SECONDA SEZIONE
CAUSA VOLTA ED ALTRI C. ITALIA
( Richiesta no 43674/02)
SENTENZA
STRASBURGO
16 marzo 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Volta ed altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e da Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 23 febbraio 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 43674/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui il Sig. M. V. e venticinque altri cittadini di questo Stato, (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 4 dicembre 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati dinnanzi alla Corte col Sig. M. V. che agisce anche a suo proprio nome. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, i Sigg. I.M. Braguglia e R. Adam e la Sig.ra E. Spatafora, ed dai suoi coagenti, i Sigg. V. Esposito, F. Crisafulli e N. Lettieri.
3. Il 30 marzo 2006, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. I dettagli concernente i richiedenti figurano nell’elenco qui accluso alla presente sentenza.
A. Il procedimento principale
5. Il 3 luglio 1982, i richiedenti, impiegati in qualità di personale non medico presso dell’unità sanitaria locale (“U.S.L. “) no 2 di Gorizia, depositarono un ricorso dinnanzi al tribunale amministrativo regionale (“T.A.R. “) del Friuli (R.G. no 643/82). Chiesero l’annullamento di una decisione del Comitato di gestione dell’U.S.L. che li aveveva esclusi della ripartizione di un fondo destinato al personale non medico, così come il pagamento delle differenze di retribuzione.
6. Il 31 luglio 1982 e il 3 dicembre 1993, i richiedenti chiesero la determinazione dell’udienza.
7. Il 16 novembre 1995, fecero istanza di determinazione di emergenza dell’udienza (“istanza di prelievo”).
8. Con un giudizio preparatorio del 27 settembre 1996, depositato il 26 ottobre 1996, il T.A.R. ordinò ai richiedenti di citare a comparire gli impiegati dell’U.S.L. avendo beneficiato della ripartizione del fondo controverso (“integrazione del contraddittorio”).
9. Il 17 dicembre 1999, i richiedenti chiesero al T.A.R. di fissare un termine per procedere alla citazione di detti impiegati. Tuttavia, in una data non precisata, il T.A.R. cancellò la causa dal ruolo.
10. Il 22 dicembre 2000, i richiedenti ripresero il procedimento.
11. Il 20 giugno 2001, fecero istanza di determinazione dell’udienza che si tenne poi il 25 ottobre 2002.
12. Con un giudizio dello stesso giorno (“RG no 643/82, Reg. Sente. no 889/02”), depositato il 26 novembre 2002, il T.A.R. dichiarò inammissibile il ricorso.
B. Il procedimento “Pinto”
13. Il 17 aprile 2002, i richiedenti investirono la corte di appello di Bologna ai sensi della legge “Pinto” chiedendo 25 000 EUR ciascuno in risarcimento dei danni morali e materiali subiti a causa della durata del procedimento principale.
14. Con una decisione del 28 giugno 2002, depositata l’ 8 luglio 2002, la corte di appello prese in conto il procedimento dal 3 luglio 1982 fino alla data della decisione e constatò il superamento di una durata ragionevole. Respinse l’istanza di risarcimento dei danni patrimoniali per difetto di prove ed accordò ad ogni richiedente 3 500 EUR per danno morale, così come 6 000 EUR globalmente per oneri e spese.
15. Notificata il 1 aprile 2003, questa decisione diventò definitiva il 31 maggio 2003.
16. Il 3 ottobre 2003, i richiedenti fecero notificare al ministero della Giustizia un atto di bando per ottenere il pagamento delle somme accordate dalla corte di appello.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
17. Il diritto e la pratica interna pertinenti figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006-V.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
18. I richiedenti si lamentano della durata del procedimento principale e dell’insufficienza degli indennizzi ottenuti nella cornice del ricorso “Pinto.” Invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Sull’ammissibilità
1. Tardività della richiesta
19. Il Governo eccepisce della tardività della richiesta, per il fatto che i richiedenti, dopo avere investito la Corte il 4 dicembre 2002, hanno depositato il loro formulario di richiesta il 3 giugno 2004.
20. I richiedenti considerano che la loro richiesta non è tardiva perché hanno mandato il 4 dicembre 2002 un primo formulario di richiesta di cui la cancelleria della Corte ha accusato ricevuta con lettera del 18 dicembre 2002. Il formulario è stato rinviato poi il 3 giugno 2004, su richiesta della cancelleria, per colmare certe lacune.
