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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE VILLA c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 05, P4-2
Numero: 19675/06/2010
Stato: Italia
Data: 2010-04-20 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Violazione di P4-2; Non – violazione di P4-2; Parzialmente inammissibile; Danno patrimoniale – richiesta respinta; Danno morale – constatazione di violazione sufficiente
SECONDA SEZIONE
CAUSA VILLA C. ITALIA
( Richiesta no 19675/06)
SENTENZA
STRASBURGO
20 aprile 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Villa c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 30 marzo 2010,
Rende la sentenza che ha adottata in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 19675/06) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. R. V. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 20 aprile 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da C. D., avvocato a La Spezia. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo co-agente, il Sig. F. Crisafulli.
3. Il richiedente adduce che le misure di sicurezza alle quali è stato sottomesso in seguito alla sua condanna al penale sono state arbitrarie e hanno avuto una durata eccessiva.
4. Il 25 giugno 2008, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare al Governo la richiesta. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1963 e risiede a Milano.
A. Il processo penale contro il richiedente
6. Con un’ordinanza del 17 luglio 1997, la procura di Milano rinviò il richiedente in giudizio dinnanzi al giudice di istanza di questa stessa città. Secondo il capo di accusa, il 1 maggio 1997, il richiedente aveva minacciato di morte ed aveva ferito suo padre, X, con l’aiuto di un coltello.
7. I dibattimenti cominciarono il 13 maggio 1998. Il 28 settembre 1998, il padre del richiedente ed un agente di polizia furono interrogati. X produsse una pratica medica da cui risultava che il richiedente soffriva di una psicosi paranoide cronica ed era invalido civile al 100%. Il 14 novembre 1998, il giudice di istanza incaricò uno psichiatra ed una psicologa di procedere ad una perizia psichiatrica. Questa fu depositata alla cancelleria il 2 marzo 1999. Lo psichiatra ed il richiedente furono interrogati il 22 marzo 1999.
8. Con un giudizio del 4 maggio 1999 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 19 maggio 1999, il giudice di istanza di Milano riconobbe il richiedente colpevole ma parzialmente irresponsabile dei suoi atti e lo condannò ad una pena di detenzione di tre mesi e quindici giorni. In applicazione dell’articolo 56 della legge no 689 del 1981, questa pena fu sostituita con sette mesi di libertà controllata (libertà controllata). A questa pena si aggiungeva una misura di sicurezza, ossia la libertà vigilata (libertà vigilata) per una durata di un anno.
9. Il giudice di istanza stimò che all’epoca dei fatti, il richiedente soffriva di un stress particolarmente elevato, provocato dalla pratica ossessiva del culturismo, associata a regimi alimentari draconiani. Delle crisi di epilessia erano sopraggiunte e l’interessato consumava all’infuori di ogni controllo medico degli psicofarmaci, degli steroidi anabolizzanti e delle anfetamine. Al termine di una disputa, aveva aggredito suo padre, poi aveva provato a suicidarsi.
10. Risultava dalla pratica che fin dall’adolescenza, il richiedente aveva mostrato dei disturbi della personalità di tipo socio-patologico che si erano aggravati poi ed avevano condotto al suo internamento. Nel 1989, era stato riconosciuto come invalido civile al 100% a causa della sua psicosi paranoide associata ad una mancanza di controllo delle sue pulsioni aggressive. Aveva bisogno di un’assistenza continua. Il richiedente non era cosciente della sua propria malattia che, senza abolirla, riduceva la sua capacità di comprendere e volere. Tenuto Conto anche di certi miglioramenti nel suo comportamento, delle circostanze attenuanti dovevano essere riconosciutegli.
11. Però, risultava dalla perizia psichiatrica che il richiedente che aveva delle forti pulsioni distruttrici, era socialmente pericoloso. Tenuto conto dell’insieme degli elementi a sua disposizione, il giudice di istanza stimò che una terapia di rieducazione era preferibile alla semplice punizione, e decise di sostituire la detenzione con la libertà controllata.
12. La pericolosità del richiedente motivò inoltre l’applicazione di una misura di sicurezza, ossia la libertà vigilata. Questa misura era preferibile a quella dell’internamento in una casa di cura (casa di cura e di custodia) proposta dalla procura, perché non limitava il diritto alla libertà dell’interessato. Difatti, secondo lo psichiatra, una privazione di libertà avrebbe avuto degli effetti devastatori su una persona che, come il richiedente, soffriva di agitazioni psichiche gravi.
13. Il giudizio del 4 maggio diventò definitivo il 20 luglio 1999.
B. la misura di sicurezza applicata al richiedente
14. Il richiedente scontò da prima, a partire dal 27 luglio 2000, sette mesi di libertà controllata. Questa sanzione implicava l’interdizione di lasciare il comune di Milano, l’obbligo di presentarsi una volta al giorno al commissariato di polizia, l’interdizione di portare delle armi e degli esplosivi, la sospensione della patente ed il sequestro del passaporto. Il richiedente doveva tenere inoltre su lui e doveva presentare, ad ogni domanda degli agenti di polizia, l’ordinanza che lo sottoponeva agli obblighi derivanti dalla libertà controllata.
15. Con un’ordinanza del 9 ottobre 2001, il giudice di applicazione delle pene di Milano dichiarò che il richiedente era ancora socialmente pericoloso e decise conformemente di sottoporlo, per una durata di un anno, a misura di sicurezza detta di libertà vigilata. Il giudice osservò in particolare che il 3 aprile 2000, la procura di Milano aveva chiesto il riesame della pericolosità sociale del richiedente e che, il 23 luglio 2001, l’interessato aveva aggredito un medico. Prima, aveva minacciato un altro medico ed aveva fatto atti vandalici al suo veicolo. In più, risultava da un rapporto medico che non aveva seguito le terapie consigliate ed aveva continuato ad utilizzare degli psicofarmaci e degli anabolizzanti. Quindi, si imponeva di sottoporlo a misura di sicurezza ordinata dal giudizio del 4 maggio 1999. Questa misura provocava per l’interessato i seguenti obblighi:
– presentarsi una volta al mese all’autorità di polizia incaricata della sorveglianza;
– mantenere dei contatti col centro psichiatrico dell’ospedale di Niguarda;
– abitare a Milano, al 18 di viale Abruzzi,;
– non allontanarsi dal comune dove risiedeva;
– restare presso il suo domicilio tra le 22h00 e le 7h00.
16. Il richiedente doveva tenere inoltre con sé e doveva presentare ad ogni domanda degli agenti di polizia l’ordinanza che lo sottoponeva agli obblighi derivanti dalla libertà vigilata, ordinanza che gli fu notificata il 17 ottobre 2001.
17. Il 18 dicembre 2001, il giudice di applicazione delle pene di Milano ordinò il collocamento del richiedente all’ospedale psichiatrico giudiziale di Montelupo Fiorentino fino al 5 ottobre 2002.
18. Il 4 ottobre 2002, questa misura fu prorogata fino al 9 aprile 2003. Tuttavia, il 5 novembre 2002 il giudice di applicazione delle pene di Firenze autorizzò il collocamento del richiedente al domicilio di suo padre, a Milano, a titolo di “permesso finale a titolo probatorio.” Il 14 novembre 2002, il richiedente lasciò l’ospedale psichiatrico per andare a Milano; a partire da questa data, fu sottoposto di nuovo al regime della libertà vigilata.
