CASO DI ORLOVI? E ALTRI v. BOSNIA E ERZEGOVINA
QUARTA SEZIONE
(Applicazione n. 16332/18)
GIUDICE
STRASBURGO
1 ottobre 2019
Questa sentenza diverr? definitiva nelle circostanze previste dall’articolo 44 ? 2 della Convenzione. Essa pu? essere soggetta a revisione editoriale.
Nel caso di Orlovi? e altri contro la Bosnia-Erzegovina,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (Quarta Sezione), che si riunisce come Sezione composta da:
Jon Fridrik Kj?lbro, Presidente,
Faris Vehabovi?,
Paul Lemmens,
Iulia Antoanella Motoc,
Carlo Ranzoni,
Jolien Schukking,
P?ter Paczolay, giudici,
e Andrea Tamietti, vice cancelliere della sezione,
Avendo deliberato in privato il 2 luglio e il 9 luglio 2019,
Emette la seguente sentenza, che ? stata adottata in quest’ultima data:
PROCEDURA
1. Il caso ha avuto origine in una domanda (n. 16332/18) contro la Bosnia-Erzegovina, presentata alla Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libert? fondamentali (“la Convenzione”) da quattordici cittadini della Bosnia-Erzegovina (“i richiedenti”), la sig.ra Fata Orlovi?, ?aban Orlovi?, Fatima Ahmetovi?, Hasan Orlovi?, Zlatka Ba?i?, Senija Orlovi?, Ejub Orlovi?, Abdurahman Orlovi?, Mu?ka Mehmedovi?, Mirsada Ehli?, Melka Mehmedovi?, Rahima Dahali?, Fatima Orlovi? e Murtija Hod?i?, il 30 marzo 2018.
2. I ricorrenti erano rappresentati dal sig. F. Karkin, avvocato che esercitava a Sarajevo. Il governo della Bosnia-Erzegovina (in prosieguo: il “governo”) era rappresentato dal loro agente, sig.ra B. Skalonji?.
3. I ricorrenti hanno sostenuto, in particolare, di non poter godere effettivamente del loro possesso perch? una chiesa costruita illegalmente non ? stata rimossa dal loro terreno. Le ricorrenti hanno anche sostenuto che le decisioni dei tribunali nazionali relative alla loro causa civile erano state contrarie all’articolo 6 della Convenzione.
4. Il 24 maggio 2018 ? stata data comunicazione della richiesta al Governo.
I FATTI
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO
5. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1942, 1966, 1969, 1969, 1972, 1976, 1976, 1974, 1980, 1980, 1968, 1970, 1973, 1973, 1975, 1978, 1980 e 1982. Il primo richiedente vive a Konjevi? Polje, Bosnia ed Erzegovina. Secondo le informazioni fornite dagli altri richiedenti, essi vivono a Srebrenik, Bosnia ed Erzegovina.
A. Contesto rilevante
6. I ricorrenti sono eredi del marito della prima ricorrente, ?.O., e di suo fratello M.O. Il marito della prima ricorrente e pi? di venti altri parenti sono stati uccisi nel genocidio di Srebrenica nel 1995.
7. I ricorrenti sig. ?aban Orlovi?, la sig.ra Fatima Ahmetovi?, il sig. Hasan Orlovi?, la sig.ra Zlatka Ba?i?, la sig.ra Senija Orlovi? e il sig. Ejub Orlovi? sono figli della prima ricorrente e del suo defunto marito. Abdurahman Orlovi?, Mu?ka Mehmedovi?, Mirsada Ehli?, Melka Mehmedovi?, Rahima Dahali?, Fatima Orlovi? e Murtija Hod?i? sono figli di M.O.
8. Le ricorrenti vivevano a Konjevi? Polje, Comune di Bratunac, nell’attuale Republika Srpska (una delle due entit? costitutive della Bosnia ed Erzegovina), su una propriet? appartenente alla ?.O. e alla M.O. La propriet? consisteva in diversi edifici individuali e agricoli, campi e prati.
9. Durante la guerra del 1992-95 i richiedenti sono stati costretti a fuggire dalla loro casa e sono diventati sfollati interni.
B. Costruzione di una chiesa sul terreno dei richiedenti
10. L’11 settembre 1997, a seguito di una richiesta presentata dalla Parrocchia serbo-ortodossa di Drinja?a (“la Parrocchia”), il Comune di Bratunac ha espropriato una parte del terreno dei richiedenti – un campo con una superficie totale di 11.765 mq, designato come parcella catastale n. 996/1 – e lo ha assegnato alla Parrocchia per la costruzione di una chiesa. La decisione si riferiva al terreno in questione come terreno edificabile non edificato e stabiliva che il risarcimento ai precedenti proprietari sarebbe stato determinato in un procedimento separato. I ricorrenti non sono mai stati informati del procedimento di esproprio.
11. Nel 1998 ? stata costruita una chiesa sul terreno n. 996/1, a 20,5 m di distanza dalla casa esistente in cui la prima ricorrente aveva vissuto con la sua famiglia prima della guerra. La chiesa ? stata costruita senza alcuna documentazione tecnica rilevante.
12. Il 21 ottobre 2003 la parrocchia ha presentato una richiesta all’Unit? di pianificazione territoriale e abitativa del Comune di Bratunac (“l’SPHU”), chiedendo il permesso di costruire la chiesa.
13. Il 14 aprile 2004, nell’ambito della procedura di supervisione dei lavori dell’USPHU, l’Ispettorato per l’edilizia del Ministero della pianificazione territoriale, dell’edilizia e dell’ecologia della Republika Srpska (“l’Ispettorato”) ha emesso una decisione con la quale ha ordinato all’Ispettorato per l’edilizia del Comune di Bratunac (“l’Ispettorato comunale”) di vietare l’uso della chiesa di Konjevi? Polje entro tre giorni dalla consegna di tale decisione, ai sensi dell’articolo 138 della legge sullo sviluppo territoriale del 2002 (cfr. paragrafo 43). L’Ispettorato ha ritenuto che l’Ispettorato comunale non avesse agito in conformit? con la legge in materia perch? non aveva fermato i lavori di costruzione e successivamente impedito l’uso della chiesa, sebbene fosse stata costruita senza permesso di costruzione e altra documentazione tecnica. Inoltre, la parrocchia non aveva mai ottenuto un permesso d’uso.
14. Il 27 agosto 2004 l’Ispettorato comunale ha informato il Ministero dell’assetto territoriale, dell’edilizia e dell’ecologia che il vicesindaco di Bratunac aveva “espressamente richiesto” che l’uso della chiesa per tale funzione non venisse interrotto. ? stato inoltre affermato che, secondo il vicesindaco, la questione dovrebbe essere risolta a un livello politico superiore, per cui ? stato organizzato un incontro tra i rappresentanti comunali, il Ministero dell’assetto territoriale, dell’edilizia e dell’ecologia e il vescovo dell’Eparchia di Zvornik-Tuzla. Dopo l’incontro, la Chiesa ortodossa serba aveva avviato il procedimento per la legalizzazione della chiesa. L’Ispettorato comunale ha concluso affermando che, in considerazione di tali sviluppi, ha rinunciato ad agire in conformit? con l’articolo 138 della legge sullo sviluppo del territorio del 2002.
