Conclusione Non-violazione dell’art. 4; non-violazione dell’art. 14+4; non-violazione di P1-1
CORTE (PLENARIA)
CAUSA VAN DER MUSSELE C. BELGIO
( Richiesta no 8919/80)
SENTENZA
STRASBURGO
23 novembre 1983
Nella causa Van der Mussele,
La Corte europea dei Diritti dell’uomo, deliberando in seduta plenaria con applicazione dell’articolo 48 del suo ordinamento e composta dai giudici di cui segue il nome:
SIGG.. G. Wiarda, presidente,
R. Ryssdal,
Th?r Vilhj?lmsson,
W. Ganshof Van der Meersch,
La Sig.ra D. Bindschedler-Robert,
SIGG.. D. Evrigenis,
G. Lagergren,
L. Liesch,
F. G?lc?kl?,
F. Matscher,
E. Garc?a di Enterr?a,
L. – E. Pettiti,
B. Walsh,
Sir Vincent Evans,
SIGG.. C. Russo,
J. Gersing,
cos? come dei Sigg.. SIG. – A. Eissen, cancelliere, e H. Petzold, cancelliere aggiunto,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 23 e 24 febbraio, poi il 26 e 27 ottobre 1983,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa ultima, data:
PROCEDIMENTO
1. La causa ? stata deferita alla Corte dalla Commissione europea dei Diritti dell’uomo (“la Commissione”). Alla sua origine si trova una richiesta (no 8919/80) diretta contro il Regno del Belgio e in cui un cittadino di questo Stato, Sig. E. V. d. M., aveva investito la Commissione il 7 marzo 1980 in virt? dell’articolo 25 (art. 25) della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libert? fondamentali (“la Convenzione”).
2. La domanda della Commissione ? stata depositata alla cancelleria della Corte il 19 luglio 1982, nel termine di tre mesi aperti dagli articoli 32 ? 1 e 47 (art. 32-1, art. 47). Rinvia agli articoli 44 e 48 (art. 44, art. 48) cos? come alla dichiarazione del Regno di Belgio che riconosce la giurisdizione obbligatoria della Corte (articolo 46) (art. 46). Ha per oggetto di ottenere una decisione sul punto di sapere se c’? stata o meno, da parte dello stato convenuto, trasgressione agli obblighi che gli incombono sui termini degli articoli 4 ? 2 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1 considerati isolatamente (art. 4-2, P1-1) o combinati con l’articolo 14( art. 14+4-2, art. 14+P1-1) della prima.
3. La camera da costituire da sette giudici comprendeva di pieno dritto Sig. W. Ganshof Van der Meersch, giudice eletto di nazionalit? belga (articolo 43 della Convenzione) (art. 43) ed il Sig. G. Wiarda, presidente della Corte, articolo 21 ? 3 b, dell’ordinamento. Il 13 agosto 1982, questo e ha designato estraendo a sorte gli altri cinque membri, ossia i Sigg.. M. Zekia, Th?r Vilhj?lmsson, G. Lagergren, J. Pinheiro Farinha ed E. Garc?a di Enterr?a, in presenza del cancelliere, articoli 43 in fini della Convenzione e 21 ? 4 dell’ordinamento, (art. 43).
4. Avendo assunto la presidenza della Camera (articolo 21 ? 5 dell’ordinamento,)il Sig. Wiarda ha raccolto tramite il cancelliere l’opinione dell’agente del governo belga (“il Governo”), come quella dei delegati della Commissione, a proposito del procedimento da seguire. Il 25 agosto, ha deciso che l’agente avrebbe avuto tempo fino al 25 novembre per presentare un esposto al quale i delegati avrebbero potuto rispondere per iscritto nei due mesi dal giorno in cui il cancelliere l’avrebbe comunicato loro.
5. Il 28 settembre 1982, la Camera ha deciso di sciogliersi con effetto immediato al profitto della Corte plenaria (articolo 48 dell’ordinamento).
6. L’esposto del Governo ? giunto alla cancelleria il 29 novembre. Il 20 gennaio 1983, il segretario della Commissione ha informato il cancelliere che i delegati avrebbero formulato le loro proprie osservazioni all’epoca delle udienze. Lo stesso giorno, il presidente ha fissato la data di queste al 22 febbraio dopo avere consultato agente del Governo e delegato della Commissione tramite il cancelliere.
7. I dibattimenti si sono svolti in pubblico il giorno dieci, al Palazzo dei Diritti dell’uomo a Strasburgo. La Corte aveva tenuto immediatamente prima una riunione preparatoria.
Sono comparsi:
– per il Governo:
Il Sig. J. Niset, consigliere giuridico,
al ministero della Giustizia, agente,
Io E. Jakhian, avvocato, consigliere,;
– per la Commissione:
SIGG.. Il Sig. Melchior,
J. – C. Soyer, delegato,
Io A. – L. Fettweis, avvocato,
Io E. V. d. Sig., richiedente,
assistente dei delegati (articolo 29 ? 1, secondo frase, dell? ordinamento della Corte).
La Corte li ha ascoltati nelle loro dichiarazioni cos? come nelle loro risposte alle sue domande ed a quelle di alcuni suoi membri.
8. L? 11 e 22 febbraio, il cancelliere aveva ricevuto dal segretario della Commissione e dal Sig. Fettweis, secondo il caso, le domande del richiedente a titolo dell’articolo 50 (art. 50) della Convenzione e parecchi documenti. Da parte sua, l’agente del Governo ha fornito alla Corte delle informazioni complementari con due lettere che sono arrivate alla cancelleria l? 11 e 23 marzo 1983.
FATTI
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
9. Il richiedente, cittadino belga nato nel 1952, risiede ad Anversa dove esercita la professione di avvocato. Ammesso sull’elenco degli avvocati praticanti il 27 settembre 1976, apr? al primo colpo il suo proprio studio senza lavorare mai in quello di un collega; il suo “titolare” gli affid? per? delle pratiche per il trattamento dai quali gli vers? una certa rimunerazione.
Il Sig. V.d. M. ha finito il suo stage il 1 ottobre 1979 e ? iscritto da allora al quadro dell’ordine.
10. Il 31 luglio 1979, l’Ufficio di consultazione e di difesa del foro di Anversa lo design?, in applicazione dell’articolo 455 del codice giudiziale, per assistere un certo N. E., di nazionalit? del Gambia. Questo, fermato prima due giorni e sospettato di furto come di commercio e di detenzione di stupefacenti, aveva chiesto difatti, in virt? dell’articolo 184bis del codice di istruzione criminale, l’assistenza di un difensore d’ufficio.
11. Il 3 e 28 agosto 1979, il Sig. E. comparve dinnanzi alla camera del consiglio del tribunale di prima istanza di Anversa per sentir deliberare sul mantenimento del mandato di arresto conferito contro lui dal giudice istruttore. Questa conferm? suddetto incarico in ciascuna delle due riprese. Inoltre, aggiunse alle prevenzioni iniziali quella di porto pubblico di falso nome. Il Sig. E. interpose appello alle due ordinanze; la Camera del collocamento in accusa della Corte di appello di Anversa li conferm? rispettivamente il 14 agosto e 11 settembre.
