Conclusione Eccezione preliminare unita al merito, ratione materiae,; Eccezione preliminare respinta, ratione materiae,; Eccezione preliminare unita al merito (non-esaurimento delle vie di ricorso interne); Eccezione preliminare respinta (non-esaurimento delle vie di ricorso interne); Violazione di P1-1; Danno morale – risarcimento
PRIMA SEZIONE
CAUSA ZAFRANAS C. GRECIA
(Richiesta no 4056/08)
SENTENZA
STRASBURGO
4 ottobre 2011
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Zafranas c. Grecia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Nina Vajić, presidentessa, Anatoly Kovler, Elisabetta Steiner, Khanlar Hajiyev, Mirjana Lazarova Trajkovska, Linos-Alexandre Sicilianos,
Erik Møse, giudici, e da Søren Nielsen, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 13 settembre 2011,
Rende la sentenza che ha adottata in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 4056/08) diretta contro la Repubblica ellenica e in cui due cittadini di questo Stato, OMISSIS (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 10 gennaio 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono stati rappresentati da D. N., avvocato al foro di Tessalonico. Il governo greco (“il Governo”) è stato rappresentato dal delegato del suo agente, il Sig. K. Georgiadis, assessore presso il Consulente legale dello stato.
3. I richiedenti adducono in particolare una violazione del diritto al rispetto dei loro beni.
4. Il 8 giugno 2009, la vicepresidentessa della prima sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1937 e 1968 e risiedono a Tessalonico.
A. Il contesto della causa
6. I richiedenti sono in possesso di tre terreni di una superficie totale di 29 235 m2 circa, ubicati nei dintorni di Litohoro (nella regione di Pieria, area di “Mavri Petra-Topoliani”). Il primo richiedente fece l’acquisizione, il 19 aprile 1947, di due terreni di una superficie di 13 000 m2 da M.K. in virtù del contratto no 8341/1947. Nel 1986, il primo richiedente trasmise al secondo, tramite donazione, la nuda-proprietà di uno di questi terreni e ne tenne l’usufrutto. Inoltre, il 5 giugno 1991, in virtù del testamento no 13009/1981, la madre del primo richiedente, OMISSIS, gli tramandò il terzo terreno, di una superficie di 16 235 m2. La defunta aveva acquisito suddetto terreno il 19 aprile 1947 di M.K. in virtù del contratto no 8342/1947.
7. M.K. aveva acquisito i terreni in causa il 5 settembre 1936, in virtù del contratto di vendita no 14868/1936, concluso con l’organismo di gestione del patrimonio ecclesiastico (“l’OGPE”) che gestiva il patrimonio del Santo monastero del Santo Dionysios Olympou. Facendo parte i terreni della proprietà monastica, il diritto interno contemplava all’epoca che la loro susseguente vendita agli individui era sottoposta, sotto pena di nullità, ad una decisione del ministro dell’agricoltura che toglieva l’interdizione della transazione.
8. In virtù della decisione no 119272 del 12 novembre 1946, il ministro dell’agricoltura ha tolto l’interdizione di vendita che pesava sui terreni in causa ed aveva permesso a M.K. di “vendere la superficie acquisita in virtù del contratto no 14868/1936” a suo gradimento. Questa decisione precisava che M.K. aveva acquisito la superficie riguardata dall’OGPE in virtù del contratto no 14868/1936.
B. Il procedimento controverso
9. Il 21 gennaio 1988, in virtù dell’atto ministeriale comune no M3553/844, i terreni suddetti furono espropriati al fine della costruzione di una via ferroviaria che collegava Larissa a Plateos Imathias. Con la sua sentenza no 3050/1990, la corte di appello di Tessalonica fissò il prezzo unitario definitivo di indennizzo.
10. All’epoca del procedimento di riconoscenza del titolare dell’indennizzo assegnato dalla corte di appello, lo stato contestò che i richiedenti erano i proprietari dei terreni espropriati e ne rivendicò la proprietà. Il 31 agosto 1990, il tribunale di prima istanza di Katerini si astenne dal pronunciarsi sul titolare dell’indennizzo relativo ai terreni in causa al motivo che lo stato greco aveva sollevato la questione del suo diritto di proprietà, decisione no 146/1990.
11. Il 28 novembre 1991, i richiedenti investirono la corte d’appello di Katerini tesa alla loro riconoscenza come titolari dell’indennità di espropriazione assegnata dalle giurisdizioni interne.
12. Il 30 settembre 1998, la corte d’appello di Katerini fece diritto alla loro istanza. In particolare, considerò che i terreni espropriati facevano parte di una superficie più importante che M.K. aveva acquisito del monastero del Santo Dionysios Olympou. Questo aveva acquisito i terreni in causa ipso jure, secondo il diritto ecclesiastico, quando il monastero di Kanales fu annesso al monastero Santo Dionysos Olympou in seguito ad un incendio che l’aveva devastato nel 1933. In più, la corte d’appello ammise che il santo monastero di Kanales, fondato nel 1055, coltivava i terreni in causa, e che in ragione della loro natura, questi erano stati esclusi da un’espropriazione intervenuta nel 1933 per soddisfare ai bisogni di alloggio dei profughi. Notò che ciò che precede era stato confermato dalla decisione di 1946 del ministro dell’agricoltura che autorizzava M.K. a vendere la sua proprietà, decisione no 292/1998.
13. Il 5 febbraio 1999, lo stato greco interpose appello.
14. Il 20 settembre 1999, la corte di appello di Tessalonica confermò la decisione no 292/1998, sentenza no 2730/1999.
15. Il 5 gennaio 2000, lo stato ordinò alla Cassa dei depositi e consegne di versare ai richiedenti, in esecuzione della sentenza no 2730/1999, l’indennità assegnata dalle giurisdizioni interne in ragione dell’espropriazione dei loro terreni, ossia una somma di 64 416 450 dracme (198 357 euro circa).
16. Il 14 marzo 2000, lo stato greco ricorse in cassazione.
17. Il 20 febbraio 2002, l’alta giurisdizione civile annullò la sentenza no 2730/1999 e rinviò la causa dinnanzi alla corte di appello, dopo avere considerato che suddetta giurisdizione non aveva preso in conto dei documenti che avrebbero potuto essere essenziali per la conclusione della causa, sentenza no 315/2002.
18. Il 16 maggio 2003, la corte di appello di Tessalonico annullò la decisione no 292/1998 della corte d’appello di Katerini. La corte di appello notò che l’articolo 21 del decreto legislativo del 22.4/16.5.1926 aveva vietato ogni prescrizione dei diritti dello stato sui terreni di cui era il proprietario, escludendo così la possibilità di acquisizione tramite usucapione su questi. Ricordò che, con la combinazione delle disposizioni del diritto interno, in particolare la legge introduttiva della codice civile, gli articoli 18 e 21 della legge del 21.6/3.7.1837, della legge ΔΞΗ/1912 e dell’articolo 21 del decreto legislativo del 22.4/16.5.1926, risultava che l’acquisizione tramite usucapione ordinaria di un terreno di cui lo stato era il proprietario ufficiale, era autorizzata nel caso dove l’interessato riusciva a stabilire l’occupazione continua del terreno controverso per un periodo che cominciava trent’ anni prima l’ 11 settembre 1915 fino alla data dell’istanza presso la giurisdizione competente. Considerò che gli interessati non erano riusciti a stabilire che i loro predecessori possedevano i terreni in causa per un periodo ininterrotto che prendeva corso nei trent’ anni anteriori al 1915.
19. La corte di appello ammise che, come risultava dalla pratica della causa, all’epoca dell’occupazione ottomana della Grecia, i terreni in causa servivano da pascoli, erano aridi e di conseguenza, secondo il diritto ottomano, il monastero di Kanales non avrebbe potuto diventarne il proprietario. La corte di appello ammise che all’epoca della liberazione della Grecia dall’ascendente turco, lo stato greco diventò proprietario della proprietà controversa. Considerò, in più che M.K. non era mai stato proprietario dei terreni in causa, poiché li aveva acquisiti dal santo monastero di Kanales che, lui stesso, non era mai stato il proprietario. Inoltre, la corte di appello ammise che M.K. aveva approfittato della confusione e delle contestazioni che esistevano tra i servizi dello stato sull’esistenza o la superficie dei diritti di proprietà dello stato sui terreni in causa ed era giunto a fare adottare la decisione no 119272/1946 del ministro dell’agricoltura che gli aveva permesso di procedere alla loro vendita.” La corte di appello considerò che i richiedenti non erano diventati proprietari dei terreni in causa, poiché M.K. non era proprietario all’epoca della transazione e, trattandosi del periodo posteriore, l’acquisizione per usucapione ordinaria contro lo stato non era permessa. Inoltre, la corte di appello considerò che nello specifico, contrariamente a ciò che sostenevano i richiedenti, lo stato greco non aveva esercitato il suo diritto di proprietà in modo abusivo. Concludeva che i richiedenti non erano titolari dell’indennità di espropriazione, sentenza no1498/2003.
20. Il 18 settembre 2003, i richiedenti ricorsero in cassazione. Adducevano in particolare che la motivazione della sentenza no 1498/2003 non era sufficiente e che suddetta giurisdizione non aveva proceduto ad una giusta valutazione delle prove, ivi compresi dei titoli di proprietà.
21. Il 6 giugno 2007, la Corte di cassazione li respinse. Considerò che la sentenza no 1498/2003 non peccava per mancanza di motivazione e che l’amministrazione delle prove da parte della corte di appello era stata pertinente, sentenza no 1292/2007. Questa sentenza fu messa in forma definitiva e fu certificata conforme l’11 luglio 2007.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEL DIRITTO ALLA PROTEZIONE DEI BENI
22. I richiedenti adducono che il diritto alla protezione dei beni è stato raggiunto nello specifico per il fatto che il procedimento in causa non era vincolato dalle garanzie di procedimento necessarie per permettere alle giurisdizioni competenti di decidere equamente la controversia. Rilevano a questo motivo che il carico di stabilire, per ottenere l’indennità di espropriazione, l’occupazione ininterrotta della superficie in causa da parte loro e dei loro predecessori durante un periodo che cominciava trent’anni prima del 1915 e che si concludeva nella data dell’introduzione della loro azione in giustizia, si è rivelato un obbligo procedurale insormontabile. Invocano gli articoli 6 § 1, 13 e 14 della Convenzione così come l’articolo 1 del Protocollo no 1. La Corte esaminerà unicamente suddetto motivo di appello sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, unica disposizione a proposito della quale i richiedenti hanno formulato un motivo di appello preciso e che è anche più pertinente nello specifico. Questo articolo è formulato così:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
1. Tesi delle parti
23. In primo luogo, il Governo afferma che, nelle loro osservazioni, i richiedenti hanno considerato che il modo in cui la corte di appello e la Corte di cassazione hanno trattato la causa era “nettamente e gravemente assurdo.” Stima che si tratta di un modo abusivo di esercitare il ricorso individuale, il che dovrebbe provocare l’inammissibilità della loro richiesta conformemente all’articolo 35 § 3 hanno, della Convenzione.
24. In secondo luogo, il Governo afferma che i richiedenti non hanno esaurito le vie di ricorso interne, poiché non hanno invocato dinnanzi alle giurisdizioni interne la violazione addotta del loro diritto alla protezione dei loro beni. In particolare, il Governo arguisce che i richiedenti hanno omesso di sollevare dinnanzi alle giurisdizioni competenti che l’obbligo imposto dalla legge di provare l’occupazione dei terreni in causa per un periodo ininterrotto che va dai trent’ anni anteriori al 1915 fino ad oggi era contrario all’articolo 1 del Protocollo no 1. Infine, il Governo rileva che il motivo di appello dei richiedenti non è ammissibile ratione materiae. Adduce che le giurisdizioni interne hanno concluso che i richiedenti non erano i proprietari del diritto immobiliare in causa. Pertanto, questi non potrebbero essere considerati come titolari di un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
25. I richiedenti affermano che il merito della controversia dinnanzi alle giurisdizioni interne non riguardava la questione della proprietà dei terreni in causa in quanto tale, ma quell’afferente al titolare dell’indennità dovuta in seguito all’espropriazione del bene immobiliare riguardato. La questione da decidere era di conseguenza, solamente afferente al diritto di proprietà. In più, si riferiva ad un bene reale e bene definito, ossia il versamento dell’indennità di espropriazione.
2. Valutazione della Corte
26. Per ciò che riguarda la prima obiezione sollevata dal Governo, la Corte ricorda che il diritto al ricorso individuale può essere esercitato in modo abusivo, tra l’altro, quando il richiedente utilizza, nella sua comunicazione con la Corte, delle espressioni particolarmente vessatorie, oltraggiose, minacciose o provocatrici-che siano contro il governo convenuto, il suo agente, le autorità dello stato convenuto, la Corte stessa, i suoi giudici, la sua cancelleria o gli agenti di questo ultimo (Miroļubovs ed altri c. Lettonia, no 798/05, § 64, 15 settembre 2009; Duringer e Grunge c. Francia, (dec.), numeri 61164/00 e 18589/02, CEDH 2003-II (brani); Řehák c. Repubblica ceca, (dec.), no 67208/01, 18 maggio 2004). Là ancora, non basta che il linguaggio del richiedente sia semplicemente vivo, polemico o sarcastico; deve superare “i limiti di una critica normale, civica e legittima” per essere qualificato come abusivo, (Di Salvo c. Italia, (dec.), no 16098/05, 11 gennaio 2007). Nell’occorrenza, la Corte nota che l’espressione “assurda”, impiegata dai richiedenti è, probabilmente, viva, tanto più che si riferisce alle sentenze di giustizia. Tuttavia, non raggiunge il livello richiesto per qualificarla o come vessatoria, oltraggiosa, minacciosa provocatrice. Conviene su questo punto notare che si tratta solamente di un termine isolato nelle osservazioni sottoposte dai richiedenti, il che non rinforza l’idea che avevano l’intenzione di esercitare il loro ricorso in modo abusivo. Pertanto, la Corte respinge suddetta obiezione del Governo.
27. Per ciò che riguarda le altre due obiezioni sollevate dal Governo, la Corte stima che sono legate strettamente alla sostanza del motivo di appello articolato dai richiedenti sul terreno dell’articolo 1 del Protocollo no 1 e decide di unirle al merito. Constata peraltro che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Tesi delle parti
28. Il Governo si riferisce alla ragione di essere della regola speciale applicata dalla corte di appello di Tessalonico nell’occorrenza ed afferente alle condizioni di acquisizione tramite usucapione di un bene immobiliare appartenente allo stato. In particolare, arguisce che una differenza tra le condizioni di acquisizione tramite usucapione tra gli individui da una parte e, dall’altra parte, tra gli individui e lo stato è, per principio, ragionevole. Ciò è vero se si prende in particolare in conto le ragioni di interesse pubblico che detterebbero una protezione rinforzata in quanto alle condizioni di acquisizione tramite usucapione di un terreno appartenente alla tenuta privata dello stato. Rileva, in generale, che l’imprescrittibilità della tenuta pubblica non contraddice l’articolo 1 del Protocollo no 1, poiché si tratta di una misura che serve l’interesse generale. Il Governo aggiunge che il diritto interno applicato nello specifico era prevedibile ed accessibile ai richiedenti che dovevano così conoscere le condizioni che permettevano loro di diventare proprietari di un terreno che faceva parte del patrimonio dello stato. Inoltre, il Governo afferma che le giurisdizioni interne hanno concluso proprio che i richiedenti non erano i proprietari dei terreni in causa, poiché il loro predecessore, M.K, li aveva acquisiti da una persona giuridica che non era il proprietario. Il Governo afferma che i richiedenti avrebbero dovuto esaminato con zelo lo stato giuridico dei terreni in causa prima di acquisirli da M.K. e che la situazione nella quale si trovano attualmente non può essere imputabile allo stato ma alla loro negligenza. Secondo il Governo, la giurisdizione civile è l’autorità competente che deve decidere la questione della proprietà di un terreno e non una persona giuridica di diritto pubblico, come l’OGPE o degli organi amministrativi che si pronunciano su delle questioni di espropriazione. Secondo il parere del Governo, questi organi non esaminano sempre in modo approfondito lo statuto giuridico di un terreno e possono, eventualmente, sbagliarsi sul suo proprietario reale.
29. I richiedenti ribattono che il loro motivo di appello non si dirige in generale verso l’imprescrittibilità della tenuta pubblica che è imposta praticamente dal diritto interno. Si lamentano che le giurisdizioni interne abbiano di fatto completamente misconosciuto i titoli di proprietà che hanno depositato presso delle giurisdizioni competenti esaminando la questione della proprietà sui terreni controversi. Affermano che l’interdizione del prescrizione acquisitive contro lo stato è stata applicata nello specifico senza rispettare il principio nemo auditur propriam turpitudinem allegans, ossia che lo stato non può imputare ai richiedenti i suoi propri errori. In particolare, la corte di appello di Tessalonico ha imputato ai richiedenti il fatto che M.K. avrebbe approfittato della confusione e delle contestazioni tra i servizi dello stato sull’esistenza o la superficie dei diritti di proprietà dello stato su suddetti terreni. Ciò facendo, la giurisdizione competente avrebbe disconosciuto completamente la decisione no 119272/1946 del ministro dell’agricoltura. Tale valutazione non sarebbe compatibile con le esigenze del processo equo.
2. Valutazione della Corte
a) Sull’esistenza di un “bene”
30. La Corte esaminerà innanzitutto la questione di sapere se i richiedenti disponevano di un “bene” a sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, un richiedente può addurre una violazione dell’articolo 1 del Protocollo nº 1 solo nella misura in cui le decisioni che incrimina si riferiscono ai suoi “beni” ai sensi di questa disposizione. La nozione di “bene” ha una portata autonoma che non si limita alla proprietà di beni corporali e che è indipendente rispetto alle qualifiche formali del diritto interno: certi altri diritti ed interessi costituenti degli attivi possono passare anche per “diritti patrimoniali” e dunque dei “beni” ai fini di questa disposizione. In ogni causa, importa esaminare se le circostanze, considerate nel loro insieme, hanno reso il richiedente titolare di un interesse sostanziale protetto dall’articolo 1 del Protocollo no 1 (Iatridis c. Grecia [GC], nº 31107/96, § 54, CEDH 1999-II, e Broniowski c. Polonia [GC], nº 31443/96, § 129, CEDH 2004-V).
31. Nell’occorrenza, la Corte osserva che il procedimento controverso era afferente alla riconoscenza dei richiedenti come titolari dell’indennità di espropriazione assegnata dalle giurisdizioni interne (vedere sopra paragrafo 11). La questione della proprietà sui terreni in causa non era così come tale legata indirettamente all’oggetto del procedimento dinnanzi alle giurisdizioni interne nella misura in cui condizionava il versamento dell’indennità di espropriazione ai richiedenti. La Corte rileva tre elementi pertinenti in quanto alla questione di sapere se i richiedenti erano titolari di un “bene” nello specifico. In primo luogo, le giurisdizioni interne avevano fissato in modo definitivo il prezzo unitario di indennizzo, in virtù della sentenza no 3050/1990 della corte di appello di Tessalonico. In secondo luogo, i richiedenti disponevano dell’indennità di espropriazione, quando la corte di appello di Atene conclude, in virtù della sentenza no 1498/2003 che questi non erano proprietari dei terreni in causa e che, pertanto, non erano titolari dell’indennità di espropriazione. Da ultimo, i richiedenti erano diventati proprietari dei terreni riguardati sulla base dei contratti numeri 8341 e 8342/1947 di cui, come risulta dalla pratica, la legalità non era stata contestata nella cornice del procedimento controverso. Alla vista di ciò che precede, la Corte stima che i richiedenti si basavano su degli elementi sufficienti per rivendicare dinnanzi alle giurisdizioni competenti il versamento dell’indennità di espropriazione, dal momento in particolare che la loro istanza si basava su dei titoli di proprietà validi. Di conseguenza, e per i bisogni della presente controversia, la Corte considera che erano titolari di un interesse patrimoniale costituente un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere, mutatis mutandis, Nastou c. Grecia, no 51356/99, § 28, 16 gennaio 2003).
b) Sull’osservazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1
32. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, l’articolo 1 del Protocollo no 1 che garantisce in sostanza il diritto di proprietà, contiene tre norme distinte: la prima che si esprime nella prima frase del primo capoverso e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso capoverso, prevede la privazione di proprietà e la sottopone a certe condizioni; in quanto alla terza, registrata nel secondo capoverso, riconosce agli Stati contraenti il potere, tra altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale. La seconda e la terza norma che hanno fatto riferimento agli esempi particolari di attentati al diritto di proprietà, si devono interpretare alla luce del principio consacrato dalla prima (vedere, tra altre, Anheuser-Busch Inc. c. Portogallo [GC], no 73049/01, § 62, CEDH 2007 -…).
33. Nell’occorrenza, la questione da esaminare verte sulle garanzie che circondano il procedimento giudiziale essendo arrivato al mancato riconoscimento dei richiedenti come titolari dell’indennità di espropriazione. Alla vista delle circostanze particolari dello specifico, la Corte stima che la presente causa non riguarda né un caso di privazione diretta di un bene appartenente ai richiedenti né la regolamentazione dell’uso di questo bene. Pertanto, non può essere archiviata in una categoria precisa dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Quindi, la Corte considera che è necessario esaminarlo alla luce della norma generale di questo articolo.
34. La Corte riafferma che gode di una competenza limitata per verificare il rispetto del diritto interno (Håkansson e Sturesson c. Svezia, 21 febbraio 1990, § 47, serie A no 171-A) e che non ha per compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne. Appartiene al primo capo alle autorità nazionali, in particolare ai corsi e tribunali, che tocca interpretare la legislazione interna (Waite e Kennedy c. Germania [GC], no 26083/94, § 54, CEDH 1999-I). Tuttavia, il ruolo della Corte è di ricercare se i risultati ai quali sono giunte le giurisdizioni nazionali sono compatibili coi diritti garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli.
35. La Corte reitera che in virtù dell’articolo 1 della Convenzione, ogni Stato che contrae ” [riconosceva] ad ogni persona che dipendeva dalla [sua] giurisdizione i diritti e libertà definite [nella] Convenzione.” Questo obbligo di garantire l’esercizio effettivo dei diritti definiti da questo strumento può provocare per lo stato degli obblighi positivi. In simile caso, lo stato non potrebbe limitarsi a rimanere passivo e ” non c’è luogo di distinguere tra atti ed omissioni” (Sovtransavto Holding c. Ucraina, no 48553/99, § 96, CEDH 2002-VII).
36. La Corte ricorda che, nonostante il silenzio dell’articolo 1 del Protocollo no 1 in materia di esigenze procedurali, un procedimento giudiziale afferente al diritto al rispetto dei beni deve offrire alla persona riguardata anche un’occasione adeguata di esporre la sua causa alle autorità competenti per contestare infatti le misure che recano offesa ai diritti garantiti da questa disposizione. Per assicurarsi del rispetto di questa condizione, c’è luogo di considerare i procedimenti applicabili da un punto di vista generale (vedere Jokela c. Finlandia, no 28856/95, § 45, CEDH 2002-IV; Capitale Bank Ad c. Bulgaria, no 49429/99, § 134, CEDH 2005-XII (brani)).