15. Nel dicembre 2004 la parrocchia ha ottenuto il permesso di costruire la chiesa (vedi paragrafo 12).
C. Procedimento di restituzione
16. Il 28 ottobre 1999, a seguito di una richiesta presentata dal secondo ricorrente, il sig. ?aban Orlovi?, la Commissione per le rivendicazioni immobiliari degli sfollati e dei rifugiati (“CRPC”), istituita dall’allegato 7 dell’accordo di pace di Dayton (cfr. punto 44), ha stabilito che il defunto marito del primo ricorrente, ?.O., era stato il proprietario del terreno di Konjevi? Polje e ha annullato qualsiasi trasferimento o restrizione involontaria della propriet? dopo il 1o aprile 1992. La decisione ha inoltre stabilito che gli eredi della ?.O. avevano il diritto di riprendersi il terreno in questione sessanta giorni dopo aver presentato una richiesta di esecuzione della decisione.
17. Il 14 novembre 2001, a seguito di una richiesta presentata dalla prima richiedente, la sig.ra Fata Orlovi?, il Ministero per i rifugiati e gli sfollati della Republika Srpska, Unit? di Bratunac (“il Ministero per i rifugiati”), ha inoltre stabilito che la ?.O. era proprietaria del terreno in questione e, in particolare, il comproprietario dell’appezzamento n. 996/1 insieme a suo fratello M.O. ? stato ordinato il riappropriazione immediata del terreno.
18. Il 17 aprile 2002 il primo richiedente ha presentato al Ministero per i Rifugiati la richiesta di esecuzione della decisione CRPC del 28 ottobre 1999 (cfr. paragrafo 16).
19. In una data non specificata, dopo di che i richiedenti hanno riacquistato il possesso del loro terreno, ad eccezione dell’appezzamento n. 996/1, sul quale ? rimasta la chiesa (cfr. paragrafo 11). La prima richiedente ritorn? nella casa in cui aveva vissuto con la sua famiglia prima della guerra.
20. Il 3 aprile 2003 la prima ricorrente ha presentato una domanda al Ministero per i Rifugiati chiedendo la piena esecuzione della sua decisione del 14 novembre 2001 (cfr. paragrafo 17). Ha anche chiesto di ordinare alla parrocchia di rimuovere la chiesa dalla sua propriet? per consentire il completo riappropriazione e di restituire il terreno nelle sue condizioni originali.
21. Il 20 aprile 2004 i ricorrenti hanno scritto alla parrocchia chiedendo una soluzione amichevole della controversia. I ricorrenti hanno proposto il trasferimento della chiesa come la soluzione migliore, sostenendo che era stata costruita illegalmente sul loro terreno. A questo proposito hanno fatto riferimento alla decisione dell’Ispettorato del 14 aprile 2004 (cfr. paragrafo 13).
22. Il 20 gennaio 2005 il sindaco di Bratunac ha offerto ai ricorrenti un risarcimento, di importo non specificato, o l’assegnazione di un’altra propriet? in luogo della restituzione dell’appezzamento n. 966/1. I richiedenti hanno rifiutato e hanno mantenuto la loro richiesta di restituzione integrale della loro propriet?.
23. Il 19 settembre 2005 i ricorrenti hanno scritto al Ministero per i Rifugiati, alla Parrocchia, al Ministero della Pianificazione Territoriale, dell’Edilizia e dell’Ecologia e al Sindaco di Bratunac chiedendo loro di consentire la piena applicazione della decisione CRPC.
D. Procedimento civile
24. Il 29 ottobre 2002 il primo ricorrente ha intentato un’azione civile presso il Tribunale di primo grado di Srebrenica (“il Tribunale di primo grado”) contro la Chiesa serbo-ortodossa in Bosnia ed Erzegovina per recuperare il possesso del lotto n. 996/1. Ha chiesto che la chiesa fosse rimossa dalla sua terra e che le venisse restituito il terreno nelle sue condizioni originarie.
25. Il 4 marzo 2003 il Tribunale di primo grado ha deciso che non era competente a decidere sul caso e ha respinto l’azione civile della prima ricorrente.
26. Il 25 agosto 2006, a seguito di un ricorso del primo ricorrente, il Tribunale distrettuale di Bijeljina (“il Tribunale distrettuale”) ha annullato la sentenza del 4 marzo 2002 e ha rinviato il caso per un riesame.
27. Nel corso del procedimento di riesame dinanzi al Tribunale di primo grado, gli altri tredici ricorrenti si sono uniti all’azione civile del primo ricorrente. Su richiesta del tribunale i ricorrenti hanno specificato i convenuti come segue: l’Eparchia Zvornik-Tuzla della Chiesa ortodossa serba, la Parrocchia di Bratunac e la Parrocchia Konjevi? Polje. I ricorrenti hanno specificato che hanno chiesto un’ordinanza del tribunale per rimuovere la chiesa costruita sul terreno in questione e per cedere il possesso del terreno ai ricorrenti entro trenta giorni dalla data della sentenza, in contumacia della quale i ricorrenti sarebbero stati autorizzati a rimuovere la chiesa a spese dei convenuti.
28. Le udienze preparatorie dinanzi al Tribunale di primo grado sono state rinviate pi? volte su richiesta delle parti. In particolare, un’udienza prevista per il 27 dicembre 2007 ? stata rinviata su richiesta del rappresentante dei ricorrenti che ha informato il tribunale di aver parlato con il Primo Ministro della Republika Srpska e che c’era la possibilit? che il caso potesse essere risolto nel corso del 2008.
29. All’udienza del 20 aprile 2010 i ricorrenti hanno modificato la loro domanda, chiedendo al tribunale di riconoscere la validit? di una transazione extragiudiziale conclusa l’11 gennaio 2008 tra il loro rappresentante e i convenuti, che erano rappresentati dal Primo Ministro della Republika Srpska, dal suo consigliere, M.D., e dal vescovo dell’Eparchia Zvornik-Tuzla, formulata come segue:
“Gli intervistati devono rimuovere la chiesa costruita sull’appezzamento n. 996 … entro quindici giorni dalla data in cui avranno messo a disposizione altri terreni per la costruzione di una chiesa a Konjevi? Polje, in difetto della quale [l’insediamento sar?] obbligatoriamente eseguito”.
30. Il 21 maggio 2010 il Tribunale di primo grado ha respinto la domanda delle ricorrenti. Tale sentenza ? stata confermata dal Tribunale distrettuale il 17 settembre 2010 (copie di tali decisioni non sono nel fascicolo di causa).
31. Il 1? febbraio 2012, a seguito di un ricorso per motivi di diritto presentato dai ricorrenti, la Corte Suprema della Republika Srpska (“la Corte Suprema”) ha annullato la sentenza del Tribunale Distrettuale del 17 settembre 2010 e ha rinviato il caso per un riesame (una copia della decisione della Corte Suprema non ? nel fascicolo della causa).
