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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE TSELIKA-SKOURTI c. GRÈCE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 44685/07/2009
Stato: Grecia
Data: 2009-05-28 00:00:00
Organo: Sezione Prima
Testo Originale

PRIMA SEZIONE
CAUSA TSELIKA-SKOURTI C. GRECIA
( Richiesta no 44685/07)
SENTENZA
STRASBURGO
28 maggio 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Tselika-Skourti c. Grecia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Nina Vajić, presidentessa, Christos Rozakis, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, Giorgio Malinverni, George Nicolaou, giudici,,
e da Søren Nielsen, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 7 maggio 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 44685/07) diretta contro la Repubblica ellenica e in cui una cittadina di questo Stato, la Sig.ra A. T. – S. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 26 settembre 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da L. P. ed A. P., avvocati ad Atene. Il governo greco (“il Governo”) è rappresentato dai delegati del suo agente, il Sig. M. Apessos, consigliere presso il Consulente legale di stato, e la Sig.ra S. Trekli, ascoltatrice presso il Consulente legale di stato.
3. Il richiedente adduceva in particolare una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (termine ragionevole).
4. Il 7 luglio 2008, la presidentessa della prima sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la Camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1952 e risiede ad Atene.
6. Il 16 giugno 1992, il richiedente, donna delle pulizie all’ospedale psichiatrico dell’Attica, investì il tribunale amministrativo di Atene di un’azione contro l’ospedale con la quale richiedeva una somma di 2 927 084 dracme (8 590 euro circa) corrispondenti alle indennità che pretendeva di non avere percepito.
7. I dibattimenti ebbero luogo il 14 dicembre 1994.
8. Con un giudizio del 29 marzo 1995, il tribunale amministrativo respinse l’azione del richiedente.
9. Il 4 settembre 1995, il richiedente interpose appello contro questo giudizio dinnanzi alla corte amministrativa di appello di Atene.
10. Il 15 aprile 1998, la corte amministrativa di appello respinse l’appello come inammissibile al motivo che, fino alla data dei dibattimenti, il richiedente non aveva saldato un importo di 3 000 dracme, previsto dall’articolo 63 § 1 del decreto presidenziale 341/78.
11. La sentenza della corte amministrativa di appello fu notificata al richiedente il 3 novembre 1998.
12. Il 10 dicembre 1998, il richiedente ricorse in cassazione. Nel suo unico mezzo in cassazione, sosteneva che l’articolo 63 del decreto presidenziale era contrario alla Costituzione, perché non era legato all’esame della causa al merito e conduceva alla privazione del diritto ad una protezione giudiziale, in incomprensione degli articoli 20 della Costituzione e 6 della Convenzione.
13. Inizialmente fissati al 4 marzo 2002, i dibattimenti furono rinviati d’ufficio al 13 maggio 2002, poi al 3 giugno 2002. Durante i dibattimenti, il richiedente reiterò i suoi argomenti presentati nel mezzo ed aggiunse che il fatto che lo stato fosse dispensato dal depositare una somma di denaro violava il principio d’uguaglianza delle armi. Sottolineava che era ingiusto privarlo della protezione giudiziale perché il suo avvocato che era un’ausiliare di giustizia, aveva omesso di pagare il deposito e che il cancelliere aveva omesso di ricordarglielo. Invocava a questo riguardo la sentenza della Corte nella causa Platakou c. Grecia (no 38460/97, CEDH 2001-I).
14. Il 30 giugno 2005, il Consiglio di stato respinse il ricorso. Rilevò che l’obbligo di procedere al deposito aveva per scopo di evitare l’introduzione di ricorsi non fondati, che la corte non era tenuta a ad avvertire il consigliere del richiedente che non era, del resto, comparso all’udienza, e che l’importo del deposito non provocava la soppressione del diritto ad una protezione giudiziale.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
15. L’articolo 227 del codice di procedimento civile dispone che se esistono delle omissioni formali alle quali si può ovviare, il presidente di ogni corte d’appello, il delatore o il giudice unico invitano l’avvocato o la parte a farlo, anche dopo i dibattimenti, fissando loro un termine ragionevole.
16. L’articolo 48 del codice di procedimento fiscale impone ai tribunali amministrativi di decidere le controversie anche se le parti non compaiono.
17. L’articolo 20 § 1 della Costituzione dispone:
“Ciascuno ha diritto alla protezione legale da parte dei tribunali e può esporre dinnanzi ad essi i suoi punti di vista sui suoi diritti ed interessi, così come contemplato dalla legge. “
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
18. Il richiedente si lamenta del superamento del “termine ragionevole” del procedimento. Adduce una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione la cui parte pertinente dispone:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa venga sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
19. Il periodo da considerare è cominciato il 16 giugno 1992, con l’immissione nel processo del tribunale amministrativo di Atene, ed è terminato il 30 giugno 2005, con la sentenza del Consiglio di stato. È durato dunque tredici anni e quattordici giorni per tre gradi di giurisdizione.
A. Sull’ammissibilità
20. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva inoltre che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità.
B. Sul merito
21. Il Governo sostiene che gli eventuali ritardi nella presente causa non sono eccessivi e non superano un termine che era in fatto ragionevole per il completamento del procedimento. Se la causa presentava un certo grado di complessità, la posta non era molto importante per il richiedente.
22. Il richiedente sostiene che la posta era di un’importanza capitale per lui perché si trattava di una questione facente riferimento ai suoi bisogni vitali: il sussidio di una somma di 2 927 084 dracme (8 590 euro circa) somma sostanziale rispetto ai suoi redditi. La causa era del resto del tutto semplice e l’ospedale aveva riconosciuto la base legale della sua pretesa.
23. La Corte ricorda che il carattere ragionevole della durata di un procedimento si rivaluta secondo le circostanze della causa ed avuto riguardo ai criteri consacrati dalla sua giurisprudenza, in particolare la complessità della causa, il comportamento dei richiedenti e quello delle autorità competenti così come la posta della controversia per gli interessati (vedere, tra molte altre, Frydlender c. Francia [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
24. La Corte nota che la durata del procedimento dinnanzi alle tre giurisdizioni che hanno dovuto conoscere la causa del richiedente si suddivide così: trentasette mesi circa per il giudizio del tribunale amministrativo, trentotto mesi circa per la sentenza della corte amministrativa di appello e settantanove mesi per la sentenza del Consiglio di stato. La Corte non può aderire all’argomento del Governo secondo cui la posta della causa era trascurabile. Tenuto conto della situazione del richiedente, l’importo che è oggetto della controversia appare come fondamentale per le risorse di questa. Il Governo non porta nessuna giustificazione per i ritardi dinnanzi alle tre giurisdizioni ed in particolare dinnanzi al Consiglio di stato, dove un periodo di inattività totale di tre anni è trascorso tra l’udienza e le adozioni della sentenza.
25. Ora, un termine così lungo, quando si tratta di una disputa sul lavoro, non può essere considerato in nessun caso come compatibile col “termine ragionevole” dell’articolo 6 § 1. Pertanto, c’è stata violazione di questo articolo.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
26. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta inoltre di una violazione del suo diritto ad un processo equo, in ragione dell’interpretazione erronea degli articoli 63 del decreto presidenziale 341/78, 48 del codice di procedimento fiscale e 227 del codice di procedimento civile. In secondo luogo, si lamenta anche di una violazione del diritto all’uguaglianza delle armi, in ragione del fatto che lo stato e le persone giuridiche di dritto pubblico sono esentati dal deposito. In terzo luogo, e sempre sul terreno dello stesso articolo, il richiedente adduce una violazione del suo diritto di accesso ad un tribunale, in ragione del fatto che il suo ricorso è stato respinto per motivi rigorosamente formalisti. Infine, invocando l’articolo 1 del Protocollo no 1, si lamenta di una violazione del suo diritto al rispetto dei suoi beni.
27. Per ciò che riguarda il primo motivo di appello, la Corte ricorda che non ha per compito di conoscere degli errori di fatto o di diritto presumibilmente commessi da una giurisdizione interna, incombendo l’interpretazione della legislazione interna al primo capo alle autorità nazionali, ed in particolare ai corsi e ai tribunali (Tejedor García c. Spagna, 16 dicembre 1997, § 31, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VIII; Garcßa Ruiz c. Spagna [GC], no 30544/96, § 28, CEDH 1999-I; Gheorghe c. Romania, no 19215/04, § 42, CEDH 2007 -… (brani)).
28. La Corte non rileva nessuna apparenza di arbitrarietà nell’analisi fatta delle disposizioni del diritto greco pertinente da parte del Consiglio di stato. Questo li ha interpretati e ha esaminato sotto l’angolo della loro conformità all’articolo 20 § 1 della Costituzione e 6 § 1 della Convenzione e li ha applicati alle circostanze dello specifico.
29. In quanto al motivo di appello derivato dal diritto di accesso ad un tribunale, la Corte ricorda che nella sua decisione Grypaios c. Grecia (no 13404/03, 12 gennaio 2006,) ha giudicato che, tenuto conto dell’importo modesto del deposito (3 000 dracme, o 9 euro) per il fatto che il richiedente era rappresentato da un avvocato e della chiarezza della disposizione legale pertinente, il richiedente non aveva subito un attentato alla sostanza del diritto di accesso ad un tribunale. La Corte non vede alcuna ragione di scostarsi da questa conclusione nella cornice della presente causa, tanto più che il richiedente non invoca una sproporzione evidente tra i suoi redditi e gli importi del deposito. Inoltre, la Corte considera che l’obbligo di pagare la consegna serve degli interessi di sicurezza giuridica e di buona amministrazione della giustizia, per il fatto che mira a dissuadere l’esercizio abusivo di ricorso dinnanzi alle giurisdizioni amministrative (decisione Grypaios precitata). Non potrebbe dunque concludere ad una rottura dell’uguaglianza delle armi nel caso del richiedente.
30. Infine, a proposito del motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1, la Corte considera che appartiene alle giurisdizioni nazionali di decidere delle controversie di origine contrattuale tra i richiedenti ed i loro datori di lavoro, con la conseguenza inevitabile che una delle parti non possa ottenere guadagno di causa. La Corte stima in questo caso che non può essere considerata nessuna ingerenza dello stato in violazione dei diritti protetti dall’articolo 1 del Protocollo no 1 (Gioka c. Grecia, no 44806/07, 16 aprile 2009, § 29; Questel c. Francia, (déc.), no 43275/98, 11 maggio 2000; Commissione europea dei diritti dell’uomo, Kuchar e Stis c. Repubblica ceca, (déc.), no 37527/97, 21 ottobre 1998).
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
31. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
32. Il richiedente richiede 35 828,36 euro (EUR) per il danno materiale e 20 000 EUR per il danno giuridico.
33. Il Governo stima che non c’è legame di causalità tra il danno materiale addotto ed il motivo di appello derivato dal termine ragionevole del procedimento. Inoltre, la constatazione di violazione costituirebbe una soddisfazione equa sufficiente a titolo del danno morale.
34. La Corte ricorda che la constatazione di violazione della Convenzione al quale giunge risulta esclusivamente da un’incomprensione del diritto dell’interessato a vedere la sua causa sentita in un “termine ragionevole.” In queste circostanze, non vede legame di causalità tra la violazione constatata ed un qualsiasi danno materiale di cui il richiedente avrebbe dovuto soffrire; c’è dunque luogo di respingere questo aspetto delle sue pretese (Appietto c. Francia, no 56927/00, 25 febbraio 2003, § 21).
35. La Corte considera che il richiedente ha subito un danno morale, in ragione della lunghezza del procedimento. Deliberando in equità, gli accorda 14 000 EUR, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta.
B. Oneri e spese
36. Il richiedente chiede 5 294 EUR per oneri e spese relativi al procedimento dinnanzi alla Corte.
37. Il Governo sottolinea che il richiedente non produce nessuno giustificativo a sostegno della sua pretesa.
38. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 2000-XI). Nello specifico, tenuto conto del fatto che il richiedente non ha portato alcun giustificativo di questi oneri, la Corte respinge a questo riguardo la richiesta.
C. Interessi moratori
39. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dal termine ragionevole del procedimento ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 14 000 EUR (quattordicimila euro) per il danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 28 maggio 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Søren Nielsen Nina Vajić
Cancelliere Presidente

Testo Tradotto

PREMIÈRE SECTION
AFFAIRE TSELIKA-SKOURTI c. GRÈCE
(Requête no 44685/07)
ARRÊT
STRASBOURG
28 mai 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Tselika-Skourti c. Grèce,
La Cour européenne des droits de l’homme (première section), siégeant en une chambre composée de :
Nina Vajić, présidente,
Christos Rozakis,
Khanlar Hajiyev,
Dean Spielmann,
Sverre Erik Jebens,
Giorgio Malinverni,
George Nicolaou, juges,
et de Søren Nielsen, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 7 mai 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 44685/07) dirigée contre la République hellénique et dont une ressortissante de cet Etat, Mme A. T.-S. (« la requérante »), a saisi la Cour le 26 septembre 2007 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. La requérante est représentée par Me L. P. et A. P., avocats à Athènes. Le gouvernement grec (« le Gouvernement ») est représenté par les délégués de son agent, M. M. Apessos, conseiller auprès du Conseil juridique de l’Etat, et Mme S. Trekli, auditrice auprès du Conseil juridique de l’Etat.
3. La requérante alléguait en particulier une violation de l’article 6 § 1 de la Convention (délai raisonnable).
4. Le 7 juillet 2008, la présidente de la première section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la Chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. La requérante est née en 1952 et réside à Athènes.
6. Le 16 juin 1992, la requérante, femme de ménage à l’hôpital psychiatrique de l’Attique, saisit le tribunal administratif d’Athènes d’une action contre l’hôpital, par laquelle elle réclamait une somme de 2 927 084 drachmes (8 590 euros environ) correspondant aux indemnités qu’elle prétendait ne pas avoir perçues.
7. Les débats eurent lieu le 14 décembre 1994.
8. Par un jugement du 29 mars 1995, le tribunal administratif rejeta l’action de la requérante.
9. Le 4 septembre 1995, la requérante interjeta appel contre ce jugement devant la cour administrative d’appel d’Athènes.
10. Le 15 avril 1998, la cour administrative d’appel rejeta l’appel comme irrecevable au motif que, jusqu’à la date des débats, la requérante ne s’était pas acquittée de la consignation d’un montant de 3 000 drachmes, prévue par l’article 63 § 1 du décret présidentiel 341/78.
11. L’arrêt de la cour administrative d’appel fut notifié à la requérante le 3 novembre 1998.
12. Le 10 décembre 1998, la requérante se pourvut en cassation. Dans son moyen unique en cassation, elle soutenait que l’article 63 du décret présidentiel était contraire à la Constitution, car il n’était pas lié à l’examen de l’affaire au fond et conduisait à la privation du droit à une protection judiciaire, en méconnaissance des articles 20 de la Constitution et 6 de la Convention.
13. Initialement fixés au 4 mars 2002, les débats furent reportés d’office au 13 mai 2002, puis au 3 juin 2002. Pendant les débats, la requérante réitéra ses arguments présentés dans le moyen et ajouta que le fait que l’Etat était dispensé de consigner une somme d’argent violait le principe de l’égalité des armes. Elle soulignait qu’il était injuste de la priver de la protection judiciaire parce que son avocat, qui était un auxiliaire de justice, avait omis de payer la consignation et que le greffier avait omis de le lui rappeler. Elle invoquait à cet égard l’arrêt de la Cour dans l’affaire Platakou c. Grèce, no 38460/97, CEDH 2001-I.
14. Le 30 juin 2005, le Conseil d’Etat rejeta le recours. Il releva que l’obligation de s’acquitter d’une consignation avait pour but d’éviter l’introduction de recours non fondés, que la cour n’était pas tenue de prévenir le conseil de la requérante (qui n’avait, du reste, pas comparu à l’audience) et que le montant de la consignation n’entraînait pas la suppression du droit à une protection judiciaire.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
15. L’article 227 du code de procédure civile dispose que s’il existe des omissions formelles auxquelles on peut remédier, le président de tout tribunal de grande instance, le rapporteur ou le juge unique invite l’avocat ou la partie à le faire, même après les débats, en leur fixant un délai raisonnable.
16. L’article 48 du code de procédure fiscale impose aux tribunaux administratifs de trancher les litiges même si les parties ne comparaissent pas.
17. L’article 20 § 1 de la Constitution dispose :
« Chacun a droit à la protection légale par les tribunaux et peut exposer devant eux ses points de vue sur ses droits et intérêts, ainsi qu’il est prévu par la loi. »
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
18. La requérante se plaint du dépassement du « délai raisonnable » de la procédure. Elle allègue une violation de l’article 6 § 1 de la Convention, dont la partie pertinente dispose :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (…) dans un délai raisonnable, par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
19. La période à considérer a débuté le 16 juin 1992, avec la saisine du tribunal administratif d’Athènes, et a pris fin le 30 juin 2005, avec l’arrêt du Conseil d’Etat. Elle a donc duré treize ans et quatorze jours pour trois degrés de juridiction.
A. Sur la recevabilité
20. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève en outre qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité.
B. Sur le fond
21. Le Gouvernement soutient que les retards éventuels dans la présente affaire ne sont pas excessifs et ne dépassent pas un délai qui était en fait raisonnable pour l’achèvement de la procédure. Si l’affaire présentait un certain degré de complexité, l’enjeu n’était pas très important pour la requérante.
22. La requérante soutient que l’enjeu était d’une importance capitale pour elle car il s’agissait d’une question ayant trait à ses besoins vitaux : l’allocation d’une somme de 2 927 084 drachmes (8 590 euros environ), somme substantielle par rapport à ses revenus. L’affaire était d’ailleurs toute simple et l’hôpital avait reconnu la base légale de sa prétention.
23. La Cour rappelle que le caractère raisonnable de la durée d’une procédure s’apprécie suivant les circonstances de la cause et eu égard aux critères consacrés par sa jurisprudence, en particulier la complexité de l’affaire, le comportement des requérants et celui des autorités compétentes ainsi que l’enjeu du litige pour les intéressés (voir, parmi beaucoup d’autres, Frydlender c. France [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
24. La Cour note que la durée de la procédure devant les trois juridictions qui ont eu à connaître de l’affaire de la requérante se décompose ainsi : trente-sept mois environ pour le jugement du tribunal administratif, trente-huit mois environ pour l’arrêt de la cour administrative d’appel et soixante-dix-neuf mois pour l’arrêt du Conseil d’Etat. La Cour ne peut pas souscrire à l’argument du Gouvernement selon lequel l’enjeu de l’affaire était négligeable. Compte tenu de la situation de la requérante, le montant faisant l’objet du litige apparaît comme primordial pour les ressources de celle-ci. Le Gouvernement n’apporte aucune justification pour les retards devant les trois juridictions et notamment devant le Conseil d’Etat, où une période d’inactivité totale de trois ans s’est écoulée entre l’audience et l’adoption de l’arrêt.
25. Or, un délai aussi long, lorsqu’il s’agit d’un différend du travail, ne peut en aucun cas être considéré comme compatible avec le « délai raisonnable » de l’article 6 § 1. Partant, il y a eu violation de cet article.
II. SUR LES AUTRES VIOLATIONS ALLÉGUÉES
26. Invoquant l’article 6 § 1 de la Convention, la requérante se plaint en outre d’une violation de son droit à un procès équitable, en raison de l’interprétation erronée des articles 63 du décret présidentiel 341/78, 48 du code de procédure fiscale et 227 du code de procédure civile. En deuxième lieu, elle se plaint également d’une violation du droit à l’égalité des armes, en raison du fait que l’Etat et les personnes morales de droit public sont exemptés de la consignation. En troisième lieu, et toujours sur le terrain du même article, la requérante allègue une violation de son droit d’accès à un tribunal, en raison du fait que son pourvoi a été rejeté pour des motifs strictement formalistes. Enfin, invoquant l’article 1 du Protocole no 1, elle se plaint d’une violation de son droit au respect de ses biens.
27. En ce qui concerne le premier grief, la Cour rappelle qu’elle n’a pas pour tâche de connaître des erreurs de fait ou de droit prétendument commises par une juridiction interne, l’interprétation de la législation interne incombant au premier chef aux autorités nationales, et notamment aux cours et tribunaux (Tejedor García c. Espagne, 16 décembre 1997, § 31, Recueil des arrêts et décisions 1997-VIII ; Garcίa Ruiz c. Espagne [GC], no 30544/96, § 28, CEDH 1999-I ; Gheorghe c. Roumanie, no 19215/04, § 42, CEDH 2007-… (extraits)).
28. La Cour ne relève aucune apparence d’arbitraire dans l’analyse faite des dispositions du droit grec pertinent par le Conseil d’Etat. Celui-ci les a interprétées et examinées sous l’angle de leur conformité à l’article 20 § 1 de la Constitution et 6 § 1 de la Convention et les a appliquées aux circonstances de l’espèce.
29. Quant au grief tiré du droit d’accès à un tribunal, la Cour rappelle que dans sa décision Grypaios c. Grèce (no 13404/03, 12 janvier 2006), elle a jugé que, compte tenu du montant modeste de la consignation (3 000 drachmes, soit 9 euros), du fait que le requérant était représenté par un avocat et de la clarté de la disposition légale pertinente, le requérant n’avait pas subi une atteinte à la substance du droit d’accès à un tribunal. La Cour n’aperçoit pas de raison de s’écarter de cette conclusion dans le cadre de la présente affaire, d’autant que la requérante n’invoque pas une disproportion flagrante entre ses revenus et le montant de la consignation. En outre, la Cour considère que l’obligation de payer la consignation sert les intérêts de la sécurité juridique et de la bonne administration de la justice, en ce qu’elle vise à dissuader l’exercice abusif de recours devant les juridictions administratives (décision Grypaios précitée). Elle ne saurait donc conclure à une rupture de l’égalité des armes dans le cas de la requérante.
30. Enfin, au sujet du grief tiré de l’article 1 du Protocole no 1, la Cour considère qu’il appartient aux juridictions nationales de trancher des litiges d’origine contractuelle entre les requérants et leurs employeurs, avec la conséquence inévitable qu’une des parties ne puisse pas obtenir gain de cause. La Cour estime dans ce cas qu’il ne peut être retenu aucune ingérence de l’Etat en violation des droits protégés par l’article 1 du Protocole no 1 (Gioka c. Grèce, no 44806/07, 16 avril 2009, § 29 ; Questel c. France, (déc.), no 43275/98, 11 mai 2000 ; Commission européenne des droits de l’homme, Kuchar et Stis c. République Tchèque, (déc.), no 37527/97, 21 octobre 1998).
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
31. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
32. La requérante réclame 35 828,36 euros (EUR) pour le préjudice matériel et 20 000 EUR pour le préjudice moral.
33. Le Gouvernement estime qu’il n’y a pas de lien de causalité entre le préjudice matériel allégué et le grief tiré du délai raisonnable de la procédure. En outre, le constat de violation constituerait une satisfaction équitable suffisante au titre du préjudice moral.
34. La Cour rappelle que le constat de violation de la Convention auquel elle parvient résulte exclusivement d’une méconnaissance du droit de l’intéressée à voir sa cause entendue dans un « délai raisonnable ». Dans ces circonstances, elle n’aperçoit pas de lien de causalité entre la violation constatée et un quelconque dommage matériel dont la requérante aurait eu à souffrir ; il y a donc lieu de rejeter cet aspect de leurs prétentions (Appietto c. France, no 56927/00, 25 février 2003, § 21).
35. La Cour considère que la requérante a subi un dommage moral, en raison de la longueur de la procédure. Statuant en équité, elle lui accorde 14 000 EUR, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt.
B. Frais et dépens
36. La requérante demande 5 294 EUR pour les frais et dépens relatifs à la procédure devant la Cour.
37. Le Gouvernement souligne que la requérante ne produit aucun justificatif à l’appui de sa prétention.
38. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux (Iatridis c. Grèce (satisfaction équitable) [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 2000-XI). En l’espèce, compte tenu du fait que la requérante n’a pas apporté de justificatifs de ces frais, la Cour rejette la demande à cet égard.
C. Intérêts moratoires
39. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant au grief tiré du délai raisonnable de la procédure et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;
3. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser à la requérante, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 14 000 EUR (quatorze mille euros) pour le dommage moral, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 28 mai 2009, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Søren Nielsen Nina Vajić
Greffier Présidente

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