37. Nello specifico, la Corte nota che il diritto interno vieta ogni prescrizione dei diritti dello stato sui terreni di cui è il proprietario, escludendo così la possibilità di acquisizione tramite usucapione su questi. Inoltre, l’acquisizione tramite usucapione ordinaria di un terreno di cui lo stato è il proprietario ufficiale, è autorizzata da eccezione nel caso in cui l’interessato riesce a stabilire l’occupazione continua dei terreni controversi per un periodo che comincia trent’ anni prima dell’ 11 settembre 1915 fino alla data dell’istanza presso la giurisdizione competente. Nella cornice della presente causa, con la sua sentenza no 1498/2003, resa in seguito alla sentenza no 315/2002 della Corte di cassazione, la corte di appello di Tessalonico che aveva in un primo tempo concluso che i richiedenti erano i proprietari dei terreni in causa, ha respinto la loro azione tesa alla loro riconoscenza come titolari dell’indennità di espropriazione. Suddetta giurisdizione ha considerato che i richiedenti non erano riusciti a stabilire che i loro predecessori possedevano i terreni in causa per un periodo ininterrotto che cominciava trent’ anni prima il 1915.
38. La Corte stima necessario circoscrivere l’oggetto della presente causa. Nota innanzitutto che questa non riguarda in generale la questione della compatibilità della regola dell’imprescrittibilità della tenuta pubblica col diritto alla protezione dei beni. Conviene su questo punto rilevare che, come risulta dalla giurisprudenza, l’imprescrittibilità e l’inalienabilità della tenuta pubblica non sollevano, in generale, delle questioni a riguardo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere, in questo senso, Brosset-Triboulet ed altri c. Francia [GC], no 34078/02, § 67, 29 marzo 2010). Del resto, la Corte stima che una differenza tra le condizioni di acquisizione tramite usucapione di un bene immobiliare tra gli individui da una parte e dall’ altra parte tra gli individui e lo stato non sarebbe, in principio, contrario all’articolo 1 del Protocollo no 1. Nella misura in cui la regolamentazione da parte dello stato delle condizioni di usucapione riguarda anche delle questioni di piano di sviluppo del territorio, la Corte ricorda che si tratta di una tenuta in cui gli Stati godono di un grande margine di valutazione (vedere Hamer c. Belgio, no 21861/03, § 78, CEDH 2007-XIII (brani)). In particolare, lo stato non si trova nella stessa posizione di un individuo in quanto alla sua capacità di sorvegliare lo stato della sua proprietà e di essere in cognizione di un sconfinamento potenziale su questa. Tutto sommato, la condizione di un scorrimento di lasso di tempo più lungo in quello dell’usucapione ordinaria da parte dell’individuo a scapito dello stato che in quello dell’acquisizione prescrittiva tra individui, è giustificata per le ragioni di protezione dell’interesse pubblico.
39. Inoltre, la Corte non è chiamata nella presente causa a pronunciarsi sulla questione della proprietà, in quanto tale, dei terreni in causa ma ad esaminare se i richiedenti si sono visti offrire dalle giurisdizioni interne un’occasione adeguata per fare ascoltare i loro argomenti sulla questione che costituiva l’oggetto della controversia, ossia il diritto alla percezione dell’indennità di espropriazione. Su questo punto, la Corte osserva che introducendo il loro ricorso dinnanzi alle giurisdizioni civili, i richiedenti hanno rivendicato l’indennità di espropriazione, in quanto proprietari dei terreni in causa, il che riguarda direttamente il diritto alla protezione dei loro beni consacrati dall’articolo 1 del Protocollo no 1. In più, esercitando il loro ricorso presso la Corte di cassazione contro la sentenza no 1498/2003 della corte di appello di Tessalonico, hanno messo avanti le questioni afferenti al carattere adeguato del procedimento che è oggetto della presente causa. Pertanto, hanno dato alla giurisdizione suprema l’occasione di risanare la situazione di cui si lamentano dinnanzi alla Corte esaurendo le vie di ricorso attualmente disponibili a questo motivo (vedere, tra altre, Vontas ed altri c. Grecia, no 43588/06, § 22, 5 febbraio 2009 e, sul piano dei principi, Fressoz e Roire c. Francia [GC], no 29183/95, § 37, CEDH 1999-I).
40. Volgendosi alla questione di fondo, la Corte rileva innanzitutto che i richiedenti hanno rivendicato la loro riconoscenza come titolari dell’indennità di espropriazione, basandosi su dei titoli di proprietà legale e stabilito secondo il procedimento prescritto dalla legge, ossia dall’intervento di notai e trascrizione dei titoli di proprietà al servizio ipotecario. Si basavano, in particolare, sui contratti i numeri 8341 e 8342/1947, in virtù dei quali il primo richiedente e sua madre avevano acquisito nel 1947 la superficie in causa di M.K, il contratto no 14868/1936 concluso con questo ultimo con l’OGPE e l’autorizzazione no 119272/1946 del ministro dell’agricoltura. La presente causa si distingue da altre già esaminate dalla Corte dunque dove gli interessati fondavano il loro diritto addotto di godere di beni immobiliari, non su dei titoli di proprietà, ma su delle autorizzazioni di occupazione accordate dallo stato o sulla semplice tolleranza da parte delle autorità a riguardo di una situazione illegale (vedere, rispettivamente, Brosset-Triboulet ed altri, precitata, § 70, e Hamer, precitata, § 76).
41. La Corte ricorda che nella maggior parte dei sistemi giuridici contemporanei, i diritti di proprietà immobiliare sono definiti chiaramente dalla legge; un sistema di titoli di proprietà è messo a posto per garantire la sicurezza giuridica in quanto al proprietario di beni immobiliari. Di conseguenza, gli interessati possono basarsi sui loro titoli di proprietà se necessario provare che un bene immobiliare appartiene loro (Vontas, precitata, § 41). Nell’occorrenza, i richiedenti si sono appoggiati dunque legittimamente non solo sui contratti numeri 8341 e 8342/1947, ma anche sul contratto no 14868/1936 concluso col loro predecessore per stabilire i loro diritti di proprietà sui terreni riguardati.
42. La Corte assegna un’importanza particolare al fatto che il precursore dei richiedenti aveva ottenuto da parte del ministro dell’agricoltura la decisione no 119272/1946 secondo la quale gli era stato permesso senza nessuna ambiguità di “vendere la superficie acquisita in virtù del contratto no 14868/1936” a suo gradimento. Questo permesso era necessario secondo la legge per ogni terreno appartenente al patrimonio monastico. Suddetta decisione precisava che M.K. aveva acquisito la superficie riguardata dall’OGPE in virtù del contratto no 14868/1936. La Corte considera dunque che i richiedenti hanno potuto invocare dinnanzi alle giurisdizioni interne delle basi giuridiche solide per fondare il loro diritto di proprietà, ossia il contratto no 14868/1936 e la decisione no 119272/1946 del ministro di agricoltura in quanto allo statuto giuridico dei terreni in causa prima di acquisirli. Difatti, non c’è dubbio che il ministro dell’agricoltura non avrebbe permesso a M.K. di vendere suddetti terreni a terzi, se stimasse che questi facevano parte del patrimonio dello stato.
43. Certo, la corte di appello di Tessalonico non ha, all’epoca del secondo esame della causa, preso in conto l’atto no 119272/1946 del ministro dell’agricoltura dopo avere ammesso che M.K, il precursore dei richiedenti, avrebbe approfittato della ” confusione e delle contestazioni esistenti tra i servizi dello stato sull’esistenza o la superficie del diritto di proprietà dello stato su questi terreni e sarebbe giunto a fare adottare la decisione del ministro dell’agricoltura all’origine della loro vendita.” Ora, la Corte considera che le autorità interne non possono a buono diritto avvalersi della mancanza addotta di concertazione in seno alla loro organizzazione interna in vista di dispensarsi dall’applicazione di atti amministrativi legali (vedere, in questo senso, Hamer, precitatoa, § 76). In più, per ciò che riguarda specificamente tutta la posizione adottata dalla giurisdizione interna, tale modo di giudicare la causa equivale a derivare delle conclusioni negativi a scapito dei giudicabili, in ragione di una situazione concernente la qualità di funzionamento dei servizi statali che, per tanto, non potrebbe essere imputabile loro. Conviene su questo punto notare che la legalità dell’atto no 119272/1946 non è stata contestata, in quanto tale, dalla corte di appello di Tessalonico nella sua sentenza no 1498/2003.
44. La Corte prende nota dell’argomento del Governo, ossia che è la giurisdizione civile che è l’autorità competente per decidere la questione della proprietà di un terreno e non gli organi amministrativi che si pronunciano su delle questioni di espropriazione dello stesso terreno. Conviene infatti col Governo che la giurisdizione competente può decidere senza dubbio in modo definitivo una questione relativa alla proprietà di un bene immobiliare. Tuttavia, ciò non significherebbe che degli atti amministrativi legali, essendo stati adottati dalle autorità competenti a riguardo di questo bene nel frattempo, siano privi di effetti giuridici con la semplice invocazione della confusione o della mancanza di concertazione presunta in seno ai differenti servizi dello stato. Tale approccio contraddice il principio della sicurezza giuridica su cui i giudicabili si basano inevitabilmente per procedere alla transazione di beni immobiliari.
45. Tenuto conto di ciò che precede, la Corte constata che la sentenza no 1498/2003 della corte di appello di Tessalonico, confermata dalla sentenza no 1292/2007 della Corte di cassazione, non ha rispettato i principi giuridici suddetti ed in particolare quello della sicurezza giuridica. Il procedimento seguito dinnanzi alle giurisdizioni interne ha rotto così “il giusto equilibro” tra le esigenze dell’interesse pubblico e gli imperativi della salvaguardia del diritto degli interessati al rispetto dei loro beni. Di conseguenza, lo stato ha mancato al suo obbligo di garantire ai richiedenti il godimento effettivo del loro diritto di proprietà garantita dall’articolo 1 del Protocollo no 1.
Pertanto, la Corte respinge le obiezioni del Governo tratto dall’inammissibilità ratione materiae della richiesta e della mancanza di esaurimento delle vie di ricorso interne e constata che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
II. SULL’APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 41 E 46 DELLA CONVENZIONE
46. Gli articoli 41 e 46 della Convenzione dispongono come segue:
Articolo 41
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
Articolo 46
“1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie alle quali sono parti.
2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione. “
A. Danno
47. I richiedenti affermano che ad oggi, l’amministrazione non ha rivendicato la somma già assegnata a titolo dell’indennità di espropriazione. Rilevano che provano un’inquietudine importante in ragione della probabilità di essere costretti al rimborso allo stato dell’indennità di espropriazione, in seguito alla sentenza no 1498/2003 della corte di appello di Tessalonico, confermata dalla sentenza no 1292/2007 della Corte di cassazione. Richiedono così 20 000 euro (EUR) ciascuno a titolo del danno morale che avrebbero subito.
48. Il Governo afferma che la somma rivendicata dai richiedenti è eccessiva. Stima che una constatazione di violazione costituirebbe in sé una soddisfazione equa sufficiente a titolo del danno morale. A titolo alternativo, adduce che la somma da assegnare a titolo del danno morale non potrebbe superare 10 000 EUR.
49. La Corte stima, contrariamente al Governo, che la constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 non potrebbe riparare sufficientemente il danno morale subito dai richiedenti. Considera in compenso che la somma chiesta è eccessiva. Deliberando in equità, come vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte assegna a ciascuno dei richiedenti 10 000 EUR a titolo del danno morale subito, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta.
50. Inoltre, la Corte sottolinea che in virtù dell’articolo 46 della Convenzione le Parti contraenti si sono avviate a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie alle quali sono parte, il Comitato dei Ministri essendo incaricati di sorvegliarne l’esecuzione. Ne deriva in particolare che lo stato convenuto, riconosciuto responsabile di una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, è chiamato non solo a versare agli interessati la somma assegnata a titolo di soddisfazione equa, ma anche a scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, all’occorrenza, individuali da adottare nel suo ordine giuridico interno per mettere un termine alla violazione constatata dalla Corte e di cancellarne per quanto possibile le conseguenze (vedere, De Clerck c. Belgio, no 34316/02, § 97, 25 settembre 2007). È inoltre sentito che lo stato convenuto resta libero, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, di scegliere i mezzi di liberarsi dal suo obbligo giuridico allo sguardo dell’articolo 46 della Convenzione per quanto questi mezzi siano compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte (Scozzari e Giunta c. Italia [GC] no 39221/98 e 41963/98, ECHR 2000-VIII).
51. Nello specifico, la Corte nota che, come risulta dalla pratica e che è affermato dai richiedenti senza che siano contraddetti dal Governo, questi si sono visti assegnare, in seguito alla sentenza no 2730/1999 della corte di appello di Tessalonico, l’indennità di espropriazione dei terreni controversi (vedere sopra §§ 15 e 47). Ora, la sentenza no 1498/2003 della corte di appello di Tessalonico, confermata dalla sentenza no 1292/2007 della Corte di cassazione, ha concluso che i richiedenti non erano i proprietari dei beni in causa e, pertanto, che non erano titolari dell’indennità di espropriazione. I richiedenti si espongono dunque attualmente al rischio di trovarsi costretti a rimborsare all’amministrazione l’indennità di espropriazione. Tuttavia, la Corte ha concluso, nell’occorrenza, che la sentenza no 1498/2003 della corte di appello di Tessalonico non ha rispettato il principio della sicurezza giuridica, dopo avere considerato in particolare che i richiedenti si basavano su dei titoli di proprietà legale per stabilire il loro diritto di proprietà dinnanzi alle giurisdizioni interne. Di conseguenza, avuto riguardo alle circostanze particolari dello specifico, la Corte considera che la mancanza di rivendicazione da parte delle autorità interne dell’indennità di espropriazione assegnata ai richiedenti costituisce una forma adeguata di risarcimento che permette di mettere in modo effettivo un termine alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 constatata.
B. Oneri e spese
52. I richiedenti non hanno fatto domanda a titolo degli oneri e delle spese. Pertanto, non c’è luogo di concedere alcuna somma a questo titolo.
C. Interessi moratori
53. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Unisce al merito le eccezioni del Governo tratte dall’inammissibilità ratione materiae della richiesta e del non-esaurimento delle vie di ricorso interni e li respingo;
2. Dichiara la richiesta ammissibile;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
4. Stabilisce che lo stato convenuto deve astenersi dal rivendicare l’indennità di espropriazione già assegnata ai richiedenti nella cornice della presente causa;
5. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare a ciascuno dei richiedenti, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 10 000 EUR (diecimila euro) a titolo del danno morale subito, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 4 ottobre 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Søren Nielsen Nina Vajić
Cancelliere Presidentessa