SECONDA SEZIONE
CAUSA ZUCCALÀ C. ITALIA
(Richiesta no 72746/01)
SENTENZA
STRASBURGO
19 gennaio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Zuccalà c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 15 dicembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 72746/01) diretta contro la Repubblica italiana e in cui una cittadina di questo Stato, la Sig.ra A. Z. (“la richiedente”), ha investito la Corte il 15 novembre 1999 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. La richiedente è rappresentata da G. R., avvocato a Benevento. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora e dal suo coagente, N. Lettieri.
3. Il 18 febbraio 2004, il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. La richiedente è nato nel 1939 e risiede a Reggio Calabria.
5. La richiedente ha ereditato da suo padre un terreno ubicato a Condofuri.
6. Il 23 novembre 1960, la “Cassa per il Mezzogiorno” (“Banca per il Sud “) approvò il progetto di pianificazione della rete idrica della valle del fiume Amendola.
7. Con un decreto del 7 dicembre 1960, il Presidente della Banca per il Sud decise che la società « Consorzio di bonifica del versante calabro jonico meridionale » (“società concessionaria”) avrebbe proceduto ai lavori di costruzione e pianificazione in suddetta valle.
8. Il 22 maggio 1961, la società concessionaria procedette all’occupazione patrimoniale di 688 metri quadrati del terreno della richiedente ed iniziò i lavori.
9. Con un decreto del 15 novembre 1972, il Prefetto di Reggio Calabria decretò l’espropriazione del terreno.
10. Nel frattempo, con un atto di citazione notificato il 4 luglio 1969, la richiedente aveva citato la società concessionaria dinnanzi al tribunale di Reggio Calabria.
11. Faceva valere in particolare che l’occupazione del suo terreno era illegale, dato che non era stata autorizzata. La richiedente chiedeva la restituzione del terreno, ed i danni interessi per l’occupazione illecita del terreno.
12. Con un giudizio del 12 giugno 1975, il tribunale di Reggio Calabria dichiarò la sua incompetenza per giudicare.
13. Con un atto di citazione notificato il 10 dicembre 1975, la richiedente introdusse un’azione dinnanzi al tribunale regionale delle acque pubbliche (“Tribunale regionale delle Acque Pubbliche”) presso la corte di appello di Napoli. Chiedeva in particolare il versamento di un’indennità di espropriazione così come un risarcimento relativo all’occupazione illecita del suo terreno.
14. Il 27 febbraio 1976, il tribunale ordinò una prima perizia concernente il terreno. Il rapporto di perizia fu depositato in data 8 gennaio 1978. L’ 8 gennaio 1983, il perito depositò un rapporto complementare.
15. Il 27 febbraio 1991, il tribunale ordinò una seconda perizia.
16. Con un giudizio dell’ 8 luglio 1998, il tribunale regionale delle acque pubbliche dichiarò che la richiedente era stata privata del suo terreno conformemente alle norme contemplate per l’espropriazione. Basandosi sulle conclusioni del perito, il tribunale affermò che il valore venale del terreno nel 1972 era di 1 192 999 ITL, o 618,82 euro (EUR), ossia 1 734 ITL/m². Di conseguenza, la richiedente aveva diritto ad un’indennità di espropriazione all’altezza di 676 664 ITL, o 349,47 EUR, secondo i termini della legge no 359 del 1992.
17. Questo giudizio del tribunale regionale delle acque pubbliche diventò definitivo il 18 giugno 1999.
18. Nel frattempo, con un atto di citazione notificato il 13 maggio 1976, la richiedente aveva introdotto un ricorso dinnanzi al tribunale amministrativo regionale della Calabria (“TAR. “) per contestare in particolare la legalità del decreto di espropriazione del 15 novembre 1975. Con un giudizio del 13 marzo 1979, il T.A.R. aveva respinto il ricorso, al motivo che suddetto decreto era legale.
19. Nel 2001, la richiedente introdusse un’istanza di indennizzo per durata eccessiva del procedimento, ai sensi della legge no 89 del 24 marzo 2001, detta “legge Pinto”, dinnanzi alla corte di appello di Roma. Contestava in particolare la durata del procedimento teso ad ottenere l’indennità di espropriazione.
20. Con un giudizio del 13 maggio 2002, depositato presso la cancelleria il 21 giugno 2002, la corte di appello di Roma condannò il Ministero della giustizia a versare alla richiedente un indennizzo di 7 700 EUR, più 2 205 EUR per onere di procedimento.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
21. La richiedente si lamenta di un attentato al suo diritto al rispetto dei suoi beni, al motivo che l’indennità non è adeguata, e che è stata calcolata sulla base dell’articolo 5 bis della legge no 359 del 1992. Invoca l’articolo 1 del Protocollo no 1.
22. Il Governo solleva una doppia eccezione di inammissibilità. Innanzitutto, eccepisce del non esaurimento delle vie di ricorso interne, facendo valere che la richiedente non ha attaccato la decisione interna controversa. In secondo luogo, fa valere che la richiesta è tardiva, poiché avrebbe dovuta essere introdotta nel termine dei sei mesi a contare dall’entrata in vigore della legge no 359 del 1992.
23. La richiedente si oppone.
24. La Corte ricorda che ha respinto delle eccezioni simili in cause simili (vedere, tra molte altre, Dei Angelis ed altri c. Italia no 68852/01, §§ 2-33, 21 dicembre 2006). Non vede nessuno motivo di deroga alle sue precedenti conclusioni e dunque respinge le eccezioni in questione.
25. In quanto al merito, la Corte nota che le parti si accordano per dire che c’è stato trasferimento di proprietà a favore dell’amministrazione.
26. Poi, rileva che l’interessata è stata privata del suo terreno conformemente alla legge e che l’espropriazione inseguiva uno scopo legittimo di utilità pubblica (Mason ed altri c. Italia, precitato, § 57; Scordino c. Italia (no 1) [GC], no 36813/97, § 81, CEDH 2006 -… (no 1)). Peraltro, si tratta di un caso di espropriazione isolato che non si trova in un contesto di riforma economica, sociale o politica e non si ricollega a nessuna altra circostanza particolare.
27. La Corte rinvia alla sentenza Scordino c. Italia, no 1 ( precitata, §§ 93-98) per la ricapitolazione dei principi pertinenti e per un’idea della sua giurisprudenza in materia.
28. Constata che l’indennizzo accordato alla richiedente è stato calcolato conformemente all’articolo 5 bis della legge no 359 del 1992. L’importo definitivo dell’indennizzo per l’espropriazione fu fissato a 349,47 EUR, mentre il valore commerciale del terreno stimato, in data dell’espropriazione, era di 618,82 EUR.
29. Ne segue che la richiedente ha dovuto sopportare un carico sproporzionato ed eccessivo che non può essere giustificato da un interesse generale legittimo perseguito dalle autorità.
30. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
II. SULLE VIOLAZIONI ADDOTTE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
31. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, la richiedente si lamenta della durata del procedimento di indennizzo e dell’insufficienza della correzione ottenuta nella cornice del ricorso “Pinto.” Si lamenta anche del fatto che l’adozione e l’applicazione dell’articolo 5 bis della legge no 352 del 1992 al suo procedimento costituisce un’ingerenza legislativa contraria al suo diritto ad un processo equo.
32. Il Governo si oppone. Sostiene che la richiedente non è più “vittima” della violazione nel momento che fa riferimento alla durata eccessiva del procedimento, perché ha ottenuto dalla corte di appello di Roma una constatazione di violazione ed una correzione appropriata e sufficiente.
33. La Corte, dopo avere esaminato l’insieme dei fatti della causa e gli argomenti delle parti, considera che la correzione si è rivelata insufficiente (vedere Cocchiarella c. Italia, precitata, §§ 69-98; Delle Cave e Corrado c. Italia, no 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007; Simaldone c. Italia, no 22644/03, §§ 19-33, 31 marzo 2009). Pertanto, la richiedente può definirsi ancora “vittima”, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
34. In quanto al merito del motivo di appello derivato dalla durata del procedimento, la Corte constata che questo che è cominciato il 4 luglio 1969 per concludersi l’ 8 luglio 1998, è durato ventinove anni per un grado di giurisdizione.
35. La Corte ha trattato a più riprese delle richieste che sollevavano delle questioni simili a quella del caso di specifico e ha constatato un’incomprensione dell’esigenza del “termine ragionevole”, tenuto conto dei criteri emanati dalla sua giurisprudenza in materia ben stabilita (vedere, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, precitata). Non vedendo nulla che possa condurre ad una conclusione differente nella presente causa, la Corte stima che c’è luogo di constatare una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in ragione della durata eccessiva del procedimento.
36. Trattandosi del motivo di appello della richiedente concernente l’applicazione retroattiva della legge no 359 del 1992, la Corte osserva di avere trattato già cause che sollevavano delle questioni simili a quella del caso di specie e ha constatato la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (Scordino c. Italia, no 1, precitata, §§ 126-133; Gigli Costruzioni S.r.l. c. Italia, no 10557/03, §§ 59-61, 1 aprile 2008). La Corte ha esaminato questo motivo di appello e ha considerato che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a ragione dell’applicazione della legge controversa alla causa della richiedente.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
37. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
38. Per il danno patrimoniale, la richiedente chiede 195 913 EUR, corrispondenti alla differenza tra il valore commerciale del terreno e l’importo dell’indennità accordata a livello nazionale, rivalutata ed abbinata ad interessi, più il valore dell’opera costruita sul terreno espropriato.
A titolo del danno morale, chiede la somma globale di 162 300 EUR.
Infine, la richiedente sollecita il rimborso degli oneri incorsi dinnanzi alle giurisdizioni nazionali e dinnanzi alla Corte, che valuta a 372 172 EUR senza produrre tuttavia dei giustificativi.
39. Il Governo si oppone a queste pretese.
40. Per ciò che riguarda il danno patrimoniale, ispirandosi ai criteri generali enunciati nella sua giurisprudenza relativa all’articolo 1 del Protocollo no 1 (Scordino c. Italia, no 1, precitata, §§ 93-98; Stornaiuolo c. Italia, no 52980/99, § 61, 8 agosto 2006; Mason ed altri c. Italia (soddisfazione equa), no 43663/98, § 38, 24 luglio 2007) la Corte stima che l’indennità di espropriazione adeguata nello specifico avrebbe dovuto corrispondere al valore commerciale del bene al momento della privazione di questo.
41. Accorda di conseguenza una somma che corrisponde alla differenza tra il valore del terreno all’epoca dell’espropriazione, come risulta dagli elementi della pratica, e l’indennità di espropriazione ottenuta a livello nazionale più indicizzazione ed interessi suscettibili di compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo trascorso dallo spodestamento del terreno. Agli occhi della Corte, questi interessi devono corrispondere all’interesse legale semplice applicato sul capitale progressivamente rivalutato. Tenuto conto di questi elementi, la Corte stima ragionevole accordare alla richiedente la somma di 5 000 EUR, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su questa somma, per danno patrimoniale.
42. In quanto al danno morale che deriva dalla durata del procedimento, la Corte stima che avrebbe potuto accordare alla richiedente, in mancanza di vie di ricorso interne, la somma di 21 000 EUR. Il fatto che la corte di appello di Roma abbia concesso 7 700 EUR arriva ad un risultato manifestamente irragionevole. Avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che sia giunta però ad una constatazione di violazione, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (precitata, §§ 139-142 e 146) assegna alla richiedente 2 000 EUR.
Peraltro, la Corte stima che la richiedente ha dovuto subire un danno morale certo in ragione dell’iniquità del procedimento così come dell’attentato ingiustificato al suo diritto al rispetto dei beni, che le constatazioni di violazione non hanno riparato sufficientemente. Considera che, deliberando in equità, c’è luogo di concedere alla richiedente 4 000 EUR di questo capo.
43. Per ciò che riguarda gli oneri e le spese, secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico, tenuto conto della mancanza di giustificativi, la Corte respinge la richiesta della richiedente a questo titolo.
C. Interessi moratori
44. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 della Convenzione;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 a ragione della durata del procedimento;
4. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a ragione dell’applicazione della legge no 359 del 1992;
5. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare alla richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
( i) 5 000 EUR (cinquemila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno patrimoniale;
(ii) 6 000 EUR (seimila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 19 gennaio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa