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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE TENDAM c. ESPAGNE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 41, 06, P1-1
Numero: 25720/05/2010
Stato:
Data: 2010-07-13 00:00:00
Organo: Sezione Terza
Testo Originale

Conclusione Parzialmente inammissibile; Violazione dell’art. 6-2; violazione di P1-1; Soddisfazione equa riservata
TERZA SEZIONE
CAUSA TENDAM C. SPAGNA
( Richiesta no 25720/05)
SENTENZA
(fondo)
STRASBURGO
13 luglio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Tendam c. Spagna,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente, Corneliu Bîrsan, Boštjan il Sig. Zupančič, Egbert Myjer, Ineta Ziemele, Ann Power, giudici, Alejandro Saiz Arnaiz, giudice ad hoc,
e da Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 22 giugno 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 25720/05) diretta contro il Regno della Spagna e in cui un cittadino tedesco, il Sig. H. E. T. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 9 luglio 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da J.C. P., avvocato a Porto de La Cruz. Il governo spagnolo (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, il Sig. I. Blasco Lozano, capo del servizio giuridico dei diritti dell’uomo al ministero della Giustizia.
3. Il richiedente si lamenta del rigetto da parte delle autorità spagnole delle richieste di indennizzo a titolo dei danni subiti a causa della detenzione provvisoria e della scomparsa ed il deterioramento dei beni sequestrati nella cornice dei procedimenti penali impegnati a suo carico. Invoca l’articolo 6 § 2 della Convenzione e l’articolo 1 del Protocollo no 1.
4. Il 23 maggio 2008, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
5. Il governo tedesco al quale una copia della richiesta è stata comunicata dalla Corte in virtù dell’articolo 44 § 1 a), dell’ordinamento, non ha desiderato intervenire.
6. In seguito all’astensione del Sig. L. López Guerra, giudice eletto a titolo della Spagna (articolo 28 dell’ordinamento), il Governo ha designato il Sig. A. Saiz Arnaiz come giudice ad hoc per riunirsi al suo posto (articoli 27 § 2 della Convenzione e 29 § 1 dell’ordinamento).
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
7. Il richiedente è nato nel 1937 e risiede a Santa Cruz di Tenerife.
8. Nel 1984, il richiedente e sua moglie, di nazionalità spagnola, costituirono una società di apicoltura dedicata alla produzione di miele.
A. I procedimenti penali
1. Il procedimento penale no 68/91 per furto
9. Il 25 marzo 1986, il richiedente fu arrestato nella cornice di un procedimento penale relativo al furto di parecchi alveari di api.
10. Il 26 marzo 1986, fu posto in detenzione provvisoria e fu rimesso provvisoriamente in libertà il 6 agosto 1986, contro il versamento di una garanzia di 400 000 pesete, circa 2 404 EUR.
11. Con un giudizio del 12 aprile 1993, il giudice penale no 1 di Santa Cruz di Tenerife riconobbe il richiedente colpevole di furto. Lo condannò ad una pena di due anni e quattro mesi di detenzione. Il richiedente fu condannato anche a versare un indennizzo di 124 040 pesete (745, 50 EUR) alla società di apicoltura proprietaria degli alveari rubati.
12. Con una sentenza del 9 settembre 1993, l’Audiencia Provinciale di Tenerife annullò il giudizio intrapreso e rilasciò il richiedente. Stimò che non era stato provato che il richiedente aveva commesso il reato imputato.
13. Il 25 gennaio 1994, la garanzia di 400 000 pesete fu rimborsata al richiedente.
2. Il procedimento penale no 473/91 per ricettazione
14. Nel marzo 1986, dei perseguimenti penali furono impegnati contro il richiedente dal giudice istruttore no 1 di L’Orotava (Tenerife). Nella cornice di questo procedimento, parecchie perquisizioni del suo domicilio e del suo laboratorio di elettronica ebbero luogo, mentre il richiedente era posto in detenzione provvisoria. Queste perquisizioni furono autorizzate dal giudice istruttore no 1 di L’Orotava e furono effettuate in presenza della moglie del richiedente. All’epoca delle perquisizioni, parecchi beni tra cui molti beni elettronici, furono sequestrati e depositati nei locali della guardia civile o del giudice istruttore. Alcuni di loro furono restituiti alle persone che affermavano di essere i loro proprietari ed che avevano denunciato a priori il loro furto. Questa restituzione fu effettuata in quanto deposito, in attesa della conclusione del procedimento penale.
15. Al termine dell’istruzione, il richiedente fu rinviato a giudizio dinnanzi al giudice penale no 3 di Santa Cruz di Tenerife. Con un giudizio del 29 ottobre 1993, il giudice penale no 3 di Santa Cruz di Tenerife prosciolse il richiedente del capo di ricettazione, in seguito all’ abbandono dell’accusa da parte del ministero pubblico all’epoca dell’udienza pubblica.
16. Il 19 novembre 1993, il richiedente chiese la restituzione dei beni sequestrati durante l’istruzione. Il 22 gennaio 1994, il richiedente ricuperò una parte dei beni sequestrati. Nell’atto di restituzione, firmato dal cancelliere presso il giudice istruttore no 1 di L’Orotova, il richiedente fece stato della scomparsa di certi beni, così come del deterioramento di tutti i beni recuperati. In questo atto, il cancelliere constatò anche il cattivo stato di parecchi oggetti, alcuni di loro arrugginiti. Il 9 marzo 1994, il richiedente comparve dinnanzi al cancelliere in vista di recuperare un’altra parte dei beni, ma dichiarò che quelli che erano stati depositati non erano i suoi. Risulta dalla pratica che certe richieste di restituzione del giudice istruttore a terzi che avevano ricevuto dei beni sequestrati nel 1986 non ebbero successo.
B. Il procedimento per responsabilità patrimoniale dello stato
1. Il procedimento dinnanzi agli organi amministrativi
17. Il 19 agosto 1994, il richiedente, basandosi sulle disposizioni pertinenti della legge organica relativa al potere giudiziale (LOPJ), presentò un reclamo presso il ministero della Giustizia e dell’interno, in vista di ottenere dei danno-interessi. Primariamente, chiedeva un indennizzo per il danno subito a causa dei cento trentacinque giorni passati in detenzione, più l’interesse legale dell’importo della garanzia rimborsata, o 3 671 666 pesete (22 067, 16 EUR) a titolo del primo procedimento penale. Secondariamente, il richiedente sollecitava un indennizzo per il cattivo funzionamento della giustizia che aveva provocato la non-restituzione o la perdita di valore degli oggetti sequestrati nella cornice del secondo procedimento penale. A questo riguardo, portava una perizia privata che fissava il valore degli oggetti (più di trecento) non-restituiti e danneggiati a 82 429 942 pesete (495 413,93 EUR) ed un’altra perizia che costatava il danneggiamento di numerosi beni elettronici sequestrati dal 1986. Il richiedente richiedeva anche 8 000 000 pesete (48 080, 97 EUR) per gli oggetti non inventariati così come 40 000 000 pesete (240 404,84 EUR) a titolo del danno morale e degli altri danni subiti. L’importo totale delle sue richieste era di 139 141 608 pesete (836 257,91 EUR).
18. Con una decisione del 17 novembre 1995, in seguito ai rapporti del Consiglio generale del potere giudiziale (CGPJ) in data 5 aprile 1995 e del Consiglio di stato in data 28 settembre 1995, il ministro della Giustizia e dell’interno respinse il reclamo del richiedente. Trattandosi dell’indennizzo sollecitato a titolo della detenzione provvisoria, il ministro notò che il richiedente era stato prosciolto in appello “non per l’inesistenza obiettiva o soggettiva del fatto delittuoso” ma in ragione della mancanza di prove sufficienti per consolidare la sua condanna, e che dopo la sentenza del 9 settembre 1993 dell’Audiencia Provinciale, “la non partecipazione del richiedente ai fatti delittuosi non era stata stabilita” sufficientemente. Per questo fatto, l’esigenza enunciata all’articolo 294 LOPJ non era soddisfatta ed il richiedente non aveva dunque diritto ad un indennizzo sulla base di questa disposizione.
19. Per ciò che riguarda la richiesta di indennizzo a titolo del cattivo funzionamento della giustizia (articolo 292 LOPJ) il ministro considerò che il richiedente non aveva portato le prove necessarie affinché la scomparsa o il deterioramento dei beni di cui pretendeva essere il proprietario potessero essere stabiliti. Stimò peraltro che il fatto di avere restituito certi beni sequestrati alle persone che pretendevano di essere i proprietari era giustificato nella misura in cui si trattava di un procedimento penale per ricettazione. Il ministro considerò infine che il dovere di conservazione imposta ai cancellieri presso i tribunali non era stato infranto nello specifico e che perciò, il cattivo funzionamento della giustizia non poteva essere stabilito.
2. Il procedimento dinnanzi alle giurisdizioni contenzioso-amministrative
20. Il 30 maggio 1996, il richiedente formò un ricorso contenzioso-amministrativo contro la decisione presso il ministro dell’Audiencia Nacional che, con una sentenza del 4 febbraio 1998, respinse il ricorso. Il tribunale ricordò la giurisprudenza emanata dal Tribunale supremo sull’articolo 294 LOPJ secondo la quale l’indennizzo per detenzione provvisoria può essere assegnato solo in caso di inesistenza obiettiva o soggettiva del fatto delittuoso. Secondo questa giurisprudenza, affinché l’inesistenza soggettiva venga stabilita, non basta che ci siano dei dubbi concernenti la partecipazione dell’interessato ma occorre che ci sia una certezza in quanto alla mancanza di partecipazione. Nel caso di specie, l’esistenza obiettiva dei fatti rimproverati non suscitava controversia. Trattandosi della partecipazione del richiedente, il tribunale notò che si trattava di un caso tipico di mancanza di prove e che dunque il richiedente non assolveva i criteri dell’articolo 294 LOPJ come interpretati dalle giurisdizioni spagnole. Peraltro, l’Audiencia Nacional interinò il ragionamento del ministro in quanto alla mancanza di prove portate sul cattivo funzionamento della giustizia.
21. In seguito, il richiedente ricorse in cassazione, invocando in particolare una cattiva interpretazione dell’articolo 294 LOPJ.
22. Con una sentenza del 27 gennaio 2003, il Tribunale supremo respinse il ricorso al motivo che il proscioglimento del richiedente non poteva aprire diritto a risarcimento, nella misura in cui non si fondava sulla mancanza provata di partecipazione del richiedente al fatto delittuoso ma sulla mancanza di prove. In quanto alla non-restituzione o al danneggiamento dei beni controversi, il Tribunale supremo ricordò che non gli spettava valutare i fatti e le prove prodotte dinnanzi al tribunale di prima istanza. Notò che il reclamo del richiedente non riguardava unicamente dei beni sequestrati di cui aveva ricuperato una parte, ma anche dei beni che non figuravano nell’inventario dei beni sequestrati e che sarebbero stati depositati nei locali della guardia civile o del giudice istruttore. Per ciò che riguarda il danneggiamento addotto dei beni restituiti, il Tribunale supremo stimò che il richiedente non aveva provato lo stato dei beni al momento del loro sequestro né i danni subiti a causa del deposito.
23. In un’opinione dissidente unita alla sentenza, due giudici parteciparono il loro disaccordo concernente la questione della non-restituzione o del danneggiamento dei beni, stimando che l’onere della prova concernente i beni sparì o deteriorati spettava all’amministrazione di giustizia e non al richiedente. Stimarono che la sola prova possibile concernente il sequestro dei beni effettuato durante le perquisizioni del domicilio del richiedente quando era posto in detenzione provvisoria, era quella costituita dagli atti e dai verbali redatti dalla polizia o dalle autorità giudiziali. I due giudici dissidenti sottolinearono che il richiedente doveva essere presunto il proprietario dei beni sequestrati nella misura in cui possedeva i suddetti beni al momento del loro sequestro, conformemente all’articolo 635 del codice di procedimento penale (vedere sotto, § 29,). Considerarono infine che l’amministrazione di giustizia non aveva fornito nessuna giustificazione sulla scomparsa ed il deterioramento dei beni sequestrai e che la responsabilità patrimoniale dello stato per il cattivo funzionamento della giustizia era dunque impegnata. I giudici dissidenti conclusero che il richiedente avrebbe dovuto avere diritto ad un indennizzo sulla base della perizia portata da lui nella cornice del procedimento amministrativo.
C. Il procedimento di amparo
24. Il 4 marzo 2003, il richiedente formò un ricorso di amparo dinnanzi al Tribunale costituzionale invocando gli articoli 15 (interdizione della tortura e diritto all’integrità fisica e morale), 24 §§ 1 e 2 (diritto ad un processo equo ed alla presunzione di innocenza). Nel suo ricorso, il richiedente considerava che il procedimento dinnanzi al Tribunale supremo non era stato equo per due ragioni. Da una parte, l’onere della prova concernente i beni sequestrati e scomparsi si fondava su lui. Dall’altra parte, nella misura in cui era stato posto in detenzione provvisoria per sei mesi per i fatti che non sono stati mai provati, avrebbe dovuto avere diritto al risarcimento a titolo di questa privazione di libertà.
25. Con una decisione del 17 gennaio 2005, il Tribunale costituzionale dichiarò il ricorso inammissibile. Respinse il motivo di appello derivato dell’articolo 15 della Costituzione per non-esaurimento delle vie di ricorso ordinarie, mancanza per il richiedente di avere invocato questo diritto dinnanzi alle giurisdizioni ordinarie. Per ciò che riguarda il diritto alla presunzione di innocenza, il Tribunale costituzionale stimò che, conformemente alla sua giurisprudenza, le decisioni amministrative e giudiziali di cui il richiedente si lamentava non potevano essere considerate come se rivestissero una natura punitiva e che l’articolo 24 § 2 dunque (diritto alla presunzione di innocenza) non poteva entrare in gioco.
26. Per ciò che riguarda il diritto ad un processo equo, l’alta giurisdizione notò che il richiedente si limitava a contestare l’interpretazione fatta dalle giurisdizioni ordinarie sulle due questioni controverse, ossia quella relativa al rigetto dell’indennizzo a titolo della detenzione provvisoria e quella riguardante l’onere della prova a riguardo dei beni spariti o deteriorati. Il Tribunale costituzionale stimò che le decisioni giudiziali attaccate erano ragionevoli e motivate e applicavano solamente la legislazione in vigore e la giurisprudenza esistente in materia di responsabilità patrimoniale dell’amministrazione. Secondo il Tribunale costituzionale, la valutazione delle prove fatte da queste giurisdizioni non potrebbe passare per manifestamente irragionevole o inficiata di arbitrarietà.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
27. La Costituzione
Articolo 121
“I danni causati da un errore giudiziale e quelli che sono la conseguenza del funzionamento anormale dell’amministrazione della giustizia aprono diritto ad un indennizzo a carico dello stato, conformemente alla legge. “
28. Le disposizioni pertinenti della Legge organica relativa al potere giudiziale (LOPJ) si leggono così:
Articolo 292
“1. Ogni vittima di un danno risultante da un errore giudiziale o da un funzionamento anormale della giustizia ha diritto ad un indennizzo da parte dello stato, salvo in caso di forza maggiore, conformemente alle disposizioni del presente Titolo.
2. Ad ogni modo, il danno addotto deve essere effettivo, finanziariamente quantificabile e individualizzato, che riguarda una persona o un gruppo di persone.
3. La sola revoca o annullamento delle decisioni giudiziali non implica di per sé il diritto ad un indennizzo. “
Articolo 293
“1. Ogni richiesta di indennizzo a causa di errore deve essere preceduta da una decisione giudiziale che riconosce espressamente l’errore. Questa decisione preliminare può derivare direttamente da una decisione pronunciata nella cornice di un ricorso per revisione. In tutti gli altri casi si applicano le seguenti regole:
a) L’azione giudiziale per riconoscenza dell’errore deve essere intentata imperativamente entro tre mesi a contare dal giorno in cui può essere esercitata.
(…)
2. Nei casi di errore giudiziale dichiarato o di danno dovuto ad un funzionamento anormale dell’amministrazione della giustizia, l’interessato indirizza direttamente la sua domanda di indennizzo al ministero della Giustizia. Questa richiesta viene esaminata secondo le disposizioni applicabili in materia di responsabilità patrimoniale dello stato. La decisione del ministero della Giustizia può essere oggetto di un ricorso contenzioso-amministrativo. Il diritto di chiedere un indennizzo si prescrive entro un anno a contare dal giorno in cui può essere esercitato. “
Articolo 294 § 1
“1. Ogni persona che, dopo essere stata posta in detenzione provvisoria, viene prosciolta in ragione dell’inesistenza dei fatti imputati, o è oggetto di un non luogo a procedere definitivo per questo motivo, ha diritto alle indennità quando ha subito un danno.
2. L’importo dell’indennizzo è fissato tenuto conto della durata della privazione di libertà e delle conseguenze personali e familiari subita.
3. La domanda di indennizzo è trattata conformemente alle disposizioni dell’articolo 293 § 2. “
29. Il codice di procedimento penale
Articolo 635
“La persona che possiede un bene al momento del sequestro da parte del giudice istruttore è presunto proprietario del bene in questione.”
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 2 DELLA CONVENZIONE
30. Il richiedente si lamenta del rifiuto delle giurisdizioni spagnole di accordargli l’indennizzo che ha richiesto a titolo della detenzione provvisoria subita. Contesta i criteri che risultano dal diritto e dalla giurisprudenza interni per aprire il diritto al risarcimento in caso di detenzione provvisoria. Adduce la violazione degli articoli 6 §§ 1 e 2 della Convenzione e 3 del Protocollo no 7. Le disposizioni citate sono formulate, nelle loro parti pertinenti, come segue:
Articolo 6 della Convenzione
“1. Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile, o della fondatezza di ogni accusa in materia penale diretta contro lei. (…)
2. Ogni persona accusata di una violazione è presunta innocente finché la sua colpevolezza è stata stabilita legalmente. (…) “
Articolo 3 del Protocollo no 7
“Quando una condanna penale definitiva viene annullata ulteriormente, o quando la grazia viene accordata, perché un fatto nuovo o di recente rivelato prova che si è prodotto un errore giudiziale, la persona che ha subito una pena in ragione di questa condanna viene indennizzato, conformemente alla legge o all’uso in vigore nello stato riguardato, a meno che sia provato che la non-rivelazione in tempo utile del fatto sconosciuto gli è imputabile in tutto o in parte. “
31. La Corte stima opportuno esaminare questo motivo di appello sotto l’angolo dell’articolo 6 § 2 della Convenzione. Nota che la Spagna non aveva ratificato il Protocollo no 7 al momento dei fatti. Peraltro, la Corte ricorda che la situazione osservata nello specifico non è comparabile a quella che regola l’articolo 3 del Protocollo no 7 che vale unicamente per una persona che ha subito una pena in ragione di una condanna imputabile ad un errore giudiziale (Sekanina c. Austria, 25 agosto 1993, § 25, serie A no 266-A).
A. Sull’ammissibilità
32. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomento delle parti
33. Il richiedente fa valere che ha scontato cento trentacinque giorni di detenzione provvisoria per fatti che erano inesistenti, e per cui le giurisdizioni interne hanno rifiutato di indennizzarlo. Sostiene che il fatto di essere stato prosciolto dalle giurisdizioni penali per mancanza di prove non significa che i fatti delittuosi che gli erano imputati avevano avuto luogo. Per il richiedente, le giurisdizioni penali avrebbero utilizzato questo motivo, la mancanza di prove sufficienti, per evitare che i danni subiti in ragione della detenzione provvisoria di cui è stato oggetto potessero essere indennizzati. Contesta la distinzione fatta dalle giurisdizioni interne tra “inesistenza obiettiva” e “inesistenza soggettiva” del reato secondo la quale hanno diritto ad un indennizzo solo le persone essendo state prosciolte in ragione dell’inesistenza obiettiva dei fatti imputati, sia perché i fatti non si sono prodotti sia perché non erano costitutivi di un reato.
34. Il Governo ricorda che la Convenzione non dà all’ “imputato” un diritto al risarcimento per una detenzione provvisoria regolare in caso di non condanna (Englert c. Germania, 25 agosto 1987, serie A no 123). Questa conclusione è confermata dall’articolo 5 § 5 della Convenzione che riconosce solamente il diritto al risarcimento in caso di privazione di libertà nelle condizioni contrarie alle disposizioni dell’articolo 5. Il Governo sottolinea che il diritto ad essere risarcito per una detenzione provvisoria in caso di proscioglimento derivi dal diritto nazionale: in dritto spagnolo, tale risarcimento è previsto dall’articolo 121 della Costituzione e dagli articoli 292 e seguenti del LOPJ. Secondo queste disposizioni, affinché i danni subiti in ragione di una detenzione provvisoria possano essere indennizzati, è necessario che il proscioglimento o la revoca della condanna siano pronunciati in virtù di motivi determinati, e non unicamente in ragione della mancanza di prove a carico. Il Governo osserva che nello specifico, tanto il ministero della Giustizia che le giurisdizioni contenzioso-amministrative che avevano esaminato la domanda del richiedente si sono limitati a constatare che il suo proscioglimento si basava esclusivamente sulla presunzione di innocenza, cioè sulla mancanza di prove a carico, e non sull’inesistenza obiettiva o soggettiva del fatto delittuoso. Le condizioni previste dall’articolo 294 del LOPJ non si trovavano soddisfatte dunque. Il Governo sostiene che le giurisdizioni interne non si sono pronunciate in nessun modo sulla colpevolezza del richiedente e che le loro decisioni non dipendevano dall’ambito penale, ma da quello patrimoniale e contenzioso-amministrativo. Precisa che, a differenza della causa Puig Panella c. Spagna (no 1483/02, 25 aprile 2006) dove il richiedente aveva scontato totalmente la pena di privazione di libertà quando le decisioni di condanna furono annullate, nel presente genere la detenzione provvisoria subita dal richiedente non ha superato i rigorosi limiti previsti dalla legge.
2. Valutazione della Corte
35. La Corte ricorda al primo colpo che la presunzione di innocenza si trova misconosciuta se una decisione giudiziale che riguarda un imputato riflette il sentimento che è colpevole, mentre la sua colpevolezza non è stata stabilita legalmente prima di tutto. E’ sufficiente, anche in mancanza di constatazione formale, una motivazione che dà a pensare che il giudice considera l’interessato come colpevole (vedere, tra molte altre, Puig Panella, precitata, § 51).
36. Inoltre, la Corte ricorda che il campo di applicazione dell’articolo 6 § 2 non si limita ai procedimenti penali che sono pendenti, ma si estende ai procedimenti giudiziali consecutivi al proscioglimento definitivo dell’imputato (vedere, tra molte altre, le sentenze Sekanina, precitata, Rushiti c. Austria, no 28389/95, 21 marzo 2000, e Lamanna c. Austria, no 28923/95, 10 luglio 2001,) nella misura in cui le questioni sollevate in questi procedimenti costituivano un corollario ed un complemento dei procedimenti penali riguardati in cui il richiedente aveva la qualità “di imputato.” Sebbene né l’articolo 6 § 2 né nessuna altra clausola della Convenzione diano diritto a risarcimento per una detenzione provvisoria regolare in caso di proscioglimento (vedere, mutatis mutandis, Dinares Peñalver c. Spagna, (dec.), no 44301/98, 23 marzo 2000) l’espressione di sospetti sull’innocenza di un imputato non è più accettabile dopo un proscioglimento diventato definitivo (vedere, in questo senso, Sekanina, precitata, § 30.) La Corte ha avuto già l’occasione di sottolineare che una volta diventato definitivo il proscioglimento – anche se si tratta di un proscioglimento a favore del dubbio conformemente all’articolo 6 § 2-l’espressione di dubbi sulla colpevolezza, ivi compresi quelli derivati dai motivi del proscioglimento, non sono compatibili con la presunzione di innocenza (Rushiti, precitata, § 31). Difatti, delle decisioni giudiziali posteriori o delle dichiarazioni che provengono dalle autorità pubbliche possono sollevare un problema sotto l’angolo dell’articolo 6 § 2, se equivalgono ad una constatazione di colpevolezza che ignora, deliberatamente, il proscioglimento preliminare dell’imputato (vedere Del Latte c. Paesi Bassi, no 44760/98, § 30, 9 novembre 2004).
37. In più, la Corte nota che in virtù del principio “in dubio pro reo” che costituisce un’espressione particolare del principio della presunzione di innocenza, nessuna differenza qualitativa deve esistere tra una sospensione per mancanza di prove ed una sospensione risultante da una constatazione dell’innocenza della persona che non fa nessun dubbio. Difatti, i giudizi di proscioglimento non si differenziano in funzione dei motivi che sono ad ogni volta considerati dal giudice penale. Bene al contrario, nella cornice dell’articolo 6 § 2 della Convenzione, il dispositivo di un giudizio di proscioglimento deve essere rispettato da ogni autorità che si pronuncia in modo diretto o incidentale sulla responsabilità penale dell’interessato (Vassilios Stavropoulos c. Grecia, no 35522/04, § 39, 27 settembre 2007). Peraltro, il fatto di esigere da una persona che porti la prova della sua innocenza nella cornice di un procedimento di indennizzo per detenzione provvisoria appare irragionevole e rivela un attentato alla presunzione di innocenza (Capeau c. Belgio, no 42914/98, § 25, CEDH 2005-I).
38. La Corte constata che la presente causa si distingue dalla causa Puig Panella, citata dal Governo, dove la domanda di indennizzo era stata introdotta dal richiedente in seguito ad una sentenza del Tribunale costituzionale che aveva annullato, una volta scontata la pena detentiva, le decisioni di condanna di cui era stato oggetto. Ora, nel presente caso, il richiedente è stato prosciolto in appello e non ha scontato mai una pena di prigione ferma. Malgrado queste differenze, la Corte è chiamata anche nel caso di specie ad esaminare se, col loro modo di agire, coi motivi delle loro decisioni o col linguaggio utilizzato nel loro ragionamento, il ministero della Giustizia e le giurisdizioni interne hanno gettato dei sospetti sull’innocenza del richiedente e hanno recato così offesa al principio della presunzione di innocenza, come garantito dall’articolo 6 § 2 della Convenzione (Puig Panella, precitata, § 54).
39. La Corte constata che il ministro della Giustizia e dell’interno, nella sua decisione del 17 novembre 1995, si è appellato al fatto che il richiedente era stato prosciolto in appello per mancanza di prove sufficienti a carico e non per l’inesistenza obiettiva o soggettiva del fatto delittuoso. Per respingere la domanda di indennizzo del richiedente, il ministro ha fatto osservare che dopo la sentenza di proscioglimento, “la non partecipazione del richiedente ai fatti delittuosi non era stata stabilita” sufficientemente (vedere sopra § 18). Sebbene si fondi sull’articolo 294 § 1 del LOPJ che contempla che hanno diritto ad un indennizzo solo le persone che sono state prosciolte o che sono state oggetto di un non luogo a procedere definitivo in ragione dell’inesistenza dei fatti che erano imputati loro, tale motivazione, senza sfumatura né riserva, lascia aleggiare un dubbio sull’innocenza del richiedente (Puig Panella, precitata, § 55). La Corte considera che questo ragionamento, operante una distinzione tra un proscioglimento per mancanze di prove ed un proscioglimento risultante da una constatazione dell’inesistenza dei fatti delittuosi, ignora il proscioglimento preliminare dell’imputato di cui il dispositivo deve essere rispettato da ogni autorità giudiziale, qualunque siano i motivi considerati dal giudice penale (vedere § 39 Vassilios Stavropoulos, precitata).
40. La Corte rileva peraltro che il ragionamento del ministro della Giustizia e dell’interno è stato confermato ulteriormente dalle giurisdizioni interne investite che hanno sottoscritto questa analisi. Le giurisdizioni contenzioso-amministrative hanno fatto seguire solamente la giurisprudenza consolidata in materia di applicazione dell’articolo 294 del LOPJ, fondata sul criterio dell’inesistenza soggettiva, cioè della mancanza provata di partecipazione della connessione ai fatti delittuosi. Di conseguenza, le giurisdizioni interne, interinando il ragionamento del ministro in applicazione di questa giurisprudenza, non hanno portato rimedio al problema che si poneva (vedere, mutatis mutandis, Ismoïlov ed altri c. Russia, no 2947/06, § 169, 24 aprile 2008).
41. Questi elementi bastano alla Corte per concludere che ci sia stata violazione dell’articolo 6 § 2 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
42. Il richiedente si lamenta anche della scomparsa e del danneggiamento dei suoi beni sequestrati nella cornice del procedimento penale per ricettazione. Invoca l’articolo 1 del Protocollo no 1, così formulato,:
Articolo 1 del Protocollo no 1
“”Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
43. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
44. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità (vedere Fernandez-Molina Gonzalez ed altri c). Spagna, (dec.), no 64359/01, CEDH 2002-IX, ed Oubiña Lago c. Spagna, (dec.), no 11452/05, 10 giugno 2008). Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
45. Il richiedente sottoscrive l’opinione dissidente unita alla sentenza del Tribunale supremo del 27 gennaio 2003 nella quale due magistrati hanno stimato che l’onere della prova concernente la scomparsa o il deterioramento addotto dei beni sequestrati doveva pesare sull’amministrazione di giustizia (vedere sopra, § 23,).
46. Il Governo sostiene che, come hanno rilevato il ministro della Giustizia e dell’interno e le giurisdizioni nazionali, il richiedente non aveva portato le prove necessarie affinché la scomparsa o il deterioramento addotto dei beni sequestrati potessero essere stabiliti. Afferma che le prove prodotte dal richiedente non sono state considerate sufficienti per stabilire la responsabilità patrimoniale dell’amministrazione di giustizia.
47. La Corte ricorda che la ritenzione dei beni sequestrati dalle autorità giudiziali nella cornice di un procedimento penale deve essere esaminata sotto l’angolo del diritto per lo stato di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale, ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Smirnov c. Russia, no 71362/01, § 54, CEDH 2007-VII, Adamczyk c,. Polonia, (dec.), no 28551/04, 7 novembre 2006, e Borjonov c. Russia, no 18274/04, § 57, 22 gennaio 2009). Constata che nello specifico, il sequestro cercava non di privare il richiedente dei suoi beni, ma solamente di impedirgli di avvalersene in modo temporaneo, in attesa del risultato del procedimento penale.
48. La Corte osserva che niente nella pratica permette di stabilire che il sequestro e la ritenzione dei beni controversi non avevano una base legale. Rileva che l’ingerenza aveva per scopo di garantire la soddisfazione delle domande che le eventuali parti civili avrebbero potuto cercare di formulare (vedere, mutatis mutandis, Földes e Földesné Hajlik c. Ungheria, no 41463/02, § 26, CEDH 2006-XII). A questo riguardo, la Corte ammette che il sequestro e la ritenzione del beni oggetto di una violazione penale possano essere necessarie nell’interesse di una buona amministrazione della giustizia che costituisce un scopo legittimo che rileva dall’ “interesse generale” della comunità (vedere, mutatis mutandis, Smirnov, precitata, § 57).
49. Tuttavia, la Corte ricorda che deve avere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo eventualmente perseguito dalle misure applicate dallo stato, ivi comprese quelle destinate a controllare l’uso della proprietà individuale. Questa esigenza si esprime nella nozione di “giusto equilibrio” da predisporre da una parte tra gli imperativi dell’interesse generale della comunità e le esigenze della protezione dei diritti fondamentali dell’individuo dall’altra parte (vedere § 57 Smirnov, precitata). Peraltro, nonostante il silenzio dell’articolo 1 del Protocollo no 1 in materia di esigenze procedurali, i procedimenti applicabili nello specifico devono offrire anche alla persona riguardata un’occasione adeguata di esporre la sua causa alle autorità competenti per contestare infatti le misure che recano offesa ai diritti garantiti da questa disposizione. Per assicurarsi del rispetto di questa condizione, c’è luogo di considerare i procedimenti applicabili da un punto di vista generale (Zehentner c. Austria, no 20082/02, § 73, CEDH 2009 -…).
50. La Corte ha affermato già che ogni sequestro provoca un danno che non deve superare tuttavia i limiti dell’inevitabile (Raimondo c. Italia, 22 febbraio 1994, § 33, serie A no 281-A). Ha riconosciuto inoltre che il proprietario prosciolto dal capo di contrabbando deve in principio avere il diritto di recuperare gli articoli sequestrati in seguito alla sua sospensione (Jucys c. Lituania, no 5457/03, § 36, 8 gennaio 2008).
51. È vero che l’articolo 1 del Protocollo no 1 non consacra un diritto per la persona prosciolta di ottenere risarcimento per ogni danno risultante dal sequestro dei suoi beni effettuato durante l’istruzione in un procedimento penale (vedere Adamczyk, decisione precitata, ed Andrews c. Regno Unito,(dec.), no 49584/99, 26 settembre 2002). Tuttavia, quando le autorità giudiziali o di perseguimento sequestrano dei beni, devono prendere le misure ragionevoli necessarie alla loro conservazione, in particolare redigendo un inventario dei beni e del loro stato al momento del sequestro così come all’epoca della loro restituzione al proprietario prosciolto. Peraltro, la legislazione interna deve contemplare la possibilità di iniziare un procedimento contro lo stato per ottenere risarcimento per i danni che risultano dalla non-conservazione di questi beni in uno stato relativamente buono (vedere Karamitrov ed altri c. Bulgaria, no 53321/99, § 77, 10 gennaio 2008, riferendosi all’articolo 13 della Convenzione, e Novikov c. Russia, no 35989/02, § 46, 18 giugno 2009). Ancora occorre che questo procedimento sia effettivo, per permettere al proprietario prosciolto di difendere la sua causa.
52. Nell’occorrenza, la Corte osserva che il richiedente ha iniziato un’azione contro lo stato per il danneggiamento dei beni sequestrati e recuperati dopo il suo proscioglimento, così come per la scomparsa di una parte dei beni sequestrati e non restituiti, sulla base dell’articolo 292 del LOPJ relativo al funzionamento anormale della giustizia. La Corte ricorda che spetta al primo capo alle autorità nazionali, ed in particolare ai corsi e tribunali, interpretare i fatti e la legislazione interna, e la Corte non sostituirà la sua propria valutazione dei fatti e del diritto alla loro nella mancanza di arbitrarietà (vedere, tra altre, Tejedor García c. Spagna, 16 dicembre 1997, § 31, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VIII). Peraltro, appartiene agli Stati contraenti definire le condizioni del diritto al risarcimento in caso di danni che risultano da un sequestro (Adamczyk, decisione precitata).
53. Ciò essendo, la Corte nota che nello specifico, nell’atto di restituzione del 22 gennaio 1994 il richiedente fece stato della scomparsa di certi beni, così come del deterioramento di tutti i beni recuperati. Osserva inoltre che in questo atto, il cancelliere del giudice istruttore no 1 di L’Orotava constatò il cattivo stato di parecchi oggetti. Peraltro, risulta della pratica che certe istanze di restituzione del giudice istruttore a terzi che avevano ricevuto dei beni sequestrati nel 1986 furono infruttuose. A questo riguardo, la Corte nota che questi beni erano stati restituiti alle presunte vittime in qualità di deposito, in attesa della conclusione del procedimento penale impegnato contro il richiedente. Ora, le autorità nazionali, ed in ultima istanza il Tribunale supremo, hanno respinto il reclamo del richiedente, al motivo che questo ultimo non aveva provato la scomparsa ed il deterioramento dei beni investiti.
54. Nelle circostanze dello specifico, la Corte stima che l’onere della prova concernente la situazione dei beni sequestrati o mancanti degradati spettava all’amministrazione di giustizia, responsabile della conservazione dei beni durante tutto il periodo del sequestro, e non al richiedente, prosciolto più di sette anni dopo il sequestro dei beni. Non avendo l’amministrazione di giustizia fornito dopo il proscioglimento del richiedente nessuna giustificazione sulla scomparsa e la degradazione dei beni sequestrati, i danni che risultano dal sequestro le sono imputabili.
55. La Corte constata che le giurisdizioni interne che hanno esaminato il reclamo del richiedente non hanno né tenuto conto della responsabilità dell’amministrazione di giustizia nei fatti della causa né permesso al richiedente di ottenere risarcimento per i danni che risultano dalla non-conservazione dei beni sequestrati.
56. Agli occhi della Corte, le autorità interne avendo rifiutato l’indennizzo richiesto dal richiedente hanno fatto pesare sul richiedente un carico sproporzionato ed eccessivo.
57. Di conseguenza, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ALTRI ARTICOLI DELLA CONVENZIONE
58. Invocando gli articoli 3 e 5 della Convenzione, il richiedente si lamenta anche di essere stato posto in detenzione provvisoria per un reato minore, mentre era residente in Spagna, sposato ad una cittadina spagnola che era incinta al momento dei fatti. Fa motivo di appello alle autorità spagnole dell’essere stato trattato come un delinquente volgare e recidivo.
59. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il richiedente si lamenta infine delle molteplici violazioni del suo diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.
60. La Corte ha esaminato questi motivi di appello come sono stati presentati dal richiedente. Tenuto conto dell’insieme degli elementi in suo possesso, non ha rilevato nessuna apparenza di violazione dei diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione; questi motivi di appello sono manifestamente mal fondati e devono essere respinti in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
61. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Riparazione sollecitata nello specifico
62. Nelle sue osservazioni, il richiedente sollecita un indennizzo per, da una parte, i cento trentacinque giorni passati in detenzione provvisoria, e d’ altra parte, il valore dei beni sequestrati e non recuperati, conformemente alla perizia privata portata da lui nella cornice del procedimento interno. Rinvia al suo formulario di richiesta. Nel suo formulario di richiesta, il richiedente aveva chiesto un importo di 836 257,90 EUR, abbinato ad interessi, a titolo del danno patrimoniale che avrebbe subito a causa del sequestro dei suoi beni. Aveva chiesto inoltre 300 000 EUR, abbinato ad interessi, a titolo del danno morale subito, più 67 500 EUR a titolo dei cento trentacinque giorni passati in prigione. Il richiedente aveva chiesto una somma globale che non può essere inferiore a 2 000 000 EUR.
63. Il richiedente chiede anche che il Governo sia condannato a pagare gli oneri e le spese, senza valutarli. Non ha fornito note spese.
64. Il Governo considera eccessiva e non giustificata la somma richiesta dal richiedente. Sostiene che il richiedente non ha portato dei nuovi argomenti, limitandosi a riprodurre le richieste presentate dinnanzi ai tribunali nazionali.
65. Il Governo non ha formulato nessun commento particolare concernente gli oneri e spese.
B. Conclusione della Corte
66. La Corte sottolinea che in virtù dell’articolo 60 del suo ordinamento, ogni pretesa in materia di soddisfazione equa deve essere valutata e deve essere ripartita in voci, esposta per iscritto ed accompagnata dai giustificativi necessari, nel termine assegnato al richiedente per la presentazione delle sue osservazioni sul merito, “in mancanza di ciò [lei] può respingere la richiesta, in tutto o in parte”.
1. Danno patrimoniale
67. Avuto riguardo alle circostanze dello specifico, la Corte non si stima sufficientemente illuminata sui criteri da applicare per valutare il danno patrimoniale subito dal richiedente, trattandosi in particolare dei beni degradati a causa del sequestro. Considera quindi che la questione dell’indennizzo del danno patrimoniale non è matura, così che conviene riservarla tenendo conto dell’eventualità di un accordo tra lo stato convenuto ed i richiedenti.
2. Danno morale
68. La Corte stima che il richiedente ha subito, in ragione delle violazioni constatate, un danno morale che non può essere riparato dalla semplice constatazione di violazione formulata. Deliberando in equità, come vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte concede al richiedente la somma di 15 600 EUR, per danno morale.
3. Oneri e spese
69. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisce la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Gómez di Liaño ci Botella c. Spagna, no 21369/04, § 86, 22 luglio 2008). Nello specifico, il richiedente non ha sottomesso delle note spese alla Corte per supportare la sua richiesta. Perciò, la Corte stima che non c’è luogo di accordargli una somma a questo titolo.
4. Interessi moratori
70. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dall’articolo 6 § 2 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo no 1 ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 2 della Convenzione;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
4. Stabilisce che la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione non è matura per ciò che riguarda la richiesta del richiedente per danno patrimoniale e, perciò,
a) la riserva per intero;
b) invita il Governo ed il richiedente a sottoporle per iscritto le loro osservazioni sulla questione entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione e, in particolare, a darle cognizione di ogni accordo al quale potrebbero arrivare;
c) riserva l’ulteriore procedimento e delega al presidente della camera la cura di fissarlo all’occorrenza.
5. Stabilisce,
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 15 600 EUR (quindicimila sei centesimi euro) per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti di percentuale;
6. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 13 luglio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Cancelliere Presidente

Testo Tradotto

Conclusion Partiellement irrecevable ; Violation de l’art. 6-2 ; Violation de P1-1 ; Satisfaction équitable réservée
TROISIÈME SECTION
AFFAIRE TENDAM c. ESPAGNE
(Requête no 25720/05)
ARRÊT
(fond)
STRASBOURG
13 juillet 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Tendam c. Espagne,
La Cour européenne des droits de l’homme (troisième section), siégeant en une chambre composée de :
Josep Casadevall, président,
Corneliu Bîrsan,
Boštjan M. Zupančič,
Egbert Myjer,
Ineta Ziemele,
Ann Power, juges,
Alejandro Saiz Arnaiz, juge ad hoc,
et de Santiago Quesada, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 22 juin 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 25720/05) dirigée contre le Royaume d’Espagne et dont un ressortissant allemand, M. H. E. T. (« le requérant »), a saisi la Cour le 9 juillet 2005 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par Me J.C. P., avocat à Puerto de La Cruz. Le gouvernement espagnol (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, M. I. Blasco Lozano, chef du service juridique des droits de l’homme au ministère de la Justice.
3. Le requérant se plaint du rejet par les autorités espagnoles des demandes d’indemnisation au titre des préjudices subis du fait de la détention provisoire et de la disparition et la détérioration des biens saisis dans le cadre des procédures pénales engagées à son encontre. Il invoque l’article 6 § 2 de la Convention et l’article 1 du Protocole no 1.
4. Le 23 mai 2008, le président de la troisième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
5. Le gouvernement allemand, auquel une copie de la requête a été communiquée par la Cour en vertu de l’article 44 § 1 a) du règlement, n’a pas souhaité intervenir.
6. A la suite du déport de M. L. López Guerra, juge élu au titre de l’Espagne (article 28 du règlement), le Gouvernement a désigné M. A. Saiz Arnaiz comme juge ad hoc pour siéger à sa place (articles 27 § 2 de la Convention et 29 § 1 du règlement).
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
7. Le requérant est né en 1937 et réside à Santa Cruz de Tenerife.
8. En 1984, le requérant et son épouse, de nationalité espagnole, constituèrent une société d’apiculture dédiée à la production de miel.
A. Les procédures pénales
1. La procédure pénale no 68/91 pour vol
9. Le 25 mars 1986, le requérant fut arrêté dans le cadre d’une procédure pénale relative au vol de plusieurs ruches d’abeilles.
10. Le 26 mars 1986, il fut placé en détention provisoire et fut provisoirement remis en liberté le 6 août 1986, contre le versement d’une caution de 400 000 pesetas (environ 2 404 EUR).
11. Par un jugement du 12 avril 1993, le juge pénal no 1 de Santa Cruz de Tenerife reconnut le requérant coupable de vol. Il le condamna à une peine de deux ans et quatre mois d’emprisonnement. Le requérant fut aussi condamné à verser une indemnisation de 124 040 pesetas (745, 50 EUR) à la société d’apiculture propriétaire des ruches volées.
12. Par un arrêt du 9 septembre 1993, l’Audiencia Provincial de Tenerife infirma le jugement entrepris et relaxa le requérant. Elle estima qu’il n’avait pas été prouvé que le requérant avait commis le délit imputé.
13. Le 25 janvier 1994, la caution de 400 000 pesetas fut remboursée au requérant.
2. La procédure pénale no 473/91 pour recel
14. En mars 1986, des poursuites pénales furent engagées à l’encontre du requérant par le juge d’instruction no 1 de La Orotava (Tenerife). Dans le cadre de cette procédure, plusieurs perquisitions de son domicile et de son atelier d’électronique eurent lieu, alors que le requérant était placé en détention provisoire. Ces perquisitions furent autorisées par le juge d’instruction no 1 de La Orotava et furent effectuées en présence de l’épouse du requérant. Lors des perquisitions, plusieurs biens, dont beaucoup de biens électroniques, furent saisis et déposés dans les locaux de la garde civile ou du juge d’instruction. Certains d’entre eux furent remis à des personnes affirmant être leurs propriétaires et ayant dénoncé leur vol préalablement. Cette remise fut effectuée en tant que dépôt, en attente de l’issue de la procédure pénale.
15. Au terme de l’instruction, le requérant fut renvoyé en jugement devant le juge pénal no 3 de Santa Cruz de Tenerife. Par un jugement du 29 octobre 1993, le juge pénal no 3 de Santa Cruz de Tenerife acquitta le requérant du chef de recel, suite à l’abandon de l’accusation par le ministère public lors de l’audience publique.
16. Le 19 novembre 1993, le requérant demanda la restitution des biens saisis tout au long de l’instruction. Le 22 janvier 1994, le requérant recouvra une partie des biens saisis. Dans l’acte de restitution, signé par le greffier près le juge d’instruction no 1 de La Orotova, le requérant fit état de la disparition de certains biens, ainsi que de la détérioration de tous les biens recouvrés. Dans cet acte, le greffier constata aussi le mauvais état de plusieurs objets, certains d’entre eux étant rouillés. Le 9 mars 1994, le requérant comparut devant le greffier en vue de recouvrer une autre partie des biens, mais il déclara que ceux qui y avaient été déposés n’étaient pas les siens. Il ressort du dossier que certaines demandes de restitution du juge d’instruction à des tiers ayant reçu des biens saisis en 1986 n’aboutirent pas.
B. La procédure pour responsabilité patrimoniale de l’État
1. La procédure devant les organes administratifs
17. Le 19 août 1994, le requérant, se fondant sur les dispositions pertinentes de la loi organique relative au pouvoir judiciaire (LOPJ), présenta une réclamation auprès du ministère de la Justice et de l’Intérieur, en vue d’obtenir des dommages-intérêts. Premièrement, il demandait une indemnisation pour le préjudice subi du fait des cent trente-cinq jours passés en détention, plus l’intérêt légal du montant de la caution remboursée, soit 3 671 666 pesetas (22 067, 16 EUR) au titre de la première procédure pénale. Deuxièmement, le requérant sollicitait une indemnisation pour le mauvais fonctionnement de la justice ayant entraîné la non-restitution ou la perte de valeur des objets saisis dans le cadre de la deuxième procédure pénale. A cet égard, il apportait une expertise privée qui fixait la valeur des objets (plus de trois-cents) non-restitués et endommagés à 82 429 942 pesetas (495 413,93 EUR) et une autre expertise constatant l’endommagement des nombreux biens électroniques saisis depuis 1986. Le requérant réclamait également 8 000 000 pesetas (48 080, 97 EUR) pour les objets non inventoriés ainsi que 40 000 000 pesetas (240 404,84 EUR) au titre du dommage moral et des autres préjudices subis. Le montant total de ses demandes était de 139 141 608 pesetas (836 257,91 EUR).
18. Par une décision du 17 novembre 1995, faisant suite aux rapports du Conseil général du pouvoir judiciaire (CGPJ) en date du 5 avril 1995 et du Conseil d’État en date du 28 septembre 1995, le ministre de la Justice et de l’Intérieur rejeta la réclamation du requérant. S’agissant de l’indemnisation sollicitée au titre de la détention provisoire, le ministre nota que le requérant avait été acquitté en appel « non pour l’inexistence objective ou subjective du fait délictueux » mais en raison de l’absence de preuves suffisantes pour asseoir sa condamnation, et que d’après l’arrêt du 9 septembre 1993 de l’Audiencia Provincial, « la non participation du requérant aux faits délictueux n’avait pas été suffisamment établie ». De ce fait, l’exigence énoncée à l’article 294 LOPJ n’était pas satisfaite et le requérant n’avait donc pas droit à une indemnisation sur la base de cette disposition.
19. En ce qui concerne la demande d’indemnisation au titre du mauvais fonctionnement de la justice (article 292 LOPJ), le ministre considéra que le requérant n’avait pas apporté les preuves nécessaires pour que la disparition ou la détérioration des biens dont il prétendait être le propriétaire puisse être établie. Il estima par ailleurs que le fait d’avoir remis certains biens saisis aux personnes prétendant être les propriétaires était justifié dans la mesure où il s’agissait d’une procédure pénale pour recel. Le ministre considéra enfin que le devoir de conservation imposé aux greffiers près les tribunaux n’avait pas été enfreint en l’espèce et qu’en conséquence, le mauvais fonctionnement de la justice ne pouvait pas être établi.
2. La procédure devant les juridictions contentieuses-administratives
20. Le 30 mai 1996, le requérant forma un recours contentieux-administratif contre la décision du ministre auprès de l’Audiencia Nacional, qui, par un arrêt du 4 février 1998, rejeta le recours. Le tribunal rappela la jurisprudence dégagée par le Tribunal suprême sur l’article 294 LOPJ, selon laquelle l’indemnisation pour détention provisoire ne peut être allouée qu’en cas d’inexistence objective ou subjective du fait délictueux. D’après cette jurisprudence, pour que l’inexistence subjective soit établie, il ne suffit pas qu’il y ait des doutes concernant la participation de l’intéressé mais il faut qu’il y ait une certitude quant à l’absence de participation. Dans le cas d’espèce, l’existence objective des faits reprochés ne prêtait pas à controverse. S’agissant de la participation du requérant, le tribunal nota qu’il s’agissait d’un cas typique de manque de preuves et que le requérant ne remplissait donc pas les critères de l’article 294 LOPJ tels qu’interprétés par les juridictions espagnoles. Par ailleurs, l’Audiencia Nacional entérina le raisonnement du ministre quant au manque de preuves apportées sur le mauvais fonctionnement de la justice.
21. Par la suite, le requérant se pourvut en cassation, invoquant notamment une mauvaise interprétation de l’article 294 LOPJ.
22. Par un arrêt du 27 janvier 2003, le Tribunal suprême rejeta le pourvoi au motif que l’acquittement du requérant ne pouvait pas ouvrir droit à réparation, dans la mesure où il ne reposait pas sur l’absence prouvée de participation du requérant au fait délictueux mais sur l’absence de preuves. Quant à la non-restitution ou l’endommagement des biens litigieux, le Tribunal suprême rappela qu’il ne lui appartenait pas d’apprécier les faits et les preuves produites devant le tribunal de première instance. Il nota que la réclamation du requérant ne portait pas uniquement sur des biens saisis, dont il avait recouvré une partie, mais aussi sur des biens ne figurant pas dans l’inventaire des biens saisis et qui auraient été déposés dans les locaux de la garde civile ou du juge d’instruction. En ce qui concerne l’endommagement allégué des biens restitués, le Tribunal suprême estima que le requérant n’avait prouvé ni l’état des biens au moment de leur saisie ni les dommages subis du fait du dépôt.
23. Dans une opinion dissidente jointe à l’arrêt, deux juges firent part de leur désaccord concernant la question de la non-restitution ou de l’endommagement des biens, estimant que la charge de la preuve concernant les biens disparus ou détériorés incombait à l’administration de justice et non pas au requérant. Ils estimèrent que la seule preuve possible concernant la saisie des biens effectuée au cours des perquisitions du domicile du requérant lorsqu’il était placé en détention provisoire, était celle constituée par les actes et les procès-verbaux rédigés par la police ou les autorités judiciaires. Les deux juges dissidents soulignèrent que le requérant devait être présumé le propriétaire des biens saisis dans la mesure où il possédait les biens susmentionnés au moment de leur saisie, conformément à l’article 635 du code de procédure pénale (voir ci-dessous, § 29). Ils considérèrent enfin que l’administration de justice n’avait fourni aucune justification sur la disparition et la détérioration des biens saisis et que la responsabilité patrimoniale de l’État pour le mauvais fonctionnement de la justice était donc engagée. Les juges dissidents conclurent que le requérant aurait dû avoir droit à une indemnisation sur la base de l’expertise apportée par lui dans le cadre de la procédure administrative.
C. La procédure d’amparo
24. Le 4 mars 2003, le requérant forma un recours d’amparo devant le Tribunal constitutionnel invoquant les articles 15 (interdiction de la torture et droit à l’intégrité physique et morale), 24 §§ 1 et 2 (droit à un procès équitable et à la présomption d’innocence). Dans son recours, le requérant considérait que la procédure devant le Tribunal suprême n’avait pas été équitable pour deux raisons. D’une part, la charge de la preuve concernant les biens saisis et disparus reposait sur lui. D’autre part, dans la mesure où il avait été placé en détention provisoire pendant six mois pour des faits qui n’ont jamais été prouvés, il aurait dû avoir droit au dédommagement au titre de cette privation de liberté.
25. Par une décision du 17 janvier 2005, le Tribunal constitutionnel déclara le recours irrecevable. Il rejeta le grief tiré de l’article 15 de la Constitution pour non-épuisement des voies de recours ordinaires, faute pour le requérant d’avoir invoqué ce droit devant les juridictions ordinaires. En ce qui concerne le droit à la présomption d’innocence, le Tribunal constitutionnel estima que, conformément à sa jurisprudence, les décisions administrative et judiciaires dont le requérant se plaignait ne pouvaient pas être considérées comme revêtant une nature punitive et que l’article 24 § 2 (droit à la présomption d’innocence) ne pouvait donc pas entrer en jeu.
26. Pour ce qui est du droit à un procès équitable, la haute juridiction nota que le requérant se bornait à contester l’interprétation faite par les juridictions ordinaires sur les deux questions litigieuses, à savoir celle relative au rejet de l’indemnisation au titre de la détention provisoire et celle portant sur la charge de la preuve à l’égard des biens disparus ou détériorés. Le Tribunal constitutionnel estima que les décisions judiciaires attaquées étaient raisonnables et motivées et ne faisaient qu’appliquer la législation en vigueur et la jurisprudence existante en matière de responsabilité patrimoniale de l’administration. Selon le Tribunal constitutionnel, l’appréciation des preuves faite par ces juridictions ne saurait passer pour manifestement déraisonnable ou entachée d’arbitraire.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
27. La Constitution
Article 121
« Les préjudices causés par une erreur judiciaire et ceux qui sont la conséquence du fonctionnement anormal de l’administration de la justice ouvrent droit à une indemnisation à la charge de l’État, conformément à la loi. »
28. Les dispositions pertinentes de la Loi organique relative au pouvoir judiciaire (LOPJ) se lisent ainsi :
Article 292
« 1. Toute victime d’un préjudice résultant d’une erreur judiciaire ou d’un fonctionnement anormal de la justice a droit à une indemnisation par l’État, sauf en cas de force majeure, conformément aux dispositions du présent Titre.
2. En tout état de cause, le préjudice allégué doit être effectif, financièrement quantifiable et individualisé, qu’il concerne une personne ou un groupe de personnes.
3. La seule révocation ou annulation des décisions judiciaires n’implique pas en elle-même le droit à une indemnisation. »
Article 293
« 1. Toute demande d’indemnisation pour cause d’erreur doit être précédée d’une décision judiciaire reconnaissant expressément l’erreur. Cette décision préalable peut découler directement d’une décision prononcée dans le cadre d’un recours en révision. Dans tous les autres cas s’appliquent les règles suivantes :
a) L’action judiciaire en reconnaissance de l’erreur doit impérativement être intentée dans un délai de trois mois à compter du jour où elle peut être exercée.
(…)
2. Dans les cas d’erreur judiciaire déclarée ou de dommage dû à un fonctionnement anormal de l’administration de la justice, l’intéressé adresse sa demande d’indemnisation directement au ministère de la Justice. Cette requête est examinée selon les dispositions applicables en matière de responsabilité patrimoniale de l’État. La décision du ministère de la Justice peut faire l’objet d’un recours contentieux-administratif. Le droit de demander une indemnisation se prescrit dans un délai d’un an à compter du jour où il peut être exercé. »
Article 294 § 1
« 1. Toute personne qui, après avoir été placée en détention provisoire, est acquittée en raison de l’inexistence des faits imputés, ou fait l’objet d’un non-lieu définitif pour ce motif, a droit à des indemnités lorsqu’elle a subi un préjudice.
2. Le montant de l’indemnisation est fixé compte tenu de la durée de la privation de liberté et des conséquences personnelles et familiales subies.
3. La demande d’indemnisation est traitée conformément aux dispositions de l’article 293 § 2. »
29. Le code de procédure pénale
Article 635
« La personne possédant un bien au moment de la saisie par le juge d’instruction est présumée propriétaire du bien en question ».
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 2 DE LA CONVENTION
30. Le requérant se plaint du refus des juridictions espagnoles de lui accorder l’indemnisation qu’il réclama au titre de la détention provisoire subie. Il conteste les critères qui ressortent du droit et de la jurisprudence internes pour ouvrir le droit au dédommagement en cas de détention provisoire. Il allègue la violation des articles 6 §§ 1 et 2 de la Convention et 3 du Protocole no 7. Les dispositions citées sont libellées, dans leurs parties pertinentes, comme suit :
Article 6 de la Convention
« 1. Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil, soit du bien-fondé de toute accusation en matière pénale dirigée contre elle. (…)
2. Toute personne accusée d’une infraction est présumée innocente jusqu’à ce que sa culpabilité ait été légalement établie. (…) »
Article 3 du Protocole no 7
« Lorsqu’une condamnation pénale définitive est ultérieurement annulée, ou lorsque la grâce est accordée, parce qu’un fait nouveau ou nouvellement révélé prouve qu’il s’est produit une erreur judiciaire, la personne qui a subi une peine en raison de cette condamnation est indemnisée, conformément à la loi ou à l’usage en vigueur dans l’État concerné, à moins qu’il ne soit prouvé que la non-révélation en temps utile du fait inconnu lui est imputable en tout ou en partie. »
31. La Cour estime opportun d’examiner ce grief sous l’angle de l’article 6 § 2 de la Convention. Elle note que l’Espagne n’avait pas ratifié le Protocole no 7 au moment des faits. Par ailleurs, la Cour rappelle que la situation observée en l’espèce n’est pas comparable à celle que régit l’article 3 du Protocole no 7, lequel vaut uniquement pour une personne ayant subi une peine en raison d’une condamnation imputable à une erreur judiciaire (Sekanina c. Autriche, 25 août 1993, § 25, série A no 266-A).
A. Sur la recevabilité
32. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Argument des parties
33. Le requérant fait valoir qu’il a accompli cent trente-cinq jours de détention provisoire pour des faits qui étaient inexistants, et pour lesquels les juridictions internes ont refusé de l’indemniser. Il soutient que le fait d’avoir été acquitté par les juridictions pénales faute de preuves ne signifie pas que les faits délictueux qui lui étaient imputés avaient eu lieu. Pour le requérant, les juridictions pénales auraient utilisé ce motif (l’absence de preuves suffisantes) pour éviter que les préjudices subis en raison de la détention provisoire dont il a fait l’objet puissent être indemnisés. Il conteste la distinction faite par les juridictions internes entre « inexistence objective » et « inexistence subjective » du délit, selon laquelle seules ont droit à une indemnisation les personnes ayant été acquittées en raison de l’inexistence objective des faits imputés, soit parce que les faits ne se sont pas produits soit parce qu’ils n’étaient pas constitutifs d’un délit.
34. Le Gouvernement rappelle que la Convention ne donne pas à l’ « accusé » un droit à réparation pour une détention provisoire régulière en cas de non condamnation (Englert c. Allemagne, 25 août 1987, série A no 123). Cette conclusion est confirmée par l’article 5 § 5 de la Convention, qui reconnaît le droit à la réparation seulement en cas de privation de liberté dans des conditions contraires aux dispositions de l’article 5. Le Gouvernement souligne que le droit à être dédommagé pour une détention provisoire en cas d’acquittement découle du droit national : en droit espagnol, une telle réparation est prévue par l’article 121 de la Constitution et les articles 292 et suivants de la LOPJ. D’après ces dispositions, pour que les préjudices subis en raison d’une détention provisoire puissent être indemnisés, il est nécessaire que l’acquittement ou la révocation de la condamnation soient prononcés en vertu de motifs déterminés, et non pas uniquement en raison de l’absence de preuves à charge. Le Gouvernement observe qu’en l’espèce, tant le ministère de la Justice que les juridictions contentieuses-administratives ayant examiné la demande du requérant se sont limités à constater que son acquittement se fondait exclusivement sur la présomption d’innocence, c’est-à-dire sur l’absence de preuves à charge, et non pas sur l’inexistence objective ou subjective du fait délictueux. Les conditions prévues par l’article 294 de la LOPJ ne se trouvaient donc pas remplies. Le Gouvernement soutient que les juridictions internes ne se sont aucunement prononcées sur la culpabilité du requérant et que leurs décisions ne relèvent pas du domaine pénal, mais du domaine patrimonial et contentieux-administratif. Il précise que, à la différence de l’affaire Puig Panella c. Espagne, no 1483/02, 25 avril 2006, où le requérant avait purgé totalement la peine de privation de liberté lorsque les décisions de condamnation furent annulées, dans la présente espèce la détention provisoire subie par le requérant n’a pas dépassé les strictes limites prévues par la loi.
2. Appréciation de la Cour
35. La Cour rappelle d’emblée que la présomption d’innocence se trouve méconnue si une décision judiciaire concernant un prévenu reflète le sentiment qu’il est coupable, alors que sa culpabilité n’a pas été légalement établie au préalable. Il suffit, même en l’absence de constat formel, d’une motivation donnant à penser que le juge considère l’intéressé comme coupable (voir, parmi beaucoup d’autres, Puig Panella, précité, § 51).
36. En outre, la Cour rappelle que le champ d’application de l’article 6 § 2 ne se limite pas aux procédures pénales qui sont pendantes, mais s’étend aux procédures judiciaires consécutives à l’acquittement définitif de l’accusé (voir, parmi beaucoup d’autres, les arrêts Sekanina, précité, Rushiti c. Autriche, no 28389/95, 21 mars 2000, et Lamanna c. Autriche, no 28923/95, 10 juillet 2001) dans la mesure où les questions soulevées dans ces procédures constituaient un corollaire et un complément des procédures pénales concernées dans lesquelles le requérant avait la qualité « d’accusé ». Bien que ni l’article 6 § 2 ni aucune autre clause de la Convention ne donne droit à réparation pour une détention provisoire régulière en cas d’acquittement (voir, mutatis mutandis, Dinares Peñalver c. Espagne (déc.), no 44301/98, 23 mars 2000), l’expression de soupçons sur l’innocence d’un accusé n’est plus acceptable après un acquittement devenu définitif (voir, dans ce sens, Sekanina, précité, § 30). La Cour a déjà eu l’occasion de souligner qu’une fois l’acquittement devenu définitif – même s’il s’agit d’un acquittement au bénéfice du doute conformément à l’article 6 § 2 – l’expression de doutes sur la culpabilité, y compris ceux tirés des motifs de l’acquittement, ne sont pas compatibles avec la présomption d’innocence (Rushiti, précité, § 31). En effet, des décisions judiciaires postérieures ou des déclarations émanant des autorités publiques peuvent soulever un problème sous l’angle de l’article 6 § 2, si elles équivalent à un constat de culpabilité qui méconnaît, délibérément, l’acquittement préalable de l’accusé (voir Del Latte c. Pays-Bas, no 44760/98, § 30, 9 novembre 2004).
37. De plus, la Cour note qu’en vertu du principe « in dubio pro reo », lequel constitue une expression particulière du principe de la présomption d’innocence, aucune différence qualitative ne doit exister entre une relaxe faute de preuves et une relaxe résultant d’une constatation de l’innocence de la personne ne faisant aucun doute. En effet, les jugements d’acquittement ne se différencient pas en fonction des motifs qui sont à chaque fois retenus par le juge pénal. Bien au contraire, dans le cadre de l’article 6 § 2 de la Convention, le dispositif d’un jugement d’acquittement doit être respecté par toute autorité qui se prononce de manière directe ou incidente sur la responsabilité pénale de l’intéressé (Vassilios Stavropoulos c. Grèce, no 35522/04, § 39, 27 septembre 2007). Par ailleurs, le fait d’exiger d’une personne qu’elle apporte la preuve de son innocence dans le cadre d’une procédure d’indemnisation pour détention provisoire apparaît déraisonnable et révèle une atteinte à la présomption d’innocence (Capeau c. Belgique, no 42914/98, § 25, CEDH 2005-I).
38. La Cour constate que la présente affaire se distingue de l’affaire Puig Panella, citée par le Gouvernement, où la demande d’indemnisation avait été introduite par le requérant suite à un arrêt du Tribunal constitutionnel ayant annulé, une fois la peine de prison purgée, les décisions de condamnation dont il avait fait l’objet. Or, dans la présente espèce, le requérant a été acquitté en appel et n’a jamais purgé une peine de prison ferme. Malgré ces différences, la Cour est aussi appelée dans le cas d’espèce à examiner si, par leur manière d’agir, par les motifs de leurs décisions ou par le langage utilisé dans leur raisonnement, le ministère de la Justice et les juridictions internes ont jeté des soupçons sur l’innocence du requérant et ont ainsi porté atteinte au principe de la présomption d’innocence, tel que garanti par l’article 6 § 2 de la Convention (Puig Panella, précité, § 54).
39. La Cour constate que le ministre de la Justice et de l’Intérieur, dans sa décision du 17 novembre 1995, s’est appuyé sur le fait que le requérant avait été acquitté en appel faute de preuves à charge suffisantes et non pour l’inexistence objective ou subjective du fait délictueux. Pour repousser la demande d’indemnisation du requérant, le ministre a fait observer que d’après l’arrêt d’acquittement, « la non participation du requérant aux faits délictueux n’avait pas été suffisamment établie » (voir § 18 ci-dessus). Bien qu’elle repose sur l’article 294 § 1 de la LOPJ, lequel prévoit que seules ont droit à une indemnisation les personnes ayant été acquittées ou ayant fait l’objet d’un non-lieu définitif en raison de l’inexistence des faits qui leur étaient imputés, une telle motivation, sans nuance ni réserve, laisse planer un doute sur l’innocence du requérant (Puig Panella, précité, § 55). La Cour considère que ce raisonnement, opérant une distinction entre un acquittement faute de preuves et un acquittement résultant d’une constatation de l’inexistence des faits délictueux, méconnaît l’acquittement préalable de l’accusé, dont le dispositif doit être respecté par toute autorité judiciaire, quels que soient les motifs retenus par le juge pénal (voir Vassilios Stavropoulos, précité, § 39).
40. La Cour relève par ailleurs que le raisonnement du ministre de la Justice et de l’Intérieur a été confirmé ultérieurement par les juridictions internes saisies, qui ont souscrit à cette analyse. Les juridictions contentieuses-administratives n’ont fait que suivre la jurisprudence constante en matière d’application de l’article 294 de la LOPJ, fondée sur le critère de l’inexistence subjective, c’est-à-dire de l’absence prouvée de participation de l’acquitté aux faits délictueux. Par conséquent, les juridictions internes, entérinant le raisonnement du ministre en application de cette jurisprudence, n’ont pas porté remède au problème qui se posait (voir, mutatis mutandis, Ismoïlov et autres c. Russie, no 2947/06, § 169, 24 avril 2008).
41. Ces éléments suffisent à la Cour pour conclure qu’il y a eu violation de l’article 6 § 2 de la Convention.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
42. Le requérant se plaint également de la disparition et de l’endommagement de ses biens saisis dans le cadre de la procédure pénale pour recel. Il invoque l’article 1 du Protocole no 1, ainsi libellé :
Article 1 du Protocole no 1
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les États de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
43. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
44. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité (voir Fernandez-Molina Gonzalez et autres c. Espagne (déc.), no 64359/01, CEDH 2002-IX, et Oubiña Lago c. Espagne (déc.), no 11452/05, 10 juin 2008). Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
45. Le requérant souscrit à l’opinion dissidente jointe à l’arrêt du Tribunal suprême du 27 janvier 2003, dans laquelle deux magistrats ont estimé que la charge de la preuve concernant la disparition ou la détérioration alléguée des biens saisis devait peser sur l’administration de justice (voir ci-dessus, § 23).
46. Le Gouvernement soutient que, tel qu’ont relevé le ministre de la Justice et de l’Intérieur et les juridictions nationales, le requérant n’avait pas apporté les preuves nécessaires pour que la disparition ou la détérioration alléguée des biens saisis puisse être établie. Il affirme que les preuves produites par le requérant n’ont pas été considérées suffisantes pour établir la responsabilité patrimoniale de l’administration de justice.
47. La Cour rappelle que la rétention des biens saisis par les autorités judiciaires dans le cadre d’une procédure pénale doit être examinée sous l’angle du droit pour l’État de réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général, au sens du second paragraphe de l’article 1 du Protocole no 1 (Smirnov c. Russie, no 71362/01, § 54, CEDH 2007-VII, Adamczyk c. Pologne (déc.), no 28551/04, 7 novembre 2006, et Borjonov c. Russie, no 18274/04, § 57, 22 janvier 2009). Elle constate qu’en l’espèce, la saisie cherchait non pas à priver le requérant de ses biens, mais seulement à l’empêcher d’en user de façon temporaire, dans l’attente de l’isssue de la procédure pénale.
48. La Cour observe que rien dans le dossier ne permet d’établir que la saisie et la rétention des biens litigieux n’avait pas une base légale. Elle relève que l’ingérence avait pour but de garantir la satisfaction des demandes que d’éventuelles parties civiles auraient pu chercher à formuler (voir, mutatis mutandis, Földes et Földesné Hajlik c. Hongrie, no 41463/02, § 26, CEDH 2006-XII). A cet égard, la Cour admet que la saisie et la rétention des biens objet d’une infraction pénale puisse être nécessaire dans l’intérêt d’une bonne administration de la justice, qui constitue un but légitime relevant de “l’intérêt général” de la communauté (voir, mutatis mutandis, Smirnov, précité, § 57).
49. Toutefois, la Cour rappelle qu’il doit y avoir un rapport raisonnable de proportionnalité entre le moyen employé et le but poursuivi par les mesures éventuellement appliquées par l’État, y compris celles destinées à contrôler l’usage de la propriété individuelle. Cette exigence s’exprime dans la notion de « juste équilibre » à ménager entre les impératifs de l’intérêt général de la communauté d’une part et les exigences de la protection des droits fondamentaux de l’individu d’autre part (voir Smirnov, précité, § 57). Par ailleurs, nonobstant le silence de l’article 1 du Protocole no 1 en matière d’exigences procédurales, les procédures applicables en l’espèce doivent aussi offrir à la personne concernée une occasion adéquate d’exposer sa cause aux autorités compétentes afin de contester effectivement les mesures portant atteinte aux droits garantis par cette disposition. Pour s’assurer du respect de cette condition, il y a lieu de considérer les procédures applicables d’un point de vue général (Zehentner c. Autriche, no 20082/02, § 73, CEDH 2009-…).
50. La Cour a déjà affirmé que toute saisie entraîne un dommage, lequel ne doit toutefois pas dépasser les limites de l’inévitable (Raimondo c. Italie, 22 février 1994, § 33, série A no 281-A). Elle a reconnu en outre que le propriétaire acquitté du chef de contrebande doit en principe avoir le droit de recouvrer les articles saisis à la suite de sa relaxe (Jucys c. Lituanie, no 5457/03, § 36, 8 janvier 2008).
51. Il est vrai que l’article 1 du Protocole no 1 ne consacre pas un droit pour la personne acquittée d’obtenir réparation pour tout dommage résultant de la saisie de ses biens effectuée au cours de l’instruction dans une procédure pénale (voir Adamczyk, décision précitée, et Andrews c. Royaume-Uni (déc.), no 49584/99, 26 septembre 2002). Toutefois, lorsque les autorités judiciaires ou de poursuite saisissent des biens, elles doivent prendre les mesures raisonnables nécessaires à leur conservation, notamment en dressant un inventaire des biens et de leur état au moment de la saisie ainsi que lors de leur restitution au propriétaire acquitté. Par ailleurs, la législation interne doit prévoir la possibilité d’entamer une procédure contre l’État afin d’obtenir réparation pour les préjudices résultant de la non-conservation de ces biens dans un relativement bon état (voir Karamitrov et autres c. Bulgarie, no 53321/99, § 77, 10 janvier 2008, se référant à l’article 13 de la Convention, et Novikov c. Russie, no 35989/02, § 46, 18 juin 2009). Encore faut-il que cette procédure soit effective, pour permettre au propriétaire acquitté de défendre sa cause.
52. En l’occurrence, la Cour observe que le requérant a entamé une action à l’encontre de l’État pour l’endommagement des biens saisis et recouvrés après son acquittement, ainsi que pour la disparition d’une partie des biens saisis et non restitués, sur la base de l’article 292 de la LOPJ relatif au fonctionnement anormal de la justice. La Cour rappelle que c’est au premier chef aux autorités nationales, et notamment aux cours et tribunaux, qu’il incombe d’interpréter les faits et la législation interne, et la Cour ne substituera pas sa propre appréciation des faits et du droit à la leur en l’absence d’arbitraire (voir, entre autres, Tejedor García c. Espagne, 16 décembre 1997, § 31, Recueil des arrêts et décisions 1997-VIII). Par ailleurs, il appartient aux États contractants de définir les conditions du droit à réparation en cas de préjudices résultant d’une saisie (Adamczyk, décision précitée).
53. Cela étant, la Cour note qu’en l’espèce, dans l’acte de restitution du 22 janvier 1994 le requérant fit état de la disparition de certains biens, ainsi que de la détérioration de tous les biens recouvrés. Elle observe en outre que dans cet acte, le greffier du juge d’instruction no 1 de La Orotava constata le mauvais état de plusieurs objets. Par ailleurs, il ressort du dossier que certaines demandes de restitution du juge d’instruction à des tiers ayant reçu des biens saisis en 1986 furent infructueuses. A cet égard, la Cour note que ces biens avaient été remis aux prétendues victimes en qualité de dépôt, dans l’attente de l’issue de la procédure pénale engagée à l’encontre du requérant. Or, les autorités nationales, et en dernier ressort le Tribunal suprême, ont rejeté la réclamation du requérant, au motif que ce dernier n’avait pas prouvé la disparition et la détérioration des biens saisis.
54. Dans les circonstances de l’espèce, la Cour estime que la charge de la preuve concernant la situation des biens saisis manquants ou dégradés incombait à l’administration de justice, responsable de la conservation des biens pendant toute la période de la saisie, et non au requérant, acquitté plus de sept ans après la saisie des biens. L’administration de justice n’ayant fourni après l’acquittement du requérant aucune justification sur la disparition et la dégradation des biens saisis, les préjudices résultant de la saisie lui sont imputables.
55. La Cour constate que les juridictions internes qui ont examiné la réclamation du requérant n’ont ni tenu compte de la responsabilité de l’administration de justice dans les faits de la cause ni permis au requérant d’obtenir réparation pour les préjudices résultant de la non-conservation des biens saisis.
56. Aux yeux de la Cour, les autorités internes ayant refusé l’indemnisation réclamée par le requérant ont fait peser sur le requérant une charge disproportionnée et excessive.
57. Par conséquent, il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DES AUTRES ARTICLES DE LA CONVENTION
58. Invoquant les articles 3 et 5 de la Convention, le requérant se plaint également d’avoir été placé en détention provisoire pour un délit mineur, alors qu’il était résident en Espagne, marié à une ressortissante espagnole, laquelle était enceinte au moment des faits. Il fait grief aux autorités espagnoles de l’avoir traité comme un délinquant vulgaire et récidiviste.
59. Invoquant l’article 8 de la Convention, le requérant se plaint enfin des multiples violations de son droit au respect de sa vie privée et familiale, de son domicile et de sa correspondance.
60. La Cour a examiné ces griefs tels qu’ils ont été présentés par le requérant. Compte tenu de l’ensemble des éléments en sa possession, elle n’a relevé aucune apparence de violation des droits et libertés garantis par la Convention ; ces griefs sont manifestement mal fondés et doivent être rejetés en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
IV. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
61. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Réparation sollicitée en l’espèce
62. Dans ses observations, le requérant sollicite une indemnisation pour, d’une part, les cent trente-cinq jours passés en détention provisoire, et d’autre part, la valeur des biens saisis et non recouvrés, conformément à l’expertise privée apportée par lui dans le cadre de la procédure interne. Il renvoie à son formulaire de requête. Dans son formulaire de requête, le requérant avait demandé un montant de 836 257,90 EUR, assortis d’intérêts, au titre du préjudice matériel qu’il aurait subi du fait de la saisie de ses biens. Il avait demandé en outre 300 000 EUR, assortis d’intérêts, au titre du dommage moral subi, plus 67 500 EUR au titre des cent trente-cinq jours passés en prison. Le requérant avait demandé une somme globale ne pouvant être inférieure à 2 000 000 EUR.
63. Le requérant demande également que le Gouvernement soit condamné à payer les frais et dépens, sans les chiffrer. Il n’a pas fourni de notes de frais.
64. Le Gouvernement considère excessive et non justifiée la somme réclamée par le requérant. Il soutient que le requérant n’a pas apporté de nouveaux arguments, se limitant à reproduire les demandes présentées devant les tribunaux nationaux.
65. Le Gouvernement n’a formulé aucun commentaire particulier concernant les frais et dépens.
B. Conclusion de la Cour
66. La Cour souligne qu’en vertu de l’article 60 de son règlement, toute prétention en matière de satisfaction équitable doit être chiffrée et ventilée par rubrique, exposée par écrit et accompagnée des justificatifs nécessaires, dans le délai imparti au requérant pour la présentation de ses observations sur le fond, « faute de quoi [elle] peut rejeter la demande, en tout ou en partie ».
1. Dommage matériel
67. Eu égard aux circonstances de l’espèce, la Cour ne s’estime pas suffisamment éclairée sur les critères à appliquer pour évaluer le préjudice matériel subi par le requérant, s’agissant notamment des biens dégradés du fait de la saisie. Elle considère dès lors que la question de l’indemnisation du dommage matériel ne se trouve pas en état, de sorte qu’il convient de la réserver en tenant compte de l’éventualité d’un accord entre l’État défendeur et le requérant.
2. Dommage moral
68. La Cour estime que le requérant a subi, en raison des violations constatées, un dommage moral qui ne peut pas être réparé par le simple constat de violation qu’elle formule. Statuant en équité, comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour octroie au requérant la somme de 15 600 EUR, pour dommage moral.
3. Frais et dépens
69. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux (Gómez de Liaño y Botella c. Espagne, no 21369/04, § 86, 22 juillet 2008). En l’espèce, le requérant n’a pas soumis des notes de frais à la Cour pour étayer sa demande. En conséquence, la Cour estime qu’il n’y a pas lieu de lui accorder une somme à ce titre.
4. Intérêts moratoires
70. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant aux griefs tirés de l’article 6 § 2 de la Convention et de l’article 1 du Protocole no 1 et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 2 de la Convention ;
3. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
4. Dit que la question de l’application de l’article 41 de la Convention ne se trouve pas en état en ce qui concerne la demande du requérant pour dommage matériel et, en conséquence,
a) la réserve en entier ;
b) invite le Gouvernement et le requérant à lui soumettre par écrit leurs observations sur la question dans un délai de trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention et, en particulier, à lui donner connaissance de tout accord auquel ils pourraient aboutir ;
c) réserve la procédure ultérieure et délègue au président de la chambre le soin de la fixer au besoin.
5. Dit,
a) que l’État défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 15 600 EUR (quinze mille six cents euros), pour dommage moral, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
6. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 13 juillet 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Greffier Président

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    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
    - Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI

Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 14/09/2024