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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

CASE OF KRAYEVA v. UKRAINE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41,P1-1
Numero: 72858/13
Stato: Ucraina
Data: 2022-01-13 00:00:00
Organo: Sezione Quinta
Testo Originale

QUINTA SEZIONE
CASO DI KRAYEVA c. UCRAINA
(Richiesta n. 72858/13 )

GIUDIZIO
Art. 1 P1 ? Controllo dell’uso della propriet? ? Imposizione di un’ammenda sproporzionata allo sdoganamento per dichiarazione doganale errata ? Ammenda obbligatoria equivalente al valore delle merci importate che preclude ai giudici nazionali di condurre qualsiasi esercizio di bilanciamento tra gli interessi in gioco e valutare le circostanze individuali
Art. 41 ? Giusta soddisfazione ? – La riapertura di un procedimento interno ? la forma di ricorso pi? appropriata

STRASBURGO
13 gennaio 2022

Questa sentenza diverr? definitiva nelle circostanze stabilite nell’Articolo 44 ? 2 della Convenzione. Pu? essere soggetto a revisione editoriale.

Nel caso Krayeva c. Ucraina,
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Quinta Sezione), riunita in Sezione composta da:
Siofra O’Leary, Presidente,
M?rti?? Mits,
Ganna Yudkivska,
St?phanie Mourou-Vikstr?m,
Jovan Ilievski,
lato Chanturia,
Ivana Jeli?, giudici,
e Victor Soloveytchik, cancelliere di sezione,
Visto:
il ricorso (n. 72858/13 ) contro l’Ucraina depositato dinanzi alla Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libert? fondamentali (“la Convenzione”) da una cittadina ucraina, la sig.ra Agnesa Eduardivna Krayeva (“la ricorrente” ), il 5 novembre 2013;
la decisione di notificare al governo ucraino (“il governo”) la denuncia relativa a una presunta interferenza con i suoi diritti di propriet? ;
le osservazioni delle parti;
Dopo aver deliberato in privato il 30 novembre 2021,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:
INTRODUZIONE
1. La causa verte su un’asserita violazione delle norme doganali da parte della ricorrente nell’effettuare lo sdoganamento di merci importate e la sanzione inflittale al riguardo, vale a dire un’ammenda di importo pari al valore delle merci importate. Solleva una questione sotto l’Articolo 1 del Protocollo N.ro 1 alla Convenzione.
I FATTI
2. La ricorrente ? nata nel 1986 e vive a Zaporizhzhya. Le ? stato concesso il patrocinio a spese dello Stato ed ? stata rappresentata dinanzi alla Corte dal sig. S. Perminov, un avvocato che esercita a Zaporizhzhya.
3. Il governo era rappresentato dal suo agente, il sig. I. Lishchyna.
4. I fatti della causa, come dedotti dalle parti, possono essere riassunti come segue.
5. All’epoca dei fatti la ricorrente lavorava come addetta allo sdoganamento presso la societ? D.. Il 23 aprile 2013, a nome del suo datore di lavoro, la ricorrente ha presentato all’ufficio doganale una dichiarazione di sdoganamento, una fattura e altri documenti relativi a determinate merci acquistate da una societ? svizzera (“il venditore”). Nella dichiarazione doganale il richiedente indicava 46.298 dollari statunitensi (USD) come valore della merce. Lo stesso importo ? stato indicato dal venditore in fattura. Tuttavia, il contratto per la vendita dei beni ne fissava il valore a 48.661,56 euro (EUR).
6 . Secondo la ricorrente, il giorno successivo ha scoperto la suddetta discrepanza nei documenti. In quello stesso giorno ha ricevuto una lettera del venditore in cui ammetteva di averle inviato la fattura errata e si scusava per l’errore. Ha informato l’ufficio doganale dell’errore e ha chiesto l’opportunit? di rettificarlo. Tuttavia, l’ufficio doganale ha rifiutato di accettare la sua comunicazione scritta e ha invece redatto una denuncia di infrazione amministrativa. Nella sua spiegazione scritta all’ufficio doganale, la ricorrente ha sostenuto, tra l’altro , di aver fornito per negligenza i dati errati all’ufficio doganale, avendo trascurato l’errore commesso dal venditore nella fattura.
7. Secondo il Governo, che si ? basato sui fatti accertati dalle autorit? doganali, ? stato l’ufficio doganale ad aver rivelato la discrepanza controversa dopo che la ricorrente aveva fornito, su loro richiesta, documenti aggiuntivi relativi allo sdoganamento, che aveva incluso la fattura corretta. Solo dopo essere stata contattata in materia dall’ufficio doganale la ricorrente aveva confermato, nelle sue spiegazioni scritte, di aver commesso un errore nella dichiarazione e fornito all’ufficio doganale la nota esplicativa del venditore.
8. Il 24 aprile 2013 l’autorit? doganale ha emesso una decisione che riteneva il richiedente responsabile ai sensi dell’articolo 483 ? 1 del codice doganale per aver fornito dati falsi all’ufficio doganale che avevano portato a dazi all’importazione sottopagati per un importo di 22.477,44 grivna ucraine (UAH ? circa EUR 2.000 all’epoca). La ricorrente ha impugnato tale decisione dinanzi a un giudice, sostenendo, tra l’altro , che non aveva cercato deliberatamente di eludere le norme doganali, ma che le sue azioni erano risultate da dati errati nella fattura fornitale dal venditore, che aveva inizialmente trascurato.
9 . Il 15 luglio 2013 il tribunale distrettuale Leninskyy di Zaporizhzhya ha interrotto il procedimento di reato amministrativo contro la ricorrente a causa della mancanza di elementi costitutivi di un reato amministrativo nelle sue azioni. Basandosi in particolare sulla spiegazione scritta del venditore, il giudice ha ritenuto che l’errore in fattura fosse stato commesso dal venditore e che nel momento in cui il ricorrente aveva avviato la procedura di sdoganamento e aveva presentato la dichiarazione e la fattura controverse all’ufficio doganale, non era a conoscenza dell’errore. Inoltre, non c’era alcuna prova che la ricorrente stessa avesse falsificato alcun documento. L’ufficio doganale ha presentato ricorso, sostenendo che la ricorrente aveva consapevolmente presentato all’ufficio doganale dati errati e una fattura errata.
10. Durante il procedimento di appello la ricorrente ha ammesso di aver commesso un errore e ha chiesto alla corte di non infliggerle una punizione troppo severa. L’avvocato del ricorrente ha ribadito gli argomenti sollevati da lei prima della prima – corte istanza.
11. Con una sentenza definitiva del 23 agosto 2013, la Corte d’appello regionale di Zaporizhzhya (“la Corte d’appello”) ha annullato la decisione del giudice di primo grado e ha confermato quella dell’ufficio doganale. Nel fare ci?, si ? basata principalmente sul verbale di infrazione amministrativa nei confronti della ricorrente, sulla sua responsabilit? come dichiarante, sul suo riconoscimento di aver presentato dati errati all’ufficio doganale e sul fatto che lo Stato aveva subito un danno patrimoniale a causa del suo comportamento.
La Corte d’Appello ha proseguito osservando, in via generale, che nel decidere in merito alla sanzione aveva tenuto conto della natura del reato, del grado di colpevolezza della ricorrente, delle informazioni sul suo carattere e sul suo stato patrimoniale , e altre circostanze aggravanti e attenuanti. Ordin? che la ricorrente pagasse un’ammenda per un importo pari al valore delle merci importate (48.661,56 euro) e che le merci fossero confiscate come prescritto dal relativo articolo del codice doganale.
12. Dalle osservazioni delle parti risulta che la suddetta decisione del 23 agosto 2013 non ? stata ancora eseguita e che il procedimento di esecuzione ? stato aperto e chiuso in diverse occasioni. Secondo le ultime informazioni presentate dal governo, il 24 dicembre 2020 il relativo titolo esecutivo ? stato nuovamente rinviato dagli ufficiali giudiziari all’ufficio doganale a causa della mancanza di fondi del ricorrente.

QUADRO GIURIDICO RILEVANTE
13 . Il codice doganale dell’Ucraina del 13 marzo 2012, in vigore all’epoca dei fatti, prevedeva quanto segue.
Ai sensi dell’articolo 266 ? 5, una persona autorizzata a dichiarare le merci per conto di un dichiarante aveva le stesse responsabilit? e diritti e aveva la stessa responsabilit? del dichiarante.
Ai sensi dell’articolo 483 ? 1, il trasferimento di merci, o azioni volte a trasferire merci, attraverso il confine doganale dell’Ucraina, nascondendole al controllo doganale, tra l’altro , presentando all’ufficio doganale documenti falsi o contenenti falsi dati rilevanti per la determinazione del valore in dogana della merce, era punibile con l’ammenda di importo pari al valore della merce oggetto dell’illecito doganale, e con la confisca di detti beni e di ogni bene o mezzo di trasporto contenente un nascondiglio specifico utilizzato per il trasferimento di tali merci attraverso il confine doganale dell’Ucraina.
14 . Ai sensi degli articoli 361 e 362 del codice di giustizia amministrativa, una parte in causa pu? chiedere la riapertura del procedimento nel suo caso quando un organo giudiziario internazionale, la cui giurisdizione ? accettata dall’Ucraina, ha riscontrato una violazione da parte dell’Ucraina dei suoi obblighi durante l’esame giudiziario del caso.
15. La sezione 17 della legge sull’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2006 prevede che i tribunali, quando decidono i casi, devono applicare la Convenzione e i Protocolli e la giurisprudenza della Corte come fonte del diritto.
16. La sezione 19 della legge sui trattati internazionali del 2004 stabilisce che i trattati internazionali sono considerati parte del diritto interno e prevalgono sulle disposizioni contrastanti della legislazione interna.
LA LEGGE
I. PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO n . 1 DELLA CONVENZIONE
17. La ricorrente si lament? in sostanza ai sensi dell’Articolo 1 del Protocollo N.ro 1 della Convenzione che l’ammenda inflittale nel procedimento di infrazione amministrativa era stata illegale e sproporzionata. L’articolo 1 del Protocollo n. 1 recita come segue:
?Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al pacifico godimento dei suoi beni. Nessuno pu? essere privato dei suoi beni se non nell’interesse pubblico e fatte salve le condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti, tuttavia, non pregiudicano in alcun modo il diritto di uno Stato di far rispettare le leggi che ritenga necessarie per controllare l’uso dei beni secondo l’interesse generale o per garantire il pagamento di tasse o altri contributi o sanzioni. “
A. Ammissibilit?
18. Il Governo non ha presentato alcuna osservazione per quanto riguarda l’ammissibilit? del presente ricorso. L’eccezione da essi sollevata riguardava, oltre all’ammenda, la confisca dei beni ordinata dal tribunale, misura che non era stata contestata dalla ricorrente, non essendo stata proprietaria di tali beni.
19. La Corte ha gi? ritenuto, sebbene in un contesto diverso, che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 fosse applicabile a una situazione in cui era stata inflitta un’ammenda al ricorrente (si veda Phillips c. Regno Unito , n. 41087/98 , ? 50, CEDU 2001 VII, Valico Srl c. Italia (dec.), n. 70074/01 , 21 marzo 2006, e DELTA PEK?RNY asv Repubblica Ceca , n. 97/11 , ? 125, 2 ottobre 2014). Non vede alcuna ragione per ritenere diversamente nel caso di specie.
20. Di conseguenza, la Corte nota che questa doglianza non ? n? manifestamente infondata n? inammissibile per qualsiasi altro motivo elencato nell’articolo 35 della Convenzione. Deve quindi essere dichiarato ammissibile.
B. Meriti
1. Contributi delle parti
21. La ricorrente ha sostenuto che la Corte d’appello non aveva avuto alcun motivo per ritenere che lei avesse intenzionalmente fornito dati errati alle autorit? doganali, perch? il fatto che le sue azioni fossero derivate da un errore commesso dal venditore nella fattura era stato sostenuto da prove, compresa la lettera del venditore del 24 aprile 2013. Tuttavia, le sue argomentazioni su questo punto erano state ignorate dal tribunale e le era stata imposta una multa eccessiva come sanzione. La severit? dell’ammenda l’aveva messa in difficolt? finanziarie, poich? il suo stipendio mensile ammontava a 3.300 UAH (circa 96 euro[1]). Era costretta ogni mese a cedere parte del suo stipendio per onorare il suo debito e i suoi beni erano sotto la minaccia permanente di confisca da parte degli ufficiali giudiziari.
22. Il governo ha ammesso che la sanzione inflitta alla ricorrente era stata un’interferenza nel suo diritto di propriet?. Tuttavia, tale interferenza era stata legittima e proporzionata. In particolare, essi sostenevano che la sanzione in questione era stata prevista dall’articolo 483 ? 1 del codice doganale ed era stata obbligatoria; nell’imporre la sanzione, il giudice nazionale aveva tenuto conto della colpa della ricorrente in relazione alle sue azioni, delle informazioni sul suo carattere e di altri fattori pertinenti. Il governo ha inoltre suggerito che la ricorrente avrebbe dovuto cercare di ottenere un risarcimento per il danno che aveva subito dal venditore delle merci che aveva fatto l’errore nella fattura.
2. La valutazione della Corte
23. Nella presente causa, alla ricorrente ? stata inflitta un’ammenda dell’importo di EUR 48.661,56 come sanzione per il reato amministrativo di cui era stata dichiarata colpevole e per il quale era entrata in vigore la decisione del tribunale competente. La Corte ribadisce al riguardo che l’irrogazione di un’ammenda costituir? in linea di principio un’ingerenza nel diritto garantito dall’articolo 1, primo comma, dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, in quanto priva l’interessato di un bene , vale a dire la somma da versare (vedi Valico S.rl , sopra citato). Anche se dal fascicolo risulta che la ricorrente non ha finora pagato l’ammenda, ha l’obbligo di pagarla, quindi non si pu? contestare che abbia sostenuto spese effettive e stia affrontando perdite future. Di conseguenza, vi ? stata un’interferenza con i diritti di propriet? del ricorrente (si veda, mutatis mutandis , Misiukonis e altri c. Lituania , n. 49426/09 , ? 54, 15 novembre 2016 ).
24. La Corte rileva in via preliminare che l’ingerenza contestata rientra nell’ambito dell’articolo 1, secondo comma, del Protocollo n. 1, che consente espressamente agli Stati di controllare l’uso della propriet? per garantire il pagamento di tasse o altri contributi o sanzioni, tuttavia tale disposizione deve essere interpretata alla luce della regola generale enunciata nella prima frase del primo comma ( v. Phillips c. Regno Unito , sopra citata, ? 51, e, in materia fiscale, Buffalo Srl in . liquidazione contro l’Italia , n. 38746/97 , ? 32, 3 luglio 2003). Questo non significa che il ruolo di supervisione della Corte su questo tema ? interamente spodestato in quanto deve verificare se l’articolo 1 del Protocollo n ? 1 ? stato applicato correttamente (vedere Orion-B?eclav, sro, v. La Repubblica ceca (dec.), No . 43783/98 , il 13 gennaio 2004). Per essere compatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 una misura deve soddisfare tre condizioni: deve essere lecita, perseguire uno scopo legittimo e deve trovare un giusto equilibrio tra l’interesse generale della comunit? e i diritti fondamentali dell’individuo (vedi Beyeler c. Italia [GC], n.33202 / 96 , ?? 108-114, CEDU 2000-I).
25. Per quanto riguarda la liceit? dell’ingerenza, la Corte osserva che l’ingiunzione della Corte d’Appello al pagamento della sanzione ? stata emessa ai sensi dell’articolo 483 ? 1 del codice doganale, che prevedeva l’ammenda obbligatoria e il sequestro di beni se ? stato accertato che un dichiarante aveva tentato di nascondere le merci al controllo doganale, anche presentando dati errati alle autorit? doganali per il calcolo del valore in dogana delle merci importate (v. punto 13 supra).
26. Sulla base dei fatti, e tenuto conto degli argomenti delle parti, ci si potrebbe chiedere se i giudici nazionali abbiano sufficientemente stabilito che le azioni della ricorrente abbiano costituito il reato previsto dall’articolo 483 ? 1 del codice doganale. In particolare, la formulazione della disposizione legislativa in questione si riferiva allo “scopo illegale di nascondere le merci al controllo doganale”, che secondo la Corte implica la fornitura deliberata di dati e documenti falsi alle autorit? doganali da parte di un dichiarante. Allo stesso tempo, durante tutto il procedimento, la ricorrente ha costantemente sostenuto di aver fornito per errore alle autorit? doganali dati errati, avendo trascurato il fatto che la fattura inviatale dal venditore era errata. I suoi argomenti erano supportati, tra l’altro, dalla lettera del venditore delle merci in cui aveva riconosciuto di aver inviato la fattura sbagliata alla ricorrente e si era scusato (vedi paragrafo 6 sopra). Tuttavia, mentre la Corte distrettuale ha esaminato la presenza o meno degli elementi costitutivi del reato, dal testo della decisione della Corte d’appello non risulta che sia stata data particolare considerazione agli argomenti della ricorrente su questo punto, fatto che solleva dubbi sulla legittimit? dell’interferenza in questione.
27. Tuttavia, tenendo presente il suo potere limitato di valutare i fatti e controllare la conformit? con il diritto interno (si veda Beyeler c. Italia [GC], ? 108, sopra citato, e SC Service Benz Com SRL c. Romania , n. 58045/ 11 , ? 31, 4 luglio 2017), la Corte lascia aperta tale questione e proceder? alla valutazione dello scopo legittimo e della proporzionalit? dell’ingerenza in questione, che ? la questione centrale nella presente causa (si veda, mutatis mutandis , Aktiva DOO c. Serbia , n. 23079/11, ? 81, 19 gennaio 2021).
28. La Corte ritiene che i dazi doganali o gli oneri per le merci importate devono essere considerati come rientranti nella sfera della tassazione, una materia che fa parte del nucleo duro delle prerogative dei poteri pubblici (si veda Polimerkonteyner, TOV v. Ucraina, n. 23620/05, ? 25, 24 novembre 2016. Accetta quindi che la misura imposta al ricorrente avesse un interesse pubblico impellente a garantire il pagamento delle tasse.
29. Di conseguenza, l’ultima questione che la Corte deve determinare ? se vi fosse un ragionevole rapporto di proporzionalit? tra i mezzi impiegati dalle autorit? per raggiungere lo scopo legittimo dichiarato e la protezione del diritto della ricorrente al pacifico godimento dei suoi beni. L’equilibrio richiesto non sar? raggiunto se il richiedente ha dovuto sopportare un onere individuale ed eccessivo (si vedano, in generale, Depalle c. Francia [GC], n. 34044/02, ? 83, CEDU 2010, e Perdig?o c. Portogallo [GC], n.24768/06, ? 67, 16 novembre 2010).
30. La Corte non ? convinta dall’argomento del Governo secondo cui una valutazione di proporzionalit? ? stata incorporata nella sentenza della Corte d’Appello. Tale giudice si ? limitato a riferirsi in maniera generica alla ?natura del reato e al modo in cui era stato commesso?, ?informazioni sul carattere [della ricorrente]? e ?la sua situazione finanziaria?, senza fornire ulteriori dettagli. Nessuna valutazione delle circostanze rilevanti, inclusa la diligenza e il comportamento della ricorrente, il rapporto tra la sua condotta e il reato o la sua situazione finanziaria, ? stata incorporata nel testo della sentenza. Di conseguenza, la Corte ritiene che la portata del controllo svolto dai tribunali nazionali fosse troppo ristretta per soddisfare il requisito della ricerca di un “equo equilibrio” inerente al secondo comma dell’art. 1 del Protocollo n. 1 (confrontare Sadocha c. Ucraina , n. 77508/11 , ? 33, 11 luglio 2019).
31. Inoltre, in virt? dell’articolo 483 ? 1 del Codice doganale, ai sensi del quale il ricorrente ? stato dichiarato colpevole, l’ammenda per un importo pari al valore della merce ? di per s? molto elevato ? e la confisca della merce erano misure obbligatorie senza eccezioni. La mancanza di discrezionalit? al riguardo non ha lasciato spazio ai tribunali ucraini per la valutazione della situazione individuale, rendendo vana tale valutazione. La Corte ha gi? osservato che un sistema cos? rigido ? di per s? incapace di assicurare il necessario giusto equilibrio tra i requisiti di interesse generale e la tutela del diritto di propriet? di un individuo (v., mutatis mutandis , Gyrlyan c. Russia , n. 35943 /15 , ? 31, 9 ottobre 2018, in cui la normativa interna ha impedito ai tribunali di considerare una sanzione pi? clemente di una sanzione equivalente almeno all’importo non dichiarato o la confisca del denaro non dichiarato). Non ha motivo di ritenere altrimenti nel caso di specie.
32. La natura imperativa della sanzione, nelle circostanze del caso di specie ? l’importo dell’ammenda, ? ha privato la ricorrente di ogni possibilit? di argomentare il suo caso con qualsiasi prospettiva di successo nel procedimento a suo carico.
33 . Le considerazioni che precedono sono sufficienti per consentire al Tribunale di concludere che, nelle circostanze del caso di specie, la sanzione inflitta alla ricorrente, in particolare l’importo dell’ammenda che le ? stata condannata a seguito della decisione del Tribunale di Appello applicando l’Articolo 483 ? 1 del Codice Doganale, costituiva un’ingerenza sproporzionata con i suoi diritti di propriet? contraria ai requisiti dell’Articolo 1 del Protocollo N.ro 1 alla Convenzione.
34. Nella misura in cui il Governo ha lasciato intendere che la ricorrente avrebbe potuto chiedere un risarcimento per le sue perdite pecuniarie alla societ? svizzera (il venditore delle merci), tale argomento non ha alcuna influenza sulla conclusione della Corte nelle circostanze del caso di specie. Infatti, la Corte non ha escluso la possibilit? che un tale rimedio, una volta dimostrato efficace, potrebbe indurla a concludere che c’era un giusto equilibrio tra i mezzi utilizzati dalle autorit? per salvaguardare l’interesse generale e la protezione del diritto della persona al pacifico godimento della sua propriet? (si veda, ad esempio, S.C. Service Benz Com S.R.L. c. Romania, citato, ? 37). Tuttavia, il Governo aveva sollevato tale possibilit? come un’osservazione generale e non l’aveva sostenuta facendo riferimento ad alcuna disposizione giuridica specifica o alla prassi giudiziaria pertinente che dimostrasse che tale rimedio era stato disponibile per il ricorrente, e tanto meno efficace (confrontare Andonoski c. ex Repubblica jugoslava di Macedonia, no. 16225/08, ? 39, 17 settembre 2015).
35 . Di conseguenza c’? stata una violazione dell’Articolo 1 del Protocollo N.ro 1 alla Convenzione.
II. ALTRE PRESUNTE VIOLAZIONI DELLA CONVENZIONE
36. Sulla base degli stessi fatti e argomenti sopra esposti, la ricorrente si lament? che il procedimento di infrazione amministrativa nei suoi confronti era stato iniquo. Ha invocato l’articolo 6 ? 1 della Convenzione a tale riguardo.
37. Tenuto conto delle sue conclusioni ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (si veda il precedente paragrafo 35), la Corte ritiene di aver gi? affrontato la questione principale al centro della denuncia della ricorrente, in particolare il carattere sproporzionato dell’ingerenza nei suoi diritti di propriet? a seguito della sanzione inflittale nel procedimento amministrativo, e che non sia necessario pronunciarsi separatamente sull’ammissibilit? e sul merito dell’accusa di violazione dell’articolo 6 della Convenzione menzionata nel paragrafo precedente.
APPLICAZIONE DELL’ART. 41 DELLA CONVENZIONE
38. L’ articolo 41 della Convenzione prevede:
?Se la Corte ritiene che vi sia stata una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente interessata consente solo una riparazione parziale, la Corte, se necessario, provveder? equa soddisfazione al parte lesa.”
A. Danno
39. Nel suo modulo di domanda, la ricorrente ha chiesto una somma forfettaria di 150.000 euro (EUR) a titolo di danno patrimoniale e non patrimoniale, senza fornire alcun dettaglio. Nelle sue osservazioni in risposta al Governo, la ricorrente non reclamava alcun importo specifico a titolo di giusta soddisfazione, ma si limitava a sostenere che non aveva conservato alcuna prova riguardo alle sue perdite pecuniarie e che la sofferenza morale che aveva subito in considerazione della violazione dei suoi diritti era stata per lei pi? importante.
40. Il Governo ha contestato la richiesta in quanto infondata.
41. In base alla Regola 60 ? 2 del Regolamento della Corte, un richiedente deve presentare i dettagli dettagliati di tutte le richieste, insieme a qualsiasi documento giustificativo pertinente. Se il richiedente non rispetta questi requisiti, la Corte pu? respingere la domanda in tutto o in parte (articolo 60 ? 3).
42. Come le parti hanno spiegato, la decisione della Corte d’appello non ? stata eseguita (cfr. paragrafo 12 sopra). Anche se la ricorrente ha fatto riferimento al pagamento di una certa percentuale del suo guadagno (si veda il paragrafo 21 sopra), non ha fornito dettagli sufficienti al riguardo. Alla luce di quanto sopra e delle conclusioni della Corte relative alla legittimit? e alla proporzionalit? dell’ingerenza nei diritti di propriet? della ricorrente (si vedano i paragrafi 26 e 33 supra), la Corte ritiene che la riapertura del procedimento amministrativo sarebbe il modo pi? appropriato per rimediare alle eventuali conseguenze della violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 accertata dalla Corte.
43. La Corte osserva a questo proposito che il diritto interno consente al ricorrente di chiedere la riapertura del procedimento e autorizza i tribunali interni, nel procedimento riaperto, ad applicare direttamente la Convenzione e la giurisprudenza della Corte in caso di conflitto con le disposizioni giuridiche interne (si vedano i precedenti paragrafi 14-16).
Costi e spese
44. Il richiedente non ha presentato alcuna richiesta in merito a costi e spese.
45. La Corte ritiene pertanto che non sia opportuno effettuare alcuna attribuzione a questo titolo.
PER QUESTE RAGIONI, LA CORTE, ALL’UNANIMIT?,
1. Dichiara ammissibile la denuncia ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;
2. Sostiene che c’? stata una violazione dell’Articolo 1 del Protocollo N.ro 1 alla Convenzione;
3. Sostiene che non vi ? alcuna necessit? di esaminare l’ammissibilit? e la fondatezza del ricorso del ricorrente ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione;
4. Respinge la domanda del ricorrente per equa soddisfazione.
Fatto in inglese e notificato per iscritto il 13 gennaio 2022, ai sensi dell’articolo 77 ?? 2 e 3 del regolamento della Corte.
Victor Soloveytchik Siofra O’Leary
Cancelliere Presidente

Testo Tradotto

FIFTH SECTION

CASE OF KRAYEVA v. UKRAINE

(Application no. 72858/13)

JUDGMENT

Art 1 P1 ? Control of the use of property ? Imposition of disproportionate fine on customs clearance officer for incorrect customs declaration ? Mandatory fine equivalent to the value of the imported goods precluding domestic courts from conducting any balancing exercise between interests at stake and assessing individual circumstances

Art 41 ? Just satisfaction ? Reopening of domestic proceedings most appropriate form of redress

STRASBOURG

13 January 2022

This judgment will become final in the circumstances set out in Article 44 ? 2 of the Convention. It may be subject to editorial revision.

In the case of Krayeva v. Ukraine,

The European Court of Human Rights (Fifth Section), sitting as a Chamber composed of:

S?ofra O?Leary, President,
M?rti?? Mits,
Ganna Yudkivska,
St?phanie Mourou-Vikstr?m,
Jovan Ilievski,
Lado Chanturia,
Ivana Jeli?, judges,
and Victor Soloveytchik, Section Registrar,

Having regard to:

the application (no. 72858/13) against Ukraine lodged with the Court under Article 34 of the Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms (?the Convention?) by a Ukrainian national, Ms Agnesa Eduardivna Krayeva (?the applicant?), on 5 November 2013;

the decision to give notice to the Ukrainian Government (?the Government?) of the complaint concerning an alleged interference with her property rights;

the parties? observations;

Having deliberated in private on 30 November 2021,

Delivers the following judgment, which was adopted on that date:

INTRODUCTION

1. The case concerns an alleged breach of customs regulations by the applicant while conducting the customs clearance of imported goods and the sanction imposed on her in that connection, namely a fine in an amount equal to the value of the imported goods. It raises an issue under Article 1 of Protocol No. 1 to the Convention.

THE FACTS

2. The applicant was born in 1986 and lives in Zaporizhzhya. She was granted legal aid and was represented before the Court by Mr S. Perminov, a lawyer practising in Zaporizhzhya.

3. The Government were represented by their Agent, Mr I. Lishchyna.

4. The facts of the case, as submitted by the parties, may be summarised as follows.

5. At the time of the events the applicant worked as a customs clearance officer at D. company. On 23 April 2013, on behalf of her employer, the applicant submitted to the customs office a customs clearance declaration, an invoice and other documents in respect of certain goods bought from a Swiss company (?the seller?). In the customs declaration the applicant indicated 46,298 United States dollars (USD) as the value of the goods. The same amount was indicated by the seller in the invoice. However, the contract for the sale of the goods set their value at 48,661.56 euros (EUR).