19. Questa misura fu prorogata fino al 9 ottobre 2003, poi fino al 9 febbraio, al 9 giugno, al 9 ottobre 2004 ed infine fino al 9 luglio 2005. Ogni volta, il giudice di applicazione delle pene di Firenze constatò che la pericolosità sociale del richiedente non era sparita. Anche se dei progressi erano in corso (in particolare, il richiedente aveva seguito un corso di formazione e, dopo un inizio difficile, aveva cominciato a frequentare un centro psichiatrico) degli elementi in senso contrario rimanevano, il che portava a pensare che la situazione non era ancora completamente rassicurante. In particolare, il richiedente aveva precisato che si sottoponeva solamente alle visite psichiatriche perché si trattava di un obbligo legale, e persisteva ad avere un rapporto conflittuale con suo padre. Secondo i medici, non era assolutamente cosciente della malattia da cui era colpito.
20. Il 1 luglio 2005, il giudice di applicazione delle pene di Firenze riprese l’esame della pratica. Decise che il richiedente non era più socialmente pericoloso e revocò la misura di sicurezza.
21. Osservò che il reato per cui il richiedente era stato condannato non era particolarmente grave e risaliva al 1997. Altri reati meno gravi per cui l’interessato aveva beneficiato di una riabilitazione, erano stati commessi negli anni 80. Dopo un periodo di libertà vigilata, a partire dal 22 gennaio 2002, il richiedente era stato internato in un ospedale psichiatrico giudiziale e, dal 14 novembre 2002, era posto al domicilio di suo padre. Nel suo insieme, questo collocamento era stato positivo, ed solo certe difficoltà personali e familiari avevano condotto il giudice a prorogare la misura. Nel frattempo, il richiedente aveva stabilito un rapporto corretto e cooperativo col centro psichiatrico di Milano, aveva cominciato a lavorare come istruttore di ginnastica e consultava, privatamente, uno psichiatra. La sua relazione con suo padre era migliorata.
22. Questa decisione, presa il 1 luglio, fu depositata alla cancelleria solo il 2 novembre 2005; fu notificata al richiedente il 7 novembre 2005.
C. la richiesta di risarcimento per durata eccessiva del procedimento
23. Il 29 dicembre 2005, il richiedente introdusse dinnanzi alla corte di appello di Brescia un’istanza sul fondamento della legge no 89 di 2001 (detta “legge Pinto”) per ottenere il risarcimento dei danni presumibilmente subiti a causa della durata eccessiva del procedimento penale di cui era stato oggetto. Adducendo che la fine del suo processo coincideva con la levata della misura di sicurezza, si lamentava di una durata di più di otto anni.
24. Con una decisione dell’ 8 marzo 2006, la corte di appello respinse questa istanza, al motivo che il procedimento penale era durato circa due anni. Il richiedente non ricorse in cassazione contro questa decisione.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
25. Le misure di sicurezza sono regolamentate dagli articoli 199 a 240 del codice penale (CP). Ai termini dell’articolo 202 § 1, queste misure possono essere applicate solamente alle persone socialmente pericolose che hanno commesso un fatto stabilito come reato penale dalla legge.” È considerato come socialmente pericoloso colui che ha commesso tale fatto “quando è probabile che commetta dei nuovi fatti riconosciuti come reati penali dalla legge” (articolo 203 § 1).
26. Le misure di sicurezza, normalmente imposte dal giudice penale nel suo giudizio sul merito -articolo 205 § 1, possono essere revocate solo se il loro destinatario ha smesso di essere socialmente pericoloso (articolo 207 § 1). Dopo essere trascorso il periodo minimale fissato dalla legge per ogni misura, il giudice deve riesaminare la persona che è sottoposta, per determinare se è ancora socialmente pericolosa. In caso affermativo, il giudice deve fissare la data del prossimo esame. Può anticipare tuttavia questa data se ci sono delle ragioni di credere che il pericolo è cessato (articolo 208).
27. Le misure di sicurezza si dividono in misure personali e misure patrimoniali. Tra i primi figurano l’internamento in ospedale psichiatrico giudiziale (articolo 222) e la libertà vigilata. La persona sottoposto a questa ultima misura è “affidato all’autorità di sicurezza pubblica” per una durata minima di un anno; il giudice gli impone gli obblighi che possono essere modificati, che stima idoneo a prevenire la commissione di nuovi reati. La sorveglianza deve essere esercitata in modo da favorire, tramite il lavoro, il riadattamento dell’interessato alla vita sociale (articolo 228).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 5 DELLA CONVENZIONE E 2 DEL PROTOCOLLO NO 4
28. Il richiedente considera che la misura di sicurezza di cui è stato oggetto ha avuto una durata eccessiva ed un carattere arbitrario. Invoca l’articolo 5 della Convenzione così come, nelle sue osservazioni, l’articolo 2 del Protocollo no 4.
L’articolo 5, nelle sue parti pertinenti, è formulato così:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà ed alla sicurezza. Nessuno può essere privato della sua libertà, salvo nei seguenti casi e secondo le vie legali:
a) se è detenuto regolarmente dopo condanna da parte di tribunale competente;
(…)
e) se si tratta della detenzione regolare (…)di un alienato(…). “
Ai termini dell’articolo 2 del Protocollo no 4
“1. Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di un Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di scegliere liberamente la sua residenza.
(…)
3. L’esercizio di questi diritti non può essere oggetto di altre restrizioni se non quelle che, previste dalla legge, costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al mantenimento dell’ordine pubblico, alla prevenzione dei reati penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
(…) “
29. Il Governo contesta le affermazioni del richiedente.
A. Sull’ammissibilità
30. La Corte nota al primo colpo che la libertà controllata imposta al richiedente si è conclusa il 27 febbraio 2001 e che l’internamento dell’interessato in un ospedale psichiatrico giudiziale è cessato il 14 novembre 2002 (paragrafi 14 e 18 sopra). Ora, la presente richiesta è stata introdotta il 20 aprile 2006, o ben più di sei mesi dopo queste date.
31. Ne segue che per quanto riguardano delle misure della libertà controllata e dell’internamento psichiatrico, le affermazioni del richiedente sono tardive e devono essere respinte in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
32. Ne va diversamente per la libertà vigilata, misura alla quale il richiedente è stato sottomesso fino nel novembre 2005 (paragrafo 22 sopra).
33. Nella misura in cui riguarda la necessità e la durata della libertà vigilata, il motivo di appello del richiedente non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
( ha) Il richiedente
34. Il richiedente si oppone alla tesi del Governo (vedere qui di seguito paragrafi 37-38) secondo la quale la libertà vigilata non implicava una “privazione di libertà”. Ricorda, in particolare, gli obblighi che derivavano da questa misura, che stima particolarmente costrittiva.
35. La libertà sorvegliata era stata imposta inizialmente per una durata di un anno; questa misura è stata prorogata però, regolarmente. Ora, una privazione di libertà nella cornice dell’articolo 5 § 1 e) della Convenzione si giustifica solamente a tre condizioni: che l’autorità giudiziale abbia, con l’aiuto di una perizia medica indipendente, stabilita che una persona “è alienata”; che i disturbi mentali constatati siano gravi al punto da rendere necessario l’internamento; che un controllo regolare sia esercitato in quanto alla persistenza delle ragioni che giustificano l’internamento. Nello specifico, la misura di sicurezza non è stata tolta a dispetto dei progressi che il richiedente aveva compiuto.
36. In più, la decisione che revocava la misura di sicurezza, adottata il 1 luglio 2005, è stata notificata al richiedente solo il 7 novembre 2005, o 129 giorni più tardi. Questo ritardo è privo di giustificazione ragionevole. A questo riguardo, il richiedente contesta la tesi del Governo (vedere qui di seguito paragrafo 40) secondo cui questa decisione ha preso effetto il giorno del deposito del suo testo alla cancelleria, il 2 novembre 2005 e non il giorno della suo pronunzia.
( b) Il Governo
37. Il Governo osserva che la libertà sorvegliata si è conclusa il 4 novembre 2005, ciò che è attestato dall’ufficio dell’esecuzione presso la procura di Firenze. Osserva poi che l’articolo 5 della Convenzione non si applica a tutte le misure imposte al richiedente. Difatti, solo il periodo passato in internamento psichiatrico, dal 18 dicembre 2001 al 14 novembre 2002, dipenderebbe da questa disposizione, mentre i periodi di libertà controllata e di libertà vigilata ricadrebbero nel campo di applicazione solamente dell’articolo 2 del Protocollo no 4. Le restrizioni imposte da queste ultime misure non raggiungerebbero un livello di severità tale da poter parlare di privazione di libertà. Ad ogni modo, la libertà controllata era una pena autorizzata dal capoverso a) del paragrafo 1 dell’articolo 5 della Convenzione.
38. In quanto alla libertà vigilata, il richiedente viveva al suo domicilio abituale con suo padre e non era chiuso in un luogo determinato; era libero di andare e venire a suo gradimento per tutta la giornata, essendo la sola restrizione imposta l’interdizione di uscire la notte, tra le 22 ore e le 7 ore; poteva dedicarsi liberamente ai suoi obblighi abituali e non poteva avere altro obbligo di quello di presentarsi una volta al mese all’autorità di polizia. Le altre prescrizioni inerenti alla misura di sicurezza (come l’interdizione di portare delle armi) non aveva nessun legame con la libertà personale. L’interessato non subiva nessuna limitazione notevole nelle sue possibilità di contatto con terzi e non era sottoposto a nessuna sorveglianza rigorosa da parte della polizia. Queste circostanze differenzierebbero la presente causa dalla causa Guzzardi c. Italia (6 novembre 1980, serie A no 39).
39. Concernente il collocamento in esecuzione della decisione di revocare la misura di sicurezza, il Governo riconosce che in principio un termine eccessivamente lungo tra una decisione giudiziale di questo tipo e la data in quale i suoi effetti si producono può analizzarsi come un’incomprensione dell’articolo 2 del Protocollo no 4. Tuttavia, la valutazione del carattere eccessivo di tale termine non potrebbe farsi con la stessa severità di quella applicata in materia di privazione di libertà, perché il carattere accettabile o meno di un termine è in funzione della gravità delle conseguenze del suo scorrimento. Le restrizioni subite dal richiedente nello specifico si trovavano sotto al livello necessario affinché si possa parlare di “privazione di libertà”; essendo le conseguenze per l’interessato meno gravi, il termine accettabile tra la decisione ed il suo collocamento in opera può essere più lungo.
40. Nell’occorrenza, il punto di partenza del termine deve essere fissato nella data del deposito alla cancelleria della decisione del giudice di applicazione delle pene di Firenze, 2 novembre 2005. Difatti la decisione di revoca non è stata pronunciata nella cornice di un procedimento penale in cui la sentenza è pronunciata alla conclusione dell’udienza ed è stata resa immediatamente esecutiva. Nel procedimento applicabile nello specifico, alla fine dell’udienza in camera del consiglio, il giudice di applicazione della pene riserva la sua decisione; questa è presa in un momento successivo, dopo delibera. La decisione che mette fine ad una misura di sicurezza è un atto che diventa dunque perfetto solamente nel momento del suo deposito alla cancelleria. Quindi, il ritardo nel suo collocamento in esecuzione sarebbe nello specifico solo di due giorni, dal 2 al 4 novembre 2005. Il Governo stima che questo termine, necessario per permettere alla procura di decidersi sulla necessità di fare appello della decisione e, in caso negativo, di procedere al suo collocamento in opera, non era eccessivo e non ha ignorato l’articolo 2 del Protocollo no 4.
2. Valutazione della Corte
41. La Corte ricorda innanzitutto che proclamando il “diritto alla libertà”, il paragrafo 1 dell’articolo 5 prevede la libertà fisica della persona. Quindi, non riguarda le semplici restrizioni alla libertà di circolare; ubbidiscono all’articolo 2 del Protocollo no 4. Per determinare se un individuo si trova “privato della sua libertà” ai sensi dell’articolo 5, bisogna partire dalla sua situazione concreta e prendere in conto un insieme di criteri come il genere, la durata, gli effetti e le modalità di esecuzione della misura considerata. Tra privazione e restrizione di libertà, vi è tuttavia solo una differenza di grado o di intensità, non di natura o di essenza (Guzzardi precitata, §§ 92-93,).
42. Nello specifico, la libertà sorvegliata provocava, per il richiedente, i seguenti obblighi (paragrafo 15 sopra):
– presentarsi una volta al mese all’autorità di polizia incaricata della sorveglianza;
– mantenere dei contatti col centro psichiatrico dell’ospedale di Niguarda;
– abitare a Milano, al 18 di Viale Abruzzi,;
– non allontanarsi dal comune dove risiedeva;
– restare a casa tra le 22h00 e le 7h00.
43. Agli occhi della Corte, queste misure non hanno provocato una privazione di libertà ai sensi dell’articolo 5 § 1 della Convenzione, ma delle semplici restrizioni alla libertà di circolare (vedere, mutatis mutandis, Raimondo c. Italia, serie A no 281-A, § 39, 22 febbraio 1994). Il Governo lo sottolinea a giusto titolo (paragrafi 37-38 sopra).
44. Essendo l’articolo 5 così inapplicabile, c’è luogo di esaminare questo motivo di appello sotto l’angolo dell’articolo 2 del Protocollo no 4.
45. Ai termini della giurisprudenza della Corte, ogni misura che restringe il diritto alla libertà di circolazione deve essere prevista dalla legge, inseguire uno degli scopi legittimi mirati al terzo paragrafo dell’articolo 2 del Protocollo no 4 e predisporre un giusto equilibrio tra l’interesse generale ed i diritti dell’individuo (Baumann c. Francia, no 33592/96, § 61, CEDH 2001-V, e Riener c. Bulgaria, no 46343/99, § 109, 23 maggio 2006).
46. Nello specifico, nessuno contesta che le misure controverse avevano una base legale in diritto italiano. Le giurisdizioni interne hanno stimato che si imponeva di fare fronte alla pericolosità sociale del richiedente. Questa ultima è stata stabilita sulla base del reato per cui era stato condannato così come su parecchi altri elementi, come la sua pratica medica, i risultati di una perizia psichiatrica ordinata dal giudice di istanza di Milano, i fatti di aggressione e di minacce commessi dopo la condanna, i rapporti dei medici curanti (paragrafi 7, 15 e 19 sopra). Nel loro insieme, questi elementi hanno portato le autorità a pensare che l’interessato soffriva di disturbi psichiatrici gravi che provocavano, tra l’altro, una mancanza di controllo delle sue pulsioni aggressive (vedere, in particolare, i paragrafi 10 e 11 sopra). Le misure restrittive della sua libertà di circolazione erano necessarie “al mantenimento dell’ordine pubblico” dunque, così come “alla prevenzione dei reati penali.”
47. Per ciò riguarda la proporzionalità delle misure incriminate, queste non si giustificano solamente fino a quando tendono infatti alla realizzazione dell’obiettivo che sono supposte di perseguire (vedere, mutatis mutandis, Napijalo c. Croazia, no 66485/01, §§ 78-82, 13 novembre 2003, e Gochev c. Bulgaria, no 34383/03, § 49, 26 novembre 2009). Peraltro, fosse anche giustificata alla partenza, una misura che restringe la libertà di circolazione di una persona può diventare sproporzionata e può violare i diritti di questa persona se si prolunga automaticamente per molto tempo (Luordo c. Italia, no 32190/96, § 96, CEDH 2003-IX, Riener precitata, § 121, e Földes e Földesné Hajlik c. Ungheria, no 41463/02, § 35, 31 ottobre 2006).
48. In particolare, la Corte considera che quando sono in causa delle misure la cui giustificazione si fonda su una condizione propria all’interessato che, come la pericolosità sociale dovuta a disturbi psichiatrici, è suscettibile di modificarsi nel tempo, incombe sullo stato di procedere ai controlli periodici in quanto alla persistenza delle ragioni che giustificano ogni restrizione ai diritti garantiti dall’articolo 2 del Protocollo no 4. La frequenza di simili controlli, del resto espressamente previsti dalla legge italiana (vedere l’articolo 208 del CP, citato al paragrafo 26 sopra) dipende dalla natura delle restrizioni in causa e dalle circostanze particolari di ogni causa.
49. Nello specifico, il 14 novembre 2002, la libertà sorvegliata è stata prorogata dopo l’uscita del richiedente dell’ospedale psichiatrico giudiziale da prima fino al 9 ottobre 2003, e poi fino al 9 febbraio, al 9 giugno ed al 9 ottobre 2004. Cinque controlli effettuati da un giudice indipendente ed imparziale hanno avuto almeno dunque luogo in un lasso di tempo di un poco più di un anno e dieci mesi, il che non potrebbe passare per insufficiente. In più, la Corte ha esaminato le ragioni avanzate dalle autorità per prorogare, ogni volta, la durata della misura incriminata (paragrafo 19 sopra) senza trovarvi nessuno segno di arbitrarietà.
50. N segue che non c’è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 4 per ciò che riguarda l’imposizione della libertà vigilata e le sue proroghe successive fino a quella del 9 ottobre 2004 (data in cui la misura è stata prorogata fino nel luglio 2005-paragrafo 19 sopra).
51. Però, c’è luogo di notare che all’epoca della proroga pronunciata in questa ultima data, era stato deciso che il successivo controllo avrebbe avuto luogo nel luglio 2005. E difatti, il giudice di applicazione delle pene di Firenze ha ripreso l’esame della pratica all’udienza in camera del consiglio del 1 luglio 2005. Tuttavia, ha depositato alla cancelleria il testo della sua decisione che revocava la libertà vigilata solo il 2 novembre 2005, o quattro mesi più tardi. Il 7 novembre 2005, questa decisione è stata notificata al richiedente (paragrafo 22 sopra) che ha avuto così cognizione della levata delle restrizioni alla sua libertà di circolazione.
52. Agli occhi della Corte, più zelo e rapidità si impongono nella cornice della presa di una decisione che lede i diritti garantiti dall’articolo 2 del Protocollo no 4, e questo in particolare al termine di una proroga, già di una durata di nove mesi al 1 luglio 2005, delle restrizioni che colpiscono l’interessato. Peraltro, la decisione di revocare la libertà sorvegliata è stata adottata sulla base della pratica solo in mancanza di ogni misura di istruzione supplementare. Nelle circostanze particolari della presente causa, un intervallo di più di quattro mesi tra l’ udienza dinnanzi al giudice di applicazione delle pene e la levata effettiva della libertà vigilata non era giustificata ed è stata di natura tale da rendere sproporzionate le restrizioni alla libertà di circolazione del richiedente.
53. Ne segue che c’è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 4 in ragione dell’adozione e dell’esecuzione tardiva della decisione di revocare la libertà sorvegliata dopo l’udienza del 1 luglio 2005.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
54. Il richiedente si lamenta della durata del procedimento di cui è stato oggetto.
Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, è formulato così:
“1. Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale, che deciderà, o delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile, o della fondatezza di ogni accusa in materia penale diretta contro lei. (…). “
55. Avuto riguardo alla constatazione di violazione alla quale è giunta per l’articolo 2 del Protocollo no 4 (paragrafo 53 sopra) la Corte stima di avere esaminato la questione giuridica principale posta dalla presente richiesta.
Tenuto conto dell’insieme dei fatti della causa e degli argomenti delle parti, considera che non si impone più di deliberare separatamente sul motivo di appello derivato dall’articolo 6 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Kamil Uzun c. Turchia, no 37410/97, § 64, 10 maggio 2007).
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
56. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
57. Il richiedente richiede 100 000 euro (EUR) a titolo del danno morale che avrebbe subito. Chiede inoltre il risarcimento del danno patrimoniale, senza valutarlo.
58. Il Governo nota che il danno patrimoniale non è stato provato per niente e sembra inesistente nelle circostanze particolari del caso di specifico. In quanto alla somma sollecitata per danno morale, sarebbe manifestamente esorbitante.
59. La Corte osserva al primo colpo che il richiedente non ha supportato la sua richiesta concernente il danno patrimoniale. Ad ogni modo, non vede alcun legame di causalità tra la violazioni constatata ed un qualsiasi danno patrimoniale e respinge questa richiesta.
60. Trattandosi del danno morale subito dal richiedente, la Corte stima che la constatazione di violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 4 rappresenta una soddisfazione equa sufficiente.
B. Oneri e spese
61. Il richiedente chiede anche, tramite il suo rappresentante, il rimborso degli oneri e delle spese impegnati dinnanzi alla Corte. Non precisa però il loro importo e non produce nessuno documento giustificativo a sostegno delle sue pretese.
62. Il Governo chiede il rigetto di questa richiesta, in mancanza per questa di essere valutata e supportata.
63. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, il sussidio di una somma a titolo degli oneri e delle spese sostenuti dal richiedente può intervenire solamente nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Belziuk c. Polonia, 25 marzo 1998, § 49, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-II).
64. Nello specifico, il rappresentante del richiedente non ha fornito la minima indicazione in quanto all’importo ed alla natura degli oneri incorsi dal suo cliente, e, a dispetto delle indicazioni date a questo riguardo dalla cancelleria della Corte, ha omesso di produrre ogni documento giustificativo suscettibile di supportare la sua richiesta di rimborso.
