A.N.P.T.ES. Associazione Nazionale per la Tutela degli Espropriati. Oltre 5.000 espropri trattati in 15 anni di attività.
Qui trovi tutto cio che ti serve in tema di espropriazione per pubblica utilità.

Se desideri chiarimenti in tema di espropriazione compila il modulo cliccando qui e poi chiamaci ai seguenti numeri: 06.91.65.04.018 - 340.95.85.515

Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE VIDAL ESCOLL ET GUILLAN GONZALEZ c. ANDORRE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 35, 06, 29
Numero: 38196/05/2008
Stato:
Data: 2008-07-29 00:00:00
Organo: Sezione Terza
Testo Originale

Conclusione Violazione dell’art. 6-1; danno materiale e danno morale – risarcimento pecuniario, globale,
TERZA SEZIONE
CAUSA VIDAL ESCOLL E GUILLÁN GONZÁLEZ
c. ANDORRA
(Richiesta no 38196/05)
SENTENZA
STRASBURGO
29 luglio 2008
DEFINITIVO
26/01/2009
Questa sentenza può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Vidal Escoll e Guillán González c. Andorra,
La Corte europea dei Diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Elisabet Fura-Sandström, presidentessa, Corneliu Bîrsan, Boštjan il Sig. Zupančič, Alvina Gyulumyan, Egbert Myjer, giudici,
Isabelle Berro-Lefèvre, giudice ad hoc, Luccichi López Guerra, giudice,
e da Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 8 luglio 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 38196/05) diretta contro il Principato di Andorra e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. J.. V. E. ed un cittadino spagnolo, il Sig. J. G. G. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 19 ottobre 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da M. – A. C. M, avvocato adAndorra. Il governo andorrano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, Rosa Castellón, capo dello studio giuridico del governo di Andorra.
3. Il 27 ottobre 2006, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
4. Il Sig. J. Casadevall, giudice eletto a titolo di Andorra essendosi astenuto, il governo ha designato la Sig.ra I. Berro-Lefevre per riunirsi in qualità di giudice ad hoc (articoli 27 § 2 della Convenzione e 29 § 1 dell’ordinamento della Corte)
5. Tanto i richiedenti che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte sul merito della causa, articolo 59 § 1 dell’ordinamento. Il governo spagnolo non ha presentato osservazioni.
6. Il 1 febbraio 2008, la Corte ha modificato la composizione delle sue sezioni (articolo 25 § 1 dell’ordinamento). La presente richiesta è stata assegnata alla terza sezione così ricomposta (articolo 52 § 1).
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
7. Il primo richiedente è un cittadino andorrano, nato nel1942. Il secondo richiedente è un cittadino spagnolo, nato nel 1944.
8. I fatti della causa, come sono stati esposti dalle parti, si possono riepilogare come segue.
1. Il procedimento amministrativo sollecitato dai richiedenti
9. I richiedenti sono i proprietari di due alloggi unifamiliari in una lottizzazione ubicata nella parrocchia di Escaldes-Engordany. Con un accordo passato tra i proprietari ed il comune di Escaldes-Engordany il 14 marzo 1971, la strada che serviva la lottizzazione poteva accogliere solamente dei casamenti unifamiliari di una quota massimale di 10,50 metri, e ciò in ragione della larghezza della strada che era di meno di 8 metri. La legislazione nazionale fissò la quota massimale dei casamenti a 12,50 metri per la larghezza indicata.
10. Nel 1999, la società E. S.p.A. iniziò la costruzione di due immobili di appartamenti, Vilars I e Vilars II, accanto all’alloggio del primo richiedente ed di fronte a quello del secondo, con una quota totale di 21,50 metri, dopo avere ottenuto i rispettivi permessi di costruzione tanto dal comune di Escaldes-Engordany che dal Governo del Principato.
11. Stimando che i permessi di costruzione che erano stati accordati erano illegali, i richiedenti li attaccarono tramite via amministrativa. Di fronte al silenzio dell’amministrazione, i richiedenti investirono allora la sezione amministrativa del tribunale dei batlles chiedendo che venisse pronunciata la nullità dei permessi a costruire e la sospensione provvisoria dei lavori. Con un giudizio del 5 aprile 2002, il tribunale dei batlles, dopo avere respinto l’istanza di sospensione dei lavori, annullò il permesso a costruire relativo ad uno dei due immobili basandosi sul fatto che superava la quota massimale contemplata in ragione della larghezza della strada, ed ordinò la demolizione della parte dell’immobile che superava i 12,50 metri. Il permesso a costruire concernente il secondo immobile in compenso non fu annullato.
12. I richiedenti fecero appello. Con una sentenza del 28 maggio 2003, il Tribunale superiore di giustizia del Principato di Andorra fece diritto all’appello e lasciò senza effetto la bozza di costruzione del secondo immobile in ragione del superamento della quota massimale.
13. La sentenza del Tribunale superiore di giustizia del Principato di Andorra fu notificata alle parti e passò in forza di cosa giudicata.
14. Il 5 giugno 2003, i richiedenti chiesero al tribunale dei batlles l’esecuzione delle sentenze del 5 aprile 2002 e del 28 maggio 2003, in particolare la distruzione delle parti degli immobili che superavano i 12,50 metri.
15. Il 25 luglio 2003, otto persone titolari di una promessa di vendita su dei futuri appartamenti negli immobili Vilars I e Vilars II in causa presentarono dinnanzi al Tribunale superiore di giustizia un ricorso che tendeva a dichiarare nulla la sentenza del 28 maggio 2003, adducendo di n avere avuto cognizione del procedimento solo dalla stampa e facendo valere che essendo colpiti i loro diritti da suddetta sentenza, avrebbero dovuto parteciparvi.
16. Il Tribunale superiore di giustizia dichiarò il ricorso ammissibile ed ordinò il rinvio all’esecuzione della sua sentenza resa al principale. Il 22 settembre 2003 tuttavia, respinse il ricorso e mise fine al rinvio, considerando che le otto persone in causa non potevano pretendere di non essere state informate del procedimento che era stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale.
17. Il 9 ottobre 2003, i richiedenti insistettero presso il tribunale dei batlles affinché le sentenze del 5 aprile 2002 e 28 maggio 2003 venissero eseguito.
18. Il 14 ottobre 2003, gli otto titolari di promesse di vendita che avevano investito il Tribunale superiore di giustizia del ricorso per nullità investirono il Tribunale costituzionale di un ricorso d’empara. Invocarono l’articolo 10 della Costituzione di Andorra che garantisce il diritto ad un ricorso giurisdizionale ed ad un processo equo, lamentandosi di non essere stati citati in quanto parti interessate nella cornice del procedimento al principale.
19. Il 14 gennaio 2004, il Tribunale superiore di giustizia si pronunciò sugli effetti del ricorso presentato dalle otto persone in questione.
20. Il 19 gennaio 2004 il Tribunale costituzionale dichiarò il ricorso ammissibile senza effetti sospensivi.
21. Il Tribunale costituzionale esaminò il ricorso e, con una sentenza del 15 marzo 2004, lo respinse, stimando che i richiedenti d’empara avevano avuto sufficientemente cognizione dell’esistenza del procedimento ed avevano deciso volontariamente di non prendervi parte. Conclude dunque che nessun attentato era stato portato ai diritti garantiti dall’articolo 10 della Costituzione.
22. Il 5 febbraio 2004, i richiedenti avevano chiesto nel frattempo, di nuovo l’esecuzione delle sentenze del 5 aprile 2002 e del 28 maggio 2003. Reiterarono la loro istanza il 14 luglio 2004.
23. In questa ultima data, i richiedenti investirono il Tribunale costituzionale di un ricorso d’empara esponendo tra l’altro che quattordici mesi erano passati dal pronunziato della sentenza del Tribunale superiore di giustizia che rimaneva sempre non-eseguita, e stimando che il loro diritto ad un processo equo era stato violato in ragione dell’inadempienza della sentenza in causa.
24. Con una sentenza del 2 dicembre 2004, il Tribunale costituzionale accordò l’empara ai richiedenti, esprimendosi nei seguenti termini,:
“(…) Per ciò che riguarda la condotta dei richiedenti, e concretamente dei richiedenti d’empara, non è stata scoperta nessuna irregolarità di procedimento
In compenso, nella condotta dei poteri pubblici, abbiamo potuto scoprire dei ritardi nell’esecuzione o anche una certa connivenza ad ostacolare suddetta esecuzione
(…) un procedimento cominciato il 11 settembre 1999 a seguito di un procedimento amministrativo anteriore, ed finito nel 2003, con una sentenza definitiva che non è stata ancora eseguita, senza che ci siano dei segni che indicano che sia sul punto di esserlo, ha una durata indebita e porta attentato al diritto ad un ricorso giurisdizionale riconosciuto dall’articolo 10 della Costituzione:
DECIDE:
(…)
Primariamente. – Di dichiarare che c’è stata violazione del diritto ad un ricorso giurisdizionale, riconosciuto dall’articolo 10 della Costituzione, nella misura in cui garantisce il loro diritto [dei richiedenti] ad un processo equo in una durata ragionevole
Secondariamente. – Di concedere l’embara chiesto dai loro rappresentanti [richiedenti]
Terzo. – Di comunicare questa sentenza al tribunale dei batlles affinché proceda all’esecuzione della sentenza della camera amministrativa del Tribunale superiore di giustizia del 28 maggio 2003. “
25. In seguito alla sentenza del Tribunale costituzionale, i richiedenti si rivolsero, da una parte, al tribunale dei batlles facendo valere che l’ostruzione alla giustizia poteva costituire una violazione penale e chiedendogli di eseguire le sentenze e, dall’altra parte, al ministero pubblico affinché iniziasse dei perseguimenti penali contro le persone autrici della “connivenza” nell’ostruzione della giustizia constatata dal Tribunale costituzionale, così come al Governo ed al comune di Escaldes-Engordany per la loro istanza di non fare ostacolo all’esecuzione delle sentenze in causa.
26. Le istanze dei richiedenti non furono seguite da effetto.
2. Il procedimento di espropriazione contro i richiedenti
27. Il comune di Escaldes-Engordany iniziò un procedimento di espropriazione di una parte delle proprietà di ogni richiedente, iscrivendolo nella cornice del progetto di ingrandimento della via della lottizzazione Vilars in certi luoghi, e questo per rispettare la larghezza della via prevista dai decreti del comune di Escaldes-Engordany numeri 208/90 e 209/90, del 7 giugno 1990, di pianificazione urbana.
28. Tuttavia, il verbale delle riunioni del Consiglio del comune di Escaldes-Engordany del 5 marzo e 8 aprile 2004, rilevava:
“(…) è vero che esiste una sentenza che dichiara la demolizione di una parte degli immobili [in causa], e che questa demolizione è stata dichiarata da un procedimento amministrativo che non consideriamo conforme al Diritto; (…) la sentenza, pure rispettandolo, è specialmente dura; dichiara difatti la demolizione degli immobili in causa per il solo fatto che la via, in due o tre luoghi molto precisi, manca di qualche centimetro per avere la larghezza di otto metri [richiesta] in tutto il suo tracciato. (…) Alcuni negoziati hanno avuto luogo, ed è stato fatto tutto ciò che era possibile per non dovere procedere all’espropriazione. Il gruppo maggioritario assumerà la responsabilità di procedere alla dichiarazione di utilità pubblica e della pratica di espropriazione che permetterà alla fine che la via raggiunga gli otto metri di larghezza [richiesti] in tutto il suo tracciato.”
