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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE ZAFRANAS c. GRECE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 41, 35, 46, P1-1
Numero: 4056/08/2011
Stato: Grecia
Data: 2011-10-04 00:00:00
Organo: Sezione Prima
Testo Originale

Conclusione Eccezione preliminare unita al merito, ratione materiae,; Eccezione preliminare respinta, ratione materiae,; Eccezione preliminare unita al merito (non-esaurimento delle vie di ricorso interne); Eccezione preliminare respinta (non-esaurimento delle vie di ricorso interne); Violazione di P1-1; Danno morale – risarcimento
PRIMA SEZIONE
CAUSA ZAFRANAS C. GRECIA
(Richiesta no 4056/08)
SENTENZA
STRASBURGO
4 ottobre 2011
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Zafranas c. Grecia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Nina Vajić, presidentessa, Anatoly Kovler, Elisabetta Steiner, Khanlar Hajiyev, Mirjana Lazarova Trajkovska, Linos-Alexandre Sicilianos,
Erik Møse, giudici, e da Søren Nielsen, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 13 settembre 2011,
Rende la sentenza che ha adottata in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 4056/08) diretta contro la Repubblica ellenica e in cui due cittadini di questo Stato, OMISSIS (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 10 gennaio 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono stati rappresentati da D. N., avvocato al foro di Tessalonico. Il governo greco (“il Governo”) è stato rappresentato dal delegato del suo agente, il Sig. K. Georgiadis, assessore presso il Consulente legale dello stato.
3. I richiedenti adducono in particolare una violazione del diritto al rispetto dei loro beni.
4. Il 8 giugno 2009, la vicepresidentessa della prima sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1937 e 1968 e risiedono a Tessalonico.
A. Il contesto della causa
6. I richiedenti sono in possesso di tre terreni di una superficie totale di 29 235 m2 circa, ubicati nei dintorni di Litohoro (nella regione di Pieria, area di “Mavri Petra-Topoliani”). Il primo richiedente fece l’acquisizione, il 19 aprile 1947, di due terreni di una superficie di 13 000 m2 da M.K. in virtù del contratto no 8341/1947. Nel 1986, il primo richiedente trasmise al secondo, tramite donazione, la nuda-proprietà di uno di questi terreni e ne tenne l’usufrutto. Inoltre, il 5 giugno 1991, in virtù del testamento no 13009/1981, la madre del primo richiedente, OMISSIS, gli tramandò il terzo terreno, di una superficie di 16 235 m2. La defunta aveva acquisito suddetto terreno il 19 aprile 1947 di M.K. in virtù del contratto no 8342/1947.
7. M.K. aveva acquisito i terreni in causa il 5 settembre 1936, in virtù del contratto di vendita no 14868/1936, concluso con l’organismo di gestione del patrimonio ecclesiastico (“l’OGPE”) che gestiva il patrimonio del Santo monastero del Santo Dionysios Olympou. Facendo parte i terreni della proprietà monastica, il diritto interno contemplava all’epoca che la loro susseguente vendita agli individui era sottoposta, sotto pena di nullità, ad una decisione del ministro dell’agricoltura che toglieva l’interdizione della transazione.
8. In virtù della decisione no 119272 del 12 novembre 1946, il ministro dell’agricoltura ha tolto l’interdizione di vendita che pesava sui terreni in causa ed aveva permesso a M.K. di “vendere la superficie acquisita in virtù del contratto no 14868/1936” a suo gradimento. Questa decisione precisava che M.K. aveva acquisito la superficie riguardata dall’OGPE in virtù del contratto no 14868/1936.
B. Il procedimento controverso
9. Il 21 gennaio 1988, in virtù dell’atto ministeriale comune no M3553/844, i terreni suddetti furono espropriati al fine della costruzione di una via ferroviaria che collegava Larissa a Plateos Imathias. Con la sua sentenza no 3050/1990, la corte di appello di Tessalonica fissò il prezzo unitario definitivo di indennizzo.
10. All’epoca del procedimento di riconoscenza del titolare dell’indennizzo assegnato dalla corte di appello, lo stato contestò che i richiedenti erano i proprietari dei terreni espropriati e ne rivendicò la proprietà. Il 31 agosto 1990, il tribunale di prima istanza di Katerini si astenne dal pronunciarsi sul titolare dell’indennizzo relativo ai terreni in causa al motivo che lo stato greco aveva sollevato la questione del suo diritto di proprietà, decisione no 146/1990.
11. Il 28 novembre 1991, i richiedenti investirono la corte d’appello di Katerini tesa alla loro riconoscenza come titolari dell’indennità di espropriazione assegnata dalle giurisdizioni interne.
12. Il 30 settembre 1998, la corte d’appello di Katerini fece diritto alla loro istanza. In particolare, considerò che i terreni espropriati facevano parte di una superficie più importante che M.K. aveva acquisito del monastero del Santo Dionysios Olympou. Questo aveva acquisito i terreni in causa ipso jure, secondo il diritto ecclesiastico, quando il monastero di Kanales fu annesso al monastero Santo Dionysos Olympou in seguito ad un incendio che l’aveva devastato nel 1933. In più, la corte d’appello ammise che il santo monastero di Kanales, fondato nel 1055, coltivava i terreni in causa, e che in ragione della loro natura, questi erano stati esclusi da un’espropriazione intervenuta nel 1933 per soddisfare ai bisogni di alloggio dei profughi. Notò che ciò che precede era stato confermato dalla decisione di 1946 del ministro dell’agricoltura che autorizzava M.K. a vendere la sua proprietà, decisione no 292/1998.
13. Il 5 febbraio 1999, lo stato greco interpose appello.
14. Il 20 settembre 1999, la corte di appello di Tessalonica confermò la decisione no 292/1998, sentenza no 2730/1999.
15. Il 5 gennaio 2000, lo stato ordinò alla Cassa dei depositi e consegne di versare ai richiedenti, in esecuzione della sentenza no 2730/1999, l’indennità assegnata dalle giurisdizioni interne in ragione dell’espropriazione dei loro terreni, ossia una somma di 64 416 450 dracme (198 357 euro circa).
16. Il 14 marzo 2000, lo stato greco ricorse in cassazione.
17. Il 20 febbraio 2002, l’alta giurisdizione civile annullò la sentenza no 2730/1999 e rinviò la causa dinnanzi alla corte di appello, dopo avere considerato che suddetta giurisdizione non aveva preso in conto dei documenti che avrebbero potuto essere essenziali per la conclusione della causa, sentenza no 315/2002.
18. Il 16 maggio 2003, la corte di appello di Tessalonico annullò la decisione no 292/1998 della corte d’appello di Katerini. La corte di appello notò che l’articolo 21 del decreto legislativo del 22.4/16.5.1926 aveva vietato ogni prescrizione dei diritti dello stato sui terreni di cui era il proprietario, escludendo così la possibilità di acquisizione tramite usucapione su questi. Ricordò che, con la combinazione delle disposizioni del diritto interno, in particolare la legge introduttiva della codice civile, gli articoli 18 e 21 della legge del 21.6/3.7.1837, della legge ΔΞΗ/1912 e dell’articolo 21 del decreto legislativo del 22.4/16.5.1926, risultava che l’acquisizione tramite usucapione ordinaria di un terreno di cui lo stato era il proprietario ufficiale, era autorizzata nel caso dove l’interessato riusciva a stabilire l’occupazione continua del terreno controverso per un periodo che cominciava trent’ anni prima l’ 11 settembre 1915 fino alla data dell’istanza presso la giurisdizione competente. Considerò che gli interessati non erano riusciti a stabilire che i loro predecessori possedevano i terreni in causa per un periodo ininterrotto che prendeva corso nei trent’ anni anteriori al 1915.
19. La corte di appello ammise che, come risultava dalla pratica della causa, all’epoca dell’occupazione ottomana della Grecia, i terreni in causa servivano da pascoli, erano aridi e di conseguenza, secondo il diritto ottomano, il monastero di Kanales non avrebbe potuto diventarne il proprietario. La corte di appello ammise che all’epoca della liberazione della Grecia dall’ascendente turco, lo stato greco diventò proprietario della proprietà controversa. Considerò, in più che M.K. non era mai stato proprietario dei terreni in causa, poiché li aveva acquisiti dal santo monastero di Kanales che, lui stesso, non era mai stato il proprietario. Inoltre, la corte di appello ammise che M.K. aveva approfittato della confusione e delle contestazioni che esistevano tra i servizi dello stato sull’esistenza o la superficie dei diritti di proprietà dello stato sui terreni in causa ed era giunto a fare adottare la decisione no 119272/1946 del ministro dell’agricoltura che gli aveva permesso di procedere alla loro vendita.” La corte di appello considerò che i richiedenti non erano diventati proprietari dei terreni in causa, poiché M.K. non era proprietario all’epoca della transazione e, trattandosi del periodo posteriore, l’acquisizione per usucapione ordinaria contro lo stato non era permessa. Inoltre, la corte di appello considerò che nello specifico, contrariamente a ciò che sostenevano i richiedenti, lo stato greco non aveva esercitato il suo diritto di proprietà in modo abusivo. Concludeva che i richiedenti non erano titolari dell’indennità di espropriazione, sentenza no1498/2003.
20. Il 18 settembre 2003, i richiedenti ricorsero in cassazione. Adducevano in particolare che la motivazione della sentenza no 1498/2003 non era sufficiente e che suddetta giurisdizione non aveva proceduto ad una giusta valutazione delle prove, ivi compresi dei titoli di proprietà.