Il 3 ottobre 1979, il tribunale di prima istanza condann? l’incolpato a sei mesi ed otto giorni di detenzione per furto, porto pubblico di falso nome e soggiorno illegale; lo prosciolse per il surplus. Su ricorso del condannato, la Corte di appello ridusse la durata della pena, il 12 novembre, a quella del carcere preventivo subita.
Nel corso di tutto il procedimento, il Sig. E. aveva beneficiato dei servizi del richiedente che stima avergli consacrato dalle diciassette alle diciotto ore di lavoro. Ricuper? la sua libert? il 17 dicembre 1979 in seguito ad un intervento del suo difensore presso il ministro della Giustizia; nel frattempo era rimasto al disposizione della polizia degli stranieri, ai fini dell?espulsione.
12. L’indomani, l’Ufficio di consultazione e di difesa inform? V. d. M. ? il cui stage era finito da pi? di due mesi e mezzo (paragrafo 9 sopra) – che lo sollevava dalla pratica e che la mancanza di denaro dell’interessato rendeva impossibile la tassazione della parcella e degli oneri. Questi ultimi ammontavano nell’occorrenza a 3.400 FB, ossia 250 FB per la costituzione della pratica, 1.800 FB per la corrispondenza, 1.300 FB per spostamenti alla prigione, al tribunale ed alla Corte di appello cos? come 50 FB di diritti di cancelleria per copia di un documento.
13. Il richiedente dichiara avere trattato durante il suo stage circa 250 cause di cui una cinquantina – che gli avrebbero chiesto circa 750 ore di lavoro – in qualit? di difensore d’ufficio. Il primo ed il secondo anno, i suoi redditi mensili netti prima d? imposta avrebbero raggiunto solamente 15.800 FB, per passare a 20.800 FB durante il terzo.
II. LA LEGISLAZIONE E LA PRATICA PERTINENTI
A. Generalit? sulla professione di avvocato in Belgio
14. Sebbene regolamentata dal legislatore a diversi riguardi, la professione di avvocato riveste in Belgio un carattere liberale; ai termini dell’articolo 444 del codice giudiziale, “gli avvocati esercitano liberamente il loro ministero per la difesa della giustizia e della verit?.”
15. In ciascuno dei ventisette distretti giudiziali del paese, esiste un Ordine degli avvocati; indipendente dal potere esecutivo, ha la personalit? giuridica di diritto pubblico ed il suo consiglio decide “senza appello” delle “iscrizioni al quadro ed allo stage” (articoli 430 e 432 dello stesso codice).
L’iscrizione al quadro presuppone il compimento di un stage che dura normalmente tre anni (articolo 434 e secondo capoverso degli articoli 435 e 456). Sotto riserva delle attribuzioni del consiglio generale dell’ordine nazionale, il consiglio dell’ordine determina gli obblighi dei praticanti (articoli 435 e 494). Consistono per l’essenziale in frequentare lo studio di un “principale”, assistere alle udienze, seguire delle conferenze destinate all’insegnamento delle regole professionali ed agli esercizi di arringa (articolo 456, terzo capoverso) e difendere le cause distribuite dall’ufficio di consultazione e di difesa (articolo 455). Il consiglio dell’ordine bada al rispetto di questi obblighi e pu?, all’occorrenza, prolungare lo stage “senza danno del diritto di rifiutare l’ammissione al quadro”; ogni praticante che non d? giustificazione, al pi? tardi dopo cinque anni, di aver assolto i suddetti obblighi pu? non essere inserito sull?elenco” (articolo 456, secondo e quarto capoverso,).
I praticanti godono in principio degli stessi diritti che i loro colleghi gi? iscritti al quadro. Non possono difendere per? n? dinnanzi alla Corte di cassazione n? dinnanzi al Consiglio di stato (articolo 439), non possono partecipare all’elezione del presidente del collegio degli avvocati e degli altri membri del consiglio dell’ordine (articolo 450) n? sostituire i giudici e gli ufficiali del ministero pubblico.
16. Col giuramento che presta dopo la fine del suo stage, l’avvocato si impegna in particolare a non “consigliare o difendere nessuna causa [che non riterr?] non giusto nella [sua] anima e coscienza” (articolo 429). Salvo le eccezioni predisposte dalla legge, per esempio all’articolo 728 del codice giudiziale ed all’articolo 295 del codice di istruzione criminale, gli avvocati – ivi compreso i praticanti – godono del monopolio di arringa (articolo 440 del codice giudiziale). Versano delle quote all’ordine (articolo 443) ed alla sicurezza sociale.
17. Il consiglio dell’ordine reprime o punisce “per via disciplinare le violazioni e le mancanze, senza danno per l?azione dei tribunali, se c’? luogo” (articolo 456, primo capoverso,). “E? a conoscenza delle cause disciplinari, all’intervento del presidente del collegio degli avvocati, o d? ufficio, o su querela, o sulle denunce scritte del procuratore generale” (articolo 457). “Pu?, seguendo il caso, avvertire, censurare, rimproverare, sospendere” per un anno al massimo, “cancellare dal quadro o dal’elenco dei praticanti” (articolo 460),.
Tanto un avvocato interessato che il procuratore generale possono attaccare una sentenza – di condanna o di assoluzione – resa cos? dinnanzi al consiglio di disciplina di appello competente (articoli 468 e 472). Questo “presiede a nome di un presidente” – il primo presidente della corte di appello o il presidente di camera da lui designato -, “a quattro assessori” – degli avvocati – “e a un segretario”, ossia un membro o vecchio membro di un consiglio dell’ordine; il procuratore generale, o il magistrato della sua procura che delega, “occupa il posto di pubblico ministero ” (articoli 473 e 475).
L’avvocato ne causa o il procuratore generale pu? deferire alla Corte di cassazione la decisione del consiglio di disciplina di appello (articolo 477).
B. Gli avvocati designati di ufficio
1. All’epoca dei fatti della causa
18. In Belgio come in molti altri Stati contraenti, una lunga tradizione vuole che il foro assuma la difesa dei bisognosi, all’occorrenza a titolo gratuito. All’epoca dei fatti, incombeva sul consiglio dell’ordine di prevedere “all’assistenza delle persone” a “redditi insufficienti” creando, secondo le modalit? stabilite da lui, un “ufficio di consultazione e di difesa” (articolo 455, primo capoverso, del codice giudiziale,). “Le cause manifestamente male fondate [non venivano] distribuite” (secondo capoverso dello stesso articolo) ma in materia penale l’ufficio di consultazione e di difesa doveva dotare di un difensore d’ufficio – o “pro Deo” – ogni imputato povero che lo chiedeva almeno tre giorni prima dell’udienza (articolo 184 bis del codice di istruzione criminale).
L’ufficio designava i difensori d’ufficio in virt? di un’attribuzione legale di questa competenza da parte dello stato dunque. Ad Anversa e Li?ge si procedeva con rotazione, a Bruxelles secondo le modalit? pi? flessibili. La sua scelta si portava quasi sempre su dei praticanti che, all’occorrenza, dovevano continuare a trattare anche le cause in questione dopo la fine dal loro stage, ci? che ? accaduto nello specifico (paragrafo 12 sopra). Capitava tuttavia – in meno del 1% dei casi ? che affidasse una pratica difficile ad un avvocato pi? esperto.
19. Nel suo terzo capoverso, l’articolo 455 del codice giudiziale obbligava i praticanti a “fare rapporto all’ufficio” di consultazione e di difesa “sugli zeli compiuti da essi nelle cause di cui [li aveva] incaricati”; queste cause assorbivano in media pressappoco un quarto del loro tempo, soprattutto al terzo anno. I fori non acconsentivano l?iscrizione al quadro che dopo un numero sufficiente di designazioni come avvocato pro Deo; quello di Anversa disponeva in materia di un margine di valutazione importante perch? l’ordinamento di stage non fissava n? un minimo n? un massimo.
I praticanti potevano invocare la “clausola di coscienza” dell’articolo 429 del codice giudiziale (paragrafo 16 sopra) o un motivo obiettivo di incompatibilit?. Un rifiuto non giustificato di occuparsi di cause che l’ufficio voleva assegnare loro li esponeva al rischio di vedere il consiglio dell’ordine prolungare la durata del loro stage – fino ad un massimale di cinque anni -, cancellare il loro nome dall’elenco dei praticanti o respingere la loro domanda di ammissione al quadro, e questo per difetto di compimento integrale dei loro obblighi (articolo 456, secondo e quarto capoversi,).
20. I difensori d’ufficio non avevano diritto n? ad una rimunerazione n? al rimborso dei loro oneri. Per?, l’ufficio di consultazione e di difesa poteva, “secondo le circostanze, (…) determinare l’importo dei versamenti” da operare da parte della parte assistita, a titolo o “di scorta preliminare” o “di parcella” (articolo 455, ultimo capoverso, del codice giudiziale,). In pratica, tali tassazioni avevano luogo in modo piuttosto eccezionale – in una causa su quattro circa, ad Anversa – e per di pi? i praticanti non riuscivano a percepire infatti che una frazione – nell’ordine di un terzo – delle somme cos? accordate.
2. La legge del 9 aprile 1980
21. La situazione descritta al paragrafo precedente ? cambiata su un punto dopo la fine lo stage del richiedente: una legge del 9 aprile 1980, “tendente a portare una soluzione parziale al problema dell’assistenza giudiziale ed a organizzare la rimunerazione degli avvocati praticanti incaricati dell’assistenza giudiziale”, ha modificato l’articolo 455. Ha, tra altri, inserito la seguente disposizione:
“Lo stato assegna all’avvocato praticante designato dall’ufficio di consultazione e di difesa un’indennit? in ragione delle prestazioni per il compimento delle quali la designazione ? stata fatta.
Il Re, dopo avere appreso il parere del consiglio generale dell’ordine nazionale degli avvocati, determina con un’ordinanza deliberata in consiglio dei ministri le condizioni di concessione, la tariffa e le modalit? di pagamento di questa indennit?.”
In certi casi, lo stato potr? perseguire contro l’assistito il recupero dell’indennit? concessa.
Suddetta legge non era retrotiva. Rimane inoltre, per il momento lettera morta perch? delle ragioni di ordine di bilancio hanno impedito fino qui di mettere in vigore l’ordinanza reale mirata all’articolo 455.
C. Designazione di ufficio, commissione di ufficio, assistenza giudiziale,
22. Importa non confondere la designazione di un difensore d’ufficio con due altre ipotesi spesso comprese anch?esse nella nozione di assistenza giudiziale:
– la “commissione di ufficio”, prescritta dalla legge in un certo numero di casi in cui si esige la presenza di un avvocato, a prescindere dalla questione delle risorse della persona di cui si tratta (articoli 446, secondo capoverso, e 480 del codice giudiziale, articolo 290 del codice di istruzione criminale, ecc.);
– “l’assistenza giudiziale” stricto sensu che “consiste in dispensare, in tutto o in parte, quelli che non dispongono dei redditi necessari per fare fronte anche agli oneri di un procedimento extragiudiziale, di pagare i diritti di bollo, di registrazione, di cancelleria e di spedizione e le altre spese che provoca”, cos? come a garantire loro “la gratuit? del ministero degli ufficiali pubblici e ministeriali” (articoli 664 e 699 del codice giudiziale).
D. Assistenza giudiziale ed ufficiali pubblici o ministeriali
23. I bisognosi chiamati a ricorrere ai servizi di notai, di ufficiali giudiziari o di avvocati alla Corte di cassazione possono sollecitare la designazione ( paragrafo 22), tramite l’ufficio di assistenza giudiziale, delle persone tenute a prestarsi loro gratuitamente (articoli 664, 665, 685 e 686 del codice giudiziale).
Lo stato rimborsa i loro oneri e sborsi (articolo 692) a queste, ma non versarloro nessuna rimunerazione salvo nel caso degli ufficiali giudiziari che percepiscono un stipendio uguale al quarto della loro parcella abituale (articolo 693).
PROCEDIMENTO DINNANZI ALLA COMMISSIONE
24. Nella sua richiesta del 7 marzo 198O alla Commissione (no 8919/80), il Sig. V. d. M. si lamentava della sua designazione, tramite l’ufficio di consultazione e di difesa di Anversa, per assistere il Sig. N. E.; la denunciava non in quanto tale, ma nella misura in cui un rifiuto l’avrebbe esposto alle sanzioni e per il fatto che non aveva avuto diritto a nessuna retribuzione n? al recupero dei suoi oneri. Vedeva in essa al tempo stesso sia un “lavoro forzato obbligatorio”, incompatibile con l’articolo 4 ? 2, art. 4-2, della Convenzione, che un trattamento contrario all’articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1). Si lamentava inoltre della discriminazione che esisterebbe in materia tra gli avvocati e certe altre professioni; secondo lui, infrangeva l’articolo 14 della Convenzione combinata con l’articolo 4, art. 14+4.
25. La Commissione ha considerato la richiesta il 17 marzo 1981. Nel suo rapporto del 3 marzo 1982 (articolo 31 della Convenzione) (art. 31) conclude alla mancanza di violazione
– dell’articolo 4 ? 2 (art. 4-2) della Convenzione per dieci voci contro quattro;
– dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1) per nove voci contro cinque;
– dell’articolo 14 della Convenzione, composto coi due articoli precitati (art. 14+4-2, art. 14+P1-1) per sette voci contro sette, con la voce preponderante del presidente (articolo 18 ? 3 dell’ordinamento interno).
Suddetto rapporto rinchiude due opinioni dissidenti.
CONCLUSIONI PRESENTATE ALLA CORTE DAL GOVERNO
26. All’udienza del 22 febbraio 1983, il consiglio del Governo ha confermato in sostanza le conclusioni che figurano nell’esposto del 25 novembre 1982. Invitano la Corte a dire
“che il Sig. V.d. M. non ? stato vittima di nessuna violazione dei diritti garantiti dalla Convenzione europea di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libert? fondamentali, e che la richiesta no 8919/80 introdotta da lui non ? di conseguenza fondata.”
IN DIRITTO
I. SULL’OGGETTO DELLA CONTROVERSIA
27. Il Sig. V. d. M. si lamenta al primo capo di essere stato chiamato a difendere il Sig. E. senza retribuzione e senza rimborso dei suoi oneri. Si tratta, ai suoi occhi, di un esempio tipico che ha scelto per denunciare la situazione imposta agli avvocati belgi, ed in particolare ai praticanti, in quanto alle cause pro Deo. Il richiedente menziona una cinquantina di altre designazioni analoghe, ma formalmente parlando le sue lagnanze non le riguardano.
In una causa generata da una richiesta “individuale” (articolo 25 della Convenzione) (art. 25) la Corte deve limitarsi per quanto possibile ad esaminare i problemi sollevati dal caso concreto di cui si trova investita. Gli elementi della pratica rivelano quindi che non si potrebbe valutare la designazione controversa sotto l’angolo della Convenzione senza ricollocarla nel contesto generale della legislazione belga applicabile all’epoca nel campo considerato, cos? come della pratica ivi relativa; i delegati della Commissione l’hanno sottolineato a buon diritto.
II. SULLA RESPONSABILIT? DELLO STATO BELGA
28. Dinnanzi alla Commissione poi nel suo esposto alla Corte, il Governo ha sostenuto che nessun testo legislativo o regolamentare non prescrive agli avvocati di accettare le missioni di cui vengono incaricati da un ufficio di consultazione e di difesa: il loro dovere di prestare i loro servizi ai bisognosi risulterebbe dalle semplici regole professionali liberamente adottate dai fori stessi. Lo stato belga non fisserebbe n? le modalit? n? gli effetti della designazione; pertanto, non dovrebbe rispondere degli attentati che il collocamento in opera di suddette regole potrebbero portare alle garanzie della Convenzione.
29. Richiedente e Commissione non sottoscrivono questa tesi che il consiglio del Governo non ha ripreso in arringa. Non raccoglie nemmeno l’adesione della Corte.
Allo sguardo della Convenzione, l’obbligo di accordare il beneficio dell’assistenza gratuita di un difensore d’ufficio si basa, in materia penale, sull’articolo 6 ? 3 c, (art. 6-3-ca9; in materia civile, costituisce talvolta uno dei mezzi per garantire il processo equo voluto dall’articolo 6 ? 1 (art. 6-1) (sentenza Airey del 9 ottobre 1979, serie A no 32, pp. 14-16, ? 26). Pesa su ogni Parte contraente. Lo stato belga – il Governo non lo contesta – l’assegna legalmente ai fori, prolungando cos? una situazione gi? vecchia: secondo l’articolo 455, primo capoverso, del codice giudiziale, i consigli dell’ordine dotano dell’assistenza alle persone a risorse insufficienti tramite l’instaurazione di uffici di consultazione e di difesa (paragrafo 18 sopra). Cos? come rileva il richiedente, non godono d ‘ “nessuna latitudine in quanto al principio stesso”: il legislatore “impone loro di imporre” ai membri del foro “la difesa dei bisognosi.” Simile soluzione non saprebbe sottrarre lo stato belga alle responsabilit? che sarebbero state le sue sul terreno della Convenzione se avesse preferito assumere coi suoi propri mezzi la gestione del sistema.
All’udienza, il Governo ha riconosciuto del resto che “l’obbligo”, per i praticanti, “di difendere le cause distribuite dall’ufficio di consultazione e di difesa” deriva dell’articolo 455 del codice giudiziale; al paragrafo 21 del suo esposto, aveva concesso gi? che la legge belga, non contemplando nessuno indennizzo a loro favore, ammette almeno implicitamente che essi debbano sopportare gli oneri generati dalla condotta delle cause in questione.
Del resto i fori belgi, associati all’esercizio del potere giudiziale, sono, nel rigoroso rispetto del principio fondamentale dell’indipendenza di cui hanno bisogno per liberarsi dal loro carico eminente nella societ?, sottoposti alle esigenze della legge. Questa determina il loro oggetto ed istituisce i loro organi; dota della personalit? giuridica di diritto pubblico ciascuno dei ventisette consigli locali dell’ordine come il consiglio generale dell’ordine nazionale (paragrafo 15 sopra).
30. Trovandosi impegnata dunque nello specifico la responsabilit? dello stato belga, c’? luogo di ricercare se ha rispettato le disposizioni della Convenzione e del Protocollo no 1 invocato dal Sig. V. d. M..
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 4 (ART. 4) CONSIDERATO ISOLATAMENTE,
31. Il richiedente afferma essersi dovuto dedicare ad un lavoro forzato o obbligatorio incompatibile con l’articolo 4 (art. 4) della Convenzione, secondo quale,
“1. (…)
2. Nessuno pu? essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio.
3. Non ? considerato come ?lavoro forzato o obbligatorio ‘ al senso del presente articolo, art. 4,:
a) ogni lavoro richiesto normalmente da una persona sottoposta alla detenzione nelle condizioni previste dall’articolo 5 (art. 5) della Convenzione, o durante il suo collocamento in libert? condizionale;
b) ogni servizio di carattere militare o, nel caso degli obiettori di coscienza, nei paesi in cui l’obiezione di coscienza ? riconosciuta come legittima, (…) un altro servizio al posto del servizio militare obbligatorio;
c) ogni servizio richiesto nel caso di crisi o di calamit? che minacciano la vita o il benessere della comunit?;
d) ogni lavoro o servizio che fa parte degli obblighi civici normali.”
Quattro membri della Commissione stimano che ? stato proprio cos?, ma una maggioranza di dieci dei loro colleghi arriva alla conclusione contraria. Da parte sua, il Governo sostiene in ordine principale che il lavoro controverso non rivestiva o un carattere “forzato obbligatorio”, in ordine sussidiario che formava “parte dagli obblighi civici normali” dell’interessato.
32. Il testo precitato non precisa ci? che bisogna intendere per “lavoro forzato o obbligatorio” ed i diversi documenti del Consiglio dell’Europa da dove viene generato non danno neanche indicazioni su questo punto.
Cos? come rilevano Commissione e Governo, i redattori della Convenzione europea – sull’esempio di quelli dell’articolo 8 del progetto di Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici – si sono all’evidenza ispirati, in larga misura, a un trattato anteriore dell’organizzazione internazionale del Lavoro: la Convenzione no 29 concernente il lavoro forzato od obbligatorio.
Adottata il 28 giugno 1930, entrata in vigore il 1 maggio 1932 e modificata – nelle sue clausole finali – nel 1946, imponeva agli Stati di “annullare al pi? presto l’impiego del lavoro forzato od obbligatorio sotto tutte le sue forme possibili” (articolo 1 ? 1); li autorizzava a ricorrervi durante un “periodo transitorio”, nell’attesa di simile “soppressione totale”, ma “unicamente per i fini pubblici ed in via eccezionale, nelle condizioni e con le garanzie stipulate” dagli articoli 4 e seguenti ( articolo 1 ? 2). All’origine, mirava principalmente ad impedire lo sfruttamento della mano d?opera nelle colonie, ancora numerose all’epoca. La Convenzione no 105 del 25 giugno 1957, entrata in vigore il 17 gennaio 1959, l’ha completata prescrivendo “l’abolizione immediata e completa del lavoro forzato od obbligatorio” in certi casi enumerati.
La Convenzione europea, proibisce in modo a generale ed assoluto il lavoro forzato od obbligatorio, sotto riserva del paragrafo 3 del suo articolo 4 (art. 4-3).
La Corte prende tuttavia in conto suddette convenzioni dell’O.I.T. – che legano la quasi -totalit? degli Stati membri del Consiglio dell’Europa tra cui il Belgio – e specialmente la prima di esse. Esiste un’analogia sorprendente difatti, e che non ? fortuita, tra i paragrafi 3 dell’articolo 4, art. 4-3, della Convenzione europea ed il paragrafo 2 dell’articolo 2 della Convenzione no 29. Ora il paragrafo 1 dello stesso articolo precisa che ?ai fini” di questa ultima, l’espressione “lavoro forzato od obbligatorio” designa “ogni lavoro o servizio richiesto ad un individuo sotto la minaccia di una pena qualsiasi e per il quale suddetto individuo non si ? offerto nel suo pieno gradimento.” Questa definizione pu? fornire un punto di partenza per interpretare l’articolo 4 (art. 4) della Convenzione europea. Ancora importa di non perdere di vista n? i caratteri privati di questa n? la sua natura di strumento vivente che deve leggersi “alla luce delle concezioni che prevalgono negli Stati democratici” oggigiorno (vedere, tra altri, la sentenza Guzzardi del 6 novembre 1980, serie A no 39, p. 34, ? 95).
33. Un punto non ha suscitato discussione tra le parti a confronto: i servizi resi dal Sig. V. d. M. al Sig. E. si analizzavano in un “lavoro” allo sguardo dell’articolo 4 ? 2 (art. 4-2). Probabilmente si utilizza frequentemente il termine inglese “labour” al senso ristretto di lavoro manuale, ma ha anche l’accezione larga della parola francese “lavoro” e questo ? quello che decide di considerare nell’occorrenza. La Corte ne d? per prova la definizione inserita all’articolo 2 ? 1 della Convenzione no 29 (“ogni lavoro o servizio”, “all work or service?) l’articolo 4 ? 3 d, (art. 4-3-d,) della Convenzione europea (“ogni lavoro o servizio”, “any work or service”) e la denominazione stessa dell’O.I.T. , Internazionale Labour Organizzazione le cui attivit? non si limitano per niente alla tenuta del lavoro manuale.
34. Resta da sapere se c’? stato lavoro “forzato od obbligatorio.” Il primo di questi aggettivi menziona l’idea di una costrizione, fisica o giuridica che ? mancata di certo nello specifico. In quanto al secondo, non pu? mirare un obbligo giuridico qualsiasi. Per esempio, un lavoro da eseguire in virt? di un contratto concluso liberamente non potrebbe ricadere sotto l’influenza dell’articolo 4 (art. 4) per il solo fatto che uno dei due contraenti si ? impegnato verso altro a compierlo e si esponeva alle sanzioni se non avesse onorato la sua firma; la minoranza della Commissione raggiunge la maggioranza su questo punto. Deve trattarsi di un lavoro “richiesto sotto la minaccia di una pena qualsiasi” e, ini pi?, contrario alla volont? dell’interessato per che questo non si ? offerto a suo pieno gradimento.”
35. La definizione che figura all’articolo 2 paragrafo 1 della Convenzione no 29 dell’O.I.T. porta la Corte ad essere incerta da prima sull’esistenza, nello specifico, della “la minaccia di una pena qualsiasi”.
Se Il Sig. V. d. M. avesse rifiutato, senza ragione valida, di garantire la difesa del Sig. E., non sarebbe incorso in nessuna sanzione di carattere penale. In compenso, avrebbe rischiato di vedere il consiglio dell’ordine cancellare il suo nome dall’elenco dei praticanti o respingere la sua domanda di iscrizione al quadro (paragrafo 19 sopra) prospettive abbastanza temibili da potere costituire “la minaccia di una pena” avuta riguardo all’aggettivo “qualsiasi” cos? come alla dottrina dell’O.I.T. in materia (“Abolizione del lavoro forzato”, Studio di insieme della Commissione dei periti per l’applicazione delle convenzioni e raccomandazioni, 1979, paragrafo 21).
36. C’? luogo di ricercare poi se il richiedente non “si era offerto nel suo pieno gradimento” a fornire il lavoro in questione.
Secondo la maggioranza della Commissione, prima aveva acconsentito alla situazione di cui si lamenta e dunque “non ha diritto” a denunciarla oggi. Al momento di intraprendere la carriera, il futuro avvocato si sarebbe dedicato “ad un tipo di bilancio prospettico”: avrebbe soppesato i pro ed i contro, avrebbe messo “a confronto i vantaggi” della professione e le “soggezioni” che comprende. Ora queste sarebbero nell’occorrenza “perfettamente prevedibili” per lui perch? sarebbe a conoscenza sia del principio sia dell?entit? degli obblighi, “plafonati” in numero, circa quattordici pratiche per anno, e nel tempo, la durata dello stage che gli spetta in materia di difesa gratuita. Avrebbe anche consapevolezza della loro contropartita: la libert? di cui godr? nel compimento del suo compito e l’occasione di familiarizzare con la vita del palazzo di Giustizia e sul come “conquistare una clientela pagante.” Uno dei tratti distintivi del lavoro obbligatorio mancherebbe di conseguenza, il che basterebbe a provare la mancanza di violazione dell’articolo 4 ? 2 (art. 4-2).
Sostenuta dal Governo, questa tesi riflette un aspetto della verit?; la Corte non potrebbe tuttavia assegnargli un peso decisivo. Indiscutibilmente, il Sig. V. d.M. aveva scelto la professione di avvocato che riveste in Belgio un carattere liberale e della quale sapeva che lo statuto gli avrebbe imposto, conformemente ad una lunga tradizione, di difendere talvolta senza rimunerazione e senza rimborso dei suoi oneri. Tuttavia, gli occorreva sottoscrivere questa esigenza, nel suo pieno gradimento o meno, per aderire al foro ed il suo assenso era determinato dalle modalit? normali di esercizio della professione all’epoca. Non si potrebbe perdere neanche di vista che si trattava dell’accettazione di un statuto di natura generale.
Da solo, l’accordo preliminare dell’interessato non autorizza a concludere dunque che gli obblighi del Sig. V. d. M. a titolo dell’assistenza giudiziale non costituivano un lavoro obbligatorio allo sguardo dell’articolo 4 ? 2 (art. 4-2) della Convenzione. Anche altri elementi devono entrare necessariamente in fila di conto.
37. Sulla base di una sua giurisprudenza che risale al 1963, decisione sull’ammissibilit? della richiesta no 1468/62 (Iversen contro la Norvegia, Elenco della Convenzione, vol. 6, pp. 327-329) e confermata da allora da lei, la Commissione esprime l’opinione che non c’? lavoro forzato od obbligatorio, al senso dell’articolo 4 ? 2 (art. 4-2,) della Convenzione europea, senza la riunione di due condizioni cumulative,: non solo il lavoro dovrebbe essere compiuto contro il gradimento dell’interessato, ma occorrerebbe per di pi? che l’obbligo di fornire rivesti un carattere “ingiusto” o “oppressivo” o che la sua esecuzione rappresenti “una prova eludibile”, in altri termini “inutilmente faticoso” o “un po’ vessatorio.” Dopo avere studiato la domanda “con sovrabbondanza di diritto”, la Commissione conclude alla maggioranza che la seconda condizione non si trova pi? realizzata che la prima.
La Corte rileva che il secondo criterio cos? applicato non appare all’articolo 2 ? 1 della Convenzione no 29 dell’O.I.T. Si libera piuttosto dagli articoli 4 e seguenti di questa che non riguarda la nozione di lavoro forzato od obbligatorio ma fissa le modalit? da rispettare per potere esigere simile lavoro durante il periodo transitorio predisposto dall’articolo 1 ? 2 (“I.L.O. – internal minute – January 1966”, paragrafo 2).
Comunque sia, la Corte opta per un passo differente: dopo avere constatato l’esistenza di un rischio analogo a “la minaccia di una pena” (paragrafo 35 sopra) poi il valore relativo dell’argomento derivato dal “consenso preliminare” del richiedente (paragrafo 36 sopra) prende in conto l’insieme delle circostanze della causa, sotto l’angolo delle preoccupazioni che sottendono l’articolo 4 (art. 4) della Convenzione europea, per determinare se il servizio esatto dal Sig. V. d. M. ricade sotto l’influenza dell’interdizione del lavoro obbligatorio. Potrebbe andare cos? di un servizio da fornire per aderire ad una data professione, se imponesse un fardello a questo punto eccessivo, o fuori proporzione rispetto ai vantaggi legati all’esercizio futuro di questa, tale che l’interessato non potrebbe passare per essersi in anticipo “offerto nel suo pieno gradimento” a compierlo; tale potrebbe essere il caso, per esempio, di un compito estraneo a suddetta professione.
38. La struttura dell’articolo 4 (art. 4) si rivela illuminante su questo punto. Il paragrafo 3 (art. 4-3) non ha per ruolo l?autorizzazione a “limitare” l’esercizio del diritto garantito dal paragrafo 2 8art. 4-2) ma di “delimitare” il contenuto di questo stesso diritto: forma un tutto col paragrafo 2 (art. 4-2) e menziona ci? che “non ? considerato” come “lavoro forzato od obbligatorio”, ci? che questi termini non inglobano (“shall not include”). Contribuisce in questo modo all’interpretazione del paragrafo 2 (art. 4-2).
Ora i suoi quattro capoversi (l’art. 4-3-a, art. 4-3-b, art. 4-3-c, art. 4-3-d) con la loro diversit?, si fondano sulle idee principali di interesse generale, di solidariet? sociale e di normalit?. L’ultimo di essi, il capoverso d, (art. 4-3-d ) che si allontana dalla nozione di lavoro forzato od obbligatorio “ogni lavoro o servizio che si forma a partire dagli obblighi civici normali”, riveste un’importanza speciale nel contesto della causa.
39. Esaminata alla luce delle riflessioni che precedono, la situazione controversa si distingue per parecchi aspetti ai quali corrispondono anche elementi di valutazione.
I servizi da prestare non uscivano della cornice delle attivit? normali di un avvocato; non differivano dai compiti usuali dei membri del foro n? per la loro natura, n? per una restrizione alla libert? nel trattamento della pratica.
In secondo luogo, trovavano una contropartita nei vantaggi legati alla professione tra i quali il monopolio professionale di arringa e di rappresentanza di cui gli avvocati godono in Belgio come in parecchi altri paesi (paragrafo 16 sopra); le eccezioni segnalate dal richiedente,(bidem) non svuotano la regola della sua sostanza.
In pi?, suddetti servizi concorrevano alla formazione professionale del Sig.e V. d. M. e allo stesso titolo che le cause di cui doveva occuparsi su richiesta dei suoi clienti paganti o del suo principale di stage. Gli davano l’occasione di allargare la sua esperienza e di aumentare la sua notoriet?. In questo senso, l’interesse generale che figurava in primo piano si duplicava di un certo profitto personale.
Del resto, l’obbligo contro il quale insorge V. d. M. costituiva un mezzo peri garantire al Sig. E. il beneficio dell’articolo 6 ? 3 c, (art. 6-3-c) della Convenzione. In questa misura, si basava su un’idea di solidariet? sociale e non potrebbe passare per irragionevole. Per questo rientrava anche, in una cornice comparabile nella campo dei “obblighi civici normali” menzionati 4 ? all’articolo 3 d, (art. 4-3-d). La Corte non deve qui pronunciarsi sull’esattezza della tesi della minoranza della Commissione secondo la quale l’attribuzione quasi sistematica delle cause pro Deo agli avvocati praticanti rischia di non conciliarsi interamente con la necessit? di un’assistenza giudiziale effettiva ai giudicabile indigenti (sentenza Artico del 13 maggio 1980, serie A no 37, pp. 15-16, ? 33).
Infine, il richiedente non si ? visto imporre un fardello sproporzionato. Secondo le sue proprie indicazioni, la difesa del Sig. E. gli ha preso solamente diciassette o diciotto ore (paragrafo 11 sopra. Anche se il si aggiunge le altre designazioni di cui ha fatto l’oggetto durante il suo stage – una cinquantina in tre anni, o pressappoco le sette cento cinquanta al totale secondo lui, paragrafo 13 sopra) -, si constata che gli restava abbastanza tempo per il suo lavoro rimunerato, due cento procedimenti circa.
40. Anche se il richiedente non attacca suddetto obbligo nel suo principio; si limita a denunciarne due delle modalit? di esecuzione, la mancanza di parcella e pi? ancora il difetto di rimborso degli oneri (paragrafi 12, 20 e 24 sopra). Stima ingiusto – e la minoranza della Commissione con lui – di affidare la difesa gratuita dei cittadini pi? bisognosi agli avvocati praticanti dotati loro stessi di risorse insufficienti, di obbligarli a sopportare il costo di un servizio pubblico istituito dalla legge. Segnala che gi? da molto i decani successivi dell’ordine nazionale degli avvocati del Belgio giudicano inammissibile simile situazione.
Da parte sua, il Governo riconosce che la pratica incriminata si ispirava oramai ad un “paternalismo” “desueto.” Afferma che se il Belgio ha tardato a “tentare”, con la legge del 9 aprile 1980 (paragrafo 21 sopra) “di mettersi” in materia “al livello di altri Stati, particolarmente europei”, questo ? in ragione dell’atteggiamento tradizionale di una professione gelosa della sua indipendenza: fino in un recente passato, il foro considerava con “diffidenza” il pagamento dei praticanti da parte dello stato perch? l’idea di una tariffazione della parcella per via di autorit? gli ispirava un’ostilit? innata.
La maggioranza della Commissione non tralascia, neanche lei , di trovare spiacevole un regime giuridico compatibile, ai suoi occhi, con l’articolo 4 (art. 4) ma che avrebbe cessato di corrispondere “alle esigenze della vita presente.” Sottolineando che se si retribuisse i praticanti la loro formazione professionale non ne soffrirebbe, si augura una pronta applicazione effettiva della legge del 9 aprile 1980.
La Corte non trascura per niente questo aspetto del problema. Sebbene un lavoro rimunerato possa anche egli rivestire un carattere forzato od obbligatorio, il difetto di rimunerazione e di rimborso degli oneri costituisce un elemento da considerare sotto l’angolo della normalit? o della proporzionalit?. A questo riguardo, c’? luogo di notare che le legislazioni rispettive di numerosi Stati contraenti si sono evolute o si evolvono , sebbene in differenti gradi , verso l?adozione presa dal Tesoro pubblico dell’indennizzo degli avvocati o avvocati praticanti designati per assistere i giudicabile indigenti. La legge belga del 9 aprile 1980 offre un esempio di questa tendenza; quando si sar? inserita nei fatti, dovrebbe provocare un miglioramento sensibile senza minacciare per tanto l’indipendenza del foro.
All’epoca, la situazione controversa presentava certo per il Sig. V. d.M. alcuni inconvenienti che risultano dal difetto di rimunerazione e di rimborso degli oneri, ma andavano di pari passo coi vantaggi (paragrafo 39 sopra) e non appaiono smisurati: il richiedente non si ? visto imporre un fardello di lavoro sproporzionato, (ibidem) e l’importo degli oneri direttamente causati dalle cause in questione si rivela relativamente debole (paragrafo 12 sopra).
La Corte ricorda che l’interessato aveva intrapreso volontariamente la professione di avvocato conoscendo la pratica in causa. In queste condizioni, solo un squilibrio considerevole ed irragionevole tra gli scopi perseguiti – aderire al foro – e gli obblighi assunti per raggiungerlo potrebbe giustificare la conclusione che i servizi esatti dal Sig. V. d. M. a titolo dell’assistenza giudiziale rivestivano un carattere obbligatorio malgrado il suo consenso. Pari squilibrio non risulta dagli elementi della pratica, nonostante la mancanza – bene poco soddisfacente in s? – di retribuzione e di rimborso degli oneri.
Avuto riguardo, inoltre, alle concezioni ancora largamente diffuse in Belgio ed in altre societ? democratiche, non si trattava di un lavoro obbligatorio al senso dell’articolo 4 ? 2 dunque,a(rt. 4-2,)della Convenzione.
41. Questa conclusione dispensa la Corte di ricercare se il lavoro in questione attingeva comunque una giustificazione nell’articolo 4 ? 3 d, (art. 4-3-d) in quanto tale, e specialmente se la nozione di “obblighi civici normali” si estende agli obblighi che pesano su una data categoria di cittadini, in funzione del posto che occupano o del ruolo che spetta loro nella comunit?.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE (COMBINATOCON L’ARTICOLO 4, ART. 14+4)
42. Il richiedente invoca anche, in combinazione con l’articolo 4, l’articolo 14 (art. 14+4) ai termini del quale
“Il godimento dei diritti e libert? riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza distinzione nessuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, gli opinioni politici od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita o tutta altra situazione.”
43. L’articolo 14 (art. 14) completa le altre clausole normative della Convenzione e dei Protocolli; la sua incomprensione che non presuppone la loro, pu? entrare in gioco in modo autonomo. Invece, non ha esistenza indipendente poich? vale unicamente per “il godimento dei diritti e libert?” che garantiscono (vedere in particolare la sentenza Marckx del 13 giugno 1979) serie A no 31, pp. 15-16, ? 32). Siccome la Corte non ha constatato nell’occorrenza nessun lavoro forzato od obbligatorio al senso dell’articolo 4,(art. 4,) decide di chiedersi se la materia della controversia non sfugga interamente all’impero di questo testo e, di conseguenza, dell’articolo 14 (art. 14). Pari ragionamento cozzerebbe tuttavia contro un’obiezione pi? grande. Tra i criteri che servono a delimitare la nozione di lavoro obbligatorio raffigura l’idea di normalit? (paragrafo 38 sopra). Ora un lavoro normale in s? pu? rivelarsi anormale se la discriminazione presiede la scelta dei gruppi o individui tenuti a fornirlo, ci? che afferma precisamente l’interessato.
Non c’? dunque luogo di allontanare nello specifico l’applicabilit? dell’articolo 14 (art. 14) del resto non contestato dal Governo.
44. In un esposto del 27 ottobre 1980 alla Commissione, il Sig. V. d. M. ha dichiarato non lamentarsi di una discriminazione tra avvocati praticanti ed avvocati iscritti al quadro. Non ha cambiato atteggiamento dinnanzi alla Corte; questa non crede dovere esaminare la domanda di ufficio.
45. Secondo il Sig. V. d. M, in compenso, gli avvocati belgi subiscono nel campo considerato un trattamento pi? sfavorevole che i membri di tutta una serie di altre professioni. Nelle cause di assistenza giudiziale, lo stato rimunera giudici e cancellieri, paga gli emolumenti degli interpreti (articoli 184bis del codice di istruzione criminale e 691 del codice giudiziale) ed avanza, “allo sgravio dell’assistito”, “gli oneri di trasporto e di soggiorno dei magistrati, ufficiali pubblici o ministeriali, gli oneri e parcella dei periti, le tasse dei testimoni, gli sborsi ed il quarto degli stipendi degli ufficiali giudiziari di giustizia, cos? come gli sborsi degli altri ufficiali pubblici o ministeriali” (articolo 692 del codice giudiziale e paragrafo 23 sopra.) Dal loro lato, i medici, veterinari, farmacisti e dentisti non devono prestare gratuitamente i loro servizi ai bisognosi. Ci sarebbero quindi disuguaglianze arbitrarie, perch? prive di “giustificazione obiettiva e ragionevole” (sentenza del 23 luglio 1968 nella causa “linguistica belga”, serie A no 6, p. 34, ? 10); andrebbero contro gli articoli 14 e 4 (art. 14+4) combinati. La minoranza della Commissione condivide questa opinione, almeno in larga misura.
46. L’articolo 14 (art. 14) protegge contro ogni discriminazione gli individui posti in situazioni analoghe (sentenza Marckx precitata, serie A no 31, p. 15, ? 32). Ora esiste tra i fori e le diverse professioni enumerate dall’interessato, ivi compreso anche le professioni giudiziali e paragiudiziarie, delle differenze fondamentali che Governo e maggioranza della Commissione sottolineano a buon diritto,: differenze in quanto allo statuto, alle condizioni di accesso alla carriera, alla natura delle funzioni, alle loro modalit? di esercizio,ecc. Gli elementi di cui dispone la Corte non rivelano similitudine tra le situazioni disparate di cui si tratta: ciascuna di esse si distingue per un insieme di diritti e di obblighi per cui appare artificiale isolare un aspetto dato.
Sulla base delle lagnanze del richiedente, la Corte non vede di violazione degli articoli 14 e 4 combinati dunque, art. 14+4.
V. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 (P1-1)
47. Il Sig. V. d. M. infine deriva argomento dall’articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1), secondo il quale,
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno pu? essere privato della sua propriet? che a causa di utilit? pubblica e nelle condizioni previste dalla legge ed i principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe.”
48. La sua tesi non resiste all’esame nella misura in cui riguarda la mancanza di rimunerazione. Il testo precitato si limita a consacrare il diritto di ciascuno al rispetto dei “suoi” beni; non vale di conseguenza che per i beni reali (vedere, mutatis mutandis, la sentenza Marckx precitata, serie A no 31, p. 23, ? 50). Ora l’ufficio di consultazione e di difesa del foro di Anversa ha constatato, il 18 dicembre 1979, che la mancanza di denaro del Sig. E. impediva la tassazione di parcella (paragrafo 12 sopra). Ne bisogna dedurre, con la Commissione unanime che nessun credito ? nato mai a questo riguardo nel capo del richiedente.
Pertanto, l’articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1) non trova qui ad applicarsi, isolatamente o congiuntamente all’articolo 14 (art. 14+P1-1) della Convenzione; l’interessato non ha del resto invocato questo ultimo che in combinazione con l’articolo 4 (art. 14+4).
49. Il problema non si porne negli stessi termini per il non-rimborso degli oneri: a questo riguardo, il Sig. V. d. M. ha dovuto prelevare certe somme dalle sue risorse proprie (paragrafo 12 sopra).
Ci? non basta tuttavia per concludere all’applicabilit? dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1).
In alcuni casi, un dovere prescritto dalla legge provoca certe spese per quello che deve sdebitarsi. Se si considerava che l’imposizione di dovere allo stesso modo costituisca in s? un’ingerenza nella propriet? allo sguardo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1), si darebbe a questo testo un’interpretazione estensiva che supera il suo scopo ed il suo oggetto.
La Corte non vede motivi validi di pensare diversamente nello specifico.
Gli oneri di cui si tratta risultavano, per il SIg. V. d.M., dall’assistenza prestata da lui ai clienti pro Deo. Sebbene non essendo per nulla niente di irrisorie (epiteto che conferisce loro il Governo), si rivelano relativamente deboli e derivavano dall’obbligo di compiere un lavoro compatibile con l’articolo 4 (art. 4) della Convenzione.
L’articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1) non entra dunque neanche sotto questo aspetto in fila di conto, solo o in collegamento con l’articolo 14 (art. 14+P1-1) della Convenzione.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMIT?,
Stabilisce che non c?? stata violazione n? dell’articolo 4(art. 4) della Convenzione, considerati isolatamente o combinati con l’articolo 14 (art. 14+4) n? dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1).
Reso in francese ed in inglese, il testo francese facente fede, al Palazzo dei Diritti dell’uomo a Strasburgo, il ventitre novembre mille nove cento ottantatre.
Gerardo WIARDA
Presidente
Marc-Andr? EISSEN
Cancelliere
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 51 ? 2, art. 51-2, della Convenzione e 50 ? 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione separata, concordante, del Sig. Th?r Vilhj?lmsson, approvata dalla Sig.ra Bindschedler-Robert ed dal Sig. Matscher.
G. W.
SIG. – A. E.
OPINIONE CONCORDANTE DEL SIG. TH?R VILHJ?LMSSON, APPROVATA DALLA SIG.RA BINDSCHEDLER-ROBERT ED DAL SIG. MATSCHER,
(Traduzione)
A mio parere, il Sig. v, d, M, pu? lamentarsi di un’ingerenza dell’autorit? pubblica nel suo diritto di propriet?, ma solamente in quanto al non-rimborso dei suoi oneri. A questo riguardo, rilevo che ha dovuto assumere le spese in questione in seguito ad un obbligo giuridico che gli imponeva lo stato. Secondo me, l’articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1) entra in fila di conto su questo punto dunque.
Una violazione del “diritto al rispetto dei suoi beni”, come lo garantisce la prima frase del primo capoverso, non mi sembra tuttavia costituita. Due ragioni mi conducono a questa conclusione. Innanzitutto, gli importi in causa, senza meritare l’epiteto di “irrisori” che conferisce loro il Governo, non erano esorbitanti. In secondo luogo, il richiedente lavorava come praticante per aderire al foro. Doveva conoscere il sistema dello stage prima di intraprendere la professione. Se suddetto sistema presentava indubbiamente per lui degli inconvenienti cos? come dei vantaggi, occorre nell’occorrenza considerarli in blocco. Ora, ai miei occhi, gli inconvenienti non prevalevano sui vantaggi al punto che si possa constatare una violazione. Perci? ho votato per la non-violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (P1-1).
Nota della cancelleria: Si tratta dell’ordinamento applicabile all’epoca dell’introduzione dell’istanza. Un nuovo testo entrato in vigore il 1 gennaio 1983 l’ha sostituito, ma solamente per le cause portate dinnanzi alla Corte dopo questa data.
CAUSA GOLDER C. REGNO UNITO
SENTENZA TYRER C. REGNO UNITO
SENTENZA VAN DER MUSSELE C. BELGIO
SENTENZA VAN DER MUSSELE C. BELGIO
SENTENZA VAN DER MUSSELE C. BELGIO
OPINIONE CONCORDANTE DEL SIG. TH?R VILHJ?LMSSON, APPROVATA CON LA SIG.RA BINDSCHEDLER-ROBERT ED IL SIG. MATSCHER,