29. L’esposto trasmesso nel giugno 2004 dal comune di Escaldes-Engordany al Governo per esame da parte del Consiglio generale (Parlamento), autorità chiamata a decidere sull’espropriazione, si leggeva come segue:
“L’esecuzione del progetto [di allargamento della via in causa] darà alla via un’estensione di 8 metri in tutto il suo tracciato, rispettando la larghezza minima in vigore fissata dalla legislazione, il che migliorerà l’accesso di tutti i vicini, che permette che tutti i futuri casamenti della zona vengano costruiti conformemente alle regole di pianificazione applicate in questa via. In questo modo, non solo gli accessi agli spazi pubblici ed alla via stessa saranno migliorati, ma i vicini si vedranno garantire anche l’accesso a tutti i servizi.”
30. Il 1 settembre 2004, il tribunale dei batlles nominò un perito incaricato di stendere un rapporto sulla natura dei futuri lavori e sul modo di effettuarli per demolire la parte degli edifici riguardati. Chiese anche all’associazione degli agenti immobiliari di Andorra un rapporto sul prezzo di mercato degli appartamenti colpiti dalla demolizione.
31. L’ 8 novembre 2004 il Governo trasmise al Consiglio generale il suo rapporto motivato sull’espropriazione in cui propose la dichiarazione di utilità pubblica del progetto di ingrandimento della via controversa della lottizzazione Vilars in certi luoghi.
32. All’epoca della sua sessione del 27 dicembre 2004, il Consiglio generale dichiarò di utilità pubblica il progetto di espropriazione del comune di Escaldes-Engordany e la necessità dell’influenza sulle parti riguardate delle proprietà dei richiedenti, 3,20 m² del terreno appartenente al primo richiedente e 32,20 m² del terreno appartenente al secondo. Il comune cominciò allora a mettere in esecuzione la decisione di espropriazione.
33. I richiedenti investirono il Tribunale costituzionale di un ricorso d’empara contro la dichiarazione di utilità pubblica, esponendo che la vera motivazione dell’espropriazione era quella di impedire l’esecuzione della sentenza del Tribunale superiore di giustizia del 28 maggio 2003. Con una sentenza del 25 aprile 2005, il Tribunale costituzionale respinse il ricorso, stimando che né la decisione del Consiglio generale del 27 dicembre 2004, né le osservazioni del ministero pubblico né quelle del rappresentante del Consiglio generale a cui il Tribunale costituzionale aveva chiesto di presentare delle osservazioni, lasciavano intendere una qualsiasi connessione tra la dichiarazione di utilità pubblica in causa e la volontà di impedire l’esecuzione della sentenza del 28 maggio 2003. Il Tribunale costituzionale si pronunciò nei seguenti termini:
“Ciò che esiste, invece, è un’impossibilità accertata di eseguire questo giudizio dopo la diminuzione dei diritti demaniali, diritti che la sentenza in questione mirava a proteggere e che proteggeva il diritto alla giurisdizione oggetto del ricorso.
La sentenza del 28 maggio 2003 dovrebbe essere eseguita e a buon grado ordina la nostra sentenza del 2 dicembre 2004, ma per ragioni diverse l’oggetto che proteggeva questo giudizio si è trasformato in un diritto all’indennizzo che deve essere fissato tenendo conto di tutti i danni provocati dall’espropriazione del diritto di proprietà.
In definitiva, questi diritti demaniali si sono trasformati in diritto all’ indennizzo in virtù dell’espropriazione che può essere protetta al tempo stesso dalla giurisdizione e dal ricorso d’empara, all’occorrenza, ma che lascia senza oggetto la pretesa di esecuzione della sentenza che dà adito a questo ricorso d’empara. Ciò senza danno, tuttavia, alla necessità di prendere questa sentenza in conto al momento di determinare il contenuto dei diritti demaniali per fissare l’indennizzo che corrisponde all’espropriazione.
34. I richiedenti presentarono allora al Tribunale costituzionale un “ricorso per nullità” che mirava alla ritrattazione della sua sentenza del 25 aprile 2005, facendo valere che i propositi da prendere in conto erano quelli del comune di Escaldes-Engordany, autorità che aveva deciso l’espropriazione, e non quelli del ministero pubblico o del Consiglio generale che non erano le autorità espropriate. Con una decisione del 6 giugno 2005, il Tribunale costituzionale respinse il ricorso per nullità, non essendo previsto tale ricorso dalla legge. La sentenza diventò così definitiva.
35. L’ 8 febbraio 2005, il comune di Escaldes-Engordany presentò un esposto d’ opposizione o chiedendo, a titolo accessorio, il rinvio dell’esecuzione della sentenza del 28 maggio 2003 resa dal Tribunale superiore di giustizia. Con una decisione del 26 maggio 2005, il Tribunale superiore di giustizia dichiarò legalmente impossibile eseguire la sentenza in corso.
36. Nel frattempo, i richiedenti avevano presentato un ricorso amministrativo che tendeva affinché venissero dichiarate nulle le decisioni del comune del 5 marzo e dell’8 aprile 2004. Con un giudizio del tribunale dei batlles del 31 maggio 2005, confermato in appello il 23 novembre 2006 dal Tribunale superiore di giustizia, questo ricorso fu respinto.
37. Peraltro, i richiedenti hanno presentato dinnanzi al Tribunale superiore di giustizia un ricorso contro la sentenza del 23 novembre 2006, insistendo, il 7 dicembre 2006, tra l’altro, sull’esistenza di una sottrazione di potere da parte del comune che ha giustificato il procedimento di espropriazione con un motivo che mascherava in realtà la volontà di far fallire il diritto dei richiedenti ad ottenere l’esecuzione di una sentenza che era favorevole a loro.
38. Con una decisione del 17 ottobre 2006, la commissione di espropriazione fissò gli indennizzi da versare ai richiedenti a – 9.287,91 euro per il primo richiedente e 32.145,06 euro per il secondo.
39. I richiedenti presentarono allora un ricorso amministrativo presso l tribunale dei batlles contro la decisione della commissione di espropriazione.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
40. Costituzione del Principato di Andorra del 14 marzo 1993
Articolo 27
“1. Il diritto alla proprietà privata ed all’eredità è riconosciuto, senza altri limiti da quelli derivanti dall’interesse generale.
2. Nessuno può essere privato dei suoi beni o dei suoi diritti, se non per un motivo di interesse generale, mediante un giusto indennizzo e nelle condizioni fissate dalla legge. “
Articolo 50
“Il Consiglio generale che garantisce una rappresentanza mista e paritaria della popolazione nazionale e delle sette parrocchie, rappresenta il popolo andorrano, esercita il potere legislativo, approva il bilancio dello stato, da’ l’impulso all’azione politica del governo ed il controllo. “
Articolo 79
“1. I comuni (Comuns), in quanto organi di rappresentanza e di amministrazione delle parrocchie, sono delle collettività pubbliche che dispongono della personalità giuridica e del potere di decretare delle norme locali, sottoposte alla legge, sotto forma di ordinanze, di ordinamenti e di decreti. Nell’ambito delle loro competenze, che esercitano conformemente alla Costituzione, alla legge ed alla tradizione, agiscono secondo il principio di libera amministrazione, riconosciuto e garantito dalla Costituzione.
2. I comuni rappresentano gli interessi delle parrocchie, approvano ed eseguono il bilancio parrocchiale; determinano e mettono in opera, sul loro territorio, le politiche pubbliche che dipendono dalla loro competenza, e gestiscono ed amministrano tutti i beni delle parrocchie, che siano pubblici o privati o appartengano al Patrimonio.
3. I loro organi dirigenti sono eletti democraticamente. “
Articolo 80 § 1
“1. Nella cornice della loro autonomia amministrativa e finanziaria, i comuni hanno le loro competenze delimitate da una legge qualificata. Queste comprendono in particolare le seguenti materie:
(…)
i) urbanistica;
j) vie pubbliche;
(…) .”
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
41. Invocando il diritto ad un processo equo, i richiedenti si lamentano dell’impossibilità di ottenere l’esecuzione della sentenza resa a loro favore dal Tribunale superiore di giustizia il 28 maggio 2003, sia in ragione della passività delle autorità interne a conformarsi ad essa che a causa degli atti di espropriazione che sono stati messi in opera allo scopo di impedire suddetta esecuzione. Invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nella sua parte pertinente, si legge come segue.
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
42. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
43. Il Governo solleva tre eccezioni di inammissibilità, relative alla competenza ratione materiae e ratione personae ed al non-esaurimento delle vie di ricorso interne.
1. Sull’eccezione preliminare del Governo relativa alla competenza ratione materiae
44. Il Governo invita la Corte a respingere la richiesta come incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione. Stima che i richiedenti non beneficiano più del diritto alla giurisdizione nella misura in cui l’oggetto protetto dalla sentenza del Tribunale costituzionale che deve essere eseguito si è trasformato in un diritto ad indennizzo per espropriazione, come l’alta giurisdizione ha lei stessa dichiarato nella sua sentenza del 25 aprile 2005. Il Governo insiste sul fatto che il procedimento di espropriazione che ha dato adito a dichiarazione di utilità pubblica si inserisce nella cornice di un piano di urbanistica che data 1990, e che dunque è estraneo al processo che si è concluso con la sentenza del Tribunale superiore di giustizia del 28 maggio 2003.
45. Il Governo fa valere poi che il fondamento della presente richiesta non risiede in un’eventuale violazione del diritto ad un processo equo ma che riguarda il diritto di proprietà, e ricorda che il Protocollo no 1 non era stato ratificato al momento dei fatti dall’Andorra.
Infine, il Governo osserva che le questioni relative all’urbanistica, solo esaminate dalle giurisdizioni interne, non fanno parte dei diritti garantiti dalla Convenzione.
46. I richiedenti ricusano questa tesi. Insistono sul fatto che l’oggetto della loro richiesta dinnanzi alla Corte è il diritto ad un processo equo, nella misura in cui l’espropriazione di una parte dei loro beni essendo fondata su un preteso interesse pubblico di allargamento di una via mentre, secondo loro, è stata decisa allo scopo di impedire l’esecuzione di una decisione ferma e definitiva. Fanno valere che avevano un interesse civile proprio e degno di protezione e hanno esercitato con successo, dinnanzi alle giurisdizioni andorrane, l’azione appropriata. Stimano che l’amministrazione andorrana ed il Tribunale costituzionale li abbiano defraudati del loro diritto affinché la sentenza resa a loro favore venisse eseguita.
47. La Corte osserva che il solo motivo di appello dei richiedenti dinnanzi alla Corte riguarda l’impossibilità di ottenere l’esecuzione di una sentenza a loro favore, motivo di appello che dipende interamente dalla cornice di applicazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. L’eccezione sollevata dal Governo è dunque respinta.
2. Sull’eccezione preliminare del Governo relativa alla competenza ratione personae
48. In secondo luogo, il Governo prega la Corte di concludere all’inammissibilità della richiesta in mancanza per i richiedenti di avere la qualità di vittime, in ragione della trasformazione dell’oggetto della controversia, dato che otterranno, al termine del procedimento di espropriazione, un giusto indennizzo in compenso dell’ingerenza nel loro diritto al rispetto della proprietà.
49. I richiedenti fanno valere, senza dare altre precisazioni, che l’amministrazione andorrana ha appena rifiutato loro l’indennizzo che, secondo il Governo, doveva sostituirsi all’esecuzione della sentenza che ordinava la demolizione degli immobili controversi.
50. La Corte ricorda che un’eventuale decisione o una misura favorevole ai richiedenti, supponendo che fosse potuta intervenire e che la trasformazione dell’oggetto della controversia e l’indennizzo potessero essere considerate così, basta in principio a togliere loro la qualità di “vittime” solo se le autorità nazionali hanno riconosciuto, esplicitamente o in sostanza, poi riparato la violazione della Convenzione. Questo non essendo stato il caso nell’occorrenza, l’eccezione sollevata dal Governo deve essere respinta.
3. Sull’eccezione preliminare del Governo derivata dal non-esaurimento delle vie di ricorso interne
51. Il Governo sostiene che le vie di ricorso interne non sono esaurite, come esige l’articolo 35 § 1 della Convenzione, nella misura in cui, dopo l’introduzione della presente richiesta dinnanzi alla Corte, i richiedenti hanno depositato un ricorso dinnanzi al Tribunale superiore di giustizia che tendeva a dichiarare nulle le decisioni di espropriazione adottate dal comune, e ciò per ottenere l’effettività del giudizio reso il 28 maggio 2003 dal Tribunale superiore di giustizia. Stima dunque che la richiesta è prematura.
52. I richiedenti contestano questa tesi. Fanno valere che hanno formato un ricorso contro l’atto amministrativo del comune contenuto nelle decisioni del consiglio comunale del 5 marzo e dell’8 aprile 2004, cioè , le decisioni di espropriazione. Coi giudizi del 31 maggio 2005 in prima istanza e del 23 novembre 2006 in appello, le giurisdizioni amministrative hanno respinto il ricorso.
53. La Corte stima che investendola della presente richiesta, i richiedenti hanno esaurito le vie di ricorso interne, nella misura in cui il Tribunale costituzionale si è pronunciato in modo definitivo il 25 aprile 2005 sul motivo di appello che invocano dinnanzi alla Corte. Hanno soddisfatto l’esigenza dell’articolo 35 § 1 della Convenzione dunque. La Corte dunque respinge questa eccezione del Governo.
54. La Corte stima, alla luce dei criteri che si liberano dalla sua giurisprudenza e tenuto conto dell’insieme degli elementi in suo possesso, che la richiesta deve essere oggetto di un esame al merito. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararla ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Gli argomenti delle parti
a) Il Governo
55. Il Governo considera al primo colpo che la richiesta è mal fondata per due ragioni: secondo lui da una parte, i richiedenti potrebbero ottenere l’esecuzione della sentenza del Tribunale costituzionale che ordinava la demolizione degli immobili controversi o un risarcimento equo e, allo stesso tempo, un indennizzo nella cornice del procedimento di espropriazione in corso. Dall’altra parte, nota che i richiedenti richiedono dinnanzi alla Corte l’esecuzione della sentenza del 28 marzo 2003 pure presentando, il 7 dicembre 2006 un ricorso per nullità il cui petitum sarebbe identico, passi che sarebbero, per il Governo, in chiara contraddizione.
56. Il Governo afferma che non c’è stata nessuna omissione o atteggiamento deliberato da parte sua durante la fase di esecuzione della sentenza del Tribunale superiore di giustizia del 28 maggio 2003 ma, tutt’al più, la prudenza ragionevole di non eseguire precipitosamente una decisione riguardo le questioni di urbanistica su cui è difficile addirittura impossibile giudicare. Nota che le dichiarazioni del sindaco del comune che figurano nei verbali del 5 marzo e dell’8 aprile 2004 non hanno nessun valore giuridico, ma un carattere puramente politico. Fa valere che il vero motivo dell’inadempimento è la convergenza di due procedimenti, uno amministrativo, l’altro giudiziale, indipendenti una dall’altro, avendo dato adito il procedimento di espropriazione ad una dichiarazione di utilità pubblica che impedisce l’esecuzione della sentenza in causa che è il risultato di una pianificazione urbana del 1990. Se la sentenza in causa non ha potuto essere eseguita, è in ragione di una decisione del Tribunale costituzionale andorrano che ha affermato che l’oggetto della controversia è sparito e si è trasformato.
57. Comunque sia, del resto, il Governo di Andorra non condivide le affermazioni dei richiedenti sul calcolo dei periodi durante cui le autorità andorrane non hanno eseguito la sentenza del Tribunale superiore di giustizia e stima che il periodo durante cui la sentenza era esecutiva è iniziato il 19 gennaio 2004 (data in cui il Tribunale costituzionale ha ammesso ad esame il ricorso per incostituzionalità senza effetti sospensivi) e si è concluso il 27 dicembre 2004 (data in cui è intervenuta la decisione del Consiglio generale sull’espropriazione). C’è solo dunque un periodo di 11 mesi durante cui la sentenza del 28 maggio 2003 non è stata eseguita, in una causa riguardante una questione di urbanistica, ambito in cui gli Stati contraenti godono di un grande margine di valutazione.
58. Il Governo di Andorra considera che il procedimento seguito dinnanzi alle istanze giurisdizionali nazionali è sempre stato rispettoso del diritto ad un processo equo e stima che il procedimento di espropriazione non ha costituito un’ingerenza nell’amministrazione della giustizia e che non ha recato offesa ai diritti dei richiedenti. Non si tratta di una modifica del regolamentazione in seguito ad una sentenza definitiva dunque ma dell’esecuzione di un piano fissato nel 1990 e progressivamente messo in opera, in parecchie tappe, fino alla dichiarazione dell’utilità pubblica e della necessità dell’influenza pronunciata il 27 dicembre 2004.
59. Il Governo nota peraltro che l’amministrazione andorrana si è conformata continuamente alle decisioni di giustizia e che, il 2 dicembre 2004, dopo che il Tribunale costituzionale ebbe ordinato l’esecuzione del giudizio del 28 maggio 2003, l’amministrazione ha messo in opera il procedimento che tendeva alla designazione di periti incaricati di valutare i costi ed il modo di praticare la demolizione. La decisione del Consiglio generale relativo all’espropriazione ed all’utilità pubblica del 27 dicembre 2004 sviluppa già la pianificazione approvata nel 1990 senza che si possa dedurre l’esistenza di una connessione formale e significativa tra la dichiarazione di utilità pubblica e la volontà di non eseguire la sentenza del 28 maggio 2003. Questa dichiarazione di utilità pubblica approfitterà a tutta la collettività che beneficerà di un migliore accesso agli spazi pubblici ed ai servizi, ed ai richiedenti loro stessi poiché le loro proprietà saranno valorizzate, e potranno ingrandirle nel senso verticale. Di conseguenza rispetta un giusto equilibrio e non rappresenta un carico sproporzionato per i richiedenti. Il Governo nota che la necessità della dichiarazione di utilità pubblica era stata proclamata già nel 2001 quando il Tribunale superiore di giustizia si era pronunciato il 9 marzo 2001 a proposito del procedimento amministrativo introdotto dal secondo richiedente contro la decisione tacita del comune di Escaldes-Engordany di rifiutare la sua istanza di rinnovazione e di ingrandimento del suo alloggio individuale, il che dimostra che i lavori che consistono nel rilascio della via erano stati progettati fin dal 1990.
60. Per concludere, agli occhi del Governo, le espropriazioni necessarie per allargare una via o una via pubblica sono all’evidenza suscettibili di essere considerate come utilità pubblica, nella misura in cui costituiscono un’azione dei poteri pubblici comunali nell’esercizio delle loro competenze e dove, per definizione, sono destinate ad essere utilizzate in generale dal pubblico.
b) I richiedenti
61. I richiedenti insistono sul fatto che la dichiarazione fatta dal sindaco di Escaldes-Engordany al consiglio comunale riunito con all’ordine del giorno la decisione di espropriazione (processi verbali del 5 marzo e dell’ 8 aprile 2004) dichiarazione che il Governo qualifica come “politica”, è stata precisamente la base dell’atto giuridico che decide l’espropriazione. Lo scopo del procedimento era, come ha detto il sindaco, di evitare l’esecuzione della sentenza che ordinava la demolizione, e la dichiarazione di utilità pubblica da parte del Parlamento tramite il Governo è stata ottenuta su questa base. Non è perché il Governo ed il Parlamento non hanno ripreso nell’esposizione dei motivi dell’atto dichiarativo di utilità pubblica questo scopo anteriormente espresso in modo esplicito dal comune che questo sparisce.
62. Concernente la natura giuridica dell’espropriazione, i richiedenti fanno valere che quando un’amministrazione decide di espropriare, occorre che il Parlamento dichiari l’utilità pubblica dell’espropriazione progettata. La dichiarazione di utilità pubblica da parte del Parlamento non può intervenire mai se non c’è un’amministrazione che gliela chiede. La decisione propriamente detta è presa dal comune e solo la seguente dichiarazione che l’espropriazione progettata è possibile dunque è il fatto del Parlamento.
63. Il rifiuto del Tribunale costituzionale di pronunciarsi sullo scopo realmente perseguito dal comune, a tal punto che nella sua sentenza del 25 aprile 2005 non faccia nessuna menzione del verbale della deliberazione del consiglio comunale, ha privato i richiedenti del diritto di vedere giudicare il fondamento dei loro ricorsi dinnanzi al Tribunale costituzionale.
64. Per ciò che riguarda la pretesa pianificazione urbana, come sarebbe contenuta in due “decreti” del 7 giugno 1990 e di cui l’espropriazione nel 2003 sarebbe solamente il risultato, i richiedenti notano che i pretesi “decreti” non sono, in diritto interno andorrano, degli atti normativi ma delle decisioni su delle richieste indirizzate dagli individui. Si tratta di atti amministrativi non normativi i cui effetti si dilungano ratione personae e ratione materiae alla persona che ha fatto la richiesta ed alla materia oggetto della richiesta. Il Governo adopera le due parole “decreto” e “pianificazione urbana”, allo scopo di fare credere che i “decreti” del 1990 costituiscano una disposizione normativa, e dunque generale ed obbligatoria, portando pianificazione di tutto un insieme territoriale che comprenderebbe l’ampliamento della via a 8 metri. Così il comune, nel 2004, avrebbe fatto applicare solamente un atto normativo generale preesistente.
Ma questo non è esatto: per ciò che riguarda il decreto 208/90, si tratta di una richiesta che il promotore della lottizzazione aveva indirizzato al comune supplicandolo di accettare la donazione della via a favore del comune. Il decreto, cioè , la menzione in margine, dice “la donazione è accettata alla condizione preliminare della costruzione della totalità delle infrastrutture e servizi che sono specificati nel progetto di modifica della via.” Ma la condizione preliminare non fu assolta mai dal richiedente: è solamente nella stessa seduta del consiglio comunale che quella dove l’espropriazione è stata decisa, che il consiglio comunale ha deciso di accettare la via nel demanio pubblico.
In quanto al “decreto” 209/90, si tratta di una richiesta indirizzata da certi rivieraschi chiedendo al comune il permesso di costruire per “regolarizzare” la via. Il “decreto” in margine autorizza i richiedenti a fare i lavori entro 6 mesi. Ma il giorno in cui il consiglio comunale ha deciso l’espropriazione (2004), i lavori la cui autorizzazione impartiva un termine di 6 mesi, nel 1990, non erano stati condotti a termine.
65. Non c’è dunque luogo di dire che l’espropriazione era la conclusione di un piano di urbanistica deciso nel 1990 dal comune. Dopo 14 anni, queste autorizzazioni date tramite “decreto” su una richiesta erano nulle; il che non ha impedito il comune di dare ad E. il permesso di costruire degli immobili di 20,50 metri di quota.
66. Secondo i richiedenti l’argomento fondato i sul preteso piano di urbanistica del 1990 presentato dal comune ed accettato dal parlamento, ed in seguito, dal Tribunale costituzionale, è solamente un pretesto per “truccare” la volontà, in verità, di aggirare la necessità perentoria di eseguire il giudizio dopo che il Tribunale costituzionale ebbe constatato la connivenza delle amministrazioni nel mettere degli ostacoli all’esecuzione.
67. I richiedenti insistono sul fatto che l’inadempienza del giudizio è stata dichiarata dal Tribunale costituzionale stesso costitutiva di una “violazione al diritto fondamentale ad un processo di durata ragionevole a causa dell’ostruzione della giustizia da parte delle amministrazioni in connivenza tra loro.”
68. Ricordano che l’ingerenza nel loro caso non risiede in una legge generale, neanche in una regolamentazione, ma negli atti amministrativi non normativi presi ad personam ed ad causam. Le sole persone che subiscono l’effetto ed il danno dell’ingerenza dell’ “amministrazione” sono i richiedenti e quello che ne beneficia è il promotore che può così “legalizzare” i due immobili di 20,50 metri di quota e di più di 100 appartamenti edificati da lui su due appezzamenti su cui poteva costruire legalmente solo degli immobili residenziali di 10,50 metri di quota e dove i richiedenti hanno solamente delle ville unifamiliari di 10,50 metri, oramai letteralmente “sommerse” dai blocchi di immobili che fanno loro a fronte-a meno di un centimetro di distanza per ciò che riguarda la proprietà del primo richiedente ed a 7 metri per ciò che riguarda la proprietà del secondo.
2. La valutazione della Corte
69. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, il diritto di accesso ad un tribunale sarebbe illusorio se l’ordine giuridico interno di un Stato contraente permettesse che una decisione giudiziale definitiva ed obbligatoria resti inoperante a scapito di una parte. L’esecuzione di un giudizio o sentenza, di qualsiasi giurisdizione questi siano, deve dunque essere considerata come facente parte integrante del “processo” ai sensi dell’articolo 6 (vedere le sentenze Immobiliare Saffi c. Italia [GC], no 22774/93, § 63 in fine, CEDH 1999-V, e Hornsby c. Grecia del 19 marzo 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-II, pp. 510-511, § 40). Di conseguenza, l’esecuzione di una decisione giudiziale non può essere impedita, invalidata o ritardata in modo eccessivo (Jasiūnienė c. Lituania, no 41510/98, § 27, 6 marzo 2003).
70. Queste affermazioni rivestono ancora più importanza nel contesto del contenzioso amministrativo, in occasione di una disputa la cui conclusione è determinante per i diritti civili del giudicabile. Presentando un ricorso dinnanzi al Tribunale superiore di giustizia, o la più alta giurisdizione amministrativa dello stato, questo mira ad ottenere non solo la scomparsa dell’atto controverso, ma anche e soprattutto la levata dei suoi effetti. Ora, la protezione effettiva del giudicabile ed il ristabilimento della legalità implica l’obbligo per l’amministrazione di piegarsi ad un giudizio o sentenza pronunciati da una tal giurisdizione. La Corte ricorda a questo riguardo che l’amministrazione costituisce un elemento dello stato di diritto e che il suo interesse si identifica dunque con quello di una buona amministrazione della giustizia. Se la sentenza definitiva non viene eseguita o ancora se non viene eseguita il più presto possibile, le garanzie dell’articolo 6 di cui ha beneficiato il giudicabile durante la fase giudiziale del procedimento perderebbero ogni ragione di essere (cf. sentenza Hornsby precitata, § 41).
71. Il diritto all’esecuzione dei giudizi non può obbligare certo, però uno Stato a fare eseguire ogni giudizio di carattere civile qualunque sia e qualunque siano le circostanze; gli appartiene in compenso i dotarsi di un arsenale giuridico adeguato e sufficiente per garantire il rispetto degli obblighi positivi che gli spettano. La Corte ha unicamente per compito di esaminare se le misure adottate dalle autorità nazionali sono state adeguate e sufficienti (Ruianu c. Romania, no 34647/97, § 66, 17 giugno 2003 e Vasile c. Romania, no 40162/02, § 53, 29 aprile 2008) perché quando queste sono tenute di agire in esecuzione di una decisione giudiziale ed omettono di farlo, questa inerzia impegna la responsabilità dello stato sul terreno dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (Scollo c. Italia, sentenza del 28 settembre 1995, serie A no 315-C, § 44). In materia di piano di sviluppo del territorio e di politica di urbanistica, gli Stati godono peraltro di un grande margine di valutazione. ( Hamer c. Belgio, no 21861/03, § 78, CEDH 2007 -… (brani) e Sporrong e Lönnroth c. Svezia, sentenza del 23 settembre 1982, serie A no 52, p. 26, § 69).
72. Sebbene il Governo stimi che la sentenza del Tribunale superiore di giustizia del 28 maggio 2003 sia diventata esecutiva solamente a partire dal 19 gennaio 2004, data in cui il Tribunale costituzionale ammise ad esame il ricorso d’empara senza effetti sospensivi, la Corte rileva che dal 28 maggio 2003, il comune di Escaldes-Engordany avrebbe dovuto prendere le misure necessarie per conformarsi ad una decisione giudiziale definitiva ed esecutiva e, non facendolo, ha privato le disposizioni dell’articolo 6 § 1 della Convenzione di ogni effetto utile.
73. Difatti, le decisioni di giustizia a favore dei richiedenti sono state private di ogni portata con un atto del Consiglio generale che ha regolarizzato a posteriori la situazione degli immobili controversi, sottraendoli alla demolizione, per mezzo dell’espropriazione di una parte della proprietà di ogni richiedente. Nessuna misura è stata presa dalle autorità comunali in vista dell’esecuzione della sentenza del 28 maggio 2003, a parte, e supponendo che ciò possa entrare in fila di conto, l’adozione da parte del tribunale dei batlles dell’ordinanza del 1 settembre 2004 che, come il Governo sottolinea, designò un perito incaricato di determinare la natura dei lavori di demolizione della parte degli edifici riguardati e sollecitò un rapporto sul prezzo di mercato degli appartamenti colpiti dalla demolizione. Il Governo non precisa tuttavia se queste perizie ebbero luogo e quale furono i loro eventuali risultati, ma si limita ad esporre che questa ordinanza testimonia la volontà di eseguire la sentenza.
Ora, secondo la Corte, le autorità competenti avrebbero dovuto agire con più zelo per non recare danno all’esecuzione del giudizio reso al merito.
74. Sebbene ammetta che un cambiamento nella situazione di fatto constatato da una decisione di giustizia possa giustificare in modo eccezionale l’inadempimento di una decisione, la Corte deve assicurarsi che i cambiamenti essenziali in causa non sono il risultato di un’azione o di un’inoperosità dello stato (mutatis mutandis, Ioachimescu ed Ione c. Romania, no 18013/03, § 31, 12 ottobre 2006 e Monory c. Romania ed Ungheria, no 71099/01, § 83, 5 aprile 2005). Nello specifico, rileva che il procedimento di espropriazione iniziato esclusivamente contro i richiedenti è cominciato da una decisione del consiglio comunale di Escaldes-Engordany adottata in seguito alle riunioni del 5 marzo e dell’8 aprile 2004, ulteriori dunque alle decisioni facenti diritto alle istanze dei richiedenti in quanto alla demolizione parziale degli immobili controversi. A questo riguardo, la Corte stima che la decisione di espropriare le proprietà dei richiedenti non può essere considerata come una situazione eccezionale che tendeva a giustificare l’inadempimento di una sentenza definitiva, ai sensi della giurisprudenza sopraindicata, ma costituisce un atto di dichiarazione di utilità pubblica che è stata adottata dal Consiglio generale nel dicembre 2004 (vedere sopra paragrafo 32) in seguito alla proposta del comune e il cui risultato è stata la privazione per i richiedenti del loro diritto a vedere eseguire una sentenza definitiva che era favorevole a loro. La Corte osserva a questo riguardo che la costruzione degli immobili nel contenzioso era cominciata nel 1999 e che la sentenza del Tribunale superiore di giustizia facente diritto ai richiedenti e che ordinava la demolizione parziale degli immobili in causa era stata adottata il 28 maggio 2003.
Non potrebbe accettare allo sguardo della Convenzione che tali situazioni si producano.
La Corte nota inoltre che nello specifico, la sentenza del Tribunale costituzionale del 25 aprile 2005 ha constatato che il diritto dei richiedenti a vedere demolire la parte riguardata degli immobili controversi della lottizzazione Vilars in esecuzione della sentenza del Tribunale superiore di giustizia si era trasformata in un diritto ad indennizzo che si aggiunge, all’occorrenza, a quello che deriverebbe dall’espropriazione a ragione del valore dei terreni espropriati ai richiedenti. La Corte constata che il Governo non ha dimostrato tuttavia che i richiedenti si siano visti accordare effettivamente a questo riguardo un indennizzo.
75. Questi elementi bastano alla Corte per concludere che ci sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
76. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
77. I richiedenti richiedono a titolo del danno materiale l’esecuzione della sentenza che ordina la demolizione degli immobili controversi e l’annullamento dell’espropriazione, in vista dell’ampliamento di una via, delle parti dei terreni appartenenti a loro. Stimano che c’è una correlazione diretta tra il valore del danno subito a causa dell’inadempienza della sentenza ed il valore dell’utile che ne è risultato per il promotore. Alternativamente, chiedono un importo equivalente alla diminuzione del valore dei loro appezzamenti, rappresentata dal prezzo degli appartamenti costruiti al di là dei 12,50 regolamentari di quota; questo importo deve essere calcolato a partire dal valore venale di questi appartamenti secondo il prezzo reale del metro quadrato. I richiedenti richiedono anche 50 000 euro ciascuno per risarcimento del loro danno morale.
78. Il Governo contesta gli importi richiesti e stima riduttivo e semplicistico affermare che esiste una correlazione tra il danno provocato dall’inadempimento e l’utile ottenuto dal promotore da questo fatto. Per ciò che riguarda il danno morale, il Governo nota che i richiedenti hanno potuto sostenere la loro causa dinnanzi alle giurisdizioni andorrane che hanno rispettato le regole del processo equo.
79. Nello specifico, la Corte ha constatato una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa dell’inadempienza di una decisione di giustizia con la quale i tribunali avevano condannato dei terzi a demolire una parte dei due immobili irregolarmente edificati che recavano danno ai richiedenti.
80. Quindi, la Corte stima che i richiedenti hanno subito un danno materiale a capo dell’inadempimento della decisione di giustizia in causa ed un danno morale consistente in un profondo sentimento di ingiustizia dovuto al fatto che a dispetto di una decisione di giustizia definitiva ed esecutiva, non hanno beneficiato di una protezione effettiva dei loro diritti.
81. Tenuto conto di queste considerazioni ed avuto riguardo alle circostanze specifiche della causa, la Corte accorda ai richiedenti, in equità, come esige l’articolo 41 della Convenzione, 40 000 EUR a ciascuno ogni capo di danno compreso.
B. Oneri e spese
82. I rappresentanti dei richiedenti chiedono anche 53 040 EUR per la loro parcella e 1 702,88 EUR per la parcella dei procuratori legali, corrispondenti ai procedimenti impegnati dinnanzi alle giurisdizioni interne. In appoggio alla loro richiesta forniscono un estratto dettagliato dei loro oneri, con atto di procedimento effettuato, senza specificare tuttavia gli atti impegnati per fare fronte all’inadempienza della sentenza di cui si sono lamentati dinnanzi alla Corte. Richiedono inoltre anche 3 016 EUR per parcella di perito di cui producono la fattura, e 2 520 EUR per la parcella di perito nella cornice dell’esecuzione, senza fornire fattura.
83. Il Governo non formula a questo riguardo osservazioni.
84. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. La Corte stima che i richiedenti non hanno diritto al rimborso dell’insieme degli oneri e delle spese necessarie per la loro difesa dinnanzi ai tribunali andorrani, ma solamente di quelli necessari per lamentarsi della violazione invocata dinnanzi alla Corte. Rileva peraltro che non hanno richiesto il rimborso degli oneri e spese impegnati per la loro difesa dinnanzi alla Corte. Nello specifico e tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei criteri suddetti, la Corte che delibera in equità, assegna a ciascuno dei richiedenti la somma di 10 000 EUR.
C. Interessi moratori
85. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce,
a) che lo stato convenuto deve versare, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 40 000 EUR (quarantamila euro) ogni capo di danno compreso, a ciascuno dei richiedenti, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
ii. 10 000 EUR (diecimila euro) a ciascuno dei richiedenti, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dai richiedenti, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 29 luglio 2008, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Santiago Quesada Elisabet Fura-Sandström
Cancelliere Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusion Violation de l’art. 6-1 ; Dommage matériel et préjudice moral – réparation pécuniaire (globale)
TROISIÈME SECTION
AFFAIRE VIDAL ESCOLL ET GUILLÁN GONZÁLEZ
c. ANDORRE
(Requête no 38196/05)
ARRÊT
STRASBOURG
29 juillet 2008
DÉFINITIF
26/01/2009
Cet arrêt peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Vidal Escoll et Guillán González c. Andorre,
La Cour européenne des Droits de l’Homme (troisième section), siégeant en une chambre composée de :
Elisabet Fura-Sandström, présidente,
Corneliu Bîrsan,
Boštjan M. Zupančič,
Alvina Gyulumyan,
Egbert Myjer, juges,
Isabelle Berro-Lefèvre, juge ad hoc,
Luis López Guerra, juge,
et de Santiago Quesada, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 8 juillet 2008,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 38196/05) dirigée contre la Principauté d’Andorre et dont un ressortissant de cet Etat, M. J.. V. E. et un ressortissant espagnol, M. J. G. G. (« les requérants »), ont saisi la Cour le 19 octobre 2005 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des Droits de l’Homme et des Libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par Me M.-A. C. M , avocat en Andorre. Le gouvernement andorran (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Rosa Castellón, chef du cabinet juridique du gouvernement d’Andorre.
3. Le 27 octobre 2006, la Cour a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Se prévalant des dispositions de l’article 29 § 3, elle a décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le bien-fondé de l’affaire.
4. M. J. Casadevall, juge élu au titre d’Andorre s’étant déporté, le gouvernement a désigné Mme I. Berro-Lefevre pour siéger en qualité de juge ad hoc (articles 27 § 2 de la Convention et 29 § 1 du règlement de la Cour).
5. Tant les requérants que le Gouvernement ont déposé des observations écrites sur le fond de l’affaire (article 59 § 1 du règlement). Le gouvernement espagnol n’a pas présenté d’observations.
6. Le 1er février 2008, la Cour a modifié la composition de ses sections (article 25 § 1 du règlement). La présente requête a été attribuée à la troisième section ainsi remaniée (article 52 § 1).
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
7. Le premier requérant est un ressortissant andorran, né en 1942. Le second requérant est un ressortissant espagnol, né en 1944.
8. Les faits de la cause, tels qu’ils ont été exposés par les parties, peuvent se résumer comme suit.
1. La procédure administrative diligentée par les requérants
9. Les requérants sont propriétaires de deux logements unifamiliaux dans un lotissement sis dans la paroisse d’Escaldes-Engordany. Par un accord passé entre les propriétaires et la commune d’Escaldes-Engordany le 14 mars 1971, la route desservant le lotissement ne pouvait accueillir que des bâtisses unifamiliales d’une hauteur maximale de 10,50 mètres, et cela en raison de la largeur de la route qui était de moins de 8 mètres. La législation nationale fixa la hauteur maximale des bâtisses à 12,50 mètres pour la largeur indiquée.
10. En 1999, la société E. S.A. entama la construction de deux immeubles d’appartements, Vilars I et Vilars II, à côté du logement du premier requérant et en face de celui du second, avec une hauteur totale de 21,50 mètres, après avoir obtenu les permis de construire respectifs tant de la commune d’Escaldes-Engordany que du Gouvernement de la Principauté.
11. Estimant que les permis de construire qui avaient été accordés étaient illégaux, les requérants les attaquèrent par voie administrative. Face au silence de l’administration, les requérants saisirent alors la section administrative du tribunal des batlles demandant que soit prononcée la nullité des permis de construire et la suspension provisoire des travaux. Par un jugement du 5 avril 2002, le tribunal des batlles, après avoir rejeté la demande de suspension des travaux, annula le permis de construire relatif à l’un des deux immeubles en se fondant sur le fait qu’il dépassait la hauteur maximale prévue en raison de la largeur de la route, et ordonna la démolition de la partie de l’immeuble dépassant les 12,50 mètres. Le permis de construire concernant le second immeuble ne fut en revanche pas annulé.
12. Les requérants firent appel. Par un arrêt du 28 mai 2003, le Tribunal supérieur de justice de la Principauté d’Andorre fit droit à l’appel et laissa sans effet l’avant-projet de construction du second immeuble en raison du dépassement de la hauteur maximale.
13. L’arrêt du Tribunal supérieur de justice de la Principauté d’Andorre fut notifié aux parties et passa en force de chose jugée.
14. Le 5 juin 2003, les requérants demandèrent au tribunal des batlles l’exécution des arrêts des 5 avril 2002 et 28 mai 2003, en particulier la destruction des parties des immeubles dépassant les 12,50 mètres.
15. Le 25 juillet 2003, huit personnes titulaires d’une promesse de vente sur de futurs appartements dans les immeubles Vilars I et Vilars II en cause présentèrent devant le Tribunal supérieur de justice un recours tendant à déclarer nul l’arrêt du 28 mai 2003, alléguant n’avoir eu connaissance de la procédure que par la presse et faisant valoir que leurs droits étant affectés par ledit arrêt, elles auraient dû y participer.
16. Le Tribunal supérieur de justice déclara le recours recevable et ordonna le sursis à l’exécution de son arrêt rendu au principal. Le 22 septembre 2003 toutefois, il rejeta le recours et mit fin au sursis, considérant que les huit personnes en cause ne pouvaient pas prétendre ne pas avoir été au courant de la procédure, qui avait été publiée au journal officiel.
17. Le 9 octobre 2003, les requérants insistèrent auprès du tribunal des batlles pour que les arrêts des 5 avril 2002 et 28 mai 2003 soient exécutés.
18. Le 14 octobre 2003, les huit titulaires de promesses de vente qui avaient saisi le Tribunal supérieur de justice du recours en nullité saisirent le Tribunal constitutionnel d’un recours d’empara. Ils invoquèrent l’article 10 de la Constitution d’Andorre qui garantit le droit à un recours juridictionnel et à un procès équitable, se plaignant de ne pas avoir été cités en tant que parties intéressées dans le cadre de la procédure au principal.
19. Le 14 janvier 2004, le Tribunal supérieur de justice se prononça sur les effets du recours présenté par les huit personnes en question.
20. Le 19 janvier 2004 le Tribunal constitutionnel déclara le recours recevable sans effets suspensifs.
21. Le Tribunal constitutionnel examina le recours et, par un arrêt du 15 mars 2004, le rejeta, estimant que les demandeurs d’empara avaient eu suffisamment connaissance de l’existence de la procédure et avaient volontairement décidé de ne pas y prendre part. Il conclut donc qu’aucune atteinte n’avait été portée aux droits garantis par l’article 10 de la Constitution.
22. Entre-temps, le 5 février 2004, les requérants avaient à nouveau demandé l’exécution des arrêts des 5 avril 2002 et 28 mai 2003. Ils réitérèrent leur demande le 14 juillet 2004.
23. A cette dernière date, les requérants saisirent le Tribunal constitutionnel d’un recours d’empara exposant, entre autres, que quatorze mois s’étaient écoulés depuis le prononcé de l’arrêt du Tribunal supérieur de justice, qui demeurait toujours non-exécuté, et estimant que leur droit à un procès équitable avait été violé en raison de l’inexécution de l’arrêt en cause.
24. Par un arrêt du 2 décembre 2004, le Tribunal constitutionnel accorda l’empara aux requérants, s’exprimant dans les termes suivants :
« (…) Pour ce qui est de la conduite des requérants, et concrètement des demandeurs d’empara, aucune irrégularité de procédure n’a pu être décelée (…)
En revanche, dans la conduite des pouvoirs publics, nous avons pu détecter des retards dans l’exécution ou même une certaine connivence pour faire obstacle à ladite exécution (…)
(…) une procédure ayant débuté le 11 septembre 1999 à la suite à une procédure administrative antérieure, et s’étant terminée en 2003, par un arrêt définitif qui n’a pas encore été exécuté, sans qu’il y ait des signes indiquant qu’il soit sur le point de l’être, a une durée indue et porte atteinte au droit à un recours juridictionnel reconnu par l’article 10 de la Constitution :
DÉCIDE :
(…)
Premièrement.- De déclarer qu’il y a eu violation du droit à un recours juridictionnel, reconnu par l’article 10 de la Constitution, dans la mesure où il garantit le droit des [requérants] à un procès équitable dans une durée raisonnable
Deuxièmement.- D’octroyer l’empara demandé par les représentants des [requérants]
Troisièmement.- De communiquer cet arrêt au tribunal des batlles pour qu’il procède à l’exécution de l’arrêt de la chambre administrative du Tribunal supérieur de justice du 28 mai 2003. »
25. Suite à l’arrêt du Tribunal constitutionnel, les requérants s’adressèrent, d’une part, au tribunal des batlles faisant valoir que l’obstruction à la justice pouvait constituer une infraction pénale et lui demandant d’exécuter les arrêts et, d’autre part, au ministère public pour qu’il entame des poursuites pénales contre les personnes auteurs de la « connivence » dans l’obstruction de la justice constatée par le Tribunal constitutionnel, ainsi qu’au Gouvernement et à la commune d’Escaldes-Engordany pour leur demander de ne pas faire obstacle à l’exécution des arrêts en cause.
26. Les demandes des requérants ne furent pas suivies d’effet.
2. La procédure d’expropriation à l’encontre des requérants
27. La commune d’Escaldes-Engordany entama une procédure d’expropriation d’une partie des propriétés de chaque requérant, en l’inscrivant dans le cadre du projet d’agrandissement de la voie du lotissement Vilars à certains endroits, et ce afin de respecter la largeur de voie prévue par les décrets de la commune d’Escaldes-Engordany nos 208/90 et 209/90, du 7 juin 1990, de planification urbaine.
28. Toutefois, le procès-verbal des réunions du Conseil de la commune d’Escaldes-Engordany des 5 mars et 8 avril 2004, relevait :
« (…) il est vrai qu’il existe un arrêt déclarant la démolition d’une partie des immeubles [en cause], et que cette démolition a été déclarée par une procédure administrative que nous ne considérons pas conforme au Droit ; (…) l’arrêt, tout en le respectant, est spécialement dur ; il déclare en effet la démolition des immeubles en cause du seul fait que la rue, dans deux ou trois endroits très précis, manque de quelque centimètres pour avoir la largeur de huit mètres [exigée] dans tout son tracé. (…) Des négociations ont eu lieu, et il a été fait tout ce qui était possible pour ne pas devoir procéder à l’expropriation (…). Le groupe majoritaire assumera la responsabilité de procéder à la déclaration d’utilité publique et du dossier d’expropriation, qui permettra à la fin que la rue atteigne les huit mètres de largeur [exigés] dans tout son tracé ».
29. Le mémoire remis en juin 2004 par la commune d’Escaldes-Engordany au Gouvernement pour examen par le Conseil général (Parlement), autorité appelée à décider sur l’expropriation, se lisait comme suit :
« L’exécution du projet [d’élargissement de la rue en cause] donnera à la rue une extension de 8 mètres dans tout son tracé, respectant la largeur minimum fixée par la législation en vigueur, ce qui améliorera l’accès de tous les voisins, permettant que toutes les futures bâtisses de la zone soient construites conformément aux règles d’aménagement appliquées dans cette rue. De cette façon, non seulement les accès aux espaces publics et à la rue elle-même seront améliorés, mais les voisins se verront également garantir l’accès à tous les services (…)».
30. Le 1er septembre 2004, le tribunal des batlles nomma un expert chargé de rendre un rapport sur la nature des futurs travaux et sur la manière de les effectuer pour démolir la partie des bâtiments concernés. Il demanda aussi à l’association des agents immobiliers d’Andorre un rapport sur le prix de marché des appartements affectés par la démolition.
31. Le 8 novembre 2004 le Gouvernement remit au Conseil général son rapport motivé sur l’expropriation, dans lequel il proposa la déclaration d’utilité publique du projet d’agrandissement de la voie litigieuse du lotissement Vilars à certains endroits.
32. Lors de sa session du 27 décembre 2004, le Conseil général déclara d’utilité publique le projet d’expropriation de la commune d’Escaldes-Engordany et la nécessité de l’emprise sur les parties concernées des propriétés des requérants (3,20 m² du terrain appartenant au premier requérant et 32,20 m² du terrain appartenant au second). La commune commença alors à mettre à exécution la décision d’expropriation.
33. Les requérants saisirent le Tribunal constitutionnel d’un recours d’empara contre la déclaration d’utilité publique, exposant que la véritable motivation de l’expropriation était celle d’empêcher l’exécution de l’arrêt du Tribunal supérieur de justice du 28 mai 2003. Par un arrêt du 25 avril 2005, le Tribunal constitutionnel rejeta le recours, estimant que ni la décision du Conseil général du 27 décembre 2004, ni les observations du ministère public ni celles du représentant du Conseil général, auxquels le Tribunal constitutionnel avait demandé de présenter des observations, ne laissaient entendre une quelconque connexion entre la déclaration d’utilité publique en cause et la volonté d’empêcher l’exécution de l’arrêt du 28 mai 2003. Le Tribunal constitutionnel se prononça dans les termes suivants :
« Ce qui existe, par contre, c’est une impossibilité avérée d’exécuter ce jugement après la diminution des droits domaniaux, droits que l’arrêt en question visait à protéger et que protégeait le droit à la juridiction objet du recours (…).
L’arrêt du 28 mai 2003 devrait être exécuté et c’est bien ce qu’ordonne notre arrêt du 2 décembre 2004, mais pour des raisons diverses l’objet que protégeait ce jugement s’est transformé en un droit à indemnisation qui doit être fixé en tenant compte de tous les préjudices occasionnés par l’expropriation du droit de propriété.
En définitive, ces droits domaniaux se sont transformés en droit à indemnisation en vertu de l’expropriation, lequel peut être protégé à la fois par la juridiction et par le recours d’empara, le cas échéant, mais que laisse sans objet la prétention d’exécution de l’arrêt qui donne lieu à ce recours d’empara. Cela sans préjudice, toutefois, de la nécessité de prendre cet arrêt en compte au moment de déterminer le contenu des droits domaniaux pour fixer l’indemnisation correspondant à l’expropriation.
34. Les requérants présentèrent alors au Tribunal constitutionnel un « recours en nullité » visant à la rétractation de son arrêt du 25 avril 2005, faisant valoir que les propos à prendre en compte étaient ceux de la commune d’Escaldes-Engordany, autorité ayant décidé l’expropriation, et non ceux du ministère public ou du Conseil général, qui n’étaient pas les autorités expropriantes. Par une décision du 6 juin 2005, le Tribunal constitutionnel rejeta le recours en nullité, un tel recours n’étant pas prévu par la loi. L’arrêt devint ainsi définitif.
35. Le 8 février 2005, la commune d’Escaldes-Engordany présenta un mémoire en opposition ou demandant, à titre subsidiaire, le sursis à l’exécution de l’arrêt du 28 mai 2003 rendu par le Tribunal supérieur de justice. Par une décision du 26 mai 2005, le Tribunal supérieur de justice déclara légalement impossible d’exécuter l’arrêt en cours.
36. Entre-temps, les requérants avaient présenté un recours administratif tendant à ce que soient déclarées nulles les décisions de la commune des 5 mars et 8 avril 2004. Par un jugement du tribunal des batlles du 31 mai 2005, confirmé en appel le 23 novembre 2006 par le Tribunal supérieur de justice, ce recours fut rejeté.
37. Par ailleurs, le 7 décembre 2006, les requérants ont présenté devant le Tribunal supérieur de justice un recours contre l’arrêt du 23 novembre 2006, insistant, entre autres, sur l’existence d’un détournement de pouvoir de la part de la commune, qui a justifié la procédure d’expropriation par un motif masquant en réalité la volonté de faire échec au droit des requérants d’obtenir l’exécution d’un arrêt qui leur était favorable.
38. Par une décision du 17 octobre 2006, la commission d’expropriation fixa les indemnisations à verser aux requérants à – 9.287,91 euros pour le premier requérant et 32.145,06 euros pour le second.
39. Les requérants présentèrent alors un recours administratif auprès du tribunal des batlles contre la décision de la commission d’expropriation.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
40. Constitution de la Principauté d’Andorre du 14 mars 1993
Article 27
« 1. Le droit à la propriété privée et à l’héritage est reconnu, sans autres limites que celles qui découlent de l’intérêt général.
2. Nul ne peut être privé de ses biens ou de ses droits, si ce n’est pour un motif d’intérêt général, moyennant une juste indemnisation et dans les conditions fixées par la loi. »
Article 50
« Le Conseil général, qui assure une représentation mixte et paritaire de la population nationale et des sept paroisses, représente le peuple andorran, exerce le pouvoir législatif, approuve le budget de l’Etat, donne l’impulsion à l’action politique du gouvernement et la contrôle. »
Article 79
« 1. Les communes (Comuns), en tant qu’organes de représentation et d’administration des paroisses, sont des collectivités publiques disposant de la personnalité juridique et du pouvoir d’édicter des normes locales, soumises à la loi, sous forme d’ordonnances, de règlements et de décrets. Dans le domaine de leurs compétences, qu’elles exercent conformément à la Constitution, à la loi et à la tradition, elles agissent selon le principe de libre administration, reconnu et garanti par la Constitution.
2. Les communes représentent les intérêts des paroisses, approuvent et exécutent le budget paroissial; elles déterminent et mettent en œuvre, sur leur territoire, les politiques publiques qui relèvent de leur compétence, et gèrent et administrent tous les biens des paroisses, qu’ils soient publics ou privés ou appartiennent au Patrimoine.
3. Leurs organes dirigeants sont élus démocratiquement. »
Article 80 § 1
« 1. Dans le cadre de leur autonomie administrative et financière, les communes ont leurs compétences délimitées par une loi qualifiée. Celles-ci comportent notamment les matières suivantes:
(…)
i) urbanisme;
j) voies publiques;
(…) ».
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
41. Invoquant le droit à un procès équitable, les requérants se plaignent de l’impossibilité d’obtenir l’exécution de l’arrêt rendu en leur faveur par le Tribunal supérieur de justice le 28 mai 2003, aussi bien en raison de la passivité des autorités internes pour s’y conformer, qu’à cause des actes d’expropriation qui ont été mis en œuvre dans le but d’empêcher ladite exécution. Ils invoquent l’article 6 § 1 de la Convention qui, dans sa partie pertinente, se lit comme suit.
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
42. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
43. Le Gouvernement soulève trois exceptions d’irrecevabilité, relatives à la compétence ratione materiae et ratione personae et au non-épuisement des voies de recours internes.
1. Sur l’exception préliminaire du Gouvernement relative à la compétence ratione materiae
44. Le Gouvernement invite la Cour à rejeter la requête comme étant incompatible ratione materiae avec les dispositions de la Convention. Il estime que les requérants ne bénéficient plus du droit à la juridiction dans la mesure où l’objet protégé par l’arrêt du Tribunal constitutionnel devant être exécuté s’est transformé en un droit à indemnisation pour expropriation, comme la haute juridiction l’a elle-même déclaré dans son arrêt du 25 avril 2005. Le Gouvernement insiste sur le fait que la procédure d’expropriation qui a donné lieu à la déclaration d’utilité publique s’inscrit dans le cadre d’un plan d’urbanisme datant de 1990, et qu’elle est donc étrangère au procès qui a pris fin avec l’arrêt du Tribunal supérieur de justice du 28 mai 2003.
45. Le Gouvernement fait valoir ensuite que le fondement de la présente requête ne réside pas dans une éventuelle violation du droit à un procès équitable mais qu’elle concerne le droit de propriété, et rappelle que le Protocole no 1 n’avait pas été ratifié au moment des faits par l’Andorre.
Enfin, le Gouvernement observe que les questions relatives à l’urbanisme, seules examinées par les juridictions internes, ne font pas partie des droits garantis par la Convention.
46. Les requérants récusent cette thèse. Ils insistent sur le fait que l’objet de leur requête devant la Cour est bien le droit à un procès équitable, dans la mesure où l’expropriation d’une partie de leurs biens a été fondée sur un prétendu intérêt public d’élargissement d’une rue alors que, d’après eux, elle a été décidée dans le but d’empêcher l’exécution d’une décision ferme et définitive. Ils font valoir qu’ils avaient un intérêt civil propre et digne de protection et ont exercé avec succès, devant les juridictions andorranes, l’action appropriée. Ils estiment que l’administration andorrane et le Tribunal constitutionnel les ont frustrés de leur droit à ce que l’arrêt rendu en leur faveur soit exécuté.
47. La Cour observe que le seul grief des requérants devant la Cour porte sur l’impossibilité d’obtenir l’exécution d’un arrêt leur faisant droit, grief qui relève entièrement du cadre d’application de l’article 6 § 1 de la Convention. L’exception soulevée par le Gouvernement est donc rejetée.
2. Sur l’exception préliminaire du Gouvernement relative à la compétence ratione personae
48. En deuxième lieu, le Gouvernement prie la Cour de conclure à l’irrecevabilité de la requête faute pour les requérants d’avoir la qualité de victimes, en raison de la transformation de l’objet du litige, étant donné qu’ils obtiendront, à l’issue de la procédure d’expropriation, une juste indemnisation en contrepartie de l’ingérence dans leur droit au respect de la propriété.
49. Les requérants font valoir, sans donner d’autres précisions, que l’administration andorrane vient de leur refuser l’indemnisation qui, selon le Gouvernement, devait se substituer à l’exécution de l’arrêt ordonnant la démolition des immeubles litigieux.
50. La Cour rappelle qu’une éventuelle décision ou une mesure favorable aux requérants, à supposer qu’elle ait pu intervenir et que la transformation de l’objet du litige et l’indemnisation puissent être considérées ainsi, ne suffit en principe à leur retirer la qualité de « victime » que si les autorités nationales ont reconnu, explicitement ou en substance, puis réparé la violation de la Convention. Ceci n’ayant pas été le cas en l’occurrence, l’exception soulevée par le Gouvernement doit être rejetée.
3. Sur l’exception préliminaire du Gouvernement tirée du non-épuisement des voies de recours internes
51. Le Gouvernement soutient que les voies de recours internes ne sont pas épuisées, comme l’exige l’article 35 § 1 de la Convention, dans la mesure où, après l’introduction de la présente requête devant la Cour, les requérants ont déposé un recours devant le Tribunal supérieur de justice tendant à déclarer nulles les décisions d’expropriation adoptées par la commune, et cela afin d’obtenir l’effectivité du jugement rendu le 28 mai 2003 par le Tribunal supérieur de justice. Il estime donc que la requête est prématurée.
52. Les requérants contestent cette thèse. Ils font valoir qu’ils ont formé un recours contre l’acte administratif de la commune contenu dans les décisions du conseil communal des 5 mars et 8 avril 2004, c’est-à-dire, les décisions d’expropriation. Par des jugements du 31 mai 2005 en première instance et du 23 novembre 2006 en appel, les juridictions administratives ont rejeté le recours.
53. La Cour estime qu’en la saisissant de la présente requête, les requérants ont épuisé les voies de recours internes, dans la mesure où le Tribunal constitutionnel s’est prononcé de façon définitive le 25 avril 2005 sur le grief qu’ils invoquent devant la Cour. Ils ont donc satisfait à l’exigence de l’article 35 § 1 de la Convention. La Cour rejette donc cette exception du Gouvernement.
54. La Cour estime, à la lumière des critères qui se dégagent de sa jurisprudence et compte tenu de l’ensemble des éléments en sa possession, que la requête doit faire l’objet d’un examen au fond. Elle relève par ailleurs qu’elle ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de la déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Les arguments des parties
a) Le Gouvernement
55. Le Gouvernement considère d’emblée que la requête est mal fondée pour deux raisons : d’une part, les requérants pourraient selon lui obtenir l’exécution de l’arrêt du Tribunal constitutionnel ordonnant la démolition des immeubles litigieux ou une réparation équitable et, en même temps, une indemnisation dans le cadre de la procédure d’expropriation en cours. D’autre part, il note que les requérants réclament devant la Cour l’exécution de l’arrêt du 28 mars 2003 tout en présentant, le 7 décembre 2006 un recours en nullité dont le petitum serait identique, démarches qui seraient, pour le Gouvernement, en contradiction claire.
56. Le Gouvernement affirme qu’il n’y a aucune omission ou attitude délibérée de sa part durant la phase d’exécution de l’arrêt du Tribunal supérieur de justice du 28 mai 2003 mais, tout au plus, la prudence raisonnable de ne pas exécuter précipitamment une décision touchant des questions d’urbanisme sur lesquelles il est difficile voire impossible de revenir. Il note que les déclarations du maire de la commune qui figurent dans les procès-verbaux des 5 mars et 8 avril 2004 n’ont aucune valeur juridique, mais un caractère purement politique. Il fait valoir que le véritable motif de la non-exécution est la convergence de deux procédures, l’une administrative, l’autre judiciaire, indépendantes l’une de l’autre, la procédure d’expropriation ayant donné lieu à la déclaration d’utilité publique qui empêche l’exécution de l’arrêt en cause étant le résultat d’une planification urbaine de 1990. Si l’arrêt en cause n’a pas pu être exécuté, c’est en raison d’une décision du Tribunal constitutionnel andorran qui a affirmé que l’objet du litige a disparu et s’est transformé.
57. Quoi qu’il en soit, au demeurant, le Gouvernement d’Andorre ne partage pas les allégations des requérants sur le calcul des périodes pendant lesquelles les autorités andorranes n’ont pas exécuté l’arrêt du Tribunal supérieur de justice et estime que la période durant laquelle l’arrêt était exécutoire commence le 19 janvier 2004 (date à laquelle le Tribunal constitutionnel a admis à examen le recours en inconstitutionnalité sans effets suspensifs) et s’achève le 27 décembre 2004 (date à laquelle est intervenue la décision du Conseil général sur l’expropriation). Il n’y a donc qu’un délai de 11 mois durant lequel l’arrêt du 28 mai 2003 n’a pas été exécuté, dans une affaire portant sur une question d’urbanisme, domaine dans lequel les Etats contractants jouissent d’une grande marge d’appréciation.
58. Le Gouvernement d’Andorre considère que la procédure suivie devant les instances juridictionnelles nationales a toujours été respectueuse du droit à un procès équitable et estime que la procédure d’expropriation n’a pas constitué une ingérence dans l’administration de la justice et qu’elle n’a pas porté atteinte aux droits des requérants. Il ne s’agit donc pas d’une modification de la règlementation suite à un arrêt définitif mais de l’exécution d’un plan fixé en 1990 et progressivement mis en œuvre, en plusieurs étapes, jusqu’à la déclaration de l’utilité publique et de la nécessité de l’emprise prononcée le 27 décembre 2004.
59. Le Gouvernement note par ailleurs que l’Administration andorrane s’est conformée en permanence aux décisions de justice et que, le 2 décembre 2004, après que le Tribunal constitutionnel eut ordonné l’exécution du jugement du 28 mai 2003, l’administration a mis en œuvre la procédure tendant à la désignation d’experts chargés d’évaluer les coûts et la manière de pratiquer la démolition. La décision du Conseil général relative à l’expropriation et à l’utilité publique du 27 décembre 2004 développe la planification déjà approuvée en 1990 sans qu’on puisse en déduire l’existence d’une connexion formelle et significative entre la déclaration d’utilité publique et la volonté de ne pas exécuter l’arrêt du 28 mai 2003. Cette déclaration d’utilité publique profitera à toute la collectivité, qui bénéficiera d’un meilleur accès aux espaces publics et aux services, et aux requérants eux-mêmes puisque leurs propriétés s’en verront valorisées, et qu’ils pourront les agrandir dans le sens vertical. Par conséquent elle respecte un juste équilibre et ne représente pas une charge disproportionnée pour les requérants. Le Gouvernement note que la nécessité de la déclaration d’utilité publique avait déjà été proclamée en 2001 lorsque le Tribunal supérieur de justice s’était prononcé le 9 mars 2001 au sujet de la procédure administrative introduite par le second requérant contre la décision tacite de la commune d’Escaldes-Engordany de refuser sa demande de rénovation et d’agrandissement de son logement individuel, ce qui démontre que les travaux consistant en l’élargissement de la rue avaient bien été projetés dès 1990.
60. Pour conclure, aux yeux du Gouvernement, les expropriations nécessaires pour élargir une rue ou une voie publique sont à l’évidence susceptibles d’être considérées comme d’utilité publique, dans la mesure où elles constituent une action des pouvoirs publics communaux dans l’exercice de leurs compétences et où, par définition, elles sont destinées à être utilisées par le public en général.
b) Les requérants
61. Les requérants insistent sur le fait que la déclaration faite par le maire d’Escaldes-Engordany au conseil communal réuni avec à l’ordre du jour la décision d’expropriation (procès verbaux des 5 mars et 8 avril 2004), déclaration que le Gouvernement qualifie de « politique », a été précisément la base de l’acte juridique décidant l’expropriation. Le but de la procédure était, comme l’a dit le maire, d’éviter l’exécution de l’arrêt ordonnant la démolition, et la déclaration d’utilité publique par le Parlement via le Gouvernement a été obtenue sur cette base. Ce n’est pas parce que le Gouvernement et le Parlement n’ont pas repris dans l’exposé des motifs de l’acte déclaratif d’utilité publique ce but antérieurement exprimé de façon explicite par la commune, que celui-ci disparaît.
62. Concernant la nature juridique de l’expropriation, les requérants font valoir que lorsqu’une administration décide d’exproprier, il faut que le Parlement déclare l’utilité publique de l’expropriation projetée. La déclaration d’utilité publique par le Parlement ne peut jamais intervenir s’il n’y a pas une administration qui la lui demande. La décision proprement dite est donc prise par la commune et seule la déclaration suivant laquelle l’expropriation projetée est possible est le fait du Parlement.
63. Le refus du Tribunal constitutionnel de se prononcer sur le but réellement poursuivi par la commune, au point que dans son arrêt du 25 avril 2005 il ne fasse aucune mention du procès-verbal de la délibération du conseil communal, a privé les requérants du droit de voir juger le fondement de leurs recours devant le Tribunal constitutionnel.
64. Pour ce qui est de la prétendue planification urbaine, telle qu’elle serait contenue dans deux « décrets » du 7 juin 1990 et dont l’expropriation en 2003 ne serait que le résultat, les requérants notent que les prétendus « décrets » ne sont pas, en droit interne andorran, des actes normatifs mais des décisions sur des requêtes adressées par des particuliers. Il s’agit d’actes administratifs non normatifs, dont les effets s’étendent ratione personae et ratione materiae à la personne qui a fait la requête et à la matière objet de la requête. Le Gouvernement emploie les deux mots « décret » et « planification urbaine », dans le but de faire croire que les « décrets » de 1990 constituent une disposition normative (et donc générale et obligatoire) portant planification de tout un ensemble territorial qui comprendrait l’élargissement de la rue à 8 mètres. Ainsi la commune, en 2004, n’aurait fait qu’appliquer un acte normatif général préexistant.
Mais ceci n’est pas exact : en ce qui concerne le décret 208/90, il s’agit d’une requête que le promoteur du lotissement avait adressée à la commune en la suppliant d’accepter la donation de la rue en faveur de la commune. Le décret (c’est-à-dire, la mention en marge) dit « la donation est acceptée à la condition préalable de la construction de la totalité des infrastructures et services qui sont spécifiés dans le projet de modification de la voie ». Mais la condition préalable ne fut jamais remplie par le pétitionnaire : ce n’est que dans la même séance du conseil communal que celle où l’expropriation a été décidée, que le conseil communal a décidé d’accepter la voie dans le domaine public.
Quant au « décret » 209/90, il s’agit d’une requête adressée par certains riverains demandant à la commune le permis de construire pour « régulariser » la voie. Le « décret » en marge autorise les pétitionnaires à faire les travaux dans un délai de 6 mois. Mais le jour où le conseil communal a décidé l’expropriation (2004), les travaux dont l’autorisation impartissait un délai de 6 mois (en 1990), n’avaient pas été menés à terme.
65. Il n’y a donc pas lieu de dire que l’expropriation était l’aboutissement d’un plan d’urbanisme décidé en 1990 par la commune. Après 14 ans, ces autorisations données par « décret » sur une requête étaient caduques ; ce qui n’a pas empêché la commune de donner à E. le permis de construire des immeubles de 20,50 mètres de hauteur.
66. D’après les requérants l’argument fondé sur le prétendu plan d’urbanisme de 1990 mis en avant par la commune et accepté par le parlement, et par la suite, par le Tribunal constitutionnel, n’est qu’un prétexte pour « maquiller » la volonté, en vérité, de contourner la nécessité péremptoire d’exécuter le jugement après que le Tribunal constitutionnel eut constaté la connivence des administrations pour mettre des obstacles à l’exécution.
67. Les requérants insistent sur ce que l’inexécution du jugement a été déclarée par le Tribunal constitutionnel lui-même constitutive d’une « violation au droit fondamental à un procès de durée raisonnable du fait de l’obstruction de la justice de la part des administrations en connivence entre elles ».
68. Ils rappellent que l’ingérence dans leur cas ne réside pas dans une loi générale, ni même une réglementation, mais dans des actes administratifs non normatifs pris ad personam et ad causam. Les seules personnes qui subissent l’effet et le préjudice de l’ingérence de « l’administration » sont les requérants et celui qui en bénéficie est le promoteur qui peut ainsi « légaliser » les deux immeubles de 20,50 mètres de hauteur et de plus de 100 appartements édifiés par lui sur deux parcelles sur lesquelles il ne pouvait légalement construire que des immeubles résidentiels de 10,50 mètres de hauteur et où les requérants n’ont que des villas unifamiliales de 10,50 mètres, désormais littéralement « submergées » par les blocs d’immeubles leur faisant face – à moins d’un centimètre de distance pour ce qui concerne la propriété du premier requérant et à 7 mètres pour ce qui est de la propriété du second.
2. L’appréciation de la Cour
69. La Cour rappelle que, selon sa jurisprudence, le droit d’accès à un tribunal serait illusoire si l’ordre juridique interne d’un État contractant permettait qu’une décision judiciaire définitive et obligatoire reste inopérante au détriment d’une partie. L’exécution d’un jugement ou arrêt, de quelque juridiction que ce soit, doit donc être considérée comme faisant partie intégrante du « procès » au sens de l’article 6 (voir les arrêts Immobiliare Saffi c. Italie [GC], no 22774/93, § 63 in fine, CEDH 1999-V, et Hornsby c. Grèce du 19 mars 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-II, pp. 510-511, § 40). Par conséquent, l’exécution d’une décision judiciaire ne peut être empêchée, invalidée ou retardée de manière excessive (Jasiūnienė c. Lituanie, no 41510/98, § 27, 6 mars 2003).
70. Ces affirmations revêtent encore plus d’importance dans le contexte du contentieux administratif, à l’occasion d’un différend dont l’issue est déterminante pour les droits civils du justiciable. En présentant un recours devant le Tribunal supérieur de justice, soit la plus haute juridiction administrative de l’État, celui-ci vise à obtenir non seulement la disparition de l’acte litigieux, mais aussi et surtout la levée de ses effets. Or, la protection effective du justiciable et le rétablissement de la légalité impliquent l’obligation pour l’administration de se plier à un jugement ou arrêt prononcé par une telle juridiction. La Cour rappelle à cet égard que l’administration constitue un élément de l’État de droit et que son intérêt s’identifie donc avec celui d’une bonne administration de la justice. Si l’arrêt définitif n’est pas exécuté ou encore s’il n’est pas exécuté dans les meilleurs délais, les garanties de l’article 6 dont a bénéficié le justiciable pendant la phase judiciaire de la procédure perdraient toute raison d’être (cf. arrêt Hornsby précité, § 41).
71. Certes, le droit à l’exécution des jugements ne peut cependant obliger un Etat à faire exécuter chaque jugement de caractère civil quel qu’il soit et quelles que soient les circonstances ; il lui appartient en revanche de se doter d’un arsenal juridique adéquat et suffisant pour assurer le respect des obligations positives qui lui incombent. La Cour a uniquement pour tâche d’examiner si les mesures adoptées par les autorités nationales ont été adéquates et suffisantes (Ruianu c. Roumanie, no 34647/97, § 66, 17 juin 2003 et Vasile c. Roumanie, no 40162/02, § 53, 29 avril 2008), car lorsque celles-ci sont tenues d’agir en exécution d’une décision judiciaire et omettent de le faire, cette inertie engage la responsabilité de l’Etat sur le terrain de l’article 6 § 1 de la Convention (Scollo c. Italie, arrêt du 28 septembre 1995, série A no 315-C, § 44). En matière d’aménagement du territoire et de politique d’urbanisme, les Etats jouissent par ailleurs d’une grande marge d’appréciation. (Hamer c. Belgique, no 21861/03, § 78, CEDH 2007-… (extraits) et Sporrong et Lönnroth c. Suède, arrêt du 23 septembre 1982, série A no 52, p. 26, § 69
72. Bien que le Gouvernement estime que l’arrêt du Tribunal supérieur de justice du 28 mai 2003 n’est devenu exécutoire qu’à partir du 19 janvier 2004, date à laquelle le Tribunal constitutionnel admit à examen le recours d’empara sans effets suspensifs, la Cour relève que depuis le 28 mai 2003, la commune d’Escaldes-Engordany aurait dû prendre les mesures nécessaires pour se conformer à une décision judiciaire définitive et exécutoire et a, en ne le faisant pas, privé les dispositions de l’article 6 § 1 de la Convention de tout effet utile.
73. En effet, les décisions de justice en faveur des requérants ont été dénuées de toute portée par un acte du Conseil général qui a régularisé a posteriori la situation des immeubles litigieux, les soustrayant à la démolition, au moyen de l’expropriation d’une partie de la propriété de chaque requérant. Aucune mesure n’a été prise par les autorités communales en vue de l’exécution de l’arrêt du 28 mai 2003, mis à part, et à supposer que cela puisse entrer en ligne de compte, l’adoption par le tribunal des batlles de l’ordonnance du 1er septembre 2004, qui, comme le Gouvernement le souligne, désigna un expert chargé de déterminer la nature des travaux de démolition de la partie des bâtiments concernés et sollicita un rapport sur le prix de marché des appartements affectés par la démolition. Le Gouvernement ne précise toutefois pas si ces expertises eurent bien lieu et quels furent leurs résultats éventuels, mais se limite à exposer que cette ordonnance témoigne de la volonté d’exécuter l’arrêt.
Or, de l’avis de la Cour, les autorités compétentes auraient dû agir avec plus de diligence pour ne pas porter préjudice à l’exécution du jugement rendu au fond.
74. Bien qu’elle admette qu’un changement dans la situation de fait constaté par une décision de justice puisse justifier de manière exceptionnelle la non-exécution d’une décision, la Cour doit s’assurer que les changements essentiels en cause ne sont pas le résultat d’une action ou d’une inaction de l’Etat (mutatis mutandis, Ioachimescu et Ion c. Roumanie, no 18013/03, § 31, 12 octobre 2006 et Monory c. Roumanie et Hongrie, no 71099/01, § 83, 5 avril 2005). En l’espèce, elle relève que la procédure d’expropriation entamée exclusivement à l’encontre des requérants a débuté par une décision du conseil communal d’Escaldes-Engordany adoptée suite aux réunions des 5 mars et 8 avril 2004, ultérieures donc aux décisions faisant droit aux demandes des requérants quant à la démolition partielle des immeubles litigieux. A cet égard, la Cour estime que la décision d’exproprier les propriétés des requérants ne peut pas être considérée comme une situation exceptionnelle tendant à justifier la non-exécution d’un arrêt définitif, au sens de la jurisprudence susvisée, mais constitue un acte de déclaration d’utilité publique qui a été adopté par le Conseil général en décembre 2004 (voir paragraphe 32 ci-dessus) suite à la proposition de la commune et dont le résultat a été la privation pour les requérants de leur droit à voir exécuter un arrêt définitif qui leur était favorable. La Cour observe à cet égard que la construction des immeubles litigieux avait commencé en 1999 et que l’arrêt du Tribunal supérieur de justice faisant droit aux requérants et ordonnant la démolition partielle des immeubles en cause avait été adopté le 28 mai 2003.
Elle ne saurait accepter au regard de la Convention que de telles situations se produisent.
La Cour note en outre qu’en l’espèce, l’arrêt du Tribunal constitutionnel du 25 avril 2005 a constaté que le droit des requérants à voir démolir la partie concernée des immeubles litigieux du lotissement Vilars en exécution de l’arrêt du Tribunal supérieur de justice s’était transformé en un droit à indemnisation s’ajoutant, le cas échéant, à celui qui découlerait de l’expropriation à raison de la valeur des terrains expropriés aux requérants. La Cour constate que le Gouvernement n’a toutefois pas démontré que les requérants se soient effectivement vus accorder une indemnisation à cet égard.
75. Ces éléments suffisent à la Cour pour conclure qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention.
II. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
76. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
77. Les requérants réclament au titre du préjudice matériel l’exécution de l’arrêt ordonnant la démolition des immeubles litigieux et l’annulation de l’expropriation, en vue de l’élargissement d’une voie, des parties des terrains leur appartenant. Ils estiment qu’il y a une corrélation directe entre la valeur du dommage subi du fait de l’inexécution de l’arrêt et la valeur du bénéfice qui en est résulté pour le promoteur. Alternativement, ils demandent un montant équivalent à la diminution de la valeur de leurs parcelles, représentée par le prix des appartements construits au delà des 12,50 réglementaires de hauteur ; ce montant devant être calculé à partir de la valeur vénale de ces appartements selon le prix actuel du mètre carré. Les requérants réclament également 50 000 euros chacun en réparation de leur préjudice moral.
78. Le Gouvernement conteste les montants réclamés et estime réducteur et simpliste d’affirmer qu’il existe une corrélation entre le dommage occasionné par la non-exécution et le bénéfice obtenu par le promoteur de ce fait. Pour ce qui est du préjudice moral, le Gouvernement note que les requérants ont pu plaider leur cause devant les juridictions andorranes, qui ont respecté les règles du procès équitable.
79. En l’espèce, la Cour a constaté une violation de l’article 6 § 1 de la Convention du fait de l’inexécution d’une décision de justice par laquelle les tribunaux avaient condamné des tiers à démolir une partie de deux immeubles irrégulièrement édifiés qui portaient préjudice aux requérants.
80. Dès lors, la Cour estime que les requérants ont subi un préjudice matériel du chef de la non-exécution de la décision de justice en cause et un préjudice moral consistant en un profond sentiment d’injustice dû au fait qu’en dépit de décisions de justice définitives et exécutoires, ils n’ont pas bénéficié d’une protection effective de leurs droits.
81. Compte tenu de ces considérations et eu égard aux circonstances spécifiques de l’affaire, la Cour accorde aux requérants, en équité, comme le veut l’article 41 de la Convention, 40 000 EUR à chacun tous chefs de préjudice confondus.
B. Frais et dépens
82. Les représentants des requérants demandent également 53 040 EUR pour leurs honoraires et 1 702,88 EUR pour les honoraires des avoués, correspondant aux procédures engagées devant les juridictions internes. A l’appui de leur demande ils fournissent un relevé détaillé de leurs frais, par acte de procédure effectué, sans toutefois spécifier les actes engagés pour faire face à l’inexécution de l’arrêt dont ils se sont plaints devant la Cour. Ils réclament en outre également 3 016 EUR pour honoraires d’expert, dont ils produisent la facture, et 2 520 EUR pour des honoraires d’expert dans le cadre de l’exécution, sans fournir de facture.
83. Le Gouvernement ne formule pas d’observations à cet égard.
84. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. La Cour estime que les requérants n’ont pas droit au remboursement de l’ensemble des frais et dépens nécessaires pour leur défense devant les tribunaux andorrans, mais seulement de ceux nécessaires pour se plaindre de la violation invoquée devant la Cour. Elle relève par ailleurs qu’ils n’ont pas réclamé le remboursement des frais et dépens engagés pour leur défense devant la Cour. En l’espèce et compte tenu des éléments en sa possession et des critères susmentionnés, la Cour statuant en équité, alloue à chacun des requérants la somme de 10 000 EUR.
C. Intérêts moratoires
85. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;
3. Dit,
a) que l’Etat défendeur doit verser, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes :
i. 40 000 EUR (quarante mille euros), tous chefs de préjudice confondus, à chacun des requérants, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt ;
ii. 10 000 EUR (dix mille euros) à chacun des requérants, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par les requérants, pour frais et dépens ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 29 juillet 2008, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Santiago Quesada Elisabet Fura-Sandström
Greffier Présidente

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

Se l'espropriato ha già un Professionista di sua fiducia, può comunicagli che sul nostro sito trova strumenti utili per il suo lavoro.
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 - Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.

  • La consulenza iniziale, con esame di atti e consigli, è sempre gratuita
    - Per richiederla cliccate qui: Colloquio telefonico gratuito
  • Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
    - Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
    - Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI

Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 11/11/2024