6. According to the applicant, she discovered the above-mentioned discrepancy in the documents on the following day. On that same day she received a letter from the seller in which it admitted having sent the wrong invoice to her and apologised for the error. She informed the customs office of the mistake and requested the opportunity to rectify it. However, the customs office refused to accept her written submission and drew up an administrative offence report instead. In her written explanation to the customs office, the applicant submitted, inter alia, that she had provided the wrong data to the customs office by negligence, having overlooked the mistake made by the seller in the invoice.

7. According to the Government, who relied on the facts as established by the customs authorities, it was the customs office which had revealed the discrepancy at issue after the applicant had provided, at their request, additional documents regarding the customs clearance, which had included the correct invoice. It was only after being contacted on the subject by the customs office that the applicant had confirmed, in her written explanations, that she had made a mistake in the declaration and provided the customs office with the explanatory note from the seller.

8. On 24 April 2013 the customs authority issued a decision finding the applicant liable under Article 483 ? 1 of the Customs Code for having provided false data to the customs office which had resulted in underpaid import duties in the amount of 22,477.44 Ukrainian hryvnias (UAH ? about EUR 2,000 at the time). The applicant challenged that decision before a court, arguing, inter alia, that she had not been deliberately seeking to circumvent the customs regulations, but that her actions had resulted from incorrect data in the invoice provided to her by the seller, which she had initially overlooked.

9. On 15 July 2013 the Leninskyy District Court of Zaporizhzhya discontinued the administrative offence proceedings against the applicant on account of the lack of constituent elements of an administrative offence in her actions. Relying in particular on the written explanation by the seller, the court found that the mistake in the invoice had been made by the seller and that at the time when the applicant had started the customs clearance procedure and had submitted the declaration and the invoice at issue to the customs office, she had been unaware of the mistake. There was also no evidence that the applicant herself had forged any document. The customs office appealed, arguing that the applicant had knowingly submitted incorrect data and an incorrect invoice to the customs office.

10. During the appeal proceedings the applicant admitted she had made an error and asked the court not to impose too severe a punishment on her. The applicant?s lawyer reiterated the arguments raised by her before the first?instance court.

11. By a final judgment of 23 August 2013, the Zaporizhzhya Regional Court of Appeal (?the Court of Appeal?) quashed the decision of the first?instance court and upheld that of the customs office. In doing so, it mainly relied on the administrative offence report in respect of the applicant, her responsibility as the declarant, her acknowledgment that she had submitted incorrect data to the customs office, and the fact that the State had suffered pecuniary losses as a result of her actions.

The Court of Appeal went on to note, in a general way, that when deciding on the sanction, it had taken into account the nature of the offence, the degree of the applicant?s guilt, information about her character and her property status, and other aggravating and mitigating factors. It ordered that the applicant pay a fine in the amount equal to the value of the imported goods (EUR 48,661.56) and that the goods be confiscated as prescribed by the relevant Article of the Customs Code.

12. It appears from the parties? submissions that the above-mentioned decision of 23 August 2013 has not yet been enforced, and that the enforcement proceedings have been opened and closed on a number of occasions. According to the latest information submitted by the Government, on 24 December 2020 the relevant writ of execution was again sent back by the bailiffs to the customs office on account of the applicant?s lack of funds.

RELEVANT LEGAL FRAMEWORK

13. The Customs Code of Ukraine of 13 March 2012, as in force at the material time, provided as follows.

Pursuant to Article 266 ? 5, a person authorised to declare goods on behalf of a declarant had the same responsibilities and rights and bore the same liability as the declarant.

Pursuant to Article 483 ? 1, the transfer of goods, or actions aimed at transferring goods, across the customs border of Ukraine, while concealing them from customs control by means of, inter alia, submitting to the customs office forged documents or documents containing false data relevant for determining the customs value of the goods, was punishable by a fine in an amount equal to the value of the goods which were the objects of the customs offences, and by the confiscation of those goods and of any goods or means of transport containing a specific hiding place used in transferring such goods across the customs border of Ukraine.

14. Under Articles 361 and 362 of the Code of Administrative Justice, a party to the case can seek reopening of the proceedings in his or her case when an international judicial body, whose jurisdiction is accepted by Ukraine, has found a violation by Ukraine of its international obligations during the judicial examination of the case.

15. Section 17 of the Execution of Judgments of the European Court of Human Rights Act of 2006 provides that the courts, when deciding cases, are to apply the Convention and Protocols and the Court?s case-law as a source of law.

16. Section 19 of the International Treaties Act of 2004 provides that international treaties are deemed to be a part of domestic law and prevail over conflicting provisions of domestic legislation.

THE LAW

ALLEGED VIOLATION OF ARTICLE 1 OF PROTOCOL No. 1 TO THE CONVENTION
17. The applicant complained in substance under Article 1 of Protocol No.1 to the Convention that the fine imposed on her in the administrative offence proceedings had been unlawful and disproportionate. Article 1 of Protocol No. 1 reads as follows:

?Every natural or legal person is entitled to the peaceful enjoyment of his possessions. No one shall be deprived of his possessions except in the public interest and subject to the conditions provided for by law and by the general principles of international law.

The preceding provisions shall not, however, in any way impair the right of a State to enforce such laws as it deems necessary to control the use of property in accordance with the general interest or to secure the payment of taxes or other contributions or penalties.?

Admissibility
18. The Government did not submit any observations as regards the admissibility of the present complaint. The objection they raised concerned the confiscation of the goods as ordered by the court in addition to the fine, a measure which had not been complained of by the applicant, since she had not been the owner of those goods.

19. The Court has already found, although in a different context, that Article 1 of Protocol No. 1 was applicable to a situation where a fine had been imposed on the applicant (see Phillips v. the United Kingdom, no. 41087/98, ? 50, ECHR 2001?VII; Valico S.r.l. v. Italy (dec.), no. 70074/01, 21 March 2006; and DELTA PEK?RNY a.s. v. the Czech Republic, no. 97/11, ? 125, 2 October 2014). It sees no reason to hold otherwise in the present case.

20. Accordingly, the Court notes that this complaint is neither manifestly ill-founded nor inadmissible on any other grounds listed in Article 35 of the Convention. It must therefore be declared admissible.

Merits
Submissions by the parties
21. The applicant argued that the Court of Appeal had not had any grounds to find that she had wilfully provided the wrong data to the customs authorities, because the fact that her actions had stemmed from a mistake made by the seller in the invoice had been supported by evidence, including the seller?s letter of 24 April 2013. However, her arguments on that issue had been disregarded by the court and an excessive fine had been imposed on her as a sanction. The severity of the fine had put her in financial difficulty, since her monthly salary amounted to UAH 3,300 (about EUR 96[1]). She was obliged each month to give away part of her salary to honour her debt and her property was under the permanent threat of confiscation by the bailiffs.

22. The Government admitted that the sanction imposed on the applicant had amounted to an interference with her right of property. However, that interference had been lawful and proportionate. In particular, they submitted that the sanction at issue had been provided for by Article 483 ? 1 of the Customs Code and had been mandatory; when imposing the sanction, the domestic court had taken into account the applicant?s guilt in relation to her actions, information about her character and other relevant factors. The Government further suggested that the applicant should have tried to obtain redress for the damage she had sustained from the seller of the goods which had made the mistake in the invoice.

The Court?s assessment
23. In the present case, the applicant was given a fine in the amount of EUR 48,661.56 as a sanction for the administrative offence of which she had been found guilty and in respect of which the relevant court?s decision had taken effect. The Court reiterates in this connection that the imposition of a fine will in principle constitute interference with the right guaranteed by the first paragraph of Article 1 of Protocol No. 1 to the Convention, as it deprives the person concerned of an item of property, namely the sum that has to be paid (see Valico S.r.l., cited above). Even though it appears from the case file that to date the applicant has not paid the fine, she is under an obligation to pay it, so it cannot be disputed that she has incurred actual expenses and is facing future losses. Accordingly, there has been an interference with the applicant?s property rights (see, mutatis mutandis, Misiukonis and Others v. Lithuania, no. 49426/09, ? 54, 15 November 2016).

24. The Court notes at the outset that the impugned interference falls within the scope of the second paragraph of Article 1 of Protocol No. 1, which expressly allows the states to control the use of property to secure the payment of taxes or other contributions or penalties, however this provision must be construed in the light of the general rule set out in the first sentence of the first paragraph (see Phillips v. the United Kingdom, cited above, ? 51, and, with respect to taxation, Buffalo S.r.l. in liquidation v. Italy, no. 38746/97, ? 32, 3 July 2003). This does not mean that the Court?s supervisory role on this issue is entirely ousted as it must verify whether Article 1 of Protocol No. 1 has been correctly applied (see Orion-B?eclav, s.r.o., v. the Czech Republic (dec.), no. 43783/98, 13 January 2004). To be compatible with Article 1 of Protocol No. 1 a measure must fulfil three conditions: it must be lawful, pursue a legitimate aim and must strike a fair balance between the general interest of the community and the individual?s fundamental rights (see Beyeler v. Italy [GC], no. 33202/96, ?? 108-114, ECHR 2000-I).

25. As regards the lawfulness of the interference, the Court notes that the Court of Appeal?s order for the applicant to pay the fine was made pursuant to Article 483 ? 1 of the Customs Code, which provided for the mandatory fine and the seizure of goods if it was established that a declarant had tried to conceal the goods from customs control, including by submitting incorrect data to the customs authorities for the calculation of the customs value of the imported goods (see paragraph 13 above).

26. On the basis of the facts, and regard being had to the arguments of the parties, it might be questioned whether the domestic courts sufficiently established that the applicant?s actions had constituted the offence provided for by Article 483 ? 1 of the Customs Code. In particular, the wording of the legislative provision at issue referred to the ?illegal aim of concealing goods from customs control?, which in the Court?s view implies the deliberate provision of false data and documents to the customs authorities by a declarant. At the same time, throughout the proceedings the applicant consistently argued that she had provided the wrong data to the customs authorities by mistake, having overlooked the fact that the invoice sent to her by the seller had been incorrect. Her arguments were supported by, inter alia, the letter from the seller of the goods in which it had acknowledged that it had sent the wrong invoice to the applicant and had apologised (see paragraph 6 above). However, while the District Court examined whether or not the constituent elements of the offence were present, it does not appear from the wording of the Court of Appeal?s decision that any particular consideration was given to the applicant?s arguments on this point, a fact which raises doubts as to the lawfulness of the interference in question.

27. Nevertheless, bearing in mind its limited power to assess the facts and review compliance with domestic law (see Beyeler v. Italy [GC], ? 108, cited above, and S.C. Service Benz Com S.R.L. v. Romania, no. 58045/11, ? 31, 4 July 2017), the Court leaves this question open and will proceed with the assessment of the legitimate aim and the proportionality of the interference in question, which is the central issue in the present case (see, mutatis mutandis, Aktiva DOO v. Serbia, no. 23079/11, ? 81, 19 January 2021).

28. The Court considers that customs duties or charges for imported goods must be regarded as falling within the realm of taxation, a matter which forms part of the hard core of public?authority prerogatives (see Polimerkonteyner, TOV v. Ukraine, no. 23620/05, ? 25, 24 November 2016. It therefore accepts that the measure imposed on the applicant had a compelling public interest to ensure payment of taxes.

29. Accordingly, the remaining question for the Court to determine is whether there was a reasonable relationship of proportionality between the means employed by the authorities to achieve the stated legitimate aim and the protection of the applicant?s right to the peaceful enjoyment of her possessions. The requisite balance will not be achieved if the applicant has had to bear an individual and excessive burden (see, in general, Depalle v. France [GC], no. 34044/02, ? 83, ECHR 2010, and Perdig?o v. Portugal [GC], no. 24768/06, ? 67, 16 November 2010).

30. The Court is not convinced by the Government?s argument that an assessment of proportionality was incorporated in the judgment of the Court of Appeal. That court merely referred in a general manner to the ?nature of the offence and the way in which it had been committed?, ?information on the [applicant?s] character?, and ?her financial situation?, without giving further details. No assessment of the relevant circumstances, including the diligence and behaviour of the applicant, the relationship between her conduct and the offence or her financial situation, was incorporated in the text of the judgment. Accordingly, the Court finds that the scope of the review carried out by the domestic courts was too narrow to satisfy the requirement of seeking a ?fair balance? inherent in the second paragraph of Article 1 of Protocol No. 1 (compare Sadocha v. Ukraine, no. 77508/11, ? 33, 11 July 2019).

31. Moreover, by virtue of Article 483 ? 1 of the Customs Code, under which the applicant was found guilty, the fine in an amount equal to the value of the goods ? a very high amount in itself ? and the confiscation of the goods were mandatory measures with no exceptions allowed. The lack of any discretion in this regard left no room to the Ukrainian courts for the assessment of individual situation, making any such assessment futile. The Court has already noted that such a rigid system is in itself incapable of ensuring the requisite fair balance between the requirements of the general interest and the protection of an individual?s right to property (see, mutatis mutandis, Gyrlyan v. Russia, no. 35943/15, ? 31, 9 October 2018, in which the domestic legislation prevented the courts from considering a more lenient sanction than a fine equivalent to at least the undeclared amount or confiscation of the undeclared cash). It has no reason to find otherwise in the present case.

32. The mandatory nature of the sanction, in the circumstances of the present case ? the amount of the fine, ? deprived the applicant of any possibility of arguing her case with any prospect of success in the proceedings against her.

33. The foregoing considerations are sufficient to enable the Court to conclude that, in the circumstances of the present case, the sanction imposed on the applicant, in particular the amount of the fine which she was ordered to pay as a result of the decision of the Court of Appeal applying Article 483 ? 1 of the Customs Code, constituted a disproportionate interference with her property rights contrary to the requirements of Article 1 of Protocol No. 1 to the Convention.

34. In so far as the Government implied that the applicant could have claimed compensation for her pecuniary losses from the Swiss company (the seller of the goods), that argument has no bearing on the Court?s conclusion in the circumstances of this case. Indeed, the Court has not ruled out possibility that such a remedy, when proved effective, might induce it to conclude that there was a fair balance between the means used by the authorities to safeguard the general interest and the protection of the person?s right to the peaceful enjoyment of his property (see, e.g., S.C. Service Benz Com S.R.L. v. Romania, cited above, ? 37). However, the Government raised such a possibility as a general remark and had not supported it by reference to any specific legal provision or relevant court practice that would demonstrate that such a remedy had been available to the applicant, let alone effective (compare Andonoski v. the former Yugoslav Republic of Macedonia, no. 16225/08, ? 39, 17 September 2015).

35. There has accordingly been a violation of Article 1 of Protocol No. 1 to the Convention.

OTHER ALLEGED VIOLATIONS OF THE CONVENTION
36. On the basis of the same facts and arguments as set out above, the applicant complained that the administrative offence proceedings against her had been unfair. She relied on Article 6 ? 1 of the Convention in that respect.

37. Having regard to its findings under Article 1 of Protocol No. 1 (see paragraph 35 above), the Court considers that it has already addressed the main issue at the heart of the applicant?s complaint, specifically the disproportionate nature of the interference with her property rights following the sanction imposed on her in the administrative proceedings, and that it is not necessary to give a separate ruling on the admissibility and merits of the allegation of a breach of Article 6 of the Convention mentioned in the previous paragraph.

APPLICATION OF ARTICLE 41 OF THE CONVENTION
38. Article 41 of the Convention provides:

?If the Court finds that there has been a violation of the Convention or the Protocols thereto, and if the internal law of the High Contracting Party concerned allows only partial reparation to be made, the Court shall, if necessary, afford just satisfaction to the injured party.?

Damage
39. In her application form, the applicant claimed a lump sum of 150,000 euros (EUR) in respect of pecuniary and non-pecuniary damage, without providing any detail. In her observations in reply to the Government, the applicant did not claim any specific amount by way of just satisfaction, but only submitted that she had kept no evidence in respect of her pecuniary losses and that the moral suffering she had been subjected to in view of the violation of her rights had been of more importance to her.

40. The Government contested the claim as unsubstantiated.

41. Under Rule 60 ? 2 of the Rules of Court, an applicant must submit itemised particulars of all claims, together with any relevant supporting documents. If the applicant fails to comply with these requirements, the Court may reject the claim in whole or in part (Rule 60 ? 3).

42. As the parties have explained, the Court of Appeal?s decision has not been executed (see paragraph 12 above). Although the applicant referred to the payment of certain percentage of her earning (see paragraph 21 above), she did not provide sufficient details in that regard. In view of the above and the Court?s conclusions relating to the lawfulness and proportionality of the interference with the applicant?s property rights (see paragraphs 26 and 33 above), the Court considers that reopening of the administrative proceedings would be the most appropriate way to redress any consequences of the violation of Article 1 of Protocol No. 1 established by the Court.

43. The Court observes in this respect that the domestic law allows the applicant to seek the reopening of proceedings and entitles the domestic courts in the reopened proceedings to directly apply the Convention and the Court?s case-law in case of a conflict with domestic legal provisions (see paragraphs 14 to 16 above).

Costs and expenses
44. The applicant did not submit any claim in respect of costs and expenses.

45. The Court considers that it is therefore not appropriate to make any award under this head.

FOR THESE REASONS, THE COURT, UNANIMOUSLY,

Declares the complaint under Article 1 of Protocol No. 1 to the Convention admissible;
Holds that there has been a violation of Article 1 of Protocol No. 1 to the Convention;
Holds that there is no need to examine the admissibility and merits of the applicant?s complaint under Article 6 of the Convention;
Dismisses the applicant?s claim for just satisfaction.
Done in English, and notified in writing on 13 January 2022, pursuant to Rule 77 ?? 2 and 3 of the Rules of Court.

Victor Soloveytchik S?ofra O?Leary
Registrar President

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La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 11/12/2024