32. A seguito del rinvio, il 24 settembre 2012 la Corte distrettuale ha annullato la sentenza del Tribunale di primo grado del 21 maggio 2010 e ha rinviato la causa a tale tribunale per il riesame (una copia di tale decisione non ? nel fascicolo di causa). Il Tribunale distrettuale ha incaricato il Tribunale di primo grado di esaminare i fatti relativi all’esistenza della transazione extragiudiziale, al suo contenuto e all’esistenza di un’adeguata autorizzazione a concludere la transazione.
33. Il 3 giugno 2013 il Tribunale di primo grado ha respinto la domanda dei ricorrenti. Da un lato, il tribunale ha ritenuto che le ricorrenti non avessero dimostrato che il Primo Ministro e il suo consulente fossero stati autorizzati a concludere la transazione per conto delle parti convenute. Essi non erano stati autorizzati a farlo neppure dalla legge a causa del principio della separazione tra Chiesa e Stato. D’altro canto, mentre il vescovo dell’Eparchia di Zvornik-Tuzla poteva essere considerato il rappresentante legale degli intervistati, non era stato dimostrato che l’accordo fosse stato effettivamente concluso con lui. Nella sua testimonianza M.D. aveva confermato di aver contattato telefonicamente il vescovo per discutere la possibilit? di una soluzione amichevole, ma che non era stato raggiunto alcun accordo. I ricorrenti sono stati condannati a pagare 11.243,70 marchi convertibili (BAM – circa 5.760 euro) come spese legali.
34. Il 23 ottobre 2013, a seguito di un ricorso delle ricorrenti, la Corte distrettuale ha annullato la sentenza del Tribunale di primo grado nella parte relativa alle spese legali, diminuendo il premio a BAM 1.029,60, e ha confermato il resto della sentenza.
35. Il 6 agosto 2014 la Corte Suprema ha respinto il ricorso dei ricorrenti per motivi di diritto. Il tribunale ha rilevato in particolare che le trattative che avevano avuto luogo nel 2008 tra il rappresentante dei ricorrenti e il Primo Ministro della Republika Srpska e il suo consulente avevano riguardato l’aiuto finanziario del governo all’Eparchia Zvornik-Tuzla con lo scopo di trasferire la chiesa dal terreno dei ricorrenti. I tribunali di grado inferiore avevano correttamente concluso, sulla base dei fatti, che non era stato concluso alcun accordo tra le parti in causa, ovvero i ricorrenti e la Chiesa serbo-ortodossa.
36. Il 17 ottobre 2014 i ricorrenti hanno presentato un ricorso costituzionale, basandosi sull’articolo 6 della Convenzione e sull’articolo 1 del Protocollo n. 1. Essi hanno ribadito, in particolare, che il loro diritto al pacifico godimento dei beni era stato violato perch? la chiesa era stata costruita illegalmente sul loro terreno. Hanno anche sostenuto che il vescovo, durante la conversazione telefonica con il medico, aveva dato il suo consenso all’accordo extragiudiziale.
37. Il 28 settembre 2017 la Corte costituzionale della Bosnia ed Erzegovina (“la Corte costituzionale”) ha respinto il ricorso come infondato, con cinque voti contro quattro. Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1 della Convenzione, essa ha ritenuto che i tribunali di grado inferiore avessero fornito ragioni chiare e convincenti per le loro decisioni, e che tali ragioni non fossero arbitrarie. Nell’esaminare il reclamo dei ricorrenti ai sensi dell’articolo 1 del protocollo n. 1, il tribunale ha fatto riferimento essenzialmente alla sua conclusione ai sensi dell’articolo 6 ? 1 della Convenzione. Tale decisione ? stata pronunciata ai ricorrenti il 2 novembre 2017.
E. Altre informazioni pertinenti
38. Il 10 settembre 2008 il primo richiedente ? stato aggredito fisicamente da uno degli agenti di polizia che sorvegliavano la pulizia dell’area intorno alla chiesa in preparazione della funzione che si sarebbe tenuta il giorno successivo.
39. Lo stesso giorno l’Ufficio dell’Alto rappresentante ha rilasciato la seguente dichiarazione:
“L’accordo sulla Chiesa di Konjevi? Polje deve essere attuato
L’OHR condanna l’incidente avvenuto stamattina nella propriet? di Fata Orlovi? a Konjevi? Polje.
L’anno scorso il governo della Republika Srpska ha deciso di finanziare il trasferimento della chiesa costruita illegalmente dalla propriet? privata di Fata Orlovi? a Konjevi?-Polje.
L’OHR ha accolto l’accordo come un segno che il diritto di Fata Orlovi? alla propriet? privata sarebbe stato rispettato.
Il 30 agosto dello scorso anno, il Forum per la sicurezza di Bratunac, presieduto dal sindaco di Bratunac Nedeljko Mla?enovi?, al quale hanno partecipato tutti gli attori interessati, ha annunciato che la festa annuale della chiesa dell’11 settembre si terr? per l’ultima volta nella chiesa esistente a Konjevi? Polje l’11 settembre 2007.
L’OHR sostiene che l’accordo dell’anno scorso deve essere rispettato.
L’Ufficio dell’Alto rappresentante chiede a tutte le persone coinvolte di attenersi alle posizioni precedentemente concordate, di mostrare moderazione e di astenersi da qualsiasi azione che possa infiammare la situazione”.
40. Il 12 settembre 2010 la prima ricorrente ? stata nuovamente aggredita nella sua propriet? da un agente di polizia.
II. DIRITTO NAZIONALE PERTINENTE
A. Legge sulla restituzione della propriet? 1998
41. The Restitution of Property Act 1998 (Zakon o prestanku primjene Zakona o kori?tenju napu?tene imovine, Gazzetta ufficiale della Republika Srpska “OG RS”, n. 16/10), che disciplina la restituzione dei beni immobili di propriet? privata abbandonati dopo il 30 aprile 1991, ha sostituito la legge sulla propriet? abbandonata del 1996 (Zakon o kori?tenju napu?tene imovine, OG RS, n. 3/96 e 21/96) e ha annullato tutti gli atti che regolano lo stato di propriet? abbandonata emanati nel periodo tra il 30 aprile 1991 e il 19 dicembre 1998.
42. Ai sensi dell’articolo 5 di questa legge, il proprietario ha il diritto di riappropriarsi dei beni e di riconoscere tutti i diritti che aveva su tali beni fino al 30 aprile 1991 o fino alla data della perdita del possesso. Il diritto di rivendicare il pignoramento non ? soggetto a prescrizione (sezione 9). La richiesta pu? essere presentata in qualsiasi momento all’unit? competente del Ministero per i Rifugiati del comune in cui si trova il bene in questione e/o alla CRPC (art. 10(1) e 16(1)). Le decisioni della CRPC sono definitive e immediatamente esecutive da parte delle autorit? competenti della Republika Srpska (articolo 16, paragrafi 3 e 5). I beni che sono stati lasciati liberi (da un occupante temporaneo) possono essere ripresi immediatamente (articolo 14(5)).