21. Il 6 giugno 2007, la Corte di cassazione li respinse. Considerò che la sentenza no 1498/2003 non peccava per mancanza di motivazione e che l’amministrazione delle prove da parte della corte di appello era stata pertinente, sentenza no 1292/2007. Questa sentenza fu messa in forma definitiva e fu certificata conforme l’11 luglio 2007.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEL DIRITTO ALLA PROTEZIONE DEI BENI
22. I richiedenti adducono che il diritto alla protezione dei beni è stato raggiunto nello specifico per il fatto che il procedimento in causa non era vincolato dalle garanzie di procedimento necessarie per permettere alle giurisdizioni competenti di decidere equamente la controversia. Rilevano a questo motivo che il carico di stabilire, per ottenere l’indennità di espropriazione, l’occupazione ininterrotta della superficie in causa da parte loro e dei loro predecessori durante un periodo che cominciava trent’anni prima del 1915 e che si concludeva nella data dell’introduzione della loro azione in giustizia, si è rivelato un obbligo procedurale insormontabile. Invocano gli articoli 6 § 1, 13 e 14 della Convenzione così come l’articolo 1 del Protocollo no 1. La Corte esaminerà unicamente suddetto motivo di appello sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, unica disposizione a proposito della quale i richiedenti hanno formulato un motivo di appello preciso e che è anche più pertinente nello specifico. Questo articolo è formulato così:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
1. Tesi delle parti
23. In primo luogo, il Governo afferma che, nelle loro osservazioni, i richiedenti hanno considerato che il modo in cui la corte di appello e la Corte di cassazione hanno trattato la causa era “nettamente e gravemente assurdo.” Stima che si tratta di un modo abusivo di esercitare il ricorso individuale, il che dovrebbe provocare l’inammissibilità della loro richiesta conformemente all’articolo 35 § 3 hanno, della Convenzione.
24. In secondo luogo, il Governo afferma che i richiedenti non hanno esaurito le vie di ricorso interne, poiché non hanno invocato dinnanzi alle giurisdizioni interne la violazione addotta del loro diritto alla protezione dei loro beni. In particolare, il Governo arguisce che i richiedenti hanno omesso di sollevare dinnanzi alle giurisdizioni competenti che l’obbligo imposto dalla legge di provare l’occupazione dei terreni in causa per un periodo ininterrotto che va dai trent’ anni anteriori al 1915 fino ad oggi era contrario all’articolo 1 del Protocollo no 1. Infine, il Governo rileva che il motivo di appello dei richiedenti non è ammissibile ratione materiae. Adduce che le giurisdizioni interne hanno concluso che i richiedenti non erano i proprietari del diritto immobiliare in causa. Pertanto, questi non potrebbero essere considerati come titolari di un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
25. I richiedenti affermano che il merito della controversia dinnanzi alle giurisdizioni interne non riguardava la questione della proprietà dei terreni in causa in quanto tale, ma quell’afferente al titolare dell’indennità dovuta in seguito all’espropriazione del bene immobiliare riguardato. La questione da decidere era di conseguenza, solamente afferente al diritto di proprietà. In più, si riferiva ad un bene reale e bene definito, ossia il versamento dell’indennità di espropriazione.
2. Valutazione della Corte
26. Per ciò che riguarda la prima obiezione sollevata dal Governo, la Corte ricorda che il diritto al ricorso individuale può essere esercitato in modo abusivo, tra l’altro, quando il richiedente utilizza, nella sua comunicazione con la Corte, delle espressioni particolarmente vessatorie, oltraggiose, minacciose o provocatrici-che siano contro il governo convenuto, il suo agente, le autorità dello stato convenuto, la Corte stessa, i suoi giudici, la sua cancelleria o gli agenti di questo ultimo (Miroļubovs ed altri c. Lettonia, no 798/05, § 64, 15 settembre 2009; Duringer e Grunge c. Francia, (dec.), numeri 61164/00 e 18589/02, CEDH 2003-II (brani); Řehák c. Repubblica ceca, (dec.), no 67208/01, 18 maggio 2004). Là ancora, non basta che il linguaggio del richiedente sia semplicemente vivo, polemico o sarcastico; deve superare “i limiti di una critica normale, civica e legittima” per essere qualificato come abusivo, (Di Salvo c. Italia, (dec.), no 16098/05, 11 gennaio 2007). Nell’occorrenza, la Corte nota che l’espressione “assurda”, impiegata dai richiedenti è, probabilmente, viva, tanto più che si riferisce alle sentenze di giustizia. Tuttavia, non raggiunge il livello richiesto per qualificarla o come vessatoria, oltraggiosa, minacciosa provocatrice. Conviene su questo punto notare che si tratta solamente di un termine isolato nelle osservazioni sottoposte dai richiedenti, il che non rinforza l’idea che avevano l’intenzione di esercitare il loro ricorso in modo abusivo. Pertanto, la Corte respinge suddetta obiezione del Governo.
27. Per ciò che riguarda le altre due obiezioni sollevate dal Governo, la Corte stima che sono legate strettamente alla sostanza del motivo di appello articolato dai richiedenti sul terreno dell’articolo 1 del Protocollo no 1 e decide di unirle al merito. Constata peraltro che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Tesi delle parti
28. Il Governo si riferisce alla ragione di essere della regola speciale applicata dalla corte di appello di Tessalonico nell’occorrenza ed afferente alle condizioni di acquisizione tramite usucapione di un bene immobiliare appartenente allo stato. In particolare, arguisce che una differenza tra le condizioni di acquisizione tramite usucapione tra gli individui da una parte e, dall’altra parte, tra gli individui e lo stato è, per principio, ragionevole. Ciò è vero se si prende in particolare in conto le ragioni di interesse pubblico che detterebbero una protezione rinforzata in quanto alle condizioni di acquisizione tramite usucapione di un terreno appartenente alla tenuta privata dello stato. Rileva, in generale, che l’imprescrittibilità della tenuta pubblica non contraddice l’articolo 1 del Protocollo no 1, poiché si tratta di una misura che serve l’interesse generale. Il Governo aggiunge che il diritto interno applicato nello specifico era prevedibile ed accessibile ai richiedenti che dovevano così conoscere le condizioni che permettevano loro di diventare proprietari di un terreno che faceva parte del patrimonio dello stato. Inoltre, il Governo afferma che le giurisdizioni interne hanno concluso proprio che i richiedenti non erano i proprietari dei terreni in causa, poiché il loro predecessore, M.K, li aveva acquisiti da una persona giuridica che non era il proprietario. Il Governo afferma che i richiedenti avrebbero dovuto esaminato con zelo lo stato giuridico dei terreni in causa prima di acquisirli da M.K. e che la situazione nella quale si trovano attualmente non può essere imputabile allo stato ma alla loro negligenza. Secondo il Governo, la giurisdizione civile è l’autorità competente che deve decidere la questione della proprietà di un terreno e non una persona giuridica di diritto pubblico, come l’OGPE o degli organi amministrativi che si pronunciano su delle questioni di espropriazione. Secondo il parere del Governo, questi organi non esaminano sempre in modo approfondito lo statuto giuridico di un terreno e possono, eventualmente, sbagliarsi sul suo proprietario reale.
29. I richiedenti ribattono che il loro motivo di appello non si dirige in generale verso l’imprescrittibilità della tenuta pubblica che è imposta praticamente dal diritto interno. Si lamentano che le giurisdizioni interne abbiano di fatto completamente misconosciuto i titoli di proprietà che hanno depositato presso delle giurisdizioni competenti esaminando la questione della proprietà sui terreni controversi. Affermano che l’interdizione del prescrizione acquisitive contro lo stato è stata applicata nello specifico senza rispettare il principio nemo auditur propriam turpitudinem allegans, ossia che lo stato non può imputare ai richiedenti i suoi propri errori. In particolare, la corte di appello di Tessalonico ha imputato ai richiedenti il fatto che M.K. avrebbe approfittato della confusione e delle contestazioni tra i servizi dello stato sull’esistenza o la superficie dei diritti di proprietà dello stato su suddetti terreni. Ciò facendo, la giurisdizione competente avrebbe disconosciuto completamente la decisione no 119272/1946 del ministro dell’agricoltura. Tale valutazione non sarebbe compatibile con le esigenze del processo equo.
2. Valutazione della Corte
a) Sull’esistenza di un “bene”
30. La Corte esaminerà innanzitutto la questione di sapere se i richiedenti disponevano di un “bene” a sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, un richiedente può addurre una violazione dell’articolo 1 del Protocollo nº 1 solo nella misura in cui le decisioni che incrimina si riferiscono ai suoi “beni” ai sensi di questa disposizione. La nozione di “bene” ha una portata autonoma che non si limita alla proprietà di beni corporali e che è indipendente rispetto alle qualifiche formali del diritto interno: certi altri diritti ed interessi costituenti degli attivi possono passare anche per “diritti patrimoniali” e dunque dei “beni” ai fini di questa disposizione. In ogni causa, importa esaminare se le circostanze, considerate nel loro insieme, hanno reso il richiedente titolare di un interesse sostanziale protetto dall’articolo 1 del Protocollo no 1 (Iatridis c. Grecia [GC], nº 31107/96, § 54, CEDH 1999-II, e Broniowski c. Polonia [GC], nº 31443/96, § 129, CEDH 2004-V).