65. In queste circostanze, la Corte non stima appropriato concedere una somma a questo titolo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dalla necessità e dalla durata della libertà vigilata ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 4 in ragione dell’adozione e dell’esecuzione tardiva della decisione di revocare la libertà sorvegliata dopo l’udienza del 1 luglio 2005, e che non c’è stata violazione di questa stessa disposizione in ragione dell’applicazione della libertà vigilata e del suo mantenimento fino nel luglio 2005;
3. Stabilisce che non si impone più di deliberare separatamente sul motivo di appello derivato dall’articolo 6 della Convenzione;
4. Stabilisce che la constatazione di una violazione costituisce una soddisfazione equa sufficiente a titolo del danno morale subito dal richiedente;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 20 aprile 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusion Violation de P4-2 ; Non-violation de P4-2 ; Partiellement irrecevable ; Dommage matériel – demande rejetée ; Préjudice moral – constat de violation suffisant
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE VILLA c. ITALIE
(Requête no 19675/06)
ARRÊT
STRASBOURG
20 avril 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Villa c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nona Tsotsoria, juges,
et de Sally Dollé, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 30 mars 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 19675/06) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, M. R. V. (« le requérant »), a saisi la Cour le 20 avril 2006 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par Me C. D., avocat à La Spezia. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, Mme E. Spatafora, et par son co-agent, M. F. Crisafulli.
3. Le requérant allègue que les mesures de sûreté auxquelles il a été soumis à la suite de sa condamnation au pénal ont été arbitraires et ont eu une durée excessive.
4. Le 25 juin 2008, la présidente de la deuxième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le requérant est né en 1963 et réside à Milan.
A. Le procès pénal contre le requérant
6. Par une ordonnance du 17 juillet 1997, le parquet de Milan renvoya le requérant en jugement devant le juge d’instance de cette même ville. D’après le chef d’accusation, le 1er mai 1997, le requérant avait menacé de mort et blessé son père, X, à l’aide d’un couteau.
7. Les débats débutèrent le 13 mai 1998. Le 28 septembre 1998, le père du requérant et une agente de police furent interrogés. X produisit un dossier médical dont il ressortait que le requérant souffrait d’une psychose paranoïde chronique et était invalide civil à 100%. Le 14 novembre 1998, le juge d’instance chargea une psychiatre et une psychologue de procéder à une expertise psychiatrique. Celle-ci fut déposée au greffe le 2 mars 1999. La psychiatre et le requérant furent interrogés le 22 mars 1999.
8. Par un jugement du 4 mai 1999, dont le texte fut déposé au greffe le 19 mai 1999, le juge d’instance de Milan reconnut le requérant coupable mais partiellement irresponsable de ses actes et le condamna à une peine d’emprisonnement de trois mois et quinze jours. En application de l’article 56 de la loi no 689 de 1981, cette peine fut remplacée par sept mois de liberté contrôlée (libertà controllata). A cette peine se rajoutait une mesure de sûreté, à savoir la liberté surveillée (libertà vigilata) pour une durée d’un an.
9. Le juge d’instance estima qu’à l’époque des faits, le requérant souffrait d’un stress particulièrement élevé, provoqué par la pratique obsessionnelle du culturisme, associée à des régimes alimentaires draconiens. Des crises d’épilepsie étaient survenues et l’intéressé consommait en dehors de tout contrôle médical des médicaments psychotropes, des stéroïdes anabolisants et des amphétamines. A l’issue d’une dispute, il avait agressé son père, puis il avait essayé de se suicider.
10. Il ressortait du dossier que dès l’adolescence, le requérant avait manifesté des troubles de la personnalité de type socio-pathologique, qui s’étaient ensuite aggravés et avaient conduit à son internement. En 1989, il avait été reconnu comme invalide civil à 100% à cause de sa psychose paranoïde associée à un manque de contrôle de ses pulsions agressives. Il avait besoin d’une assistance continue. Le requérant n’était pas conscient de sa propre maladie, qui, sans l’abolir, réduisait sa capacité de comprendre et vouloir. Compte tenu aussi de certaines améliorations dans son comportement, des circonstances atténuantes devaient lui être reconnues.
11. Cependant, il ressortait de l’expertise psychiatrique que le requérant, qui avait de fortes pulsions destructrices, était socialement dangereux. Compte tenu de l’ensemble des éléments à sa disposition, le juge d’instance estima qu’une thérapie de rééducation était préférable à la simple punition, et décida de remplacer l’emprisonnement par la liberté contrôlée.
12. La dangerosité du requérant motiva en outre l’application d’une mesure de sûreté, à savoir la liberté surveillée. Cette mesure était préférable à celle de l’internement dans une maison de soin (casa di cura e di custodia) proposée par le parquet, car elle ne limitait pas le droit à la liberté de l’intéressé. En effet, selon la psychiatre, une privation de liberté aurait eu des effets dévastateurs sur une personne qui, comme le requérant, souffrait de troubles psychiques graves.
13. Le jugement du 4 mai devint définitif le 20 juillet 1999.
B. La mesure de sûreté appliquée au requérant
14. Le requérant purgea d’abord (à partir du 27 juillet 2000) sept mois de liberté contrôlée. Cette sanction impliquait l’interdiction de quitter la commune de Milan, l’obligation de se présenter une fois par jour au commissariat de police, l’interdiction de porter des armes et des explosifs, la suspension du permis de conduire et la saisie du passeport. Le requérant devait en outre garder sur lui et présenter, à toute demande des agents de police, l’ordonnance le soumettant aux obligations découlant de la liberté contrôlée.
15. Par une ordonnance du 9 octobre 2001, le juge d’application des peines de Milan déclara que le requérant était encore socialement dangereux et décida en conséquence de le soumettre, pour une durée d’un an, à la mesure de sûreté dite de liberté surveillée. Le juge observa notamment que le 3 avril 2000, le parquet de Milan avait demandé le réexamen de la dangerosité sociale du requérant et que, le 23 juillet 2001, l’intéressé avait agressé un médecin. Auparavant, il avait menacé un autre médecin et il avait vandalisé son véhicule. De plus, il ressortait d’un rapport médical qu’il n’avait pas suivi les thérapies conseillées et avait continué à utiliser des médicaments psychotropes et des anabolisants. Dès lors, il s’imposait de le soumettre à la mesure de sûreté ordonnée par le jugement du 4 mai 1999. Cette mesure entraînait pour l’intéressé les obligations suivantes :
– se présenter une fois par mois à l’autorité de police chargée de la surveillance ;
– garder des contacts avec le centre psychiatrique de l’hôpital de Niguarda ;
– habiter à Milan, au 18 boulevard Abruzzi ;
– ne pas s’éloigner de la commune où il résidait ;
– rester à son domicile entre 22h00 et 7h00.
16. Le requérant devait en outre garder sur lui et présenter à toute demande des agents de police l’ordonnance le soumettant aux obligations découlant de la liberté surveillée, ordonnance qui lui fut notifiée le 17 octobre 2001.
17. Le 18 décembre 2001, le juge d’application des peines de Milan ordonna le placement du requérant à l’hôpital psychiatrique judiciaire de Montelupo Fiorentino jusqu’au 5 octobre 2002.
18. Le 4 octobre 2002, cette mesure fut prorogée jusqu’au 9 avril 2003. Toutefois, le 5 novembre 2002 le juge d’application des peines de Florence autorisa le placement du requérant au domicile de son père, à Milan, à titre de « permission finale à titre probatoire ». Le 14 novembre 2002, le requérant quitta l’hôpital psychiatrique pour se rendre à Milan ; à partir de cette date, il fut à nouveau soumis au régime de la liberté surveillée.