B. Legge sullo sviluppo territoriale del 2002
43. Ai seni dell’articolo 138 della legge sullo sviluppo territoriale del 2002 (Zakon o ure?enju prostora, OG RS, n. 84/02), in vigore all’epoca dei fatti, un ispettore edilizio era autorizzato, tra l’altro, a vietare l’uso di un oggetto o di una parte di esso, in mancanza di un’autorizzazione valida per l’uso.
III. MATERIALI INTERNAZIONALI PERTINENTI
Accordo quadro generale per la pace in Bosnia-Erzegovina (“l’accordo di pace di Dayton”)
44. L’accordo di pace di Dayton ? stato siglato in una base militare vicino a Dayton, negli Stati Uniti, il 21 novembre 1995. ? entrato in vigore il 14 dicembre 1995, quando ? stato firmato a Parigi, in Francia. Ha posto fine alla guerra del 1992-95 in Bosnia ed Erzegovina.
La parte pertinente dell’allegato 4 (la Costituzione della Bosnia-Erzegovina) recita come segue:
Articolo II ? 5
“Tutti i rifugiati e gli sfollati hanno il diritto di ritornare liberamente alle loro case d’origine. Essi hanno il diritto, in conformit? con l’Allegato 7 dell’Accordo quadro generale, di aver restituito loro i beni di cui sono stati privati nel corso delle ostilit? dal 1991 e di essere risarciti per i beni che non possono essere loro restituiti. Ogni impegno o dichiarazione relativa a tali beni fatta sotto costrizione ? nulla e non avvenuta”.
La parte pertinente dell’allegato 7 (l’accordo sui rifugiati e gli sfollati) prevede:
L’articolo I: Diritti dei rifugiati e degli sfollati
“Tutti i rifugiati e gli sfollati hanno il diritto di ritornare liberamente alle loro case d’origine. Essi hanno il diritto di avere restituito loro i beni di cui sono stati privati nel corso delle ostilit? dal 1991 e di essere risarciti per i beni che non possono essere loro restituiti. Il rapido ritorno dei rifugiati e degli sfollati ? un obiettivo importante per la soluzione del conflitto in Bosnia ed Erzegovina. Le parti confermano che accetteranno il ritorno di queste persone che hanno lasciato il loro territorio, comprese quelle che hanno ricevuto protezione temporanea da paesi terzi.
Le parti garantiscono che ai rifugiati e agli sfollati sia consentito il ritorno in condizioni di sicurezza, senza rischi di molestie, intimidazioni, persecuzioni o discriminazioni, in particolare a causa della loro origine etnica, del loro credo religioso o delle loro opinioni politiche.
3. Le parti adottano tutte le misure necessarie per prevenire attivit? all’interno dei loro territori che ostacolino o impediscano il ritorno sicuro e volontario dei rifugiati e degli sfollati. 3. Per dimostrare il loro impegno a garantire il pieno rispetto dei diritti umani e delle libert? fondamentali di tutte le persone che rientrano nella loro giurisdizione e a creare senza indugio condizioni adatte al rientro dei rifugiati e degli sfollati, le parti adottano immediatamente le seguenti misure volte a rafforzare la fiducia:
a. l’abrogazione della legislazione nazionale e delle pratiche amministrative con intento o effetto discriminatorio;
b. la prevenzione e la rapida soppressione di qualsiasi incitamento scritto o verbale, attraverso i media o altro, di ostilit? o di odio etnico o religioso; …”.
Articolo VII: Istituzione della Commissione
“Le parti istituiscono una Commissione indipendente per gli sfollati e i rifugiati (“la Commissione”) …”.
Articolo VIII: Cooperazione
“Le Parti cooperano con il lavoro della Commissione e ne rispettano e attuano le decisioni in modo rapido e in buona fede, in cooperazione con le organizzazioni internazionali e non governative competenti che hanno la responsabilit? del ritorno e della reintegrazione dei rifugiati e degli sfollati”.
LA LEGGE
I. PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 ALLA CONVENZIONE
45. I ricorrenti si lamentavano del fatto che era stato loro impedito di godere effettivamente del loro possesso perch? la chiesa costruita illegalmente non era ancora stata rimossa dal loro terreno. Essi si sono basati sull’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione, che recita come segue:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al pacifico godimento dei suoi beni. Nessuno pu? essere privato dei suoi beni se non nell’interesse pubblico e alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni che precedono non pregiudicano tuttavia in alcun modo il diritto di uno Stato di far rispettare le leggi che ritiene necessarie per controllare l’uso dei beni in conformit? all’interesse generale o per garantire il pagamento di tasse o altri contributi o sanzioni”.
A. Ammissibilit?
46. La Corte rileva che tale denuncia non ? manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35, paragrafo 3, lettera a), della Convenzione. Rileva inoltre che non ? inammissibile per altri motivi. Essa deve pertanto essere dichiarata ammissibile.
B. Meriti
1. 1. Le osservazioni delle parti
47. I ricorrenti hanno mantenuto la loro richiesta di restituzione completa delle loro propriet? e di rimozione della chiesa. Essi hanno inoltre sostenuto che nella decisione dell’11 settembre 1997 il Comune di Bratunac (cfr. paragrafo 10) aveva erroneamente classificato il terreno in questione come terreno edificabile non edificato idoneo all’esproprio. In realt? si trattava di un campo, come descritto nel catasto. Le ricorrenti hanno inoltre fatto valere che la decisione di esproprio dell’11 settembre 1997 non era mai stata loro notificata. Inoltre, la chiesa in questione era stata utilizzata solo una volta all’anno, nel giorno del suo santo patrono, perch? non c’era popolazione serba a Konjevi? Polje.
48. Il Governo ha ammesso che la decisione dell’11 settembre 1997 di espropriare i terreni dei ricorrenti e di destinarli alla parrocchia per la costruzione di una chiesa ha costituito un’interferenza con i diritti di propriet? dei ricorrenti. Essi hanno inoltre sostenuto che l’ingerenza nel caso in questione equivaleva ad una privazione del possesso, a meno che la Corte non ritenesse che la complessit? della situazione giuridica e di fatto impedisse di classificarla in una precisa categoria. Per quanto riguarda la legittimit?, il governo ha sostenuto che la decisione dell’11 settembre 1997 era stata emessa in conformit? della legge del 1986 sui terreni edificabili. Per quanto riguarda la proporzionalit? dell’ingerenza, il governo ha sostenuto che la Corte aveva ritenuto prima che il trasferimento obbligatorio di propriet? da un individuo ad un altro potesse, a seconda delle circostanze, costituire un mezzo legittimo per promuovere l’interesse pubblico. Nel caso in esame, la propriet? dei ricorrenti ? stata espropriata su richiesta della parrocchia allo scopo di costruire una chiesa in cui i serbi dei villaggi circostanti potessero praticare la loro religione.
49. Il Governo ha inoltre affermato che la Republika Srpska era a conoscenza degli obblighi assunti ai sensi dell’allegato 7 dell’accordo di pace di Dayton relativo al libero ritorno dei rifugiati alle loro case d’origine e alla restituzione delle loro propriet? (cfr. paragrafo 44). Al fine di attuare l’allegato 7, la Republika Srpska aveva promulgato la legge sulla restituzione delle propriet? del 1998 (cfr. paragrafo 41). Il ritorno degli sfollati e dei rifugiati ? stato un obiettivo importante per tutte le autorit? della Bosnia-Erzegovina e le autorit? non hanno voluto che questo caso fosse fonte di ulteriori divisioni e conflitti.
2. Valutazione della Corte
50. La Corte rileva, in primo luogo, che nella fattispecie non ? contestato il fatto che i ricorrenti siano i proprietari dell’immobile in questione e che avessero il diritto di ottenere la restituzione del terreno.
51. Come la Corte ha affermato in diverse occasioni, l’articolo 1 del Protocollo n. 1. 1 comprende tre regole distinte: la prima regola, contenuta nel primo periodo del primo comma, ha carattere generale ed enuncia il principio del pacifico godimento dei beni; la seconda regola, contenuta nel secondo periodo del primo comma, riguarda la privazione del possesso e la sottopone a determinate condizioni; la terza regola, contenuta nel secondo comma, riconosce agli Stati contraenti il diritto, tra l’altro, di controllare l’uso dei beni in conformit? all’interesse generale e di garantire il pagamento delle sanzioni. Le tre regole non sono, tuttavia, “distinte” nel senso di non essere collegate tra loro. La seconda e la terza regola riguardano casi particolari di interferenza con il diritto al pacifico godimento della propriet? e devono quindi essere interpretate alla luce del principio generale enunciato nella prima regola (cfr., tra le altre autorit?, James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, ? 37, serie A n. 98, e Iatridis c. Grecia [GC], no. 31107/96, ? 55, ECHR 1999-II).
52. L’oggetto essenziale dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 ? la protezione di una persona da interferenze ingiustificate da parte dello Stato nel pacifico godimento dei suoi beni. Tuttavia, in virt? dell’articolo 1 della Convenzione, ciascuna parte contraente “garantisce a tutti coloro che si trovano nella [sua] giurisdizione i diritti e le libert? definiti nella [Convenzione]”. L’adempimento di questo dovere generale pu? comportare obblighi positivi inerenti all’effettivo esercizio dei diritti garantiti dalla Convenzione. Nel contesto dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, tali obblighi positivi possono richiedere allo Stato di adottare le misure necessarie per proteggere il diritto di propriet? (vedi Broniowski c. Polonia [GC], no. 31443/96, ? 143, CEDU 2004 V; Ali?i? e altri c. Bosnia-Erzegovina, Croazia, Serbia, Slovenia ed ex Repubblica iugoslava di Macedonia [GC], n. 60642/08, ? 100, CEDU 2014; e Sargsyan c. Azerbaigian [GC], n. 40167/06, ? 219, CEDU 2015), in particolare quando esiste un legame diretto tra le misure che un richiedente pu? legittimamente aspettarsi dalle autorit? e il suo effettivo godimento dei suoi beni (cfr. ?nery?ld?z c. Turchia [GC], n. 48939/99, ? 134, CEDU 2004 XII). Anche nei rapporti tra privati o enti pu? sussistere un obbligo positivo per lo Stato (cfr. Kotov c. Russia [GC], n. 54522/00, ? 109, 3 aprile 2012).
53. Al fine di stabilire se lo Stato convenuto ha rispettato i suoi obblighi positivi ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, la Corte deve esaminare se ? stato raggiunto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse pubblico in questione e il diritto fondamentale di propriet? del richiedente (cfr. Broniowski, citato, ? 144; Kotov, citato, ? 110; Ali?i? e altri, citato, ? 101; e Sargsyan, citato, ? 220).
54. Passando al caso in esame, la Corte rileva che, ai sensi dell’Allegato 7 dell’Accordo di pace di Dayton, i ricorrenti, sfollati interni, avevano il diritto di ritornare alle loro case d’origine (cfr. paragrafo 44). Come presentato dal governo, il ritorno degli sfollati e dei rifugiati era un obiettivo importante per tutte le autorit? della Bosnia-Erzegovina (cfr. paragrafo 49).
55. La Corte rileva inoltre che il diritto dei richiedenti alla piena restituzione era stato stabilito dalle decisioni del CRPC e del ministero dei Rifugiati, rispettivamente del 28 ottobre 1999 e del 14 novembre 2001 (cfr. paragrafi 16 e 17). Entrambe le decisioni conferivano il diritto al recupero immediato (cfr. anche l’articolo 14, paragrafo 5, della legge del 1998 al paragrafo 42) ed entrambe erano definitive ed esecutive. La Corte rileva in particolare che, ai sensi della legge sulla restituzione della propriet? del 1998 e dell’articolo VIII dell’allegato 7 dell’accordo di pace di Dayton, le autorit? competenti della Republika Srpska dovevano attuare le decisioni della CRPC (cfr. paragrafi 42 e 44). La Corte ritiene che la denuncia delle ricorrenti sia essenzialmente una denuncia relativa all’inazione delle autorit? pubbliche, in contrasto con l’obbligo positivo di queste ultime di ripristinare pienamente i loro diritti di propriet?.
56. La Corte rileva inoltre che i terreni sono stati successivamente restituiti ai ricorrenti, ad eccezione dell’appezzamento n. 996/1, sul quale ? rimasta la chiesa. I ricorrenti avevano ripetutamente chiesto il completo riappropriazione senza alcun risultato (cfr. paragrafi 18, 20 e 23).
57. La Corte stabilir? pertanto se il pregiudizio subito a causa dell’inazione delle autorit? da parte dei ricorrenti fosse giustificabile alla luce dei principi pertinenti. La valutazione della proporzionalit? richiede un esame complessivo dei vari interessi in questione, tenendo presente che la Convenzione ? intesa a salvaguardare diritti “pratici ed effettivi”. Inoltre, in ogni caso di presunta violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, la Corte deve accertare se, a causa dell’azione o dell’inazione dello Stato, la persona interessata abbia dovuto sostenere un onere sproporzionato (cfr. Szk?rits c. Ungheria, n. 58171/09, ?? 39 e 40, 16 settembre 2014).
58. La Corte ritiene che l’obbligo dello Stato di garantire ai ricorrenti il godimento effettivo del loro diritto di propriet?, come garantito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1, imponga alle autorit? nazionali di adottare misure concrete per assicurare l’esecuzione delle decisioni del 28 ottobre 1999 e del 14 novembre 2001. All’inizio, invece, le autorit? hanno fatto addirittura il contrario, autorizzando di fatto la Chiesa a rimanere sul terreno dei ricorrenti (cfr. i precedenti paragrafi 14 e 15).
59. La Corte osserva inoltre che i ricorrenti avevano avviato un procedimento civile volto a recuperare il possesso del loro terreno, nel corso del quale avrebbero concluso una transazione extragiudiziale e successivamente modificato il loro credito (cfr. paragrafo 29). Il credito dei ricorrenti ? stato infine respinto, come confermato rispettivamente dalla Corte Suprema e dalla Corte Costituzionale (cfr. paragrafi 35 e 37).
60. Nonostante le due decisioni definitive che ordinano il completo riapproprio delle loro terre, ai ricorrenti ? ancora impedito, diciassette anni dopo la ratifica della Convenzione e dei suoi protocolli da parte dello Stato convenuto, di goderne pacificamente.
61. Sebbene un ritardo nell’esecuzione di una sentenza possa essere giustificato in particolari circostanze (cfr. Burdov c. Russia, n. 59498/00, ? 35, CEDU 2002 III), la Corte osserva che il Governo non ha offerto alcuna giustificazione per l’inerzia delle autorit? nel presente caso. La Corte ritiene che il lunghissimo ritardo nel presente caso equivalga ad un chiaro rifiuto delle autorit? di dare esecuzione alle decisioni del 28 ottobre 1999 e del 14 novembre 2001, lasciando i ricorrenti in uno stato di incertezza per quanto riguarda la realizzazione dei loro diritti di propriet?. Pertanto, a seguito del mancato rispetto delle decisioni definitive e vincolanti da parte delle autorit?, i ricorrenti hanno subito una grave frustrazione dei loro diritti di propriet? (cfr., mutatis mutandis, Szk?rits, citato sopra, ? 45).
62. In considerazione di quanto sopra, la Corte conclude che i ricorrenti hanno dovuto sostenere un onere sproporzionato ed eccessivo. Di conseguenza, vi ? stata una violazione dell’articolo 1 del protocollo n. 1 della Convenzione.
II. PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 ? 1 DELLA CONVENZIONE
63. I ricorrenti hanno lamentato che le decisioni dei tribunali nazionali relative alla loro causa civile erano state contrarie all’articolo 6 ? 1 della Convenzione.
64. Il Governo ha contestato tale argomentazione.
65. La Corte osserva che questa denuncia ? legata a quella esaminata sopra e deve quindi essere dichiarata ammissibile.
66. Vista la constatazione relativa all’articolo 1 del protocollo n. 1 della Convenzione (cfr. paragrafo 62), la Corte ritiene che non sia necessario esaminare se, in questo caso, vi sia stata anche una violazione dell’articolo 6, paragrafo 1.
III. APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 46 DELLA CONVENZIONE
67. L’articolo 46 della Convenzione prevede, per quanto pertinente, quanto segue:
“1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a rispettare la sentenza definitiva della Corte in ogni caso in cui siano parti.
2. La sentenza definitiva della Corte ? trasmessa al Comitato dei Ministri, che ne controlla l’esecuzione”.
68. La Corte ribadisce che, ai sensi dell’articolo 46 della Convenzione, le Parti contraenti si sono impegnate a rispettare le sentenze definitive della Corte in ogni caso di cui sono parti, la cui esecuzione ? controllata dal Comitato dei Ministri. Ne consegue, tra l’altro, che una sentenza in cui la Corte constata una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli impone allo Stato convenuto l’obbligo giuridico non solo di pagare agli interessati le somme concesse a titolo di giusta soddisfazione, ma anche di scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, se del caso, individuali da adottare nel loro ordinamento giuridico interno per porre fine alla violazione constatata dalla Corte e per sanarne, per quanto possibile, gli effetti (cfr. Scozzari e Giunta contro Giunta. Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, ? 249, CEDU 2000 VIII). La Corte rileva inoltre che spetta in primo luogo allo Stato interessato scegliere, sotto la supervisione del Comitato dei Ministri, i mezzi da utilizzare nel proprio ordinamento giuridico interno per adempiere all’obbligo di cui all’articolo 46 della Convenzione (cfr. ?calan c. Turchia [GC], n. 46221/99, ? 210, CEDU 2005-IV).
69. Tuttavia, in via eccezionale, al fine di aiutare lo Stato convenuto ad adempiere agli obblighi di cui all’articolo 46, la Corte pu? cercare di indicare il tipo di misure individuali e/o generali che potrebbero essere adottate per porre fine alla carenza della Convenzione che ha riscontrato (cfr. Broniowski, citato, ? 194, e Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, ? 148, 17 settembre 2009).
70. La Corte ritiene che la violazione riscontrata nel caso di specie non lascia alcuna reale scelta in merito alle misure necessarie per porvi rimedio.
71. In tali condizioni, tenuto conto delle particolari circostanze del caso, la Corte ritiene che lo Stato convenuto debba adottare tutte le misure necessarie per garantire la piena esecuzione della decisione del CRPC del 28 ottobre 1999 (cfr. paragrafo 16) e della decisione del Ministero per i rifugiati del 14 novembre 2001 (cfr. paragrafo 17), compresa in particolare la rimozione della chiesa dal terreno dei ricorrenti, senza ulteriore indugio e al pi? tardi entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diventa definitiva, ai sensi dell’articolo 44 ? 2 della Convenzione.
IV. APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
72. L’articolo 41 della Convenzione prevede:
“Se il Tribunale constata una violazione della Convenzione o dei suoi protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente interessata consente un risarcimento solo parziale, il Tribunale, se necessario, d? giusta soddisfazione alla parte lesa”.
A. Danni
73. A titolo di risarcimento del danno pecuniario, i ricorrenti hanno chiesto 10.000 euro (EUR) ciascuno per il danno subito perch? era stato loro impedito di utilizzare il terreno sul quale era stata costruita la chiesa per scopi agricoli. Non hanno presentato alcuna richiesta di risarcimento per danni non patrimoniali.
74. Il Governo ha sostenuto che i ricorrenti avrebbero potuto subire un danno pecuniario e ha invitato la Corte a pronunciarsi in via equitativa e in conformit? con la sua giurisprudenza consolidata.
75. Il Tribunale non ? stato in grado di effettuare un calcolo preciso del danno subito a causa dell’impossibilit? di utilizzare il terreno a fini agricoli, in considerazione della mancanza di prove del profitto che i ricorrenti avrebbero potuto effettivamente realizzare se avessero potuto utilizzare quel terreno. Tuttavia, essa ritiene che i ricorrenti debbano necessariamente aver subito una perdita pecuniaria in quanto ? stato loro impedito di utilizzare una parte della loro terra, sebbene la sua immediata restituzione fosse stata ordinata gi? nel 1999 e nel 2001 (cfr. paragrafi 16 e 17 di cui sopra; cfr. anche, mutatis mutandis, Assanidze c. Georgia [GC], n. 71503/01, ? 200, CEDU 2004 II). La Corte ritiene inoltre che il danno pecuniario sia stato pi? significativo per la prima ricorrente perch? ? quella che ? tornata nella propriet? di Konjevi? Polje (cfr. paragrafo 19). Di conseguenza, pronunciandosi su base equa e in conformit? con i criteri stabiliti dalla sua giurisprudenza, la Corte assegna 5.000 euro al primo richiedente e 2.000 euro a ciascuno dei rimanenti richiedenti sotto questa testa.
