Conclusione Violazione di P1-1; Violazione dell’ Art. 6-1; danno patrimoniale e non-patrimoniale – assegnazione
SECONDA SEZIONE
CAUSA METALCO BT. C. UNGHERIA
(Richiesta n. 34976/05)
SENTENZA
STRASBOURG
1 febbraio 2011
Questa sentenza diverrà definitiva nelle circostanze esposte nell’Articolo 44 § 2 della Convenzione. Può essere soggetta a revisione editoriale.
Nella causa Metalco Bt. c. Ungheria,
La Corte europea dei Diritti umani (Seconda Sezione), riunendosi in una Camera, composta da:
Françoise Tulkens, Presidente, Danutë Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, Kristina Pardalos, Guido Raimondi, giudici,
e Stanley Naismith, Cancelliere di Sezione,
Avendo deliberato in privato l’11 gennaio 2011,
Consegna la seguente sentenza che fu adottata in quella data:
PROCEDURA
1. La causa nacque da una richiesta (n. 34976/05) contro la Repubblica dell’Ungheria depositata presso la Corte sotto l’Articolo 34 della Convenzione per la Protezione dei Diritti umani e delle Libertà Fondamentali (“la Convenzione”) con un’associazione limitata ungherese, al momento sotto la liquidazione, M. Bt. “f. a.” (“la richiedente”), il 10 settembre 2005.
2. La richiedente fu rappresentata dal Sig. J. D., il suo proprietario e capo ufficiale esecutivo. Il Governo ungherese (“il Governo”) fu rappresentato dal Sig. L. Höltzl, Agente, Ministero dell’Amministrazione pubblica e della Giustizia.
3. La richiedente si lamentò che il suo contenzioso con l’ Autorità Fiscale durata un tempo irragionevolmente lungo, era ingiusta e ha dato luogo alla perdita del valore della sua quota sostenuta in un’altra società. Si appellò all’ Articolo 1 del Protocollo N.ro 1 e all’ Articolo 6 § 1 della Convenzione.
4. Il 30 marzo 2009 il Presidente della Seconda Sezione decise di dare avviso della richiesta al Governo. Fu deciso anche di decidere sull’ammissibilità e i meriti della richiesta allo stesso tempo (Articolo 29 § 1).
I FATTI
I. LE CIRCOSTANZE DELLA CAUSA
5. La richiedente è una società a responsabilità limitata sotto liquidazione, con sede a Pécs.
6. Nel 1996 l’ Autorità Fiscale stabilì che la richiedente doveva dei circa milioni di forint ungheresi (HUF) in tasse insolute. Il 10 aprile 1997 per garantire questa rivendicazione, sequestrò una quota del 100% che la richiedente aveva in un’altra società che valeva nominalmente HUF 103 milioni. Consapevole della propria intenzione della richiedente di vendere la quota il 30 giugno 1997, la Autorità Fiscale impedì l’operazione ma non procedette a venderla all’asta all’interno del termine legale massimo di due – mesi o dopo.
7. Nella conseguente procedura amministrativa della durata di due anni, il debito di imposta del richiedente fu infine annullato, ed il bene sbloccato. Comunque, entro quel tempo la società della quale faceva parte la quota era stata liquidata -dal luglio 1997-e la quota aveva perso insieme il suo valore.
8. In un certo momento del 1999 la richiedente ha citato l’ Autorità Fiscale per danni. Il 12 dicembre 2000 Corte Regionale e Provinciale di Baranya gli assegnò HUF 103 milioni. Il 13 giugno 2002 la Corte Suprema annullò questa decisione. Il 3 giugno 2003 la Corte Regionale si espresse di nuovo a favore del querelante.
9. Il 6 maggio 2004 la Corte d’appello di Pécs invertì questa sentenza su ricorso, e respinse l’azione del richiedente. Sostenne essenzialmente che non c’era stato collegamento causale fra l’omissione illegale della Autorità Fiscale nel tenere una vendita all’asta per vendere il bene sequestrato entro due mesi dal suo sequestro, come richiesto dalla sezione 116(1) dell’ Atto sull’ Esecuzione del 1994, ed il danno che la querelante aveva subito. Nella prospettiva della corte, l’onere della prova per mostrare che c’era stata una vendita tempestiva all’asta con cui la quota avrebbe potuto essere venduta con successo ad un acquirente con la liquidità richiesta spettava al richiedente. Comunque, la richiedente non è riuscita a provare questa asserzione. La corte osservò che l’acquirente suggerito dalla richiedente non aveva mai avuto, secondo i suoi libri contabili, il capitale occorrente per l’acquisizione; che la società di cui faceva parte la quota aveva perso tutto il suo proprio capitale dal primo 1997 ed era in liquidazione dal luglio 1997; e che il suo direttore era stato dichiarato colpevole di fallimento fraudolento.
