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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE TORREGGIANI ET AUTRES c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 03, 46
Numero: 43517/09/2013
Stato: Italia
Data: 2013-01-08 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusioni: Violazione dell’articolo 3 – Interdizione della tortura, Articolo 3 – Trattamento degradante – Trattamento disumano, (Risvolto patrimoniale, Danno giuridico – risarcimento)

SECONDA SEZIONE

CAUSA TORREGGIANI ED ALTRI C. ITALIA

( Richieste numeri 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10)

SENTENZA

STRASBURGO

8 gennaio 2013

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Torreggiani ed altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Danutė Jočienė, presidentessa,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
Işıl Karakaş,
Paulo Pinto di Albuquerque,
Helen Keller, juges,et
da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 4 dicembre 2012,
Rende la sentenza che ha adottata in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trovano sette richieste, nostri 57875/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10, dirette contro la Repubblica italiana e in cui sette persone (“i richiedenti”) di cui i dati raffigurano sull’elenco annesso alla presente sentenza, hanno investito la Corte in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono stati rappresentati dagli avvocati indicati nell’elenco qui accluso. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra Spatafora, e col suo coagente, la Sig.ra P. Accardo.
3. I richiedenti si lamentavano in particolare delle condizioni in cuierano stati detenuti rispettivamente nelle strutture penitenziarie di Busto Arsizio e di Piacenza.
4. Il 2 novembre 2010 ed il 5 gennaio 2011, le richieste sono state comunicate al Governo. Siccome lo permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità allo stesso tempo e sul merito della causa.
5. Il 5 giugno 2012, la camera ha informato le parti che stimava opportuna di applicare il procedimento di “la sentenza pilota”, in applicazione dell’articolo 46 § 1 della Convenzione.
6. Tanto il Governo che i richiedenti hanno depositato delle osservazioni scritte sull’opportunità di applicare il procedimento in questione.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
7. All’epoca dell’introduzione delle loro richieste, i richiedenti scontavano delle pene di reclusione nelle strutture penitenziarie di Busto Arsizio o di Piacenza.
A. Le condizioni di detenzione denunciata dai richiedenti
1. I richiedenti detenuti alla prigione di Busto Arsizio, richieste nostri 43517/09, 46882/09 e 55400/09,
8. OMISSIS, richiesta no 43517/09, fu detenuto alla prigione di Busto Arsizio del 13 novembre 2006 al 7 marzo 2011, il Sig. Bamba, richiesta no 46882/09, del 20 marzo 2008 al 23 giugno 2011 ed il Sig. Biondi, richiesta no 55400/09, dal 29 giugno 2009 al 21 giugno 2011. Ciascuno di essi occupava un’unità di 9 m² con due altre persone, e disponeva dunque di un spazio personale di 3 m². Nelle loro richieste, i richiedenti sostenevano inoltre che l’accesso alla doccia alla prigione di Busto Arsizio era limitato in ragione della penuria di acqua calda nella determinazione.
2. I richiedenti detenuti alla prigione di Piacenza, richieste nostri 57875/09, 35315/10, 37818/10 e 61535/09,
9. OMISSIS, richiesta no 57875/09, fu detenuto a Piacenza del 14 febbraio 2009 al 19 aprile 2010, OMISSIS, richiesta no 35315/10, del 15 febbraio 2008 al 8 luglio 2010 ed OMISSIS, richiesta no 37818/10, dal 19 ottobre 2009 al 30 marzo 2011. OMISSIS, richiesta no 61535/09, incarcerato il 13 settembre 2007, è detenuto sempre in questa determinazione.
10. I quattro richiedenti affermano avere occupato delle unità di 9 m² con due altri detenuti. Denunciano anche una mancanza di acqua calda nella determinazione che li avrebbe impediti durante parecchi mesi di fare regolarmente uso della doccia, ed un’illuminazione insufficiente delle unità in ragione dei fori metallici attaccati alle finestre.
11. Secondo il Governo, le unità occupate a Piacenza coi richiedenti hanno una superficie di 11 m².
B. Le ordinanze del tribunale di applicazione delle pene di Reggio Emilia
12. Il 10 aprile 2010, OMISSIS, no 61535/09, e due altri detenuti alla prigione di Piacenza investirono il giudice di applicazione delle pene di Reggio Emilia, sostenitore che le loro condizioni di detenzione erano mediocri in ragione della sovrappopolazione nella prigione di Piacenza e denunciando una violazione del principio dell’uguaglianza di trattamento tra i detenuti, garantito con l’articolo 3 della legge no 354 del 1975 sull’amministrazione penitenziaria.
13. Con le ordinanze dei 16, 20 e 24 agosto 2010, il magistrato accolse i reclami del richiedente e dei suoi compagni di detenzione. Osservò che gli interessati occupavano delle unità che erano state concepite per un solo detenuto e che, in ragione della situazione di sovrappopolazione nella prigione di Piacenza, accoglievano allora ciascuna tre persone. Il magistrato constatò che la quasi -totalità delle unità della determinazione aveva una superficie di 9 m² e che al decorro dell’anno 2010, la determinazione aveva ospitato tra 411 e 415 persone, mentre era contemplato per accogliere 178 detenuti, per una capacità massimale tollerabile, capienza tollerabile, di 376 persone.
14. Facendo riferimento al sentenza Sulejmanovic c. Italia, no 22635/03, 16 luglio 2009, ed ai principi di giurisprudenza concernente la compatibilità tra le condizioni di detenzione ed il rispetto dei diritti garantiti dall’articolo 3 della Convenzione, il giudice di applicazione delle pene conclude che i ricorrenti erano esposti ai trattamenti disumani per il fatto che dovevano dividere con due altri detenuti delle unità esigue, e erano l’oggetto di una discriminazione rispetto ai detenuti che dividono lo stesso tipo di unità con una sola nessuno.
15. Il magistrato trasmise così i reclami del richiedente e degli altri detenuti alla direzione della prigione di Piacenza, al ministero della Giustizia ed all’amministrazione penitenziaria competente, affinché ciascuno possa adottare di emergenza le misure adeguate nella cornice delle sue competenze.
16. Nel febbraio 2011, OMISSIS fu trasferito in un’unità concepita per due persone.
II. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNE PERTINENTI
A. La legge sull’amministrazione penitenziaria
17. L’articolo 6 della legge no 354 del 26 luglio 1975 (“la legge sull’amministrazione penitenziaria”), si legge come segue:
“I locali in che si svolgono la vita dei detenuti devono essere sufficientemente spaziosi ed illuminati con la luce naturale o artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; [devono essere] arieggiati, scaldati quando le condizioni climatiche l’esigono ed attrezzate di servizi sanitari privati, decenti e di tipo razionale. [Essi] devono essere intrattenuti e puliti correttamente. I locali dove i prigionieri passano la notte sono delle unità individuali o collettive.
Una cura particolare deve presiedere a scelta delle persone che sono poste nelle unità collettive.
Le persone in detenzione provvisoria devono potere beneficiare di un soggiorno in unità individuale a meno che la situazione particolare della struttura non lo permetta.
Ogni detenuto dispone della biancheria da letto necessaria. “
18. Ai termini dell’articolo 35 della legge no 354 del 1975, i detenuti possono indirizzare delle domande o dei reclami orali o scritti, anche sotto piega sigillata, al giudice dell’applicazione delle pene; al direttore della determinazione penitenziaria, così come agli ispettori, al direttore generale degli istituti di detenzione e di prevenzione ed al ministro della Giustizia; alle autorità giudiziali e sanitarie che visitano l’istituto; al presidente del Consiglio regionale ed al capo dello stato.
19. Secondo l’articolo 69 di questa stessa legge, il giudice di applicazione delle pene è competente per controllare l’organizzazione degli istituti di prevenzione e di detenzione e per comunicare al ministro, della Giustizia, i bisogni dei differenti servizi, in particolare in ciò che riguarda il collocamento in posto del programma di rieducazione delle persone detenute (capoverso 1). Bada anche a ciò che la sorveglianza degli imputati sia esercitata in conformità con le leggi e gli ordinamenti (capoverso 2). Peraltro, ha il potere di prescrivere delle disposizioni che mirano ad eliminare delle eventuali violazioni dei diritti delle persone condannate ed internato (capoverso 5). Il giudice delibera sul reclamo con un’ordinanza contro la quale l’interessato può ricorrersi in cassazione.
B. Giurisprudenza interna relativa alla possibilità per i detenuti di sollecitare la concessione di un risarcimento in caso delle cattive condizioni di detenzione
20. Con l’ordinanza no 17 del 9 giugno 2011, il giudice di applicazione delle pene di Lecce accolse il reclamo di A.S., un detenuto che si lamenta delle sue condizioni di detenzione, disumane, in ragione della sovrappopolazione regnante alla prigione di Lecce. L’interessato aveva chiesto anche un indennizzo per il danno giuridico subito.
Il giudice constatò che il richiedente aveva diviso con due altre persone un’unità male scaldata e priva di acqua calda che misurava 11,5 m² servizi compresi. Inoltre, il letto occupato da A.S. era a solamente 50 centimetri del massimale. Il richiedente era obbligato a passare 19 ore e metà da giorno sul suo letto in ragione della mancanza di attività sociali organizzate all’esterno dell’unità.
Con la sua ordinanza, il giudice di applicazione delle pene stimò che le condizioni di detenzione dell’interessato erano contrarie alla dignità umana e che portavano violazione tanta la legge italiana sull’amministrazione penitenziaria che le norme fissate dal CPT del Consiglio dell’Europa e con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Inoltre, per la prima volta in Italia, decise che l’amministrazione penitenziaria doveva indennizzare il detenuto all’altezza 220 EUR per il danno “esistenziale”, danno esistenziale, derivando della detenzione.
21. Il 30 settembre 2011, il ministero della Giustizia si ricorse in cassazione contro l’ordinanza del giudice di applicazione delle pene, sollevando in particolare l’incompetenza di questo giudice in materia di indennizzo dei detenuti. Con una sentenza del 5 giugno 2012, la Corte di cassazione dichiarò il ricorso dell’amministrazione inammissibile per tardività, dato che era stato introdotto al di là del termine di 10 giorni previsti dalle disposizioni legali pertinenti. Di conseguenza, l’ordinanza del giudice di applicazione della pene quietanza l’autorità della cosa giudicata.
22. Questa giurisprudenza del giudice di applicazione delle pene di Lecce, riconoscente ai detenuti un indennizzo per il danno esistenziale che deriva delle condizioni di detenzione, è restata isolata in Italia. Altri giudici di applicazione delle pene hanno considerato difatti che non entrava nelle loro prerogative di condannare l’amministrazione a risarcire i detenuti per il danno subito durante la detenzione (vedere, in questo senso, per esempio, le ordinanze dei giudici di applicazione delle pene di Udine e di Vercelli del 24 dicembre 2011 e 18 aprile 2012 rispettivamente.
III. MISURE PRESE DALLO STATO PER OVVIARE AL PROBLEMA DELLA SOVRAPPOPOLAZIONE CARCERARIA
23. Nel 2010, c’erano 67 961 persone detenute nelle 206 prigioni italiane, per una capacità massimale contemplata di 45 000 persone. Il tasso nazionale di sovrappopolazione era del 151%.
24. Con un decreto del 13 gennaio 2010, il presidente del Consiglio dei ministri dichiarò lo stato di emergenza al livello nazionale per una durata di un anno in ragione della sovrappopolazione nelle strutture penitenziarie italiane.
25. Con l’ordinanza no 3861 del 19 marzo 2010, intitolato “Disposizioni urgenti di protezione civile a causa della sovrappopolazione carceraria”, il presidente del Consiglio dei ministri nominò un Commissario delegato al ministero della Giustizia incaricata di elaborare un piano di intervento per le prigioni (“Piano carceri”).
26. Il 29 giugno 2010, un Comitato costituito del ministro della Giustizia, del ministro delle Infrastrutture economiche e del capo del dipartimento della Protezione civile approvò il piano di intervento presentato dal Commissario delegato. Suddetto piano contemplava innanzitutto già la costruzione di 11 nuove strutture penitenziarie e di 20 allegati alle strutture esistenti, ciò che implicava la creazione di 9 150 posti di detenzione supplementare ed il reclutamento di 2 000 nuovi agenti di polizia penitenziaria. Il termine per la fine dei lavori di costruzione era fissato al 31 dicembre 2012.
27. Inoltre, con la legge no 199 del 26 novembre 2010 furono adottate delle disposizioni straordinarie in materia di esecuzione delle pene. Suddetta legge contempla in particolare che le pene di detenzione inferiore a dodici mesi, anche se rappresentano delle frazioni di pene più severe restante ad eseguire, possono essere scontate al domicilio della persona condannata o in un altro luogo di accoglimento, pubblico o privato, eccetto per certe eccezioni legate alla gravità dei reati.
Questa legge resterà in vigore il tempo necessario per il collocamento in opera del piano di intervento per le prigioni ma in nessun caso al di là del 31 dicembre 2013.
28. Lo stato di emergenza al livello nazionale, inizialmente dichiarato fino al 31 dicembre 2010, è stato prorogato a due riprese. È attualmente in vigore fino al 31 dicembre 2012.
29. Alla data del 13 aprile 2012, le prigioni italiane accoglievano 66 585 detenuti, o un tasso di sovrappopolazione del 148%.
il 42% dei detenuti sono in attesa di essere giudicati e sono posti in detenzione provvisoria.
IV. TESTI INTERNAZIONALI PERTINENTI
30. Le parti pertinenti dei rapporti generali del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti disumani e degradanti (“CPT”) si leggono così:
Secondo rapporto generale, CPT/Inf (92) 3,:
“46. La questione della sovrappopolazione rileva direttamente del mandato del CPT. Tutti i servizi ed attività dentro ad una prigione saranno toccate se deve prendere incaricata più prigionieri che il numero per che è stata contemplata. La qualità generale della vita nella determinazione se ne proverà, e forse in una misura significativa. Di più, il grado di sovrappopolazione di una prigione, o in una parte di questa, può essere come costituisce, a lui solo, un trattamento disumano o degradante.
47. Un programma soddisfacente di attività (lavoro, insegnamento e sport, rivestono un’importanza capitale per il benessere dei prigionieri. Ciò è valido per tutte le strutture, che siano di esecuzione delle pene o di detenzione provvisoria. Il CPT ha rilevato che le attività in molte prigioni di detenzione provvisoria sono limitate estremamente. L’organizzazione di programmi di attività nelle tali strutture che conoscono una rotazione abbastanza veloce dei detenuti, non è materia agevole. Non può, all’evidenza, essere questione di programmi di trattamento individualizzato del tipo di quelli che si potrebbe aspettare di una determinazione di esecuzione delle pene. I prigionieri non hanno potuto lasciare tuttavia, semplicemente ad essi estrae, a languire durante le settimane, talvolta dei mesi, confinati nella loro unità, anche se le condizioni patrimoniali sarebbero buone. Il CPT considera che l’obiettivo dovrebbe essere di garantire che i detenuti nelle strutture di detenzione provvisoria siano in grado di passare una parte ragionevole della giornata, 8 ore o più, fuori dalla loro unità, occupati alle attività motivanti di natura varia. Nelle strutture per prigionieri condannati, evidentemente, i regimi dovrebbero essere di un livello ancora più elevato.
48. L’esercizio chiede all’aperto una menzione specifica. L’esigenza di dopo la quale i prigionieri devono essere autorizzati ogni giorno ad almeno un’ora di esercizio all’aperto, è ammessa largamente come una garanzia fondamentale, di preferenza, dovrebbe fare parte integrante di un programma più disteso di attività. Il CPT desidera sottolineare che tutti i prigionieri senza eccezione, ivi compresi quelli sottoposti ad un isolamento cellulare a titolo di sanzione, dovrebbero beneficiare quotidianamente all’aperto di un esercizio. È anche evidente che le aree di esercizio esterno dovrebbero essere ragionevolmente spaziose e, ogni volta che ciò è possibile, offrire un riparo contro le intemperie.
49. L’accesso, al momento opportuno, degli elementi essenziali sono ai servizi adatti ed il mantenimento delle domestiche condizioni di igiene di un ambiente umano.
A questo riguardo, il CPT deve sottolineare che non valuta la pratica, constatata in certi paesi, di prigionieri dinnanzi a soddisfare i loro bisogni naturali utilizzando dei secchi nella loro unità che sono, in seguito, esausta ad ore fisse. O un bagno dovrebbe essere installata nei locali cellulari, di preferenza in un allegato sanitario, o dei mezzi dovrebbero essere messi in opera che permetterebbe ai prigionieri di uscire ogni momento della loro unità, ivi compreso il nuoce, per rendersi ai servizi, senza termine indebito.
I prigionieri dovrebbero avere anche un accesso regolare alle docce o ai bagni. Di più, è augurabile che i locali cellulari siano attrezzati dell’acqua decorri.
50. Il CPT desidera aggiungere che è preoccupato particolarmente quando constata in una stessa determinazione una combinazione di sovrappopolazione, di regimi poveri in attività e di un accesso inadeguato ai servizi o locali sanitari. L’effetto cumulato delle tali condizioni può rivelarsi estremamente nefasto per i prigionieri. “
Settimo rapporto generale, CPT/Inf (97) 10,
“13. Così come il CPT l’ha sottolineato nel suo 2 Rapporto Generale, la questione della sovrappopolazione rileva direttamente del mandato del Comitato (cf). CPT/Inf (92) 3, paragrafo 46.
Una prigione sovrappopolata notifica, per il detenuto, essere allo stretto negli spazi ristretti ed insalubri; una mancanza consolidata di intimità, ciò anche quando si tratta di soddisfare ai bisogni naturali,; delle attività fuori unità limitata a causa di una domanda che supera il personale e le infrastrutture disponibili; dei servizi di salute sovraccaricata; una tensione aumentata e, pertanto, più di violenza tra detenuti come tra detenuti e personale. Questa enumerazione è lontano da essere esauriente.
A più di una ripresa, il CPT è stato portato a concludere che gli effetti nefasti della sovrappopolazione erano arrivati alle condizioni di detenzione disumana e degradante. “

31. Il 30 settembre 1999, il Comitato dei Ministri del Consiglio dell’Europa adottò il Raccomandazione Rec(99)22 concernente la sovrappopolazione delle prigioni e l’inflazione carceraria. Suddetta raccomandazione stabilisce in particolare ciò che segue:
“Il Comitato dei Ministri, in virtù dell’articolo 15.b dello Statuto del Consiglio dell’Europa,
Considerando che la sovrappopolazione delle prigioni e la crescita della popolazione carceraria costituisce una sfida maggiore per le amministrazioni penitenziarie e l’insieme del sistema di giustizia penale sotto l’angolo tanto i diritti dell’uomo che la gestione efficace delle strutture penitenziarie;
Considerando che la gestione efficace della popolazione carceraria è subordinata a certe circostanze come la situazione globale della criminalità, le precedenze in materia di lotta contro la criminalità, il ventaglio delle pene previste dai testi legislativi, la severità delle pene pronunziate, la frequenza del ricorso alle sanzioni e misure applicate nella comunità, l’uso della detenzione provvisoria, l’efficienza e l’efficacia degli organi della giustizia penale e, in particolare, l’atteggiamento del pubblico nei confronti la criminalità e della sua repressione; (…)
Raccomanda ai governi degli Stati membri:
– di prendere tutte le misure appropriate, quando rivedono la loro legislazione e la loro pratica relativa alla sovrappopolazione delle prigioni ed all’inflazione carceraria, in vista di applicare i principi enunciati nell’allegato alla presente Raccomandazione,;
Allegato alla Raccomandazione no R (99) 22
I. Principes di base
1. La privazione di libertà dovrebbe essere considerata come una sanzione o misura dell’ultimo ricorso e non dovrebbe essere contemplata quindi che quando la gravità del reato renderebbe tutta altra sanzione o misura manifestamente inadeguata.
2. L’estensione del parco penitenziario dovrebbe essere piuttosto una misura eccezionale, poiché non è, in linea di massima, proprio ad offrire una soluzione duratura al problema della sovrappopolazione. I paesi di cui la capacità carceraria potrebbe essere globalmente sufficiente ma adattata male ai bisogni locali dovrebbero sforzarsi di arrivare ad una ripartizione più razionale di questa capacità.
3. Conviene contemplare insieme un adeguato di sanzioni e di misure applicate nella comunità, eventualmente graduato in termini di severità; c’è luogo di incitare i procuratori ed i giudici a ricorrere anche largamente che possibile.
4. Gli Stati membri dovrebbero esaminare l’opportunità di decriminalizzare certi tipi di reati o di riqualificarli in modo da evitare che non chiamano delle pene privative di libertà.
5. Per concepire un’azione coerente contro la sovrappopolazione delle prigioni e l’inflazione carceraria, un’analisi dettagliata dei principali fattori che contribuiscono a questi fenomeni dovrebbe essere condotta. Una tale analisi dovrebbe portare, in particolare, sulle categorie di reati suscettibili di provocare delle lunghe pene di prigione, le precedenze in materia di lotta contro la criminalità, gli atteggiamenti e preoccupazioni del pubblico così come le pratiche esistenti in materia di pronunziato delle pene.
(…)
III. Misure a mettere in opera prima del processo penale
Evitare l’azione penale-Ridurre il ricorso alla detenzione provvisoria
10. Alcune misure adeguate dovrebbero essere prese in vista dell’applicazione integrale dei principi enunciati nel Raccomandazione no (87) 18 concernente la semplificazione della giustizia penale, ciò che implica, in particolare, che gli Stati membri, pure tenendo conto dei loro principi costituzionali o della loro tradizione giuridica propria, applicano il principio dell’opportunità dei perseguimenti, o delle misure che hanno lo stesso obiettivo, e ricorrono ai procedimenti semplificati ed alle transazioni in quanto alternative ai perseguimenti nei casi appropriati, in vista di evitare un procedimento penale completo.
11. L’applicazione della detenzione provvisoria e la sua durata dovrebbero essere ridotte al minimo compatibile con gli interessi della giustizia. Gli Stati membri dovrebbero, a questo effetto, assicurarsi che la loro legislazione e la loro pratica sono conformi alle disposizioni pertinenti della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo ed alla giurisprudenza dei suoi organi di controllo e lasciarsi guidare coi principi enunciati nella Raccomandazione no R (80) 11 concernente la detenzione provvisoria che si tratta, in particolare, dei motivi che permettono di ordinare il collocamento in detenzione provvisoria.
12. Conviene diventare anche un uso largo che possibile delle alternative alla detenzione provvisoria, come l’obbligo, per l’indiziato, di risiedere ad un indirizzo specificato, l’interdizione di lasciare o di guadagnare un luogo determinato senza autorizzazione, il collocamento in libertà sotto garanzia, o il controllo ed il sostegno di un organismo specificato dall’autorità giudiziale. A questo riguardo, conviene essere attento alle possibilità di controllare per mezzo di sistemi di sorveglianza elettronica l’obbligo di rimanere in un luogo stipolato.
13. Si imporsi, per sostenere il ricorso efficace ed umano alla detenzione provvisoria, di estrarre le risorse finanziarie ed umane necessarie e, all’occorrenza, di mettere a punto i mezzi procedurali e le tecniche di gestione adeguata.
(…)
V. Misure a mettere in opera al di là del processo penale
Il collocamento in opera delle sanzioni e misure applicate nella comunità- L’esecuzione delle pene privative di libertà
22. Per fare delle sanzioni e delle misure applicate nella comunità delle alternative credibili alle pene di detenzione di corta durata, conviene garantire il loro collocamento in opera efficiente, in particolare:
-mettendo in posto l’infrastruttura richiesta per l’esecuzione ed il seguito di queste sanzioni comunitarie, in particolare in vista di rassicurare i giudici ed i procuratori sulla loro efficacia;
-mettendo a punto ed applicando delle tecniche affidabili di previsione e di valutazione dei rischi così come delle strategie di supervisione, per identificare il rischio di recidiva del delinquente e di garantire la protezione e la sicurezza del pubblico.
23. Converrebbe favorire lo sviluppo delle misure che permettono di ridurre la durata effettiva della pena scontata, preferendo le misure individualizzate, tale la liberazione condizionale, alle misure collettive di gestione della sovrappopolazione carceraria (grazie collettive) amnistie).
24. La liberazione condizionale dovrebbe essere considerata come una delle misure i più efficaci e più costruttive che, non solo, ridotto la durata della detenzione ma contribuisci anche in modo non trascurabile alla reintegrazione pianificata del delinquente nella comunità.
25. Occorrerebbe, per promuovere ed estendere in particolare il ricorso alla liberazione condizionale, creare nella comunità le migliori condizioni di sostegno e di aiuto al delinquente così come di supervisione di questo, in vista di portare le istanze giudiziali o amministrative competenti a considerare questa misura come un’opzione valida e responsabile.
26. Dei programmi di trattamento efficace durante detenzione così come di controllo e di trattamento al di là della liberazione dovrebbero essere concepiti e messi in opera in modo da facilitare il reinserimento dei delinquenti, a ridurre la recidiva, a garantire la sicurezza e la protezione del pubblico ed ad incitare i giudici e procuratori a considerare le misure che mirano a ridurre la durata effettiva della pena a scontare così come le sanzioni e misure applicate nella comunità, come le opzioni costruttive e responsabili. “
32. La seconda parte del Raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee, adottate il 11 gennaio 2006, all’epoca della 952 riunione dei Delegati dei Ministri, è dedicata alle condizioni di detenzione. Nei suoi passaggi pertinenti nello specifico, si legge come segue:
“18.1 i locali di detenzione e, in particolare, quelli che è destinato all’alloggio dei detenuti durante la notte, devono soddisfare alle esigenze di rispetto della dignità umana e, per quanto possibile, della vita privata, e rispondere alle condizioni minimali richieste in particolare in materia di salute e di igiene, tenuto conto delle condizioni climatiche, in ciò che riguarda lo spazio al suolo, il volume di aria, l’illuminazione, il riscaldamento e l’aerazione.
18.2 in tutti gli edifici dove dei detenuti sono chiamati a vivere, a lavorare o a riunirsi:
ha. le finestre devono essere sufficientemente grandi affinché i detenuti possano leggere e lavorare alla luce naturale nelle condizioni normali, e per permettere l’entrata di aria onere, salvo se esiste un sistema di climatizzazione adeguata;
b. la luce artificiale deve essere in materia conforme alle norme tecniche riconosciute; e
c. un sistema di allarme deve permettere ai detenuti di contattare immediatamente il personale.
18.3 il diritto interno deve definire le condizioni minimali richieste concernente i punti repertoriati ai paragrafi 1 e 2.
18.4 il diritto interno deve contemplare dei meccanismi che garantiscono che il rispetto di queste condizioni minimali non sia raggiunto in seguito alla sovrappopolazione carceraria.
18.5 ogni detenuto deve in principio essere ospitato durante la notte in un’unità individuale, salvo quando è considerato come preferibile per lui che coabita con altri detenuti.
18.6 un’unità deve essere divisa unicamente se è adattata ad un uso collettivo e deve essere occupata dai detenuti riconobbi atti a coabitare.
18.7 per quanto possibile, i detenuti devono potere scegliere prima di essere costretti di dividere un’unità durante la notte.
18.8 la decisione di porre un detenuto in una prigione o una parte di prigione particolare deve tenere conto della necessità di dividere:
ha. gli imputati dei detenuti condannati;
b. i detenuti di sesso maschile dei detenuti di sesso femminile; e
c. i giovani detenuti adulti dei detenuti più vecchi.
18.9 può essere derogato alle disposizioni del paragrafo 8 in materia di separazione dei detenuti per permettere a questi ultimi di partecipare insieme alle attività organizzate. Però i gruppi previsti devono sempre essere divisi la notte, a meno che gli interessati non consentono a coabitare e che le autorità penitenziarie stimano che questa misura si inserisce nell’interesse di tutti i detenuti riguardati.
18.10 le condizioni di alloggio dei detenuti devono soddisfare alle misure di sicurezza meno restrittiva possibile e compatibili col rischio che gli interessati evadono, si feriscono o feriscono altre persone. “
IN DIRITTO
I. SULLA CONGIUNZIONE DELLE RICHIESTE
33. Tenuto conto della similitudine delle richieste in quanto alle lamentele dei richiedenti ed al problema di fondo che pongono, la Corte stima necessaria di unirli e decida di esaminarli congiuntamente in una sola sentenza.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
34. Invocando l’articolo 3 della Convenzione, i richiedenti sostengono che le loro condizioni di detenzione rispettiva nelle strutture penitenziarie di Busto Arsizio e di Piacenza costituiscono dei trattamenti disumani e degradanti. L’articolo 3 della Convenzione è formulato così:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
35. Il Governo oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
1. L’eccezione derivata dal difetto di requisito di vittima
36. Il Governo osserva che tutti i richiedenti salvo OMISSIS sono stati liberati o trasferiti in altre unità dopo l’introduzione delle loro richieste. È di parere che questi richiedenti non possono più definirsi vittime della violazione della Convenzione che adducono e sostiene che le loro richieste dovrebbero essere respinte.
37. I richiedenti riguardati si oppongono.
38. La Corte ricorda che una decisione o una misura favorevole al richiedente non basta in principio a togliere egli la qualità di “vittima” che se le autorità nazionali hanno riconosciuto, esplicitamente o in sostanza, riparato la violazione della Convenzione poi (vedere, per esempio, Eckle c. Germania, 15 luglio 1982, § 69, serie Ha no 51; Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, § 36, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-III; Dalban c. Romania [GC], no 28114/95, § 44, CEDH 1999-VI; e Jensen c. Danimarca, déc.), no 48470/99, CEDH 2001-X.
39. I richiedenti si lamentano dinnanzi alla Corte di essere stato detenuto nelle prigioni di Busto Arsizio e di Piacenza durante i periodi importanti nelle condizioni contrarie alla Convenzione. Ora, è vero che dopo l’introduzione delle loro richieste rispettive, gli interessati sono stati sia liberato è trasferito in altre strutture penitenziarie. Però, si saprebbe considerare solamente le autorità interne abbiano riconosciuto così le violazioni addotte dai richiedenti e riparato poi il danno che avrebbero potuto subire a causa delle situazioni che descrivono nelle loro richieste.
40. La Corte conclude che tutti i richiedenti possono sempre definirsi “vittime” di una violazione dei loro diritti garantiti con l’articolo 3 della Convenzione.
2. L’eccezione di no-esaurimento delle vie di ricorso interne
41. Il Governo eccepisce della no-esaurimento delle vie di ricorso interni. Afferma che ogni persona detenuta o internata nelle prigioni italiane può investire il giudice di applicazione delle pene di un reclamo in virtù degli articoli 35 e 69 della legge no 354 del 1975. Questa via di ricorso sarebbe accessibile ed effettiva e permetterebbe di ottenere delle decisioni che hanno valore costrittivo e potendo risanare delle eventuali violazioni dei diritti dei detenuti. Secondo il Governo, il procedimento dinnanzi al giudice di applicazione delle pene costituisce un rimedio pienamente giudiziale, alla conclusione del quale l’autorità investita può prescrivere all’amministrazione penitenziaria delle misure obbligatorie che prevedono il miglioramento delle condizioni di detenzione della persona interessata.
42. Ora, il Governo osserva che solo OMISSIS, richiedente della causa no 61535/09, si è avvalso di questa possibilità introducendo un reclamo dinnanzi al giudice di applicazione delle pene di Reggio Emilia ed ottenendo un’ordinanza favorevole. Secondo il Governo, ciò costituisce la prova dell’accessibilità e dell’effettività della via di ricorso in questione. Seguirebbe che i richiedenti che non si sono avvalsi di suddetto rimedio non ha esaurito le vie di ricorso interni.
43. In quanto all’inadempienza da parte dell’amministrazione penitenziaria di suddetta ordinanza del giudice di applicazione delle pene di Reggio Emilia, il Governo afferma che OMISSIS ha omesso di chiedere il collocamento in esecuzione di questa decisione alle “autorità giudiziali interni.” Di conseguenza stima che la richiesta del OMISSIS deve essere dichiarata anche inammissibile per no-esaurimento delle vie di ricorso interni.
44. I richiedenti sostengono che il sistema italiano non offre nessuna via di ricorso che permette di ovviare alla sovrappopolazione delle prigioni italiane e di ottenere un miglioramento delle condizioni di detenzione.