B. Costi e spese
76. I ricorrenti hanno inoltre richiesto EUR 13.000 per i costi e le spese sostenute dinanzi ai tribunali nazionali e alla Corte.
77. Il governo ha sostenuto che il costo e le spese interne dovrebbero essere valutati in base alle tariffe legali applicabili. Per quanto riguarda i costi e le spese sostenute dinanzi alla Corte, il governo ha sostenuto che i richiedenti avevano diritto al rimborso delle spese necessarie ed effettive.
78. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente ha diritto al rimborso dei costi e delle spese solo nella misura in cui ? stato dimostrato che questi sono stati effettivamente e necessariamente sostenuti e che sono ragionevoli quanto al quantum (cfr., ad esempio, Iatridis c. Grecia (giusta soddisfazione) [GC], no. 31107/96, ? 54, ECHR 2000 XI). Nel caso di specie, la Corte rileva che i ricorrenti non hanno presentato alcuna prova (bollette o fatture) dei costi e delle spese sostenute. Pertanto, la loro richiesta ? respinta per mancanza di elementi di prova.
C. Interessi di mora
79. La Corte ritiene opportuno che il tasso di interesse di mora sia basato sul tasso sulle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, al quale vanno aggiunti tre punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE
1. Dichiara, all’unanimit?, la domanda ammissibile;
2. Dichiara, all’unanimit?, che vi ? stata una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione;
3. Dichiara, all’unanimit?, che non ? necessario esaminare la denuncia ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione;
4. Detenga,
a) con sei voti contro uno, che lo Stato convenuto deve adottare tutte le misure necessarie per garantire la piena esecuzione della decisione della CRPC del 28 ottobre 1999 e della decisione del Ministero per i rifugiati del 14 novembre 2001, compresa in particolare la rimozione della chiesa dal terreno dei richiedenti asilo, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diventa definitiva, ai sensi dell’articolo 44 ? 2 della Convenzione;
(b) all’unanimit?, che lo Stato convenuto deve pagare, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diventa definitiva, ai sensi dell’articolo 44 ? 2 della Convenzione, 5.000 euro (cinquemila euro), pi? l’imposta eventualmente dovuta, al primo richiedente e 2.000 euro (duemila euro), pi? l’imposta eventualmente dovuta, a ciascuno dei restanti richiedenti, per i danni pecuniari, da convertire nella valuta dello Stato convenuto al tasso applicabile alla data del regolamento;
(c) all’unanimit?, che dalla scadenza dei tre mesi sopraindicati fino al regolamento, sugli importi di cui sopra saranno dovuti interessi semplici ad un tasso pari al tasso sulle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca Centrale Europea durante il periodo di inadempienza, maggiorato di tre punti percentuali;
5) Il resto della domanda delle ricorrenti ? respinto all’unanimit?.
Fatto in inglese, e notificato per iscritto il 1? ottobre 2019, ai sensi dell’articolo 77 ?? 2 e 3 del Regolamento della Corte.
Andrea Tamietti Jon Fridrik Kj?lbro
Cancelliere Presidente
In conformit? all’articolo 45 ? 2 della Convenzione e all’articolo 74 ? 2 del regolamento della Corte, il parere separato del giudice Jon Fridrik Kj?lbro ? allegato alla presente sentenza.
JFK
ANT
PARERE PARZIALMENTE DISSENZIENTE DEL GIUDICE KJ?LBRO
1. Sono d’accordo con la sentenza, ad eccezione di un punto in cui il mio punto di vista ? diverso da quello della maggioranza. Di conseguenza, ho votato contro il punto 4, lettera a), delle disposizioni operative che riflettono il ragionamento della maggioranza al punto 71 della sentenza, in cui la Corte ha indicato come misura individuale che lo Stato convenuto deve garantire “l’allontanamento della chiesa dal terreno del richiedente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diventa definitiva”.
2. 2. A mio parere, e per le ragioni spiegate qui di seguito, trovo che il provvedimento individuale indicato sia problematico in quanto non tiene sufficientemente conto del fatto che il presente caso riguarda non solo una controversia tra i ricorrenti e lo Stato convenuto, ma anche e in particolare una controversia tra i ricorrenti e un terzo privato, la Parrocchia serbo-ortodossa di Drinja?a (“la Parrocchia”), che non ? parte del procedimento dinanzi alla Corte.
3. Come giustamente sottolineato dalla maggioranza (si vedano i paragrafi 68-69 della sentenza), ? solo in situazioni eccezionali che la Corte, ai sensi dell’articolo 46, indicher? misure individuali da adottare da parte di uno Stato convenuto e, in generale, la Corte lo far? solo quando la constatazione di una violazione “non lascia alcuna reale scelta sulle misure necessarie per porvi rimedio” (si veda, ad esempio, ?calan c. Turchia [GC], n. 46221/99, ? 210, CEDU 2005 IV).
4. Nel caso di specie, la Corte, nel suo ragionamento e nelle disposizioni operative, ha indicato che lo Stato convenuto deve garantire “la rimozione della chiesa dal terreno dei ricorrenti, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diventa definitiva”. La presente causa, tuttavia, non riguarda solo una controversia tra i ricorrenti (che chiedono la restituzione della parte rimanente del terreno e la rimozione della chiesa costruita su di esso) e lo Stato convenuto, ma anche una controversia tra i ricorrenti e la parrocchia (il proprietario della chiesa costruita sul terreno contestato).
5. Con l’ordine di rimuovere la chiesa, il Tribunale, di fatto, si pronuncia e decide su una controversia tra due privati, a scapito di una delle parti, la Parrocchia, che non ? parte nel procedimento dinanzi al Tribunale e non ha avuto la possibilit? di esprimere le sue opinioni giuridiche e di difendere i suoi interessi, nemmeno come terzo interveniente nel procedimento dinanzi al Tribunale.
6. Con il mio dissenso su questo punto, non esprimo un’opinione su come debba essere decisa la controversia tra i ricorrenti e la Parrocchia. Si tratta, a mio avviso, di una questione che deve essere decisa dalle autorit? nazionali nei procedimenti nazionali, dove possono avere luogo le necessarie garanzie procedurali e la necessaria ponderazione degli interessi; non ? una questione che deve essere decisa dal Tribunale.
