Conclusione Violazione dell’art. 6-1
SECONDA SEZIONE
CAUSA TIZIANO BIANCHI C. ITALIA
( Richiesta no 18477/03)
SENTENZA
STRASBURGO
2 novembre 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Tiziano Bianchi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una Camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Danutė Jočienė, Dragoljub Popoviæ, András Sajó, Nona Tsotsoria, Kristina Pardalos, Guido Raimondi, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 12 ottobre 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 18477/03) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. T. B. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 19 maggio 2003 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da R. V., avvocato a Bergamo. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo vecchio agente, il Sig. R. Adam, e dal suo agente reale, la Sig.ra E. Spatafora, e dalsuo coagente, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 3 luglio 2008, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permetteva il vecchio articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero stato esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1958 e risiede a Bergamo. Ha presentato la sua richiesta in qualità di titolare dell’impresa individuale S.
A. Il procedimento principale
5. Il 23 marzo 1995, il richiedente citò il Sig. A.P. dinnanzi al giudice di istanza di Bergamo (RG no 1170/95) per ottenere la somma di 4 000 000 lire italiane (ITL) [2 066 euro (EUR)].
6. In seguito a sei udienze fissate tra il 12 aprile 1995 e il 17 gennaio 1996 di cui due rinviate per uno sciopero degli avvocati, con un giudizio depositato il 29 gennaio 1996, il giudice fece in parte diritto all’istanza dal richiedente.
7. Il 12 marzo 1997, questo ultimo interpose appello dinnanzi al tribunale di Bergamo (RG no 843/97).
8. In seguito a sei udienze fissate tra iò 3 giugno 1997 e il 27 settembre 2001 di cui due rinviate d’ufficio, con un giudizio depositato il 29 novembre 2001, il tribunale respinse l’appello.
B. La prima richiesta dinnanzi alla Corte
9. Il 6 aprile 2001, il richiedente aveva investito nel frattempo, la Corte (richiesta no PP13051) per lamentarsi della durata del procedimento principale.
10. Il richiedente non avendo fornito delle informazioni sulla sua richiesta per più di un anno, la pratica fu distrutta il 29 ottobre 2002. Il richiedente ne fu informato il 16 giugno 2003.
C. Il procedimento “Pinto”
11. Il 6 settembre 2001, il richiedente investì la corte di appello di Venezia ai sensi della legge “Pinto” chiedendo risarcimento dei danni subiti a causa della durata del procedimento principale.
12. Con una decisione dell’ 8 novembre 2001, depositata il 26 novembre 2001, la corte di appello considerò il procedimento fino alla data di introduzione della domanda e stimò che i ritardi superavano di molto poco una durata ragionevole. Tenuto conto della posta della controversia e del comportamento del richiedente, la corte respinse la sua domanda e lo condannò al pagamento di 2 200 000 ITL [1 136 EUR] a titolo di oneri e spese.
13. Il 13 maggio 2002, il richiedente investì la Corte di cassazione che, con una sentenza del 12 novembre 2002, depositata il 13 febbraio 2003, gli respinse, al motivo che la valutazione fatta dalla corte di appello dell’importanza dei ritardi e della posta della controversia non potrebbe essere oggetto di un ricorso in cassazione.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
14. Il diritto e la pratica interna pertinenti figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006-V).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
15. Il richiedente si lamenta della durata del procedimento principale e di non avere ricevuto nessun indennizzo nella cornice del ricorso “Pinto.” Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
16. Il Governo si oppone a questa tesi, eccependo della tardività della richiesta, per il fatto che il richiedente, dopo avere investito la Corte il 19 maggio 2003, ha depositato il suo formulario di richiesta il 10 febbraio 2004.
17. Il richiedente considera che la sua richiesta non è tardiva perché ha mandato il 19 maggio 2003 una lettera che esponeva i fatti ed i motivi di appello della richiesta di cui la cancelleria della Corte ha accusato ricevuta con lettera del 16 giugno 2003. L’invio del formulario di ricorso si è rivelato inoltre, solamente necessario in ragione della distruzione della pratica della richiesta no PP13051.
18. La Corte ricorda la pratica consolidata degli organi della Convenzione che vuole che la data di introduzione di una richiesta sia quella della prima lettera con la quale il richiedente formula il motivo di appello che intende sollevare (Gelsomino c. Italia, (dec.), no 2005/03, 23 maggio 2006; Nee c. Irlanda, (dec.), no 52787/99, 30 gennaio 2003, ed Ataman c. Turchia, (dec.), no 46252/99, 11 settembre 2001). Rileva che, nella sua prima lettera del 19 maggio 2003 e nei suoi allegati, il richiedente esponeva sommariamente i fatti e i motivi di appello della causa. Peraltro, il formulario depositato il 10 febbraio 2004 esponeva sommariamente solamente i fatti e i motivi di appello esposti in suddetta lettera. Le circostanze descritte non sono, agli occhi della Corte, di natura tale da rimettere in causa la data di introduzione della richiesta. Di conseguenza, l’eccezione di tardività sollevata dal Governo deve essere respinta.
19. La Corte, dopo avere esaminato l’insieme dei fatti della causa e gli argomenti delle parti, considera che il richiedente non ha ricevuto nessuna correzione nella cornice del ricorso “Pinto” (vedere Delle Cave e Corrado c. Italia, no 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007; Cocchiarella c. Italia, precitata, §§ 69-98). Pertanto, può sempre definirsi “vittima”, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
20. La Corte constata, inoltre, che il motivo di appello formulato dal richiedente non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
21. In quanto al merito della causa, il Governo stima che, tenuto conto dei ritardi imputabili al richiedente e della posta della controversia, il “termine ragionevole” non è stato superato nello specifico.
22. La Corte constata che il procedimento principale era durato, in data presa in conto dalla giurisdizione “Pinto”, sei anni e cinque mesi per due gradi di giurisdizione e che si è prolungato poi di quasi tre mesi. Stima che, contrariamente all’opinione del Governo, tale durata non potrebbe passare per ragionevole, anche tenendo conto dei ritardi imputabili al richiedente e della posta della controversia.
23. La Corte ha trattato a più riprese di cause che sollevavano delle questioni simili a quella del caso di specie e ha constatato un’incomprensione dell’esigenza del “termine ragionevole”, tenuto conto dei criteri emanati in materia dalla sua giurisprudenza ben consolidata (vedere, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, precitata). Non vedendo niente che possa condurre ad una conclusione differente, la Corte stima che c’è luogo, nello specifico, di constatare anche una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, per lo stesso motivo.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
24. Sul terreno dell’articolo 13 della Convenzione, il richiedente si lamenta della non effettività del rimedio “Pinto” in ragione della conclusione del procedimento e per il fatto che è stato condannato al pagamento delle spese del procedimento.
25. Alla luce della giurisprudenza Delle Cave e Corrado c. Italia (precitata, §§ 43-46) la Corte stima che vi è luogo di dichiarare questo motivo di appello inammissibile per difetto manifesto di fondamento ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
26. Con le lettere del 20 ottobre e del 10 dicembre 2004, il richiedente adduce la violazione degli articoli 17 e 34 della Convenzione per il fatto che la “legge Pinto” chiede di provare i danni morali subiti come conseguenza della durata di un procedimento. Si lamenta infine degli oneri del procedimento “Pinto.”
27. La Corte rileva che la sentenza della Corte di cassazione resa ai sensi della legge “Pinto” è stata depositata il 13 febbraio 2003. Il motivo di appello del richiedente essendo stato introdotto il 20 ottobre 2004 al più presto, la Corte stima che vi è luogo di dichiararlo inammissibile per tardività, ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione. Peraltro, la Corte stima che questo motivo di appello, strettamente legato a quello relativo all’effettività del rimedio “Pinto”, sarebbe stato comunque manifestamente privo di fondamento, avuto riguardo alla conclusione che figura sopra al paragrafo 25 (vedere, mutatis mutandis, Fascini c. Italia, no 56300/00, § 45, 5 luglio 2007).
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
28. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
29. Senza valutare le sue pretese, il richiedente si rimette alla saggezza della Corte per il risarcimento del danno morale che avrebbe subito.
30. Il Governo stima che la Corte non dovrebbe concedere niente, non avendo valutato il richiedente le sue pretese.
31. La Corte stima che avrebbe potuto accordare al richiedente, in mancanza di vie di ricorso interne, la somma di 3 500 EUR tenuto conto della posta della controversia e dei ritardi imputabili al richiedente. Il fatto che la giurisdizione “Pinto” non gli abbia accordato niente arriva secondo la Corte ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che, malgrado questo ricorso interno, sia giunta ad una constatazione di violazione, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (precitata, §§ 139-142 e 146, e deliberando in equità, assegna al richiedente 1 580 EUR).
B. Oneri e spese
32. Il richiedente chiede anche 3 800 EUR per gli oneri e le spese impegnate dinnanzi alla Corte.
33. Il Governo contesta queste pretese.
34. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, il sussidio degli oneri e delle spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Can ed altri c. Turchia, no 29189/02, § 22, 24 gennaio 2008). La Corte constata nello specifico la mancanza di giustificativa e decide pertanto di non accordare niente.
C. Interessi moratori
35. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dalla durata eccessiva del procedimento, articolo 6 § 1 della Convenzione, ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 1 580 EUR (mille cinque cento ottanta euro) per danno morale più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 2 novembre 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Francesca Tulkens
Cancelliere Presidentessa