21. La Corte rileva che, nel loro primo formulario di richiesta del 4 dicembre 2002, i richiedenti esponevano sommariamente i fatti e i motivi di appello della causa. Il 6 maggio 2004, la cancelleria chiese loro di compilare di nuovo un formulario di richiesta, presentando quello già versato alla pratica certe lacune, ciò che i richiedenti fecero il 3 giugno 2004. La Corte ricorda a questo proposito la pratica consolidata degli organi della Convenzione che vuole che la data di introduzione di una richiesta sia quella della prima lettera con la quale il richiedente formula il motivo di appello che intende sollevare (Gelsomino c. Italia, (dec.), no 2005/03, 23 maggio 2006; Nee c. Irlanda, (dec.), no 52787/99, 30 gennaio 2003, ed Ataman c. Turchia, (dec.), no 46252/99, 11 settembre 2001). Nello specifico, nel formulario del 4 dicembre 2002, e nei suoi allegati, i richiedenti indicavano già, anche se succintamente, i fatti ed i motivi di appello della causa. Le lacune rilevate dalla cancelleria sono in seguito, il 3 giugno 2004, state colmate dai richiedenti, ma questa circostanza non è, agli occhi della Corte, di natura tale da rimettere in causa la data di introduzione della richiesta. Di conseguenza, l’eccezione di tardività sollevata dal Governo deve essere respinta.
2. Requisito di “vittima”
22. Il Governo sostiene che i richiedenti non possono più definirsi “vittime” della violazione dell’articolo 6 § 1 perché hanno ottenuto della corte di appello di Bologna una constatazione di violazione ed una correzione appropriata e sufficiente.
23. Afferma che la corte di appello “Pinto” ha cancellato la causa in conformità coi criteri di indennizzo emanati dalla giurisprudenza della Corte disponibile all’epoca del procedimento “Pinto.” Sottolinea che sarebbe inadatto valutare la valutazione della corte di appello, fatto alcuni mesi dopo l’entrata in vigore della legge “Pinto”, sulla base dei criteri formulati dalla Corte nelle sue sentenze della Grande Camera del 29 marzo 2006 (ex pluribus, Cocchiarella c,. Italia, precitata). Secondo il Governo, gli indennizzi che risulterebbero dall’applicazione alle “cause del passato” di questi criteri, concepiti per l’epoca reale, sarebbero almeno doppi e talvolta tripli rispetto a quelle accordate nelle richieste italiane di durata decise prima dalla Corte.
24. Secondo il Governo, i criteri stabiliti dalla Grande Camera arriverebbero a risultati irragionevoli, ingiusti ed incompatibili con lo spirito e gli scopi della Convenzione. Gli indennizzi che la Corte concede nelle richieste italiane di durata in applicazione di questi criteri sarebbero prima doppi o tripli rispetto a quelle accordate nelle cause simili di altri paesi che non disporrebbero anche di un rimedio interno contro la durata eccessiva dei procedimenti.
25. Il Governo sottolinea inoltre che ai termini della legge “Pinto”, solamente gli anni che superano la durata “ragionevole” possono essere presi in conto per determinare l’importo dell’indennizzo da concedere da parte della corte di appello.
26. Il Governo precisa infine che la data di partenza del procedimento da prendere in considerazione è il 22 dicembre 2000, data in cui i richiedenti ripresero il procedimento dopo la radiazione del ruolo.
27. I richiedenti stimano di essere “vittime” della violazione denunciata nella misura in cui gli indennizzi “Pinto”, versati in ritardo, erano insufficienti rispetto alla durata del procedimento principale che deve essere calcolato a partire dal 3 luglio 1982, come ha fatto la corte di appello di Bologna.
28. La Corte stima che il punto di partenza del procedimento no RG 643/82 dinnanzi al T.A.R. del Friuli è il 3 luglio 1982, data di deposito del ricorso, e non il 22 dicembre 2000, data di ripresa del procedimento. Difatti, risulta dalla pratica che la radiazione dal ruolo non ha chiuso il procedimento, perché il giudizio del T.A.R. depositato il 26 novembre 2002 porta questo stesso numero (no RG 643/82). In quanto agli argomenti del Governo, la Corte ricorda averli respinti già nelle sentenze Aragosa c. Italia (no 20191/03) § § 17-24, 18 dicembre 2007, e Simaldone c. Italia, no 22644/03, §§19-33, CEDH 2009 -… (brani)). Non vede nessun motivo di deroga alle sue precedenti conclusioni e respinge dunque questa eccezione.
29. La Corte, dopo avere esaminato l’insieme dei fatti della causa e gli argomenti delle parti, considera che la correzione si è rivelata insufficiente (vedere Delle Cave e Corrado c. Italia, no 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007, CEDH 2007-VI; Cocchiarella c. Italia, precitata, §§ 69-98) e che gli indennizzi “Pinto” non sono stati versati nei sei mesi a partire dal momento in cui la decisione della corte di appello diventò esecutiva (Cocchiarella c. Italia, precitata, § 89). Pertanto, i richiedenti possono sempre definirsi “vittime”, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
3. Conclusione
30. La Corte constata che il motivo di appello dei richiedenti non incontra nessun altro dei motivi di inammissibilità iscritti all’articolo 35 § 3 della Convenzione. Lo dichiara quindi ammissibile.