31. Nell’occorrenza, la Corte osserva che il procedimento controverso era afferente alla riconoscenza dei richiedenti come titolari dell’indennità di espropriazione assegnata dalle giurisdizioni interne (vedere sopra paragrafo 11). La questione della proprietà sui terreni in causa non era così come tale legata indirettamente all’oggetto del procedimento dinnanzi alle giurisdizioni interne nella misura in cui condizionava il versamento dell’indennità di espropriazione ai richiedenti. La Corte rileva tre elementi pertinenti in quanto alla questione di sapere se i richiedenti erano titolari di un “bene” nello specifico. In primo luogo, le giurisdizioni interne avevano fissato in modo definitivo il prezzo unitario di indennizzo, in virtù della sentenza no 3050/1990 della corte di appello di Tessalonico. In secondo luogo, i richiedenti disponevano dell’indennità di espropriazione, quando la corte di appello di Atene conclude, in virtù della sentenza no 1498/2003 che questi non erano proprietari dei terreni in causa e che, pertanto, non erano titolari dell’indennità di espropriazione. Da ultimo, i richiedenti erano diventati proprietari dei terreni riguardati sulla base dei contratti numeri 8341 e 8342/1947 di cui, come risulta dalla pratica, la legalità non era stata contestata nella cornice del procedimento controverso. Alla vista di ciò che precede, la Corte stima che i richiedenti si basavano su degli elementi sufficienti per rivendicare dinnanzi alle giurisdizioni competenti il versamento dell’indennità di espropriazione, dal momento in particolare che la loro istanza si basava su dei titoli di proprietà validi. Di conseguenza, e per i bisogni della presente controversia, la Corte considera che erano titolari di un interesse patrimoniale costituente un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere, mutatis mutandis, Nastou c. Grecia, no 51356/99, § 28, 16 gennaio 2003).
b) Sull’osservazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1
32. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, l’articolo 1 del Protocollo no 1 che garantisce in sostanza il diritto di proprietà, contiene tre norme distinte: la prima che si esprime nella prima frase del primo capoverso e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso capoverso, prevede la privazione di proprietà e la sottopone a certe condizioni; in quanto alla terza, registrata nel secondo capoverso, riconosce agli Stati contraenti il potere, tra altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale. La seconda e la terza norma che hanno fatto riferimento agli esempi particolari di attentati al diritto di proprietà, si devono interpretare alla luce del principio consacrato dalla prima (vedere, tra altre, Anheuser-Busch Inc. c. Portogallo [GC], no 73049/01, § 62, CEDH 2007 -…).
33. Nell’occorrenza, la questione da esaminare verte sulle garanzie che circondano il procedimento giudiziale essendo arrivato al mancato riconoscimento dei richiedenti come titolari dell’indennità di espropriazione. Alla vista delle circostanze particolari dello specifico, la Corte stima che la presente causa non riguarda né un caso di privazione diretta di un bene appartenente ai richiedenti né la regolamentazione dell’uso di questo bene. Pertanto, non può essere archiviata in una categoria precisa dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Quindi, la Corte considera che è necessario esaminarlo alla luce della norma generale di questo articolo.
34. La Corte riafferma che gode di una competenza limitata per verificare il rispetto del diritto interno (Håkansson e Sturesson c. Svezia, 21 febbraio 1990, § 47, serie A no 171-A) e che non ha per compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne. Appartiene al primo capo alle autorità nazionali, in particolare ai corsi e tribunali, che tocca interpretare la legislazione interna (Waite e Kennedy c. Germania [GC], no 26083/94, § 54, CEDH 1999-I). Tuttavia, il ruolo della Corte è di ricercare se i risultati ai quali sono giunte le giurisdizioni nazionali sono compatibili coi diritti garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli.
35. La Corte reitera che in virtù dell’articolo 1 della Convenzione, ogni Stato che contrae ” [riconosceva] ad ogni persona che dipendeva dalla [sua] giurisdizione i diritti e libertà definite [nella] Convenzione.” Questo obbligo di garantire l’esercizio effettivo dei diritti definiti da questo strumento può provocare per lo stato degli obblighi positivi. In simile caso, lo stato non potrebbe limitarsi a rimanere passivo e ” non c’è luogo di distinguere tra atti ed omissioni” (Sovtransavto Holding c. Ucraina, no 48553/99, § 96, CEDH 2002-VII).
36. La Corte ricorda che, nonostante il silenzio dell’articolo 1 del Protocollo no 1 in materia di esigenze procedurali, un procedimento giudiziale afferente al diritto al rispetto dei beni deve offrire alla persona riguardata anche un’occasione adeguata di esporre la sua causa alle autorità competenti per contestare infatti le misure che recano offesa ai diritti garantiti da questa disposizione. Per assicurarsi del rispetto di questa condizione, c’è luogo di considerare i procedimenti applicabili da un punto di vista generale (vedere Jokela c. Finlandia, no 28856/95, § 45, CEDH 2002-IV; Capitale Bank Ad c. Bulgaria, no 49429/99, § 134, CEDH 2005-XII (brani)).
37. Nello specifico, la Corte nota che il diritto interno vieta ogni prescrizione dei diritti dello stato sui terreni di cui è il proprietario, escludendo così la possibilità di acquisizione tramite usucapione su questi. Inoltre, l’acquisizione tramite usucapione ordinaria di un terreno di cui lo stato è il proprietario ufficiale, è autorizzata da eccezione nel caso in cui l’interessato riesce a stabilire l’occupazione continua dei terreni controversi per un periodo che comincia trent’ anni prima dell’ 11 settembre 1915 fino alla data dell’istanza presso la giurisdizione competente. Nella cornice della presente causa, con la sua sentenza no 1498/2003, resa in seguito alla sentenza no 315/2002 della Corte di cassazione, la corte di appello di Tessalonico che aveva in un primo tempo concluso che i richiedenti erano i proprietari dei terreni in causa, ha respinto la loro azione tesa alla loro riconoscenza come titolari dell’indennità di espropriazione. Suddetta giurisdizione ha considerato che i richiedenti non erano riusciti a stabilire che i loro predecessori possedevano i terreni in causa per un periodo ininterrotto che cominciava trent’ anni prima il 1915.
38. La Corte stima necessario circoscrivere l’oggetto della presente causa. Nota innanzitutto che questa non riguarda in generale la questione della compatibilità della regola dell’imprescrittibilità della tenuta pubblica col diritto alla protezione dei beni. Conviene su questo punto rilevare che, come risulta dalla giurisprudenza, l’imprescrittibilità e l’inalienabilità della tenuta pubblica non sollevano, in generale, delle questioni a riguardo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere, in questo senso, Brosset-Triboulet ed altri c. Francia [GC], no 34078/02, § 67, 29 marzo 2010). Del resto, la Corte stima che una differenza tra le condizioni di acquisizione tramite usucapione di un bene immobiliare tra gli individui da una parte e dall’ altra parte tra gli individui e lo stato non sarebbe, in principio, contrario all’articolo 1 del Protocollo no 1. Nella misura in cui la regolamentazione da parte dello stato delle condizioni di usucapione riguarda anche delle questioni di piano di sviluppo del territorio, la Corte ricorda che si tratta di una tenuta in cui gli Stati godono di un grande margine di valutazione (vedere Hamer c. Belgio, no 21861/03, § 78, CEDH 2007-XIII (brani)). In particolare, lo stato non si trova nella stessa posizione di un individuo in quanto alla sua capacità di sorvegliare lo stato della sua proprietà e di essere in cognizione di un sconfinamento potenziale su questa. Tutto sommato, la condizione di un scorrimento di lasso di tempo più lungo in quello dell’usucapione ordinaria da parte dell’individuo a scapito dello stato che in quello dell’acquisizione prescrittiva tra individui, è giustificata per le ragioni di protezione dell’interesse pubblico.
39. Inoltre, la Corte non è chiamata nella presente causa a pronunciarsi sulla questione della proprietà, in quanto tale, dei terreni in causa ma ad esaminare se i richiedenti si sono visti offrire dalle giurisdizioni interne un’occasione adeguata per fare ascoltare i loro argomenti sulla questione che costituiva l’oggetto della controversia, ossia il diritto alla percezione dell’indennità di espropriazione. Su questo punto, la Corte osserva che introducendo il loro ricorso dinnanzi alle giurisdizioni civili, i richiedenti hanno rivendicato l’indennità di espropriazione, in quanto proprietari dei terreni in causa, il che riguarda direttamente il diritto alla protezione dei loro beni consacrati dall’articolo 1 del Protocollo no 1. In più, esercitando il loro ricorso presso la Corte di cassazione contro la sentenza no 1498/2003 della corte di appello di Tessalonico, hanno messo avanti le questioni afferenti al carattere adeguato del procedimento che è oggetto della presente causa. Pertanto, hanno dato alla giurisdizione suprema l’occasione di risanare la situazione di cui si lamentano dinnanzi alla Corte esaurendo le vie di ricorso attualmente disponibili a questo motivo (vedere, tra altre, Vontas ed altri c. Grecia, no 43588/06, § 22, 5 febbraio 2009 e, sul piano dei principi, Fressoz e Roire c. Francia [GC], no 29183/95, § 37, CEDH 1999-I).
40. Volgendosi alla questione di fondo, la Corte rileva innanzitutto che i richiedenti hanno rivendicato la loro riconoscenza come titolari dell’indennità di espropriazione, basandosi su dei titoli di proprietà legale e stabilito secondo il procedimento prescritto dalla legge, ossia dall’intervento di notai e trascrizione dei titoli di proprietà al servizio ipotecario. Si basavano, in particolare, sui contratti i numeri 8341 e 8342/1947, in virtù dei quali il primo richiedente e sua madre avevano acquisito nel 1947 la superficie in causa di M.K, il contratto no 14868/1936 concluso con questo ultimo con l’OGPE e l’autorizzazione no 119272/1946 del ministro dell’agricoltura. La presente causa si distingue da altre già esaminate dalla Corte dunque dove gli interessati fondavano il loro diritto addotto di godere di beni immobiliari, non su dei titoli di proprietà, ma su delle autorizzazioni di occupazione accordate dallo stato o sulla semplice tolleranza da parte delle autorità a riguardo di una situazione illegale (vedere, rispettivamente, Brosset-Triboulet ed altri, precitata, § 70, e Hamer, precitata, § 76).
