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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE UDOROVIC c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 06
Numero: 38532/02/2010
Stato: Italia
Data: 2010-05-18 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Non – violazione dell’art. 6-1; violazione dell’art. 6-1; danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA UDOROVIC C. ITALIA
( Richiesta no 38532/02)
SENTENZA
STRASBURGO
18 maggio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Udorovic c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, Nona Tsotsoria, Kristina Pardalos, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 27 aprile 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 38532/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. A. U. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 20 settembre 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato dai N. P.ed A. M., avvocati a Roma. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente, il Sig. N. Lettieri.
3. Il richiedente adduce l’iniquità, sotto differenti aspetti, di un procedimento per discriminazione impegnato contro l’amministrazione dinnanzi alle giurisdizioni civili.
4. Il 12 novembre 2008, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1951 e risiede a Terracina.
6. È un cittadino italiano appartenente alla comunità zingaresca dei Sinti e residente all’epoca dei fatti in un campo nomade ubicato a Roma, via Luigi Nono.
7. Il 13, 14 e 15 novembre 1995, la polizia municipale di Roma effettuò dei controlli in tutti gli accampamenti nomadi autorizzati ed in tutti gli insediamenti nomadi spontanei pianificati nella municipalità, ivi compreso il campo “Nono.”
8. Con una decisione del 23 gennaio 1996, il sindaco di Roma osservò che il censimento dei campi nomadi era stato compiuto allo scopo di determinarne la tipologia, le condizioni e le dimensioni. Ricordò che ai sensi della legge regionale no 59 del 3 maggio 1985, è possibile accamparsi solamente adeguatamente nelle strutture elencate e che presentano le condizioni sanitarie ed igieniche accettabili. Inoltre, il sindaco affermò che, per ciò che riguardava le famiglie Rom e Sinti, solo quelle con bambini in età scolastica e che seguivano realmente la scolarità obbligatoria aveva il diritto di risiedere nei campi pianificati dalla municipalità. Aggiunse che questi criteri personali sarebbero stati verificati dall’amministrazione in occasione di un successivo censimento.
9. Con la stessa decisione, l’amministrazione municipale stabilì un elenco delle strutture giudicate conformi ai criteri previsti dalla legge, con l’indicazione della loro capacità massimale. In suddetto elenco figurava anche il campo Nono, di una capacità di trenta persone.
10. Il 15 giugno 1999, l’ufficio dell’immigrazione della municipalità di Roma chiese alla polizia municipale di effettuare un censimento nel campo Nono. Il censimento ebbe luogo il 24 giugno 1999.
11. Con una decisione del 4 novembre 1999, il sindaco di Roma ordinò che le quarantasette persone installate nel campo Nono fossero evacuate e che, nella misura in cui erano in regola con le norme sull’immigrazione e coi criteri stabiliti dall’ordinanza del 1996, fossero trasferite in un accampamento attrezzato. Il sindaco affermò che il campo, installato vicino ad una scuola elementare, non era attrezzato con una rete fognario e di acqua potabile conforme alle norme igieniche ed osservò che era impossibile effettuare dei lavori di urbanistica in un termine ragionevole. Inoltre, il comportamento degli occupanti del campo aggravava lo stato di questo. Si rivelava necessario preservare l’ambiente dunque, così come la salute degli occupanti del campo e dei residenti del quartiere, con una misura immediata come l’evacuazione.
12. Il 25 novembre 1999, il richiedente attaccò suddetta decisione dinnanzi al tribunale amministrativo del Lazio e chiese un rinvio all’esecuzione dell’evacuazione.
13. Con un’ordinanza per direttissima del 19 gennaio 2000, il tribunale accolse l’istanza di rinvio del richiedente. Rilevò che la municipalità aveva autorizzato, con la sua decisione del 1996, l’insediamento di persone e di carovane nel campo riguardato ed affermò che l’amministrazione aveva l’obbligo di pianificare adeguatamente suddetto campo per permettere delle condizioni di vita accettabili.
14. La municipalità interpose appello contro l’ordinanza per direttissima del 19 gennaio 2000. Il Consiglio di stato confermò la decisione del tribunale amministrativo di sospendere l’esecuzione dell’evacuazione.
15. Il procedimento sul merito è attualmente pendente dinnanzi al tribunale amministrativo.
16. Il 20 marzo 2000, il richiedente introdusse dinnanzi al tribunale civile di Roma un ricorso per discriminazione contro la municipalità e dil sindaco di Roma, conformemente agli articoli 43 e 44 del decreto (“decreto legislativo”) no 286 del 1998. Facendo valere che le decisioni prese dal sindaco nel 1996 e nel 1999 erano discriminatorie nella misura in cui riguardavano dei cittadini italiani in ragione della loro appartenenza all’etnia Sinti, chiese al tribunale di condannare l’amministrazione a mettere fine alla discriminazione ed ad indennizzarlo per il danno patrimoniale e morale subito.
17. Il procedimento si svolse, seguendo in materia le disposizioni di legge, in camera del consiglio. All’udienza del 17 maggio 2000, il richiedente depositò dei documenti.
18. Con un’ordinanza del 12 marzo 2001, depositata il 13 marzo 2001, il tribunale respinse il ricorso del richiedente. Affermò che le decisioni controverse non erano discriminatorie poiché inseguivano lo scopo di garantire la salute pubblica dei cittadini residenti nel quartiere così come degli occupanti del campo. Inoltre, il tribunale affermò che il censimento dei campi ordinato dalla decisione del 1996 riguardava l’organizzazione dell’accoglimento delle comunità nomadi e non, come il richiedente affermava, lo scopo di “schedare” le minoranze etniche presenti sul territorio.
19. Il richiedente presentò un reclamo contro suddetta ordinanza dinnanzi alla corte di appello di Roma, adducendo, tra l’altro, il carattere discriminatorio della decisione del 1996.
20. Il 2 luglio 2001, un’udienza in camera del consiglio si svolse in presenza delle parti. In questa occasione, il richiedente chiese provvisoriamente l’insediamento di una fontanella di acqua potabile nel campo, in attesa della decisione sulla fondatezza del ricorso. La corte di appello respinse questa istanza.
21. Alcune udienze si tennero il 1 ottobre 2001, il 3 dicembre 2001 e il 7 gennaio 2002; le due prime furono rinviate per permettere all’amministrazione di produrre dei documenti necessari all’istruzione della causa.
22. Con un’ordinanza del 14 gennaio 2002, depositata l’ 11 marzo 2002 e notificata al richiedente il 21 marzo 2002, la corte di appello di Roma respinse il reclamo del richiedente. Affermò che la decisione di 1999 che ordinava l’evacuazione del campo Nono, sebbene inficiata da un certo grado di autoritarismo che poteva giustificare una reazione negativa dei suoi destinatari, non poteva essere considerata discriminatoria, perché non era motivata dall’intenzione di nuocere agli occupanti del campo in ragione della loro appartenenza etnica.
23. In compenso, la corte di appello non si espresse in quanto alla legittimità della decisione del 1996, osservando nella sua ordinanza che “nel suo reclamo, il richiedente non reiterava le sue affermazioni concernenti questa decisione.”
24. Risulta dalla pratica che, il 19 novembre 2005, il richiedente lasciò di sua propria volontà il campo Nono.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
25. Il decreto no 286 del 25 luglio 1998 contiene delle norme in materia di immigrazione e di condizioni degli stranieri.
L’articolo 44 di suddetto decreto, nelle sue parti pertinenti, si legge così:
“1. Quando il comportamento di un individuo o dell’amministrazione pubblica genera una discriminazione per ragioni razziali, etniche, nazionali o religiose, il giudice può ordinare la cessazione del comportamento discriminatorio e può adottare ogni altra decisione adeguata, secondo le circostanze, per cancellare gli effetti della discriminazione, (…)
Il tribunale decide tramite ordinanza. (…)
Si può formare un reclamo dinnanzi alla corte di appello ai termini dell’articolo 739, secondo capoverso, del codice di procedimento civile, contro le decisioni del tribunale.
Si applicano, così compatibili, gli articoli 737, 738 e 739 del codice di procedimento civile.
Con la decisione che conclude il procedimento, il giudice può condannare anche la parte convenuta a pagare il danno patrimoniale e non patrimoniale .” (…)
Gli articoli 737, 738 e 739 del codice di procedimento civile riguardano i procedimenti in camera del consiglio.
Contro le decisioni prese nella cornice del ricorso contro la discriminazione, il ricorso in Cassazione non è ammesso.
IN DIRITTO
I. SULL’OGGETTO DELLA RICHIESTA
26. All’epoca dell’introduzione della sua richiesta, il richiedente adduceva una violazione dell’articolo 6 della Convenzione così come degli articoli 8 e 14 della Convenzione e 2 del Protocollo no 4.
27. La Corte rileva che le lamentele derivate da questi tre ultimi articoli erano anche oggetto della richiesta no 70081/01, introdotta dal richiedente il 8 gennaio 2001. Con una decisione del 31 gennaio 2003, presa in virtù dell’articolo 28 della Convenzione, la Corte ha dichiarato suddetta richiesta inammissibile e l’ha respinta in applicazione dell’articolo 35 § 4.
28. Pertanto, nella cornice della presente richiesta, la Corte si limiterà ad esaminare i motivi di appello derivati dall’articolo 6 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE IN QUANTO ALLA MANCANZA DI PUBBLICITÀ DELLE UDIENZE
29. Il richiedente adduce che la sua causa non è stata sentita in modo pubblico. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, si legge come segue:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita, pubblicamente, da un tribunale indipendente ed imparziale, stabilito dalla legge che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile. Il giudizio deve essere reso pubblicamente, ma l’accesso alla sala dell’ udienza può essere vietato alla stampa ed al pubblico durante la totalità o una parte del processo nell’interesse della moralità, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando gli interessi dei minorenni o la protezione della vita privata delle parti al processo lo esigono, o nella misura giudicata rigorosamente necessaria dal tribunale, quando nelle circostanze speciali la pubblicità sarebbe di natura tale da recare offesa agli interessi della giustizia.”
30. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
31. Il Governo eccepisce innanzitutto l’inapplicabilità dell’articolo 6. Afferma che il ricorso per discriminazione previsto dall’articolo 44 del decreto no 268 costituisce un procedimento preliminare che prevede la concessione di una misura urgente e provvisoria in attesa di una decisione sul merito della controversia. In appoggio del suo argomento, il Governo fa riferimento alla sentenza no 6172/2008 dell’assemblea plenaria della Corte di cassazione, qualificando come preliminare il procedimento previsto dal decreto no 268 ed affermando che l’ordinanza presa nella cornice di questo procedimento ha un carattere provvisorio e non definitivo, né esecutivo.
32. Il Governo si riferisce alla giurisprudenza ben consolidata della Corte secondo cui i procedimenti preliminari non sono normalmente considerati come riguardanti una contestazione su dei diritti ed obblighi di carattere civile e non dipende dunque abitualmente dalla protezione dell’articolo 6.
33. Il richiedente confuta gli argomenti del Governo. Afferma che il ricorso per discriminazione si inserisce in un procedimento ordinario, e non preliminare, e non ha per scopo la concessione di una misura di emergenza. A questo riguardo, contesta le conclusioni della Corte di cassazione e considera non convincenti gli argomenti dell’alta giurisdizione italiana.
34. La Corte osserva da prima che le parti non si accordano in quanto alla qualifica del procedimento controverso. Se il Governo ne afferma la natura preliminare, l’interessato è del parere che si tratta in compenso di un procedimento ordinario.
35. La Corte ricorda che appartiene al primo capo alle autorità nazionali, ed in particolare ai tribunali, interpretare il diritto interno e che non sostituisce la sua propria interpretazione alla loro in mancanza di arbitrarietà (vedere, tra altre, Tejedor García c. Spagna, sentenza del 16 dicembre 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VIII, § 31, p. 2796). Nello specifico, non potrebbe mettere in dubbio le conclusioni dell’assemblea plenaria della Corte di cassazione che, esprimendosi nella cornice delle sue prerogative di interprete supremo del diritto interno, ha affermato la natura preliminare del procedimento contro la discriminazione ed il carattere provvisorio delle decisioni prese nella cornice di questo.
36. Comunque sia, la Corte ricorda che ha avuto l’occasione recentemente di rivedere la sua giurisprudenza relativa all’applicabilità dell’articolo 6 § 1 ai procedimenti preliminari. Al paragrafo 83 della sentenza Micallef c. Malta, Micallef c. Malta [GC], no 17056/06, CEDH 2009 -…), ha affermato che l’applicabilità dell’articolo 6 a questo tipo di procedimenti dipende dal rispetto di certe condizioni. Primariamente, il diritto in gioco tanto nel procedimento al principale che deve essere “di carattere civile” nel senso autonomo che riveste questa nozione nella cornice dell’articolo 6 della Convenzione nel procedimento preliminare. Secondariamente, la natura, l’oggetto e lo scopo della misura provvisoria, così come i suoi effetti sul diritto in questione, devono essere esaminati da vicino. Ogni volta che si può considerare che una misura è determinante per il diritto o l’obbligo di carattere civile in gioco, qualunque sia la durata durante cui è stata in vigore, l’articolo 6 si troverà ad applicare.
37. Nello specifico, c’è luogo di osservare che lo scopo dell’istanza del richiedente era quello di vedersi riconoscere la portata discriminatoria delle decisioni della municipalità di Roma di evacuare il campo dove il richiedente risiedeva con la sua famiglia, di ottenerne l’annullamento, e di vedersi concedere un risarcimento per il danno subito. In questo contesto, la Corte considera che il procedimento controverso era determinante per i diritti di “carattere civile” ai sensi della Convenzione.
38. Quindi, c’è luogo di respingere l’eccezione del Governo e di concludere che l’articolo 6 è applicabile al procedimento controverso. La Corte rileva peraltro che la richiesta non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti di parti
39. Il richiedente si lamenta del fatto che il procedimento si è svolto in camera del consiglio e dunque in modo non pubblico.
Afferma che nessuno motivo giustificava la mancanza di pubblicità nello specifico. Pure ammettendo che il ricorso contro la discriminazione è stato concepito per garantire una protezione veloce ed efficace dei diritti fondamentali delle persone vittime di discriminazione, il richiedente considera che il diritto di beneficiare di un procedimento pubblico non avrebbe dovuto essere ostacolato in nessun caso.
40. Peraltro, la pubblicità dei dibattimenti era auspicabile tenuto conto del rimbombo mediatico che i fatti legati all’evacuazione del campo Nono avevano avuto nel paese.
41. Il Governo sottolinea che il diritto invocato dal richiedente non è un diritto assoluto ai sensi della Convenzione. Insiste sulla natura preliminare del procedimento controverso e fa valere la necessità di privilegiare le esigenze di semplicità e di rapidità, proprie a questo tipo di procedimenti, rispetto all’esigenza dell’articolo 6 in materia di pubblicità.
42. Inoltre, afferma che il rispetto della vita privata delle famiglie evacuate tra cui figuravano parecchi minorenni, era anche in gioco nello specifico. Infine, fa riferimento alla natura tecnica della disputa.
2. Valutazione della Corte
43. La Corte ricorda che la pubblicità del procedimento degli organi giudiziali mirata § 1 all’articolo 6 protegge i giudicabili contro una giustizia segreta che sfugge al controllo del pubblico (vedere, Riepan c. Austria, no 35115/97, § 27, CEDH 2000-XII); costituisce anche uno dei mezzi per preservare la fiducia nei corsi e nei tribunali. Con la trasparenza che dà all’amministrazione della giustizia, aiuta a realizzare lo scopo dell’articolo 6 § 1: il processo equo la cui garanzia rientra tra i principi di ogni società democratica ai sensi della Convenzione (vedere tra molte numerose altre, Terza ed altri c. San Marino, numeri 24954/94, 24971/94 e 24972/94, § 92, CEDH 2000-IX).
44. L’articolo 6 § 1 non fa però ostacolo affinché le giurisdizioni decidono, alla vista delle particolarità della causa sottoposta al loro esame, deroghino a questo principio; l’udienza chiuso, che sia totale o parziale, deve essere comandata allora rigorosamente dalle circostanze della causa (vedere, per esempio, mutatis mutandis, la sentenza Diennet c. Francia, del 26 settembre 1995, Serie A no 325-A, § 34).
45. Peraltro, la Corte ha giudicato che circostanze eccezionali, legate alla natura delle questioni sottoposte al giudice nella cornice del procedimento di cui si tratta, possano giustificare dal dispensarsi da un’udienza pubblica, per esempio le controversie altamente tecniche che si prestano spesso meglio alle scritture che alle arringhe, e degli imperativi di efficacia e di economia (Martinie c. Francia [GC], no 58675/00, CEDH 2006, § 41; le sentenze Miller e Schuler-Zgraggen precitate).
46. Nello specifico, l’esclusione del pubblico dalla sala dell’ udienza è prevista espressamente dal decreto no 268 che contiene un rinvio esplicito alle disposizioni del codice di procedimento civile relativo ai procedimenti in camera del consiglio.
47. La Corte ha appena constatato la natura preliminare del procedimento in questione ed il carattere provvisorio delle misure prese nella cornice di questo (paragrafo 35 sopra).
A questo riguardo, ricorda di avere affermato già che, quando si tratta di procedimenti preliminari, in casi eccezionali -per esempio quando l’effettività della misura provvisoria sollecitata dipende dalla rapidità del processo decisionale- può rivelarsi impossibile rispettare nell’immediato tutte le esigenze contemplate all’articolo 6. Così, in certe ipotesi precise, mentre l’indipendenza e l’imparzialità del tribunale o del giudice riguardato costituiscono delle garanzie inalienabili che è indispensabile rispettare in simile procedimento, altre garanzie procedurali possono applicarsi solamente nella misura in cui lo permettono la natura e lo scopo del procedimento provvisorio considerato. In caso di ulteriore procedimento dinnanzi alla Corte, questo appartiene al Governo a cui toccherà di stabilire, avuto riguardo allo scopo del procedimento in causa in una data causa che una o parecchie garanzie procedurali particolari non potevano essere applicate senza compromettere indebitamente la realizzazione degli obiettivi previsti dalla misura provvisoria in questione (Micallef, precitata, § 86).
48. Ora, le parti si accordano per dire che il ricorso contro la discriminazione ha per scopo quello di garantire ad ogni individuo una protezione immediata ed efficace nei confronti di trattamenti discriminatori provenienti da altri individui o dall’amministrazione pubblica. Ai sensi dell’articolo 44 del decreto no 286, le istanze dei giudicabili in questo ambito tendono ad ottenere la cessazione del comportamento discriminatorio e l’adozione di ogni misura adeguata, secondo le circostanze, per cancellare gli effetti della discriminazione.
49. La Corte concepisce che nell’ambito considerato le autorità nazionali tengono conto degli imperativi di efficacia e di rapidità e che garantire sistematicamente la pubblicità delle udienze potrebbe costituire un ostacolo allo zelo dell’intervento desiderato dal richiedente.
50. Peraltro, non perde di vista il fatto che il procedimento dinnanzi al tribunale e la corte di appello di Roma si è svolto nel rispetto delle altre garanzie procedurali contemplate all’articolo 6. Difatti, il richiedente, assistito di un avvocato di sua scelta, ha avuto la possibilità di essere presente alle udienze e di partecipare al procedimento depositando delle memorie e dei documenti.
51. In riassunto, la Corte stima che la mancanza di pubblicità delle udienze era giustificata nello specifico alla luce degli obiettivi previsti dal procedimento controverso. Pertanto, non c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
III. SULL’ALTRA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
52. Invocando l’articolo 6, il richiedente adduce anche un errore manifesto della corte di appello di Roma, nella misura in cui questa ha trascurato di esaminare il suo mezzo di appello concernente l’illegittimità della decisione della municipalità di Roma del 23 gennaio 1996.
53. Il Governo ricorda innanzitutto che l’obbligo di motivare le decisioni giudiziali non richiede, in principio, una risposta dettagliata ad ogni argomento.
Per ciò che riguarda il mezzo di appello controverso, concernente l’illegittimità della decisione della municipalità del 23 gennaio 1996, il Governo afferma che era assorbito interamente dagli altri mezzi di appello del richiedente che furono esaminati ampiamente dalla corte di appello.
54. Peraltro, tutti gli argomenti del richiedente riguardavano la questione dell’evacuazione del campo Nono, questione sulla quale la giurisdizione di appello ha fornito una valutazione dettagliata ed esauriente.
55. La Corte ricorda che non le appartiene generalmente conoscere degli errori di fatto e di diritto presumibilmente commessi da una giurisdizione nazionale, salvo valutazione innegabilmente inesatta, che ha recato offesa ai diritti e alle libertà salvaguardate dalla Convenzione (cf. García Ruiz c. Spagna ([GC], sentenza precitata, § 28; Schenk c. Svizzera, 12 luglio 1988, serie A, no 140, p. 29, § 45; Kemmache c. Francia, no 3, 24 novembre 1994, serie A, no 296-C, p. 88, § 44; Dulaurans c. Francia, no 34553/97, § 38, 21 marzo 2000).
56. Inoltre, il diritto ad un processo equo, garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, ingloba, tra l’altro, il diritto delle parti al processo a presentare le osservazioni che stimano pertinenti per la loro causa. Non mirando la Convenzione a garantire dei diritti teorici o illusori ma dei diritti concreti ed effettivi (Artico c. Italia del 13 maggio 1980, serie A no 37, p. 16, § 33) questo diritto può passare per effettivo solo se queste osservazioni sono veramente “sentite”, cioè debitamente esaminate dal tribunale investito. Detto diversamente, l’articolo 6 implica in particolare, a carico del “tribunale”, l’obbligo di concedersi ad un esame effettivo dei mezzi, degli argomenti e delle offerte di prova delle parti, salvo a valutarne la pertinenza (Van di Hurk c. Paesi Bassi del 19 aprile 1994, serie A no 288, p. 19, § 59).
57. Nello specifico, la corte di appello di Roma affermò, nella sua ordinanza del 14 gennaio 2002, che il richiedente non aveva formato un mezzo di appello relativo alla decisione della municipalità di Roma del 23 gennaio 1996.
Ora, la Corte rileva che l’analisi del reclamo depositato dal richiedente dinnanzi alla corte di appello permette di constatare che uno dei mezzi formato dall’interessato riguardava in modo esplicito suddetta decisione amministrativa e ne metteva in causa il carattere discriminatorio.
58. In queste condizioni, si può constatare solamente che l’ordinanza della corte di appello è inficiata innegabilmente di una valutazione inesatta di certi fatti importanti.
59. La Corte non deve speculare sulle conseguenze che avrebbe avuto la presa in conto, da parte della giurisdizione di appello, del mezzo controverso. Constata però che l’ordinanza del 1996 regolamentava i censimenti dei campi nomadi ubicati nella municipalità di cui quello dove il richiedente risiedeva con la sua famiglia, e fissava i criteri di individuazione dei residenti irregolari suscettibili di essere evacuati (vedere sopra paragrafi 8 e 9).
60. Quindi, si potrebbe affermare che gli argomenti trascurati dalla giurisdizione di appello erano senza incidenza sulla questione in controversia, avendo particolarmente fatto riferimento al carattere presumibilmente discriminatorio delle decisioni della municipalità (a contrario, Jahnke e Lenoble c. Francia, (dec.), no 40490/98, CEDH 2000-IX).
61. Tenuto conto di ciò che precede, la Corte conclude che la corte di appello di Roma non ha garantito al richiedente il suo diritto ad un processo equo, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Pertanto c’è stata violazione di questa disposizione di questo capo.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
62. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
63. Il richiedente richiede 50 000 euro (EUR) a titolo del danno morale che avrebbe subito.
64. Il Governo si oppone.
65. La Corte stima che il richiedente ha subito un torto morale incontestabile che non è riparato sufficientemente dalla constatazione di una violazione. Di conseguenza, deliberando in equità, come vuole l’articolo 41 della Convenzione, gli assegna 5 000 EUR, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta.
B. Oneri e spese
66. Il richiedente chiede anche 8 000 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alla Corte.
67. Il Governo si oppone.
68. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e delle spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico, tenuto conto della mancanza di giustificativi, la Corte respinge l’istanza relativa agli oneri e alle spese.
C. Interessi moratori
69. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in ragione della mancanza di pubblicità;
3. Stabilisce che c’è stata innegabilmente violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione per valutazione inesatta di certi fatti importanti da parte della corte di appello;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 5 000 EUR (cinquemila euro) per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 18 maggio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusion Non-violation de l’art. 6-1 ; Violation de l’art. 6-1 ; Préjudice moral – réparation
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE UDOROVIC c. ITALIE
(Requête no 38532/02)
ARRÊT
STRASBOURG
18 mai 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Udorovic c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Nona Tsotsoria,
Kristina Pardalos, juges,
et de Sally Dollé, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 27 avril 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 38532/02) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, M. A. U. (« le requérant »), a saisi la Cour le 20 septembre 2002 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par Mes N. P. et A. M., avocats à Rome. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, Mme E. Spatafora, et par son coagent, M. N. Lettieri.
3. Le requérant allègue l’iniquité, sous différents aspects, d’une procédure pour discrimination engagée à l’encontre de l’administration devant les juridictions civiles.
4. Le 12 novembre 2008, la présidente de la deuxième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, elle a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le requérant est né en 1951 et réside à Terracina.
6. Il est un ressortissant italien appartenant à la communauté tzigane des Sinti et résidant à l’époque des faits dans un camp nomade sis à Rome, rue Luigi Nono.
7. Les 13, 14 et 15 novembre 1995, la police municipale de Rome effectua des contrôles dans tous les campements nomades autorisés et dans toutes les installations nomades spontanées aménagées dans la municipalité, y compris le camp « Nono ».
8. Par une décision du 23 janvier 1996, le maire de Rome observa que le recensement des camps nomades avait été accompli dans le but d’en déterminer la typologie, les conditions et les dimensions. Il rappela qu’au sens de la loi régionale no 59 du 3 mai 1985, il est possible de camper seulement dans des structures adéquatement recensées et présentant ses conditions sanitaires et hygiéniques acceptables. En outre, le maire affirma que, pour ce qui était des familles Rom et Sinti, seules celles avec des enfants en âge scolaire et suivant réellement la scolarité obligatoire avaient le droit de résider dans des camps aménagés par la municipalité. Il ajouta que ces critères personnels seraient vérifiés par l’administration à l’occasion d’un prochain recensement.
9. Par la même décision, l’administration municipale établit une liste des structures jugées conformes aux critères prévus par la loi, avec l’indication de leur capacité maximale. Dans ladite liste figurait également le camp Nono, d’une capacité de trente personnes.
10. Le 15 juin 1999, le bureau de l’immigration de la municipalité de Rome demanda à la police municipale d’effectuer un recensement dans le camp Nono. Le recensement eut lieu le 24 juin 1999.
11. Par une décision du 4 novembre 1999, le maire de Rome ordonna que les quarante-sept personnes installées dans le camp Nono fussent évacuées et, que, dans la mesure où elles étaient en règle avec les normes sur l’immigration et avec les critères établis par l’ordonnance de 1996, elles fussent transférées dans un campement équipé. Le maire affirma que le camp, installé à proximité d’une école primaire, n’était pas équipé d’un réseau d’égout et d’eau potable conforme aux normes hygiéniques et observa qu’il était impossible d’effectuer des travaux d’urbanisme dans un délai raisonnable. En outre, le comportement des occupants du camp aggravait l’état de celui-ci. Il s’avérait donc nécessaire de préserver l’environnement, ainsi que la santé des occupants du camp et des résidants du quartier, par une mesure immédiate telle que l’évacuation.
12. Le 25 novembre 1999, le requérant attaqua ladite décision devant le tribunal administratif du Latium et demanda un sursis à l’exécution de l’évacuation.
13. Par une ordonnance en référé du 19 janvier 2000, le tribunal accueillit la demande de sursis du requérant. Il releva que la municipalité avait autorisé, par sa décision de 1996, l’installation de personnes et de caravanes dans le camp concerné et affirma que l’administration avait l’obligation d’aménager adéquatement ledit camp afin de permettre des conditions de vie acceptables.
14. La municipalité interjeta appel contre l’ordonnance en référé du 19 janvier 2000. Le Conseil d’Etat confirma la décision du tribunal administratif de suspendre l’exécution de l’évacuation.
15. La procédure sur le fond est actuellement pendante devant le tribunal administratif.
16. Le 20 mars 2000, le requérant introduisit devant le tribunal civil de Rome un recours pour discrimination à l’encontre de la municipalité et du maire de Rome, conformément aux articles 43 et 44 du décret (« decreto legislativo ») no 286 de 1998. Faisant valoir que les décisions prises par le maire en 1996 et en 1999 étaient discriminatoires dans la mesure où elles visaient des ressortissants italiens en raison de leur appartenance à l’ethnie Sinti, il demanda au tribunal de condamner l’administration à mettre fin à la discrimination et à l’indemniser pour le préjudice matériel et moral subi.
17. La procédure se déroula, suivant les dispositions de loi en la matière, en chambre du conseil. À l’audience du 17 mai 2000, le requérant déposa des documents.
18. Par une ordonnance du 12 mars 2001, déposée le 13 mars 2001, le tribunal rejeta le recours du requérant. Il affirma que les décisions litigieuses n’étaient pas discriminatoires puisqu’elles poursuivaient le but de garantir la santé publique des citoyens résidant dans le quartier ainsi que des occupants du camp. En outre, le tribunal affirma que le recensement des camps ordonné par la décision de 1996 visait l’organisation de l’accueil des communautés nomades et non pas, comme le requérant l’affirmait, le but de « ficher » les minorités ethniques présentes sur le territoire.
19. Le requérant présenta une réclamation contre ladite ordonnance devant la cour d’appel de Rome, alléguant, entre autres, le caractère discriminatoire de la décision de 1996.
20. Le 2 juillet 2001, une audience en chambre du conseil se déroula en présence des parties. A cette occasion, le requérant demanda à titre provisoire l’installation d’une fontaine d’eau potable dans le camp, dans l’attente de la décision sur le bien-fondé du recours. La cour d’appel rejeta cette demande.
21. Des audiences se tinrent les 1er octobre 2001, 3 décembre 2001 et 7 janvier 2002 ; les deux premières furent ajournées pour permettre à l’administration de produire des documents nécessaires à l’instruction de l’affaire.
22. Par une ordonnance du 14 janvier 2002, déposée le 11 mars 2002 et notifiée au requérant le 21 mars 2002, la cour d’appel de Rome rejeta la réclamation du requérant. Elle affirma que la décision de 1999 ordonnant l’évacuation du camp Nono, bien qu’entaché d’un certain degré d’autoritarisme pouvant justifier une réaction négative de ses destinataires, ne pouvait pas être considérée discriminatoire, car elle n’était pas motivée par l’intention de nuire aux occupants du camp en raison de leur appartenance ethnique.
23. En revanche, la cour d’appel ne s’exprima pas quant à la légitimité de la décision de 1996, observant dans son ordonnance que « dans sa réclamation, le requérant ne réitère pas ses allégations concernant cette décision ».
24. Il ressort du dossier que, le 19 novembre 2005, le requérant quitta de son gré le camp Nono.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
25. Le décret no 286 du 25 juillet 1998 contient des normes en matière d’immigration et de conditions des étrangers.
L’article 44 dudit décret, dans ses parties pertinentes, se lit ainsi :
« 1. Lorsque le comportement d’un particulier ou de l’administration publique engendre une discrimination pour raisons raciales, ethniques, nationales ou religieuses, le juge peut ordonner la cessation du comportement discriminatoire et peut adopter toute autre décision adéquate, selon les circonstances, pour effacer les effets de la discrimination (…)
Le tribunal décide avec ordonnance (…).
Contre les décisions du tribunal on peut former une réclamation devant la cour d’appel aux termes de l’article 739, deuxième alinéa, du code de procédure civile.
S’appliquent, si compatibles, les articles 737, 738 et 739 du code de procédure civile.
Par la décision qui conclut la procédure, le juge peut également condamner la partie défenderesse à payer le dommage patrimonial et non patrimonial (…) ».
Les articles 737, 738 et 739 du code de procédure civile concernent les procédures en chambre du conseil.
Contre les décisions prises dans le cadre du recours contre la discrimination, le pourvoi en Cassation n’est pas admis.
EN DROIT
I. SUR L’OBJET DE LA REQUÊTE
26. Lors de l’introduction de sa requête, le requérant alléguait une violation de l’article 6 de la Convention ainsi que des articles 8 et 14 de la Convention et 2 du Protocole no 4.
27. La Cour relève que les doléances tirées de ces trois derniers articles faisaient également l’objet de la requête no 70081/01, introduite par le requérant le 8 janvier 2001. Par une décision du 31 janvier 2003, prise en vertu de l’article 28 de la Convention, la Cour a déclaré ladite requête irrecevable et l’a rejetée en application de l’article 35 § 4.
28. Partant, dans le cadre de la présente requête, la Cour se bornera à examiner les griefs tirés de l’article 6 de la Convention.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION QUANT AU MANQUE DE PUBLICITÉ DES AUDIENCES
29. Le requérant allègue que sa cause n’a pas été entendue de façon publique. Il invoque l’article 6 § 1 de la Convention qui, dans ses parties pertinentes, se lit comme suit :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement, publiquement (…), par un tribunal indépendant et impartial, établi par la loi, qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…). Le jugement doit être rendu publiquement, mais l’accès de la salle d’audience peut être interdit à la presse et au public pendant la totalité ou une partie du procès dans l’intérêt de la moralité, de l’ordre public ou de la sécurité nationale dans une société démocratique, lorsque les intérêts des mineurs ou la protection de la vie privée des parties au procès l’exigent, ou dans la mesure jugée strictement nécessaire par le tribunal, lorsque dans des circonstances spéciales la publicité serait de nature à porter atteinte aux intérêts de la justice ».
30. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
31. Le Gouvernement excipe tout d’abord l’inapplicabilité de l’article 6. Il affirme que le recours pour discrimination prévu par l’article 44 du décret no 268 constitue une procédure préliminaire visant l’octroi d’une mesure urgente et provisoire dans l’attente d’une décision sur le fond du litige. A l’appui de son argument, le Gouvernement fait référence à l’arrêt no 6172/2008 de l’assemblée plénière de la Cour de cassation, qualifiant de préliminaire la procédure prévue par le décret no 268 et affirmant que l’ordonnance prise dans le cadre de cette procédure a un caractère provisoire et non pas définitif, ni exécutoire.
32. Le Gouvernement se réfère à la jurisprudence bien établie de la Cour selon laquelle les procédures préliminaires ne sont pas normalement considérées comme portant sur une contestation sur des droits et obligations de caractère civil et ne relèvent donc pas habituellement de la protection de l’article 6.
33. Le requérant réfute les arguments du Gouvernement. Il affirme que le recours pour discrimination s’inscrit dans une procédure ordinaire, et non pas préliminaire, et n’a pas pour but l’octroi d’une mesure d’urgence. A cet égard, il conteste les conclusions de la Cour de cassation et considère non convaincants les arguments de la haute juridiction italienne.
34. La Cour observe d’emblé que les parties ne s’accordent pas quant à la qualification de la procédure litigieuse. Si le Gouvernement en affirme la nature préliminaire, l’intéressé est d’avis qu’il s’agit en revanche d’une procédure ordinaire.
35. La Cour rappelle qu’il appartient au premier chef aux autorités nationales, et notamment aux tribunaux, d’interpréter le droit interne et qu’elle ne substitue pas sa propre interprétation à la leur en l’absence d’arbitraire (voir, parmi d’autres, Tejedor García c. Espagne, arrêt du 16 décembre 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-VIII, § 31, p. 2796). En l’espèce, elle ne saurait mettre en doute les conclusions de l’assemblée plénière de la Cour de cassation qui, s’exprimant dans le cadre de ses prérogatives d’interprète suprême du droit interne, a affirmé la nature préliminaire de la procédure contre la discrimination et le caractère provisoire des décisions prises dans le cadre de celle-ci.
36. Quoi qu’il en soit, la Cour rappelle qu’elle a eu récemment l’occasion de revoir sa jurisprudence relative à l’applicabilité de l’article 6 § 1 aux procédures préliminaires. Au paragraphe 83 de l’arrêt Micallef c. Malte (Micallef c. Malte [GC], no 17056/06, CEDH 2009-…), elle a affirmé que l’applicabilité de l’article 6 à ce type de procédures dépend du respect de certaines conditions. Premièrement, le droit en jeu tant dans la procédure au principal que dans la procédure préliminaire doit être « de caractère civil » au sens autonome que revêt cette notion dans le cadre de l’article 6 de la Convention. Deuxièmement, la nature, l’objet et le but de la mesure provisoire, ainsi que ses effets sur le droit en question, doivent être examinés de près. Chaque fois que l’on peut considérer qu’une mesure est déterminante pour le droit ou l’obligation de caractère civil en jeu, quelle que soit la durée pendant laquelle elle a été en vigueur, l’article 6 trouvera à s’appliquer.
37. En l’espèce, il y a lieu d’observer que le but de la demande du requérant était celui de voir reconnaître la portée discriminatoire des décisions de la municipalité de Rome d’évacuer le camp où le requérant résidait avec sa famille, d’en obtenir l’annulation, et de se voir octroyer un dédommagement pour le préjudice subi. Dans ce contexte, la Cour considère que la procédure litigieuse était déterminante pour des droits de « caractère civil » au sens de la Convention.
38. Dès lors, il y a lieu de rejeter l’exception du Gouvernement et de conclure que l’article 6 est applicable à la procédure litigieuse. La Cour relève par ailleurs que la requête ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de la déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments de parties
39. Le requérant se plaint de ce que la procédure s’est déroulée en chambre du conseil et donc de façon non publique.
Il affirme qu’aucun motif ne justifiait le manque de publicité en l’espèce. Tout en admettant que le recours contre la discrimination a été conçu pour garantir une protection rapide et efficace des droits fondamentaux des personnes victimes de discrimination, le requérant considère que le droit de bénéficier d’une procédure publique n’aurait dû en aucun cas être entravé.
40. Par ailleurs, la publicité des débats était souhaitable compte tenu du retentissement médiatique que les faits liés à l’évacuation du camp Nono avaient eu dans le pays.
41. Le Gouvernement souligne que le droit invoqué par le requérant n’est pas un droit absolu au sens de la Convention. Il insiste sur la nature préliminaire de la procédure litigieuse et fait valoir la nécessité de privilégier les exigences de simplicité et de rapidité, propres à ce type de procédures, par rapport à l’exigence de l’article 6 en matière de publicité.
42. En outre, il affirme que le respect de la vie privée des familles évacuées, dans lesquelles figuraient plusieurs mineurs, était également en jeu en l’espèce. Enfin, il fait référence à la nature technique du différend.
2. Appréciation de la Cour
43. La Cour rappelle que la publicité de la procédure des organes judiciaires visés à l’article 6 § 1 protège les justiciables contre une justice secrète échappant au contrôle du public (voir, Riepan c. Autriche, no 35115/97, § 27, CEDH 2000-XII) ; elle constitue aussi l’un des moyens de préserver la confiance dans les cours et tribunaux. Par la transparence qu’elle donne à l’administration de la justice, elle aide à réaliser le but de l’article 6 § 1 : le procès équitable, dont la garantie compte parmi les principes de toute société démocratique au sens de la Convention (voir parmi de très nombreux autres, Tierce et autres c. Saint-Marin, nos 24954/94, 24971/94 et 24972/94, § 92, CEDH 2000-IX).
44. L’article 6 § 1 ne fait cependant pas obstacle à ce que les juridictions décident, au vu des particularités de la cause soumise à leur examen, de déroger à ce principe ; le huis clos, qu’il soit total ou partiel, doit alors être strictement commandé par les circonstances de l’affaire (voir, par exemple, mutatis mutandis, l’arrêt Diennet c. France, du 26 septembre 1995, Série A no 325-A, § 34).
45. Par ailleurs, la Cour a jugé que des circonstances exceptionnelles, tenant à la nature des questions soumises au juge dans le cadre de la procédure dont il s’agit, peuvent justifier de se dispenser d’une audience publique, par exemple les litiges hautement techniques qui se prêtent souvent mieux à des écritures qu’à des plaidoiries, et des impératifs d’efficacité et d’économie (Martinie c. France [GC], no 58675/00, CEDH 2006, § 41 ; les arrêts Miller et Schuler-Zgraggen précités).
46. En l’espèce, l’exclusion du public de la salle d’audience est expressément prévue par le décret no 268, qui contient un renvoi explicite aux dispositions du code de procédure civile relative aux procédures en chambre du conseil.
47. La Cour vient de constater la nature préliminaire de la procédure dont est question et le caractère provisoire des mesures prises dans le cadre de celle-ci (paragraphe 35 ci-dessus).
A cet égard, elle rappelle avoir déjà affirmé que, lorsqu’il s’agit de procédures préliminaires, dans des cas exceptionnels – par exemple lorsque l’effectivité de la mesure provisoire sollicitée dépend de la rapidité du processus décisionnel – il peut se révéler impossible de respecter dans l’immédiat toutes les exigences prévues à l’article 6. Ainsi, dans certaines hypothèses précises, tandis que l’indépendance et l’impartialité du tribunal ou du juge concerné constituent des garanties inaliénables qu’il est indispensable de respecter dans pareille procédure, d’autres garanties procédurales peuvent ne s’appliquer que dans la mesure où le permettent la nature et le but de la procédure provisoire considérée. En cas de procédure ultérieure devant la Cour, c’est au Gouvernement qu’il incombera d’établir, eu égard au but de la procédure en cause dans une affaire donnée, qu’une ou plusieurs garanties procédurales particulières ne pouvaient être appliquées sans compromettre indûment la réalisation des objectifs visés par la mesure provisoire en question (Micallef, précité, § 86).
48. Or, les parties s’accordent pour dire que le recours contre la discrimination a pour but celui d’assurer à tout particulier une protection immédiate et efficace vis-à-vis de traitements discriminatoires provenant d’autres individus ou de l’administration publique. Au sens de l’article 44 du décret no 286, les demandes des justiciables dans ce domaine tendent à obtenir la cessation du comportement discriminatoire et l’adoption de toute mesure adéquate, selon les circonstances, pour effacer les effets de la discrimination.
49. La Cour conçoit que dans le domaine considéré les autorités nationales tiennent compte d’impératifs d’efficacité et de rapidité et que garantir systématiquement la publicité des audiences pourrait constituer un obstacle à la diligence de l’intervention souhaitée par le demandeur.
50. Par ailleurs, elle ne perd pas de vue le fait que la procédure devant le tribunal et la cour d’appel de Rome s’est déroulée dans le respect des autres garanties procédurales prévues à l’article 6. En effet, le requérant, assisté d’un avocat de son choix, a eu la possibilité d’être présent aux audiences et de participer à la procédure en déposant des mémoires et des documents.
51. En résumé, la Cour estime que le manque de publicité des audiences était justifié en l’espèce à la lumière des objectifs visés par la procédure litigieuse. Partant, il n’y a pas eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention.
III. SUR L’AUTRE VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
52. Invoquant l’article 6, le requérant allègue également une erreur manifeste de la cour d’appel de Rome, dans la mesure où celle-ci négligea d’examiner son moyen d’appel concernant l’illégitimité de la décision de la municipalité de Rome du 23 janvier 1996.
53. Le Gouvernement rappelle tout d’abord que l’obligation de motiver les décisions judiciaires ne requiert pas, en principe, une réponse détaillée à chaque argument.
Pour ce qui est du moyen d’appel litigieux, concernant l’illégitimité de la décision de la municipalité du 23 janvier 1996, le Gouvernement affirme qu’il était entièrement absorbé par les autres moyens d’appel du requérant, qui furent amplement examinés par la cour d’appel.
54. Par ailleurs, tous les arguments du requérant concernaient la question de l’évacuation du camp Nono, question sur laquelle la juridiction d’appel a fourni une appréciation détaillée et exhaustive.
55. La Cour rappelle qu’il ne lui appartient pas généralement de connaître des erreurs de fait et de droit prétendument commises par une juridiction nationale, sauf appréciation indéniablement inexacte, ayant porté atteinte aux droits et libertés sauvegardés par la Convention (cf. García Ruiz c. Espagne ([GC], arrêt précité, § 28 ; Schenk c. Suisse, 12 juillet 1988, série A, no 140, p. 29, § 45 ; Kemmache c. France, no 3, 24 novembre 1994, série A, no 296-C, p. 88, § 44 ; Dulaurans c. France, no 34553/97, § 38, 21 mars 2000).
56. En outre, le droit à un procès équitable, garanti par l’article 6 § 1 de la Convention, englobe, entre autres, le droit des parties au procès à présenter les observations qu’elles estiment pertinentes pour leur affaire. La Convention ne visant pas à garantir des droits théoriques ou illusoires mais des droits concrets et effectifs (Artico c. Italie du 13 mai 1980, série A no 37, p. 16, § 33), ce droit ne peut passer pour effectif que si ces observations sont vraiment « entendues », c’est-à-dire dûment examinées par le tribunal saisi. Autrement dit, l’article 6 implique notamment, à la charge du « tribunal », l’obligation de se livrer à un examen effectif des moyens, arguments et offres de preuve des parties, sauf à en apprécier la pertinence (Van de Hurk c. Pays-Bas du 19 avril 1994, série A no 288, p. 19, § 59).
57. En l’espèce, la cour d’appel de Rome affirma, dans son ordonnance du 14 janvier 2002, que le requérant n’avait pas formé un moyen d’appel relatif à la décision de la municipalité de Rome du 23 janvier 1996.
Or, la Cour relève que l’analyse de la réclamation déposée par le requérant devant la cour d’appel permet de constater que l’un des moyen formés par l’intéressé concernait de façon explicite ladite décision administrative et en mettait en cause le caractère discriminatoire.
58. Dans ces conditions, on ne peut que constater que l’ordonnance de la cour d’appel est entachée d’une appréciation indéniablement inexacte de certains faits importants.
59. La Cour n’a pas à spéculer sur les conséquences qui aurait eu la prise en compte, par la juridiction d’appel, du moyen litigieux. Elle constate cependant que l’ordonnance de 1996 réglementait les recensements des camps nomades sis dans la municipalité, dont celui où le requérant résidait avec sa famille, et fixait les critères d’individuation des résidents irréguliers susceptibles d’être évacués (voir paragraphes 8 et 9 ci-dessus).
60. Dès lors, on ne saurait affirmer que les arguments négligés par la juridiction d’appel étaient sans incidence sur la question en litige, ayant notamment trait au caractère prétendument discriminatoire des décisions de la municipalité (a contrario, Jahnke et Lenoble c. France (déc.), no 40490/98, CEDH 2000-IX).
61. Compte tenu de ce que précède, la Cour conclut que la cour d’appel de Rome n’a pas assuré au requérant son droit à un procès équitable, au sens de l’article 6 § 1 de la Convention.
Partant il y a eu violation de cette disposition de ce chef.
IV. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
62. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
63. Le requérant réclame 50 000 euros (EUR) au titre du préjudice moral qu’il aurait subi.
64. Le Gouvernement s’y oppose.
65. La Cour estime que le requérant a subi un tort moral incontestable qui n’est pas suffisamment réparé par le constat d’une violation. Par conséquent, statuant en équité, comme le veut l’article 41 de la Convention, elle lui alloue 5 000 EUR, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt.
B. Frais et dépens
66. Le requérant demande également 8 000 EUR pour les frais et dépens engagés devant la Cour.
67. Le Gouvernement s’y oppose.
68. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. En l’espèce, compte tenu de l’absence de justificatifs, la Cour rejette la demande relative aux frais et dépens.
C. Intérêts moratoires
69. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable ;
2. Dit qu’il n’y a pas eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention en raison du manque de publicité ;
3. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention pour appréciation indéniablement inexacte de certains faits importants par la cour d’appel ;
4. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 5 000 EUR (cinq mille euros) pour dommage moral, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
5. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 18 mai 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Sally Dollé Françoise Tulkens
Greffière Présidente

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