19. Cette mesure fut prorogée jusqu’au 9 octobre 2003, puis jusqu’au 9 février, au 9 juin, au 9 octobre 2004 et enfin jusqu’au 9 juillet 2005. A chaque fois, le juge d’application des peines de Florence constata que la dangerosité sociale du requérant n’avait pas disparu. Même si des progrès étaient en cours (notamment, le requérant avait suivi un cours de formation et, après un début difficile, avait commencé à fréquenter un centre psychiatrique), des éléments en sens contraire subsistaient, ce qui amenait à penser que la situation n’était pas encore tout à fait rassurante. En particulier, le requérant avait précisé qu’il se soumettait aux visites psychiatriques seulement parce qu’il s’agissait d’une obligation légale, et persistait à avoir un rapport conflictuel avec son père. Selon les médecins, il n’était absolument pas conscient de la maladie dont il était atteint.
20. Le 1er juillet 2005, le juge d’application des peines de Florence reprit l’examen du dossier. Il décida que le requérant n’était plus socialement dangereux et révoqua la mesure de sûreté.
21. Il observa que l’infraction pour laquelle le requérant avait été condamné n’était pas particulièrement grave et remontait à 1997. D’autres infractions moins graves, pour lesquelles l’intéressé avait bénéficié d’une réhabilitation, avaient été commises dans les années 80. Après une période de liberté surveillée, à partir du 22 janvier 2002, le requérant avait été interné dans un hôpital psychiatrique judiciaire et, depuis le 14 novembre 2002, il était placé au domicile de son père. Dans son ensemble, ce placement avait été positif, et seules certaines difficultés personnelles et familiales avaient conduit le juge à proroger la mesure. Entre-temps, le requérant avait établi un rapport correct et coopératif avec le centre psychiatrique de Milan, avait commencé à travailler comme instructeur de gymnastique et il consultait, à titre privé, un psychiatre. Sa relation avec son père s’était améliorée.
22. Cette décision, prise le 1er juillet, ne fut déposée au greffe que le 2 novembre 2005 ; elle fut notifiée au requérant le 7 novembre 2005.
C. La demande en réparation pour durée excessive de la procédure
23. Le 29 décembre 2005, le requérant introduisit devant la cour d’appel de Brescia une demande sur le fondement de la loi no 89 de 2001 (dite « loi Pinto ») afin d’obtenir la réparation des dommages subis à cause de la durée prétendument excessive de la procédure pénale dont il avait fait l’objet. Alléguant que la fin de son procès coïncidait avec la levée de la mesure de sûreté, il se plaignait d’une durée de plus de huit ans.
24. Par une décision du 8 mars 2006, la cour d’appel rejeta cette demande, au motif que la procédure pénale avait duré environ deux ans. Le requérant ne se pourvut pas en cassation contre cette décision.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
25. Les mesures de sûreté sont réglementées par les articles 199 à 240 du code pénal (CP). Aux termes de l’article 202 § 1, ces mesures « peuvent être appliquées seulement aux personnes socialement dangereuses qui ont commis un fait érigé en infraction pénale par la loi ». Est considéré comme étant socialement dangereux celui qui a commis un tel fait « lorsqu’il est probable qu’il commette des nouveaux faits érigés en infractions pénales par la loi » (article 203 § 1).
26. Les mesures de sûreté (normalement imposées par le juge pénal dans son jugement sur le fond – article 205 § 1) ne peuvent être révoquées que si leur destinataire a cessé d’être socialement dangereux (article 207 § 1). Après l’écoulement de la période minimale fixée par la loi pour chaque mesure, le juge doit réexaminer la personne qui y est soumise, afin de déterminer si elle est encore socialement dangereuse. Dans l’affirmative, le juge doit fixer la date du prochain examen. Il peut toutefois avancer cette date s’il y a des raisons de croire que le danger a cessé (article 208).
27. Les mesures de sûreté se divisent en mesures personnelles et mesures patrimoniales. Parmi les premières figurent l’internement en hôpital psychiatrique judiciaire (article 222) et la liberté surveillée. La personne soumise à cette dernière mesure est « confiée à l’autorité de sûreté publique » pour une durée minimale d’un an ; le juge lui impose les obligations (qui peuvent être modifiées) qu’il estime idoines à prévenir la commission de nouvelles infractions. La surveillance doit être exercée de manière à favoriser, par l’intermédiaire du travail, la réadaptation de l’intéressé à la vie sociale (article 228).
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DES ARTICLES 5 DE LA CONVENTION ET 2 DU PROTOCOLE No 4
28. Le requérant considère que la mesure de sûreté dont il a fait l’objet a eu une durée excessive et un caractère arbitraire. Il invoque l’article 5 de la Convention ainsi que, dans ses observations, l’article 2 du Protocole no 4.
L’article 5, en ses parties pertinentes, est ainsi libellé :
« 1. Toute personne a droit à la liberté et à la sûreté. Nul ne peut être privé de sa liberté, sauf dans les cas suivants et selon les voies légales :
a) s’il est détenu régulièrement après condamnation par un tribunal compétent ;
(…)
e) s’il s’agit de la détention régulière (…) d’un aliéné (…). »
Aux termes de l’article 2 du Protocole no 4
« 1. Quiconque se trouve régulièrement sur le territoire d’un État a le droit d’y circuler librement et d’y choisir librement sa résidence.
(…)
3. L’exercice de ces droits ne peut faire l’objet d’autres restrictions que celles qui, prévues par la loi, constituent des mesures nécessaires, dans une société démocratique, à la sécurité nationale, à la sûreté publique, au maintien de l’ordre public, à la prévention des infractions pénales, à la protection de la santé ou de la morale, ou à la protection des droits et libertés d’autrui.
(…) »
29. Le Gouvernement conteste les allégations du requérant.
A. Sur la recevabilité
30. La Cour note d’emblée que la liberté contrôlée imposée au requérant a pris fin le 27 février 2001 et que l’internement de l’intéressé dans un hôpital psychiatrique judiciaire a cessé le 14 novembre 2002 (paragraphes 14 et 18 ci-dessus). Or, la présente requête a été introduite le 20 avril 2006, soit bien plus de six mois après ces dates.
31. Il s’ensuit que pour autant qu’elles portent sur les mesures de la liberté contrôlée et de l’internement psychiatrique, les allégations du requérant sont tardives et doivent être rejetées en application de l’article 35 §§ 1 et 4 de la Convention.
32. Il en va autrement pour la liberté surveillée, mesure à laquelle le requérant a été soumis jusqu’en novembre 2005 (paragraphe 22 ci-dessus).
33. Dans la mesure où il porte sur la nécessité et la durée de la liberté surveillée, le grief du requérant n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
(a) Le requérant
34. Le requérant s’oppose à la thèse du Gouvernement (voir paragraphes 37-38 ci-après) selon laquelle la liberté surveillée n’impliquait pas une « privation de liberté ». Il rappelle, notamment, les obligations découlant de cette mesure, qu’il estime particulièrement contraignantes.
35. La liberté surveillée avait initialement été imposée pour une durée d’un an ; cependant, cette mesure a été régulièrement prorogée. Or, une privation de liberté dans le cadre de l’article 5 § 1 e) de la Convention se justifie seulement à trois conditions : que l’autorité judiciaire ait, à l’aide d’une expertise médicale indépendante, établi qu’une personne est « aliénée » ; que les troubles mentaux constatés soient graves au point de rendre nécessaire l’internement ; qu’un contrôle régulier soit exercé quant à la persistance des raisons justifiant l’internement. En l’espèce, la mesure de sûreté n’a pas été levée en dépit des progrès que le requérant avait accomplis.
36. De plus, la décision révoquant la mesure de sûreté, adoptée le 1er juillet 2005, n’a été notifiée au requérant que le 7 novembre 2005, soit 129 jours plus tard. Ce retard est dépourvu de justification raisonnable. A cet égard, le requérant conteste la thèse du Gouvernement (voir paragraphe 40 ci-après) selon laquelle cette décision a pris effet le jour du dépôt de son texte au greffe (le 2 novembre 2005), et non le jour de son prononcé.
(b) Le Gouvernement
37. Le Gouvernement observe que la liberté surveillée a pris fin le 4 novembre 2005, ce qui est attesté par le bureau de l’exécution auprès du parquet de Florence. Il observe ensuite que l’article 5 de la Convention ne s’applique pas à toutes les mesures imposées au requérant. En effet, seule la période passée en internement psychiatrique (du 18 décembre 2001 au 14 novembre 2002) relèverait de cette disposition, tandis que les périodes de liberté contrôlée et de liberté surveillée tomberaient seulement dans le champ d’application de l’article 2 du Protocole no 4. Les restrictions imposées par ces dernières mesures n’atteindraient pas un niveau de sévérité tel que l’on puisse parler de privation de liberté. En tout état de cause, la liberté contrôlée était une peine autorisée par l’alinéa a) du paragraphe 1 de l’article 5 de la Convention.
38. Quant à la liberté surveillée, le requérant vivait à son domicile habituel avec son père et n’était pas enfermé dans un endroit déterminé ; il était libre d’aller et venir à son gré tout au long de la journée, la seule restriction imposée étant l’interdiction de sortir la nuit, entre 22 heures et 7 heures ; il pouvait librement vaquer à ses obligations habituelles et n’avait d’autre obligation que celle de se présenter une fois par mois à l’autorité de police. Les autres prescriptions inhérentes à la mesure de sûreté (comme l’interdiction de porter des armes) n’avaient aucun lien avec la liberté personnelle. L’intéressé ne subissait aucune limitation notable dans ses possibilités de contact avec des tiers et n’était soumis à aucune surveillance stricte de la part de la police. Ces circonstances différencieraient la présente affaire de l’affaire Guzzardi c. Italie (6 novembre 1980, série A no 39).
39. Concernant la mise à exécution de la décision de révoquer la mesure de sûreté, le Gouvernement reconnaît qu’en principe un délai excessivement long entre une décision judiciaire de ce type et la date à laquelle ses effets se produisent peut s’analyser en une méconnaissance de l’article 2 du Protocole no 4. Toutefois, l’appréciation du caractère excessif d’un tel délai ne saurait se faire avec la même sévérité que celle appliquée en matière de privation de liberté, car le caractère acceptable ou non d’un délai est fonction de la gravité des conséquences de son écoulement. Les restrictions subies par le requérant en l’espèce se situaient en dessous du niveau nécessaire pour que l’on puisse parler de « privation de liberté » ; les conséquences pour l’intéressé étant moins graves, le délai acceptable entre la décision et sa mise en œuvre peut être plus long.
40. En l’occurrence, le point de départ du délai doit être fixé à la date du dépôt au greffe de la décision du juge d’application des peines de Florence (2 novembre 2005). En effet la décision de révocation n’a pas été prononcée dans le cadre d’une procédure pénale, dans laquelle l’arrêt est prononcé à l’issue de l’audience et est immédiatement exécutoire. Dans la procédure applicable en l’espèce, à la fin de l’audience en chambre du conseil, le juge d’application des peines réserve sa décision ; celle-ci est prise à un moment ultérieur, après délibération. La décision mettant fin à une mesure de sûreté est donc un acte qui ne devient parfait qu’au moment de son dépôt au greffe. Dès lors, le retard dans sa mise à exécution ne serait en l’espèce que de deux jours (du 2 au 4 novembre 2005). Le Gouvernement estime que ce délai, nécessaire pour permettre au parquet de se déterminer sur la nécessité de faire appel de la décision et, dans la négative, de procéder à sa mise en œuvre, n’était pas excessif et n’a pas méconnu l’article 2 du Protocole no 4.
2. Appréciation de la Cour
41. La Cour rappelle tout d’abord qu’en proclamant le « droit à la liberté », le paragraphe 1 de l’article 5 vise la liberté physique de la personne. Dès lors, il ne concerne pas les simples restrictions à la liberté de circuler ; elles obéissent à l’article 2 du Protocole no 4. Pour déterminer si un individu se trouve « privé de sa liberté » au sens de l’article 5, il faut partir de sa situation concrète et prendre en compte un ensemble de critères comme le genre, la durée, les effets et les modalités d’exécution de la mesure considérée. Entre privation et restriction de liberté, il n’y a pourtant qu’une différence de degré ou d’intensité, non de nature ou d’essence (Guzzardi précité, §§ 92-93).
42. En l’espèce, la liberté surveillée entraînait, pour le requérant, les obligations suivantes (paragraphe 15 ci-dessus) :
– se présenter une fois par mois à l’autorité de police chargée de la surveillance ;
– garder des contacts avec le centre psychiatrique de l’hôpital de Niguarda ;
– habiter à Milan, au 18 Boulevard Abruzzi ;
– ne pas s’éloigner de la commune où il résidait ;
– rester à la maison entre 22h00 et 7h00.
43. Aux yeux de la Cour, ces mesures n’ont pas entraîné une privation de liberté au sens de l’article 5 § 1 de la Convention, mais de simples restrictions à la liberté de circuler (voir, mutatis mutandis, Raimondo c. Italie, série A no 281-A, § 39, 22 février 1994). Le Gouvernement le souligne à juste tire (paragraphes 37-38 ci-dessus).
44. L’article 5 étant ainsi inapplicable, il y a lieu d’examiner ce grief sous l’angle de l’article 2 du Protocole no 4.
45. Aux termes de la jurisprudence de la Cour, toute mesure restreignant le droit à la liberté de circulation doit être prévue par la loi, poursuivre l’un des buts légitimes visés au troisième paragraphe de l’article 2 du Protocole no 4 et ménager un juste équilibre entre l’intérêt général et les droits de l’individu (Baumann c. France, no 33592/96, § 61, CEDH 2001-V, et Riener c. Bulgarie, no 46343/99, § 109, 23 mai 2006).
46. En l’espèce, nul ne conteste que les mesures litigieuses avaient une base légale en droit italien. Les juridictions internes ont estimé qu’elles s’imposaient pour faire face à la dangerosité sociale du requérant. Cette dernière a été établie sur la base de l’infraction pour laquelle il avait été condamné ainsi que sur plusieurs autres éléments, tels que son dossier médical, les résultats d’une expertise psychiatrique ordonnée par le juge d’instance de Milan, les faits d’agression et de menaces commis après la condamnation, les rapports des médecins traitants (paragraphes 7, 15 et 19 ci-dessus). Dans leur ensemble, ces éléments ont amené les autorités à penser que l’intéressé souffrait de troubles psychiatriques graves entraînant, entre autres, un manque de contrôle de ses pulsions agressives (voir, notamment, les paragraphes 10 et 11 ci-dessus). Les mesures restrictives de sa liberté de circulation étaient donc nécessaires « au maintien de l’ordre public », ainsi qu’« à la prévention des infractions pénales ».
47. Pour ce qui est de la proportionnalité des mesures incriminées, celles-ci ne se justifient qu’aussi longtemps qu’elles tendent effectivement à la réalisation de l’objectif qu’elles sont censées poursuivre (voir, mutatis mutandis, Napijalo c. Croatie, no 66485/01, §§ 78-82, 13 novembre 2003, et Gochev c. Bulgarie, no 34383/03, § 49, 26 novembre 2009). Par ailleurs, fût-elle justifiée au départ, une mesure restreignant la liberté de circulation d’une personne peut devenir disproportionnée et violer les droits de cette personne si elle se prolonge automatiquement pendant longtemps (Luordo c. Italie, no 32190/96, § 96, CEDH 2003-IX, Riener précité, § 121, et Földes et Földesné Hajlik c. Hongrie, no 41463/02, § 35, 31 octobre 2006).
48. En particulier, la Cour considère que lorsque sont en cause des mesures dont la justification repose sur une condition propre à l’intéressé qui, comme la dangerosité sociale due à des troubles psychiatriques, est susceptible de se modifier dans le temps, il incombe à l’Etat de procéder à des contrôles périodiques quant à la persistance des raisons justifiant toute restriction aux droits garantis par l’article 2 du Protocole no 4. La fréquence de pareils contrôles, d’ailleurs expressément prévus par la loi italienne (voir l’article 208 du CP, cité au paragraphe 26 ci-dessus), dépend de la nature des restrictions en cause et des circonstances particulières de chaque affaire.
49. En l’espèce, après la sortie du requérant de l’hôpital psychiatrique judiciaire le 14 novembre 2002, la liberté surveillée a été prorogée d’abord jusqu’au 9 octobre 2003, et ensuite jusqu’au 9 février, au 9 juin et au 9 octobre 2004. Au moins cinq contrôles effectués par un juge indépendant et impartial ont donc eu lieu dans un laps de temps d’un peu plus d’un an et dix mois, ce qui ne saurait passer pour insuffisant. De plus, la Cour a examiné les raisons avancées par les autorités pour proroger, à chaque fois, la durée de la mesure incriminée (paragraphe 19 ci-dessus), sans n’y trouver aucun signe d’arbitraire.
50. Il s’ensuit qu’il n’y a pas eu violation de l’article 2 du Protocole no 4 en ce qui concerne l’imposition de la liberté surveillée et ses prorogations successives jusqu’à celle du 9 octobre 2004 (date à laquelle la mesure a été prorogée jusqu’en juillet 2005 – paragraphe 19 ci-dessus).
51. Cependant, il y a lieu de noter que lors de la prorogation prononcée à cette dernière date, il avait été décidé que le contrôle suivant aurait lieu en juillet 2005. Et en effet, le juge d’application des peines de Florence a repris l’examen du dossier à l’audience en chambre du conseil du 1er juillet 2005. Toutefois, il n’a déposé au greffe le texte de sa décision révoquant la liberté surveillée que le 2 novembre 2005, soit quatre mois plus tard. Le 7 novembre 2005, cette décision a été notifiée au requérant (paragraphe 22 ci-dessus), qui a ainsi eu connaissance de la levée des restrictions à sa liberté de circulation.
52. Aux yeux de la Cour, plus de diligence et de rapidité s’imposaient dans le cadre de la prise d’une décision affectant les droits garantis par l’article 2 du Protocole no 4, et ce en particulier au terme d’une prorogation, déjà d’une durée de neuf mois au 1er juillet 2005, des restrictions frappant l’intéressé. Par ailleurs, la décision de révoquer la liberté surveillée a été adoptée sur la base du dossier seul en l’absence de toute mesure d’instruction supplémentaire. Dans les circonstances particulières de la présente affaire, un intervalle de plus de quatre mois entre l’audience devant le juge d’application des peines et la levée effective de la liberté surveillée n’était pas justifié et a été de nature à rendre disproportionnées les restrictions à la liberté de circulation du requérant.
53. Il s’ensuit qu’il y a eu violation de l’article 2 du Protocole no 4 en raison de l’adoption et de l’exécution tardives de la décision de révoquer la liberté surveillée après l’audience du 1er juillet 2005.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
54. Le requérant se plaint de la durée de la procédure dont il a fait l’objet.
Il invoque l’article 6 § 1 de la Convention, qui, en ses parties pertinentes, est ainsi libellé :
« 1. Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (…) dans un délai raisonnable, par un tribunal (…) qui décidera, soit des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil, soit du bien-fondé de toute accusation en matière pénale dirigée contre elle. (…). »
55. Eu égard au constat de violation auquel elle est parvenue pour l’article 2 du Protocole no 4 (paragraphe 53 ci-dessus), la Cour estime avoir examiné la question juridique principale posée par la présente requête.
Compte tenu de l’ensemble des faits de la cause et des arguments des parties, elle considère qu’il ne s’impose plus de statuer séparément sur le grief tiré de l’article 6 de la Convention (voir, mutatis mutandis, Kamil Uzun c. Turquie, no 37410/97, § 64, 10 mai 2007).
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
56. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
57. Le requérant réclame 100 000 euros (EUR) au titre du préjudice moral qu’il aurait subi. Il demande en outre la réparation du préjudice matériel, sans le chiffrer.
58. Le Gouvernement note que le dommage matériel n’a été nullement prouvé et semble inexistant dans les circonstances particulières du cas d’espèce. Quant à la somme sollicitée pour préjudice moral, elle serait manifestement exorbitante.
59. La Cour observe d’emblée que le requérant n’a pas étayé sa demande concernant le préjudice matériel. En tout état de cause, elle n’aperçoit pas de lien de causalité entre la violation constatée et un quelconque dommage matériel et rejette cette demande.
60. S’agissant du préjudice moral subi par le requérant, la Cour estime que le constat de violation de l’article 2 du Protocole no 4 représente une satisfaction équitable suffisante.
B. Frais et dépens
61. Le requérant demande également, par l’intermédiaire de son représentant, le remboursement des frais et dépens engagés devant la Cour. Il ne précise cependant pas leur montant et ne produit aucune pièce justificative à l’appui de ses prétentions.
62. Le Gouvernement demande le rejet de cette demande, faute pour celle-ci d’être chiffrée et étayée.
63. Selon la jurisprudence constante de la Cour, l’allocation d’une somme au titre des frais et dépens exposés par le requérant ne peut intervenir que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux (Belziuk c. Pologne, 25 mars 1998, § 49, Recueil des arrêts et décisions 1998-II).
64. En l’espèce, le représentant du requérant n’a pas fourni la moindre indication quant au montant et à la nature des frais encourus par son client, et, en dépit des indications données à cet égard par le greffe de la Cour, a omis de produire toute pièce justificative susceptible d’étayer sa demande de remboursement.
65. Dans ces circonstances, la Cour n’estime pas approprié d’octroyer une somme à ce titre.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant au grief tiré de la nécessité et de la durée de la liberté surveillée et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 2 du Protocole no 4 en raison de l’adoption et de l’exécution tardives de la décision de révoquer la liberté surveillée après l’audience du 1er juillet 2005, et qu’il n’y a pas eu violation de cette même disposition en raison de l’application de la liberté surveillée et de son maintien jusqu’en juillet 2005 ;
3. Dit qu’il ne s’impose plus de statuer séparément sur le grief tiré de l’article 6 de la Convention ;
4. Dit que le constat d’une violation constitue une satisfaction équitable suffisante au titre du dommage moral subi par le requérant ;
5. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 20 avril 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Sally Dollé Françoise Tulkens
Greffière Présidente

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