B. Sul merito
31. In quanto al merito, la Corte constata che il procedimento che è cominciato il 3 luglio 1982, era durato fino al 28 giugno 2002, data della decisione “Pinto”, circa vent’ anni per un grado di giurisdizione, meno quattro anni ed un mese di ritardo imputabile ai richiedenti. Gli indennizzi “Pinto” non erano stati versati inoltre, ancora al 3 ottobre 2003, o più di quattordici mesi dopo il deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello ( 8 luglio 2002).
32. La Corte ha trattato a più riprese delle richieste che sollevavano delle questioni simili a quella del caso di specie e ha constatato un’incomprensione dell’esigenza del “termine ragionevole”, tenuto conto dei criteri emanati in materia dalla sua giurisprudenza ben consolidata (vedere, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, precitata). Non vedendo niente che possa condurre ad una conclusione differente nella presente causa, la Corte stima che c’è luogo anche di constatare una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, per lo stesso motivo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
33. Invocando l’articolo 13 della Convenzione, i richiedenti si lamentano della non effettività del rimedio “Pinto” in ragione dell’insufficienza del risarcimento concesso dalla corte di appello di Bologna.
34. L’articolo 13 è formulato così:
Articolo 13
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
35. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, l’insufficienza dell’importo dell’indennizzo accordato ad un richiedente nella cornice del procedimento “Pinto” non costituisce in sé un elemento sufficiente per rimettere in causa l’effettività del ricorso “Pinto” ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione (Delle Cave e Corrado c. Italia, precitata, §§ 43-46).
36. Quindi, stima che c’è luogo di dichiarare questo motivo di appello inammissibile per difetto manifesto di fondamento ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
37. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
38. I richiedenti richiedono 10 960 EUR ciascuno a titolo del danno morale, più una somma da determinare dalla Corte per la violazione dell’articolo 13.
39. Il Governo contesta queste pretese.
40. La Corte stima che avrebbe potuto accordare ad ogni richiedente per la violazione dell’articolo 6 § 1, in mancanza di vie di ricorso interne e tenuto conto del ritardo imputabile ai richiedenti, la somma di 15 750 EUR. Il fatto che la corte di appello di Bologna abbia concesso ad ogni richiedente circa il 22,2% di questa somma arriva ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che sia giunta però ad una constatazione di violazione, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (precitata, §§ 139-142 e 146) così come della giurisprudenza Arvanitaki-Roboti ed altri c. Grecia ([GC], no 27278/03, §§ 27-36, CEDH 2008 -…) e deliberando in equità, assegna ad ogni richiedente 3 600 EUR così come 800 EUR a titolo della frustrazione supplementare derivante dal ritardo nel versamento degli indennizzi “Pinto” che non era intervenuto ancora al 3 ottobre 2003, o più di quattordici mesi dopo il deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello.
B. Oneri e spese
41. I richiedenti chiedono 3 899,56 EUR, fornendo la nota di parcella di un avvocato che, senza rappresentarli nel procedimento dinnanzi alla Corte, li ha assistiti tuttavia nella preparazione della loro richiesta. Il Sig. M. V., in quanto rappresentante dei richiedenti, domanda anche 500 EUR per gli oneri e le spese del procedimento che ha sostenuto personalmente.
42. Il Governo non ha preso a questo riguardo posizione.
43. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, il sussidio degli oneri e spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Inoltre, gli oneri di giustizia sono recuperabili solamente nella misura in cui si riferiscono alla violazione constatata (vedere, per esempio, Beyeler c. Italia (soddisfazione equa) [GC], no 33202/96, § 27, 28 maggio 2002; Sahin c. Germania [GC], no 30943/96, § 105, CEDH 2003-VIII).
44. Tenuto conto dei documenti in suo possesso, dei suddetti criteri e del fatto che l’avvocato che ha assistito i richiedenti nella preparazione della loro richiesta non ha acquisito la qualità di rappresentante nel procedimento dinnanzi alla Corte, stima ragionevole assegnare al Sig. M. V. 500 EUR a titolo degli oneri e delle spese del presente procedimento.
C. Interessi moratori
45. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dalla durata eccessiva del procedimento( articolo 6 § 1 della Convenzione) ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
– 4 400 EUR (quattromila quattro cento euro) ad ogni richiedente per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
– 500 EUR (cinque cento euro) al Sig. M. V. per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto da lui a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respingi la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 16 marzo 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa
ALLEGATO
Tutti i richiedenti sono dei cittadini italiani, rappresentati dal primo richiedente.
OMISSIS