SECONDA SEZIONE
CAUSA ZARA C. ITALIA
( Richiesta no 24424/03)
SENTENZA
STRASBURGO
20 gennaio 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Zara c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 16 dicembre 2008,
Rende la sentenza che ha adottata in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 24424/03) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. A. Z. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 20 giugno 2003 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da C. d. F., avvocato a Parma. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, il Sig. R. Adam, e dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il richiedente adduceva che le sue condizioni di detenzione erano incompatibili con la Convenzione.
4. Il 13 settembre 2006, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero state esaminati l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente, il Sig. A. Z., è un cittadino italiano, nato nel 1960. Condannato per omicidio, al momento dell’introduzione della richiesta scontava una pena di detenzione di trent’ anni nella prigione di Parma.
6. Il 14 luglio 1998, il ministro di Giustizia prese un’ordinanza che imponeva al richiedente – considerato molto pericoloso -, per un periodo di sei mesi, il regime di detenzione speciale previsto dall’articolo 41bis, capoverso 2, della legge sull’amministrazione penitenziaria -no 354 del 26 luglio 1975 (“la legge no 354/1975”). Modificata dalla legge del 7 agosto 1992, questa disposizione permetteva la sospensione totale o parziale dell’applicazione del regime normale di detenzione quando delle ragioni di ordine e di sicurezza pubblici l’esigevano. L’ordinanza imponeva le seguenti restrizioni:
– limitazione delle visite dei membri della famiglia (al massimo una al mese per un’ora);
– interdizione di incontrare dei terzi;
– interdizione di utilizzare il telefono , salvo una chiamata al mese alla famiglia, ascoltato e registrato, nel caso in cui la visita mensile della famiglia non avesse avuto luogo;
– interdizione di ricevere o di mandare verso l’esterno delle somme di denaro al di là di un determinato importo;
– interdizione di ricevere più di due pacchi al mese ma possibilità di riceverne due all’ anno contenenti della biancheria;
– interdizione di eleggere dei rappresentanti di detenuti e di essere eletto come rappresentante;
– interdizione di esercitare delle attività artigianali;
– interdizione di organizzare delle attività culturali, ricreative e sportive.
Inoltre, tutta la corrispondenza del richiedente doveva essere sottoposta a controllo su autorizzazione preliminare dell’autorità giudiziale.
7. Risulta dalla pratica che la procura annessa al formulario di richiesta alla Corte è stata controllata nel novembre 2002. Inoltre, una lettera del richiedente indirizzata all’avvocato che lo rappresenta dinnanzi alla Corte, datata 31 gennaio 2007 la cui busta è stata inserita nella pratica, è stata controllata il 1 febbraio 2007.
8. L’applicazione del regime speciale è stata in seguito prorogata per periodi successivi di sei mesi fino al 31 dicembre 2002. Nelle sue osservazioni, l’avvocato del richiedente ha fatto sapere che questo era ancora sottoposto al regime speciale. Le decisioni relative al prolungamento del regime non sono inserite nella pratica.
9. Il richiedente non ha prodotto nessuno dei ricorsi che avrebbe intentato contro le ordinanze ministeriali, né le decisioni giudiziali ivi relative.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
10. Nella sua sentenza Ospina Vargas, la Corte ha riassunto il diritto e le pratica interna pertinenti in quanto al regime di detenzione speciale applicata nello specifico ed in quanto al controllo della corrispondenza (Ospina Vargas c. Italia, no 40750/98, §§ 23-33, 14 ottobre 2004). Ha fatto anche stato delle modifiche introdotte dalla legge no 279 del 23 dicembre 2002 e dalla legge no 95 dell’ 8 aprile 2004 (ibidem). L’entrata in vigore di questa ultima legge non permette tuttavia di risanare le violazioni che hanno avuto luogo anteriormente alla sua entrata in vigore.