41. La Corte ricorda che nella maggior parte dei sistemi giuridici contemporanei, i diritti di proprietà immobiliare sono definiti chiaramente dalla legge; un sistema di titoli di proprietà è messo a posto per garantire la sicurezza giuridica in quanto al proprietario di beni immobiliari. Di conseguenza, gli interessati possono basarsi sui loro titoli di proprietà se necessario provare che un bene immobiliare appartiene loro (Vontas, precitata, § 41). Nell’occorrenza, i richiedenti si sono appoggiati dunque legittimamente non solo sui contratti numeri 8341 e 8342/1947, ma anche sul contratto no 14868/1936 concluso col loro predecessore per stabilire i loro diritti di proprietà sui terreni riguardati.
42. La Corte assegna un’importanza particolare al fatto che il precursore dei richiedenti aveva ottenuto da parte del ministro dell’agricoltura la decisione no 119272/1946 secondo la quale gli era stato permesso senza nessuna ambiguità di “vendere la superficie acquisita in virtù del contratto no 14868/1936” a suo gradimento. Questo permesso era necessario secondo la legge per ogni terreno appartenente al patrimonio monastico. Suddetta decisione precisava che M.K. aveva acquisito la superficie riguardata dall’OGPE in virtù del contratto no 14868/1936. La Corte considera dunque che i richiedenti hanno potuto invocare dinnanzi alle giurisdizioni interne delle basi giuridiche solide per fondare il loro diritto di proprietà, ossia il contratto no 14868/1936 e la decisione no 119272/1946 del ministro di agricoltura in quanto allo statuto giuridico dei terreni in causa prima di acquisirli. Difatti, non c’è dubbio che il ministro dell’agricoltura non avrebbe permesso a M.K. di vendere suddetti terreni a terzi, se stimasse che questi facevano parte del patrimonio dello stato.
43. Certo, la corte di appello di Tessalonico non ha, all’epoca del secondo esame della causa, preso in conto l’atto no 119272/1946 del ministro dell’agricoltura dopo avere ammesso che M.K, il precursore dei richiedenti, avrebbe approfittato della ” confusione e delle contestazioni esistenti tra i servizi dello stato sull’esistenza o la superficie del diritto di proprietà dello stato su questi terreni e sarebbe giunto a fare adottare la decisione del ministro dell’agricoltura all’origine della loro vendita.” Ora, la Corte considera che le autorità interne non possono a buono diritto avvalersi della mancanza addotta di concertazione in seno alla loro organizzazione interna in vista di dispensarsi dall’applicazione di atti amministrativi legali (vedere, in questo senso, Hamer, precitatoa, § 76). In più, per ciò che riguarda specificamente tutta la posizione adottata dalla giurisdizione interna, tale modo di giudicare la causa equivale a derivare delle conclusioni negativi a scapito dei giudicabili, in ragione di una situazione concernente la qualità di funzionamento dei servizi statali che, per tanto, non potrebbe essere imputabile loro. Conviene su questo punto notare che la legalità dell’atto no 119272/1946 non è stata contestata, in quanto tale, dalla corte di appello di Tessalonico nella sua sentenza no 1498/2003.
44. La Corte prende nota dell’argomento del Governo, ossia che è la giurisdizione civile che è l’autorità competente per decidere la questione della proprietà di un terreno e non gli organi amministrativi che si pronunciano su delle questioni di espropriazione dello stesso terreno. Conviene infatti col Governo che la giurisdizione competente può decidere senza dubbio in modo definitivo una questione relativa alla proprietà di un bene immobiliare. Tuttavia, ciò non significherebbe che degli atti amministrativi legali, essendo stati adottati dalle autorità competenti a riguardo di questo bene nel frattempo, siano privi di effetti giuridici con la semplice invocazione della confusione o della mancanza di concertazione presunta in seno ai differenti servizi dello stato. Tale approccio contraddice il principio della sicurezza giuridica su cui i giudicabili si basano inevitabilmente per procedere alla transazione di beni immobiliari.
45. Tenuto conto di ciò che precede, la Corte constata che la sentenza no 1498/2003 della corte di appello di Tessalonico, confermata dalla sentenza no 1292/2007 della Corte di cassazione, non ha rispettato i principi giuridici suddetti ed in particolare quello della sicurezza giuridica. Il procedimento seguito dinnanzi alle giurisdizioni interne ha rotto così “il giusto equilibro” tra le esigenze dell’interesse pubblico e gli imperativi della salvaguardia del diritto degli interessati al rispetto dei loro beni. Di conseguenza, lo stato ha mancato al suo obbligo di garantire ai richiedenti il godimento effettivo del loro diritto di proprietà garantita dall’articolo 1 del Protocollo no 1.
Pertanto, la Corte respinge le obiezioni del Governo tratto dall’inammissibilità ratione materiae della richiesta e della mancanza di esaurimento delle vie di ricorso interne e constata che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
II. SULL’APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 41 E 46 DELLA CONVENZIONE
46. Gli articoli 41 e 46 della Convenzione dispongono come segue:
Articolo 41
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
Articolo 46
“1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie alle quali sono parti.
2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione. “
A. Danno
47. I richiedenti affermano che ad oggi, l’amministrazione non ha rivendicato la somma già assegnata a titolo dell’indennità di espropriazione. Rilevano che provano un’inquietudine importante in ragione della probabilità di essere costretti al rimborso allo stato dell’indennità di espropriazione, in seguito alla sentenza no 1498/2003 della corte di appello di Tessalonico, confermata dalla sentenza no 1292/2007 della Corte di cassazione. Richiedono così 20 000 euro (EUR) ciascuno a titolo del danno morale che avrebbero subito.
48. Il Governo afferma che la somma rivendicata dai richiedenti è eccessiva. Stima che una constatazione di violazione costituirebbe in sé una soddisfazione equa sufficiente a titolo del danno morale. A titolo alternativo, adduce che la somma da assegnare a titolo del danno morale non potrebbe superare 10 000 EUR.
49. La Corte stima, contrariamente al Governo, che la constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 non potrebbe riparare sufficientemente il danno morale subito dai richiedenti. Considera in compenso che la somma chiesta è eccessiva. Deliberando in equità, come vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte assegna a ciascuno dei richiedenti 10 000 EUR a titolo del danno morale subito, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta.
50. Inoltre, la Corte sottolinea che in virtù dell’articolo 46 della Convenzione le Parti contraenti si sono avviate a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie alle quali sono parte, il Comitato dei Ministri essendo incaricati di sorvegliarne l’esecuzione. Ne deriva in particolare che lo stato convenuto, riconosciuto responsabile di una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, è chiamato non solo a versare agli interessati la somma assegnata a titolo di soddisfazione equa, ma anche a scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, all’occorrenza, individuali da adottare nel suo ordine giuridico interno per mettere un termine alla violazione constatata dalla Corte e di cancellarne per quanto possibile le conseguenze (vedere, De Clerck c. Belgio, no 34316/02, § 97, 25 settembre 2007). È inoltre sentito che lo stato convenuto resta libero, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, di scegliere i mezzi di liberarsi dal suo obbligo giuridico allo sguardo dell’articolo 46 della Convenzione per quanto questi mezzi siano compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte (Scozzari e Giunta c. Italia [GC] no 39221/98 e 41963/98, ECHR 2000-VIII).
51. Nello specifico, la Corte nota che, come risulta dalla pratica e che è affermato dai richiedenti senza che siano contraddetti dal Governo, questi si sono visti assegnare, in seguito alla sentenza no 2730/1999 della corte di appello di Tessalonico, l’indennità di espropriazione dei terreni controversi (vedere sopra §§ 15 e 47). Ora, la sentenza no 1498/2003 della corte di appello di Tessalonico, confermata dalla sentenza no 1292/2007 della Corte di cassazione, ha concluso che i richiedenti non erano i proprietari dei beni in causa e, pertanto, che non erano titolari dell’indennità di espropriazione. I richiedenti si espongono dunque attualmente al rischio di trovarsi costretti a rimborsare all’amministrazione l’indennità di espropriazione. Tuttavia, la Corte ha concluso, nell’occorrenza, che la sentenza no 1498/2003 della corte di appello di Tessalonico non ha rispettato il principio della sicurezza giuridica, dopo avere considerato in particolare che i richiedenti si basavano su dei titoli di proprietà legale per stabilire il loro diritto di proprietà dinnanzi alle giurisdizioni interne. Di conseguenza, avuto riguardo alle circostanze particolari dello specifico, la Corte considera che la mancanza di rivendicazione da parte delle autorità interne dell’indennità di espropriazione assegnata ai richiedenti costituisce una forma adeguata di risarcimento che permette di mettere in modo effettivo un termine alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 constatata.
B. Oneri e spese
52. I richiedenti non hanno fatto domanda a titolo degli oneri e delle spese. Pertanto, non c’è luogo di concedere alcuna somma a questo titolo.
