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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE ZARA c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 24424/03/2009
Stato: Italia
Data: 2009-01-20 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

SECONDA SEZIONE
CAUSA ZARA C. ITALIA
( Richiesta no 24424/03)
SENTENZA
STRASBURGO
20 gennaio 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Zara c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 16 dicembre 2008,
Rende la sentenza che ha adottata in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 24424/03) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. A. Z. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 20 giugno 2003 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da C. d. F., avvocato a Parma. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, il Sig. R. Adam, e dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il richiedente adduceva che le sue condizioni di detenzione erano incompatibili con la Convenzione.
4. Il 13 settembre 2006, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero state esaminati l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente, il Sig. A. Z., è un cittadino italiano, nato nel 1960. Condannato per omicidio, al momento dell’introduzione della richiesta scontava una pena di detenzione di trent’ anni nella prigione di Parma.
6. Il 14 luglio 1998, il ministro di Giustizia prese un’ordinanza che imponeva al richiedente – considerato molto pericoloso -, per un periodo di sei mesi, il regime di detenzione speciale previsto dall’articolo 41bis, capoverso 2, della legge sull’amministrazione penitenziaria -no 354 del 26 luglio 1975 (“la legge no 354/1975”). Modificata dalla legge del 7 agosto 1992, questa disposizione permetteva la sospensione totale o parziale dell’applicazione del regime normale di detenzione quando delle ragioni di ordine e di sicurezza pubblici l’esigevano. L’ordinanza imponeva le seguenti restrizioni:
– limitazione delle visite dei membri della famiglia (al massimo una al mese per un’ora);
– interdizione di incontrare dei terzi;
– interdizione di utilizzare il telefono , salvo una chiamata al mese alla famiglia, ascoltato e registrato, nel caso in cui la visita mensile della famiglia non avesse avuto luogo;
– interdizione di ricevere o di mandare verso l’esterno delle somme di denaro al di là di un determinato importo;
– interdizione di ricevere più di due pacchi al mese ma possibilità di riceverne due all’ anno contenenti della biancheria;
– interdizione di eleggere dei rappresentanti di detenuti e di essere eletto come rappresentante;
– interdizione di esercitare delle attività artigianali;
– interdizione di organizzare delle attività culturali, ricreative e sportive.
Inoltre, tutta la corrispondenza del richiedente doveva essere sottoposta a controllo su autorizzazione preliminare dell’autorità giudiziale.
7. Risulta dalla pratica che la procura annessa al formulario di richiesta alla Corte è stata controllata nel novembre 2002. Inoltre, una lettera del richiedente indirizzata all’avvocato che lo rappresenta dinnanzi alla Corte, datata 31 gennaio 2007 la cui busta è stata inserita nella pratica, è stata controllata il 1 febbraio 2007.
8. L’applicazione del regime speciale è stata in seguito prorogata per periodi successivi di sei mesi fino al 31 dicembre 2002. Nelle sue osservazioni, l’avvocato del richiedente ha fatto sapere che questo era ancora sottoposto al regime speciale. Le decisioni relative al prolungamento del regime non sono inserite nella pratica.
9. Il richiedente non ha prodotto nessuno dei ricorsi che avrebbe intentato contro le ordinanze ministeriali, né le decisioni giudiziali ivi relative.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
10. Nella sua sentenza Ospina Vargas, la Corte ha riassunto il diritto e le pratica interna pertinenti in quanto al regime di detenzione speciale applicata nello specifico ed in quanto al controllo della corrispondenza (Ospina Vargas c. Italia, no 40750/98, §§ 23-33, 14 ottobre 2004). Ha fatto anche stato delle modifiche introdotte dalla legge no 279 del 23 dicembre 2002 e dalla legge no 95 dell’ 8 aprile 2004 (ibidem). L’entrata in vigore di questa ultima legge non permette tuttavia di risanare le violazioni che hanno avuto luogo anteriormente alla sua entrata in vigore.
11. Tenuto conto di questa riforma e delle decisioni della Corte (Ganci c. Italia, no41576/98, §§ 19-31, CEDH 2003-XI) la Corte di cassazione si è scostata della sua giurisprudenza in materia di interesse a mantenere un ricorso diretto contro un’ordinanza ministeriale nel frattempo scaduta. Ha stimato che un detenuto ha interesse ad ottenere una decisione contro un’ordinanza, anche se il periodo di validità dell’ordinanza attaccata è scaduto, e ciò in ragione degli effetti diretti che la sua decisione avrebbe sulle ordinanze posteriori (Corte di cassazione, prima camera, sentenza del 26 gennaio 2004, depositata il 5 febbraio 2004, no4599, Zara).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
12. Il richiedente adduce che l’applicazione del regime speciale di detenzione a suo carico l’ha sottoposto per molto tempo a trattamenti disumani e degradanti. Si lamenta del regime di detenzione speciale previsto dall’articolo 41 bis. Invoca l’articolo 3 della Convenzione, così formulato,:
“Nessuno può essere sottomesso alla tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
13. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione, un cattivo trattamento deve raggiungere un minimo di gravità.́ La valutazione di questo minimo è relativa per essenza; dipende dall’insieme dei dati della causa, in particolare della durata del trattamento e dei suoi effetti fisici o mentali così come , talvolta, del sesso, dell’età, dello stato di salute della vittima (Irlanda c. Regno Unito, sentenza del 18 gennaio 1978, serie A no 25, p. 65, § 162). In questa ottica, la Corte deve ricercare se l’applicazione prolungata del regime speciale di detenzione prevista dall’articolo 41bis-che, peraltro, dopo la riforma del 2002, è diventata una disposizione permanente della legge sull’amministrazione penitenziaria -per più di dieci anni nel caso del richiedente costituisce una violazione dell’articolo 3 della Convenzione (Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 119, CEDH 2000-IV).
14. La Corte ammette che in generale, l’applicazione prolungata di certe restrizioni può porre un detenuto in una situazione che potrebbe costituire un trattamento disumano o degradante, ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. Però, non potrebbe considerare una durata precisa come il momento a partire da cui viene raggiunta la soglia minima di gravità per ricadere nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione. In compenso, ha il dovere di controllare se, in un dato caso, il rinnovo ed il prolungamento delle restrizioni fossero giustificati (Argenti c. Italia, no 56317/00, § 21, 10 novembre 2005).
15. Ora appare che ogni volta, il ministro di Giustizia ha fatto riferimento, per giustificare la proroga delle restrizioni, alla persistenza delle condizioni che motivavano la prima applicazione. Nella misura in cui il richiedente adduce di avere investito i tribunali dell’applicazione delle pene competenti ma non ha prodotto nessuna decisione, niente permette di pensare che i tribunali non abbiano ad ogni ripresa controllato la realtà di queste constatazioni.
16. La Corte nota che il richiedente non ha fornito alla Corte elementi tali da permetterle di concludere che l’applicazione prolungata del regime speciale di detenzione prevista dall’articolo 41bis gli abbia causato degli effetti fisici o mentali ricadenti sotto l’influenza dell’articolo 3. Quindi, la sofferenza o l’umiliazione che il richiedente ha potuto provare non è andata al di là di quelle che comprendono inevitabilmente una data forma di trattamento – nello specifico prolungato – o di pena legittima (Labita, precitata, § 120, e Bastone c. Italia, (déc)no 59638/00, 18 gennaio 2005).
17. Pertanto, secondo la Corte, l’applicazione continua del regime speciale di detenzione dell’articolo 41bis non ha raggiunto il minimo necessario di gravità per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione.
18. Questa parte della richiesta deve essere respinta quindi come manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 6 E 13 DELLA CONVENZIONE
19. Il richiedente si lamenta di non disporre di nessuno ricorso interno effettivo contro le decisioni di proroga del regime speciale di detenzione. Invoca l’articolo 13 della Convenzione, così formulato,:
“Ogni persona i cui diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
20. La Corte ricorda che, quando una questione di accesso ad un tribunale si pone, le garanzie dell’articolo 13 sono assorbite da quelle dell’articolo 6 della Convenzione (Brualla Gómez del Torre c. Spagna, sentenza del 19 dicembre 1997, Raccolta 1997-VIII, p. 2957, § 41). C’è luogo dunque di esaminare il motivo di appello del richiedente sotto l’angolo di questa ultima disposizione (vedere anche la sentenza Ganci c. Italia, no 41576/98, §§ 19 e 33-34, CEDH 2003-XI )la cui parte pertinente si legge così:
“1. Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita da un tribunale che deciderà, sia delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa in materia penale diretta contro questa .”
21. La Corte rileva al primo colpo che il richiedente non ha prodotto nessuno dei ricorsi che avrebbe intentato contro le ordinanze ministeriali, né le decisioni giudiziali ivi relative. In queste circostanze, stima che questo motivo di appello non sia sufficientemente supportato e deve essere respinto come manifestamente mal fondato conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
22. Il richiedente si lamenta delle restrizioni ininterrotte al suo diritto al rispetto della sua vita familiare in ragione delle limitazioni e delle modalità delle visite familiari. Si lamenta anche della violazione del suo diritto al rispetto della sua corrispondenza. Invoca l’articolo 8 della Convenzione, così formulato nella sua parte pertinente,:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali,(…) “

23. Il Governo contesta questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
24. Trattandosi del motivo di appello relativo alla violazione del diritto al rispetto della vita familiare, la Corte ricorda che ha dovuto già deliberare sul fatto di sapere se le restrizioni previste dall’applicazione dell’articolo 41bis in materia di vita privata e familiare di certi detenuti avessero costituito delle ingerenze giustificate dal paragrafo 2 dell’articolo 8 della Convenzione (vedere sentenza Messina c. Italia (no 2), no 25498/94, § 59 – 74, CEDH 2000-X; Indelicato c. Italia, (déc.), no 31143/96, 65 luglio 2000).
25. Ricorda la sua giurisprudenza secondo cui il regime contemplato all’articolo 41bis tende a tagliare i legami esistenti tra la persone riguardata ed il suo ambiente criminale di origine, per minimizzare il rischio di vedere utilizzare i contatti personali di questi detenuti con le strutture delle organizzazioni criminali di suddetto ambiente.
26. Prima dell’introduzione del regime speciale, un buon numero di detenuti pericolosi riusciva a tenere la loro posizione in seno all’organizzazione criminale alla quale appartenevano, a scambiare delle informazioni con gli altri detenuti e con l’esterno, ed ad organizzare e fare eseguire delle violazioni penali. In questo contesto, la Corte stima che, tenuto conto della natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata, in particolare di tipo mafioso, e per il fatto che le visite familiari sono state molto spesso il mezzo di trasmissione di ordini e di istruzioni verso l’esterno, le restrizioni, certo importanti, alle visite ed i controlli che accompagnano il loro svolgimento non potrebbero passare per sproporzionate rispetto agli scopi legittimi perseguiti (vedere Salvatore c. Italia, (déc.), no 42285/98, 7 maggio 2002).
27. In conclusione, la Corte stima che le restrizioni al diritto del richiedente al rispetto della sua vita familiare non sono andate al di là di ciò che, ai termini dell’articolo 8 § 2, è necessario, in una società democratica, alla sicurezza pubblica, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali. Pertanto, questo motivo di appello deve essere respinto come manifestamente mal fondato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
28. Trattandosi del motivo di appello relativo alla violazione del diritto al rispetto della corrispondenza, la Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro non incontra nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
29. Il Governo osserva che secondo la giurisprudenza della Corte, in Italia il controllo della corrispondenza non era dotato di una base legale sufficiente, ma che questa situazione era stata modificata profondamente, in un primo tempo, dalle circolari della Direzione generale delle cause criminali (circ. no 575 del 26 aprile 1999) e del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (circ. no549557 del 31 marzo 1999 e no665459-2/11 del 19 luglio 1999) poi dalle leggi no 279/2002 e no 95/2004. Secondo lui, il controllo della corrispondenza del richiedente era quindi “previsto dalla legge.” Poi, in virtù del termine di sei mesi, solo il controllo del corrispondenza posteriore al 20 dicembre 2002 può entrare in fila di conto.
30. Inoltre, quando un detenuto intende scrivere al suo avvocato, deve fornire le indicazioni necessarie affinché il controllo della corrispondenza non sia messo in opera, attaccando in particolare queste indicazioni sulla busta sigillata contenente la corrispondenza.
31. Il richiedente si oppone alle tesi del Governo.
32. La Corte constata che per ciò che riguarda in generale la corrispondenza del richiedente, c’è stata “ingerenza di un’autorità pubblica” nell’esercizio del diritto del richiedente al rispetto della sua corrispondenza garantito dall’articolo 8 § 1 della Convenzione. Simile ingerenza ignora questa disposizione salvo se, “prevista dalla legge”, insegue uno o degli scopi legittimi allo sguardo del paragrafo 2 e, in più, è “necessaria, in una società democratica” per colpirli (Calogero Diana c. Italia, sentenza del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, § 28; Domenichini c. Italia, sentenza del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, § 28; Petra c. Romania, sentenza del 23 settembre 1998, Raccolta 1998-VII, p. 2853, § 36; Labita precitata, § 179; Musumeci c. Italia, no 33695/96, § 56, sentenza dell’11 gennaio 2005).
33. Prima del 15 aprile 2004, il controllo della corrispondenza del richiedente era effettuato conformemente all’articolo 18 della legge sull’amministrazione penitenziaria. La Corte ha giudicato già a più riprese che il controllo di corrispondenza fondato sull’articolo 18 ignorava l’articolo 8 della Convenzione perché non “era previsto dalla legge” nella misura in cui non regolamentava né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti, né i motivi che potessero giustificarlo, e non indicava con abbastanza chiarezza l’ampiezza e le modalità di esercizio del potere di valutazione delle autorità competenti nel campo considerato (vedere, tra altri, le sentenze Labita c. Italia, precitata, §§ 175-185, e Calogero Diana c. Italia, precitata, § 33). Nello specifico, la Corte stima che la questione di sapere se il controllo della corrispondenza effettuato prima del 20 dicembre 2002 che sfugge alla sua competenza in virtù della regola dei sei mesi può restare aperta, alla luce delle seguenti considerazioni.
34. La Corte ricorda che la legge no 95 del 2004 ha introdotto un nuovo articolo 18 ter concernente il controllo della corrispondenza che è stato aggiunto alla legge sull’amministrazione penitenziaria. Il paragrafo 2 di questo articolo esclude dal controllo la corrispondenza del detenuto in particolare con il suo avvocato e gli organi internazionali competenti in materia dei diritti dell’uomo.
Nello specifico, la lettera indirizzata dal richiedente all’avvocato che lo rappresenta dinnanzi alla Corte è stata controllata il 1 febbraio 2007. Secondo la Corte, questo controllo non è conforme al diritto nazionale, visto che questo vieta di censurare questo tipo di corrispondenza.
35. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 34 DELLA CONVENZIONE
36. Dopo la comunicazione della richiesta, l’avvocato del richiedente si è lamentato, sotto l’angolo dell’articolo 6 § 3 della Convenzione, delle difficoltà incontrate nel raccogliere i documenti pertinenti. La Corte stima di dovere analizzare queste affermazioni sotto l’angolo dell’articolo 34 della Convenzione che dispone:
“La Corte può essere investita di una richiesta da ogni persona fisica, ogni organizzazione non governativa o ogni gruppo di individui che si definiscono vittime di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi Protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con nessuna misura l’esercizio efficace di questo diritto. “
37. La Corte nota al primo colpo che il richiedente ha potuto introdurre una richiesta dinnanzi alla Corte e che l’avvocato del richiedente, richiesto di fornire dei documenti a sostegno delle sue affermazioni, ha risposto con una lettera del 23 luglio 2004 con cui aveva mandato tutta la documentazione che era a disposizione del suo cliente. A questo stadio del procedimento, non fece stato di nessuno ostacolo che impediva il richiedente o lui stesso di raccogliere i documenti a sostegno della richiesta. La Corte considera quindi che le autorità nazionali non potrebbero essere ritenute responsabili di un ostacolo al diritto di ricorso del richiedente.
38. Tenuto conto di questi elementi, la Corte considera che nessuna questione ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione non si pone. Questa parte della richiesta è quindi manifestamente mal fondata e deve essere respinta ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
39. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
40. Il richiedente richiede 200 000 euro (EUR) a titolo di danno materiale e morale che avrebbe subito.
41. Il Governo osserva che il richiedente non ha fornito nessuna prova del danno materiale addotto. In quanto al danno morale, il Governo chiede alla Corte di dire che la constatazione di violazione basta.
42. La Corte ricorda che ha concluso solo alla violazione della Convenzione per ciò che riguarda il controllo della corrispondenza del richiedente. Non vede nessuno legame di causalità tra questa violazione e qualsiasi danno materiale. In quanto al danno morale, stima che nelle circostanze dello specifico, la constatazione di violazione basti a compensarlo.
B. Oneri e spese
43. L’avvocato del richiedente ha trasmesso anche una nota di parcella che ammonta a 20 105,89 EUR per oneri e spese impegnati dinnanzi alla Corte.
44. Il Governo trova eccessivi gli oneri richiesti.
45. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui veìngano stabiliti la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Belziuk c. Polonia, sentenza del 25 marzo 1998, Raccolta 1998-II, p. 573, § 49). Nello specifico e tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei suddetti criteri, la Corte stima ragionevole la somma di 1 000 EUR per il procedimento dinnanzi alla Corte e l’accorda al richiedente.
C. Interessi moratori
46. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 8 della Convenzione (controllo della corrispondenza) ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
3. Stabilisce che la constatazione di violazione della Corte costituisce in sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 1 000 EUR (mille euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto dal richiedente a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 20 gennaio 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa

Testo Tradotto

DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE ZARA c. ITALIE
(Requête no 24424/03)
ARRÊT
STRASBOURG
20 janvier 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Zara c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş, juges,
et de Sally Dollé, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 16 décembre 2008,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 24424/03) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, M. A. Z. (« le requérant »), a saisi la Cour le 20 juin 2003 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par Me C. d. F., avocat à Parme. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, M. R. Adam, et par son coagent adjoint, M. N. Lettieri.
3. Le requérant alléguait que ses conditions de détention étaient incompatibles avec la Convention.
4. Le 13 septembre 2006, la Cour a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, elle a en outre décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le bien-fondé de l’affaire.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le requérant, M. A. Z., est un ressortissant italien, né en 1960. Condamné pour meurtre, au moment de l’introduction de la requête il purgeait une peine d’emprisonnement de trente ans à la prison de Parme.
6. Le 14 juillet 1998, le ministre de la Justice prit un arrêté imposant au requérant – considéré très dangereux -, pour une période de six mois, le régime de détention spécial prévu par l’article 41bis, alinéa 2, de la loi sur l’administration pénitentiaire – no 354 du 26 juillet 1975 (« la loi no 354/1975 »). Modifiée par la loi du 7 août 1992, cette disposition permettait la suspension totale ou partielle de l’application du régime normal de détention lorsque des raisons d’ordre et de sécurité publics l’exigeaient. L’arrêté imposait les restrictions suivantes :
– limitation des visites des membres de la famille (au maximum une par mois pendant une heure) ;
– interdiction de rencontrer des tiers ;
– interdiction d’utiliser le téléphone, sauf un appel par mois à la famille, écouté et enregistré, au cas où la visite mensuelle de la famille n’aurait pas eu lieu ;
– interdiction de recevoir ou d’envoyer vers l’extérieur des sommes d’argent au-delà d’un montant déterminé ;
– interdiction de recevoir plus de deux colis par mois mais possibilité d’en recevoir deux par an contenant du linge ;
– interdiction d’élire des représentants de détenus et d’être élu comme représentant ;
– interdiction d’exercer des activités artisanales ;
– interdiction d’organiser des activités culturelles, récréatives et sportives.
En outre, toute la correspondance du requérant devait être soumise à contrôle sur autorisation préalable de l’autorité judiciaire.
7. Il ressort du dossier que la procuration annexée au formulaire de requête à la Cour a été contrôlée en novembre 2002. En outre, une lettre du requérant adressée à l’avocat qui le représente devant la Cour, datée du 31 janvier 2007, dont l’enveloppe a été versée au dossier, a été contrôlée le 1er février 2007.
8. L’application du régime spécial a par la suite été prorogée pour des périodes successives de six mois jusqu’au 31 décembre 2002. Dans ses observations, l’avocat du requérant a fait savoir que celui-ci était encore soumis au régime spécial. Les décisions relatives à la prolongation du régime ne sont pas versées au dossier.
9. Le requérant n’a produit aucun des recours qu’il aurait intentés contre les arrêtés ministériels, ni les décisions judiciaires y relatives.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
10. Dans son arrêt Ospina Vargas, la Cour a résumé le droit et la pratique internes pertinents quant au régime de détention spécial appliqué en l’espèce et quant au contrôle de la correspondance (Ospina Vargas c. Italie, no 40750/98, §§ 23-33, 14 octobre 2004). Elle a aussi fait état des modifications introduites par la loi no 279 du 23 décembre 2002 et par la loi no 95 du 8 avril 2004 (ibidem). L’entrée en vigueur de cette dernière loi ne permet toutefois pas de redresser les violations ayant eu lieu antérieurement à son entrée en vigueur.
11. Compte tenu de cette réforme et des décisions de la Cour (Ganci c. Italie, no41576/98, §§ 19-31, CEDH 2003-XI), la Cour de cassation s’est écartée de sa jurisprudence en matière d’intérêt à maintenir un recours dirigé contre un arrêté ministériel entre-temps expiré. Elle a estimé qu’un détenu a intérêt à avoir une décision contre un arrêté, même si la période de validité de l’arrêté attaqué a expiré, et cela en raison des effets directs que sa décision aurait sur les arrêtés postérieurs (Cour de cassation, première chambre, arrêt du 26 janvier 2004, déposé le 5 février 2004, no4599, Zara).
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 3 DE LA CONVENTION
12. Le requérant allègue que l’application du régime spécial de détention à son encontre l’a soumis pour longtemps à des traitements inhumains et dégradants. Il se plaint du régime de détention spécial prévu par l’article 41 bis. Il invoque l’article 3 de la Convention, ainsi libellé :
« Nul ne peut être soumis à la torture ni à des peines ou traitements inhumains ou dégradants. »
13. La Cour rappelle que, selon sa jurisprudence, pour tomber sous le coup de l’article 3 de la Convention, un mauvais traitement doit atteindre un minimum de gravité. L’appréciation de ce minimum est relative par essence ; elle dépend de l’ensemble des données de la cause, notamment de la durée du traitement et de ses effets physiques ou mentaux ainsi que, parfois, du sexe, de l’âge, de l’état de santé de la victime (Irlande c. Royaume-Uni, arrêt du 18 janvier 1978, série A no 25, p. 65, § 162). Dans cette optique, la Cour doit rechercher si l’application prolongée du régime spécial de détention prévu par l’article 41bis – qui, par ailleurs, après la réforme de 2002, est devenue une disposition permanente de la loi sur l’administration pénitentiaire – pendant plus de dix ans dans le cas du requérant constitue une violation de l’article 3 de la Convention (Labita c. Italie [GC], no 26772/95, § 119, CEDH 2000-IV).
14. La Cour admet qu’en général, l’application prolongée de certaines restrictions peut placer un détenu dans une situation qui pourrait constituer un traitement inhumain ou dégradant, au sens de l’article 3 de la Convention. Cependant, elle ne saurait retenir une durée précise comme le moment à partir duquel est atteint le seuil minimum de gravité pour tomber dans le champ d’application de l’article 3 de la Convention. En revanche, elle se doit de contrôler si, dans un cas donné, le renouvellement et la prolongation des restrictions se justifiaient (Argenti c. Italie, no 56317/00, § 21, 10 novembre 2005).
15. Or il apparaît qu’à chaque fois, le ministre de la Justice s’est référé, pour justifier la prorogation des restrictions, à la persistance des conditions qui motivaient la première application. Dans la mesure où le requérant allègue avoir saisi les tribunaux de l’application des peines compétents mais n’a produit aucune décision, rien ne permet de penser que les tribunaux n’ont pas à chaque reprise contrôlé la réalité de ces constatations.
16. La Cour note que le requérant n’a pas fourni à la Cour d’éléments qui lui permettraient de conclure que l’application prolongée du régime spécial de détention prévu par l’article 41bis lui a causé des effets physiques ou mentaux tombant sous le coup de l’article 3. Dès lors, la souffrance ou l’humiliation que le requérant a pu ressentir ne sont pas allés au-delà de celles que comporte inévitablement une forme donnée de traitement – en l’espèce prolongé – ou de peine légitime (Labita, précité, § 120, et Bastone c. Italie, (déc), no 59638/00, 18 janvier 2005).
17. Partant, selon la Cour, l’application continue du régime spécial de détention de l’article 41bis n’a pas atteint le minimum nécessaire de gravité pour tomber sous le coup de l’article 3 de la Convention.
18. Cette partie de la requête doit dès lors être rejetée comme étant manifestement mal fondée au sens de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DES ARTICLES 6 ET 13 DE LA CONVENTION
19. Le requérant se plaint de ne disposer d’aucun recours interne effectif contre les décisions de prorogation du régime spécial de détention. Il invoque l’article 13 de la Convention, ainsi libellé :
« Toute personne dont les droits et libertés reconnus dans la (…) Convention ont été violés, a droit à l’octroi d’un recours effectif devant une instance nationale, alors même que la violation aurait été commise par des personnes agissant dans l’exercice de leurs fonctions officielles. »
20. La Cour rappelle que, lorsqu’une question d’accès à un tribunal se pose, les garanties de l’article 13 sont absorbées par celles de l’article 6 de la Convention (Brualla Gómez de la Torre c. Espagne, arrêt du 19 décembre 1997, Recueil 1997-VIII, p. 2957, § 41). Il y a donc lieu d’examiner le grief du requérant sous l’angle de cette dernière disposition (voir aussi l’arrêt Ganci c. Italie, no 41576/98, §§ 19 et 33-34, CEDH 2003-XI), dont la partie pertinente se lit ainsi :
« 1. Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (…) par un tribunal (…) qui décidera, soit des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil, soit du bien-fondé de toute accusation en matière pénale dirigée contre elle (…) ».
21. La Cour relève d’emblée que le requérant n’a produit aucun des recours qu’il aurait intentés contre les arrêtés ministériels, ni les décisions judiciaires y relatives. Dans ces circonstances, elle estime que ce grief n’est pas suffisamment étayé et doit être rejeté comme étant est manifestement mal fondé conformément à l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 DE LA CONVENTION
22. Le requérant se plaint des restrictions ininterrompues à son droit au respect de sa vie familiale en raison des limitations et des modalités des visites familiales. Il se plaint aussi de la violation de son droit au respect de sa correspondance. Il invoque l’article 8 de la Convention, ainsi libellé dans sa partie pertinente :
« 1. Toute personne a droit au respect de sa vie privée et familiale, de son domicile et de sa correspondance.
2. Il ne peut y avoir ingérence d’une autorité publique dans l’exercice de ce droit que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu’elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire (…), à la sûreté publique, (…), à la défense de l’ordre et à la prévention des infractions pénales, (…). »
23. Le Gouvernement conteste cette thèse.
A. Sur la recevabilité
24. S’agissant du grief relatif à la violation du droit au respect de la vie familiale, la Court rappelle qu’elle a déjà eu à statuer sur le fait de savoir si les restrictions prévues par l’application de l’article 41bis en matière de vie privée et familiale de certains détenus constituent des ingérences justifiées par le paragraphe 2 de l’article 8 de la Convention (voir l’arrêt Messina c. Italie (no 2), no 25498/94, § 59 – 74, CEDH 2000-X ; Indelicato c. Italie (déc.), no 31143/96, 65 juillet 2000).
25. Elle rappelle sa jurisprudence selon laquelle le régime prévu à l’article 41bis tend à couper les liens existant entre la personne concernée et son milieu criminel d’origine, afin de minimiser le risque de voir utiliser les contacts personnels de ces détenus avec les structures des organisations criminelles dudit milieu.
26. Avant l’introduction du régime spécial, bon nombre de détenus dangereux réussissaient à garder leur position au sein de l’organisation criminelle à laquelle ils appartenaient, à échanger des informations avec les autres détenus et avec l’extérieur, et à organiser et faire exécuter des infractions pénales. Dans ce contexte, la Cour estime que, compte tenu de la nature spécifique du phénomène de la criminalité organisée, notamment de type mafieux, et du fait que bien souvent les visites familiales ont été le moyen de transmission d’ordres et d’instructions vers l’extérieur, les restrictions, certes importantes, aux visites et les contrôles qui en accompagnent le déroulement ne sauraient passer pour disproportionnées par rapport aux buts légitimes poursuivis (voir Salvatore c. Italie (déc.), no 42285/98, 7 mai 2002).
27. En conclusion, la Cour estime que les restrictions au droit du requérant au respect de sa vie familiale ne sont pas allées au-delà de ce qui, aux termes de l’article 8 § 2, est nécessaire, dans une société démocratique, à la sûreté publique, à la défense de l’ordre et à la prévention des infractions pénales. Partant, ce grief doit être rejeté comme étant manifestement mal fondé en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
28. S’agissant du grief relatif à la violation du droit au respect de la correspondance, la Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
29. Le Gouvernement observe que d’après la jurisprudence de la Cour, en Italie le contrôle de la correspondance n’était pas pourvu d’une base légale suffisante, mais que cette situation a été profondément modifiée, dans un premier temps, par les circulaires de la Direction générale des affaires criminelles (circ. no 575 du 26 avril 1999) et du Département de l’administration pénitentiaire (circ. no549557 du 31 mars 1999 et no665459-2/11 du 19 juillet 1999), puis par les lois no 279/2002 et no 95/2004. Selon lui, le contrôle de la correspondance du requérant était dès lors « prévu par la loi ». Ensuite, en vertu du délai de six mois, seul le contrôle de la correspondance postérieur au 20 décembre 2002 peut entrer en ligne de compte.
30. En outre, lorsqu’un détenu entend écrire à son avocat, il lui incombe de fournir les indications nécessaires pour que le contrôle de la correspondance ne soit pas mis en œuvre, en apposant ces indications notamment sur l’enveloppe cachetée contenant le courrier.
31. Le requérant s’oppose aux thèses du Gouvernement.
32. La Cour constate qu’en ce qui concerne la correspondance du requérant en général, il y a eu « ingérence d’une autorité publique » dans l’exercice du droit du requérant au respect de sa correspondance garanti par l’article 8 § 1 de la Convention. Pareille ingérence méconnaît cette disposition sauf si, « prévue par la loi », elle poursuit un ou des buts légitimes au regard du paragraphe 2 et, de plus, est « nécessaire, dans une société démocratique » pour les atteindre (Calogero Diana c. Italie, arrêt du 15 novembre 1996, Recueil 1996-V, § 28 ; Domenichini c. Italie, arrêt du 15 novembre 1996, Recueil 1996-V, § 28 ; Petra c. Roumanie, arrêt du 23 septembre 1998, Recueil 1998-VII, p. 2853, § 36 ; Labita précité, § 179; Musumeci c. Italie, no 33695/96, § 56, arrêt du 11 janvier 2005).
33. Avant le 15 avril 2004, le contrôle de la correspondance du requérant était effectué conformément à l’article 18 de la loi sur l’administration pénitentiaire. La Cour a déjà jugé à maintes reprises que le contrôle de correspondance fondé sur l’article 18 méconnaissait l’article 8 de la Convention car il n’était pas « prévu par la loi » dans la mesure où il ne réglementait ni la durée des mesures de contrôle de la correspondance des détenus, ni les motifs pouvant les justifier, et n’indiquait pas avec assez de clarté l’étendue et les modalités d’exercice du pouvoir d’appréciation des autorités compétentes dans le domaine considéré (voir, entre autres, les arrêts Labita c. Italie, précité, §§ 175-185, et Calogero Diana c. Italie, précité, § 33). En l’espèce, la Cour estime que la question de savoir si le contrôle de la correspondance effectué avant le 20 décembre 2002 échappe à sa compétence en vertu de la règle des six mois peut rester ouverte, au vu des considérations suivantes.
34. La Cour rappelle que la loi no 95 de 2004 a introduit un nouvel article 18 ter concernant le contrôle de correspondance qui a été ajouté à la loi sur l’administration pénitentiaire. Le paragraphe 2 de cet article exclut du contrôle la correspondance du détenu avec notamment son avocat et les organes internationaux compétents en matière des droits de l’homme.
En l’espèce, la lettre adressée par le requérant à l’avocat qui le représente devant la Cour a été contrôlée le 1er février 2007. Selon la Cour, ce contrôle n’est pas conforme au droit national, vu que celui-ci interdit de censurer ce type de correspondance.
35. Partant, il y a eu violation de l’article 8 de la Convention
IV. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 34 DE LA CONVENTION
36. Après la communication de la requête, l’avocat du requérant s’est plaint, sous l’angle de l’article 6 § 3 de la Convention, des difficultés rencontrées pour recueillir les documents pertinents. La Cour estime devoir analyser ces allégations sous l’angle de l’article 34 de la Convention, qui dispose :
« La Cour peut être saisie d’une requête par toute personne physique, toute organisation non gouvernementale ou tout groupe de particuliers qui se prétend victime d’une violation par l’une des Hautes Parties contractantes des droits reconnus dans la Convention ou ses Protocoles. Les Hautes Parties contractantes s’engagent à n’entraver par aucune mesure l’exercice efficace de ce droit. »
37. La Cour note d’emblée que le requérant a pu introduire une requête devant la Cour et que l’avocat du requérant, requis de fournir des pièces à l’appui de ses allégations, a répondu par un courrier du 23 juillet 2004 qu’il avait envoyé toute la documentation qui était à la disposition de son client. A ce stade de la procédure, il ne fit état d’aucun obstacle empêchant le requérant ou lui-même de recueillir les documents à l’appui de la requête. La Cour considère dès lors que les autorités nationales ne sauraient être tenues pour responsables d’une entrave au droit de recours du requérant.
38. Compte tenu de ces éléments, la Cour considère qu’aucune question au sens de l’article 34 de la Convention ne se pose. Cette partie de la requête est dès lors manifestement mal fondée et doit être rejetée au sens de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
V. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
39. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
40. Le requérant réclame 200 000 euros (EUR) au titre du préjudice matériel et moral qu’il aurait subi.
41. Le Gouvernement observe que le requérant n’a fourni aucune preuve du préjudice matériel allégué. Quant au préjudice moral, le Gouvernement demande à la Cour de dire que le constat de violation suffit.
42. La Cour rappelle qu’elle a conclu à la violation de la Convention uniquement en ce qui concerne le contrôle de la correspondance du requérant. Elle n’aperçoit aucun lien de causalité entre cette violation et quelconque dommage matériel. Quant au dommage moral, elle estime que dans les circonstances de l’espèce, le constat de violation suffit à le compenser.
B. Frais et dépens
43. L’avocat du requérant a également transmis une note d’honoraires s’élevant à 20 105,89 EUR pour les frais et dépens engagés devant la Cour.
44. Le Gouvernement trouve excessifs les frais réclamés.
45. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux (Belziuk c. Pologne, arrêt du 25 mars 1998, Recueil 1998-II, p. 573, § 49). En l’espèce et compte tenu des documents en sa possession et des critères susmentionnés, la Cour estime raisonnable la somme de 1 000 EUR pour la procédure devant la Cour et l’accorde au requérant.
C. Intérêts moratoires
46. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant au grief tiré de l’article 8 de la Convention (contrôle de la correspondance) et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 8 de la Convention ;
3. Dit que le constat de violation de la Cour constitue en lui-même une satisfaction équitable suffisante pour le dommage moral ;
4. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 1 000 EUR (mille euros) pour frais et dépens, plus tout montant pouvant être dû par le requérante à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
5. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 20 janvier 2009, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Sally Dollé Françoise Tulkens
Greffière Présidente

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