11. Tenuto conto di questa riforma e delle decisioni della Corte (Ganci c. Italia, no41576/98, §§ 19-31, CEDH 2003-XI) la Corte di cassazione si è scostata della sua giurisprudenza in materia di interesse a mantenere un ricorso diretto contro un’ordinanza ministeriale nel frattempo scaduta. Ha stimato che un detenuto ha interesse ad ottenere una decisione contro un’ordinanza, anche se il periodo di validità dell’ordinanza attaccata è scaduto, e ciò in ragione degli effetti diretti che la sua decisione avrebbe sulle ordinanze posteriori (Corte di cassazione, prima camera, sentenza del 26 gennaio 2004, depositata il 5 febbraio 2004, no4599, Zara).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
12. Il richiedente adduce che l’applicazione del regime speciale di detenzione a suo carico l’ha sottoposto per molto tempo a trattamenti disumani e degradanti. Si lamenta del regime di detenzione speciale previsto dall’articolo 41 bis. Invoca l’articolo 3 della Convenzione, così formulato,:
“Nessuno può essere sottomesso alla tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
13. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione, un cattivo trattamento deve raggiungere un minimo di gravità.́ La valutazione di questo minimo è relativa per essenza; dipende dall’insieme dei dati della causa, in particolare della durata del trattamento e dei suoi effetti fisici o mentali così come , talvolta, del sesso, dell’età, dello stato di salute della vittima (Irlanda c. Regno Unito, sentenza del 18 gennaio 1978, serie A no 25, p. 65, § 162). In questa ottica, la Corte deve ricercare se l’applicazione prolungata del regime speciale di detenzione prevista dall’articolo 41bis-che, peraltro, dopo la riforma del 2002, è diventata una disposizione permanente della legge sull’amministrazione penitenziaria -per più di dieci anni nel caso del richiedente costituisce una violazione dell’articolo 3 della Convenzione (Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 119, CEDH 2000-IV).
14. La Corte ammette che in generale, l’applicazione prolungata di certe restrizioni può porre un detenuto in una situazione che potrebbe costituire un trattamento disumano o degradante, ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. Però, non potrebbe considerare una durata precisa come il momento a partire da cui viene raggiunta la soglia minima di gravità per ricadere nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione. In compenso, ha il dovere di controllare se, in un dato caso, il rinnovo ed il prolungamento delle restrizioni fossero giustificati (Argenti c. Italia, no 56317/00, § 21, 10 novembre 2005).
15. Ora appare che ogni volta, il ministro di Giustizia ha fatto riferimento, per giustificare la proroga delle restrizioni, alla persistenza delle condizioni che motivavano la prima applicazione. Nella misura in cui il richiedente adduce di avere investito i tribunali dell’applicazione delle pene competenti ma non ha prodotto nessuna decisione, niente permette di pensare che i tribunali non abbiano ad ogni ripresa controllato la realtà di queste constatazioni.
16. La Corte nota che il richiedente non ha fornito alla Corte elementi tali da permetterle di concludere che l’applicazione prolungata del regime speciale di detenzione prevista dall’articolo 41bis gli abbia causato degli effetti fisici o mentali ricadenti sotto l’influenza dell’articolo 3. Quindi, la sofferenza o l’umiliazione che il richiedente ha potuto provare non è andata al di là di quelle che comprendono inevitabilmente una data forma di trattamento – nello specifico prolungato – o di pena legittima (Labita, precitata, § 120, e Bastone c. Italia, (déc)no 59638/00, 18 gennaio 2005).
17. Pertanto, secondo la Corte, l’applicazione continua del regime speciale di detenzione dell’articolo 41bis non ha raggiunto il minimo necessario di gravità per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione.
18. Questa parte della richiesta deve essere respinta quindi come manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 6 E 13 DELLA CONVENZIONE
19. Il richiedente si lamenta di non disporre di nessuno ricorso interno effettivo contro le decisioni di proroga del regime speciale di detenzione. Invoca l’articolo 13 della Convenzione, così formulato,:
“Ogni persona i cui diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
20. La Corte ricorda che, quando una questione di accesso ad un tribunale si pone, le garanzie dell’articolo 13 sono assorbite da quelle dell’articolo 6 della Convenzione (Brualla Gómez del Torre c. Spagna, sentenza del 19 dicembre 1997, Raccolta 1997-VIII, p. 2957, § 41). C’è luogo dunque di esaminare il motivo di appello del richiedente sotto l’angolo di questa ultima disposizione (vedere anche la sentenza Ganci c. Italia, no 41576/98, §§ 19 e 33-34, CEDH 2003-XI )la cui parte pertinente si legge così:
“1. Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita da un tribunale che deciderà, sia delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa in materia penale diretta contro questa .”
21. La Corte rileva al primo colpo che il richiedente non ha prodotto nessuno dei ricorsi che avrebbe intentato contro le ordinanze ministeriali, né le decisioni giudiziali ivi relative. In queste circostanze, stima che questo motivo di appello non sia sufficientemente supportato e deve essere respinto come manifestamente mal fondato conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
22. Il richiedente si lamenta delle restrizioni ininterrotte al suo diritto al rispetto della sua vita familiare in ragione delle limitazioni e delle modalità delle visite familiari. Si lamenta anche della violazione del suo diritto al rispetto della sua corrispondenza. Invoca l’articolo 8 della Convenzione, così formulato nella sua parte pertinente,:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali,(…) “
“
23. Il Governo contesta questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
24. Trattandosi del motivo di appello relativo alla violazione del diritto al rispetto della vita familiare, la Corte ricorda che ha dovuto già deliberare sul fatto di sapere se le restrizioni previste dall’applicazione dell’articolo 41bis in materia di vita privata e familiare di certi detenuti avessero costituito delle ingerenze giustificate dal paragrafo 2 dell’articolo 8 della Convenzione (vedere sentenza Messina c. Italia (no 2), no 25498/94, § 59 – 74, CEDH 2000-X; Indelicato c. Italia, (déc.), no 31143/96, 65 luglio 2000).
25. Ricorda la sua giurisprudenza secondo cui il regime contemplato all’articolo 41bis tende a tagliare i legami esistenti tra la persone riguardata ed il suo ambiente criminale di origine, per minimizzare il rischio di vedere utilizzare i contatti personali di questi detenuti con le strutture delle organizzazioni criminali di suddetto ambiente.
26. Prima dell’introduzione del regime speciale, un buon numero di detenuti pericolosi riusciva a tenere la loro posizione in seno all’organizzazione criminale alla quale appartenevano, a scambiare delle informazioni con gli altri detenuti e con l’esterno, ed ad organizzare e fare eseguire delle violazioni penali. In questo contesto, la Corte stima che, tenuto conto della natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata, in particolare di tipo mafioso, e per il fatto che le visite familiari sono state molto spesso il mezzo di trasmissione di ordini e di istruzioni verso l’esterno, le restrizioni, certo importanti, alle visite ed i controlli che accompagnano il loro svolgimento non potrebbero passare per sproporzionate rispetto agli scopi legittimi perseguiti (vedere Salvatore c. Italia, (déc.), no 42285/98, 7 maggio 2002).
27. In conclusione, la Corte stima che le restrizioni al diritto del richiedente al rispetto della sua vita familiare non sono andate al di là di ciò che, ai termini dell’articolo 8 § 2, è necessario, in una società democratica, alla sicurezza pubblica, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali. Pertanto, questo motivo di appello deve essere respinto come manifestamente mal fondato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
28. Trattandosi del motivo di appello relativo alla violazione del diritto al rispetto della corrispondenza, la Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro non incontra nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
29. Il Governo osserva che secondo la giurisprudenza della Corte, in Italia il controllo della corrispondenza non era dotato di una base legale sufficiente, ma che questa situazione era stata modificata profondamente, in un primo tempo, dalle circolari della Direzione generale delle cause criminali (circ. no 575 del 26 aprile 1999) e del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (circ. no549557 del 31 marzo 1999 e no665459-2/11 del 19 luglio 1999) poi dalle leggi no 279/2002 e no 95/2004. Secondo lui, il controllo della corrispondenza del richiedente era quindi “previsto dalla legge.” Poi, in virtù del termine di sei mesi, solo il controllo del corrispondenza posteriore al 20 dicembre 2002 può entrare in fila di conto.
30. Inoltre, quando un detenuto intende scrivere al suo avvocato, deve fornire le indicazioni necessarie affinché il controllo della corrispondenza non sia messo in opera, attaccando in particolare queste indicazioni sulla busta sigillata contenente la corrispondenza.
31. Il richiedente si oppone alle tesi del Governo.
32. La Corte constata che per ciò che riguarda in generale la corrispondenza del richiedente, c’è stata “ingerenza di un’autorità pubblica” nell’esercizio del diritto del richiedente al rispetto della sua corrispondenza garantito dall’articolo 8 § 1 della Convenzione. Simile ingerenza ignora questa disposizione salvo se, “prevista dalla legge”, insegue uno o degli scopi legittimi allo sguardo del paragrafo 2 e, in più, è “necessaria, in una società democratica” per colpirli (Calogero Diana c. Italia, sentenza del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, § 28; Domenichini c. Italia, sentenza del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, § 28; Petra c. Romania, sentenza del 23 settembre 1998, Raccolta 1998-VII, p. 2853, § 36; Labita precitata, § 179; Musumeci c. Italia, no 33695/96, § 56, sentenza dell’11 gennaio 2005).
33. Prima del 15 aprile 2004, il controllo della corrispondenza del richiedente era effettuato conformemente all’articolo 18 della legge sull’amministrazione penitenziaria. La Corte ha giudicato già a più riprese che il controllo di corrispondenza fondato sull’articolo 18 ignorava l’articolo 8 della Convenzione perché non “era previsto dalla legge” nella misura in cui non regolamentava né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti, né i motivi che potessero giustificarlo, e non indicava con abbastanza chiarezza l’ampiezza e le modalità di esercizio del potere di valutazione delle autorità competenti nel campo considerato (vedere, tra altri, le sentenze Labita c. Italia, precitata, §§ 175-185, e Calogero Diana c. Italia, precitata, § 33). Nello specifico, la Corte stima che la questione di sapere se il controllo della corrispondenza effettuato prima del 20 dicembre 2002 che sfugge alla sua competenza in virtù della regola dei sei mesi può restare aperta, alla luce delle seguenti considerazioni.
34. La Corte ricorda che la legge no 95 del 2004 ha introdotto un nuovo articolo 18 ter concernente il controllo della corrispondenza che è stato aggiunto alla legge sull’amministrazione penitenziaria. Il paragrafo 2 di questo articolo esclude dal controllo la corrispondenza del detenuto in particolare con il suo avvocato e gli organi internazionali competenti in materia dei diritti dell’uomo.
Nello specifico, la lettera indirizzata dal richiedente all’avvocato che lo rappresenta dinnanzi alla Corte è stata controllata il 1 febbraio 2007. Secondo la Corte, questo controllo non è conforme al diritto nazionale, visto che questo vieta di censurare questo tipo di corrispondenza.
35. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 34 DELLA CONVENZIONE
36. Dopo la comunicazione della richiesta, l’avvocato del richiedente si è lamentato, sotto l’angolo dell’articolo 6 § 3 della Convenzione, delle difficoltà incontrate nel raccogliere i documenti pertinenti. La Corte stima di dovere analizzare queste affermazioni sotto l’angolo dell’articolo 34 della Convenzione che dispone:
“La Corte può essere investita di una richiesta da ogni persona fisica, ogni organizzazione non governativa o ogni gruppo di individui che si definiscono vittime di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi Protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con nessuna misura l’esercizio efficace di questo diritto. “
37. La Corte nota al primo colpo che il richiedente ha potuto introdurre una richiesta dinnanzi alla Corte e che l’avvocato del richiedente, richiesto di fornire dei documenti a sostegno delle sue affermazioni, ha risposto con una lettera del 23 luglio 2004 con cui aveva mandato tutta la documentazione che era a disposizione del suo cliente. A questo stadio del procedimento, non fece stato di nessuno ostacolo che impediva il richiedente o lui stesso di raccogliere i documenti a sostegno della richiesta. La Corte considera quindi che le autorità nazionali non potrebbero essere ritenute responsabili di un ostacolo al diritto di ricorso del richiedente.
38. Tenuto conto di questi elementi, la Corte considera che nessuna questione ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione non si pone. Questa parte della richiesta è quindi manifestamente mal fondata e deve essere respinta ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
39. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
40. Il richiedente richiede 200 000 euro (EUR) a titolo di danno materiale e morale che avrebbe subito.
41. Il Governo osserva che il richiedente non ha fornito nessuna prova del danno materiale addotto. In quanto al danno morale, il Governo chiede alla Corte di dire che la constatazione di violazione basta.
42. La Corte ricorda che ha concluso solo alla violazione della Convenzione per ciò che riguarda il controllo della corrispondenza del richiedente. Non vede nessuno legame di causalità tra questa violazione e qualsiasi danno materiale. In quanto al danno morale, stima che nelle circostanze dello specifico, la constatazione di violazione basti a compensarlo.
B. Oneri e spese
43. L’avvocato del richiedente ha trasmesso anche una nota di parcella che ammonta a 20 105,89 EUR per oneri e spese impegnati dinnanzi alla Corte.
44. Il Governo trova eccessivi gli oneri richiesti.
45. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui veìngano stabiliti la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Belziuk c. Polonia, sentenza del 25 marzo 1998, Raccolta 1998-II, p. 573, § 49). Nello specifico e tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei suddetti criteri, la Corte stima ragionevole la somma di 1 000 EUR per il procedimento dinnanzi alla Corte e l’accorda al richiedente.
C. Interessi moratori
46. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 8 della Convenzione (controllo della corrispondenza) ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
3. Stabilisce che la constatazione di violazione della Corte costituisce in sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 1 000 EUR (mille euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto dal richiedente a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 20 gennaio 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa