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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE TEODOR ET CONSTANTINESCU c. ROUMANIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 35676/07/2010
Stato: Romania
Data: 2010-03-02 00:00:00
Organo: Sezione Terza
Testo Originale

TERZA SEZIONE
CAUSA TEODOR E CONSTANTINESCU C. ROMANIA
( Richiesta no 35676/07)
SENTENZA
STRASBURGO
2 marzo 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Teodor e Constantinescu c. Romania,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente, Elisabet Fura, Corneliu Bîrsan, Alvina Gyulumyan, Egbert Myjer, Ineta Ziemele, Ann Power, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 9 febbraio 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 35676/07) diretta contro la Romania e in cui due cittadini di questo Stato, il Sig. P. T. e la Sig.ra C.-N. C. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 23 gennaio 2004 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”). In seguito al decesso del richiedente il 25 luglio 2007, con lettera del 28 agosto 2007, la seconda richiedente (“la richiedente”) ha espresso il desiderio di continuare l’istanza anche a nome di suo marito di cui è l’unica erede, come testimonia un certificato del 14 dicembre 2007.
2. Il governo rumeno (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, il Sig. Răzvan-Horatiu Radu, del ministero delle Cause estere.
3. Il 10 settembre 2008, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. La richiedente è nato nel 1948 e risiede a Bucarest. Il richiedente era nato nel 1924.
5. I fatti della causa, come sono stati esposti dalle parti, si possono riepilogare come segue.
6. Sulla base di un ordine di ripartizione rilasciato nel 1985 dall’arcivescovado di Bucarest, la chiesa St Ilie Hanul Coltei concluse nel 1974 coi richiedenti, in virtù della legge no 5/1973 sulla gestione degli alloggi ed i rapporti tra proprietari ed inquilini, un contratto di affitto, proseguito fino al 1989, riguardante un appartamento ubicato a Bucarest, al no 18 di via Doamnei.
7. Con un giudizio dell’ 11 giugno 1999, il tribunale di prima istanza di Bucarest ordinò al consiglio comunale di Bucarest (CMB) ed alla società incaricata di amministrare il fondo immobiliare di CMB (DAFI) che si rimise alla saggezza del tribunale per emettere un ordine di ripartizione del suddetto appartamento a favore dei richiedenti e di concludere con questi ultimi un contratto di affitto. Risulta dalle informazioni fornite dal Governo che il tribunale si è basato, tra l’altro, su due lettere fornite dalle direzioni di urbanistica, di patrimonio e di catasto di Bucarest sulla base dei documenti, persi da quel momento in poi, che indicavano che l’appartamento controverso figurava nel patrimonio dello stato negli anni 1980.
8. In un procedimento distinto, con un giudizio del 3 febbraio 2000, il tribunale di prima istanza di Bucarest ordinò al CMB che si era rimesso alla saggezza del tribunale, di concludere coi richiedenti un contratto di vendita riguardante l’appartamento precitato.
9. A difetto di ricorso, i suddetti giudizi diventarono definitivi e furono rivestiti poi della formula esecutiva dai richiedenti. Gli interessati chiesero a più riprese alle autorità locali, ivi compreso tramite un ufficiale giudiziario di giustizia, l’esecuzione dei giudizi definitivi in causa, ma senza successo.
10. Un progetto di decisione da adottare da parte del CMB per trasferire nella sua amministrazione l’immobile controverso non fu avvisato nel 2000 dal dipartimento giuridico del municipio, al motivo che non c’erano documenti per provare il diritto di proprietà dello stato, non essendo sufficienti i giudizi definitivi precitati a questo riguardo. Nel marzo 2001, il dipartimento giuridico del municipio di Bucarest indicò di avere invitato, senza risultato, la direzione incaricata dell’amministrazione del patrimonio del municipio (DGAFI), a verificare se il bene controverso “era abbandonato” e, in caso affermativo, a fare dei passi affinché rientrasse nel patrimonio dello stato, secondo le disposizioni pertinenti del codice civile.
11. Con un giudizio definitivo del 14 novembre 2001, il tribunale dipartimentale di Bucarest fece diritto all’istanza di intervento degli interessati in un procedimento impegnato dalla parrocchia C. e constatò che questa ultima non aveva un diritto di proprietà sull’immobile di cui faceva parte l’appartamento controverso. Risultava da una decisione del 1954 del patriarca della Romania che suddetto immobile che era stato nel patrimonio della chiesa St Ilie Hanul Coltei, era stato amministrato dal parrocchia C.
12. Nel 2002 e 2004, il DGAFI fece, senza successo, due altri passi per fare adottare una decisione tesa a fare rientrare l’immobile controverso nel patrimonio del CMB. A questo riguardo, un “rapporto di specialità” redatto in una data non precisata sotto la direzione del CMB, avvisato dal dipartimento giuridico del CMB e firmato dal suo direttore, precisava che risultava dai giudizi definitivi in questione e dalle lettere forniti all’epoca dalle direzioni tecniche che l’immobile era proprietà dello stato. Tuttavia, con una nota interna del 30 settembre 2004, la direzione giuridica del municipio precisò che il DGAFI non era stato sollecitato a chiarire il regime giuridico dell’immobile e che risultava in particolare dal giudizio del 14 novembre 2001 che il patriarcato ortodosso era il proprietario dell’immobile suddetto, così che il bene non appariva come “abbandonato” e non poteva essere trasferito al CMB.
13. Con un giudizio definitivo del 4 settembre 2003, il tribunale di prima istanza di Bucarest respinse l’azione introdotta dai richiedenti e di altri terzi che si trovavano in una situazione simile, azione tesa, sul fondamento dell’articolo 5803 del codice di procedimento civile (CPC), a condannare le autorità locali a pagare una multa civile fino alla conclusione del contratto di vendita in causa. Il tribunale considerò che la chiesa St Ilie figurava in quanto proprietaria dell’immobile controverso nel 1940, che non c’erano dei documenti che provassero che lo stato era diventato poi proprietario dell’immobile (i documenti catastali prima del 1989 si basavano su delle dichiarazioni) e che dunque le autorità locali non erano colpevoli per il difetto di concludere il contratto di vendita in questione.
14. Un procedimento di sfratto della richiedente dall’appartamento in causa introdotto dalla parrocchia St Ilie Hanul Coltei nel 2009 è ora pendente dinnanzi alle giurisdizioni interne.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
15. I richiedenti si lamentano di un attentato al loro diritto di accesso ad un tribunale in ragione dell’inadempimento da parte delle autorità dei giudizi definitivi dell’ 11 giugno 1999 e del 3 febbraio 2000. Invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
16. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
17. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
18. Il Governo ammette che i richiedenti avevano diritto alla conclusione di un affitto e, poi, di un contratto di vendita che cade sull’appartamento in causa, ma stima che le autorità non hanno potuto eseguire i giudizi definitivi suddetti per le ragioni obiettive, a sapere lo fa che il bene non si trovava nel patrimonio dell’amministrazione, ma in quello di una “istituzione ecclesiastica.” Il Governo mette avanti che i giudizi in questione hanno constatato che, negli anni 1980, l’appartamento si è trovato nel patrimonio dello stato, ciò che risulterebbe anche delle informazioni fornite dal rapporto redatto dal CMB. Considera che l’inadempimento è stato dovuto al “regime giuridico incerto” dell’immobile, che le autorità hanno fatto dei passi, senza successo, in vista dell’esecuzione, e che nell’ipotesi in cui il bene potrebbe essere qualificato come “abbandonato”- l’ordinanza del Governo no 14/2007 permetterebbe la sua ripresa da parte dello stato.
19. Il richiedente fa valere che il Governo stesso si contraddice quando a volte sostiene che l’appartamento si troverebbe nel patrimonio di una “istituzione ecclesiastica” a volte che potrebbe beneficiare del regime giuridico dei beni “abbandonati.” Sottolinea che le autorità non hanno contestato mai durante i procedimenti al merito il fatto che le azioni riguardanti questo appartamento sono state introdotte a buono diritto a loro carico.
20. La Corte ricorda che l’esecuzione di un giudizio o sentenza, di qualsiasi giurisdizione questo sia, deve essere considerata come facente parte integrante del “processo” ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione (Hornsby precitata, § 40, ed Immobiliare Saffi c. Italia [GC], no 22774/93, § 63, CEDH 1999-V). Però, il diritto di accesso ad un tribunale non può obbligare un Stato a fare eseguire ogni giudizio di carattere civile qualunque sia e qualunque siano le circostanze (Sanglier c. Francia, no 50342/99, § 39, 27 maggio 2003). La Corte reitera che quando le autorità sono tenute ad agire in esecuzione di una decisione giudiziale ed omettono di farlo, questa inerzia impegna la responsabilità dello stato sul terreno dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (Scollo c. Italia, 28 settembre 1995, § 44, serie A no 315-C). Peraltro, gli atti o le omissioni dell’amministrazione in seguito ad una decisione di giustizia non possono avere come conseguenza né di impedire né, ancora meno, di rimettere in questione il fondo di questa decisione (Immobiliare Saffi precitata, § 74).
21. Nello specifico, la Corte osserva che i richiedenti beneficiano di due giudizi definitivi resi l’ 11 giugno 1999 ed il 3 febbraio 2000, in virtù dai quali le autorità locali di Bucarest sono state condannate a concludere a loro favore un contratto di affitto e poi un contratto di vendita riguardante l’appartamento in cui abitavano, giudizi che non sono stati eseguiti.
22. La Corte osserva al primo colpo che, all’epoca dei procedimenti al merito finiti dai giudizi definitivi dell’ 11 giugno 1999 e del 3 febbraio 2000, le autorità non hanno sostenuto che l’appartamento controverso non si trovava nel loro patrimonio e che gli interessati avevano diretto male le azioni a loro carico. Al contrario, le autorità si sono rimesse alla saggezza del tribunale che ha reso i giudizi sulla base dei documenti forniti dalle autorità e hanno fondato su dei documenti smarriti a questo giorno, e non hanno formato alcun ricorso contro questi giudizi, diventati definitivi. Certo, più di tre anni più tardi, in un giudizio definitivo del 4 settembre 2003 reso in
un procedimento che non prevedeva direttamente il diritto di proprietà in contenzioso, ma l’esecuzione dell’obbligo di concludere il contratto di vendita, il tribunale di prima istanza di Bucarest ha giudicato che le autorità locali non erano responsabili del difetto di concludere suddetto contratto, al motivo che non c’erano dei documenti che provavano che lo stato era diventato proprietario dell’immobile dopo il 1940. Infine, la Corte nota che a questo giorno, dieci anni dopo il pronunziato dei giudizi in questione, il Governo sostiene che il regime giuridico dell’appartamento è “incerto” che questo si troverebbe nel patrimonio di una “istituzione ecclesiastica”, ma che non bisogna escludere neanche la possibilità che sia qualificato alla fine come bene “abbandonato” e ripreso dalle autorità, ciò che permetterebbe l’esecuzione dei giudizi definitivi.
23. La Corte ricorda che non le appartiene confermare o annullare il contenuto di una decisione di giustizia interna definitiva. Non si può dispensare però dal constatare la situazione giuridica stabilita da suddetta decisione tra le parti, decisione fondata su dei documenti ora persi e che non è stata contestata all’epoca dalle autorità incaricate di verificare il regime giuridico del bene controverso tramite una via di ricorso ordinaria o anche straordinaria. Quindi, avendo in mente il principio della preminenza del diritto in una società democratica, la Corte stima che una decisione giudiziale resa dalle giurisdizioni nazionali competenti prevale e che gli argomenti contraddittori del Governo da cui risulta che il regime giuridico del bene non è stato stabilito con certezza durante questi dieci anni di inadempimento, non potrebbe né analizzarsi in un’impossibilità obiettiva di esecuzione né scaricare le autorità della loro responsabilità sotto l’angolo dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Pântea c. Romania, no 5050/02, § 35, 15 giugno 2006, e Costachescu c. Romania, no 37805/05, § 27, 29 settembre 2009).
24. Avendo in mente il principio secondo cui la Convenzione ha per scopo di proteggere dei diritti non teorici o illusori, ma concreti ed effettivi (Artico c. Italia, 13 maggio 1980, § 33, serie A no 37) la Corte può constatare solamente che in ragione dell’atteggiamento contraddittorio delle autorità nazionali, i richiedenti si trovano da parecchi anni in una situazione di incertezza giuridica in quanto alla possibilità effettiva di vedere eseguire da parte delle autorità i giudizi definitivi che erano loro favorevoli (vedere, mutatis mutandis, Durdan c. Romania, no 6098/03, § 80, 26 aprile 2007).
25. Avuto riguardo alla posta della controversia per i richiedenti, la Corte stima che il comportamento delle autorità nazionali, in quanto all’esecuzione dei giudizi definitivi in questione, ha portato attentato al loro diritto di accesso ad un tribunale come garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Pertanto, c’è stata violazione di questo articolo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
26. I richiedenti adducono in sostanza che il difetto per l’amministrazione di eseguire i giudizi definitivi dell’ 11 giugno 1999 e del 3 febbraio 2000 ha recato offesa al loro diritto al rispetto dei loro beni contemplati all’articolo 1 del Protocollo no 1, così formulato:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “

A. Sull’ammissibilità
27. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
28. Pure ammettendo che i richiedenti disponevano di un “bene” sulla base dei giudizi definitivi precitati, il Governo sostiene che le autorità e l’ufficiale giudiziario di giustizia hanno agito con zelo, ma hanno incontrato il rifiuto del dipartimento giuridico del municipio di autorizzare la vendita, in ragione del regime giuridico incerto dell’appartamento dovuto alla mancanza dei documenti che attestavano il diritto di proprietà dello stato sull’immobile. Il Governo mette avanti che le autorità hanno rispettato un giusto equilibrio tra i diritti di proprietà in gioco, che l’interessata avrebbe potuto investire i tribunali di un’azione per ottenere un giudizio facente funzione di contratto di vendita, e che ad ogni modo questa non è stata danneggiata, poiché la richiedente non è minacciata dello sfratto dell’appartamento che abita.
29. La richiedente contesta gli argomenti del Governo.
30. La Corte constata che il Governo ammette che ci è stata ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni in ragione dell’inadempimento dei giudizi definitivi in causa. Considera che, dopo avere condotto con successo una prima serie di procedimenti giudiziali contro le autorità, i richiedenti non potevano vedersi obbligati, allo sguardo della Convenzione, di impegnare altri procedimenti per palliare al difetto dell’amministrazione di eseguire questi giudizi e di chiarire la situazione giuridica del bene che era stato già oggetto di un esame dei tribunali nei procedimenti contraddittori compiuti coi giudizi definitivi in questione. Per le ragioni simili a quelle esposte allo sguardo dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (paragrafi 23-24 sopra) la Corte considera che gli argomenti avanzati dal Governo, e riguardanti essenzialmente il regime giuridico “incerto” dell’appartamento, non potrebbero costituire una giustificazione soddisfacente per il difetto di esecuzione. Inoltre, osserva che la richiedente si trova a questo giorno sotto la minaccia di un procedimento di sfratto pendente.
31. La Corte conclude quindi che c’è stata anche violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
32. I richiedenti adducono che l’inadempimento dei giudizi definitivi dell’ 11 giugno 1999 e del 3 febbraio 2000 ha portato anche attentato ai loro diritti garantiti dagli articoli 5 § 1 a)-f) 6 § 2, 8, 9, 10 e 11 della Convenzione.
33. Tenuto conto dell’insieme degli elementi in suo possesso, e nella misura in cui è competente per conoscere delle affermazioni formulate, la Corte non ha rilevato nessuna apparenza di violazione dei diritti e delle libertà garantite dagli articoli della Convenzione.
Ne segue che questa parte della richiesta è manifestamente mal fondata e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
34. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
35. A titolo del danno patrimoniale, la richiedente chiede che il contratto di vendita dell’appartamento controverso sia concluso dalle autorità o, in accessorio, che una somma di 62 000 euro (EUR) le sia concessa, ossia una somma che rappresenta il valore commerciale dell’appartamento secondo un rapporto di perizia che presenta alla Corte. La richiedente chiede anche 100 000 EUR per il danno morale subito.
36. Il Governo contesta il legame di causalità tra le violazioni ed il danno patrimoniale addotto così come la somma stimata secondo il valore commerciale del bene, notando che conviene sottolineare che la richiedente avrebbe dovuto pagare il prezzo dell’appartamento per acquisirne la proprietà. In quanto alla richiesta per danno morale, il Governo stima che l’importo in questione è eccessivo e che una constatazione di violazione potrebbe costituire, di per sé, un risarcimento sufficiente del danno addotto.
37. La Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto fare si può la situazione anteriore a questa (Metaxas, precitata, § 35, ed Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI).
38. Nelle circostanze dello specifico, stima che l’esecuzione dei giudizi definitivi dell’ 11 giugno 1999 e del 3 febbraio 2000 che ordinavano all’amministrazione di concludere dei contratti di affitto e di vendita riguardanti l’appartamento ubicato a Bucarest, al no 18 di via Doamnei porrebbe per quanto possibile la richiedente in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbe se le esigenze degli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1 non fossero state ignorate.
39. A difetto per lo stato convenuto di concludere i suddetti contratti, la Corte considera che il Governo dovrebbe offrire all’interessata la possibilità di concludere un contratto di affitto e, poi, di vendita riguardante un altro appartamento, di una superficie e valore simile. A proposito della richiesta della richiedente a titolo del danno patrimoniale, la Corte prende nota del fatto che il giudizio del 3 febbraio 2000 dava all’interessata solamente il diritto di acquistare l’appartamento controverso, ma che ad ogni modo era supposta di pagare un prezzo per questo appartamento e che non c’è luogo di speculare sul valore di questo prezzo. Di conseguenza, stima che la richiedente non potrebbe richiedere il valore commerciale dell’appartamento.
40. La Corte considera tuttavia che il richiedente ha subito ad ogni modo finora una perdita di fortuna reale con l’inadempimento dei giudizi precitati, perdita che conviene compensare in equità. In più, la Corte stima che la richiedente ha subito anche un danno morale in particolare per il fatto della frustrazione provocata dall’impossibilità di vedere eseguire i giudizi definitivi in questione e che questo danno non è compensato sufficientemente da una constatazione di violazione.
41. In queste circostanze, avuto riguardo all’insieme degli elementi che si trovano in suo possesso e deliberando in equità, come vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte assegna alla richiedente 14 000 EUR ogni danno compreso.
B. Oneri e spese
42. La richiedente non chiede nessuna somma per oneri e spese.
C. Interessi moratori
43. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dagli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1, ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve fare il necessario per eseguire i giudizi definitivi dell’ 11 giugno 1999 e del 3 febbraio 2000, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, garantendo la conclusione dei contratti ordinati da questi giudizi ed avendo per oggetto l’appartamento abitato dalla richiedente a Bucarest, al no 18 di via Doamnei;
b) che in mancanza di avere concluso i suddetti contratti, lo stato convenuto deve, nello stesso termine dei tre mesi, offrire all’interessata la possibilità di concludere un contratto di affitto e, poi, di vendita riguardante un altro appartamento di una superficie e di valore simile;
c) che ad ogni modo, nello stesso termine precitato, lo stato convenuto deve versare alla richiedente una somma di 14 000 EUR (quattordicimila euro) ogni danno compreso, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
d) che la somma menzionata al punto c) sarà da convertire nella moneta dello stato convenuto al tasso applicabile in data dell’ordinamento;
e) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 2 marzo 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Josep Casadevall
Cancelliere aggiunto Presidente

Testo Tradotto

TROISIÈME SECTION
AFFAIRE TEODOR ET CONSTANTINESCU c. ROUMANIE
(Requête no 35676/07)
ARRÊT
STRASBOURG
2 mars 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Teodor et Constantinescu c. Roumanie,
La Cour européenne des droits de l’homme (troisième section), siégeant en une chambre composée de :
Josep Casadevall, président,
Elisabet Fura,
Corneliu Bîrsan,
Alvina Gyulumyan,
Egbert Myjer,
Ineta Ziemele,
Ann Power, juges,
et de Stanley Naismith, greffier adjoint de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 9 février 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 35676/07) dirigée contre la Roumanie et dont deux ressortissants de cet Etat, M. P. T. et Mme C.-N. C. (« les requérants »), ont saisi la Cour le 23 janvier 2004 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »). Suite au décès du requérant le 25 juillet 2007, par lettre du 28 août 2007, la deuxième requérante (« la requérante ») a exprimé le souhait de continuer l’instance aussi au nom de son époux, dont elle est l’unique héritière, tel que le constate un certificat du 14 décembre 2007.
2. Le gouvernement roumain (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, M. Răzvan-Horatiu Radu, du ministère des Affaires étrangères.
3. Le10 septembre 2008, le président de la troisième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
4. La requérante est née en 1948 et réside à Bucarest. Le requérant était né en 1924.
5. Les faits de la cause, tels qu’ils ont été exposés par les parties, peuvent se résumer comme suit.
6. Sur la base d’un ordre de répartition délivré en 1985 par l’Archevêché de Bucarest, l’Eglise St. Ilie Hanul Coltei conclut en 1974 avec les requérants, en vertu de la loi no 5/1973 sur la gestion des logements et les rapports entre propriétaires et locataires, un contrat de bail, reconduit jusqu’en 1989, portant sur un appartement sis à Bucarest, au no 18 rue Doamnei.
7. Par un jugement du 11 juin 1999, le tribunal de première instance de Bucarest ordonna au conseil municipal de Bucarest (CMB) et à la société chargée d’administrer le fonds immobilier de CMB (DAFI), qui se remirent à la sagesse du tribunal, d’émettre un ordre de répartition de l’appartement susmentionné en faveur des requérants et de conclure avec ces derniers
un contrat de bail. Il ressort des renseignements fournis par le Gouvernement que le tribunal s’est fondé, entre autres, sur deux lettres fournies par les directions d’urbanisme, de patrimoine et de cadastre de Bucarest sur la base des documents, perdus depuis lors, qui indiquaient que l’appartement litigieux figurait dans le patrimoine de l’Etat dans les années 1980.
8. Dans une procédure distincte, par un jugement du 3 février 2000, le tribunal de première instance de Bucarest ordonna au CMB, qui s’était remis à la sagesse du tribunal, de conclure avec les requérants un contrat de vente portant sur l’appartement précité.
9. A défaut de recours, les jugements susmentionnés devinrent définitifs et furent ensuite revêtus de la formule exécutoire par les requérants. Les intéressés demandèrent à plusieurs reprises aux autorités locales, y compris par le biais d’un huissier de justice, l’exécution des jugements définitifs en cause, mais sans succès.
10. Un projet de décision à adopter par le CMB afin de transférer dans son administration l’immeuble litigieux ne fut pas avisé en 2000 par le département juridique de la mairie, au motif qu’il n’y avait pas de documents pour prouver le droit de propriété de l’Etat, les jugements définitifs précités n’étant pas suffisants à cet égard. En mars 2001, le département juridique de la mairie de Bucarest indiqua avoir invité, sans résultat, la direction chargée de l’administration du patrimoine de la mairie (DGAFI), à vérifier si le bien litigieux était « abandonné » et, dans l’affirmative, à faire des démarches pour qu’il rentre dans le patrimoine de l’Etat, selon les dispositions pertinentes du code civil.
11. Par un jugement définitif du 14 novembre 2001, le tribunal départemental de Bucarest fit droit à la demande d’intervention des intéressés dans une procédure engagée par la paroisse C. et constata que cette dernière n’avait pas un droit de propriété sur l’immeuble dont faisait partie l’appartement litigieux. Il ressortait d’une décision de 1954 du patriarche de Roumanie que ledit immeuble, qui avait été dans le patrimoine de l’église St. Ilie Hanul Coltei, avait été administré par la paroisse C.
12. En 2002 et 2004, la DGAFI fit, sans succès, deux autres démarches pour faire adopter une décision visant à faire rentrer l’immeuble litigieux dans le patrimoine du CMB. A cet égard, un « rapport de spécialité » rédigé à une date non précisée sous la direction du CMB, avisé par le département juridique du CMB et signé par son directeur, précisait qu’il ressortait des jugements définitifs en question et des lettres fournies à l’époque par les directions techniques que l’immeuble était la propriété de l’Etat. Toutefois, par une note interne du 30 septembre 2004, la direction juridique de la mairie précisa que la DGAFI n’avait pas été diligente pour éclaircir le régime juridique de l’immeuble et qu’il ressortait notamment du jugement du 14 novembre 2001 susmentionné que le patriarcat orthodoxe était le propriétaire de l’immeuble, de sorte que le bien n’apparaissait pas comme « abandonné » et ne pouvait pas être transféré au CMB.
13. Par un jugement définitif du 4 septembre 2003, le tribunal de première instance de Bucarest rejeta l’action introduite par les requérants et d’autres tiers se trouvant dans une situation similaire, action visant, sur le fondement de l’article 5803 du code de procédure civile (CPC), à condamner les autorités locales à payer une amende civile jusqu’à la conclusion du contrat de vente en cause. Le tribunal retint que l’église St. Ilie figurait en tant que propriétaire de l’immeuble litigieux en 1940, qu’il n’y avait pas des documents prouvant que l’Etat était ensuite devenu propriétaire de l’immeuble (les documents cadastraux d’avant 1989 se fondaient sur des déclarations), et que les autorités locales n’étaient donc pas coupables pour le défaut de conclure le contrat de vente en question.
14. Une procédure en expulsion de la requérante de l’appartement en cause introduite par la paroisse St. Ilie Hanul Coltei en 2009 est à présent pendante devant les juridictions internes.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
15. Les requérants se plaignent d’une atteinte à leur droit d’accès à un tribunal en raison de la non-exécution par les autorités des jugements définitifs du 11 juin 1999 et 3 février 2000. Ils invoquent l’article 6 § 1 de la Convention, ainsi libellé :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (…) par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
16. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
17. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
18. Le Gouvernement admet que les requérants avaient droit à la conclusion d’un bail et, ensuite, d’un contrat de vente portant sur l’appartement en cause, mais estime que les autorités n’ont pas pu exécuter les jugements définitifs susmentionnés pour des raisons objectives, à savoir le fait que le bien ne se trouvait pas dans le patrimoine de l’administration, mais dans celui d’une « institution ecclésiastique ». Le Gouvernement met en avant que les jugements en question ont constaté que, dans les années 1980, l’appartement s’est trouvé dans le patrimoine de l’Etat, ce qui ressortirait aussi des renseignements fournis par le rapport rédigé par le CMB. Il considère que la non-exécution a été due au « régime juridique incertain » de l’immeuble, que les autorités ont fait des démarches, sans succès, en vue de l’exécution, et que – dans l’hypothèse où le bien pourrait être qualifié d’ « abandonné » – l’ordonnance du Gouvernement no 14/2007 permettrait sa reprise par l’Etat.
19. La requérante fait valoir que le Gouvernement lui-même se contredit lorsqu’il soutient tantôt que l’appartement se trouverait dans le patrimoine d’une « institution ecclésiastique » tantôt qu’il pourrait bénéficier du régime juridique des biens « abandonnés ». Elle souligne que les autorités n’ont jamais contesté au cours des procédures au fond le fait que les actions visant cet appartement ont été introduites à bon droit à leur encontre.
20. La Cour rappelle que l’exécution d’un jugement ou arrêt, de quelque juridiction que ce soit, doit être considérée comme faisant partie intégrante du « procès » au sens de l’article 6 de la Convention (Hornsby précité, § 40, et Immobiliare Saffi c. Italie [GC], no 22774/93, § 63, CEDH 1999-V). Cependant, le droit d’accès à un tribunal ne peut obliger un Etat à faire exécuter chaque jugement de caractère civil quel qu’il soit et quelles que soient les circonstances (Sanglier c. France, no 50342/99, § 39, 27 mai 2003). La Cour réitère que lorsque les autorités sont tenues d’agir en exécution d’une décision judiciaire et omettent de le faire, cette inertie engage la responsabilité de l’Etat sur le terrain de l’article 6 § 1 de la Convention (Scollo c. Italie, 28 septembre 1995, § 44, série A no 315-C). Par ailleurs, les actes ou omissions de l’administration suite à une décision de justice ne peuvent avoir comme conséquence ni d’empêcher ni, encore moins, de remettre en question le fond de cette décision (Immobiliare Saffi précité, § 74).
21. En l’espèce, la Cour observe que les requérants bénéficient de deux jugements définitifs rendus le 11 juin 1999 et le 3 février 2000, en vertu desquels les autorités locales de Bucarest ont été condamnées à conclure en leur faveur un contrat de bail et ensuite un contrat de vente portant sur l’appartement qu’ils habitaient, jugements qui n’ont pas été exécutés.
22. La Cour observe d’emblée que, lors des procédures au fond achevées par les jugements définitifs du 11 juin 1999 et du 3 février 2000, les autorités n’ont pas soutenu que l’appartement litigieux ne se trouvait pas dans leur patrimoine et que les intéressés avaient mal dirigé les actions à leur encontre. Au contraire, les autorités se sont remises à la sagesse du tribunal, qui a rendu les jugements sur base des pièces fournies par les autorités et fondées sur des documents égarés à ce jour, et n’ont pas formé de recours contre ces jugements, devenus définitifs. Certes, plus de trois ans plus tard, dans un jugement définitif du 4 septembre 2003 rendu dans une procédure qui ne visait pas directement le droit de propriété litigieux, mais l’exécution de l’obligation de conclure le contrat de vente, le tribunal de première instance de Bucarest a jugé que les autorités locales n’étaient pas responsables du défaut de conclure ledit contrat, au motif qu’il n’y avait pas des documents prouvant que l’Etat était devenu propriétaire de l’immeuble après 1940. Enfin, la Cour note qu’à ce jour, dix ans après le prononcé des jugements en question, le Gouvernement soutient que le régime juridique de l’appartement est « incertain », que celui-ci se trouverait dans le patrimoine d’une « institution ecclésiastique », mais qu’il ne faut pas exclure non plus la possibilité qu’il soit finalement qualifié de bien « abandonné » et repris par les autorités, ce qui permettrait l’exécution des jugements définitifs.
23. La Cour rappelle qu’il ne lui appartient pas de confirmer ou d’infirmer le contenu d’une décision de justice interne définitive. Elle ne peut cependant se dispenser de constater la situation juridique établie par ladite décision entre les parties, décision fondée sur des documents à présent perdus et qui n’a pas été contestée à l’époque par les autorités chargées de vérifier le régime juridique du bien litigieux par le biais d’une voie de recours ordinaire ou même extraordinaire. Dès lors, ayant à l’esprit le principe de la prééminence du droit dans une société démocratique, la Cour estime qu’une décision judiciaire rendue par les juridictions nationales compétentes prévaut et que les arguments contradictoires du Gouvernement, dont il ressort que le régime juridique du bien n’a pas été établi avec certitude au cours de ces dix ans de non-exécution, ne saurait ni s’analyser en une impossibilité objective d’exécution ni décharger les autorités de leur responsabilité sous l’angle de l’article 6 § 1 de la Convention (voir, mutatis mutandis, Pântea c. Roumanie, no 5050/02, § 35, 15 juin 2006, et Costachescu c. Roumanie , no 37805/05, § 27, 29 septembre 2009).
24. Ayant à l’esprit le principe selon lequel la Convention a pour but de protéger des droits non pas théoriques ou illusoires, mais concrets et effectifs (Artico c. Italie, 13 mai 1980, § 33, série A no 37), la Cour ne peut que constater qu’en raison de l’attitude contradictoire des autorités nationales, les requérants se trouvent depuis plusieurs années dans une situation d’incertitude juridique quant à la possibilité effective de voir exécuter par les autorités les jugements définitifs qui leur étaient favorables (voir, mutatis mutandis, Durdan c. Roumanie, no 6098/03, § 80, 26 avril 2007).
25. Eu égard à l’enjeu du litige pour les requérants, la Cour estime que le comportement des autorités nationales, quant à l’exécution des jugements définitifs en question, a porté atteinte à leur droit d’accès à un tribunal tel que garanti par l’article 6 § 1 de la Convention.
Partant, il y a eu violation de cet article.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
26. Les requérants allèguent en substance que le défaut pour l’administration d’exécuter les jugements définitifs du 11 juin 1999 et du 3 février 2000 a porté atteinte à leur droit au respect de leurs biens prévu à l’article 1 du Protocole no 1, ainsi libellé :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Sur la recevabilité
27. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
28. Tout en admettant que les requérants disposaient d’un « bien » sur la base des jugements définitifs précités, le Gouvernement soutient que les autorités et l’huissier de justice ont agi avec diligence, mais se sont heurtés au refus du département juridique de la mairie d’autoriser la vente, en raison du régime juridique incertain de l’appartement dû au manque des documents attestant le droit de propriété de l’Etat sur l’immeuble. Le Gouvernement met en avant que les autorités ont respecté un juste équilibre entre les droits de propriété en jeu, que l’intéressée aurait pu saisir les tribunaux d’une action pour obtenir un jugement tenant lieu de contrat de vente, et qu’en tout état de cause celle-ci n’a pas été préjudicié, puisque la requérante n’est pas menacée de l’expulsion de l’appartement qu’elle habite.
29. La requérante conteste les arguments du Gouvernement.
30. La Cour constate que le Gouvernement admet qu’il y eu ingérence dans le droit des requérants au respect de leurs biens en raison de la non-exécution des jugements définitifs en cause. Elle considère que, après avoir mené avec succès une première série de procédures judiciaires contre les autorités, les requérants ne pouvaient se voir obligés, au regard de la Convention, d’engager d’autres procédures pour pallier au défaut de l’administration d’exécuter ces jugements et d’éclaircir la situation juridique du bien, qui avait déjà fait l’objet d’un examen des tribunaux dans les procédures contradictoires achevées par les jugements définitifs en question. Pour des raisons similaires à ceux exposées au regard de l’article 6 § 1 de la Convention (paragraphes 23-24 ci-dessus), la Cour considère que les arguments avancés par le Gouvernement, et tenant essentiellement au régime juridique « incertain » de l’appartement, ne sauraient constituer une justification satisfaisante pour le défaut d’exécution. En outre, elle observe que la requérante se trouve à ce jour sous la menace d’une procédure d’expulsion pendante.
31. La Cour conclut dès lors qu’il y a eu également violation de l’article 1 du Protocole no 1.
III. SUR LES AUTRES VIOLATIONS ALLÉGUÉES
32. Les requérants allèguent que la non-exécution des jugements définitifs du 11 juin 1999 et du 3 février 2000 a porté également atteinte à leurs droits garantis par les articles 5 § 1 a)-f), 6 § 2, 8, 9, 10 et 11 de la Convention.
33. Compte tenu de l’ensemble des éléments en sa possession, et dans la mesure où elle est compétente pour connaître des allégations formulées, la Cour n’a relevé aucune apparence de violation des droits et libertés garantis par les articles de la Convention.
Il s’ensuit que cette partie de la requête est manifestement mal fondée et doit être rejetée en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
IV. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
34. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
35. Au titre du préjudice matériel, la requérante demande que le contrat de vente de l’appartement litigieux soit conclu par les autorités ou, en subsidiaire, qu’une somme de 62 000 euros (EUR) lui soit octroyé, à savoir une somme représentant la valeur marchande de l’appartement selon un rapport d’expertise qu’elle présente à la Cour. La requérante demande aussi 100 000 EUR pour le préjudice moral subi.
36. Le Gouvernement conteste le lien de causalité entre la violation et le préjudice matériel allégués ainsi que la somme estimée selon la valeur marchande du bien, notant qu’il convient de souligner que la requérante aurait dû payer le prix de l’appartement pour en acquérir la propriété. Quant à la demande pour préjudice moral, le Gouvernement estime que le montant en question est excessif et qu’un constat de violation pourrait constituer, par lui-même, une réparation suffisante du préjudice allégué.
37. La Cour rappelle qu’un arrêt constatant une violation entraîne pour l’Etat défendeur l’obligation juridique de mettre un terme à la violation et d’en effacer les conséquences de manière à rétablir autant que faire se peut la situation antérieure à celle-ci (Metaxas, précité, § 35, et Iatridis c. Grèce (satisfaction équitable) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI).
38. Dans les circonstances de l’espèce, elle estime que l’exécution des jugements définitifs du 11 juin 1999 et du 3 février 2000 ordonnant à l’administration de conclure des contrats de bail et de vente portant sur l’appartement sis à Bucarest, au no 18 rue Doamnei placerait la requérante autant que possible dans une situation équivalant à celle où elle se trouverait si les exigences des articles 6 § 1 de la Convention et 1 du Protocole no 1 n’avaient pas été méconnues.
39. A défaut pour l’Etat défendeur de conclure les contrats susmentionnés, la Cour considère que le Gouvernement devrait offrir à l’intéressée la possibilité de conclure un contrat de bail et, ensuite, de vente portant sur un autre appartement, d’une superficie et valeur similaires. Au sujet de la demande de la requérante au titre du préjudice matériel, la Cour prend note du fait que le jugement du 3 février 2000 donnait à l’intéressée seulement le droit d’acheter l’appartement litigieux, mais que de toute façon elle était censée payer un prix pour cet appartement et qu’il n’y a pas lieu de spéculer sur la valeur de ce prix. Par conséquent, elle estime que la requérante ne saurait réclamer la valeur marchande de l’appartement.
40. La Cour considère toutefois qu’en tout état de cause la requérante a subi une perte de chance réelle par la non-exécution des jugements précités jusqu’à présent, perte qu’il convient de compenser en équité. De plus, la Cour estime que la requérante a subi aussi un préjudice moral du fait notamment de la frustration provoquée par l’impossibilité de voir exécuter les jugements définitifs en question et que ce préjudice n’est pas suffisamment compensé par un constat de violation.
41. Dans ces circonstances, eu égard à l’ensemble des éléments se trouvant en sa possession et statuant en équité, comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour alloue à la requérante 14 000 EUR tous préjudices confondus.
B. Frais et dépens
42. La requérante ne demande aucune somme pour frais et dépens.
C. Intérêts moratoires
43. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant aux griefs tirés des articles 6 § 1 de la Convention et 1 du Protocole no 1, et irrecevable pour le surplus;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;
3. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
4. Dit
a) que l’Etat défendeur doit faire le nécessaire pour exécuter les jugements définitifs du 11 juin 1999 et du 3 février 2000, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, en assurant la conclusion des contrats ordonnés par ces jugements et ayant pour objet l’appartement habité par la requérante à Bucarest, au no 18 rue Doamnei ;
b) qu’à défaut d’avoir conclu les contrats susmentionnés, l’Etat défendeur doit, dans le même délai de trois mois, offrir à l’intéressée la possibilité de conclure un contrat de bail et, ensuite, de vente portant sur un autre appartement d’une superficie et valeur similaires ;
c) qu’en tout état de cause, dans le même délai précité, l’Etat défendeur doit verser à la requérante une somme de 14 000 EUR (quatorze mille euros) tous préjudices confondus, plus tout montant pouvant être dû au titre d’impôt ;
d) que la somme mentionnée au point c) sera à convertir dans la monnaie de l’Etat défendeur au taux applicable à la date du règlement ;
e) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
5. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 2 mars 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Stanley Naismith Josep Casadevall
Greffier adjoint Président

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