45. In particolare, adducono il non effettività del procedimento dinnanzi al giudice di applicazione delle pene. Osservano innanzitutto che il ricorso in questione non costituisce un rimedio giudiziale ma un ricorso di tipo amministrativo, le decisioni del giudice che non è per niente costrittive per le direzioni delle strutture penitenziarie. Sostengono peraltro che numerosi detenuti hanno provato di migliorare le loro cattive condizioni carcerarie col verso di reclami al giudice di applicazione delle pene, senza non ottenere tuttavia nessuno risultato. Di conseguenza, si stimano dispensati dell’obbligo di esaurire questo rimedio.
46. Il OMISSIS, in quanto a lui, sostiene avere esaurito le vie di ricorso interni che investono il giudice di applicazione delle pene di Reggio Emilia di un reclamo sul fondamento degli articoli 35 e 69 della legge sull’amministrazione penitenziaria. La sua esperienza sarebbe la prova del non effettività della via di ricorso indicato col Governo.
Adduce che l’ordinanza resa dal giudice di applicazione delle pene il 20 agosto 2010, riconoscente che le condizioni carcerarie alla prigione di Piacenza erano disumane ed ordinando alle autorità amministrative competenti di mettere in posto tutte le misure necessarie per ovviare di emergenza, è restata lettera morta durante parecchi mesi. Non vede quale altro passo avrebbe potuto compiere per ottenere un’esecuzione veloce dell’ordinanza.
47. La Corte ricorda che la regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interni mira a predisporre agli Stati contraenti l’occasione di prevenire o di risanare le violazioni addotte contro essi prima che queste affermazioni non gli siano sottoposte (vedere, tra molte altre, Remli c. Francia, 23 aprile 1996, § 33, Raccolta 1996-II, e Selmouni c. Francia [GC], no 25803/94, § 74, CEDH 1999-V. Questa regola si basi sull’ipotesi, oggetto dell’articolo 13 della Convenzione-e con che presenta delle strette affinità-, che l’ordine interno offre un ricorso effettivo in quanto alla violazione addotta, Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, § 152, CEDH 2000-XI.
48. Però, l’obbligo che deriva dell’articolo 35 si limita a quella di fare verosimilmente un uso normale dei ricorsi effettivi, sufficienti ed accessibili, entra altri, Vernillo c. Francia, 20 febbraio 1991, § 27, serie Ha no 198. In particolare, la Convenzione non prescrive l’esaurimento che i ricorsi al tempo stesso relativi alle violazioni incriminate, disponibili ed adeguati. Devono esistere non solo ad un grado sufficiente di certezza in teoria ma anche in pratica, mancano loro altrimenti l’effettività e l’accessibilità voluta, Dalia c. Francia, 19 febbraio 1998, § 38, Raccolta 1998-I. Di più, secondo i “principi di diritto internazionali generalmente riconosciute”, certe circostanze particolari possono dispensare il richiedente dell’obbligo di esaurire le vie di ricorso interni che si offrono a lui. Questa regola non si applica neanche quando è provata l’esistenza di una pratica amministrativa che consiste nella ripetizione di atti vietati con la Convenzione e la tolleranza ufficiale dello stato, così che ogni procedimento sarebbe vano o non effettiva, Aksoy c. Turchia, sentenza del 18 dicembre 1996, Raccolta 1996-VI, § 52.
49. Infine, l’articolo 35 § 1 della Convenzione contemplano una ripartizione del carico della prova. Per ciò che riguarda il Governo, quando eccepisce della no-esaurimento, deve convincere la Corte che il ricorso era tanto effettivo e disponibile in teoria che in pratica all’epoca dei fatti, questo essere-a-argomento che era accessibile, era suscettibile di offrire al richiedente la correzione dei suoi motivi di appello e presentava delle prospettive ragionevoli di successi, Akdivar ed altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 68, Raccolta 1996-IV; e Sejdovic c. Italia [GC], no 56581/00, § 46, CEDH 2006-II.
50. La Corte ha avuto in particolare, già l’occasione di indicare che nella valutazione dell’effettività dei rimedi concernente le affermazioni delle cattive condizioni di detenzione, la questione decisiva è di sapere se la persona interessata può ottenere delle giurisdizioni interni una correzione diretta ed appropriata, e non semplicemente una protezione indiretta dei suoi diritti garantiti con l’articolo 3 della Convenzione (vedere, entra altri, Mandić e Jović c. Slovenia, i nostri 5774/10 e 5985/10, § 107, 20 ottobre 2011. Così, un ricorso esclusivamente in risarcimento non saprebbe essere considerato come sufficiente trattandosi presumibilmente delle affermazioni di condizioni di internamento o di detenzione contrario all’articolo 3, nella misura in cui non ha un effetto “preventivo” in questo senso che non è in grado di impedire la continuazione della violazione addotta o di permettere ai detenuti di ottenere un miglioramento delle loro condizioni patrimoniali di detenzione, Cenbauer c. Croazia (déc), no73786/01, 5 febbraio 2004; Norbert Sikorski c. Polonia, no 17599/05, § 116, 22 ottobre 2009; Mandić e Jović c. Slovenia, precitata § 116; Parascineti c. Romania, no 32060/05, § 38, 13 marzo 2012.
In questo senso, affinché un sistema di protezione dei diritti dei detenuti garantiti dall’articolo 3 della Convenzione sia effettivo, i rimedi preventivi e compensatori devono coesistere in modo complementari, Ananyev ed altri c. Russia, i nostri 42525/07 e 60800/08, § 98, 10 gennaio 2012.
51. Nello specifico, la Corte deve determinare se il reclamo dinnanzi al giudice italiano dell’applicazione delle pene costituisce una via di ricorso che risponde ai criteri stabiliti da lei nella sua giurisprudenza. Innanzitutto, rileva che le parti non si accordano in quanto alla natura del rimedio in questione, il Governo che adduce la natura pienamente giurisdizionale del procedimento dinnanzi al giudice di applicazione delle pene, mentre i richiedenti stimano che, visto la sua natura semplicemente amministrativa, non si tratta di un rimedio ad esaurire. Ora, la Corte stima che questa questione non è determinante nella misura in cui ha rilevato già che, in certe circostanze, le vie di natura amministrativa possono rivelarsi efficaci-e costituire dei rimedi ad esaurire dunque-trattandosi di motivi di appello relativi all’applicazione della regolamentazione relativa al regime carcerario, Norbert Sikorski c. Polonia, precitata, § 111.
52. Ciò che è, resta a decidere la questione dell’effettività in pratica della via di ricorso indicato nello specifico col governo convenuto. A questo riguardo, la Corte constata che in dispetto dell’affermazione di questo secondo la quale le decisioni rese dai giudici di applicazione delle pene nella cornice del procedimento previsto dalla legge sull’amministrazione penitenziaria hanno forza obbligatoria per le autorità amministrative competenti, l’ordinanza del giudice di Reggio Emilia del 20 agosto 2010, favorevole al OMISSIS ed ai suoi compagni di detenzione e portando adozione di emergenza di misure adeguate, è restata molto tempo ineseguita. Risulta della pratica che il richiedente non fu trasferito in un’unità per due persone, disponendo così di un spazio compatibile con le norme europee che nel febbraio 2011. A questo riguardo, il Governo si è limitato a sostenere che gli interessati avrebbero dovuto sollecitare presso l’esecuzione veloce di suddetta ordinanza delle “autorità giudiziali interni”, senza precisare peraltro quali.
53. Agli occhi della Corte, è difficile conciliare questa ultima affermazione del Governo con l’effettività addotto del procedimento di reclamo dinnanzi al giudice di applicazione delle pene. Osserva che, a supporre anche che esiste una via di ricorso che prevede l’esecuzione delle ordinanze dei giudici di applicazione delle pene, questo che non è stato dimostrato per niente dal Governo, si saprebbe pretendere solamente un detenuto avendo ottenuto una decisione favorevole moltiplico i ricorsi per ottenere la riconoscenza dei suoi diritti fondamentali al livello dell’amministrazione penitenziaria.
54. Peraltro, la Corte ha osservato già che la disfunzione dei rimedi “preventivi” nelle situazioni di sovrappopolazione carceraria è largamente dipendente della natura strutturale del fenomeno, Ananyev ed altri c. Russia, precitata, § 111. Ora, risulta delle pratiche delle presenti richieste, così come dei rapporti sulla situazione del sistema penitenziario italiano, non rimessa in causa col Governo dinnanzi alla Corte, che le strutture penitenziarie di Busto Arsizio e di Piacenza sono sovrappopolate largamente, come un gran numero di prigioni italiane, così che la sovrappopolazione carceraria in Italia si apparentarsi ad un fenomeno strutturale e non riguardare esclusivamente il caso particolare dei richiedenti (vedere, in particolare, Mamedova c. Russia, no 7064/05, § 56, 1 giugno 2006; Norbert Sikorski c. Polonia, precitata, § 121. In queste condizioni, si può concepire facilmente che le autorità penitenziarie italiane non siano in grado di eseguire le decisioni dei giudici di applicazione delle pene e di garantire ai detenuti delle condizioni di detenzione conformi alla Convenzione.
55. Alla vista di queste circostanze, la Corte considera che non è stato dimostrato che la via di ricorso indicata dal Governo, tenuto conto in particolare della situazione reale del sistema penitenziario, è effettiva in pratica, ossia suscettibile di impedire la continuazione della violazione addotta e di garantire ai richiedenti un miglioramento delle loro condizioni patrimoniali di detenzione. Quindi, questi non erano tenuti di esaurirlo prima di investire la Corte.
56. Pertanto, la Corte stima che conviene respingere anche l’eccezione di non-esaurimento sollevata dal Governo. Constata che le richieste non sono manifestamente male fondate al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione. Rilevando peraltro che non cozzano contro nessuno altro motivo di inammissibilità, li dichiara ammissibili dunque.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
57. I richiedenti si lamentano della mancanza di spazio vitale nelle loro unità rispettive. Avendo diviso tutti delle unità di 9 m² con due altre persone, avrebbero disposto dunque solamente di un spazio personale di 3 m². Questo spazio, già insufficiente, era peraltro ancora ristretto con la presenza di mobilio nelle unità.
58. Inoltre, i richiedenti adducono l’esistenza dell’incidi problemi di distribuzione di acqua calda nelle strutture penitenziarie di Busto Arsizio e di Piacenza. Affermano che la penuria di acqua calda ha limitato molto tempo a tre volte con settimana l’accesso alla doccia. Infine, i richiedenti detenuti a Piacenza si lamentano dell’apposizione alle finestre delle unità dei pesanti fori metallici che impediscono l’aria e la luce del giorno di entrare nei locali.
59. Il Governo oppone agli argomenti dei richiedenti, sostenitrice in modo prova generale che le condizioni di detenzione denunciata dagli interessati non raggiungono in nessun caso la soglia minima di gravità richiese dall’articolo 3 della Convenzione.
60. Concernente la determinazione penitenziaria di Busto Arsizio, il Governo afferma che la situazione è sotto il controllo delle autorità, la sovrappopolazione in questa determinazione non avendo raggiunto una soglia preoccupante. Indica che alla data del 8 febbraio 2011, la determinazione che è contemplata per ospitare 297 persone, accoglieva 439 detenuti. Riconosce che un terzo letto è stato aggiunto nelle unità in ragione della situazione di sovrappopolazione nella determinazione. Però, il fatto di dividere un’unità di 9 m² con due altre persone non costituirebbe un trattamento disumano o degradante. Il Governo sostiene peraltro, solamente il problema della mancanza di acqua calda nella determinazione denunciata dai richiedenti è deciso ora grazie all’insediamento di un nuovo sistema di distribuzione idrica.
61. Per ciò che è delle condizioni di detenzione alla prigione di Piacenza, il Governo sostiene che la capacità massimale della determinazione è di 346 persone. Ora, secondo lui, accoglieva 412 persone il 11 marzo 2011. Il Governo ne conclude che la sovrappopolazione in questa determinazione, sebbene reale, non raggiunge delle proporzioni preoccupanti.
62. Secondo il Governo, le unità della prigione di Piacenza hanno una superficie di 11 m², contrariamente alle affermazioni dei richiedenti, e sono occupate generalmente da due persone. Tuttavia, ammette che un terzo detenuto è stato posto in certe unità della prigione durante i periodi limitati, nello scopo di fare fronte alla crescita della popolazione carceraria.
63. Secondo il Governo, i richiedenti non hanno né provati avere disposto di un spazio personale inferiore a 3 m², né precisato la durata del loro mantenimento nelle condizioni addotte dinnanzi alla Corte. Le loro lamentele non sarebbero supportate quindi, sufficientemente.
64. In quanto agli altri trattamenti addotti dai richiedenti, il Governo afferma che il problema della penuria di acqua calda nella prigione di Piacenza era legato ad una disfunzione della stazione di pompaggio e è stato deciso adesso dalle autorità e che, è quindi, ora possibile aderire alla doccia tutti i giorni. Infine, il Governo sostiene che i detenuti alla prigione di Piacenza passano quattro ore da giorno all’esterno delle loro unità e consacrano due ore supplementari alle attività sociali.
2. Principi stabilisti nella giurisprudenza della Corte
65. La Corte rileva che le misure privative di libertà implicano abitualmente per un detenuto certi inconvenienti. Tuttavia, ricorda che la carcerazione non fa perdere ad un detenuto l’utile dei diritti garantiti dalla Convenzione. Al contrario, in certi casi, la persona incarcerata può avere bisogno di una protezione aumentata in ragione della vulnerabilità della sua situazione e perché si trova interamente sotto la responsabilità dello stato. In questo contesto, l’articolo 3 fatto pesare sulle autorità un obbligo positivo che consiste in assicurarsi che ogni prigioniero è detenuto nelle condizioni che sono compatibili col rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongono l’interessato ad un sconforto o ad una prova di un’intensità che supera il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, avuto riguardo alle esigenze pratiche della detenzione, la salute ed il benessere del prigioniero sono garantiti in modo adeguata, Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, § 94, CEDH 2000-XI; Norbert Sikorski c. Polonia, precitata § 131.
66. Trattandosi delle condizioni di detenzione, la Corte prende in conto gli effetti cumulativi di queste così come le affermazioni specifiche del richiedente, Dougoz c. Grecia, nº 40907/98, CEDH 2001-II. In particolare, il tempo durante che un individuo è stato detenuto nelle condizioni incriminate costituisce un fattore importante a considerare, Alver c. Estonia, no 64812/01, 8 novembre 2005.
67. Quando la sovrappopolazione carceraria raggiunta un certo livello, la mancanza di spazio in una determinazione penitenziaria può costituire l’elemento centrale a prendere in conto nella valutazione della conformità di una situazione data all’articolo 3 (vedere, in questo senso, Karalevičius c. Lituania, no 53254/99, 7 aprile 2005.
68. Così, dal momento che è stata confrontata ai casi di sovrappopolazione severa, la Corte ha giudicato che questo elemento, a lui solo, basta per concludere alla violazione dell’articolo 3 della Convenzione. In linea di massima, sebbene lo spazio stimato augurabile col CPT per le unità collettive o di 4 m², si tratta di caso di figura dove lo spazio personale accordato ad un richiedente era inferiore a 3 m², Kantyrev c. Russia, no 37213/02, §§ 50-51, 21 giugno 2007; Andreï Frolov c. Russia, no 205/02, §§ 47-49, 29 marzo 2007; Kadikis c. Lettonia, no 62393/00, § 55, 4 maggio 2006; Sulejmanovic c. Italia, no 22635/03, § 43, 16 luglio 2009.
69. In compenso, nelle cause dove la sovrappopolazione non era importante al punto di sollevare a lei unica un problema sotto l’angolo dell’articolo 3, la Corte ha notato che altri aspetti delle condizioni di detenzione erano a prendere in conto nell’esame del rispetto di questa disposizione. Tra questi elementi raffigurano la possibilità di utilizzare i servizi in modo privati, l’aerazione disponibile, l’accesso alla luce ed alle aria naturalezze, la qualità del riscaldamento ed il rispetto delle esigenze sanitarie di base (vedere anche gli elementi che risultano delle regole penitenziarie europee adottate dal Comitato dei Ministri) citate al paragrafo 32 sopra. Anche, anche nelle cause dove ogni detenuto disponeva di 3 a 4 m², la Corte ha concluso alla violazione dell’articolo 3 dal momento che la mancanza di spazio corredava di una mancanza di ventilazione e di luce, Moisseiev c. Russia, no 62936/00, 9 ottobre 2008; vedere anche Vlassov c. Russia, no 78146/01, § 84, 12 giugno 2008; Babouchkine c. Russia, no 67253/01, § 44, 18 ottobre 2007,; di un accesso limitato all’aperto alla passeggiata, István Gábor Kovács c. Ungheria, no 15707/10, § 26, 17 gennaio 2012, o di una mancanza totale di intimità nelle unità (vedere, mutatis mutandis, Belevitskiy c. Russia, no 72967/01, §§ 73-79, 1 marzo 2007; Khudoyorov c. Russia, no 6847/02, §§ 106-107, ECHR 2005-X (brani); e Novoselov c. Russia, no 66460/01, §§ 32 e 40-43, 2 giugno 2005.
3. Applicazione dei suddetti principi alle presenti cause
70. La Corte osserva innanzitutto che il Governo non ha contestato che OMISSIS hanno occupato tutto lungo la loro detenzione alla prigione di Busto Arsizio delle unità di 9 m², ciascuno con due altre persone.
71. In compenso, le versioni delle parti divergono in quanto alle dimensioni delle unità occupate dai richiedenti detenuti alla prigione di Piacenza ed al numero di occupanti di queste. Ciascuno dei cinque richiesti riguardati affermo dividere delle unità di 9 m² con due altre persone, mentre il Governo sostiene che le unità in questione misurano 11 m² e sono occupate in linea di massima da due persone. La Corte nota peraltro che il Governo non ha fornito nessuno documento a proposito dei richiedenti riguardati né non ha presentato di informazione concernente le dimensioni reali delle unità occupate da questi. Secondo lui, appartiene ai richiedenti di provare la realtà delle loro affermazioni concernente lo spazio personale di cui dispongono e la durata del trattamento addotto dinnanzi alla Corte.
72. Sensibile alla vulnerabilità particolare delle persone che si trovano sotto il controllo esclusivo degli agenti dello stato, tali le persone detenute, la Corte reitera che il procedimento previsto dalla Convenzione non suscita sempre un’applicazione rigorosa del principio affirmanti incumbit probatio, la prova incombe su quello che afferma, perché, il governo convenuto è inevitabilmente, talvolta solo ad avere accesso alle informazione suscettibili di confermare o di annullare le affermazioni del richiedente, Khoudoyorov c. Russia, no 6847/02, § 113, CEDH 2005-X (brani); e Benediktov c. Russia, no 106/02, § 34, 10 maggio 2007; Brânduşe c. Romania, no 6586/03, § 48, 7 aprile 2009; Ananyev ed altri c. Russia, precitata, § 123. Segue che il semplice fatto che la versione del Governo contraddice quella fornita col richiedente non saprebbe, nella mancanza di ogni documento o spiegazione pertinente da parte del Governo, portare la Corte a respingere delle affermazioni dell’interessato come non supportate, Ogică c. Romania, no 24708/03, § 43, 27 maggio 2010.
73. Quindi, nella misura in cui il Governo non ha sottomesso alla Corte delle informazione pertinenti proprie a giustificare le sue affermazioni, la Corte esaminerà la questione delle condizioni di detenzione dei richiedenti sulla base delle affermazioni degli interessati ed alla luce dell’insieme delle informazione nel suo possesso.
74. A questo riguardo, nota che le versioni dei richiedenti detenuti a Piacenza sono unanimi in quanto alle dimensioni delle loro unità. iN più, la circostanza che la maggioranza dei locali di detenzione di suddetto determinazione misura 9 m² è confermata dalle ordinanze del giudice di applicazione delle pene di Reggio Emilia, paragrafo 11 sopra. Trattandosi del numero di persone accolte nelle unità, il Governo non ha presentato nessuno documento pertinente estratto dei registri della prigione, mentre è il solo ad avere accesso a questo genere di informazione, pure riconoscente che la situazione di sovrappopolazione alla prigione di Piacenza ha reso necessaria il collocamento di una terza persona in certe unità della determinazione.
75. Nella mancanza di ogni documento che prova il contrario e tenuto conto della situazione di sovrappopolazione generalizzata alla prigione di Piacenza, la Corte non ha nessuna ragione di dubitare delle affermazioni di OMISSIS secondo che hanno diviso le loro unità con due altre persone, disponendo così, come OMISSIS, (vedere sopra paragrafo 70), di un spazio vitale individuale di 3 m². Osserva che questo spazio era peraltro ancora ristretto con la presenza di mobilio nelle unità.
76. Alla vista di ciò che precede, la Corte considera che i richiedenti non hanno beneficiato di un spazio di vita conforme ai criteri che ha giudicato accettabile con la sua giurisprudenza. Desidera ricordare ancora una volta in questo contesto che la norma in materia di spazio abitabile nelle unità collettive raccomandate col CPT è di quattro metri quadrati, Ananyev ed altri, precitata, §§ 144 e 145.
77. La Corte osserva poi che la mancanza di spazio severo di cui i sette richiedenti hanno sofferto durante i periodi compresi tra quattordici mesi e cinquantaquattro mesi, paragrafi 6 e 7 sopra che rappresento in si un trattamento contrario alla Convenzione, sembra essere stato aggravato ancora da altri trattamenti addotti dagli interessati. La mancanza di acqua calda nelle due strutture per lunghi periodi che è stato riconosciuto dal Governo, così come l’illuminazione e la ventilazione insufficiente nelle unità della prigione di Piacenza su che il Governo non si è espresso, non hanno mancato di generare a casa i richiedenti una sofferenza supplementare, sebbene non costituendo in si un trattamento disumano e degradante.
78. Anche se la Corte ammette che nello specifico niente indica solamente sia ci stata intenzione di umiliare o di abbassare i richiedenti, la mancanza di un tale scopo non saprebbe escludere una constatazione di violazione dell’articolo 3 (vedere, tra altri, Peers c. Grecia, no 28524/95, § 74, CEDH 2001-III. La Corte stima che le condizioni di detenzione in causa, conto tenuto anche della durata di carcerazione dei richiedenti, hanno sottoposto gli interessati ad una prova di un’intensità che superava il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione.
79. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 46 DELLA CONVENZIONE
80. Ai termini dell’articolo 46 della Convenzione:
“1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie alle quali sono parti.
2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione. “
A. Argomenti delle parti
81. Il Governo non oppone all’applicazione del procedimento della sentenza pilota prevista dall’articolo 46 della Convenzione, pure facendo osservare che le autorità italiane hanno messo in opera una serie di misure importanti che prevedono la risoluzione del problema della sovrappopolazione carceraria. Esorta la Corte a prendere in considerazione gli sforzi esposti dallo stato italiano.
82. I richiedenti adducono l’esistenza in Italia di un problema strutturale e si dichiarano favorevoli all’applicazione del procedimento in questione. Solo OMISSIS, richiesta no 43517/09, ha opposto all’applicazione del procedimento della sentenza pilota, al motivo che non accetta che il suo caso riceva un trattamento simile a quello di altri richiedenti.
B. Valutazione della Corte
1. Principi generali pertinenti
83. La Corte ricorda che, come interpretato alla luce dell’articolo 1 della Convenzione, l’articolo 46 crea per lo stato convenuto l’obbligo giuridico di mettere in opera, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o individuali che si imporsi per salvaguardare il diritto del richiedente di cui la Corte ha constatato la violazione. Delle misure di questo tipo devono essere prese anche al riguardo di altre persone nella stessa situazione che l’interessato, lo stato che è supposto mettere un termine ai problemi all’origine delle constatazioni operate dalla Corte, Scozzari e Giunta c. Italia [GC], i nostri 39221/98 e 41963/98, § 249, CEDH 2000-VIII; S. e Marper c. Regno Unito [GC], i nostri 30562/04 e 30566/04, § 134, 4 dicembre 2008.
84. Per facilitare sopra un collocamento in opera effettivo di suoi seguente sentenze il principio, la Corte può adottare un procedimento di sentenza piloto permettendogli di mettere chiaramente in luce, nella sua sentenza, l’esistenza di problemi strutturali all’origine delle violazioni e di indicare le misure o prendevamo atto particolari che lo stato convenuto dovrà prendere per ovviare, Hutten-Czapska c. Polonia [GC], no 35014/97, §§ 231-239 ed il suo dispositivo, CEDH 2006-VIII, e Broniowski c. Polonia [GC], no 31443/96, §§ 189-194 ed il suo dispositivo, CEDH 2004-V. Quando adotta uguale passo, tiene però debitamente conto delle attribuzioni rispettive degli organi della Convenzione: in virtù dell’articolo 46 § 2 della Convenzione, appartiene al Comitato dei Ministri di valutare il collocamento in opera delle misure individuali o generali preso in esecuzione della sentenza della Corte (vedere, mutatis mutandis, Broniowski c. Polonia (ordinamento amichevole) [GC], no 31443/96, § 42, CEDH 2005-IX.
85. Un altro scopo che importa perseguito dal procedimento di sentenza pilota è di incitare lo stato convenuto a trovare, al livello nazionale, una soluzione alle numerose cause individuali nato dello stesso problema strutturale, dando così effetto al principio di sussidiarietà che è alla base del sistema della Convenzione, Bourdov c. Russia (no 2), no 33509/04, § 127, CEDH 2009. La Corte non si libera difatti, necessariamente per il meglio dal suo compito che consiste secondo l’articolo 19 della Convenzione in “garantire il rispetto degli impegni che risultano per le Alte Parti contraenti dal Convenzione e dei suoi Protocolli”, ripetendo gli stessi conclusioni in un gran numero di cause, ibidem.
86. Il procedimento di sentenza pilota ha per oggetto di facilitare la risoluzione il più veloce e più effettiva di una disfunzione sistemica che lede la protezione del diritto convenzionale in causa nell’ordine giuridico interno, Wolkenberg ed altri c. Polonia, déc.), no 50003/99, § 34, CEDH 2007 (brani)). Se deve tendere principalmente all’ordinamento di queste disfunzioni ed al collocamento in posto, all’occorrenza, di ricorso interni effettivi che permettono di denunciare le violazioni commesse, l’azione dello stato convenuto può comprendere anche l’adozione di soluzioni ad hoc come degli ordinamenti amichevoli coi richiedenti o delle offerte unilaterali di indennizzo, in conformità con le esigenze della Convenzione, Bourdov (no 2), precitata, § 127.
2. Applicazione nello specifico dei suddetti principi
a) Sull’esistenza di una situazione incompatibile con la Convenzione che richiama l’applicazione del procedimento della sentenza pilota nello specifico
87. La Corte ha appena constatato che la sovrappopolazione carceraria in Italia non riguarda esclusivamente i casi dei richiedenti, paragrafo 54 sopra. Rileva in particolare che il carattere strutturale e sistemico della sovrappopolazione carceraria in Italia risulta chiaramente dei dati statistici indicati più alti così come dei termini della dichiarazione dello stato di emergenza al livello nazionale proclamato dal presidente del Consiglio del ministri italiano nel 2010, paragrafi 23-29 sopra.
88. L’insieme di questo dati fatto apparire che la violazione del diritto dei richiedenti di beneficiare di condizioni di detenzione adeguata non è la conseguenza di incidenti isolati ma trai la sua origine da un problema sistemico che risulta da una disfunzione cronica propria al sistema penitenziario italiano che ha toccato e è suscettibile di toccare ancora all’avvenire di numerose persone (vedere, mutatis mutandis, Broniowski c. Polonia, precitata, § 189. Secondo la Corte, la situazione constatata nello specifico è, quindi, costitutiva di una pratica incompatibile con la Convenzione, Bottazzi c. Italia [GC], no 34884/97, § 22, CEDH 1999-V; Bourdov (no 2), precitata, § 135.
89. Peraltro, il carattere strutturale del problema identificato nelle presenti cause è confermato dal fatto che parecchie centinaia di richieste dirette contro l’Italia e sollevando un problema di compatibilità con l’articolo 3 della Convenzione delle condizioni di detenzione inadeguata legata alla sovrappopolazione carceraria in differenti prigioni italiane è pendente dinnanzi a lei attualmente. Il numero di questo tipo di richieste non smette di aumentare.
90. Conformemente ai criteri stabiliti nella sua giurisprudenza, la Corte decide di applicare il procedimento della sentenza pilota nello specifico, avuto riguardo al numero crescente di persone potenzialmente riguardate in Italia ed alle sentenze di violazione ai quali le richieste in questione potrebbero dare luogo, Maria Atanasiu ed altri c. Romania, i nostri 30767/05 e 33800/06, §§ 217-218, 12 ottobre 2010. Rileva anche il bisogno urgente di offrire alle persone riguardate una correzione adeguata al grado nazionale, Bourdov (no 2), precitata, §§ 129-130.
b) Misure a carattere generale
91. La Corte ricorda che le sue sentenze hanno un carattere essenzialmente declaratorio e che appartiene in principio allo stato convenuto di scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, i mezzi di liberarsi dal suo obbligo giuridico allo sguardo dell’articolo 46 della Convenzione, Scozzari e Giunta, precitata, § 249.
92. Osserva che lo stato italiano ha preso delle misure suscettibili di contribuire a ridurre il fenomeno della sovrappopolazione nelle strutture penitenziarie e le conseguenze di questa recentemente. Si rallegra dei passi compiuti dalle autorità nazionali e

Testo Tradotto

Conclusions : Violation de l’article 3 – Interdiction de la torture (Article 3 -Traitement dégradant – Traitement inhumain) (Volet matériel) Préjudice moral – réparation

DEUXIÈME SECTION

AFFAIRE TORREGGIANI ET AUTRES c. ITALIE

(Requêtes nos 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 et 37818/10)

ARRÊT

STRASBOURG

8 janvier 2013

Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Torreggiani et autres c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Danutė Jočienė, présidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
Işıl Karakaş,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, juges,
et de Stanley Naismith, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 4 décembre 2012,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouvent sept requêtes (nos 57875/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 et 37818/10) dirigées contre la République italienne et dont sept personnes (« les requérants ») (dont les données figurent sur la liste annexée au présent arrêt), ont saisi la Cour en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants ont été représentés par les avocats indiqués dans la liste en annexe. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agente, Mme Spatafora, et par sa coagente, Mme P. Accardo.
3. Les requérants se plaignaient en particulier des conditions dans lesquelles ils avaient été détenus respectivement dans les établissements pénitentiaires de Busto Arsizio et de Piacenza.
4. Le 2 novembre 2010 et le 5 janvier 2011, les requêtes ont été communiquées au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et sur le fond de l’affaire.
5. Le 5 juin 2012, la chambre a informé les parties qu’elle estimait opportun d’appliquer la procédure de « l’arrêt pilote », en application de l’article 46 § 1 de la Convention.
6. Tant le Gouvernement que les requérants ont déposé des observations écrites sur l’opportunité d’appliquer la procédure en question.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
7. Lors de l’introduction de leurs requêtes, les requérants purgeaient des peines de réclusion dans les établissements pénitentiaires de Busto Arsizio ou de Piacenza.
A. Les conditions de détention dénoncées par les requérants
1. Les requérants détenus à la prison de Busto Arsizio (requêtes nos 43517/09, 46882/09 et 55400/09)
8. OMISSIS (requête no 43517/09) fut détenu à la prison de Busto Arsizio du 13 novembre 2006 au 7 mars 2011, M. Bamba (requête no 46882/09) du 20 mars 2008 au 23 juin 2011 et M. Biondi (requête no 55400/09) du 29 juin 2009 au 21 juin 2011. Chacun d’entre eux occupait une cellule de 9 m² avec deux autres personnes, et disposait donc d’un espace personnel de 3 m². Dans leurs requêtes, les requérants soutenaient en outre que l’accès à la douche à la prison de Busto Arsizio était limité en raison de la pénurie d’eau chaude dans l’établissement.
2. Les requérants détenus à la prison de Piacenza (requêtes nos 57875/09, 35315/10, 37818/10 et 61535/09)
9. OMISSIS (requête no 57875/09) fut détenu à Piacenza du 14 février 2009 au 19 avril 2010, OMISSIS (requête no 35315/10) du 15 février 2008 au 8 juillet 2010 et OMISSIS (requête no 37818/10) du 19 octobre 2009 au 30 mars 2011. OMISSIS (requête no 61535/09), incarcéré le 13 septembre 2007, est toujours détenu dans cet établissement.
10. Les quatre requérants affirment avoir occupé des cellules de 9 m² avec deux autres détenus. Ils dénoncent également un manque d’eau chaude dans l’établissement, qui les aurait empêchés pendant plusieurs mois de faire usage régulièrement de la douche, et un éclairage insuffisant des cellules en raison des barreaux métalliques apposés aux fenêtres.
11. Selon le Gouvernement, les cellules occupées à Piacenza par les requérants ont une superficie de 11 m².
B. Les ordonnances du tribunal d’application des peines de Reggio Emilia
12. Le 10 avril 2010, OMISSIS (no 61535/09) et deux autres détenus à la prison de Piacenza saisirent le juge d’application des peines de Reggio Emilia, soutenant que leurs conditions de détention étaient médiocres en raison du surpeuplement dans la prison de Piacenza et dénonçant une violation du principe de l’égalité de traitement entre les détenus, garanti par l’article 3 de la loi no 354 de 1975 sur l’administration pénitentiaire.
13. Par des ordonnances des 16, 20 et 24 août 2010, le magistrat accueillit les réclamations du requérant et de ses codétenus. Il observa que les intéressés occupaient des cellules qui avaient été conçues pour un seul détenu et qui, en raison de la situation de surpeuplement dans la prison de Piacenza, accueillaient alors chacune trois personnes. Le magistrat constata que la quasi-totalité des cellules de l’établissement avaient une superficie de 9 m² et qu’au cours de l’année 2010, l’établissement avait hébergé entre 411 et 415 personnes, alors qu’il était prévu pour accueillir 178 détenus, pour une capacité maximale tolérable (capienza tollerabile) de 376 personnes.
14. Faisant référence à l’arrêt Sulejmanovic c. Italie (no 22635/03, 16 juillet 2009) et aux principes de jurisprudence concernant la compatibilité entre les conditions de détention et le respect des droits garantis par l’article 3 de la Convention, le juge d’application des peines conclut que les réclamants étaient exposés à des traitements inhumains du fait qu’ils devaient partager avec deux autres détenus des cellules exigües, et faisaient l’objet d’une discrimination par rapport aux détenus partageant le même type de cellule avec une seule personne.
15. Le magistrat transmit ainsi les réclamations du requérant et des autres détenus à la direction de la prison de Piacenza, au ministère de la Justice et à l’administration pénitentiaire compétente, afin que chacun puisse adopter d’urgence les mesures adéquates dans le cadre de ses compétences.
16. En février 2011, OMISSIS fut transféré dans une cellule conçue pour deux personnes.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
A. La loi sur l’administration pénitentiaire
17. L’article 6 de la loi no 354 du 26 juillet 1975 (« la loi sur l’administration pénitentiaire »), se lit comme suit :
« Les locaux dans lesquels se déroule la vie des détenus doivent être suffisamment spacieux et éclairés par la lumière naturelle ou artificielle de manière à permettre le travail et la lecture ; [ils doivent être] aérés, chauffés lorsque les conditions climatiques l’exigent et équipés de services sanitaires privés, décents et de type rationnel. [Ils] doivent être entretenus et nettoyés correctement. Les locaux où les prisonniers passent la nuit sont des cellules individuelles ou collectives.
Un soin particulier doit présider au choix des personnes qui sont placées dans des cellules collectives.
Les personnes en détention provisoire doivent pouvoir bénéficier d’un séjour en cellule individuelle à moins que la situation particulière de l’établissement ne le permette pas.
Chaque détenu (…) dispose du linge de lit nécessaire. »
18. Aux termes de l’article 35 de la loi no 354 de 1975, les détenus peuvent adresser des demandes ou des réclamations orales ou écrites, même sous pli scellé, au juge de l’application des peines ; au directeur de l’établissement pénitentiaire, ainsi qu’aux inspecteurs, au directeur général des instituts de détention et de prévention et au ministre de la Justice ; aux autorités judiciaires et sanitaires qui visitent l’institut ; au président du Conseil régional et au chef de l’État.
19. Selon l’article 69 de cette même loi, le juge d’application des peines est compétent pour contrôler l’organisation des instituts de prévention et de détention et pour communiquer au ministre (de la Justice) les besoins des différents services, notamment en ce qui concerne la mise en place du programme de rééducation des personnes détenues (alinéa 1). Il veille également à ce que la surveillance des prévenus soit exercée en conformité avec les lois et les règlements (alinéa 2). Par ailleurs, il a le pouvoir de prescrire des dispositions visant à éliminer d’éventuelles violations des droits des personnes condamnées et internées (alinéa 5). Le juge statue sur la réclamation par une ordonnance, contre laquelle l’intéressé peut se pourvoir en cassation.
B. Jurisprudence interne relative à la possibilité pour les détenus de solliciter l’octroi d’une réparation en cas de mauvaises conditions de détention
20. Par l’ordonnance no 17 du 9 juin 2011, le juge d’application des peines de Lecce accueillit la réclamation d’A.S., un détenu se plaignant de ses conditions de détention, inhumaines, en raison du surpeuplement régnant à la prison de Lecce. L’intéressé avait également demandé une indemnisation pour le préjudice moral subi.
Le juge constata que le requérant avait partagé avec deux autres personnes une cellule mal chauffée et dépourvue d’eau chaude, qui mesurait 11,5 m² toilettes comprises. En outre, le lit occupé par A.S. était à seulement 50 centimètres du plafond. Le requérant était obligé de passer 19 heures et demie par jour sur son lit en raison de l’absence d’activités sociales organisées à l’extérieur de la cellule.
Par son ordonnance, le juge d’application des peines estima que les conditions de détention de l’intéressé étaient contraires à la dignité humaine et qu’elles emportaient violation tant de la loi italienne sur l’administration pénitentiaire que des normes fixées par le CPT du Conseil de l’Europe et par la jurisprudence de la Cour européenne des droits de l’homme. En outre, pour la première fois en Italie, il décida que l’administration pénitentiaire devait indemniser le détenu à hauteur de 220 EUR pour le préjudice « existentiel » (danno esistenziale) découlant de la détention.
21. Le 30 septembre 2011, le ministère de la Justice se pourvut en cassation contre l’ordonnance du juge d’application des peines, soulevant notamment l’incompétence de ce juge en matière d’indemnisation des détenus. Par un arrêt du 5 juin 2012, la Cour de cassation déclara le recours de l’administration irrecevable pour tardiveté, étant donné qu’il avait été introduit au-delà du délai de 10 jours prévu par les dispositions légales pertinentes. Par conséquent, l’ordonnance du juge d’application des peines acquit l’autorité de la chose jugée.
22. Cette jurisprudence du juge d’application des peines de Lecce, reconnaissant aux détenus une indemnisation pour le préjudice existentiel découlant des conditions de détention, est restée isolée en Italie. D’autres juges d’application des peines ont en effet considéré qu’il n’entrait pas dans leurs prérogatives de condamner l’administration à dédommager les détenus pour le préjudice subi pendant la détention (voir, en ce sens, par exemple, les ordonnances des juges d’application des peines d’Udine et de Vercelli des 24 décembre 2011 et 18 avril 2012 respectivement).
III. MESURES PRISES PAR L’ETAT POUR REMÉDIER AU PROBLÈME DU SURPEUPLEMENT CARCÉRAL
23. En 2010, il y avait 67 961 personnes détenues dans les 206 prisons italiennes, pour une capacité maximale prévue de 45 000 personnes. Le taux national de surpeuplement était de 151 %.
24. Par un décret du 13 janvier 2010, le président du Conseil des ministres déclara l’état d’urgence au niveau national pour une durée d’un an en raison du surpeuplement dans les établissements pénitentiaires italiens.
25. Par l’ordonnance no 3861 du 19 mars 2010, intitulée « Dispositions urgentes de protection civile du fait du surpeuplement carcéral », le président du Conseil des ministres nomma un Commissaire délégué au ministère de la Justice chargé d’élaborer un plan d’intervention pour les prisons (« Piano carceri »).
26. Le 29 juin 2010, un Comité constitué du ministre de la Justice, du ministre des Infrastructures économiques et du chef du département de la Protection civile approuva le plan d’intervention présenté par le Commissaire délégué. Ledit plan prévoyait tout d’abord la construction de 11 nouveaux établissements pénitentiaires et de 20 annexes aux établissements déjà existants, ce qui impliquait la création de 9 150 places de détention supplémentaires et le recrutement de 2 000 nouveaux agents de police pénitentiaire. Le délai pour la fin des travaux de construction était fixé au 31 décembre 2012.
27. En outre, par la loi no 199 du 26 novembre 2010 furent adoptées des dispositions extraordinaires en matière d’exécution des peines. Ladite loi prévoit notamment que les peines de détention inférieures à douze mois, même si elles représentent des fractions de peines plus sévères restant à exécuter, peuvent être purgées au domicile de la personne condamnée ou dans un autre lieu d’accueil, public ou privé, hormis pour certaines exceptions liées à la gravité des délits.
Cette loi restera en vigueur le temps nécessaire pour la mise en œuvre du plan d’intervention pour les prisons mais en aucun cas au-delà du 31 décembre 2013.
28. L’état d’urgence au niveau national, initialement déclaré jusqu’au 31 décembre 2010, a été prorogé à deux reprises. Il est actuellement en vigueur jusqu’au 31 décembre 2012.
29. A la date du 13 avril 2012, les prisons italiennes accueillaient 66 585 détenus, soit un taux de surpeuplement de 148 %.
42 % des détenus sont en attente d’être jugés et sont placés en détention provisoire.
IV. TEXTES INTERNATIONAUX PERTINENTS
30. Les parties pertinentes des rapports généraux du Comité européen pour la prévention de la torture et des traitements inhumains et dégradants (« CPT ») se lisent ainsi :
Deuxième rapport général (CPT/Inf (92) 3) :
« 46. La question du surpeuplement relève directement du mandat du CPT. Tous les services et activités à l’intérieur d’une prison seront touchés si elle doit prendre en charge plus de prisonniers que le nombre pour lequel elle a été prévue. La qualité générale de la vie dans l’établissement s’en ressentira, et peut-être dans une mesure significative. De plus, le degré de surpeuplement d’une prison, ou dans une partie de celle-ci, peut être tel qu’il constitue, à lui seul, un traitement inhumain ou dégradant.
47. Un programme satisfaisant d’activités (travail, enseignement et sport) revêt une importance capitale pour le bien-être des prisonniers. Cela est valable pour tous les établissements, qu’ils soient d’exécution des peines ou de détention provisoire. Le CPT a relevé que les activités dans beaucoup de prisons de détention provisoire sont extrêmement limitées. L’organisation de programmes d’activités dans de tels établissements, qui connaissent une rotation assez rapide des détenus, n’est pas matière aisée. Il ne peut, à l’évidence, être question de programmes de traitement individualisé du type de ceux que l’on pourrait attendre d’un établissement d’exécution des peines. Toutefois, les prisonniers ne peuvent être simplement laissés à leur sort, à languir pendant des semaines, parfois des mois, confinés dans leur cellule, quand bien même les conditions matérielles seraient bonnes. Le CPT considère que l’objectif devrait être d’assurer que les détenus dans les établissements de détention provisoire soient en mesure de passer une partie raisonnable de la journée (8 heures ou plus) hors de leur cellule, occupés à des activités motivantes de nature variée. Dans les établissements pour prisonniers condamnés, évidemment, les régimes devraient être d’un niveau encore plus élevé.
48. L’exercice en plein air demande une mention spécifique. L’exigence d’après laquelle les prisonniers doivent être autorisés chaque jour à au moins une heure d’exercice en plein air, est largement admise comme une garantie fondamentale (de préférence, elle devrait faire partie intégrante d’un programme plus étendu d’activités). Le CPT souhaite souligner que tous les prisonniers sans exception (y compris ceux soumis à un isolement cellulaire à titre de sanction) devraient bénéficier quotidiennement d’un exercice en plein air. Il est également évident que les aires d’exercice extérieures devraient être raisonnablement spacieuses et, chaque fois que cela est possible, offrir un abri contre les intempéries.
49. L’accès, au moment voulu, à des toilettes convenables et le maintien de bonnes conditions d’hygiène sont des éléments essentiels d’un environnement humain.
A cet égard, le CPT doit souligner qu’il n’apprécie pas la pratique, constatée dans certains pays, de prisonniers devant satisfaire leurs besoins naturels en utilisant des seaux dans leur cellule, lesquels sont, par la suite, vidés à heures fixes. Ou bien une toilette devrait être installée dans les locaux cellulaires (de préférence dans une annexe sanitaire), ou bien des moyens devraient être mis en œuvre qui permettraient aux prisonniers de sortir de leur cellule à tout moment (y compris la nuit) pour se rendre aux toilettes, sans délai indu.
Les prisonniers devraient aussi avoir un accès régulier aux douches ou aux bains. De plus, il est souhaitable que les locaux cellulaires soient équipés de l’eau courante.
50. Le CPT souhaite ajouter qu’il est particulièrement préoccupé lorsqu’il constate dans un même établissement une combinaison de surpeuplement, de régimes pauvres en activités et d’un accès inadéquat aux toilettes ou locaux sanitaires. L’effet cumulé de telles conditions peut s’avérer extrêmement néfaste pour les prisonniers. »
Septième rapport général (CPT/Inf (97) 10)
« 13. Ainsi que le CPT l’a souligné dans son 2e Rapport Général, la question du surpeuplement relève directement du mandat du Comité (cf. CPT/Inf (92) 3, paragraphe 46).
Une prison surpeuplée signifie, pour le détenu, être à l’étroit dans des espaces resserrés et insalubres ; une absence constante d’intimité (cela même lorsqu’il s’agit de satisfaire aux besoins naturels) ; des activités hors cellule limitées à cause d’une demande qui dépasse le personnel et les infrastructures disponibles ; des services de santé surchargés ; une tension accrue et, partant, plus de violence entre détenus comme entre détenus et personnel. Cette énumération est loin d’être exhaustive.
A plus d’une reprise, le CPT a été amené à conclure que les effets néfastes du surpeuplement avaient abouti à des conditions de détention inhumaines et dégradantes. »

31. Le 30 septembre 1999, le Comité des Ministres du Conseil de l’Europe adopta la Recommandation Rec(99)22 concernant le surpeuplement des prisons et l’inflation carcérale. Ladite recommandation établit en particulier ce qui suit :
« Le Comité des Ministres, en vertu de l’article 15.b du Statut du Conseil de l’Europe,
Considérant que le surpeuplement des prisons et la croissance de la population carcérale constituent un défi majeur pour les administrations pénitentiaires et l’ensemble du système de justice pénale sous l’angle tant des droits de l’homme que de la gestion efficace des établissements pénitentiaires ;
Considérant que la gestion efficace de la population carcérale est subordonnée à certaines circonstances telles que la situation globale de la criminalité, les priorités en matière de lutte contre la criminalité, l’éventail des peines prévues par les textes législatifs, la sévérité des peines prononcées, la fréquence du recours aux sanctions et mesures appliquées dans la communauté, l’usage de la détention provisoire, l’efficience et l’efficacité des organes de la justice pénale et, en particulier, l’attitude du public vis-à-vis de la criminalité et de sa répression ; (…)
Recommande aux gouvernements des Etats membres :
– de prendre toutes les mesures appropriées, lorsqu’ils revoient leur législation et leur pratique relatives au surpeuplement des prisons et à l’inflation carcérale, en vue d’appliquer les principes énoncés dans l’Annexe à la présente Recommandation ;
Annexe à la Recommandation no R (99) 22
I. Principes de base
1. La privation de liberté devrait être considérée comme une sanction ou mesure de dernier recours et ne devrait dès lors être prévue que lorsque la gravité de l’infraction rendrait toute autre sanction ou mesure manifestement inadéquate.
2. L’extension du parc pénitentiaire devrait être plutôt une mesure exceptionnelle, puisqu’elle n’est pas, en règle générale, propre à offrir une solution durable au problème du surpeuplement. Les pays dont la capacité carcérale pourrait être globalement suffisante mais mal adaptée aux besoins locaux devraient s’efforcer d’aboutir à une répartition plus rationnelle de cette capacité.
3. Il convient de prévoir un ensemble approprié de sanctions et de mesures appliquées dans la communauté, éventuellement graduées en termes de sévérité ; il y a lieu d’inciter les procureurs et les juges à y recourir aussi largement que possible.
4. Les États membres devraient examiner l’opportunité de décriminaliser certains types de délits ou de les requalifier de façon à éviter qu’ils n’appellent des peines privatives de liberté.
5. Afin de concevoir une action cohérente contre le surpeuplement des prisons et l’inflation carcérale, une analyse détaillée des principaux facteurs contribuant à ces phénomènes devrait être menée. Une telle analyse devrait porter, notamment, sur les catégories d’infractions susceptibles d’entraîner de longues peines de prison, les priorités en matière de lutte contre la criminalité, les attitudes et préoccupations du public ainsi que les pratiques existantes en matière de prononcé des peines.
(…)
III. Mesures à mettre en œuvre avant le procès pénal
Éviter l’action pénale – Réduire le recours à la détention provisoire
10. Des mesures appropriées devraient être prises en vue de l’application intégrale des principes énoncés dans la Recommandation no (87) 18 concernant la simplification de la justice pénale, ce qui implique, en particulier, que les États membres, tout en tenant compte de leurs principes constitutionnels ou de leur tradition juridique propres, appliquent le principe de l’opportunité des poursuites (ou des mesures ayant le même objectif) et recourent aux procédures simplifiées et aux transactions en tant qu’alternatives aux poursuites dans les cas appropriés, en vue d’éviter une procédure pénale complète.
11. L’application de la détention provisoire et sa durée devraient être réduites au minimum compatible avec les intérêts de la justice. Les États membres devraient, à cet effet, s’assurer que leur législation et leur pratique sont conformes aux dispositions pertinentes de la Convention européenne des Droits de l’Homme et à la jurisprudence de ses organes de contrôle et se laisser guider par les principes énoncés dans la Recommandation no R (80) 11 concernant la détention provisoire s’agissant, en particulier, des motifs permettant d’ordonner la mise en détention provisoire.
12. Il convient de faire un usage aussi large que possible des alternatives à la détention provisoire, telles que l’obligation, pour le suspect, de résider à une adresse spécifiée, l’interdiction de quitter ou de gagner un lieu déterminé sans autorisation, la mise en liberté sous caution, ou le contrôle et le soutien d’un organisme spécifié par l’autorité judiciaire. A cet égard, il convient d’être attentif aux possibilités de contrôler au moyen de systèmes de surveillance électroniques l’obligation de demeurer dans un lieu stipulé.
13. Il s’impose, pour soutenir le recours efficace et humain à la détention provisoire, de dégager les ressources financières et humaines nécessaires et, le cas échéant, de mettre au point les moyens procéduraux et les techniques de gestion appropriés.
(…)
V. Mesures à mettre en œuvre au-delà du procès pénal
La mise en œuvre des sanctions et mesures appliquées dans la communauté – L’exécution des peines privatives de liberté
22. Pour faire des sanctions et des mesures appliquées dans la communauté des alternatives crédibles aux peines d’emprisonnement de courte durée, il convient d’assurer leur mise en œuvre efficiente, notamment :
– en mettant en place l’infrastructure requise pour l’exécution et le suivi de ces sanctions communautaires, en particulier en vue de rassurer les juges et les procureurs sur leur efficacité ;
– en mettant au point et en appliquant des techniques fiables de prévision et d’évaluation des risques ainsi que des stratégies de supervision, afin d’identifier le risque de récidive du délinquant et de garantir la protection et la sécurité du public.
23. Il conviendrait de favoriser le développement des mesures permettant de réduire la durée effective de la peine purgée, en préférant les mesures individualisées, telles la libération conditionnelle, aux mesures collectives de gestion du surpeuplement carcéral (grâces collectives, amnisties).
24. La libération conditionnelle devrait être considérée comme une des mesures les plus efficaces et les plus constructives qui, non seulement, réduit la durée de la détention mais contribue aussi de manière non négligeable à la réintégration planifiée du délinquant dans la communauté.
25. Il faudrait, pour promouvoir et étendre le recours à la libération conditionnelle, créer dans la communauté les meilleures conditions de soutien et d’aide au délinquant ainsi que de supervision de celui-ci, en particulier en vue d’amener les instances judiciaires ou administratives compétentes à considérer cette mesure comme une option valable et responsable.
26. Des programmes de traitement efficaces en cours de détention ainsi que de contrôle et de traitement au-delà de la libération devraient être conçus et mis en œuvre de façon à faciliter la réinsertion des délinquants, à réduire la récidive, à assurer la sécurité et la protection du public et à inciter les juges et procureurs à considérer les mesures visant à réduire la durée effective de la peine à purger ainsi que les sanctions et mesures appliquées dans la communauté, comme des options constructives et responsables. »
32. La deuxième partie de la Recommandation Rec(2006)2 du Comité des Ministres aux États membres sur les Règles pénitentiaires européennes (adoptée le 11 janvier 2006, lors de la 952e réunion des Délégués des Ministres) est dédiée aux conditions de détention. Dans ses passages pertinents en l’espèce, elle se lit comme suit :
« 18.1 Les locaux de détention et, en particulier, ceux qui sont destinés au logement des détenus pendant la nuit, doivent satisfaire aux exigences de respect de la dignité humaine et, dans la mesure du possible, de la vie privée, et répondre aux conditions minimales requises en matière de santé et d’hygiène, compte tenu des conditions climatiques, notamment en ce qui concerne l’espace au sol, le volume d’air, l’éclairage, le chauffage et l’aération.
18.2 Dans tous les bâtiments où des détenus sont appelés à vivre, à travailler ou à se réunir :
a. les fenêtres doivent être suffisamment grandes pour que les détenus puissent lire et travailler à la lumière naturelle dans des conditions normales, et pour permettre l’entrée d’air frais, sauf s’il existe un système de climatisation approprié ;
b. la lumière artificielle doit être conforme aux normes techniques reconnues en la matière ; et
c. un système d’alarme doit permettre aux détenus de contacter le personnel immédiatement.
18.3 Le droit interne doit définir les conditions minimales requises concernant les points répertoriés aux paragraphes 1 et 2.
18.4 Le droit interne doit prévoir des mécanismes garantissant que le respect de ces conditions minimales ne soit pas atteint à la suite du surpeuplement carcéral.
18.5 Chaque détenu doit en principe être logé pendant la nuit dans une cellule individuelle, sauf lorsqu’il est considéré comme préférable pour lui qu’il cohabite avec d’autres détenus.
18.6 Une cellule doit être partagée uniquement si elle est adaptée à un usage collectif et doit être occupée par des détenus reconnus aptes à cohabiter.
18.7 Dans la mesure du possible, les détenus doivent pouvoir choisir avant d’être contraints de partager une cellule pendant la nuit.
18.8 La décision de placer un détenu dans une prison ou une partie de prison particulière doit tenir compte de la nécessité de séparer :
a. les prévenus des détenus condamnés ;
b. les détenus de sexe masculin des détenus de sexe féminin ; et
c. les jeunes détenus adultes des détenus plus âgés.
18.9 Il peut être dérogé aux dispositions du paragraphe 8 en matière de séparation des détenus afin de permettre à ces derniers de participer ensemble à des activités organisées. Cependant les groupes visés doivent toujours être séparés la nuit, à moins que les intéressés ne consentent à cohabiter et que les autorités pénitentiaires estiment que cette mesure s’inscrit dans l’intérêt de tous les détenus concernés.
18.10 Les conditions de logement des détenus doivent satisfaire aux mesures de sécurité les moins restrictives possible et compatibles avec le risque que les intéressés s’évadent, se blessent ou blessent d’autres personnes. »
EN DROIT
I. SUR LA JONCTION DES REQUÊTES
33. Compte tenu de la similitude des requêtes quant aux doléances des requérants et au problème de fond qu’elles posent, la Cour estime nécessaire de les joindre et décide de les examiner conjointement dans un seul arrêt.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 3 DE LA CONVENTION
34. Invoquant l’article 3 de la Convention, les requérants soutiennent que leurs conditions de détention respectives dans les établissements pénitentiaires de Busto Arsizio et de Piacenza constituent des traitements inhumains et dégradants. L’article 3 de la Convention est ainsi libellé :
« Nul ne peut être soumis à la torture ni à des peines ou traitements inhumains ou dégradants. »
35. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
1. L’exception tirée du défaut de qualité de victime
36. Le Gouvernement observe que tous les requérants sauf OMISSIS ont été libérés ou transférés dans d’autres cellules après l’introduction de leurs requêtes. Il est d’avis que ces requérants ne peuvent plus se prétendre victimes de la violation de la Convention qu’ils allèguent et soutient que leurs requêtes devraient être rejetées.
37. Les requérants concernés s’y opposent.
38. La Cour rappelle qu’une décision ou une mesure favorable au requérant ne suffit en principe à lui retirer la qualité de « victime » que si les autorités nationales ont reconnu, explicitement ou en substance, puis réparé la violation de la Convention (voir, par exemple, Eckle c. Allemagne, 15 juillet 1982, § 69, série A no 51 ; Amuur c. France, 25 juin 1996, § 36, Recueil des arrêts et décisions 1996-III ; Dalban c. Roumanie [GC], no 28114/95, § 44, CEDH 1999-VI ; et Jensen c. Danemark (déc.), no 48470/99, CEDH 2001-X).
39. Les requérants se plaignent devant la Cour d’avoir été détenus dans les prisons de Busto Arsizio et de Piacenza pendant des périodes importantes dans des conditions contraires à la Convention. Or, il est vrai qu’après l’introduction de leurs requêtes respectives, les intéressés ont été soit libérés soit transférés dans d’autres établissements pénitentiaires. Cependant, on ne saurait considérer que les autorités internes aient ainsi reconnu les violations alléguées par les requérants et ensuite réparé le préjudice qu’ils auraient pu subir du fait des situations qu’ils décrivent dans leurs requêtes.
40. La Cour conclut que tous les requérants peuvent toujours se prétendre « victimes » d’une violation de leurs droits garantis par l’article 3 de la Convention.
2. L’exception de non-épuisement des voies de recours internes
41. Le Gouvernement excipe du non-épuisement des voies de recours internes. Il affirme que toute personne détenue ou internée dans les prisons italiennes peut saisir le juge d’application des peines d’une réclamation en vertu des articles 35 et 69 de la loi no 354 de 1975. Cette voie de recours serait accessible et effective et permettrait d’obtenir des décisions ayant valeur contraignante et pouvant redresser d’éventuelles violations des droits des détenus. Selon le Gouvernement, la procédure devant le juge d’application des peines constitue un remède pleinement judiciaire, à l’issue duquel l’autorité saisie peut prescrire à l’administration pénitentiaire des mesures obligatoires visant l’amélioration des conditions de détention de la personne intéressée.
42. Or, le Gouvernement observe que seul OMISSIS, requérant de l’affaire no 61535/09, s’est prévalu de cette possibilité en introduisant une réclamation devant le juge d’application des peines de Reggio Emilia et en obtenant une ordonnance favorable. D’après le Gouvernement, cela constitue la preuve de l’accessibilité et de l’effectivité de la voie de recours en question. Il s’ensuivrait que les requérants qui ne se sont pas prévalus dudit remède n’ont pas épuisé les voies de recours internes.
43. Quant à l’inexécution de la part de l’administration pénitentiaire de ladite ordonnance du juge d’application des peines de Reggio Emilia, le Gouvernement affirme que OMISSIS a omis de demander la mise en exécution de cette décision aux « autorités judiciaires internes ». Par conséquent il estime que la requête de OMISSIS doit également être déclarée irrecevable pour non-épuisement des voies de recours internes.
44. Les requérants soutiennent que le système italien n’offre aucune voie de recours permettant de remédier au surpeuplement des prisons italiennes et d’obtenir une amélioration des conditions de détention.
45. En particulier, ils allèguent l’ineffectivité de la procédure devant le juge d’application des peines. Ils observent tout d’abord que le recours en question ne constitue pas un remède judiciaire mais un recours de type administratif, les décisions du juge n’étant nullement contraignantes pour les directions des établissements pénitentiaires. Ils soutiennent par ailleurs que de nombreux détenus ont essayé d’améliorer leurs mauvaises conditions carcérales par le biais de réclamations au juge d’application des peines, sans toutefois n’obtenir aucun résultat. Par conséquent, ils s’estiment dispensés de l’obligation d’épuiser ce remède.
46. OMISSIS, quant à lui, soutient avoir épuisé les voies de recours internes en saisissant le juge d’application des peines de Reggio Emilia d’une réclamation sur le fondement des articles 35 et 69 de la loi sur l’administration pénitentiaire. Son expérience serait la preuve de l’ineffectivité de la voie de recours indiquée par le Gouvernement.
Il allègue que l’ordonnance rendue par le juge d’application des peines le 20 août 2010, reconnaissant que les conditions carcérales à la prison de Piacenza étaient inhumaines et ordonnant aux autorités administratives compétentes de mettre en place toutes les mesures nécessaires pour y remédier d’urgence, est restée lettre morte pendant plusieurs mois. Il ne voit pas quelle autre démarche il aurait pu accomplir pour obtenir une exécution rapide de l’ordonnance.
47. La Cour rappelle que la règle de l’épuisement des voies de recours internes vise à ménager aux États contractants l’occasion de prévenir ou de redresser les violations alléguées contre eux avant que ces allégations ne lui soient soumises (voir, parmi beaucoup d’autres, Remli c. France, 23 avril 1996, § 33, Recueil 1996-II, et Selmouni c. France [GC], no 25803/94, § 74, CEDH 1999-V). Cette règle se fonde sur l’hypothèse, objet de l’article 13 de la Convention – et avec lequel elle présente d’étroites affinités –, que l’ordre interne offre un recours effectif quant à la violation alléguée (Kudła c. Pologne [GC], no 30210/96, § 152, CEDH 2000-XI).
48. Cependant, l’obligation découlant de l’article 35 se limite à celle de faire un usage normal des recours vraisemblablement effectifs, suffisants et accessibles (entre autres, Vernillo c. France, 20 février 1991, § 27, série A no 198). En particulier, la Convention ne prescrit l’épuisement que des recours à la fois relatifs aux violations incriminées, disponibles et adéquats. Ils doivent exister à un degré suffisant de certitude non seulement en théorie mais aussi en pratique, sans quoi leur manquent l’effectivité et l’accessibilité voulues (Dalia c. France, 19 février 1998, § 38, Recueil 1998-I). De plus, selon les « principes de droit international généralement reconnus », certaines circonstances particulières peuvent dispenser le requérant de l’obligation d’épuiser les voies de recours internes qui s’offrent à lui. Cette règle ne s’applique pas non plus lorsqu’est prouvée l’existence d’une pratique administrative consistant en la répétition d’actes interdits par la Convention et la tolérance officielle de l’Etat, de sorte que toute procédure serait vaine ou ineffective (Aksoy c. Turquie, arrêt du 18 décembre 1996, Recueil 1996-VI, § 52).
49. Enfin, l’article 35 § 1 de la Convention prévoit une répartition de la charge de la preuve. Pour ce qui concerne le Gouvernement, lorsqu’il excipe du non-épuisement, il doit convaincre la Cour que le recours était effectif et disponible tant en théorie qu’en pratique à l’époque des faits, c’est-à-dire qu’il était accessible, était susceptible d’offrir au requérant le redressement de ses griefs et présentait des perspectives raisonnables de succès (Akdivar et autres c. Turquie, 16 septembre 1996, § 68, Recueil 1996 IV ; et Sejdovic c. Italie [GC], no 56581/00, § 46, CEDH 2006-II).
50. En particulier, la Cour a déjà eu l’occasion d’indiquer que dans l’appréciation de l’effectivité des remèdes concernant des allégations de mauvaises conditions de détention, la question décisive est de savoir si la personne intéressée peut obtenir des juridictions internes un redressement direct et approprié, et pas simplement une protection indirecte de ses droits garantis par l’article 3 de la Convention (voir, entre autres, Mandić et Jović c. Slovénie, nos 5774/10 et 5985/10, § 107, 20 octobre 2011). Ainsi, un recours exclusivement en réparation ne saurait être considéré comme suffisant s’agissant des allégations de conditions d’internement ou de détention prétendument contraires à l’article 3, dans la mesure où il n’a pas un effet « préventif » en ce sens qu’il n’est pas à même d’empêcher la continuation de la violation alléguée ou de permettre aux détenus d’obtenir une amélioration de leurs conditions matérielles de détention (Cenbauer c. Croatie (déc), no73786/01, 5 février 2004 ; Norbert Sikorski c. Pologne, no 17599/05, § 116, 22 octobre 2009 ; Mandić et Jović c. Slovénie, précité § 116 ; Parascineti c. Roumanie, no 32060/05, § 38, 13 mars 2012).
En ce sens, pour qu’un système de protection des droits des détenus garantis par l’article 3 de la Convention soit effectif, les remèdes préventifs et compensatoires doivent coexister de façon complémentaire (Ananyev et autres c. Russie, nos 42525/07 et 60800/08, § 98, 10 janvier 2012).
51. En l’espèce, la Cour doit déterminer si la réclamation devant le juge italien de l’application des peines constitue une voie de recours répondant aux critères établis par elle dans sa jurisprudence. Tout d’abord, elle relève que les parties ne s’accordent pas quant à la nature du remède en question, le Gouvernement alléguant la nature pleinement juridictionnelle de la procédure devant le juge d’application des peines, tandis que les requérants estiment que, vu sa nature simplement administrative, il ne s’agit pas d’un remède à épuiser. Or, la Cour estime que cette question n’est pas déterminante dans la mesure où elle a déjà relevé que, dans certaines circonstances, les voies de nature administrative peuvent s’avérer efficaces – et constituer donc des remèdes à épuiser – s’agissant de griefs relatifs à l’application de la réglementation relative au régime carcéral (Norbert Sikorski c. Pologne, précité, § 111).
52. Cela étant, il reste à trancher la question de l’effectivité en pratique de la voie de recours indiquée en l’espèce par le gouvernement défendeur. A cet égard, la Cour constate qu’en dépit de l’affirmation de celui-ci selon laquelle les décisions rendues par les juges d’application des peines dans le cadre de la procédure prévue par la loi sur l’administration pénitentiaire ont force obligatoire pour les autorités administratives compétentes, l’ordonnance du juge de Reggio Emilia du 20 août 2010, favorable à OMISSIS et à ses codétenus et emportant adoption d’urgence de mesures adéquates, est restée longtemps inexécutée. Il ressort du dossier que le requérant ne fut transféré dans une cellule pour deux personnes, disposant ainsi d’un espace compatible avec les normes européennes, qu’en février 2011. A cet égard, le Gouvernement s’est borné à soutenir que les intéressés auraient dû solliciter l’exécution rapide de ladite ordonnance auprès des « autorités judiciaires internes », sans par ailleurs préciser lesquelles.
53. Aux yeux de la Cour, il est difficile de concilier cette dernière affirmation du Gouvernement avec l’effectivité alléguée de la procédure de réclamation devant le juge d’application des peines. Elle observe que, à supposer même qu’il existe une voie de recours visant l’exécution des ordonnances des juges d’application des peines, ce qui n’a nullement été démontré par le Gouvernement, on ne saurait prétendre qu’un détenu ayant obtenu une décision favorable multiplie les recours afin d’obtenir la reconnaissance de ses droits fondamentaux au niveau de l’administration pénitentiaire.
54. Par ailleurs, la Cour a déjà observé que le dysfonctionnement des remèdes « préventifs » dans des situations de surpeuplement carcéral est largement dépendant de la nature structurelle du phénomène (Ananyev et autres c. Russie, précité, § 111). Or, il ressort des dossiers des présentes requêtes, ainsi que des rapports sur la situation du système pénitentiaire italien, non remise en cause par le Gouvernement devant la Cour, que les établissements pénitentiaires de Busto Arsizio et de Piacenza sont largement surpeuplés, à l’instar d’un grand nombre de prisons italiennes, si bien que le surpeuplement carcéral en Italie s’apparente à un phénomène structurel et ne concerne pas exclusivement le cas particulier des requérants (voir, notamment, Mamedova c. Russie, no 7064/05, § 56, 1er juin 2006 ; Norbert Sikorski c. Pologne, précité, § 121). Dans ces conditions, on peut facilement concevoir que les autorités pénitentiaires italiennes ne soient pas en mesure d’exécuter les décisions des juges d’application des peines et de garantir aux détenus des conditions de détention conformes à la Convention.
55. Au vu de ces circonstances, la Cour considère qu’il n’a pas été démontré que la voie de recours indiquée par le Gouvernement, compte tenu notamment de la situation actuelle du système pénitentiaire, est effective en pratique, c’est-à-dire susceptible d’empêcher la continuation de la violation alléguée et d’assurer aux requérants une amélioration de leurs conditions matérielles de détention. Dès lors, ceux-ci n’étaient pas tenus de l’épuiser avant de saisir la Cour.
56. Partant, la Cour estime qu’il convient de rejeter également l’exception de non-épuisement soulevée par le Gouvernement. Elle constate que les requêtes ne sont pas manifestement mal fondées au sens de l’article 35 § 3 a) de la Convention. Relevant par ailleurs qu’elles ne se heurtent à aucun autre motif d’irrecevabilité, elle les déclare donc recevables.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
57. Les requérants se plaignent du manque d’espace vital dans leurs cellules respectives. Ayant tous partagé des cellules de 9 m² avec deux autres personnes, ils n’auraient donc disposé que d’un espace personnel de 3 m². Cet espace, déjà insuffisant, était par ailleurs encore restreint par la présence de mobilier dans les cellules.
58. En outre, les requérants allèguent l’existence de graves problèmes de distribution d’eau chaude dans les établissements pénitentiaires de Busto Arsizio et de Piacenza. Ils affirment que la pénurie d’eau chaude a longtemps limité à trois fois par semaine l’accès à la douche. Enfin, les requérants détenus à Piacenza se plaignent de l’apposition aux fenêtres des cellules de lourds barreaux métalliques empêchant l’air et la lumière du jour d’entrer dans les locaux.
59. Le Gouvernement s’oppose aux arguments des requérants, soutenant de manière générale que les conditions de détention dénoncées par les intéressés n’atteignent en aucun cas le seuil minimum de gravité requis par l’article 3 de la Convention.
60. Concernant l’établissement pénitentiaire de Busto Arsizio, le Gouvernement affirme que la situation est sous le contrôle des autorités, le surpeuplement dans cet établissement n’ayant pas atteint un seuil préoccupant. Il indique qu’à la date du 8 février 2011, l’établissement, qui est prévu pour héberger 297 personnes, accueillait 439 détenus. Il reconnaît qu’un troisième lit a été ajouté dans les cellules en raison de la situation de surpeuplement dans l’établissement. Cependant, le fait de partager une cellule de 9 m² avec deux autres personnes ne constituerait pas un traitement inhumain ou dégradant. Par ailleurs, le Gouvernement ne soutient que le problème du manque d’eau chaude dans l’établissement dénoncé par les requérants est à présent résolu grâce à l’installation d’un nouveau système de distribution hydrique.
61. Pour ce qui est des conditions de détention à la prison de Piacenza, le Gouvernement soutient que la capacité maximale de l’établissement est de 346 personnes. Or, selon lui, il accueillait 412 personnes le 11 mars 2011. Le Gouvernement en conclut que le surpeuplement dans cet établissement, bien que réel, n’atteint pas des proportions préoccupantes.
62. D’après le Gouvernement, les cellules de la prison de Piacenza ont une superficie de 11 m², contrairement aux affirmations des requérants, et sont généralement occupées par deux personnes. Néanmoins, il admet qu’un troisième détenu a été placé dans certaines cellules de la prison pendant des périodes limitées, dans le but de faire face à la croissance de la population carcérale.
63. Selon le Gouvernement, les requérants n’ont ni prouvé avoir disposé d’un espace personnel inférieur à 3 m², ni précisé la durée de leur maintien dans les conditions alléguées devant la Cour. Dès lors, leurs doléances ne seraient pas suffisamment étayées.
64. Quant aux autres traitements allégués par les requérants, le Gouvernement affirme que le problème de la pénurie d’eau chaude dans la prison de Piacenza était lié à un dysfonctionnement de la station de pompage et a maintenant été résolu par les autorités et que, dès lors, il est possible à présent d’accéder à la douche tous les jours. Enfin, le Gouvernement soutient que les détenus à la prison de Piacenza passent quatre heures par jour à l’extérieur de leurs cellules et consacrent deux heures supplémentaires aux activités sociales.
2. Principes établis dans la jurisprudence de la Cour
65. La Cour relève que les mesures privatives de liberté impliquent habituellement pour un détenu certains inconvénients. Toutefois, elle rappelle que l’incarcération ne fait pas perdre à un détenu le bénéfice des droits garantis par la Convention. Au contraire, dans certains cas, la personne incarcérée peut avoir besoin d’une protection accrue en raison de la vulnérabilité de sa situation et parce qu’elle se trouve entièrement sous la responsabilité de l’État. Dans ce contexte, l’article 3 fait peser sur les autorités une obligation positive qui consiste à s’assurer que tout prisonnier est détenu dans des conditions qui sont compatibles avec le respect de la dignité humaine, que les modalités d’exécution de la mesure ne soumettent pas l’intéressé à une détresse ou à une épreuve d’une intensité qui excède le niveau inévitable de souffrance inhérent à la détention et que, eu égard aux exigences pratiques de l’emprisonnement, la santé et le bien-être du prisonnier sont assurés de manière adéquate (Kudła c. Pologne [GC], no 30210/96, § 94, CEDH 2000-XI ; Norbert Sikorski c. Pologne, précité § 131).
66. S’agissant des conditions de détention, la Cour prend en compte les effets cumulatifs de celles-ci ainsi que les allégations spécifiques du requérant (Dougoz c. Grèce, nº 40907/98, CEDH 2001-II). En particulier, le temps pendant lequel un individu a été détenu dans les conditions incriminées constitue un facteur important à considérer (Alver c. Estonie, no 64812/01, 8 novembre 2005).
67. Lorsque la surpopulation carcérale atteint un certain niveau, le manque d’espace dans un établissement pénitentiaire peut constituer l’élément central à prendre en compte dans l’appréciation de la conformité d’une situation donnée à l’article 3 (voir, en ce sens, Karalevičius c. Lituanie, no 53254/99, 7 avril 2005).
68. Ainsi, dès lors qu’elle a été confrontée à des cas de surpopulation sévère, la Cour a jugé que cet élément, à lui seul, suffit pour conclure à la violation de l’article 3 de la Convention. En règle générale, bien que l’espace estimé souhaitable par le CPT pour les cellules collectives soit de 4 m², il s’agit de cas de figure où l’espace personnel accordé à un requérant était inférieur à 3 m² (Kantyrev c. Russie, no 37213/02, §§ 50-51, 21 juin 2007 ; Andreï Frolov c. Russie, no 205/02, §§ 47-49, 29 mars 2007 ; Kadikis c. Lettonie, no 62393/00, § 55, 4 mai 2006 ; Sulejmanovic c. Italie, no 22635/03, § 43, 16 juillet 2009).
69. En revanche, dans des affaires où la surpopulation n’était pas importante au point de soulever à elle seule un problème sous l’angle de l’article 3, la Cour a noté que d’autres aspects des conditions de détention étaient à prendre en compte dans l’examen du respect de cette disposition. Parmi ces éléments figurent la possibilité d’utiliser les toilettes de manière privée, l’aération disponible, l’accès à la lumière et à l’air naturels, la qualité du chauffage et le respect des exigences sanitaires de base (voir également les éléments ressortant des règles pénitentiaires européennes adoptées par le Comité des Ministres, citées au paragraphe 32 ci-dessus). Aussi, même dans des affaires où chaque détenu disposait de 3 à 4 m², la Cour a conclu à la violation de l’article 3 dès lors que le manque d’espace s’accompagnait d’un manque de ventilation et de lumière (Moisseiev c. Russie, no 62936/00, 9 octobre 2008 ; voir également Vlassov c. Russie, no 78146/01, § 84, 12 juin 2008 ; Babouchkine c. Russie, no 67253/01, § 44, 18 octobre 2007) ; d’un accès limité à la promenade en plein air (István Gábor Kovács c. Hongrie, no 15707/10, § 26, 17 janvier 2012) ou d’un manque total d’intimité dans les cellules (voir, mutatis mutandis, Belevitskiy c. Russie, no 72967/01, §§ 73-79, 1er mars 2007 ; Khudoyorov c. Russie, no 6847/02, §§ 106-107, ECHR 2005-X (extraits) ; et Novoselov c. Russie, no 66460/01, §§ 32 et 40-43, 2 juin 2005).
3. Application des principes susmentionnés aux présentes affaires
70. La Cour observe tout d’abord que le Gouvernement n’a pas contesté que OMISSIS ont occupé tout au long de leur détention à la prison de Busto Arsizio des cellules de 9 m², chacun avec deux autres personnes.
71. En revanche, les versions des parties divergent quant aux dimensions des cellules occupées par les requérants détenus à la prison de Piacenza et au nombre d’occupants de celles-ci. Chacun des cinq requérants concernés affirme partager des cellules de 9 m² avec deux autres personnes, tandis que le Gouvernement soutient que les cellules en question mesurent 11 m² et sont en règle générale occupées par deux personnes. La Cour note par ailleurs que le Gouvernement n’a fourni aucun document au sujet des requérants concernés ni n’a présenté d’informations concernant les dimensions réelles des cellules occupés par ceux-ci. Selon lui, il appartient aux requérants de prouver la réalité de leurs affirmations concernant l’espace personnel dont ils disposent et la durée du traitement allégué devant la Cour.
72. Sensible à la vulnérabilité particulière des personnes se trouvant sous le contrôle exclusif des agents de l’État, telles les personnes détenues, la Cour réitère que la procédure prévue par la Convention ne se prête pas toujours à une application rigoureuse du principe affirmanti incumbit probatio (la preuve incombe à celui qui affirme) car, inévitablement, le gouvernement défendeur est parfois seul à avoir accès aux informations susceptibles de confirmer ou d’infirmer les affirmations du requérant (Khoudoyorov c. Russie, no 6847/02, § 113, CEDH 2005-X (extraits) ; et Benediktov c. Russie, no 106/02, § 34, 10 mai 2007 ; Brânduşe c. Roumanie, no 6586/03, § 48, 7 avril 2009 ; Ananyev et autres c. Russie, précité, § 123). Il s’ensuit que le simple fait que la version du Gouvernement contredit celle fournie par le requérant ne saurait, en l’absence de tout document ou explication pertinents de la part du Gouvernement, amener la Cour à rejeter des allégations de l’intéressé comme non étayées (Ogică c. Roumanie, no 24708/03, § 43, 27 mai 2010).
73. Dès lors, dans la mesure où le Gouvernement n’a pas soumis à la Cour des informations pertinentes propres à justifier ses affirmations, la Cour examinera la question des conditions de détention des requérants sur la base des allégations des intéressés et à la lumière de l’ensemble des informations en sa possession.
74. A cet égard, elle note que les versions des requérants détenus à Piacenza sont unanimes quant aux dimensions de leurs cellules. De plus, la circonstance que la majorité des locaux de détention dudit établissement mesurent 9 m² est confirmée par les ordonnances du juge d’application des peines de Reggio Emilia (paragraphe 11 ci-dessus). S’agissant du nombre de personnes accueillies dans les cellules, le Gouvernement n’a présenté aucun document pertinent extrait des registres de la prison, alors qu’il est le seul à avoir accès à ce genre d’informations, tout en reconnaissant que la situation de surpeuplement à la prison de Piacenza a rendu nécessaire le placement d’une troisième personne dans certaines cellules de l’établissement.
75. En l’absence de tout document prouvant le contraire et compte tenu de la situation de surpeuplement généralisé à la prison de Piacenza, la Cour n’a aucune raison de douter des allégations de OMISSIS selon lesquelles ils ont partagé leurs cellules avec deux autres personnes, disposant ainsi, à l’instar de OMISSIS (voir paragraphe 70 ci-dessus), d’un espace vital individuel de 3 m². Elle observe que cet espace était par ailleurs encore restreint par la présence de mobilier dans les cellules.
76. Au vu de ce qui précède, la Cour considère que les requérants n’ont pas bénéficié d’un espace de vie conforme aux critères qu’elle a jugés acceptables par sa jurisprudence. Elle souhaite rappeler encore une fois dans ce contexte que la norme en matière d’espace habitable dans les cellules collectives recommandée par le CPT est de quatre mètres carrés (Ananyev et autres, précité, §§ 144 et 145).
77. La Cour observe ensuite que le manque d’espace sévère dont les sept requérants ont souffert pendant des périodes comprises entre quatorze mois et cinquante-quatre mois (paragraphes 6 et 7 ci-dessus), qui représente en soi un traitement contraire à la Convention, semble avoir été encore aggravé par d’autres traitements allégués par les intéressés. Le manque d’eau chaude dans les deux établissements pendant de longues périodes, qui a été reconnu par le Gouvernement, ainsi que l’éclairage et la ventilation insuffisants dans les cellules de la prison de Piacenza, sur lesquels le Gouvernement ne s’est pas exprimé, n’ont pas manqué d’engendrer chez les requérants une souffrance supplémentaire, bien que ne constituant pas en soi un traitement inhumain et dégradant.
78. Même si la Cour admet qu’en l’espèce rien n’indique qu’il y ait eu intention d’humilier ou de rabaisser les requérants, l’absence d’un tel but ne saurait exclure un constat de violation de l’article 3 (voir, parmi d’autres, Peers c. Grèce, no 28524/95, § 74, CEDH 2001 III). La Cour estime que les conditions de détention en cause, compte tenu également de la durée d’incarcération des requérants, ont soumis les intéressés à une épreuve d’une intensité qui excédait le niveau inévitable de souffrance inhérent à la détention.
79. Partant, il y a eu violation de l’article 3 de la Convention.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 46 DE LA CONVENTION
80. Aux termes de l’article 46 de la Convention :
« 1. Les Hautes Parties contractantes s’engagent à se conformer aux arrêts définitifs de la Cour dans les litiges auxquels elles sont parties.
2. L’arrêt définitif de la Cour est transmis au Comité des Ministres qui en surveille l’exécution. »
A. Arguments des parties
81. Le Gouvernement ne s’oppose pas à l’application de la procédure de l’arrêt pilote prévue par l’article 46 de la Convention, tout en faisant observer que les autorités italiennes ont mis en place une série de mesures importantes visant la résolution du problème du surpeuplement carcéral. Il exhorte la Cour à prendre en considération les efforts déployés par l’État italien.
82. Les requérants allèguent l’existence en Italie d’un problème structurel et se déclarent favorables à l’application de la procédure en question. Seul OMISSIS (requête no 43517/09) s’est opposé à l’application de la procédure de l’arrêt pilote, au motif qu’il n’accepte pas que son cas reçoive un traitement similaire à celui d’autres requérants.
B. Appréciation de la Cour
1. Principes généraux pertinents
83. La Cour rappelle que, tel qu’interprété à la lumière de l’article 1 de la Convention, l’article 46 crée pour l’État défendeur l’obligation juridique de mettre en œuvre, sous le contrôle du Comité des Ministres, les mesures générales et/ou individuelles qui s’imposent pour sauvegarder le droit du requérant dont la Cour a constaté la violation. Des mesures de ce type doivent aussi être prises à l’égard d’autres personnes dans la même situation que l’intéressé, l’État étant censé mettre un terme aux problèmes à l’origine des constats opérés par la Cour (Scozzari et Giunta c. Italie [GC], nos 39221/98 et 41963/98, § 249, CEDH 2000 VIII ; S. et Marper c. Royaume-Uni [GC], nos 30562/04 et 30566/04, § 134, 4 décembre 2008).
84. Afin de faciliter une mise en œuvre effective de ses arrêts suivant le principe ci-dessus, la Cour peut adopter une procédure d’arrêt pilote lui permettant de mettre clairement en lumière, dans son arrêt, l’existence de problèmes structurels à l’origine des violations et d’indiquer les mesures ou actions particulières que l’État défendeur devra prendre pour y remédier (Hutten-Czapska c. Pologne [GC], no 35014/97, §§ 231-239 et son dispositif, CEDH 2006 VIII, et Broniowski c. Pologne [GC], no 31443/96, §§ 189-194 et son dispositif, CEDH 2004 V). Lorsqu’elle adopte pareille démarche, elle tient cependant dûment compte des attributions respectives des organes de la Convention : en vertu de l’article 46 § 2 de la Convention, il appartient au Comité des Ministres d’évaluer la mise en œuvre des mesures individuelles ou générales prises en exécution de l’arrêt de la Cour (voir, mutatis mutandis, Broniowski c. Pologne (règlement amiable) [GC], no 31443/96, § 42, CEDH 2005 IX).
85. Un autre but important poursuivi par la procédure d’arrêt pilote est d’inciter l’État défendeur à trouver, au niveau national, une solution aux nombreuses affaires individuelles nées du même problème structurel, donnant ainsi effet au principe de subsidiarité qui est à la base du système de la Convention (Bourdov c. Russie (no 2), no 33509/04, § 127, CEDH 2009). En effet, la Cour ne s’acquitte pas forcément au mieux de sa tâche, qui consiste selon l’article 19 de la Convention à « assurer le respect des engagements résultant pour les Hautes Parties contractantes de la (…) Convention et de ses Protocoles », en répétant les mêmes conclusions dans un grand nombre d’affaires (ibidem).
86. La procédure d’arrêt pilote a pour objet de faciliter la résolution la plus rapide et la plus effective d’un dysfonctionnement systémique affectant la protection du droit conventionnel en cause dans l’ordre juridique interne (Wolkenberg et autres c. Pologne (déc.), no 50003/99, § 34, CEDH 2007 (extraits)). Si elle doit tendre principalement au règlement de ces dysfonctionnements et à la mise en place, le cas échéant, de recours internes effectifs permettant de dénoncer les violations commises, l’action de l’État défendeur peut aussi comprendre l’adoption de solutions ad hoc telles que des règlements amiables avec les requérants ou des offres unilatérales d’indemnisation, en conformité avec les exigences de la Convention (Bourdov (no 2), précité, § 127).
2. Application en l’espèce des principes susmentionnés
a) Sur l’existence d’une situation incompatible avec la Convention appelant l’application de la procédure de l’arrêt pilote en l’espèce
87. La Cour vient de constater que la surpopulation carcérale en Italie ne concerne pas exclusivement les cas des requérants (paragraphe 54 ci-dessus). Elle relève notamment que le caractère structurel et systémique du surpeuplement carcéral en Italie ressort clairement des données statistiques indiquées plus haut ainsi que des termes de la déclaration de l’état d’urgence au niveau national proclamée par le président du Conseil des ministres italien en 2010 (paragraphes 23-29 ci-dessus).
88. L’ensemble de ces données fait apparaître que la violation du droit des requérants de bénéficier de condition

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