7. In tale contesto, richiamo l’attenzione sui seguenti fatti: Il terreno in questione ? stato espropriato nel 1997 e assegnato al terzo (cfr. punto 10 della sentenza). Nel 1998 la parrocchia ha costruito la chiesa in questione (cfr. paragrafo 11 della sentenza). La chiesa ? stata costruita ed ? stata utilizzata dalla parrocchia per pi? di 21 anni. Inoltre, nel 2004 ? stato rilasciato un permesso di costruzione (cfr. paragrafo 15 della sentenza). Senza pronunciarsi sulle misure adottate dalle autorit? nazionali al momento dell’assegnazione del terreno alla parrocchia e del rilascio del permesso di costruire, non posso fare a meno di notare che la parrocchia pu?, in quanto parte privata, far valere e invocare i diritti previsti dalla Convenzione, compreso il diritto al rispetto della propriet?, come garantito dall’articolo 1 del protocollo n. 1 della Convenzione. Le modalit? di decisione della controversia tra i ricorrenti e la Parrocchia sono di competenza dei tribunali nazionali, con la possibilit? di presentare successivamente una domanda individuale al Tribunale ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
8.Nel caso di specie, l’istante aveva avviato un procedimento civile contro la Parrocchia. Inizialmente, i ricorrenti avevano chiesto la rimozione della chiesa e il restauro del terreno in questione (cfr. paragrafo 24 della sentenza). Tuttavia, successivamente, e nell’ambito del procedimento civile, i ricorrenti avevano modificato la loro pretesa e chiesto ai tribunali nazionali di riconoscere la validit? di un accordo extragiudiziale presumibilmente concluso tra le parti (cfr. paragrafo 29 della sentenza), pretesa che ? stata infine respinta in quanto non era stato concluso alcun accordo come sostenuto dai ricorrenti (cfr. paragrafo 35 della sentenza).
9. In altre parole, nell’ambito del procedimento civile i giudici nazionali non hanno avuto la possibilit? di pronunciarsi sul merito della controversia tra le parti, ossia sulla questione della rimozione della chiesa e della restituzione del terreno in questione, e ci? ? una diretta conseguenza della scelta delle ricorrenti nell’ambito del procedimento nazionale.
10. Se il presente caso non avesse coinvolto gli interessi di un terzo privato, la parrocchia, non avrei avuto alcun problema con la decisione del Tribunale di ordinare o indicare la restituzione del terreno, ma nel presente caso c’? una controversia di fondo tra privati con rivendicazioni e interessi contrastanti, e il Tribunale sta decidendo la controversia a scapito di una delle parti, che, come detto, non ? rappresentata davanti al Tribunale. Questo lo trovo molto problematico.
11. Se i tribunali nazionali avessero agito in modo simile all’approccio adottato dalla maggioranza nella presente causa, ordinando la rimozione di un edificio e la restituzione di un terreno in un procedimento in cui il proprietario o una persona con diritti di propriet? non era parte in causa e non era in grado di presentare il proprio punto di vista e di difendere i propri interessi, la Corte avrebbe riscontrato una chiara violazione dell’articolo 6 della Convenzione (si veda, ad esempio, Gankin e altri c. Russia, nn. 2430/06 e altri 3, ?? 33-39, 31 maggio 2016, relativi al diritto di essere informato del procedimento e di poter partecipare alle udienze e di poter difendere i propri diritti), nonch? l’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione (si veda, ad esempio, G.I.E.M. S.R.L. e altri c. Italia [GC], nn. 1828/06 e altri 2, ? 303, 28 giugno 2018, relativi ai diritti procedurali ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1).
12. ebbene il Tribunale abbia in molti casi ordinato o indicato la restituzione dei beni ad un richiedente, ha comunque sempre tenuto presente che possono esistere situazioni in cui la restituzione dei beni ? impossibile de facto o de jure, tra l’altro a causa dei diritti e degli interessi di terzi. Per questo motivo, in tali casi, la Corte ha indicato la restituzione del bene in questione o, in alternativa, il pagamento di un risarcimento pari al valore effettivo del bene in questione (si veda, ad esempio, Zwierzy?ski c. Polonia (solo soddisfazione), no. 34049/96, ?? 13-16, 2 luglio 2002; Hodo? e altri c. Romania, n. 29968/96, ?? 72-73, 21 maggio 2002; Scordino c. Italia (n. 3) (solo soddisfazione), n. 43662/98, ?? 37-38, 6 marzo 2007; Budescu e Petrescu c. Romania, n. 33912/96, ? 53-54, 2 luglio 2002; Cretu c. Romania, n. 32925/96, ?? 59-60, 9 luglio 2002; e B?l?nescu c. Romania, n. 35831/97, ?? 36-37, 9 luglio 2002).
13. A mio parere, questo ? ci? che la Corte avrebbe potuto e dovuto fare nel caso di specie: indicare la rimozione della chiesa e la restituzione della propriet? in questione o, in alternativa, il pagamento di un indennizzo pari al valore effettivo del terreno in questione.
14. Ci? avrebbe consentito allo Stato convenuto, sotto la supervisione del Comitato dei Ministri, di far decidere la controversia in un procedimento in cui entrambe le parti avrebbero avuto la possibilit? di presentare le loro argomentazioni giuridiche, i diritti procedurali di cui all’articolo 6 della Convenzione avrebbero potuto essere rispettati e si sarebbe potuto procedere al bilanciamento delle garanzie richiesto dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione. La maggioranza ha tuttavia deciso di interferire con i diritti di un terzo privato, la parrocchia, che non ? parte del procedimento dinanzi alla Corte e non ha avuto la possibilit? di presentare argomenti, nemmeno in qualit? di terzo interveniente dinanzi alla Corte.
15. Detto questo, vorrei aggiungere un’ultima osservazione sull’approccio adottato dalla Corte nella presente causa: Mi chiedo se il provvedimento contestato debba essere valutato in base agli obblighi positivi o negativi dello Stato ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione.
16. Per le ragioni esposte nei paragrafi 54-57 della sentenza, la Corte procede sulla base del fatto che il caso riguarda gli obblighi positivi dello Stato. Tuttavia, la giurisprudenza della Corte non ? sempre coerente su questo punto. In alcuni casi riguardanti il mancato rispetto da parte di uno Stato di una decisione nazionale definitiva e vincolante in materia di diritti di propriet?, la Corte ha valutato l’inazione dello Stato come un’interferenza con la propriet? del richiedente ai sensi dell’articolo 1 del protocollo n. 1 della Convenzione (si veda, ad esempio, Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, ? 55, CEDU 1999 II; Antonetto c. Italia, n. 15918/89, ? 34, 20 luglio 2000; Frascino c. Italia, n. 35227/97, ? 32, 11 dicembre 2003; e Paudicio c. Italia, n. 77606/01, ? 42, 24 maggio 2007), P?duraru c. Romania, n. 63252/00, ? 92, CEDU 2005 XII (estratti), Via?u c. Romania, n. 75951/01, ? 59, 9 dicembre 2008. Tuttavia, come la Corte ha affermato in molti casi, i principi da applicare sono gli stessi (cfr., ad esempio, Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, ? 144, CEDU 2004 V) e, pertanto, se la Corte avesse deciso di valutare il caso come una questione di interferenza o di obblighi negativi, il ragionamento avrebbe potuto essere diverso ma l’esito del caso sarebbe stato lo stesso.