Conclusione Non – violazione dell’art. 6-1; violazione dell’art. 6-1; danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA UDOROVIC C. ITALIA
( Richiesta no 38532/02)
SENTENZA
STRASBURGO
18 maggio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Udorovic c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, Nona Tsotsoria, Kristina Pardalos, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 27 aprile 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 38532/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. A. U. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 20 settembre 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato dai N. P.ed A. M., avvocati a Roma. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente, il Sig. N. Lettieri.
3. Il richiedente adduce l’iniquità, sotto differenti aspetti, di un procedimento per discriminazione impegnato contro l’amministrazione dinnanzi alle giurisdizioni civili.
4. Il 12 novembre 2008, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1951 e risiede a Terracina.
6. È un cittadino italiano appartenente alla comunità zingaresca dei Sinti e residente all’epoca dei fatti in un campo nomade ubicato a Roma, via Luigi Nono.
7. Il 13, 14 e 15 novembre 1995, la polizia municipale di Roma effettuò dei controlli in tutti gli accampamenti nomadi autorizzati ed in tutti gli insediamenti nomadi spontanei pianificati nella municipalità, ivi compreso il campo “Nono.”
8. Con una decisione del 23 gennaio 1996, il sindaco di Roma osservò che il censimento dei campi nomadi era stato compiuto allo scopo di determinarne la tipologia, le condizioni e le dimensioni. Ricordò che ai sensi della legge regionale no 59 del 3 maggio 1985, è possibile accamparsi solamente adeguatamente nelle strutture elencate e che presentano le condizioni sanitarie ed igieniche accettabili. Inoltre, il sindaco affermò che, per ciò che riguardava le famiglie Rom e Sinti, solo quelle con bambini in età scolastica e che seguivano realmente la scolarità obbligatoria aveva il diritto di risiedere nei campi pianificati dalla municipalità. Aggiunse che questi criteri personali sarebbero stati verificati dall’amministrazione in occasione di un successivo censimento.
9. Con la stessa decisione, l’amministrazione municipale stabilì un elenco delle strutture giudicate conformi ai criteri previsti dalla legge, con l’indicazione della loro capacità massimale. In suddetto elenco figurava anche il campo Nono, di una capacità di trenta persone.
10. Il 15 giugno 1999, l’ufficio dell’immigrazione della municipalità di Roma chiese alla polizia municipale di effettuare un censimento nel campo Nono. Il censimento ebbe luogo il 24 giugno 1999.
11. Con una decisione del 4 novembre 1999, il sindaco di Roma ordinò che le quarantasette persone installate nel campo Nono fossero evacuate e che, nella misura in cui erano in regola con le norme sull’immigrazione e coi criteri stabiliti dall’ordinanza del 1996, fossero trasferite in un accampamento attrezzato. Il sindaco affermò che il campo, installato vicino ad una scuola elementare, non era attrezzato con una rete fognario e di acqua potabile conforme alle norme igieniche ed osservò che era impossibile effettuare dei lavori di urbanistica in un termine ragionevole. Inoltre, il comportamento degli occupanti del campo aggravava lo stato di questo. Si rivelava necessario preservare l’ambiente dunque, così come la salute degli occupanti del campo e dei residenti del quartiere, con una misura immediata come l’evacuazione.
12. Il 25 novembre 1999, il richiedente attaccò suddetta decisione dinnanzi al tribunale amministrativo del Lazio e chiese un rinvio all’esecuzione dell’evacuazione.
13. Con un’ordinanza per direttissima del 19 gennaio 2000, il tribunale accolse l’istanza di rinvio del richiedente. Rilevò che la municipalità aveva autorizzato, con la sua decisione del 1996, l’insediamento di persone e di carovane nel campo riguardato ed affermò che l’amministrazione aveva l’obbligo di pianificare adeguatamente suddetto campo per permettere delle condizioni di vita accettabili.
14. La municipalità interpose appello contro l’ordinanza per direttissima del 19 gennaio 2000. Il Consiglio di stato confermò la decisione del tribunale amministrativo di sospendere l’esecuzione dell’evacuazione.