C. Interessi moratori
53. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Unisce al merito le eccezioni del Governo tratte dall’inammissibilità ratione materiae della richiesta e del non-esaurimento delle vie di ricorso interni e li respingo;
2. Dichiara la richiesta ammissibile;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
4. Stabilisce che lo stato convenuto deve astenersi dal rivendicare l’indennità di espropriazione già assegnata ai richiedenti nella cornice della presente causa;
5. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare a ciascuno dei richiedenti, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 10 000 EUR (diecimila euro) a titolo del danno morale subito, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 4 ottobre 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Søren Nielsen Nina Vajić
Cancelliere Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusion Exception préliminaire jointe au fond (ratione materiae) ; Exception préliminaire rejetée (ratione materiae) ; Exception préliminaire jointe au fond (non-épuisement des voies de recours internes) ; Exception préliminaire rejetée (non-épuisement des voies de recours internes) ; Violation de P1-1 ; Préjudice morale – réparation
PREMIÈRE SECTION
AFFAIRE ZAFRANAS c. GRÈCE
(Requête no 4056/08)
ARRÊT
STRASBOURG
4 octobre 2011
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Zafranas c. Grèce,
La Cour européenne des droits de l’homme (première section), siégeant en une chambre composée de :
Nina Vajić, présidente,
Anatoly Kovler,
Elisabeth Steiner,
Khanlar Hajiyev,
Mirjana Lazarova Trajkovska,
Linos-Alexandre Sicilianos,
Erik Møse, juges,
et de Søren Nielsen, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 13 septembre 2011,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 4056/08) dirigée contre la République hellénique et dont deux ressortissants de cet Etat, OMISSIS (« les requérants »), ont saisi la Cour le 10 janvier 2008 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants ont été représentés par Me D. N., avocat au barreau de Thessalonique. Le gouvernement grec (« le Gouvernement ») a été représenté par le délégué de son agent, M. K. Georgiadis, assesseur auprès du Conseil juridique de l’Etat.
3. Les requérants allèguent en particulier une violation du droit au respect de leurs biens.
4. Le 8 juin 2009, la vice-présidente de la première section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Les requérants sont nés respectivement en 1937 et 1968 et résident à Thessalonique.
A. Le contexte de l’affaire
6. Les requérants sont en possession de trois terrains d’une superficie totale de 29 235 m2 environ, sis aux alentours de Litohoro, dans la région de Pieria (aire de « Mavri Petra-Topoliani »). Le premier requérant fit l’acquisition, le 19 avril 1947, de deux terrains d’une superficie de 13 000 m2 de M.K. en vertu du contrat no 8341/1947. En 1986, le premier requérant transmit au second, par voie de donation, la nue-propriété de l’un de ces terrains et en garda l’usufruit. En outre, le 5 juin 1991, en vertu du testament no 13009/1981, la mère du premier requérant, OMISSIS, lui légua le troisième terrain, d’une superficie de 16 235 m2. La défunte avait acquis ledit terrain le 19 avril 1947 de M.K. en vertu du contrat no 8342/1947.
7. M.K. avait acquis les terrains en cause le 5 septembre 1936, en vertu du contrat de vente no 14868/1936, conclu avec l’Organisme de gestion du patrimoine ecclésiastique (« l’OGPE »), qui gérait le patrimoine du Saint monastère de Saint Dionysios Olympou. Les terrains faisant partie de la propriété monastique, le droit interne prévoyait à l’époque que leur vente subséquente à des particuliers était soumise, sous peine de nullité, à une décision du ministre de l’Agriculture levant l’interdiction de la transaction.
8. En vertu de la décision no 119272 du 12 novembre 1946, le ministre de l’Agriculture a levé l’interdiction de vente pesant sur les terrains en cause et avait permis à M.K. de « vendre à son gré la superficie acquise en vertu du contrat no 14868/1936 ». Cette décision précisait que M.K. avait acquis la superficie concernée par l’OGPE en vertu du contrat no 14868/1936.
B. La procédure litigieuse
9. Le 21 janvier 1988, en vertu de l’acte ministériel commun no M3553/844, les terrains susmentionnés furent expropriés aux fins de construction d’une voie ferroviaire reliant Larissa à Plateos Imathias. Par son arrêt no 3050/1990, la cour d’appel de Thessalonique fixa le prix unitaire définitif d’indemnisation.
10. Lors de la procédure de reconnaissance du titulaire de l’indemnisation allouée par la cour d’appel, l’Etat contesta que les requérants étaient les propriétaires des terrains expropriés et en revendiqua la propriété. Le 31 août 1990, le tribunal de première instance de Katerini s’abstint de se prononcer sur le titulaire de l’indemnisation relative aux terrains en cause au motif que l’Etat grec avait soulevé la question de son droit de propriété (décision no 146/1990).
11. Le 28 novembre 1991, les requérants saisirent le tribunal de grande instance de Katerini tendant à leur reconnaissance comme titulaires de l’indemnité d’expropriation allouée par les juridictions internes.
12. Le 30 septembre 1998, le tribunal de grande instance de Katerini fit droit à leur demande. En particulier, il considéra que les terrains expropriés faisaient partie d’une superficie plus importante que M.K. avait acquise du monastère de Saint Dionysios Olympou. Celui-ci avait acquis les terrains en cause ipso jure, selon le droit ecclésiastique, lorsque le monastère de Kanales fut annexé au monastère Saint Dionysos Olympou suite à un incendie qui l’avait ravagé en 1933. De plus, le tribunal de grande instance admit que le saint monastère de Kanales, fondé en 1055, cultivait les terrains en cause, et qu’en raison de leur nature, ceux-ci avaient été exclus d’une expropriation intervenue en 1933 pour satisfaire aux besoins de logement de réfugiés. Il nota que ce qui précède avait été confirmé par la décision de 1946 du ministre de l’Agriculture autorisant M.K. à vendre sa propriété (décision no 292/1998).
13. Le 5 février 1999, l’Etat grec interjeta appel.
14. Le 20 septembre 1999, la cour d’appel de Thessalonique confirma la décision no 292/1998 (arrêt no 2730/1999).
15. Le 5 janvier 2000, l’Etat ordonna à la Caisse des dépôts et consignations de verser aux requérants, en exécution de l’arrêt no 2730/1999, l’indemnité allouée par les juridictions internes en raison de l’expropriation de leurs terrains, à savoir une somme de 64 416 450 drachmes (198 357 euros environ).
16. Le 14 mars 2000, l’Etat grec se pourvut en cassation.
17. Le 20 février 2002, la haute juridiction civile cassa l’arrêt no 2730/1999 et renvoya l’affaire devant la cour d’appel, après avoir considéré que ladite juridiction n’avait pas pris en compte des documents qui pourraient être essentiels pour l’issue de l’affaire (arrêt no 315/2002).
18. Le 16 mai 2003, la cour d’appel de Thessalonique infirma la décision no 292/1998 du tribunal de grande instance de Katerini. La cour d’appel nota que l’article 21 du décret législatif du 22.4/16.5.1926 avait interdit toute prescription des droits de l’Etat sur les terrains dont il était le propriétaire, excluant ainsi la possibilité d’acquisition par voie d’usucapion sur ceux-ci. Elle rappela que, par la combinaison des dispositions du droit interne, notamment la loi introductive du code civile, les articles 18 et 21 de la loi du 21.6/3.7.1837, de la loi ΔΞΗ/1912 et de l’article 21 du décret législatif du 22.4/16.5.1926, il ressortait que l’acquisition par voie d’usucapion ordinaire d’un terrain, dont l’Etat était le propriétaire officiel, était autorisée dans le cas où l’intéressé parvenait à établir l’occupation continue du terrain litigieux pour une période débutant trente ans avant le 11 septembre 1915 jusqu’à la date de la demande auprès de la juridiction compétente. Elle considéra que les intéressés n’étaient pas parvenus à établir que leurs prédécesseurs possédaient les terrains en cause pour une période ininterrompue prenant cours trente ans avant 1915.
19. La cour d’appel admit que, comme il ressortait du dossier de l’affaire, à l’époque de l’occupation ottomane de la Grèce, les terrains en cause servaient de pâturages, étaient arides et par conséquent, selon le droit ottoman, le monastère de Kanales n’aurait pas pu en devenir propriétaire. La cour d’appel admit que lors de la libération de la Grèce de l’emprise turque, l’Etat grec devint propriétaire de la propriété litigieuse. Elle considéra, de plus, que M.K. n’avait jamais été propriétaire des terrains en cause, puisqu’il les avait acquis du saint monastère de Kanales qui, lui-même, n’en avait jamais été le propriétaire. En outre, la cour d’appel admit que M.K. « avait profité de la confusion et des contestations existant entre les services de l’Etat sur l’existence ou l’étendue des droits de propriété de l’Etat sur les terrains en cause et était parvenu à faire adopter la décision no 119272/1946 du ministre de l’Agriculture qui lui avait permis de procéder à leur vente ». La cour d’appel considéra que les requérants n’étaient pas devenus propriétaires des terrains en cause, puisque M.K. n’en était pas propriétaire à l’époque de la transaction et, s’agissant de la période postérieure, l’acquisition par usucapion ordinaire contre l’Etat n’était pas permise. En outre, la cour d’appel considéra qu’en l’espèce, contrairement à ce que soutenaient les requérants, l’Etat grec n’avait pas exercé son droit de propriété de manière abusive. Elle conclut que les requérants n’étaient pas titulaires de l’indemnité d’expropriation (arrêt no1498/2003).
20. Le 18 septembre 2003, les requérants se pourvurent en cassation. Ils alléguaient notamment que la motivation de l’arrêt no 1498/2003 n’était pas suffisante et que ladite juridiction n’avait pas procédé à une juste appréciation des preuves, y compris des titres de propriété.
21. Le 6 juin 2007, la Cour de cassation les débouta. Elle considéra que l’arrêt no 1498/2003 ne pêchait pas par manque de motivation et que l’administration des preuves par la cour d’appel avait été pertinente (arrêt no 1292/2007). Cet arrêt fut mis au net et certifié conforme le 11 juillet 2007.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DU DROIT À LA PROTECTION DES BIENS
22. Les requérants allèguent que le droit à la protection des biens a été atteint en l’espèce du fait que la procédure en cause n’était pas entourée des garanties de procédure nécessaires afin de permettre aux juridictions compétentes de trancher le litige équitablement. Ils relèvent à ce sujet que la charge d’établir, afin d’obtenir l’indemnité d’expropriation, l’occupation ininterrompue de la superficie en cause par eux et leurs prédécesseurs pendant une période débutant trente ans avant 1915 et s’achevant à la date de l’introduction de leur action en justice, s’est avérée une obligation procédurale insurmontable. Ils invoquent les articles 6 § 1, 13 et 14 de la Convention ainsi que l’article 1 du Protocole no 1. La Cour examinera ledit grief uniquement sous l’angle de l’article 1 du Protocole no 1, seule disposition à propos de laquelle les requérants ont formulé un grief précis et qui est aussi la plus pertinente en l’espèce. Cet article est ainsi libellé :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Sur la recevabilité
1. Thèses des parties
23. En premier lieu, le Gouvernement affirme que, dans leurs observations, les requérants ont considéré que la manière dont la cour d’appel et la Cour de cassation ont traité l’affaire était « nettement et gravement absurde ». Il estime qu’il s’agit là d’une manière abusive d’exercer le recours individuel, ce qui devrait entraîner l’irrecevabilité de leur requête conformément à l’article 35 § 3 a) de la Convention.
24. En deuxième lieu, le Gouvernement affirme que les requérants n’ont pas épuisé les voies de recours internes, puisqu’ils n’ont pas invoqué devant les juridictions internes la violation alléguée de leur droit à la protection de leurs biens. En particulier, le Gouvernement argue que les requérants ont omis de soulever devant les juridictions compétentes que l’obligation imposée par la loi de prouver l’occupation des terrains en cause pour une période ininterrompue allant de trente ans avant 1915 jusqu’à aujourd’hui était contraire à l’article 1 du Protocole no 1. Enfin, le Gouvernement relève que le grief des requérants n’est pas recevable ratione materiae. Il allègue que les juridictions internes ont conclu que les requérants n’étaient pas propriétaires du droit immobilier en cause. Partant, ceux-ci ne sauraient être considérés comme titulaires d’un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1.
25. Les requérants affirment que le fond du litige devant les juridictions internes ne concernait pas la question de la propriété des terrains en cause en tant que telle, mais celle afférente au titulaire de l’indemnité due suite à l’expropriation du bien immobilier concerné. Par conséquent, la question à trancher n’était afférente qu’au droit de propriété. De plus, elle se rapportait à un bien actuel et bien défini, à savoir le versement de l’indemnité d’expropriation.
2. Appréciation de la Cour
26. En ce qui concerne la première objection soulevée par le Gouvernement, la Cour rappelle que le droit au recours individuel peut être exercé de manière abusive, entre autres, lorsque le requérant utilise, dans sa communication avec la Cour, des expressions particulièrement vexatoires, outrageantes, menaçantes ou provocatrices – que ce soit à l’encontre du gouvernement défendeur, de son agent, des autorités de l’Etat défendeur, de la Cour elle-même, de ses juges, de son greffe ou des agents de ce dernier (Miroļubovs et autres c. Lettonie, no 798/05, § 64, 15 septembre 2009 ; Duringer et Grunge c. France (déc.), nos 61164/00 et 18589/02, CEDH 2003-II (extraits) ; Řehák c. République tchèque (déc.), no 67208/01, 18 mai 2004). Là encore, il ne suffit pas que le langage du requérant soit simplement vif, polémique ou sarcastique ; il doit excéder « les limites d’une critique normale, civique et légitime » pour être qualifié d’abusif (Di Salvo c. Italie (déc.), no 16098/05, 11 janvier 2007). En l’occurrence, la Cour note que l’expression « absurde », employée par les requérants est, sans doute, vive, d’autant plus qu’elle se réfère à des arrêts de justice. Néanmoins, elle n’atteint pas le niveau requis pour la qualifier de vexatoire, outrageante, menaçante ou provocatrice. Il convient sur ce point de noter qu’il ne s’agit que d’un terme isolé dans les observations soumises par les requérants, ce qui ne conforte pas l’idée qu’ils avaient l’intention d’exercer leur recours de manière abusive. Partant, la Cour rejette ladite objection du Gouvernement.
27. En ce qui concerne les deux autres objections soulevées par le Gouvernement, la Cour estime qu’elles sont étroitement liées à la substance du grief articulé par les requérants sur le terrain de l’article 1 du Protocole no 1 et décide de les joindre au fond. Elle constate par ailleurs que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 a) de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Thèses des parties
28. Le Gouvernement se réfère à la raison d’être de la règle spéciale appliquée par la cour d’appel de Thessalonique en l’occurrence et afférente aux conditions d’acquisition par voie d’usucapion d’un bien immobilier appartenant à l’Etat. En particulier, il argue qu’une différence entre les conditions d’acquisition par voie d’usucapion entre des individus d’une part et, d’autre part, entre l’individu et l’Etat est, par principe, raisonnable. Cela est vrai si l’on prend notamment en compte les raisons d’intérêt public qui dicteraient une protection renforcée quant aux conditions d’acquisition par voie d’usucapion d’un terrain appartenant au domaine privé de l’Etat. Il relève, en général, que l’imprescriptibilité du domaine public ne contredit pas l’article 1 du Protocole no 1, puisqu’il s’agit d’une mesure qui sert l’intérêt général. Le Gouvernement ajoute que le droit interne appliqué en l’espèce était prévisible et accessible par les requérants qui devaient ainsi connaître les conditions leur permettant de devenir propriétaires d’un terrain, qui faisait partie du patrimoine de l’Etat. En outre, le Gouvernement affirme que les juridictions internes ont justement conclu que les requérants n’étaient pas propriétaires des terrains en cause, puisque leur prédécesseur, M.K., les avait acquis d’une personne morale qui n’en était pas propriétaire. Le Gouvernement affirme que les requérants auraient dû examiné avec diligence l’état juridique des terrains en cause avant de l’acquérir de M.K. et que la situation dans laquelle ils se trouvent actuellement ne peut pas être imputable à l’Etat mais à leur négligence. Selon le Gouvernement, la juridiction civile est l’autorité compétente pour trancher la question de la propriété d’un terrain et non une personne morale de droit public, à l’instar de l’OGPE ou des organes administratifs se prononçant sur des questions d’expropriation. De l’avis du Gouvernement, ces organes n’examinent pas toujours de manière approfondie le statut juridique d’un terrain et peuvent, éventuellement, se tromper sur son propriétaire réel.
29. Les requérants rétorquent que leur grief ne se dirige pas en général vers l’imprescriptibilité du domaine public, qui est pratiquement imposée par le droit interne. Ils se plaignent que les juridictions internes ont de fait complètement méconnu les titres de propriété qu’ils ont déposés auprès des juridictions compétentes en examinant la question de la propriété sur les terrains litigieux. Ils affirment que l’interdiction de la prescription acquisitive à l’encontre de l’Etat a été appliquée en l’espèce sans respecter le principe nemo auditur propriam turpitudinem allegans, à savoir que l’Etat ne peut pas imputer aux requérants ses propres erreurs. En particulier, la cour d’appel de Thessalonique a imputé aux requérants le fait que M.K. aurait profité de la confusion et des contestations entre les services de l’Etat sur l’existence ou l’étendue des droits de propriété de l’Etat sur lesdits terrains. Ce faisant, la juridiction compétente aurait complètement méconnu la décision no 119272/1946 du ministre de l’Agriculture. Une telle évaluation ne serait pas compatible avec les exigences du procès équitable.
2. Appréciation de la Cour
a) Sur l’existence d’un « bien »
30. La Cour examinera tout d’abord la question de savoir si les requérants disposaient d’un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1. Elle rappelle que, selon sa jurisprudence, un requérant ne peut alléguer une violation de l’article 1 du Protocole nº 1 que dans la mesure où les décisions qu’il incrimine se rapportent à ses « biens » au sens de cette disposition. La notion de « bien » a une portée autonome, qui ne se limite pas à la propriété de biens corporels et qui est indépendante par rapport aux qualifications formelles du droit interne : certains autres droits et intérêts constituant des actifs peuvent aussi passer pour des « droits patrimoniaux » et donc des « biens » aux fins de cette disposition. Dans chaque affaire, il importe d’examiner si les circonstances, considérées dans leur ensemble, ont rendu le requérant titulaire d’un intérêt substantiel protégé par l’article 1 du Protocole no 1 (Iatridis c. Grèce [GC], nº 31107/96, § 54, CEDH 1999-II, et Broniowski c. Pologne [GC], nº 31443/96, § 129, CEDH 2004-V).
31. En l’occurrence, la Cour observe que la procédure litigieuse était afférente à la reconnaissance des requérants comme titulaires de l’indemnité d’expropriation allouée par les juridictions internes (voir paragraphe 11 ci-dessus). La question de la propriété sur les terrains en cause n’était ainsi qu’indirectement liée à l’objet de la procédure devant les juridictions internes dans la mesure où elle conditionnait le versement de l’indemnité d’expropriation aux requérants. La Cour relève trois éléments pertinents quant à la question de savoir si les requérants étaient titulaires d’un « bien » en l’espèce. En premier lieu, les juridictions internes avaient fixé de manière définitive le prix unitaire d’indemnisation, en vertu de l’arrêt no 3050/1990 de la cour d’appel de Thessalonique. En deuxième lieu, les requérants disposaient de l’indemnité d’expropriation, lorsque la cour d’appel d’Athènes conclut, en vertu de l’arrêt no 1498/2003, que ceux-ci n’étaient pas propriétaires des terrains en cause et que, partant, ils n’étaient pas titulaires de l’indemnité d’expropriation. En dernier lieu, les requérants étaient devenus propriétaires des terrains concernés sur la base des contrats nos 8341 et 8342/1947 dont, comme il ressort du dossier, la légalité n’avait pas été contestée dans le cadre de la procédure litigieuse. Au vu de ce qui précède, la Cour estime que les requérants se fondaient sur des éléments suffisants pour revendiquer devant les juridictions compétentes le versement de l’indemnité d’expropriation, du moment notamment que leur demande se fondait sur des titres de propriété valides. Par conséquent, et pour les besoins du présent litige, la Cour considère qu’ils étaient titulaires d’un intérêt patrimonial constituant un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1 (voir, mutatis mutandis, Nastou c. Grèce, no 51356/99, § 28, 16 janvier 2003).
b) Sur l’observation de l’article 1 du Protocole no 1
32. La Cour rappelle que, selon sa jurisprudence, l’article 1 du Protocole no 1, qui garantit en substance le droit de propriété, contient trois normes distinctes : la première, qui s’exprime dans la première phrase du premier alinéa et revêt un caractère général, énonce le principe du respect de la propriété ; la deuxième, figurant dans la seconde phrase du même alinéa, vise la privation de propriété et la soumet à certaines conditions ; quant à la troisième, consignée dans le second alinéa, elle reconnaît aux Etats contractants le pouvoir, entre autres, de réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général. Les deuxième et troisième normes, qui ont trait à des exemples particuliers d’atteintes au droit de propriété, doivent s’interpréter à la lumière du principe consacré par la première (voir, parmi d’autres, Anheuser-Busch Inc. c. Portugal [GC], no 73049/01, § 62, CEDH 2007-…).
33. En l’occurrence, la question à examiner porte sur les garanties entourant la procédure judiciaire ayant abouti à la non-reconnaissance des requérants comme titulaires de l’indemnité d’expropriation. Au vu des circonstances particulières de l’espèce, la Cour estime que la présente affaire ne concerne ni un cas de privation directe d’un bien appartenant aux requérants ni la réglementation de l’usage de ce bien. Partant, elle ne peut être classée dans une catégorie précise de l’article 1 du Protocole no 1. Dès lors, la Cour considère qu’il est nécessaire de l’examiner à la lumière de la norme générale de cet article.
34. La Cour réaffirme qu’elle jouit d’une compétence limitée pour vérifier le respect du droit interne (Håkansson et Sturesson c. Suède, 21 février 1990, § 47, série A no 171-A) et qu’elle n’a pas pour tâche de se substituer aux juridictions internes. C’est au premier chef aux autorités nationales, notamment aux cours et tribunaux, qu’il incombe d’interpréter la législation interne (Waite et Kennedy c. Allemagne [GC], no 26083/94, § 54, CEDH 1999-I). Néanmoins, le rôle de la Cour est de rechercher si les résultats auxquels sont parvenues les juridictions nationales sont compatibles avec les droits garantis par la Convention et ses Protocoles.
35. La Cour réitère qu’en vertu de l’article 1 de la Convention, chaque Etat contractant « reconna[ît] à toute personne relevant de [sa] juridiction les droits et libertés définis [dans] la (…) Convention ». Cette obligation de garantir l’exercice effectif des droits définis par cet instrument peut entraîner pour l’Etat des obligations positives. En pareil cas, l’Etat ne saurait se borner à demeurer passif et « il n’y a (…) pas lieu de distinguer entre actes et omissions » (Sovtransavto Holding c. Ukraine, no 48553/99, § 96, CEDH 2002-VII).
36. La Cour rappelle que, nonobstant le silence de l’article 1 du Protocole no 1 en matière d’exigences procédurales, une procédure judiciaire afférente au droit au respect des biens doit aussi offrir à la personne concernée une occasion adéquate d’exposer sa cause aux autorités compétentes afin de contester effectivement les mesures portant atteinte aux droits garantis par cette disposition. Pour s’assurer du respect de cette condition, il y a lieu de considérer les procédures applicables d’un point de vue général (voir Jokela c. Finlande, no 28856/95, § 45, CEDH 2002-IV; Capital Bank AD c. Bulgarie, no 49429/99, § 134, CEDH 2005-XII (extraits)).
37. En l’espèce, la Cour note que le droit interne interdit toute prescription des droits de l’Etat sur les terrains dont il est le propriétaire, excluant ainsi la possibilité d’acquisition par voie d’usucapion sur ceux-ci. En outre, l’acquisition par voie d’usucapion ordinaire d’un terrain, dont l’Etat est le propriétaire officiel, est autorisée par exception dans le cas où l’intéressé parvient à établir l’occupation continue des terrains litigieux pour une période débutant trente ans avant le 11 septembre 1915 jusqu’à la date de la demande auprès de la juridiction compétente. Dans le cadre de la présente affaire, par son arrêt no 1498/2003, rendu suite à l’arrêt no 315/2002 de la Cour de cassation, la cour d’appel de Thessalonique, qui avait dans un premier temps conclu que les requérants étaient propriétaires des terrains en cause, a rejeté leur action tendant à leur reconnaissance comme titulaires de l’indemnité d’expropriation. Ladite juridiction a considéré que les requérants n’étaient pas parvenus à établir que leurs prédécesseurs possédaient les terrains en cause pour une période ininterrompue débutant trente ans avant 1915.
38. La Cour estime nécessaire de circonscrire l’objet de la présente affaire. Elle note tout d’abord que celle-ci ne concerne pas en général la question de la compatibilité de la règle de l’imprescriptibilité du domaine public avec le droit à la protection des biens. Il convient sur ce point de relever que, comme il ressort de la jurisprudence, l’imprescriptibilité et l’inaliénabilité du domaine public ne soulèvent pas, en général, des questions à l’égard de l’article 1 du Protocole no 1 (voir, en ce sens, Brosset-Triboulet et autres c. France [GC], no 34078/02, § 67, 29 mars 2010). Au demeurant, la Cour estime qu’une différence entre les conditions d’acquisition par voie d’usucapion d’un bien immobilier entre des individus d’une part et d’autre part entre l’individu et l’Etat ne serait pas, en principe, contraire à l’article 1 du Protocole no 1. Dans la mesure où la réglementation par l’Etat des conditions d’usucapion concerne aussi des questions d’aménagement du territoire, la Cour rappelle qu’il s’agit d’un domaine dans lequel les Etats jouissent d’une grande marge d’appréciation (voir Hamer c. Belgique, no 21861/03, § 78, CEDH 2007-XIII (extraits). En particulier, l’Etat ne se trouve pas dans la même position qu’un individu quant à sa capacité de surveiller l’état de sa propriété et d’être en connaissance d’un empiètement potentiel sur celle-ci. En somme, la condition d’un écoulement de laps de temps plus long dans celui de l’usucapion ordinaire par l’individu au détriment de l’Etat que dans celui de l’acquisition prescriptive entre individus, est justifiée pour des raisons de protection de l’intérêt public.
39. En outre, la Cour n’est pas appelée dans la présente affaire à se prononcer sur la question de la propriété, en tant que telle, des terrains en cause mais à examiner si les requérants se sont vus offrir par les juridictions internes une occasion adéquate afin de faire entendre leurs arguments sur la question qui constituait l’objet du litige, à savoir le droit à la perception de l’indemnité d’expropriation. Sur ce point, la Cour observe qu’en introduisant leur recours devant les juridictions civiles, les requérants ont revendiqué l’indemnité d’expropriation, en tant que propriétaires des terrains en cause, ce qui concerne directement le droit à la protection de leurs biens consacré par l’article 1 du Protocole no 1. De plus, en exerçant leur pourvoi auprès de la Cour de cassation contre l’arrêt no 1498/2003 de la cour d’appel de Thessalonique, ils ont mis en avant les questions afférentes au caractère adéquat de la procédure qui font l’objet de la présente affaire. Partant, ils ont donné à la juridiction suprême l’occasion de redresser la situation dont ils se plaignent actuellement devant la Cour en épuisant les voies de recours disponibles à ce sujet (voir, entre autres, Vontas et autres c. Grèce, no 43588/06, § 22, 5 février 2009 et, sur le plan des principes, Fressoz et Roire c. France [GC], no 29183/95, § 37, CEDH 1999-I).
40. Se tournant vers la question de fond, la Cour relève tout d’abord que les requérants ont revendiqué leur reconnaissance comme titulaires de l’indemnité d’expropriation, en se fondant sur des titres de propriété légaux et établis selon la procédure prescrite par la loi, à savoir avec l’intervention de notaires et transcription des titres de propriété au service hypothécaire. Ils se fondaient, notamment, sur les contrats nos 8341 et 8342/1947, en vertu desquels le premier requérant et sa mère avaient acquis en 1947 la superficie en cause de M.K., le contrat no 14868/1936 conclu par ce dernier avec l’OGPE et l’autorisation no 119272/1946 du ministre de l’Agriculture. La présente affaire se distingue donc d’autres déjà examinées par la Cour où les intéressés fondaient leur droit allégué de jouir de biens immobiliers, non pas sur des titres de propriété, mais sur des autorisations d’occupation accordées par l’Etat ou sur la simple tolérance de la part des autorités à l’égard d’une situation illégale (voir, respectivement, Brosset-Triboulet et autres, précité, § 70, et Hamer, précité, § 76).