10. Il 16 marzo 2005 la Corte Suprema respinse il ricorso della richiedente per revisione. Questa decisione fu notificata il 22 aprile 2005. La richiesta della richiedente per una re-apertura fu inutile.
LA LEGGE
I. VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1
11. La richiedente si lamentò sotto l’Articolo 1 del Protocollo sotto N.ro 1 che la procedura delle autorità ungheresi aveva dato luogo alla perdita del valore della sua quota posseduta in un’altra società, del valore in origine di HUF 103 milioni.
L’Articolo 1 del Protocollo N.ro 1 recita come segue:
“Ogni persona fisica o giuridica è abilitata al godimento pacifico delle sue proprietà. Nessuno sarà privato delle sue proprietà eccetto che nell’interesse pubblico e soggetto alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali di diritto internazionale.
Comunque, le disposizioni precedenti non possono in qualsiasi modo danneggiare il diritto di un Stato ad eseguire simili leggi come ritiene necessario per controllare l’uso di proprietà in conformità con l’interesse generale o assicurare il pagamento di tasse o gli altri contributi o sanzioni penali.”
12. Il Governo contestò quell’argomento.
A. Ammissibilità
13. La Corte nota che questa azione di reclamo non è manifestamente mal-fondata all’interno del significato dell’ Articolo 35 § 3 della Convenzione. Nota inoltre che non è inammissibile per qualsiasi altro motivo. Deve essere dichiarata perciò ammissibile.
B. Meriti
14. Il Governo presentò che l’interferenza col diritto della richiedente alla protezione della proprietà era basata sulla legge ed era stata intrapresa nell’interesse generale di garantire la raccolta dei debiti di imposta insoluti. Era stato inoltre necessaria ed era stata proporzionata in quanto la quota posseduta dalla richiedente era stato sequestrata per mancanza di altri asset sequestrabili. Nella sua prospettiva, la richiedente non era stata in grado di mostrare che il sequestro, nel suo valore aveva ecceduto significativamente l’importo dovuto; perciò, la misura non poteva essere riguardata come eccessiva.
15. La richiedente presentò che il sequestro di un valore di un asset pari a HUF 103 milioni non poteva essere giustificato con l’asserzione di un debito di imposta di HUF 10 milioni, specialmente poiché quest’ultimo fu infine annullato dall’ Autorità Fiscale. In qualsiasi caso, la rivendicazione avrebbe potuto essere garantita prendendo altri asset o ammettendo il pagamento della richiedente a rate. Inoltre, se la vendita della quota congelata fosse stata autorizzata o la sua vendita all’asta fosse stata eseguita dall’ Autorità Fiscale come richiesto dalla legge, la richiedente avrebbe potuto recuperare il suo valore che comunque era stato perso completamente a causa dell’omissione illegale dell’ Autorità Fiscale. La misura era perciò ingiustificata e sproporzionata.
16. La Corte reitera che l’Articolo 1 del Protocollo N.ro 1 garantisce in sostanza il diritto di proprietà. Comprende tre articoli distinti. Il primo che è espresso nella prima frase del primo paragrafo ed è di natura generale, fissa il principio del godimento tranquillo della proprietà. Il secondo, nella seconda frase dello stesso paragrafo copre la privazione di proprietà e la sottopone a certe condizioni. Il terzo, contenuto nel secondo paragrafo riconosce che agli Stati Contraenti è concesso il controllo dell’uso della proprietà in conformità con l’interesse generale o per garantire il pagamento di tasse o di altri contributi o sanzioni penali. Comunque, i tre articoli non sono “distinti” nel senso di essere distaccati: il secondo e il terzi articolo riguardano particolari istanze di interferenza col diritto al godimento tranquillo della proprietà e dovrebbero essere costruiti perciò alla luce del principio generale enunciato nel primo articolo (Gasus Dosier – und Fördertechnik GmbH c. Paesi Bassi, 23 febbraio 1995, § 55 Serie A n. 306-B). Queste forme di interferenza devono attenersi col principio della legalità e devono perseguire uno scopo legittimo tramite mezzi ragionevolmente proporzionati allo scopo che si cerca di raggiungere (Bäck c. Finlandia, n. 37598/97, § 52 ECHR 2004-VIII).
17. Nella presente causa, la Corte osserva che la Autorità Fiscale sequestrò la quota posseduta dal richiedente per garantire un debito di imposta. Di certo quindi la misura era tesa così a garantire il pagamento delle tasse, ai fini del secondo paragrafo dell’ Articolo 1 (vedere Gasus Dosier -und Fördertechnik, citata sopra, § 66 in fine). Comunque, tale interferenza sarà intesa come una violazione di questo Articolo a meno non sia legale e ragionevolmente proporziona allo scopo perseguito. La Corte non considera necessario esaminare se la misura era proporzionata o meno in termini quantitativi, perché in qualsiasi caso costituì una violazione del principio della legalità per le seguenti ragioni. La Corte osserva la posizione della Corte d’appello per cui l’ Autorità Fiscale era stata sotto l’ obbligo legale di sostenere una vendita all’asta per vendere il bene sequestrato entro due mesi dal suo sequestro (vedere paragrafo 9 sopra). Per la Corte, questo obbligo formava una parte integrante della legalità dell’interferenza in oggetto, servendo allo stesso modo sia gli interessi del debitore che del creditore. Secondo le sentenze delle corti nazionali, la vendita richiesta sotto la legge non ebbe comunque mai luogo, e questo corrispose ad un’omissione illegale da parte dello Stato per cui la responsabilità da atto illecito di quest’ultimo non fu mai stabilita solamente perché il danno subito non poteva essere provato (vedere anche paragrafo 24 sotto). Ne segue che la confisca continuata dopo quel periodo non può essere considerata legale.
18. Le precedenti considerazioni sono sufficienti per permettere alla Corte di concludere che c’è stata una violazione dell’ Articolo 1 del Protocollo N.ro 1.
II. VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE EQUITÀ DEI PROCEDIMENTI)
19. La richiedente si lamentò anche che i susseguenti procedimenti civili erano ingiusti in quanto era stata costretta a provare un elemento impossibile nelle circostanze, vale a dire che se avesse avuto luogo una vendita all’asta, ci sarebbe stato un acquirente solvibile per acquistare la quota aziendale in oggetto. Si appellò all’ Articolo 6 § 1 della Convenzione che prevede come segue nella sua parte attinente:
“ Nella determinazione dei suoi diritti civili ed obblighi… ognuno è abilitato ad un’udienza corretta… all’interno di un termine ragionevole…da[un] … tribunale …”
20. Il Governo contestò quell’argomento.
A. Ammissibilità
21. La Corte nota che questa azione di reclamo non è manifestamente mal-fondata all’interno del significato dell’ Articolo 35 § 3 della Convenzione. Nota inoltre che non è inammissibile per qualsiasi altro motivo. Deve essere dichiarata perciò ammissibile.
B. Meriti
22. Il Governo presentò che, nei procedimenti civili l’onere di provare un certo fatto generalmente viene imposto alla parte il cui interesse è che la corte debba accettarlo come vero. La richiedente aveva introdotto un’azione adducendo che una quota aziendale da lei posseduta, del valore di HUF 103 milioni, aveva perso il suo valore come risultato di un’omissione illegale da parte dell’ Autorità Fiscale. Non si poteva dire che la Corte d’appello avesse violato il diritto della richiedente ad un’udienza corretta, poiché aveva avuto delle buon ragioni per ordinare alla richiedente di provare l’importo del prezzo di acquisto che avrebbe potuto ottenere per la quota se fosse stata venduta entro o fuori dalla procedura di esecuzione. Era in dubbio se sotto le circostanze di mercato ungheresi una quota commerciale acquistata per HUF 32 milioni nel 1993 avrebbe potuto essere venduta ad un prezzo tre volte più alto quando nel frattempo nessun investimento o aumento di equity era stato effettuato. Si potrebbe presumere che anche se la quota non fosse stata sequestrata nella procedura fiscale, nessun potenziale acquirente sarebbe stato disposto a pagare HUF 103 milioni in un tempo in cui la situazione finanziaria della società di cui la quota aveva fatto parte era peggiorato significativamente. Perciò non si poteva dibattere che la perdita del valore della quota in oggetto era stata una conseguenza diretta dell’ esecuzione fiscale.
23. La richiedente dibatté che costringerla a provare ciò che non era provabile -vale a dire che se ci fosse stata una vendita all’asta un acquirente solvibile si sarebbe fatto avanti-corrispose ad una pura iniquità da parte delle corti nazionali.