15. Il procedimento sul merito è attualmente pendente dinnanzi al tribunale amministrativo.
16. Il 20 marzo 2000, il richiedente introdusse dinnanzi al tribunale civile di Roma un ricorso per discriminazione contro la municipalità e dil sindaco di Roma, conformemente agli articoli 43 e 44 del decreto (“decreto legislativo”) no 286 del 1998. Facendo valere che le decisioni prese dal sindaco nel 1996 e nel 1999 erano discriminatorie nella misura in cui riguardavano dei cittadini italiani in ragione della loro appartenenza all’etnia Sinti, chiese al tribunale di condannare l’amministrazione a mettere fine alla discriminazione ed ad indennizzarlo per il danno patrimoniale e morale subito.
17. Il procedimento si svolse, seguendo in materia le disposizioni di legge, in camera del consiglio. All’udienza del 17 maggio 2000, il richiedente depositò dei documenti.
18. Con un’ordinanza del 12 marzo 2001, depositata il 13 marzo 2001, il tribunale respinse il ricorso del richiedente. Affermò che le decisioni controverse non erano discriminatorie poiché inseguivano lo scopo di garantire la salute pubblica dei cittadini residenti nel quartiere così come degli occupanti del campo. Inoltre, il tribunale affermò che il censimento dei campi ordinato dalla decisione del 1996 riguardava l’organizzazione dell’accoglimento delle comunità nomadi e non, come il richiedente affermava, lo scopo di “schedare” le minoranze etniche presenti sul territorio.
19. Il richiedente presentò un reclamo contro suddetta ordinanza dinnanzi alla corte di appello di Roma, adducendo, tra l’altro, il carattere discriminatorio della decisione del 1996.
20. Il 2 luglio 2001, un’udienza in camera del consiglio si svolse in presenza delle parti. In questa occasione, il richiedente chiese provvisoriamente l’insediamento di una fontanella di acqua potabile nel campo, in attesa della decisione sulla fondatezza del ricorso. La corte di appello respinse questa istanza.
21. Alcune udienze si tennero il 1 ottobre 2001, il 3 dicembre 2001 e il 7 gennaio 2002; le due prime furono rinviate per permettere all’amministrazione di produrre dei documenti necessari all’istruzione della causa.
22. Con un’ordinanza del 14 gennaio 2002, depositata l’ 11 marzo 2002 e notificata al richiedente il 21 marzo 2002, la corte di appello di Roma respinse il reclamo del richiedente. Affermò che la decisione di 1999 che ordinava l’evacuazione del campo Nono, sebbene inficiata da un certo grado di autoritarismo che poteva giustificare una reazione negativa dei suoi destinatari, non poteva essere considerata discriminatoria, perché non era motivata dall’intenzione di nuocere agli occupanti del campo in ragione della loro appartenenza etnica.
23. In compenso, la corte di appello non si espresse in quanto alla legittimità della decisione del 1996, osservando nella sua ordinanza che “nel suo reclamo, il richiedente non reiterava le sue affermazioni concernenti questa decisione.”
24. Risulta dalla pratica che, il 19 novembre 2005, il richiedente lasciò di sua propria volontà il campo Nono.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
25. Il decreto no 286 del 25 luglio 1998 contiene delle norme in materia di immigrazione e di condizioni degli stranieri.
L’articolo 44 di suddetto decreto, nelle sue parti pertinenti, si legge così:
“1. Quando il comportamento di un individuo o dell’amministrazione pubblica genera una discriminazione per ragioni razziali, etniche, nazionali o religiose, il giudice può ordinare la cessazione del comportamento discriminatorio e può adottare ogni altra decisione adeguata, secondo le circostanze, per cancellare gli effetti della discriminazione, (…)
Il tribunale decide tramite ordinanza. (…)
Si può formare un reclamo dinnanzi alla corte di appello ai termini dell’articolo 739, secondo capoverso, del codice di procedimento civile, contro le decisioni del tribunale.
Si applicano, così compatibili, gli articoli 737, 738 e 739 del codice di procedimento civile.
Con la decisione che conclude il procedimento, il giudice può condannare anche la parte convenuta a pagare il danno patrimoniale e non patrimoniale .” (…)
Gli articoli 737, 738 e 739 del codice di procedimento civile riguardano i procedimenti in camera del consiglio.
Contro le decisioni prese nella cornice del ricorso contro la discriminazione, il ricorso in Cassazione non è ammesso.
IN DIRITTO
I. SULL’OGGETTO DELLA RICHIESTA
26. All’epoca dell’introduzione della sua richiesta, il richiedente adduceva una violazione dell’articolo 6 della Convenzione così come degli articoli 8 e 14 della Convenzione e 2 del Protocollo no 4.
27. La Corte rileva che le lamentele derivate da questi tre ultimi articoli erano anche oggetto della richiesta no 70081/01, introdotta dal richiedente il 8 gennaio 2001. Con una decisione del 31 gennaio 2003, presa in virtù dell’articolo 28 della Convenzione, la Corte ha dichiarato suddetta richiesta inammissibile e l’ha respinta in applicazione dell’articolo 35 § 4.
28. Pertanto, nella cornice della presente richiesta, la Corte si limiterà ad esaminare i motivi di appello derivati dall’articolo 6 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE IN QUANTO ALLA MANCANZA DI PUBBLICITÀ DELLE UDIENZE
29. Il richiedente adduce che la sua causa non è stata sentita in modo pubblico. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, si legge come segue:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita, pubblicamente, da un tribunale indipendente ed imparziale, stabilito dalla legge che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile. Il giudizio deve essere reso pubblicamente, ma l’accesso alla sala dell’ udienza può essere vietato alla stampa ed al pubblico durante la totalità o una parte del processo nell’interesse della moralità, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando gli interessi dei minorenni o la protezione della vita privata delle parti al processo lo esigono, o nella misura giudicata rigorosamente necessaria dal tribunale, quando nelle circostanze speciali la pubblicità sarebbe di natura tale da recare offesa agli interessi della giustizia.”
30. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
31. Il Governo eccepisce innanzitutto l’inapplicabilità dell’articolo 6. Afferma che il ricorso per discriminazione previsto dall’articolo 44 del decreto no 268 costituisce un procedimento preliminare che prevede la concessione di una misura urgente e provvisoria in attesa di una decisione sul merito della controversia. In appoggio del suo argomento, il Governo fa riferimento alla sentenza no 6172/2008 dell’assemblea plenaria della Corte di cassazione, qualificando come preliminare il procedimento previsto dal decreto no 268 ed affermando che l’ordinanza presa nella cornice di questo procedimento ha un carattere provvisorio e non definitivo, né esecutivo.
32. Il Governo si riferisce alla giurisprudenza ben consolidata della Corte secondo cui i procedimenti preliminari non sono normalmente considerati come riguardanti una contestazione su dei diritti ed obblighi di carattere civile e non dipende dunque abitualmente dalla protezione dell’articolo 6.
33. Il richiedente confuta gli argomenti del Governo. Afferma che il ricorso per discriminazione si inserisce in un procedimento ordinario, e non preliminare, e non ha per scopo la concessione di una misura di emergenza. A questo riguardo, contesta le conclusioni della Corte di cassazione e considera non convincenti gli argomenti dell’alta giurisdizione italiana.
34. La Corte osserva da prima che le parti non si accordano in quanto alla qualifica del procedimento controverso. Se il Governo ne afferma la natura preliminare, l’interessato è del parere che si tratta in compenso di un procedimento ordinario.
35. La Corte ricorda che appartiene al primo capo alle autorità nazionali, ed in particolare ai tribunali, interpretare il diritto interno e che non sostituisce la sua propria interpretazione alla loro in mancanza di arbitrarietà (vedere, tra altre, Tejedor García c. Spagna, sentenza del 16 dicembre 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VIII, § 31, p. 2796). Nello specifico, non potrebbe mettere in dubbio le conclusioni dell’assemblea plenaria della Corte di cassazione che, esprimendosi nella cornice delle sue prerogative di interprete supremo del diritto interno, ha affermato la natura preliminare del procedimento contro la discriminazione ed il carattere provvisorio delle decisioni prese nella cornice di questo.
36. Comunque sia, la Corte ricorda che ha avuto l’occasione recentemente di rivedere la sua giurisprudenza relativa all’applicabilità dell’articolo 6 § 1 ai procedimenti preliminari. Al paragrafo 83 della sentenza Micallef c. Malta, Micallef c. Malta [GC], no 17056/06, CEDH 2009 -…), ha affermato che l’applicabilità dell’articolo 6 a questo tipo di procedimenti dipende dal rispetto di certe condizioni. Primariamente, il diritto in gioco tanto nel procedimento al principale che deve essere “di carattere civile” nel senso autonomo che riveste questa nozione nella cornice dell’articolo 6 della Convenzione nel procedimento preliminare. Secondariamente, la natura, l’oggetto e lo scopo della misura provvisoria, così come i suoi effetti sul diritto in questione, devono essere esaminati da vicino. Ogni volta che si può considerare che una misura è determinante per il diritto o l’obbligo di carattere civile in gioco, qualunque sia la durata durante cui è stata in vigore, l’articolo 6 si troverà ad applicare.
37. Nello specifico, c’è luogo di osservare che lo scopo dell’istanza del richiedente era quello di vedersi riconoscere la portata discriminatoria delle decisioni della municipalità di Roma di evacuare il campo dove il richiedente risiedeva con la sua famiglia, di ottenerne l’annullamento, e di vedersi concedere un risarcimento per il danno subito. In questo contesto, la Corte considera che il procedimento controverso era determinante per i diritti di “carattere civile” ai sensi della Convenzione.
38. Quindi, c’è luogo di respingere l’eccezione del Governo e di concludere che l’articolo 6 è applicabile al procedimento controverso. La Corte rileva peraltro che la richiesta non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti di parti
39. Il richiedente si lamenta del fatto che il procedimento si è svolto in camera del consiglio e dunque in modo non pubblico.
Afferma che nessuno motivo giustificava la mancanza di pubblicità nello specifico. Pure ammettendo che il ricorso contro la discriminazione è stato concepito per garantire una protezione veloce ed efficace dei diritti fondamentali delle persone vittime di discriminazione, il richiedente considera che il diritto di beneficiare di un procedimento pubblico non avrebbe dovuto essere ostacolato in nessun caso.
40. Peraltro, la pubblicità dei dibattimenti era auspicabile tenuto conto del rimbombo mediatico che i fatti legati all’evacuazione del campo Nono avevano avuto nel paese.
41. Il Governo sottolinea che il diritto invocato dal richiedente non è un diritto assoluto ai sensi della Convenzione. Insiste sulla natura preliminare del procedimento controverso e fa valere la necessità di privilegiare le esigenze di semplicità e di rapidità, proprie a questo tipo di procedimenti, rispetto all’esigenza dell’articolo 6 in materia di pubblicità.
42. Inoltre, afferma che il rispetto della vita privata delle famiglie evacuate tra cui figuravano parecchi minorenni, era anche in gioco nello specifico. Infine, fa riferimento alla natura tecnica della disputa.
2. Valutazione della Corte
43. La Corte ricorda che la pubblicità del procedimento degli organi giudiziali mirata § 1 all’articolo 6 protegge i giudicabili contro una giustizia segreta che sfugge al controllo del pubblico (vedere, Riepan c. Austria, no 35115/97, § 27, CEDH 2000-XII); costituisce anche uno dei mezzi per preservare la fiducia nei corsi e nei tribunali. Con la trasparenza che dà all’amministrazione della giustizia, aiuta a realizzare lo scopo dell’articolo 6 § 1: il processo equo la cui garanzia rientra tra i principi di ogni società democratica ai sensi della Convenzione (vedere tra molte numerose altre, Terza ed altri c. San Marino, numeri 24954/94, 24971/94 e 24972/94, § 92, CEDH 2000-IX).
44. L’articolo 6 § 1 non fa però ostacolo affinché le giurisdizioni decidono, alla vista delle particolarità della causa sottoposta al loro esame, deroghino a questo principio; l’udienza chiuso, che sia totale o parziale, deve essere comandata allora rigorosamente dalle circostanze della causa (vedere, per esempio, mutatis mutandis, la sentenza Diennet c. Francia, del 26 settembre 1995, Serie A no 325-A, § 34).
45. Peraltro, la Corte ha giudicato che circostanze eccezionali, legate alla natura delle questioni sottoposte al giudice nella cornice del procedimento di cui si tratta, possano giustificare dal dispensarsi da un’udienza pubblica, per esempio le controversie altamente tecniche che si prestano spesso meglio alle scritture che alle arringhe, e degli imperativi di efficacia e di economia (Martinie c. Francia [GC], no 58675/00, CEDH 2006, § 41; le sentenze Miller e Schuler-Zgraggen precitate).
46. Nello specifico, l’esclusione del pubblico dalla sala dell’ udienza è prevista espressamente dal decreto no 268 che contiene un rinvio esplicito alle disposizioni del codice di procedimento civile relativo ai procedimenti in camera del consiglio.
47. La Corte ha appena constatato la natura preliminare del procedimento in questione ed il carattere provvisorio delle misure prese nella cornice di questo (paragrafo 35 sopra).
A questo riguardo, ricorda di avere affermato già che, quando si tratta di procedimenti preliminari, in casi eccezionali -per esempio quando l’effettività della misura provvisoria sollecitata dipende dalla rapidità del processo decisionale- può rivelarsi impossibile rispettare nell’immediato tutte le esigenze contemplate all’articolo 6. Così, in certe ipotesi precise, mentre l’indipendenza e l’imparzialità del tribunale o del giudice riguardato costituiscono delle garanzie inalienabili che è indispensabile rispettare in simile procedimento, altre garanzie procedurali possono applicarsi solamente nella misura in cui lo permettono la natura e lo scopo del procedimento provvisorio considerato. In caso di ulteriore procedimento dinnanzi alla Corte, questo appartiene al Governo a cui toccherà di stabilire, avuto riguardo allo scopo del procedimento in causa in una data causa che una o parecchie garanzie procedurali particolari non potevano essere applicate senza compromettere indebitamente la realizzazione degli obiettivi previsti dalla misura provvisoria in questione (Micallef, precitata, § 86).
48. Ora, le parti si accordano per dire che il ricorso contro la discriminazione ha per scopo quello di garantire ad ogni individuo una protezione immediata ed efficace nei confronti di trattamenti discriminatori provenienti da altri individui o dall’amministrazione pubblica. Ai sensi dell’articolo 44 del decreto no 286, le istanze dei giudicabili in questo ambito tendono ad ottenere la cessazione del comportamento discriminatorio e l’adozione di ogni misura adeguata, secondo le circostanze, per cancellare gli effetti della discriminazione.
49. La Corte concepisce che nell’ambito considerato le autorità nazionali tengono conto degli imperativi di efficacia e di rapidità e che garantire sistematicamente la pubblicità delle udienze potrebbe costituire un ostacolo allo zelo dell’intervento desiderato dal richiedente.
50. Peraltro, non perde di vista il fatto che il procedimento dinnanzi al tribunale e la corte di appello di Roma si è svolto nel rispetto delle altre garanzie procedurali contemplate all’articolo 6. Difatti, il richiedente, assistito di un avvocato di sua scelta, ha avuto la possibilità di essere presente alle udienze e di partecipare al procedimento depositando delle memorie e dei documenti.
51. In riassunto, la Corte stima che la mancanza di pubblicità delle udienze era giustificata nello specifico alla luce degli obiettivi previsti dal procedimento controverso. Pertanto, non c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
III. SULL’ALTRA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
52. Invocando l’articolo 6, il richiedente adduce anche un errore manifesto della corte di appello di Roma, nella misura in cui questa ha trascurato di esaminare il suo mezzo di appello concernente l’illegittimità della decisione della municipalità di Roma del 23 gennaio 1996.
53. Il Governo ricorda innanzitutto che l’obbligo di motivare le decisioni giudiziali non richiede, in principio, una risposta dettagliata ad ogni argomento.
Per ciò che riguarda il mezzo di appello controverso, concernente l’illegittimità della decisione della municipalità del 23 gennaio 1996, il Governo afferma che era assorbito interamente dagli altri mezzi di appello del richiedente che furono esaminati ampiamente dalla corte di appello.
54. Peraltro, tutti gli argomenti del richiedente riguardavano la questione dell’evacuazione del campo Nono, questione sulla quale la giurisdizione di appello ha fornito una valutazione dettagliata ed esauriente.
55. La Corte ricorda che non le appartiene generalmente conoscere degli errori di fatto e di diritto presumibilmente commessi da una giurisdizione nazionale, salvo valutazione innegabilmente inesatta, che ha recato offesa ai diritti e alle libertà salvaguardate dalla Convenzione (cf. García Ruiz c. Spagna ([GC], sentenza precitata, § 28; Schenk c. Svizzera, 12 luglio 1988, serie A, no 140, p. 29, § 45; Kemmache c. Francia, no 3, 24 novembre 1994, serie A, no 296-C, p. 88, § 44; Dulaurans c. Francia, no 34553/97, § 38, 21 marzo 2000).
56. Inoltre, il diritto ad un processo equo, garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, ingloba, tra l’altro, il diritto delle parti al processo a presentare le osservazioni che stimano pertinenti per la loro causa. Non mirando la Convenzione a garantire dei diritti teorici o illusori ma dei diritti concreti ed effettivi (Artico c. Italia del 13 maggio 1980, serie A no 37, p. 16, § 33) questo diritto può passare per effettivo solo se queste osservazioni sono veramente “sentite”, cioè debitamente esaminate dal tribunale investito. Detto diversamente, l’articolo 6 implica in particolare, a carico del “tribunale”, l’obbligo di concedersi ad un esame effettivo dei mezzi, degli argomenti e delle offerte di prova delle parti, salvo a valutarne la pertinenza (Van di Hurk c. Paesi Bassi del 19 aprile 1994, serie A no 288, p. 19, § 59).
57. Nello specifico, la corte di appello di Roma affermò, nella sua ordinanza del 14 gennaio 2002, che il richiedente non aveva formato un mezzo di appello relativo alla decisione della municipalità di Roma del 23 gennaio 1996.
Ora, la Corte rileva che l’analisi del reclamo depositato dal richiedente dinnanzi alla corte di appello permette di constatare che uno dei mezzi formato dall’interessato riguardava in modo esplicito suddetta decisione amministrativa e ne metteva in causa il carattere discriminatorio.
58. In queste condizioni, si può constatare solamente che l’ordinanza della corte di appello è inficiata innegabilmente di una valutazione inesatta di certi fatti importanti.
59. La Corte non deve speculare sulle conseguenze che avrebbe avuto la presa in conto, da parte della giurisdizione di appello, del mezzo controverso. Constata però che l’ordinanza del 1996 regolamentava i censimenti dei campi nomadi ubicati nella municipalità di cui quello dove il richiedente risiedeva con la sua famiglia, e fissava i criteri di individuazione dei residenti irregolari suscettibili di essere evacuati (vedere sopra paragrafi 8 e 9).
60. Quindi, si potrebbe affermare che gli argomenti trascurati dalla giurisdizione di appello erano senza incidenza sulla questione in controversia, avendo particolarmente fatto riferimento al carattere presumibilmente discriminatorio delle decisioni della municipalità (a contrario, Jahnke e Lenoble c. Francia, (dec.), no 40490/98, CEDH 2000-IX).
61. Tenuto conto di ciò che precede, la Corte conclude che la corte di appello di Roma non ha garantito al richiedente il suo diritto ad un processo equo, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Pertanto c’è stata violazione di questa disposizione di questo capo.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
62. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
63. Il richiedente richiede 50 000 euro (EUR) a titolo del danno morale che avrebbe subito.
64. Il Governo si oppone.
65. La Corte stima che il richiedente ha subito un torto morale incontestabile che non è riparato sufficientemente dalla constatazione di una violazione. Di conseguenza, deliberando in equità, come vuole l’articolo 41 della Convenzione, gli assegna 5 000 EUR, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta.
B. Oneri e spese
66. Il richiedente chiede anche 8 000 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alla Corte.
67. Il Governo si oppone.
68. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e delle spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico, tenuto conto della mancanza di giustificativi, la Corte respinge l’istanza relativa agli oneri e alle spese.
C. Interessi moratori
69. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in ragione della mancanza di pubblicità;
3. Stabilisce che c’è stata innegabilmente violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione per valutazione inesatta di certi fatti importanti da parte della corte di appello;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 5 000 EUR (cinquemila euro) per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 18 maggio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa