 1931 of the Florence Tuscany Administrative Tribunal of 17 April 2008; judgment no. 145 of the Trent Administrative Tribunal of 11 June 2008; and judgment no. 1631 of the Supreme Administrative Court of 15 April 2010.
In particular, in respect of the complainants’ claim that the criterion related to society’s need for a particular profession should not be limited to the national territory – to the exclusion of the current and imminent future needs of the entire European Community – the Supreme Administrative Court, in its judgment no. 1931 of 29 April 2008, held as follows.
It is evident that the major criterion of influence was that based on the capacity and resource potential of universities, which allowed for proper scientific training as required by EU legislation. As had previously been upheld by the Constitutional Court (judgment no. 393 of 1998), the right to higher levels of education, even for the most meritorious, depended on the availability of technical means and human resources, particularly in the study of sciences, which was both theoretical and practical. Indeed, EU legislation did not ban numeri clausi. European directives provided for the recognition of titles and degrees based on standards of minimum studies and guarantees of a real possession of the necessary knowledge to carry out a profession. However, they left it to individual States to determine the instruments, means and methods to fulfil the obligations set by those directives. The impugned criterion had less weight than the one mentioned above, and was indeed secondary. It would come into play in the unlikely event that availability was so abundant that it would be necessary to limit access to the profession to avoid saturating the market. With reference to a recommendation by the Health Ministry to limit the number of registered students (which formed the basis of the decision on the number of places available for the years 2006-07) the court considered that it was to be seen as a quantitative restriction not in view of the needs in society, but in the light of a need to ensure that specialised studies reached European standards. Given that the relevance of this criterion to the decision on the number of candidates to be registered each year had not been proven, and because EU law did not provide for unlimited and unconditional access to education for students, it was not necessary to refer the matter to the ECJ.
22. According to the Supreme Administrative Court judgment no. 1855 of 2005, the time-limit of eight years indicated in decree no. 1592 of 1933 is not a prescriptive period which can be interrupted, but the maximum time before the expiry of the right (to attend the course).
C. Relevant European Union law
23. Article 39 (ex Article 48) of Title III relates to the free movement of persons, services and capital of the Treaty establishing the European Community. It reads as follows:
“1. Freedom of movement for workers shall be secured within the Community.
2. Such freedom of movement shall entail the abolition of any discrimination based on nationality between workers of the Member States as regards employment, remuneration and other conditions of work and employment.
3. It shall entail the right, subject to limitations justified on grounds of public policy, public security or public health:
(a) to accept offers of employment actually made;
(b) to move freely within the territory of Member States for this purpose;
(c) to stay in a Member State for the purpose of employment in accordance with the provisions governing the employment of nationals of that State laid down by law, regulation or administrative action;
(d) to remain in the territory of a Member State after having been employed in that State, subject to conditions which shall be embodied in implementing regulations to be drawn up by the Commission.
4. The provisions of this Article shall not apply to employment in the public service.”
24. Other relevant European Union texts include: Council Directive 86/457/EEC of 15 September 1986 on specific training in general medical practice; Council Directive 93/16/EEC of 5 April 1993 on facilitating the free movement of doctors and the mutual recognition of their diplomas, certificates and other evidence of formal qualifications; and Council Directive 2005/36/EC of 7 September 2005 on the recognition of professional qualifications.
THE LAW
I. ALLEGED VIOLATION OF ARTICLE 2 OF PROTOCOL No. 1 TO THE CONVENTION
25. The applicants complained of a breach of their right to education under Article 2 of Protocol No. 1 to the Convention, which provides as follows:
“No person shall be denied the right to education. In the exercise of any functions which it assumes in relation to education and to teaching, the State shall respect the right of parents to ensure such education and teaching in conformity with their own religious and philosophical convictions.”
26. The Government contested that argument.
A. Admissibility
27. The Government considered that the extraordinary remedy before the President of the Republic was a judicial remedy which the applicants could opt for as an alternative to proceedings before the regional administrative tribunals (the “TAR”). They considered that in the present case all the applicants had at their disposal and undertook that remedy to complain about the alleged breaches.
28. The applicants contended that proceedings before the TAR would be ineffective given constant jurisprudence to the effect that limited access to universities was compatible with the domestic, EU and Convention law. They relied particularly on judgments nos. 1931, 5418, 5542 of the Supreme Administrative Court of 2008, and judgment no. 1631 of the Supreme Administrative Court of 15 April 2010. The applicants later noted that the Government had conceded that all the applicants had exhausted domestic remedies.
29. The Court reiterates that Article 35 § 1 of the Convention requires that the only remedies to be exhausted are those that are available and sufficient to afford redress in respect of the breaches alleged. The purpose of Article 35 § 1 is to afford the Contracting States the opportunity of preventing or putting right the violations alleged against them before those allegations are submitted to the Court (see, inter alia, Selmouni v. France [GC], no. 25803/94, § 74, ECHR 1999-V). However, an applicant is not obliged to have recourse to remedies which are inadequate or ineffective (see Raninen v. Finland, 16 December 1997, § 41, Reports of Judgments and Decisions 1997-VIII). It follows that the pursuit of such remedies will have consequences for the identification of the “final decision” and, correspondingly, for the calculation of the starting point for the running of the six-month rule (see, for example, Kucherenko v. Unkraine (dec.), no. 41974/98, 4 May 1999, and Prystavska v. Ukraine (dec.), no. 21287/02, 17 December 2002).
30. The Court notes that the Government’s submission to the effect that all the applicants undertook the remedy before the President of the Republic is incorrect, as it was only the first applicant who undertook such proceedings. Moreover, the Court reiterates that proceedings before the President of the Republic are considered as an extraordinary remedy which applicants are not required to pursue for the purposes of satisfying the requirements of Article 35 of the Convention (see Nasalli Rocca v. Italy (dec.), no. 8162/02, 31 March 2005).
31. However, the Court notes that, as it appears from the status of domestic jurisprudence (see Relevant domestic law and practice above), the matters at issue in the present case have repeatedly come before the domestic courts, which consistently rejected the claimants’ requests. In these circumstances the Court can accept that an attempt to bring proceedings before the Regional Administrative Tribunals followed by an appeal to the Supreme Administrative Court had no prospects of success. Thus, in line with the Government’s lack of an objection in this respect, the Court finds no reason to reject this part of the application for non-exhaustion of domestic remedies.
32. The same holds in respect of the subsidiary complaint of the eighth applicant.
33. The Court further notes that since the first applicant attempted the examination again in 2008 and 2009, no issue arises in respect of the six-month time-limit pursuant to her undertaking the above-mentioned extraordinary remedy.
34. Lastly, the Court notes that this part of the application is not manifestly ill-founded within the meaning of Article 35 § 3 (a) of the Convention. It further notes that it is not inadmissible on any other grounds. It must therefore be declared admissible.
B. Merits
1. The parties’ observations
(a) The applicants
35. The applicants contended that the restriction applicable to admission for the courses of their choice, namely the basis for applying the numerus clausus, was contrary to the Constitution and EU law.
36. They further alleged that the aims pursued by the law were not legitimate or proportionate. In particular, while acknowledging the need to guarantee an appropriate level of skills for future professionals, they contested the two criteria established by Law no. 264/1999 and applicable to both public and private universities. Furthermore, they considered that the needs of the community could not be assessed only on the basis of the public sector, particularly given that the majority of professionals, especially in the dental field, worked in the private sector. Moreover, the assessment was totally local and did not take into consideration the possibility that persons studying in Italy might want to practise in another country.
37. The applicants explained that the number of places for individual universities was established by the Ministry of Universities on a regional basis according to the needs of the area. Recently, however, the Italian institutions had realised that the limited access had created a lack of professionals to the extent that certain regions had stated that their hospitals would soon be short of doctors and dentists. They cited as an example (as reported by the press) the region of Lombardy, which had estimated that by 2015 it would have lost 40 % of the current workforce (doctors and dentists) owing to retirement. The region had asked the Government to abolish the current system of limited access, but the Italian Ministry of Health had considered that there were already more doctors than necessary in Italy. The applicants considered that the extent to which a sector was saturated was not a legal reason to impede operators from accessing the market. The applicants opined that the real purpose of the restrictions was to protect doctors’ and dentists’ interests by restricting competition in the sector, a purpose in conflict with EU law. In particular, they contested the application of those restrictive measures to private universities, which could otherwise increase their admission numbers without causing an extra financial burden on the State. Thus, the current system denied the applicants access to an education of their choice, even against payment to a private university or, if necessary, to a State one. This amounted to restricting the right to education without a valid reason. In this respect, the applicants noted that in the Belgian linguistics case the Court had found the impugned measure to be proportionate in view of the fact that it did not prevent those applicants from enrolling (at their own expense) in private French language schools in the region.
38. The applicants noted that the Court was being called on to determine the compatibility with the Convention of the measures at issue and not the facts of the case examined by the national courts. They considered that the measure, namely the combination of the entrance examination and the restriction based on “society’s need for a particular profession” (and not the numerus clausus per se), was not proportionate given the aims pursued.
39. They further contended that the existence of a professional exam aiming to assess the adequate preparation of doctors and dentists following their tertiary studies made it unnecessary to restrict prior access to university. Moreover, the entrance exam consisted of a multiple choice questionnaire and was therefore only adequate to assess sciolistic notions and not one’s natural disposition. They contended that it was random, inadequate and tainted by numerous episodes of corruption and errors in formulating questions. They contended that most of the applicants had obtained a distinction in their other degrees and their failure to successfully pass the entrance examination was not attributable to their lack of preparation but to the low numbers established. They cited for example the dentistry exam in 2010 where, for every place available, there were 26 candidates.
(b) The Government
40. The Government submitted that in principle it was not incompatible with Article 2 of Protocol No. 1 to limit access to university studies, bearing in mind available resources and the aim of achieving high levels of professionalism, particularly in respect of critical professions such as those in the medical field. Thus, the application of a numerus clausus could not breach the said provision if it were reasonable and in the general interest of society. The matter fell within the wide margin of appreciation of the State.
41. In the present case the State had opted for a selection process based on an aptitude test, which provided for an objective assessment allowing the best candidates to benefit from the limited places available. They further considered that the AA’s recommendation did not concern the general aspects justifying the measure. Moreover, the Government submitted that it was not for the Court to examine the facts which lead the domestic courts to take one particular decision as opposed to another.
42. The Government further considered that the eighth applicant’s situation was in accordance with pre-established regulations.
2. The Court’s assessment
(a) General principles
43. The Court reiterates that the guarantees of Article 2 of Protocol No. 1 apply to existing institutions of higher education within the member States of the Council of Europe and that access to any institution of higher education existing at a given time is an inherent part of the right set out in the first sentence of Article 2 of Protocol No. 1 (see Leyla Şahin v. Turkey [GC], no. 44774/98, §§ 134-42, ECHR 2005-XI, and Mürsel Eren v. Turkey, no. 60856/00, § 41, ECHR 2006 II).
44. In spite of its importance, this right is not, however, absolute, but may be subject to limitations; these are permitted by implication since the right of access “by its very nature calls for regulation by the State” (see “Case relating to certain aspects of the laws on the use of languages in education in Belgium” v. Belgium ((Merits), 23 July 1968, Series A no. 6)). Admittedly, the regulation of educational institutions may vary in time and in place, inter alia, according to the needs and resources of the community and the distinctive features of different levels of education. Consequently, the Contracting States enjoy a certain margin of appreciation in this sphere, although the final decision as to the observance of the Convention’s requirements rests with the Court (see Leyla Şahin, [GC], cited above, § 154 and, Ali v. the United Kingdom, no. 40385/06, § 53, 11 January 2011).
45. In order to ensure that the restrictions that are imposed do not curtail the right in question to such an extent as to impair its very essence and deprive it of its effectiveness, the Court must satisfy itself that they are foreseeable for those concerned and pursue a legitimate aim. However, unlike the position with respect to Articles 8 to 11 of the Convention, it is not bound by an exhaustive list of “legitimate aims” under Article 2 of Protocol No. 1. Furthermore, a limitation will only be compatible with Article 2 of Protocol No. 1 if there is a reasonable relationship of proportionality between the means employed and the aim sought to be achieved (see Leyla Şahin, [GC], cited above, § 154).
46. The Court notes that Article 2 of Protocol No. 1 in any event permits limiting access to universities to those who duly applied for entrance and passed the examination (see Lukach v. Russia (dec.), no. 48041/99, 16 November 1999).
(b) Application to the present case regarding all the applicants
47. In the present case, the Court accepts that the restrictions chosen by the Italian State, namely the entrance examination and the numerus clausus per se, were foreseeable, on the basis of Law no. 127/1997 and Law no. 264/1999 enacted later, giving further details as to the application of the numerus clausus.
48. The Court further considers that these restrictions conform to the legitimate aim of achieving high levels of professionalism, by ensuring a minimum and adequate education level in universities running in appropriate conditions, which is in the general interest.
49. As to the proportionality of the restrictions, firstly in relation to the entrance examination, the Court notes that assessing candidates through relevant tests in order to identify the most meritorious students is a proportionate measure to ensure a minimum and adequate education level in the universities. With regard to the content of the tests, albeit in a different context, the Court has held in Kjeldsen, Busk Madsen and Pedersen v. Denmark (7 December 1976, § 53, Series A no. 23) that the setting and planning of the curriculum fall in principle within the competence of the Contracting States and it is not for the Court to rule on such matters. Similarly, the Court is not competent to decide on the content or appropriateness of the tests involved.
50. As to the numerus clausus, the Court notes that the applicants’ emphasis is on the basis used for applying the numerus clausus, namely the two criteria referring to a) the capacity and resource potential of universities, and b) society’s need for a particular profession – the Court considers that a balance must be reached between the individual interest of the applicants and those of society at large, including other students attending the university courses. The Court notes that the two criteria are in line with the Court’s case-law holding that regulation of the right to education may vary according to the needs and resources of the community and of individuals (see Belgian linguistics case, cited above). It further notes that, in the present case, such restrictions need to be seen in the context of the highest level of education, namely tertiary education.
51. As to the first criterion, resource considerations are clearly relevant and undoubtedly acceptable – a notion which follows logically from the interpretation given to the provision, namely that the right to education entails access to any institution of higher education “existing” at a given time (ibid.). The Court reiterates that the Convention lays down no specific obligations concerning the extent of the means of instruction and the manner of their organisation or subsidisation (see X v. the United Kingdom, no. 8844/80, Commission decision of 9 December 1980, DR 23, p. 228, and Georgiou v. Greece (dec.), no. 45138/98, 13 January 2000). This implies a right to access to education only in as far as it is available and within the limits pertaining to it. The Court notes that such limits are often dependent on the assets necessary to run such institutions, including, inter alia, human, material and financial resources with the relevant considerations, such as the quality of such resources. This is relevant particularly when the universities are State-run.
52. In so far as the applicants complained that the same restrictions applied to private universities and therefore to instruction they were willing to pay for, it is undeniable that the resources vis-à-vis theoretical and practical education would in fact be largely dependent upon the private universities’ human, material and financial capital and therefore on that basis it would be possible to have higher admission numbers without causing an extra burden on the State and its structures. However, it is not irrelevant that the private sector in Italy is partly reliant on State subsidies. More importantly, in the present circumstances the Court cannot find disproportionate or arbitrary the State’s regulation of private institutions as well, in so far as such action can be considered necessary to prevent arbitrary admission or exclusion and to guarantee equal treatment of persons. It is recalled that the fundamental right of everyone to education is a right guaranteed equally to pupils in State and independent schools, without distinction (see Leyla Sahin, [GC], cited above, § 153). Accordingly, the State has an obligation to regulate them to ensure the Convention is complied with. In particular, the Court considers that it is justified for the State to be rigorous in its regulation of the sector – especially in the fields of study in question where a minimum and adequate education level is of utmost importance – to ensure that access to private institutions should not be available purely on account of the financial ability of candidates, irrespective of their qualifications and propensity for the profession.
53. Furthermore, the Court recognises that overcrowded classes can be detrimental to the effectiveness of the education system in a way which hinders the specific training experience.
54. Thus, bearing in mind the competing interests, the Court considers that the first criterion imposed is both legitimate and proportionate.
55. As to the second criterion, namely, society’s need for a particular profession, the Court considers that its interpretation is indeed restrictive. It only has a national outlook pertaining, moreover, to the public sector, thus ignoring any relevant needs originating in a wider EU or private context. Furthermore, it may be considered short-sighted in so far as it does not appear that serious consideration is given to future local needs.
56. However, in the Court’s view such a measure is nevertheless balanced in so far as the Government are entitled to take action with a view to avoiding excessive public expenditure. The Court observes that the training of certain specific categories of professionals constitutes a huge investment. It is therefore reasonable for the State to aspire to the assimilation of each successful candidate into the labour market. Indeed, an unavailability of posts for such categories due to saturation represents further expenditure, since unemployment is without doubt a social burden on society at large. Given that it is impossible for the State to ascertain how many graduates might seek to exit the local market and seek employment abroad, the Court cannot consider it unreasonable for the State to exercise caution and thus to base its policy on the assumption that a high percentage of them may remain in the country to seek employment there. In the Court’s view, therefore, the second criterion is also proportionate.
57. Lastly, the Court notes that the applicants were not denied the right to apply to any other course in which they might have expressed an interest (see, mutatis mutandis, Lukach, (dec.) cited above), and in respect of which they had the requisite qualifications. Nor have they been denied the opportunity to pursue their studies abroad in line with their possible wish to pursue careers abroad. Given that it does not appear that there is a limit on the number of times a candidate can sit the test, the applicants still have the opportunity to be successful and gain access to the course of their first choice.
58. In conclusion, the Court considers that the measures imposed were not disproportionate and that in applying those measures the State did not exceed its margin of appreciation.
59. It follows that there has not been a violation of Article 2 of Protocol No. 1 to the Convention.
(c) Application to the present case regarding Mr Marcuzzo
60. In so far as it can be said that the eighth applicant’s claim goes further than that argued above, in that he was made to re-sit the entrance examination after having been excluded from the course following his eight-year absence, the Court notes that it has not been argued that the measure was unforeseeable. It further considers that it is not unreasonable to exclude from a course of studies a student who has failed to sit examinations for eight consecutive years, particularly in view of the fact that a numerus clausus applies to the university course in question. In consequence, the Court finds that the measure pursued a legitimate aim and in the light of the State’s entitlement to regulate the right to education, the measure was proportionate. In fact it achieved a balance between the interests of the applicant on the one hand and those of other persons who wished to enter the said course and the needs of the community at large on the other hand.
61. It follows that there has not been a violation in respect of this part of the complaint related to the eighth applicant.
II. ALLEGED VIOLATION OF ARTICLE 6 OF THE CONVENTION
62. The first applicant complained about the unfairness of the proceedings, in particular their outcome, the fact that the domestic court failed to request a referral to the ECJ to ensure compliance of the measures with EU law, and the lack of reasons, in that the decision of 28 April 2009 had not replied to all her arguments. She invoked Article 6 § 1 of the Convention, which in so far as relevant, provides as follows:
“1. In the determination of his civil rights and obligations … everyone is entitled to a fair and public hearing within a reasonable time by an independent and impartial tribunal established by law.”
63. The Court notes that the first applicant, in lodging a special appeal with the President of the Republic in 2007, did not institute contentious proceedings falling within the scope of Article 6 of the Convention (see Nardella v. Italy (dec.), no. 45814/99, ECHR 1999 VII, and Nasalli Rocca (dec.), cited above), and therefore the provision is not applicable.
64. It follows that the complaint is incompatible ratione materiae with the provisions of the Convention within the meaning of Article 35 § 3 and must be rejected in accordance with Article 35 § 4 of the Convention.
III. ALLEGED VIOLATION OF ARTICLE 14 OF THE CONVENTION
65. The applicants (except the first applicant) complained that they had been discriminated against under Article 14, which provides as follow:
“ The enjoyment of the rights and freedoms set forth in this Convention shall be secured without discrimination on any ground such as sex, race, colour, language, religion, political or other opinion, national or social origin, association with a national minority, property, birth or other status.”
66. The applicants alleged that freshly graduated students had more chance of passing knowledge-based examinations, in particular those based on high school syllabi, and that therefore the system was discriminatory on grounds of age.
67. The Court observes that university is a knowledge-based institution, and therefore it cannot be considered unreasonable or arbitrary to set knowledge-based examinations. Moreover, it has not been shown that persons of a certain age have found it more difficult to pass the examination. The complaint is therefore unsubstantiated. Lastly, the Court considers that the subjective perception an applicant may have of an exam cannot in itself raise an issue under Article 14.
68. It follows that the complaint is manifestly ill-founded and must be rejected in accordance with Article 35 §§ 3 and 4 of the Convention.
FOR THESE REASONS, THE COURT
1. Declares unanimously the complaints concerning Article 2 of Protocol No. 1 to the Convention admissible and the remainder of the applications inadmissible;

2. Holds by 6 votes to 1 that there has not been a violation of Article 2 of Protocol No. 1 to the Convention;

3. Holds unanimously that there has not been a violation of Article 2 of Protocol No. 1 to the Convention in respect of the eighth applicant’s further complaint.

Done in English, and notified in writing on 2 April 2013, pursuant to Rule 77 §§ 2 and 3 of the Rules of Court.
Françoise Elens-Passos Danutė Jočienė
Deputy Registrar President
In accordance with Article 45 § 2 of the Convention and Rule 74 § 2 of the Rules of Court, the partly dissenting opinion of Judge Pinto de Albuquerque is annexed to this judgment.
D.J.
F.E.P.

ANNEX

Application nos. Date of introduction Name, DOB, residence
25851/09 18/05/2009 OMISSIS
22/07/1988
Palermo

29284/09 02/11/2009 OMISSIS
30/01/1973
Catania

64090/09 16/11/2009 OMISSIS
22/10/1985
Milano

OMISSIS
01/06/1966
Macerata

OMISSIS
21/01/1969
Piacenza

OMISSIS
11/12/1967
Catania

OMISSIS
24/04/1969
Catania

OMISSIS
23/11/1974
Siracusa

PARTLY DISSENTING OPINION OF JUDGE PINTO DE ALBUQUERQUE
The Tarantino and Others case deals with a state-imposed numerus clausus system for obtaining access to State or private university studies in certain areas such as dentistry and medicine. The dispute revolves around the disproportionate criteria used by the respondent Government to regulate the numerus clausus, but underlying this question of proportionality are fundamental issues such as the scope and implications of the right to university education and the States Parties’ margin of appreciation in university regulation. With all due respect, I cannot agree with the majority, since I find that the criteria used by the respondent State were indeed disproportionate. With regard to the applicants’ other complaints, I concur with the majority.
University education as a human right
The right to university education is a human right. In spite of the negative formulation of Article 2 of Protocol No. 1 to the European Convention on Human Rights (the Convention), States Parties have a positive obligation to provide not only access to the existing schools and educational establishments and official recognition of completed studies , but also to promote access to education for every child, if necessary by creating additional educational possibilities. This broad international obligation is also supported on Article 28 of the UN Convention on the Rights of the Child (193 States Parties, including the respondent State, which ratified it in 1991 without reservations), read in conjunction with Article 26 (1) of the Universal Declaration of Human Rights and Article 13 of the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights (160 States Parties, including the respondent State, which ratified it in 1978 without reservations) . The States Parties’ obligation corresponds to a human right to education in the public education system , including State universities .
In fact, States Parties have power to regulate access to education and a fortiori to university studies , but this regulation is subject to the supervision of the European Court of Human Rights (the Court), as in the case of refusal to enter university for lack of timely proof of special requirements , refusal to readmit a student to repeat the first year of university studies on account of failure in the first-year examinations and a poor attendance record at compulsory classes , suspension or expulsion from university or a similar higher education institution , annulment of university entrance exam results , and prohibition to sit a university exam or the forced interruption of studies due to the enforcement of a prison sentence .
Since the right to education comprises the freedom to provide for education, Article 2 of Protocol No. 1 also covers the right to establish and run private schools and universities . Although this right does not imply a positive obligation on the State to fund private schools and universities , it does impose a negative obligation not to discriminate against private schools and universities, i.e. not to impose unjustified constraints, restrictions or prohibitions in comparison to State schools and universities.
The State’s margin of appreciation in university regulation
Governments enjoy a certain discretion in exercising their regulatory powers over State schools . States Parties may impose a mandatory period of attendance at State school , but State schools have an obligation to provide teaching of national languages , to convey knowledge in an objective, critical and pluralistic manner , and to organise non-discriminatory classes and a safe environment, free of any form of ill-treatment . Governments may not exercise the same degree of control in respect of private schools as that applied to State schools. While State schools enjoy a certain degree of institutional autonomy, in line with each State’s educational policy, private schools must enjoy a greater degree of autonomy.
Institutional autonomy includes, as a minimum, establishment of the academic curriculum and control over the admission, evaluation, suspension and expulsion of students, the selection and promotion of academic and administrative staff and the budget and financial organisation of the institution . As a crucial guarantee of academic freedom, institutional autonomy is simultaneously the best insurance of the freedom to provide for education and the right to education . Were the Government or other public authority to intervene in the regulation of any of these aspects, either by imposing a priori certain rules or quashing a posteriori rules or decisions approved by private schools, this intervention would have to comply with strict requirements of necessity and proportionality . Thus, the States Parties’ margin of appreciation is wider with regard to the regulation of State schools and narrower with regard to that of private schools. An even narrower margin of appreciation applies a fortiori to higher education, where institutional autonomy plays a pivotal role . Conversely, the more the State funds private schools and universities, the wider its margin of appreciation.
The application of the Convention standard to this case
The Italian Government establishes the numerus clausus to obtain access to medicine and dentistry studies in State and private universities, on the basis of two criteria: the capacity and resource potential of universities and society’s need for a particular profession. In reality, the second criterion refers to the needs of the national public health sector. These criteria result from the work of a task force composed, inter alia, of representatives from the National Federation of Doctors and the Chamber of Doctors and Dentists. The number of places for individual universities is established on a regional basis. Generally speaking, the increase in the number of places assigned to a specific university offset by the decrease in the number of places assigned to other universities in the same region.
The first criterion is justified by the respondent Government on the basis of the need to ensure high quality standards in university education and a high degree of professionalism in medical and dentistry classes, namely guaranteeing a balanced ratio of students-academic staff, rational use of the available material resources and controlled access to trainee posts at public hospitals and subsequently to the labour market. Hence, numerus clausus is presented as a magic formula to avoid overcrowded university buildings, with too few professors for too many students, who would not then have a chance to obtain practical training before entering the labour market.
The second criterion is justified by the respondent Government as corresponding to the purpose of avoiding excessive public expenditure at present and in the future, since teaching and training medical doctors and dentists implies significant expenditure for the present generation and any future saturation of the labour market would imply further expenditure, given the social charges associated with unemployment.
Unfortunately both criteria are groundless, since they pertain more to fiction than to reality.
Capacity and resource potential of universities as a criterion of numerus clausus
The respondent Government did not provide the Court with any data on the capacity and resource potential of universities that could justify the numerus clausus established in the relevant years of 2007-2009. Nor did the respondent Government advance any reasons for such numerus clausus to be applied to private universities.
In fact, ministerial decisions with regard to numerus clausus do not present any technical motivation, and instead result from discretionary choices . There is simply no objective basis for the political choice, which remains free from any genuinely founded empirical constraint.
Worse still, this criterion ignores the simple fact that private universities are largely independent of State funding in Italy, and could thus increase the number of available places at their own expense. As explained above, the respondent Government enjoy a very narrow margin of appreciation in establishing any limitations on private universities , and the Court was not informed of any substantive reason that could justify such a serious interference with the right to establish private universities and their institutional autonomy. Thus, Italian private universities have the right to establish their own limits to enrolment, taking into account their human, material and financial resources. In other words, State-imposed numerus clausus on private universities impinges gravely on the freedom to provide for education, in so far as it prevents private universities which have an adequate material infrastructure and sufficient staff capacity from being able to increase places at their own cost, and also on the right to education, in that it denies university admission to persons who are prepared to fund the cost of this service from their own pocket . Hence, the impugned system of numerus clausus is already disproportionate on the basis of the first criterion used by the respondent Government.
Society’s need for a particular profession as a criterion of numerus clausus
The respondent Government interprets society’s need as the need experienced by the Italian public health sector. This criterion aggravates the disproportionality of the respondent State’s interference with the right to education, since it ignores the fact that the Italian health sector also contains a private sector, with its own needs . This omission is particularly censurable in the case of dentistry, since the vast majority of dentists work in the private sector . Moreover, this criterion neglects the fact that Italy is a member of a wider market of health services, namely the European Union, within which professionals are entitled to move and work freely . Furthermore, this criterion is in essence contradictory to the developing European Higher Education Area, through the Bologna process , which aims not only at greater institutional autonomy for universities, in the sense that the primary responsibility for quality assurance in higher education lies with each institution itself , but also at widening overall participation and particularly increasing the participation of under-represented groups in higher education . In addition, this criterion runs counter to the spirit of the 1997 Lisbon Recognition Convention, which is at the basis of the Bologna process . From a wider perspective, this criterion goes against the States’ obligation to make higher education equally accessible to all, on the basis of merit, as stated in Article 13 (2) (c) of the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights and Article 26 (1) of the Universal Declaration on Human Rights . The ultimate criterion for assessing candidates is their merit, not the market’s needs. Finally, this criterion is fundamentally unfair, inasmuch as it impedes a new entrant to the market with an obstacle justified by the alleged needs of that market. A new entrant may succeed in making his or her way through ability and hard work, and may thus prosper where others do not. In fact, the unfortunate practical outcome of the current numerus clausus system has been to restrict competition between professionals in the health field and to keep the health market rigid and ineffective, dependent either on the State offer or on services with artificially high health fees . For potential students, the sad result has been to drive them to study abroad, or at least those with the necessary means to do so .
The arbitrariness of the legal regime as practised results from the simple fact that it has served no practical purpose other than to ensure the advantage of those professionals already working in the health sector. No better evidence of this purpose can be provided than the participation of professional associations in the task force that discusses and prepares the admission quotas, which constitutes a clear instance of conflict of interest .
Conclusion
Quoting from a statement of South African scholars against a governmental restrictive admission policy, Justice Frankfurter stated that “It is the business of a university to provide that atmosphere which is most conductive to speculation, experiment and creation. It is an atmosphere in which there prevail ‘the four essential freedoms’ of a university – to determine for itself on academic grounds who may teach, what may be taught, how it shall be taught, and who may be admitted to study.” In other words, institutional autonomy is a necessary condition for the individual freedom to provide for higher education and the individual right to higher education.
Both in their design and practice, the criteria established by the respondent Government for the numerus clausus system have proved groundless and even arbitrary in the light of these rights and freedoms. Hence, the interference with the applicant’s right to education is disproportionate, and Article 2 of Protocol No. 1 has been breached.

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

Se l'espropriato ha già un Professionista di sua fiducia, può comunicagli che sul nostro sito trova strumenti utili per il suo lavoro.
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 - Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.

  • La consulenza iniziale, con esame di atti e consigli, è sempre gratuita
    - Per richiederla cliccate qui: Colloquio telefonico gratuito
  • Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
    - Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
    - Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI

Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 05/11/2024