41. La Cour rappelle que dans la plupart des systèmes juridiques contemporains, les droits de propriété immobilière sont clairement définis par la loi ; un système de titres de propriété est mis en place afin de garantir la sécurité juridique quant au propriétaire de biens immobiliers. Par conséquent, les intéressés peuvent se fonder sur leurs titres de propriété si besoin est de prouver qu’un bien immobilier leur appartient (Vontas, précité, § 41). En l’occurrence, les requérants se sont donc légitimement appuyés non seulement sur les contrats nos 8341 et 8342/1947, mais aussi sur le contrat no 14868/1936 conclu par leur prédécesseur pour établir leurs droits de propriété sur les terrains concernés.
42. La Cour attribue une importance particulière au fait que le devancier des requérants avait obtenu de la part du ministre de l’Agriculture la décision no 119272/1946, selon laquelle il lui avait été permis sans aucune ambiguïté de « vendre à son gré la superficie acquise en vertu du contrat no 14868/1936 ». Cette permission était nécessaire selon la loi pour tout terrain appartenant au patrimoine monastique. Ladite décision précisait que M.K. avait acquis la superficie concernée par l’OGPE en vertu du contrat no 14868/1936. La Cour considère donc que les requérants ont pu invoquer devant les juridictions internes des bases juridiques solides pour fonder leur droit de propriété, à savoir le contrat no 14868/1936 et la décision no 119272/1946 du ministre d’Agriculture quant au statut juridique des terrains en cause avant de les acquérir. En effet, il ne fait pas de doute que le ministre de l’Agriculture n’aurait pas permis à M.K. de vendre lesdits terrains à des tiers, s’il estimait que ceux-ci faisaient partie du patrimoine de l’Etat.
43. Certes, la cour d’appel de Thessalonique n’a pas, lors du second examen de l’affaire, pris en compte l’acte no 119272/1946 du ministre de l’Agriculture après avoir admis que M.K., le devancier des requérants, aurait profité de « la confusion et des contestations existant entre les services de l’Etat sur l’existence ou l’étendue du droit de propriété de l’Etat sur ces terrains et serait parvenu à faire adopter la décision du ministre de l’Agriculture à l’origine de leur vente ». Or, la Cour considère que les autorités internes ne peuvent pas à bon droit se prévaloir du manque allégué de concertation au sein de leur organisation interne en vue de se dispenser de l’application d’actes administratifs légaux (voir, en ce sens, Hamer, précité, § 76). De plus, en ce qui concerne tout spécifiquement la position adoptée par la juridiction interne, une telle manière de juger l’affaire équivaut à tirer des conclusions négatives au détriment des justiciables, en raison d’une situation concernant la qualité de fonctionnement des services étatiques qui, pour autant, ne saurait leur être imputable. Il convient sur ce point de noter que la légalité de l’acte no 119272/1946 n’a pas été contestée, en tant que telle, par la cour d’appel de Thessalonique dans son arrêt no 1498/2003.
44. La Cour prend note de l’argument du Gouvernement, à savoir que c’est la juridiction civile qui est l’autorité compétente pour trancher la question de la propriété d’un terrain et non pas les organes administratifs qui se prononcent sur des questions d’expropriation du même terrain. Elle convient en fait avec le Gouvernement que la juridiction compétente peut indubitablement trancher de manière définitive une question relative à la propriété d’un bien immobilier. Néanmoins, cela ne saurait signifier que des actes administratifs légaux, ayant été entre-temps adoptés par les autorités compétentes à l’égard de ce bien, soient dépourvus d’effets juridiques par la simple invocation de la confusion ou du manque de concertation présumée au sein des différents services de l’Etat. Une telle approche contredit le principe de la sécurité juridique sur lequel les justiciables se fondent inévitablement pour procéder à la transaction de biens immobiliers.
45. Compte tenu de ce qui précède, la Cour constate que l’arrêt no 1498/2003 de la cour d’appel de Thessalonique, confirmé par l’arrêt no 1292/2007 de la Cour de cassation, n’a pas respecté les principes juridiques susmentionnés et notamment celui de la sécurité juridique. La procédure suivie devant les juridictions internes a ainsi rompu le « juste équilibre » entre les exigences de l’intérêt public et les impératifs de la sauvegarde du droit des intéressés au respect de leurs biens. Par conséquent, l’Etat a manqué à son obligation d’assurer aux requérants la jouissance effective de leur droit de propriété garanti par l’article 1 du Protocole no 1.
Partant, la Cour rejette les objections du Gouvernement tirés de l’irrecevabilité ratione materiae de la requête et de l’absence d’épuisement des voies de recours internes et constate qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
II. SUR L’APPLICATION DES ARTICLES 41 ET 46 DE LA CONVENTION
46. Les articles 41 et 46 de la Convention disposent comme suit :
Article 41
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
Article 46
« 1. Les Hautes Parties contractantes s’engagent à se conformer aux arrêts définitifs de la Cour dans les litiges auxquels elles sont parties.
2. L’arrêt définitif de la Cour est transmis au Comité des Ministres qui en surveille l’exécution. »
A. Dommage
47. Les requérants affirment qu’à ce jour, l’administration n’a pas revendiqué la somme déjà allouée au titre de l’indemnité d’expropriation. Ils relèvent qu’ils ressentent une inquiétude importante en raison de la probabilité d’être contraints au remboursement à l’Etat de l’indemnité d’expropriation, suite à l’arrêt no 1498/2003 de la cour d’appel de Thessalonique, confirmée par l’arrêt no 1292/2007 de la Cour de cassation. Ils réclament ainsi 20 000 euros (EUR) chacun au titre du préjudice moral qu’ils auraient subi.
48. Le Gouvernement affirme que la somme revendiquée par les requérants est excessive. Il estime qu’un constat de violation constituerait en soi une satisfaction équitable suffisante au titre du dommage moral. A titre alternatif, il allègue que la somme à allouer au titre du dommage moral ne saurait dépasser 10 000 EUR.
49. La Cour estime, contrairement au Gouvernement, que le constat de violation de l’article 1 du Protocole no 1 ne saurait suffisamment réparer le dommage moral subi par les requérants. Elle considère en revanche que la somme demandée est excessive. Statuant en équité, comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour alloue à chacun des requérants 10 000 EUR au titre du dommage moral subi, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt.
50. En outre, la Cour souligne qu’en vertu de l’article 46 de la Convention les Parties contractantes se sont engagées à se conformer aux arrêts définitifs de la Cour dans les litiges auxquels elles sont parties, le Comité des Ministres étant chargé d’en surveiller l’exécution. Il en découle notamment que l’Etat défendeur, reconnu responsable d’une violation de la Convention ou de ses Protocoles, est appelé non seulement à verser aux intéressés les sommes allouées à titre de satisfaction équitable, mais aussi à choisir, sous le contrôle du Comité des Ministres, les mesures générales et/ou, le cas échéant, individuelles à adopter dans son ordre juridique interne afin de mettre un terme à la violation constatée par la Cour et d’en effacer autant que possible les conséquences (voir, De Clerck c. Belgique, no 34316/02, § 97, 25 septembre 2007). Il est entendu en outre que l’Etat défendeur reste libre, sous le contrôle du Comité des Ministres, de choisir les moyens de s’acquitter de son obligation juridique au regard de l’article 46 de la Convention pour autant que ces moyens soient compatibles avec les conclusions contenues dans l’arrêt de la Cour (Scozzari et Giunta c. Italie [GC] no 39221/98 et 41963/98, ECHR 2000-VIII).
51. En l’espèce, la Cour note que, tel qu’il ressort du dossier et qu’il est affirmé par les requérants sans qu’ils soient contredits par le Gouvernement, ceux-ci se sont vus allouer, suite à l’arrêt no 2730/1999 de la cour d’appel de Thessalonique, l’indemnité d’expropriation des terrains litigieux (voir §§ 15 et 47 ci-dessus). Or, l’arrêt no 1498/2003 de la cour d’appel de Thessalonique, confirmé par l’arrêt no 1292/2007 de la Cour de cassation, a conclu que les requérants n’étaient pas propriétaires des biens en cause et, partant, qu’ils n’étaient pas titulaires de l’indemnité d’expropriation. Les requérants s’exposent donc actuellement au risque de se trouver contraints à rembourser à l’administration l’indemnité d’expropriation. Toutefois, la Cour a conclu, en l’occurrence, que l’arrêt no 1498/2003 de la cour d’appel de Thessalonique n’a pas respecté le principe de la sécurité juridique, après avoir notamment considéré que les requérants se fondaient sur des titres de propriété légaux pour établir leur droit de propriété devant les juridictions internes. Par conséquent, eu égard aux circonstances particulières de l’espèce, la Cour considère que l’absence de revendication de la part des autorités internes de l’indemnité d’expropriation allouée aux requérants constitue une forme appropriée de réparation qui permet de mettre de manière effective un terme à la violation de l’article 1 du Protocole no 1 constatée.
B. Frais et dépens
52. Les requérants n’ont présenté aucune demande au titre des frais et dépens. Partant, il n’y a pas lieu d’octroyer de somme à ce titre.
C. Intérêts moratoires
53. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Joint au fond les exceptions du Gouvernement tirées de l’irrecevabilité ratione materiae de la requête et du non-épuisement des voies de recours internes et les rejette ;
2. Déclare la requête recevable ;
3. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
4. Dit que l’Etat défendeur doit s’abstenir de revendiquer l’indemnité d’expropriation déjà allouée aux requérants dans le cadre de la présente affaire ;
5. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser à chacun des requérants, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 10 000 EUR (dix mille euros) au titre du dommage moral subi, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
6. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 4 octobre 2011, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Søren Nielsen Nina Vajić
Greffier Présidente

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