24. La Corte nota che la Corte d’appello sostenne che l’onere della prova spettava alla richiedente per dimostrare che in una vendita all’asta la quota sequestrata avrebbe potuto essere venduta, ed in tal caso, poi a quale prezzo. Concorda col Governo in generalmente non è ingiusto costringere una parte ad una controversia civile provare un fatto su cui questa parte desidera appellarsi . Nella presente causa l’applicazione meccanica di questo principio condusse comunque, nella prospettiva della Corte, al non-riguardo dell’“uguaglianza delle armi”, inerente alla nozione di processo equanime all’interno del significato dell’ Articolo 6 § 1. Nella prospettiva della Corte, era precisamente la stessa omissione illegale dell’ Autorità Fiscale rispondente per sostenere una vendita all’asta (vedere paragrafi 9 e 17 sopra) che impedì alla richiedente di accertare e provare il valore della quota sequestrata. La Corte non può speculare sul valore di mercato effettivo della quota in questione o sul e opportunità di venderla ad un acquirente solvibile di fronte alle difficoltà finanziarie sperimentate dalla società di cui faceva parte. È soddisfatto nell’osservare che a causa di un’omissione illegale da parte dell’autorità rispondente alla richiedente fu richiesto di provare un fatto ipotetico. Per la Corte, la frustrazione delle rivendicazioni della richiedente in questo modo non può, come questione di processo equanime, essere approvata. Ne segue che c’è stata una violazione dell’ Articolo 6 § 1 della Convenzione.
III. VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE (LUNGHEZZA DEI PROCEDIMENTI)
25. La richiedente si lamentò inoltre che i procedimenti erano durati un tempo irragionevolmente lungo. Il Governo contestò quell’argomento.
26. La Corte nota che la causa iniziò in un certo momento del 1999 e terminò nell’ aprile 2005. Durò perciò approssimativamente sei anni per tre istanze di corte.
27. La Corte nota che questa azione di reclamo non è manifestamente mal-fondata all’interno del significato dell’ Articolo 35 § 3 della Convenzione. Nota inoltre che non è inammissibile per qualsiasi altro motivo. Deve essere dichiarata perciò ammissibile.
28. Avendo riguardo alle sue costatazioni a riguardo dell’ Articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere paragrafo 24 sopra), la Corte considera che non è necessario esaminare separatamente questa azione di reclamo.
IV. L’APPLICAZIONE DELL’ ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
29. L’Articolo 41 della Convenzione prevede:
“Se la Corte costata che c’è stata una violazione della Convenzione o dei Protocolli, e se la legge interna dell’Alta Parte Contraente riguardata permette una riparazione solamente parziale, la Corte può, se necessario, riconoscere una soddisfazione equa alla vittima.”
A. Danno
30. La richiedente chiese complessivamente 224,000 euro (EUR) più interessi maturati a riguardo del danno non-patrimoniale subito perché i suoi diritti sotto l’Articolo 6 § 1 della Convenzione furono violati. Inoltre, chiese EUR 385,000 più interessi maturati a riguardo del danno patrimoniale perché i suoi diritti sotto l’Articolo 1 del Protocollo N.ro 1 furono violati. Quest’ultimo importo dovrebbe corrispondere al valore della quota divenuta priva di valore, cioè. HUF 103,080,000.
31. Il Governo contestò queste rivendicazioni.
32. La Corte considera appropriato assegnare, su una base equa, EUR 50,000 alla richiedente sotto tutti i capi.
B. Costi e spese
33. La richiedente non fece richiesta per costi.
C. Interesse di mora
34. La Corte lo considera appropriato che l’interesse di mora dovrebbe essere basato sul tasso di prestito marginale della Banca Centrale europea a che dovrebbe essere aggiunto tre punti di percentuale.
PER QUESTE RAGIONI, LA CORTE ALL’UNANIMITA’
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Sostiene che c’è stata una violazione dell’ Articolo 1 del Protocollo N.ro 1 alla Convenzione;
3. Sostiene che c’è stata una violazione dell’ Articolo 6 § 1 della Convenzione a causa dell’iniquità dei procedimenti;
4. Sostiene che non è necessario esaminare separatamente l’azione di reclamo della richiedente della lunghezza dei procedimenti;
5. Sostiene
(a) che lo Stato rispondente deve pagare la richiedente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diviene definitiva in conformità con l’Articolo 44 § 2 della Convenzione EUR 50,000 (cinquanta mila euro), più qualsiasi tassa che può essere addebitabile, a riguardo del danno patrimoniale e non-patrimoniale da convertire in forint ungheresi al tasso applicabile in data dell’ accordo;
(b) che dalla scadenza dei tre mesi summenzionati sino ad accordo l’interesse semplice sarà pagabile sull’importo sopra ad un tasso uguale al tasso di prestito marginale della Banca Centrale europea durante il periodo predefinito più tre punti percentuale;
6. Respinge il resto della rivendicazione del richiedente per la soddisfazione equa.
Fatto in inglese, e notificato per iscritto il 1 febbraio 2011, facendo seguito all’Articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento di Corte.
Stanley Naismith Françoise Tulkens
Cancelliere Presidente