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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE SUD EST REALISATIONS c. FRANCE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, P1-1
Numero: 6722/05/2010
Stato: Francia
Data: 2010-12-02 00:00:00
Organo: Sezione Quinta
Testo Originale

Conclusione Parzialmente inammissibile; Violazione di P1-1; Danno patrimoniale – domanda respinta; Danno morale – risarcimento
QUINTA SEZIONE
CAUSA SUD EST REALISATIONS C. FRANCIA
( Richiesta no 6722/05)
SENTENZA
STRASBURGO
2 dicembre 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Sud Est Realisations c. Francia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, quinta sezione, riunendosi in una camera composta da:
Peer Lorenzen, presidente, Renate Jaeger, Jean-Paul Costa, Rait Maruste, Marco Villiger, Isabelle Berro-Lefèvre, Zdravka Kalaydjieva, giudici,
e da Claudia Westerdiek, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 9 novembre 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 6722/05) diretta contro la Repubblica francese e in cui una società di diritto francese, la società OMISSIS (“la richiedente”), ha investito la Corte il 19 gennaio 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. La richiedente è rappresentata da C. P., avvocato a Parigi. Il governo francese (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Belliard, direttrice delle cause giuridiche al ministero delle Cause estere.
3. La richiedente adduce in particolare la violazione del suo diritto al rispetto dei suoi beni, garantito dall’articolo 1 del Protocollo no 1, in ragione del rifiuto delle autorità dal 1994 di accordarle il concorso della forza pubblica per fare evacuare degli occupanti senza titolo.
4. Il 29 agosto 2007, la Corte ha deciso di comunicare il motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1 al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. La richiedente è una società a responsabilità limitata di diritto francese che esercita l’attività di agente immobiliare e ha la sua sede sociale a Pertuis (Francia).
A. I fatti
6. Con giudizio del 19 novembre 1992, rettificato il 16 dicembre 1993, la corte d’appello di Digne aggiudicò alla richiedente, all’ asta pubblica, una proprietà agricola ubicata nei comuni di Lurs e Pierrerue, nelle Alpi dell’ Alta – Provenza, comprendente degli edifici abitativi e fabbricati agricoli così come dei terreni di una capienza totale di 36 ha, 67 a e 77 ca, per un prezzo di 270 000 franchi francesi (FRF), o 41 161 euro (EUR).
Rivestito della formula esecutiva, questo giudizio ordinava inoltre “alla notifica del presente giudizio a tutti i detentori o possessori di abbandonare i beni di cui si trattava a profitto dell’appaltatore sotto pena di venire costretti tramite sfratto od ogni altro mezzo legale.” Questa asta pubblica intervenne su richiesta della mutualità sociale agricola contro i vecchi proprietari, i coniugi C. Il giudizio di aggiudicazione fu notificato loro il 3 dicembre 1992. Negarono di lasciare i luoghi malgrado un bando del 2 dicembre 1992
7. Con giudizio del 22 marzo 1993, la corte d’appello di Forcalquier, dopo avere constatato che A. C. non compariva e che la sua occupazione abusiva dei luoghi non era contestata, lo condannò a pagare alla richiedente un’indennità di occupazione mensile di 6 000 FRF, 915 EUR, a contare del 19 gennaio 1993 e liquidò a 9 096,77 FRF, 1387 EUR, la somma dovuta dal 3 dicembre 1992 al 19 gennaio 1993. A. C. non eseguì questo giudizio.
B. I tentativi di esecuzione e le istanze di concorso della forza pubblica
8. Il 22 aprile 1993, la richiedente fece rilasciare ai coniugi C. un precetto di lasciare i luoghi che restò senza seguito. Suddetto precetto fu denunciato il seguente 6 maggio al viceprefetto di Forcalquier dall’ufficiale giudiziario di giustizia.
9. Il 9 settembre 1993, l’ufficiale giudiziario investì il procuratore della Repubblica delle difficoltà incontrate, chiedendo l’assistenza della forza pubblica per procedere ad un tentativo di sfratto del Sig. C., nella misura in cui questo ultimo era di ” pubblico dominio aggressivo e pericoloso” ed aveva facilmente “tendenza ad estrarre il fucile.” L’ufficiale giudiziario chiedeva di essere assistito dai carabinieri di Forcalquier a titolo preventivo per garantire la sua protezione. Il seguente 21 settembre, questa istanza fu trasmessa dal procuratore della Repubblica al prefetto delle Alpi dell’Alta – Provenza con l’indicazione che i motivi menzionati sembravano ” più seri”; nessun seguito fu dato dal prefetto.
10. L’ 8 aprile 1994, l’ufficiale giudiziario tentò di procedere allo sfratto dei coniugi C. che si opposero dichiarando “che non avrebbero mai lasciato la loro proprietà per furto e truffa”, ciò di cui l’ufficiale giudiziario redasse verbale.
11. Il 12 aprile 1994 l’ufficiale giudiziario notificò un verbale di requisizione della forza pubblica al viceprefetto di Forcalquier che non diede seguito nel termine dei due mesi assegnati.
12. Con lettera del suo avvocato del 22 luglio 1994, la richiedente indirizzò al viceprefetto un’istanza preliminare di indennizzo del suo danno, che valutava il totale ad una somma di 303 753 FRF (46 307 EUR) comprendente l’indennità mensile di occupazione, così come diverse indennità, per degradazione dell’immobile ed immobilizzazione dei capitali, ed oneri. La richiedente sosteneva che l’amministrazione dava prova di una mansuetudine sorprendente a riguardo del Sig. C. e che non vedeva in che cosa lo sfratto dava problemi, nella misura in cui il Sig. C. disponeva, per rialloggiarsi, di una casa di cui era il proprietario in comunione. Con lettera di rettifica del 28 luglio 1994, la richiedente precisò che l’importo chiesto era di 262 010 FRF (39 943 EUR).
13. Con lettera del 12 agosto 1994, il viceprefetto di Forcalquier rispose di non contestare la forma né il merito del giudizio di aggiudicazione. Si oppose all’affermazione del richiedente relativo alla mansuetudine dell’amministrazione, indicando in particolare che, contrariamente a ciò che sosteneva, il Sig. C. “non [estraeva] il fucile impunemente in ogni occasione”, ciò che aveva preso cura di verificare presso la gendarmeria di Digne. Pure concludendo che la situazione non avrebbe dovuto perdurare e che ciascuno avrebbe dovuto cercare la migliore soluzione rispettosa degli interessi di tutti, aggiunse:
“(…) uno sfratto, se arriva all’esecuzione di un giudizio, deve tuttavia essere fatto nelle condizioni che preservano l’ordine e la sicurezza pubblica. Queste condizioni sono soggette alla valutazione del prefetto e questo stima ad oggi che lo sfratto del Sig. C. sarebbe suscettibile di indurre dei gravi disturbi all’ordine pubblico. “
14. Il 6 marzo 1993 e l’8 gennaio 1994, la richiedente vendette grande parte dei terreni, 31 ha circa, così come un capanno, per i prezzi rispettivi di 85 000 FRF (12 958 EUR) e 175 000 FRF (26 679 EUR).
15. Il 30 settembre 1997, concluse una vendita ferma e definitiva sulla parte rimasta della proprietà al prezzo di 600 000 FRF (91 469 EUR) che diventò nulla in seguito, per mancanza di sgombero dei luoghi. Il 3 ottobre 1997, sollecitò il concorso della forza pubblica presso il prefetto. In risposta, il 8 ottobre 1997, il viceprefetto di Forcalquier le indicò che, essendo la causa oggetto di un contenzioso dinnanzi al tribunale amministrativo, non desiderava interferire nel suo svolgimento e che la sua decisione sarebbe stata presa quando la giurisdizione amministrativa avrebbe deciso la controversia.
16. L’ 11 gennaio 1999, in risposta ad una nuova istanza di concorso della forza pubblica, il prefetto delle Alpi dell’Alta – Provenza indicò al richiedente che trasmetteva la sua istanza al viceprefetto di Forcalquier, e precisò che questo ricercava “attivamente tramite i servizi sociali una soluzione di rialloggio per la famiglia C. per sgomberarla al più presto (“la proprietà”).
17. Il 24 settembre 2002, in risposta ad una nuova istanza di concorso della forza pubblica, il prefetto indicò alla richiedente che, se tale istanza non era stata accordata ad oggi, era in ragione dei “rischi di gravi disturbi all’ordine pubblico” che era impossibile allontanare in caso di esecuzione della decisione di giustizia, dal momento che il Sig. C. aveva fatto sapere “sempre chiaramente che si sarebbe difeso con le armi.” Aggiunse che il viceprefetto di Forcalquier avrebbe ricercato, “per i mesi a venire, una soluzione in collegamento con l’associazione Solidarietà Contadine affinché lo sfratto del Sig. C. potesse effettuarsi senza creare disordini.”
18. Il 9 settembre 2005, la richiedente firmò un compromesso di vendita sulla parte restante della proprietà in causa, al prezzo di 220 000 EUR, alla condizione sospensiva che i beni venduti venissero sgomberati prima del 15 novembre 2005. A questo fine, introdusse il 12 settembre 2005 una nova istanza di concessione della forza pubblica presso il prefetto e il viceprefetto. Con lettera del 25 novembre 2005, questo ultimo negò di fare diritto, tenuto conto dei rischi di agitazioni all’ordine pubblico. La vendita diventò allora nulla.
C. I procedimenti dinnanzi alle giurisdizioni amministrative
1. Procedimento al merito
19. Il 9 settembre 1994, la richiedente investì il tribunale amministrativo di Marsiglia di un ricorso teso affinché lo stato venisse condannato a pagarle come risarcimento del suo danno diverse indennità di un importo totale di 525 733 FRF (80 147 EUR) abbinate ad interessi al tasso legale.
20. Con giudizio del 2 febbraio 1996, il tribunale ricordò che un giudicabile fornito di una sentenza giudiziale rivestita della formula esecutiva era in diritto di ottenere il concorso della forza pubblica per garantire l’esecuzione del titolo che gli era stato rilasciato e che, se l’autorità amministrativa aveva il dovere di valutare le condizioni di questa esecuzione ed il diritto di rifiutare il concorso della forza pubblica finché stimava che c’era pericolo per l’ordine e la sicurezza, il danno suscettibile di risultare da questo rifiuto non poteva essere riguardato come un carico incombente sull’interessato se la situazione si era prolungata al di là del termine di cui l’amministrazione doveva disporre normalmente tenuto conto delle circostanze.
21. Nello specifico, il tribunale considerò che l’astensione dell’autorità amministrativa impegnava la responsabilità dello stato verso la società richiedente a contare dal 12 giugno 1994, data di scadenza del termine di due mesi di cui l’amministrazione disponeva nelle circostanze dello specifico per esercitare la sua azione.
Il tribunale rilevò poi che il danno risultante per la richiedente dall’occupazione indebita del suo bene era stato fissato dal giudice giudiziale a 6 000 FRF mensili (915 EUR) ma che, in seguito alla vendita della più grande parte della proprietà, c’era luogo di ordinare una perizia per determinare l’importo del danno risultante dall’occupazione indebita della parte restante. Il tribunale respinse peraltro il surplus delle richieste della richiedente, nella misura in cui erano legate all’acquisto del bene o alla controversia privata col Sig. C., ed allontanò anche il capo di danno legato al deterioramento degli edifici.
22. Il perito depositò il suo rapporto il 7 marzo 1997. Con giudizio del 23 giugno 1998, il tribunale si espresse come segue sull’indennità di occupazione e sul danno finanziario risultante dall’indisponibilità del bene indebitamente occupato:
“Considerando che non risulta dall’istruzione che il perito nominato avrebbe commesso degli errori di valutazione stimando che la proprietà della società non può, tenuto conto dello stato di vetustà e della mancanza di attrezzature dell’alloggio che comprende, essere posta sul mercato locativo di abitazione e valutando, in mancanza di altra possibilità, il suo valore locativo mensile in funzione di una destinazione agricola, o 508, 36 franchi nel 1994 e, dopo attualizzazione, 539, 24 franchi a partire dal 1995;
Considerando che la società richiedente non giustifica essere stata, in ragione della carenza dell’amministrazione, impossibilitata a cedere la proprietà in causa prima del 30 settembre 1997, data in cui una vendita ha potuto essere conclusa sotto condizione sospensiva dello sgombero dei luoghi; che così, c’è luogo, per il periodo che si estende dal 12 giugno 1994 al 30 settembre 1997, di valutare il danno subito, in funzione degli elementi forniti dal perito giudiziale e di determinarlo nella somma di 21 140 franchi [3 224 EUR]; che, per il periodo posteriore al 30 settembre 1997, il mantenimento degli occupanti senza titolo nei luoghi avendo provocato la caducità della suddetta vendita, la società richiedente è autorizzata a chiedere che il suo danno finanziario venga rivalutato mensilmente sulla base del valore venale del bene; che la mensilità deve essere fissata alla somma di 3 250 franchi [495 EUR]; che lo stato dovrà versare queste mensilità fino allo sgombero dei luoghi se questo è intervenuto prima della data del presente giudizio, fino a questa data in caso contrario “
23. Il tribunale abbinò questa indennità a degli interessi al tasso legale, condannò lo stato a versare alla richiedente la somma di 5 000 FRF, 762 EUR, a titolo degli oneri di procedimento non compresi nelle spese e mise a suo carico gli oneri di perizia; respinse peraltro le istanze della richiedente che prevedevano il risarcimento del danno risultante dal deterioramento degli edifici, il rimborso degli oneri diversi, relativi agli oneri di ufficiale giudiziario e di assicurazione, alle imposte fondiarie, alle perizie finanziate privatamente ed alla fattura di consumazione di acqua messa a carico della richiedente, ed il sussidio di danno-interessi.
24. Con sentenza del 8 dicembre 2003, la corte amministrativa di appello di Marsiglia annullò il giudizio del 23 giugno 1998 in quanto aveva omesso di deliberare sulle conclusioni della richiedente relative alla concessione di danno-interessi in risarcimento della mancanza risultante dal rifiuto di accordarle il concorso della forza pubblica.
Dopo avere menzionato questo capo di richiesta, la corte di appello lo respinse in questi termini:
“Considerando che, nelle circostanze dello specifico, tenuto conto dei disturbi all’ordine pubblico che rischiava di provocare lo sfratto costretto del Sig. e della Sig.ra C., in ragione del comportamento violento del Sig. C. e della situazione sociale estremamente difficile della coppia che è stabilita dall’istruzione, l’amministrazione non può essere ritenuta come se avesse commesso una pesante mancanza di natura tale da impegnare, verso la società richiedente, la sua responsabilità;
Considerando che il danno che può nascere [dal rifiuto di accordare il concorso della forza pubblica] provocò per la beneficiaria della decisione di giustizia un carico anormale che rompeva l’uguaglianza dinnanzi alle cariche pubbliche; (…) che la società richiedente ha subito un danno di carattere anormale e speciale che giustifica il collocamento a carico dello stato, anche in mancanza di manchevolezza, di un’indennità corrispondente direttamente al danno certo imputabile all’inoperosità delle autorità della polizia; che, tuttavia, risulta dall’esame dell’insieme delle conclusioni dell’istanza dell’interessata che i danni addotti nello specifico per un importo valutato a 100 000 franchi [15 245 EUR] non sono distinti dai capi di danno di cui sollecita peraltro il risarcimento; che, quindi, questa istanza deve essere respinta. “
25. Inoltre, la corte amministrativa di appello valutò la somma relativa al danno derivato dall’immobilizzazione del capitale tra il 12 giugno 1994 ed il 30 settembre 1997 a 19 000 EUR, al posto dei 3 224 EUR accordati dal giudizio del 23 giugno 1998, l’abbinò a degli interessi legali e condannò lo stato a versare alla richiedente un’indennità di 8 269 EUR a titolo dei carichi relativi all’utilizzo dell’acqua, alle imposte fondiarie ed agli oneri di assicurazioni per l’anno 1998, così come una somma di 2 600 EUR a titolo degli oneri di procedimento non compresi nelle spese. Respinse il surplus delle sue richieste.
26. La richiedente ricorse in cassazione. In un esposto complementare ed in replica alle osservazioni del ministero dell’interno, il suo avvocato, citando la causa Matheus c. Francia (no 62740/00, 31 marzo 2005,) addusse la violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione e dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. In un ricorso incidentale, il ministro dell’interno sostenne che la responsabilità dello stato non poteva essere impegnata alla vista di un giudizio di aggiudicazione e in mancanza di un giudizio che ordinava lo sfratto degli occupanti senza titolo di proprietà della richiedente.
27. Il Consiglio di stato tenne la sua udienza il 22 settembre 2006 e, con sentenza del 25 ottobre 2006, respinse il ricorso formato dalla richiedente. Respinse anche il ricorso incidentale dello stato, al motivo che questo ultimo non aveva contestato il principio della responsabilità dello stato risultante dal giudizio del tribunale amministrativo del 2 febbraio 1996, diventato definitivo, e che era rivestito dell’autorità di cosa giudicata.
2. Procedura provvisoria
28. Il 15 settembre 2004, la richiedente investì nel frattempo, il presidente della Corte del tribunale amministrativo di Marsiglia di un’istanza tesa affinché venisse ingiunto sotto obbligo al prefetto delle Alpi dell’Alta – Provenza di accordarle il concorso della forza pubblica.
29. Con ordinanza del 17 settembre 2004, il presidente della Corte respinse la richiesta, al motivo che, se il diritto di proprietà aveva il carattere di una libertà fondamentale e che un rifiuto di esecuzione di una decisione giurisdizionale che ordinava lo sfratto degli occupanti senza titolo poteva intervenire legalmente solamente se era giustificato dalle esigenze dell’ordine pubblico, il rifiuto opposto nello specifico non appariva inficiato di un’illegalità manifesta ai sensi dell’articolo L. 521-2 del codice di giustizia amministrativa. Considerò che l’esecuzione col concorso della forza pubblica della decisione del 19 novembre 1992 sarebbe di natura tale da creare un grave disturbo all’ordine pubblico, nella misura in cui la situazione sociale senza rialloggio nella quale si trovavano i coniugi C. era estremamente difficile.
30. Investito dell’appello della richiedente, il presidente della Corte del Consiglio di stato tenne il 14 ottobre 2004 un’udienza alla quale l’avvocato della richiedente ed il ministro degli Interni furono convocati. Il 15 ottobre 2004, il giudice della camera del consiglio confermò l’ordinanza e respinse l’appello. Dopo avere ricordato che il giudizio di aggiudicazione del 19 novembre 1992 ordinava ai coniugi C. di sgomberare i luoghi, deliberò nei seguenti termini:
“Considerando che, per giustificare il rifiuto di concorso della forza pubblica, l’autorità prefettizia fa valere che M.C che è nato nel 1948, si trovava da parecchi anni in una situazione sociale e finanziaria di grande sconforto; che sua moglie con cui ha contratto matrimonio nel 1993, soffre di gravi difficoltà di salute; che M. C. che dispone di un’arma, si è distinto per un comportamento violento ed un rifiuto di dialogo con le istituzioni sia giudiziali che sociali; che si rifiuta di ammettere lo sfratto da una fattoria che sfrutta con suo padre e che è pronto a commettere, ivi compreso contro sé, degli atti gravi per opporvisi, che esistono in queste condizioni dei rischi seri tanto di espellerlo col concorso della forza pubblica che di impedirgli poi di ritornare; che i verbali della gendarmeria prodotti dinnanzi al giudice della camera del Consiglio di stato confermano la realtà di queste affermazioni; che, in queste condizioni, ed anche se l’occupazione indebita si prolunga da parecchi anni, il rifiuto di accordare il concorso della forza pubblica, fondato su dei motivi di ordine pubblico che rivestono un carattere serio, non è inficiato da un’illegalità manifesta. “
II. IL DIRITTO E LA PRATICA PERTINENTI
31. Un’esposizione del diritto e della pratica pertinente figura nella sentenza Matheus precitata (§§ 36-40).
32. L’articolo L. 521-2 del codice di giustizia amministrativa, relativo alla libertà provvisoria, si legge così:
“Investito di un’istanza in questo senso giustificata dall’emergenza, il giudice del rinvio può ordinare ogni misura necessaria alla salvaguardia di una libertà fondamentale alla quale una persona giuridica di diritto pubblico o un organismo di diritto privato incaricato della gestione di un servizio pubblico avrebbe portato, nell’esercizio di uno dei suoi poteri, un attentato grave e manifestamente illegale. Il giudice della Corte si pronuncia entro quarantotto. “
Ai termini dell’articolo L. 523-1 dello stesso codice, le ordinanze rese in applicazione dell’articolo L. 521-2 sono suscettibili di appello dinnanzi al Consiglio di stato entro quindici giorni dalla loro notifica.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
33. La richiedente si lamenta di essere stato privata dei suoi diritti sulla sua proprietà in ragione del difetto di concessione della forza pubblica da più di sedici anni. Adduce la violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che è formulato così:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
1. Argomenti delle parti
34. Il Governo solleva parecchie eccezioni preliminari. Sostiene innanzitutto che la richiedente non può invocare alcun motivo di appello derivato dalla mancanza di esecuzione di un giudizio che ordina lo sfratto dei coniugi C., dal momento che tale giudizio non è mai esistito. Sottolinea che nello specifico nessuna decisione giudiziale ha pronunciato espressamente lo sfratto dei coniugi C. -il giudizio di aggiudicazione del 19 novembre 1992 non avendo nessun carattere contenzioso e non potendo servire da fondamento ad un sfratto-mentre il diritto e la pratica interna contemplano il ricorso obbligatorio al giudice prima di ogni sfratto; cita l’articolo 61 della legge del 9 luglio 1991 così come una sentenza della Corte di cassazione del 10 luglio 2003. La richiedente non avendo chiesto lo sfratto al giudice competente per la decisione, il giudice civile, è del parere che la richiesta è manifestamente male fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione.
Il Governo solleva poi un’eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne. Stima che la procedura provvisoria del Consiglio di stato del 15 ottobre 2004 non può essere riguardata come una decisione interna definitiva ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, dal momento che la procedura provvisoria non può sostituirsi ad un procedimento al merito che permette di esaminare la legalità della misura amministrativa in causa. Inoltre, stima che, nella misura in cui la richiedente ha investito la Corte prima che il Consiglio di stato si fosse pronunciato al merito sul ricorso formato contro la sentenza della corte amministrativa di appello di Marsiglia, la richiesta dovrebbe essere allontanata come essendo prematura. Al surplus, sostiene che la richiedente non ha sollevato in sostanza dinnanzi alle giurisdizioni nazionali i motivi di appello tratti dagli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1.
35. La richiedente sostiene che non era necessario per lei sollecitare una decisione giudiziale di sfratto nella misura in cui risulta dal giudizio stesso di aggiudicazione del 19 novembre 1992 che costituisce un titolo esecutivo definitivo, un ordine formale di sfratto, come stipula la formula esecutiva apposta a suddetto giudizio su cui si basi l’istanza di concorso della forza pubblica. Parimenti, la mancanza di contestazione del procedimento di sfratto da parte dei coniugi C. ha reso legittimo il procedimento di sfratto. Peraltro, sottolinea che le giurisdizioni amministrative hanno deciso definitivamente questa questione: riconoscendo in questa caso la responsabilità dello stato in ragione del rifiuto di prestarle il concorso della forza pubblica, hanno a priori di fatto riconosciuto la legalità del procedimento di sfratto.
La richiedente fa valere peraltro che ha esaurito validamente l’insieme delle vie di ricorso interne, pure invocando espressamente o in sostanza la Convenzione. Trattandosi del ricorso al merito del pieno contenzioso, stima che non aveva bisogno di aspettare la decisione del Consiglio di stato che ha reso la sua decisione il 25 ottobre 2006, per investire la Corte. Fa valere che la procedura provvisoria che aveva impegnato parallelamente era l’unica che avrebbe potuto arrivare a risanare il motivo di appello derivato dalla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1, dando ingiunzione al prefetto sotto obbligo di accordare il concorso della forza pubblica.
2. Valutazione della Corte
36. La Corte ricorda che appartiene al primo capo alle giurisdizioni interne valutare i fatti e applicare il diritto interno. Rileva che il giudizio di aggiudicazione del 19 novembre 1992 comprendeva nel suo dispositivo l’ordine “ad ogni detentore o possessore di abbandonare i beni di cui si trattava sotto pena di essere costretti tramite sfratto ” e che le giurisdizioni interne, sia civili che amministrative, hanno considerato che questo giudizio costituiva un titolo esecutivo che permetteva di chiedere il concorso della forza pubblica per procedere allo sfratto e di fissare un’indennità di occupazione a carico degli occupanti senza titolo.
Parimenti, nessuna delle autorità interne, il procuratore della Repubblica, il prefetto ed il viceprefetto, hanno messo in causa il fatto che lo sfratto poteva essere perseguito in virtù di questo giudizio, senza che fosse necessario per la richiedente impegnare un altro procedimento dinnanzi al giudice civile. La Corte nota al surplus che questo argomento, sollevato dal ministro degli Interni dinnanzi al Consiglio di stato, è stato respinto da questo ultimo nella sua sentenza del 26 ottobre 2006. Ne segue che questa eccezione deve essere respinta.
37. La Corte rileva poi che la richiedente ha fatto uso di tutti i ricorsi che le erano aperti dinnanzi alle giurisdizioni amministrative per ovviare alla situazione che le faceva motivo di appello, ossia il rifiuto della concessione del concorso della forza pubblica. La richiesta per direttissima che ha formato mirava ad ottenere un’ordinanza che ingiungesse al prefetto sotto obbligo di accordare il concorso della forza pubblica, parallelamente al ricorso al merito in vista di fare riconoscere la responsabilità dello stato e di ottenere un indennizzo del suo danno. Inoltre, come la Corte ha sottolineato nelle decisioni che ha reso nella causa Matheus (precitata, 18 maggio 2004) e nelle cause R.P. c. Francia (no 10271/02), Barret e Sirjean c. Francia (no 13829/03) e Fernandez c. Francia (28440/05 del 3 luglio 2007) l’obbligo di agire pesa sulle autorità che sono tenute a prestare il loro concorso all’esecuzione del giudizio affinché la richiedente ricuperi il suo bene.
Risulta peraltro dagli scritti della richiedente che ha sollevato espressamente dinnanzi al Consiglio di stato i motivi di appello tratti dagli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1.
38. Infine, in quanto al carattere prematuro della richiesta, la Corte ricorda che, secondo la giurisprudenza consolidata degli organi della Convenzione (Ringeisen c. Austria, 16 luglio 1971, § 91 serie A no 13, Selmouni c. Francia [GC], no 25803/94, § 71, CEDH 1999-V e la giurisprudenza citata) le vie di ricorso interne devono essere esaurite al più tardi al momento della decisione sull’ammissibilità della richiesta. Oro tale è il caso nello specifico. Ne segue che anche questa eccezione deve essere respinta.
39. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato, ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) La richiedente
40. La richiedente stima innanzitutto che l’ingerenza che denuncia costituisce una privazione assoluta del suo diritto di proprietà, ai sensi del primo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1, nella misura in cui sulla parte della proprietà che non ha potuta essere venduta -un vecchio corpo di fattoria di carattere comprendente degli edifici di abitazione e di sfruttamento con un terreno di sei ettari-non dispone per niente del suo bene che è occupato, e non può dunque né venderlo né affittarlo.
Precisa che la parte che ha potuto vendere nel 1993 per 260 000 FRF (39 634 EUR) era costituita da 31, 5 ettari di terreno agricolo povero e di un capanno, rappresentanti meno di un terzo del valore totale del bene; sottolinea che questa parte è stata venduta a perdita in ragione dell’occupazione dei luoghi. Ricordando che i due compromessi di vendita firmati il 30 settembre 1997 e il 9 settembre 2005 per un prezzo rispettivo di 91 643 EUR e 220 000 EUR sono diventati nulli in mancanza di sgombero dei luoghi, la richiedente stima che l’indisponibilità del suo bene per diciassette anni equivale come nella causa Matheus, ad una privazione totale della sua proprietà che risulta da una carenza del prefetto e non da una politica legislativa che prevede la protezione di un interesse sociale. Ricorda che la Corte ha considerato, nella causa Matheus, che il sussidio di indennità a titolo della responsabilità dello stato non cancellava l’inoperosità delle autorità e conclude che c’era violazione dell’articolo 1 precitato, essendo l’attentato al suo diritto di proprietà sproporzionato.
41. Nell’ipotesi in cui la Corte seguisse l’argomento del Governo sulla mancanza di tale privazione di proprietà, la richiedente fa valere che l’ingerenza non era né necessaria, né giustificata da ragioni di utilità pubblica. Stima che lo stato ha mancato ai suoi obblighi positivi in materia sociale di rialloggio degli interessati, contrariamente al diritto nazionale (articoli 613-1, 613-2 e 641-1 del codice della costruzione) e dell’abitazione (legge no 90-449 del 31 maggio 1990) tesi al collocamento in opera del diritto all’alloggio, ed ai suoi obblighi internazionali (l’articolo 1 della Carta sociale europea.) Sottolinea che il prefetto non ha ricercato nessuna soluzione di rialloggio, né sollecitato alcuna inchiesta, e che non ha impegnato nessuna concertazione seria da parte dei coniugi C., mentre non è provato che questi ultimi avrebbero commesso degli atti di violenze ripetute che avrebbero reso impossibile per una tale durata ogni misura di sfratto con la forza pubblica. Fa valere che il Governo non riporta nessuna prova dell’impossibilità di agire, mentre gli appartiene dimostrare dei tentativi di esecuzione, nello specifico non realizzati. Fa di osservare in più che dinnanzi al Consiglio di stato che delibera per direttissima, aveva fatto valere che il Sig. C. disponeva di una soluzione personale di alloggio in un bene di cui era il proprietario in comunione, e che questo punto non è stato mai contestato. Considera che l’inoperosità dello stato nella sua missione sociale ha creato un disturbo all’ordine pubblico, e che il Governo che è mal fondato ad avvalersi di un “motivo sociale imperioso”, non potrebbe fargli sopportare la sua trasgressione ai suoi propri obblighi.
42. La richiedente stima peraltro che l’ingerenza nel suo diritto al rispetto dei suoi beni è in ogni caso sproporzionata. Sottolinea il tempo che è passato dal 1992 a questo giorno, e ricorda la causa Immobiliare Saffi c. Italia ([GC], no 22774/93, CEDH 1999-V) nella quale la Corte ha detto che le motivazioni sociali all’origine di un rifiuto prolungato di concorso della forza pubblica non giustificavano sedici anni di occupazione illegale e che il tempo trascorso avrebbe dovuto permettere di trovare una soluzione al rialloggio della famiglia riguardata. Sottolinea che durante questi anni, il prefetto non ha mai organizzato nessuna inchiesta seria per conoscere l’evoluzione della situazione sociale e l’effettività del disturbo all’ordine pubblico, e che la sua inoperosità per numerosi anni ha potuto fare legittimamente nascere nello spirito dei coniugi C. l’idea di essere diventati proprietari del bene, che la loro opposizione costituiva un mezzo di pressione efficace, e che beneficiano del sostegno dello stato. Fa valere che la situazione reale presenta dei vantaggi solamente per l’amministrazione poiché, per un costo minimo di indennizzo (495,50 EUR al mese) i coniugi C. vengono ospitati secondo le loro esigenze e non creano difficoltà.
43. In risposta all’argomento del Governo secondo cui avrebbe fatto acquisizione del bene controverso in cognizione dei rischi incorsi, la richiedente chiede se il Governo sostiene che acquistare un bene occupato porterebbe automaticamente un “rischio legale” per l’acquirente di non poterlo godere. Sottolinea che tutti i dispositivi legali ed amministrativi esistono in diritto francese per permettere normalmente uno sfratto a condizioni decenti, che non avrebbe mai acquistato il bene se avesse sentito di non poterlo vendere, e che l’indennizzo accordato dal giudice nazionale non realizza un giusto equilibrio tra la privazione del suo bene e l’obiettivo sociale, che manca.
44. La richiedente si stima inoltre privata di un giusto indennizzo. Sottolinea a questo riguardo che le giurisdizioni interne le hanno concesso un indennizzo di immobilizzazione del capitale valutando il bene i come un terreno agricolo, di un valore stimato a 600 000 FRF (o 91 469 EUR) mentre questo bene, stimato a 220 000 EUR secondo i termini del compromesso di vendita del 9 settembre 2005, era stato acquisito per il mercato delle abitazioni. Aggiunge che la corte amministrativa di appello di Marsiglia ha respinto, senza giustificazione, dei pareri di periti sul valore venale che la richiedente aveva chiesto parallelamente. Infine, si lamenta del fatto che le giurisdizioni interne non le hanno accordato nessun risarcimento del danno relativo al minor – valore legato al deterioramento dei luoghi ed all’impossibilità di intraprendere dei lavori di rifacimento, di rinnovo o di restauro in ragione della loro occupazione.
b) Il Governo
45. Il Governo stima innanzitutto che l’ingerenza in causa riguarda l’esercizio del diritto al rispetto dei beni della richiedente e non una privazione di proprietà, come la Corte aveva rilevato nella causa Matheus precitata. Rileva a questo riguardo che lo sfruttamento agricolo ha potuto essere ceduto parzialmente dalla società, avendo questa venduto una parte del terreno così come un capanno il 6 marzo 1993 e l’ 8 gennaio 1994 ai rispettivi prezzi di 85 000 FRF (12 957 EUR) e 175 000 FRF (26 677 EUR).
46. Il Governo considera poi che a differenza di ciò che è stato giudicato nella causa Matheus, l’ingerenza perseguiva uno scopo di interesse generale, fondato su delle considerazioni concrete di ordine sociale e di sicurezza pubblica che sono state ricordate e riconosciute dal Consiglio di stato nella sua ordinanza del 15 ottobre 2004. Sottolinea che le indennità versate alla richiedente trovano sicuramente il loro fondamento nella responsabilità dello stato per la rottura dell’uguaglianza dinnanzi alle cariche pubbliche, e non nella riconoscenza di una mancanza pesante del potere pubblico.
47. Il Governo sostiene infine che il rifiuto del concorso della forza pubblica ha rispettato nello specifico il principio di proporzionalità nei confronti degli interessi del proprietario. Allo sguardo delle necessità di sicurezza pubblica che hanno prevalso nella presente causa, che il Governo qualifica come imperioso, l’attentato al rispetto dei beni della richiedente non appare così forte come nella causa Matheus. Stima che la richiedente, acquisendo il suo bene all’ asta pubblica, aveva cognizione dei rischi incorsi in ragione della situazione del vecchio proprietario, della sua presenza sui luoghi, del suo stato di fallimento e delle difficoltà che ci sarebbero state nel sfrattarlo. Aggiunge che l’interessata ha potuto rivendere la maggior parte dalla proprietà agricola controversa per un importo di 260 000 FRF (39 634 EUR) mentre l’ha acquistata 270 000 FRF (41 161 EUR) e che si è vista proporre un giusto indennizzo per la sua mancanza a guadagnare. Il Governo ricorda infine che la presente controversia è circoscritta alla sola valutazione dell’importo dell’indennizzo che deve essere versato, allorché tre gradi di giurisdizione si sono pronunciati sulla questione e che gli scarti tra gli indennizzi accordati dalle giurisdizioni amministrative e le richieste della richiedente sono stati ridotti durante il procedimento.
48. Conclude che un giusto equilibrio è stato pianificato, sotto il controllo del giudice nazionale, tra gli interessi legittimi della comunità di prevenire le agitazioni all’ordine pubblico ed il diritto della società richiedente al rispetto dei suoi beni.
2. Valutazione della Corte
49. Come ha fatto nelle cause Matheus, R.P., Barret e Sirjean e Fernandez precitate, la Corte considera che il rifiuto di concorso della forza pubblica non deriva dall’applicazione di una legge che dipende da una politica sociale ed economica nell’ambito, per esempio, dell’alloggio o dell’accompagnamento sociale di inquilini in difficoltà, ma di un rifiuto delle autorità locali, in circostanze particolari e per un lungo periodo, di prestare man-forte alla richiedente per fare sgomberare le sue terre. Il difetto di esecuzione del giudizio del 19 novembre 1992 deve essere esaminato quindi alla luce della norma generale contenuta nella prima frase del primo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che enuncia il principio del rispetto della proprietà.
50. La Corte ricorda, a questo riguardo, che l’esercizio reale ed efficace del diritto che questa disposizione garantisce non potrebbe difatti dipendere unicamente dal dovere dello stato di astenersi da ogni ingerenza e può esigere delle misure positive di protezione, particolarmente là dove esiste un legame diretto tra le misure che un richiedente potrebbe aspettarsi legittimamente dalle autorità ed il godimento effettivo di questo ultimo dei suoi beni (Öneryıldız c. Turchia [GC], no 48939/99, § 134, CEDH 2004-XII, e Matheus precitata, § 68).
51. Peraltro, combinata con la prima frase dell’articolo 1 del Protocollo no 1, la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, inerente all’insieme degli articoli della Convenzione, giustifica la sanzione di un Stato in ragione del rifiuto di questo di eseguire o di fare eseguire una decisione di giustizia (Katsaros c. Grecia, no 51473/99, § 43, 6 giugno 2002, Georgiadis c,. Grecia, no 41209/98, § 31, 28 marzo 2000, e Barret e Sirjean precitato, § 42).
52. La Corte osserva che i motivi avanzati dalle autorità interne per rifiutare il concorso della forza pubblica in vista dello sfratto dei coniugi C. rispondevano alla preoccupazione di evitare dei disturbi all’ordine pubblico. Dinnanzi alle giurisdizioni amministrative, le autorità hanno fatto valere anche delle considerazioni di ordine sociale. La Corte esaminerà questi due tipi di motivi successivamente.
53. Sul primo punto, il prefetto ed il viceprefetto hanno fatto valere costantemente che lo sfratto dei coniugi C. era suscettibile di indurre dei disturbi gravi all’ordine pubblico; la lettera del prefetto del 24 settembre 2002 (paragrafo 17 sopra) sottolineava che A. C. “(aveva) sempre fatto sapere chiaramente che si sarebbe difeso con le armi.” Questo rischio è corroborato da altri elementi della pratica, in particolare dalla lettera dell’ufficiale giudiziario di giustizia del 9 settembre 1993.
54. La Corte rileva che a differenza della causa Matheus precitata, le giurisdizioni amministrative hanno considerato che l’amministrazione non aveva commesso alcuna mancanza rifiutando il concorso della forza pubblica e nota che il giudice della Corte del Consiglio di stato ha constatato, alla vista dei verbali di gendarmeria, la realtà dei disturbi all’ordine pubblico che lo sfratto avrebbe generato (paragrafo 30 sopra). In queste condizioni, la Corte ammette che le autorità interne hanno potuto, nella cornice del loro margine di valutazione, stimare che le necessità di ordine pubblico imponevano di differire il concorso della forza pubblica (a contrario Matheus precitata, §§ 59 e 71).
55. Tuttavia, anche se la Corte ha detto mutatis mutandis in parecchie cause (particolarmente Immobiliare Saffi c. Italia ([GC], no 22774/93, § 69, CEDH 1999-V e Lunari c. Italia, no 21463/93, § 45, 11 gennaio 2001) “che un rinvio all’esecuzione di una decisione di giustizia per il tempo rigorosamente necessario per trovare una soluzione soddisfacente ai problemi di ordine pubblico può giustificarsi in circostanze eccezionali”, stima che un lasso di tempo di più di sedici anni non corrisponde alla nozione di “tempo rigorosamente necessario.”
56. Per ciò che riguarda le motivazioni di ordine sociale, sono state sollevate dinnanzi alle giurisdizioni dall’amministrazione che ha fatto valere che la situazione sociale e finanziaria dei coniugi C. che non disponevano di soluzione di rialloggio, era molto difficile e che la Sig.ra C. soffriva di gravo problemi di salute. La Corte osserva che le giurisdizioni interne, ed in particolare la corte amministrativa di appello ed il giudice della Corte del Consiglio di stato, hanno stimato queste affermazioni consolidate. Rileva a questo riguardo che le circostanze della presente causa sono molto differenti da quelle delle cause Matheus, R.P, Barret e Sirjean e Fernandez precitate, dove degli occupanti senza titolo si erano installati o trattenuti illegalmente sulle terre dei richiedenti, mentre nello specifico la richiedente ha acquistato una proprietà agricola ancora occupata dal vecchio proprietario alle aste pubbliche.
57. La Corte considera tuttavia che, anche lodevoli fossero al loro tempo (Matheus precitata, § 59,) queste considerazioni di ordine sociale non potrebbero giustificare un lungo periodo di occupazione senza titolo così lungo. Stima tanto più che il tempo trascorso avrebbe dovuto permettere di trovare una soluzione al rialloggio dei coniugi C., come lasciavano supporre le lettere del prefetto alla richiedente dell’ 11 gennaio 1999 e del 24 settembre 2002 (paragrafi 16 e 17 sopra). Ora, la Corte constata che non risulta dalla pratica che le autorità abbiano fatto tutto ciò che era in loro potere per trovare una soluzione di rialloggio soddisfacente per gli occupanti e di salvaguardare così gli interessi patrimoniali della richiedente (a contrario e mutatis mutandis Società Cofinfo c. Francia, (dec.), no 23516/08, 2 ottobre 2010). In particolare, il Governo non ha dato nessuno dettaglio sui passi che avrebbero potuto essere fatti in questo senso, in particolare della lettera del prefetto del 24 settembre 2002. La Corte rileva inoltre che le autorità interne non hanno contestato l’argomento della richiedente secondo cui il Sig. C. disponeva, per rialloggiarsi, di una casa in comunione vicino all’abitazione che occupava illegalmente, e che il Governo non si è spiegato di più su questo punto.
58. In queste condizioni, la Corte è del parere che, se i motivi avanzati dalle autorità francesi rivestivano un carattere serio di natura tale da differire il collocamento in opera dello sfratto per un lasso di tempo ragionevole (a contrario, Matheus precitata, § 71 e Barret e Sirjean precitata, § 44) non appaiono però sufficienti per giustificare il rifiuto di concorso della forza pubblica per un periodo così lungo (a contrario decisione Società Cofinfo precitata).
59. Certo, la responsabilità sicuramente dello stato è stata impegnato, e la richiedente che ha rivenduto peraltro una grande parte della proprietà, si è vista assegnare delle indennità che sono state versate effettivamente. Tuttavia, la Corte è del parere che l’attribuzione di queste indennità non è di natura tale da compensare l’inoperosità delle autorità.
60. Di fronte agli interessi individuali in causa, apparteneva a queste, dopo un lasso di tempo ragionevole trovare una soluzione soddisfacente, prendere le misure necessarie al rispetto della decisione di giustizia. E’ costretta a constatare che il rifiuto prolungato di concedere il concorso della forza pubblica nello specifico ha avuto per conseguenza, in mancanza di ogni giustificazione di interesse generale, di arrivare ad un tipo di espropriazione privata di cui l’occupante illegale si è ritrovato beneficiario. Questa situazione rinvia al rischio di deriva – in mancanza di un sistema di esecuzione efficace – ricordato nella Raccomandazione del Comitato dei Ministri in materia di esecuzione delle decisioni di giustizia, di arrivare ad una forma di “giustizia privata” contraria alla preminenza del diritto (Matheus precitata, § 71,).
61. Alla vista di ciò che precede, la Corte considera che c’è stata nella specifico violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
A. Motivi di appello derivati dall’articolo 6 § 1 della Convenzione
62. La richiedente si lamenta del difetto di equità del procedimento al merito dinnanzi alla corte amministrativa di appello di Marsiglia ed al Consiglio di stato, in ragione della non-comunicazione prima dell’udienza delle conclusioni del commissario del governo. Si lamenta anche della durata del procedimento, che stima irragionevole.
Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione le cui disposizioni pertinenti si leggono così:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
1. Motivo di appello relativo all’equità del procedimento
63. La Corte ricorda la sua giurisprudenza consolidata secondo la quale, a prescindere dal fatto che, nella maggioranza dei casi, le conclusioni del commissario del governo, diventato nel frattempo delatore pubblico, non sono oggetto di un documento scritto, risulta chiaramente dallo svolgimento del procedimento dinnanzi alle giurisdizioni amministrative che il commissario del governo presenta oralmente le suoi conclusioni per la prima volta all’udienza pubblica di giudizio della causa e che tanto le parti all’istanza che i giudici ed il pubblico ne scoprono il senso ed il contenuto in questa occasione (vedere Kress c. Francia [GC], no 39594/98, § 73, CEDH 2001-VI).
64. La richiedente non potrebbe trarre quindi dal diritto all’uguaglianza delle armi riconosciuto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione il diritto di vedersi comunicare, a priori dell’udienza, delle conclusioni che non lo sono state all’altra parte all’istanza, né al delatore, né ai giudici della formazione di giudizio. Nessuna trasgressione all’uguaglianza delle armi si trova dunque stabilita ( Kress precitata, § 73, e Farange S.p.A. c. Francia, no 77575/01, § 24, 13 luglio 2006). Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
2. Motivo di appello relativo alla durata del procedimento
65. La Corte ricorda che ogni motivo di appello derivato dalla durata di un procedimento dinnanzi alle giurisdizioni amministrative introdotto dinnanzi a lei il 1 gennaio 2003 o dopo questa data senza essere stato a priori sottomesso alle giurisdizioni interne nella cornice di un ricorso per responsabilità dello stato per funzionamento difettoso del servizio pubblico della giustizia, è inammissibile, qualunque sia lo stato del procedimento al piano interno (Broca e Texier-Micault c. Francia, numeri 27928/02 e 31694/02, § 22, 21 ottobre 2003). La presente richiesta essendo stata introdotta il 19 gennaio 2005, ne segue che questo motivo di appello deve essere respinto per non-esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
B. Altri motivi di appello
66. La richiedente si lamenta di essere stata oggetto di un trattamento discriminatorio in ragione della sua qualità di agente immobiliare e cita l’articolo 14 della Convenzione. Peraltro, invocando gli articoli 17 e 18 della Convenzione, stima che il rifiuto sistematico di accordarle il concorso della forza pubblica per ottenere l’esecuzione di una decisione di giustizia costituisce una sottrazione di potere ed un abuso di diritto manifesto da parte delle autorità nazionali.
67. La Corte osserva che questi motivi di appello non sono supportati. Ne segue che questo aspetto della richiesta è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
68. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare aolo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
69. La richiedente richiede 109 456 EUR a titolo del danno patrimoniale che avrebbe subito, ripartito come segue: 66 651 EUR a titolo della non-rivalutazione dell’indennità di immobilizzazione che riceve dallo stato, basandosi sull’indennità di occupazione fissata dalla pretura di Fortcalquier, indicizzata secondo l’aumento dell’indizio INSEE, e 42 805 EUR a titolo del deterioramento degli edifici occupati dai coniugi C. sollecita peraltro 15 000 EUR a titolo del danno morale, facendo valere che è una piccola struttura familiare di tre soci, una coppia e loro figlio. Chiede infine alla Corte di ordinare al Governo di accordarle il concorso della forza pubblica entro tre mesi a contare dalla presente sentenza.
70. Il Governo stima le richieste della richiedente eccessive e senza legame consolidato con le violazioni addotte della Convenzione. Fa valere che ha ricevuto e continua a ricevere regolarmente un indennizzo dello stato per il danno subito a causa del mantenimento nei luoghi dei coniugi C. e considera che i versamenti così operati bastano a garantire un giusto indennizzo del suo danno patrimoniale. Considera che la sua richiesta alle fini di indennizzo del valore residuo del suo bene, la parte che non ha rivenduto, è priva di base giuridica, poiché non ha subito alcun spodestamento del suo bene. Per ciò che riguarda il danno morale, fa valere che la sua realtà non è stabilita e che la richiedente non porta nessuna precisazione di natura tale da giustificarne l’importo.
Infine, per ciò che riguarda la richiesta della richiedente relativa alla restituzione del suo bene, ricorda che la Corte non si riconosce in principio alcun potere di ingiunzione e che, quando in casi eccezionali, lo fa, indica che le sue sentenze hanno essenzialmente un carattere declaratorio e che in generale appartiene al primo capo allo stato in causa scegliere i mezzi da utilizzare nel suo ordine giuridico interno per liberarsi dal suo obbligo allo sguardo dell’articolo 46 della Convenzione, per quanto questi mezzi siano compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte (Assanidzé c. Georgia [GC], no 71503/01, § 202, CEDH 2004-II).
71. La Corte rileva che l’unica basa da considerare per la concessione di una soddisfazione equa risiede nello specifico nella constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 in ragione del rifiuto di concorso della forza pubblica in esecuzione di una decisione di giustizia. Stima che c’è luogo di tenere conto del fatto che la richiedente ha rivenduto la più grande parte della proprietà, 31 ha su 36, che è sempre proprietaria della parte residua e che percepisce regolarmente un indennizzo dello stato per risarcimento del danno causato dall’occupazione dei luoghi (Barret e Sirjean precitata, § 54). In queste condizioni, non sarà fatto diritto a questo capo di richiesta. La Corte considera peraltro che c’è luogo di concedere alla richiedente 3 000 EUR a titolo del danno morale (Comingersoll S.p.A. c. Portogallo [GC], no 35382/97, §§ 36-37, CEDH 2000-IV).
72. Trattandosi dell’ingiunzione chiesta dalla richiedente, la Corte considera che la presente causa non è una di quelle in cui si giustifica indicare al Governo la misura da prendere per ovviare alla violazione constatata. Apparterrà a questo ultimo, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, di scegliere i mezzi da utilizzare nel suo ordine giuridico interno per liberarsi dal suo obbligo allo sguardo dell’articolo 46 della Convenzione (Öcalan c. Turchia [GC], no 46221/99, § 210, CEDH 2005-IV). C’è luogo dunque di respingere la richiesta della richiedente su questo punto.
B. Oneri e spese
73. La richiedente chiede anche 13 950, 77 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alle giurisdizioni interne, consistenti nella parcella dell’ avvocato, dell’ ufficiale giudiziario di giustizia, degli onere di perizia e di consultazione giuridica e produce dei giustificativi. Sollecita inoltre 3 588 EUR per gli oneri esposti dinnanzi alla Corte a titolo della parcella del suo avvocato di cui ha sottoposto dei giustificativi.
74. Il Governo sottolinea che la richiedente ha beneficiato dinnanzi alle giurisdizioni nazionali di un indennizzo dei suoi oneri di giustizia, che le sue richieste a titolo degli oneri di ufficiale giudiziario sono state respinte dalla corte amministrativa di appello come non giustificate e che anche quelle a titolo degli oneri di perizia sono stati respinti come inutili. Il Governo conclude che la somma eventualmente assegnata alla richiedente non superi 3 588 EUR a titolo degli oneri incorsi dinnanzi alla Corte.
75. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Trattandosi degli oneri incorsi dinnanzi alle giurisdizioni interne, la Corte stima, alla vista dei giustificativi prodotti dal richiedente, che c’è luogo di rimborsarle direttamente gli oneri dell’avvocato e dell’ ufficiale giudiziario esposti per i bisogni dei procedimenti interni, tenendo conto degli importi a titolo degli oneri di giustizia che le giurisdizioni amministrative hanno condannato lo stato a rimborsarle. La Corte accorda perciò alla richiedente 5 000 EUR a titolo degli oneri e delle spese del procedimento nazionale. Le assegna inoltre l’interezza della somma richiesta, ossia 3 588 EUR, per il procedimento dinnanzi alla Corte.
C. Interessi moratori
76. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1 ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare alla richiedente, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 3 000 EUR (tremila euro) per danno morale e 8 588 EUR (ottomila cinque cento ottantotto euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dalla richiedente;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 2 dicembre 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Claudia Westerdiek Peer Lorenzen
Cancelliera Presidente

Testo Tradotto

Conclusion Partiellement irrecevable ; Violation de P1-1 ; Dommage matériel – demande rejetée ; Préjudice moral – réparation
CINQUIÈME SECTION
AFFAIRE SUD EST REALISATIONS c. FRANCE
(Requête no 6722/05)
ARRÊT
STRASBOURG
2 décembre 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Sud Est Réalisations c. France,
La Cour européenne des droits de l’homme (cinquième section), siégeant en une chambre composée de :
Peer Lorenzen, président,
Renate Jaeger,
Jean-Paul Costa,
Rait Maruste,
Mark Villiger,
Isabelle Berro-Lefèvre,
Zdravka Kalaydjieva, juges,
et de Claudia Westerdiek, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 9 novembre 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 6722/05) dirigée contre la République française et dont une société de droit français, la société OMISSIS (« la requérante »), a saisi la Cour le 19 janvier 2005 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. La requérante est représentée par Me C. P., avocat à Paris. Le gouvernement français (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, Mme E. Belliard, directrice des affaires juridiques au ministère des Affaires étrangères.
3. La requérante allègue en particulier la violation de son droit au respect de ses biens, garanti par l’article 1 du Protocole no 1, en raison du refus des autorités depuis 1994 de lui accorder le concours de la force publique pour faire évacuer des occupants sans titre.
4. Le 29 août 2007, la Cour a décidé de communiquer le grief tiré de l’article 1 du Protocole no 1 au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. La requérante est une société à responsabilité limitée de droit français, qui exerce l’activité de marchand de biens et a son siège social à Pertuis (France).
A. Les faits
6. Par jugement du 19 novembre 1992, rectifié le 16 décembre 1993, le tribunal de grande instance de Digne adjugea à la requérante, aux enchères publiques, une propriété agricole sise sur les communes de Lurs et Pierrerue, dans les Alpes de Haute-Provence, comprenant des bâtiments d’habitation et d’exploitation ainsi que des terrains d’une contenance totale de 36 ha, 67 a et 77 ca, pour un prix de 270 000 francs français (FRF), soit 41 161 euros (EUR).
Revêtu de la formule exécutoire, ce jugement ordonnait en outre « sur la signification du présent jugement à tous les détenteurs ou possesseurs de délaisser les biens dont s’agit au profit de l’adjudicataire sous peine d’y être contraints par voie d’expulsion ou tous autres moyens légaux ». Cette vente aux enchères publiques intervint à la requête de la mutualité sociale agricole à l’encontre des anciens propriétaires, les époux C. Le jugement d’adjudication leur fut notifié le 3 décembre 1992. Ils refusèrent de quitter les lieux malgré une mise en demeure du 2 décembre 1992
7. Par jugement du 22 mars 1993, le tribunal de grande instance de Forcalquier, après avoir constaté qu’Alain C. ne comparaissait pas et que son occupation abusive des lieux n’était pas contestée, le condamna à payer à la requérante une indemnité d’occupation mensuelle de 6 000 FRF (915 EUR) à compter du 19 janvier 1993 et liquida à 9 096,77 FRF (1387 EUR) la somme due du 3 décembre 1992 au 19 janvier 1993. Alain C. n’exécuta pas ce jugement.
B. Les tentatives d’exécution et les demandes de concours de la force publique
8. Le 22 avril 1993, la requérante fit délivrer aux époux C. un commandement de quitter les lieux qui resta sans suite. Ledit commandement fut dénoncé le 6 mai suivant au sous-préfet de Forcalquier par l’huissier de justice.
9. Le 9 septembre 1993, l’huissier saisit le procureur de la République des difficultés rencontrées, en demandant l’assistance de la force publique pour procéder à une tentative d’expulsion de M. C., dans la mesure où ce dernier était de « notoriété publique agressif et dangereux » et avait facilement « tendance à sortir le fusil ». L’huissier demandait à être assisté par les gendarmes de Forcalquier à titre préventif pour assurer sa protection. Le 21 septembre suivant, cette demande fut transmise par le procureur de la République au préfet des Alpes de Haute-Provence avec l’indication que les motifs évoqués paraissaient « des plus sérieux » ; aucune suite ne fut donnée par le préfet.
10. Le 8 avril 1994, l’huissier tenta de procéder à l’expulsion des époux C., qui s’y opposèrent en déclarant « qu’ils ne partiraient jamais de leur propriété pour vol et escroquerie », ce dont l’huissier dressa procès-verbal.
11. Le 12 avril 1994 l’huissier signifia un procès-verbal de réquisition de la force publique au sous-préfet de Forcalquier, qui n’y donna pas suite dans le délai de deux mois imparti.
12. Par lettre de son avocat du 22 juillet 1994, la requérante adressa au sous-préfet une demande préalable d’indemnisation de son préjudice, qu’elle évaluait au total à une somme de 303 753 FRF (46 307 EUR), comprenant l’indemnité mensuelle d’occupation, ainsi que diverses indemnités (pour dégradation de l’immeuble et immobilisation de capitaux) et frais. La requérante soutenait que l’administration faisait preuve d’une mansuétude surprenante à l’égard de M. C. et qu’elle ne voyait pas en quoi l’expulsion posait problème, dans la mesure où M. C. disposait, pour se reloger, d’une maison dont il était propriétaire en indivision. Par lettre rectificative du 28 juillet 1994, la requérante précisa que le montant demandé était de 262 010 FRF (39 943 EUR)
13. Par lettre du 12 août 1994, le sous-préfet de Forcalquier répondit ne pas contester la forme ni le fond du jugement d’adjudication. Il s’opposa à l’affirmation de la requérante relative à la mansuétude de l’administration, en indiquant notamment que, contrairement à ce qu’elle soutenait, M. C. « ne sort[ait] pas le fusil impunément à chaque occasion », ce qu’il avait pris soin de vérifier auprès de la gendarmerie de Digne. Tout en concluant que la situation ne devrait pas perdurer et que chacun devrait chercher la meilleure solution respectueuse des intérêts de tous, il ajouta :
« (…) une expulsion, si elle aboutit à l’exécution d’un jugement, doit néanmoins être faite dans des conditions qui préservent l’ordre et la sécurité publique. Ces conditions sont à l’appréciation du préfet et celui-ci estime à ce jour que l’expulsion de M. C. serait susceptible de provoquer des troubles graves à l’ordre public. »
14. Les 6 mars 1993 et 8 janvier 1994, la requérante vendit une grande partie des terrains (31 ha environ) ainsi qu’un cabanon, pour les prix respectifs de 85 000 FRF (12 958 EUR) et 175 000 FRF (26 679 EUR).
15. Le 30 septembre 1997, elle conclut une vente ferme et définitive sur la partie subsistante de la propriété au prix de 600 000 FRF (91 469 EUR), qui devint caduque par la suite, faute de libération des lieux. Le 3 octobre 1997, elle sollicita le concours de la force publique auprès du préfet. En réponse, le 8 octobre 1997, le sous-préfet de Forcalquier lui indiqua que, l’affaire faisant l’objet d’un contentieux devant le tribunal administratif, il ne souhait pas interférer dans son déroulement et que sa décision serait prise lorsque la juridiction administrative aurait tranché le litige.
16. Le 11 janvier 1999, en réponse à une nouvelle demande de concours de la force publique, le préfet des Alpes de Haute-Provence indiqua à la requérante qu’il transmettait sa demande au sous-préfet de Forcalquier, et précisa que celui-ci recherchait « activement avec les services sociaux une solution de relogement pour la famille C. afin de libérer au plus vite (la) propriété ».
17. Le 24 septembre 2002, en réponse à une nouvelle demande de concours de la force publique, le préfet indiqua à la requérante que, si une telle demande n’avait pas été accordée à ce jour, c’était en raison des « risques de troubles graves à l’ordre public » qu’il était impossible d’écarter en cas d’exécution de la décision de justice, dès lors que M. C. avait « toujours fait savoir clairement qu’il se défendrait par les armes ». Il ajouta que le sous-préfet de Forcalquier recherchait, « pour les mois à venir, une solution en liaison avec l’association Solidarités Paysannes pour que l’expulsion de M. C. puisse s’effectuer sans créer de désordres ».
18. Le 9 septembre 2005, la requérante signa un compromis de vente sur le restant de la propriété en cause, au prix de 220 000 EUR, à la condition suspensive que les biens vendus soient libérés avant le 15 novembre 2005. A cette fin, elle forma le 12 septembre 2005 une nouvelle demande d’octroi de la force publique auprès du préfet et du sous-préfet. Par lettre du 25 novembre 2005, ce dernier refusa d’y faire droit, compte tenu des risques de troubles à l’ordre public. La vente devint alors caduque.
C. Les procédures devant les juridictions administratives
1. Procédure au fond
19. Le 9 septembre 1994, la requérante saisit le tribunal administratif de Marseille d’un recours tendant à ce que l’Etat soit condamné à lui payer en réparation de son préjudice diverses indemnités d’un montant total de 525 733 FRF (80 147 EUR), assorties des intérêts au taux légal.
20. Par jugement du 2 février 1996, le tribunal rappela qu’un justiciable nanti d’une sentence judiciaire revêtue de la formule exécutoire était en droit d’obtenir le concours de la force publique pour assurer l’exécution du titre qui lui avait été délivré et que, si l’autorité administrative avait le devoir d’apprécier les conditions de cette exécution et le droit de refuser le concours de la force publique tant qu’elle estimait qu’il y avait danger pour l’ordre et la sécurité, le préjudice susceptible de résulter de ce refus ne pouvait être regardé comme une charge incombant à l’intéressé si la situation s’était prolongée au-delà du délai dont l’administration devait normalement disposer compte tenu des circonstances.
21. En l’espèce, le tribunal considéra que l’abstention de l’autorité administrative engageait la responsabilité de l’Etat envers la société requérante à compter du 12 juin 1994, date d’expiration du délai de deux mois dont l’administration disposait dans les circonstances de l’espèce pour exercer son action.
Le tribunal releva ensuite que le préjudice résultant pour la requérante de l’occupation indue de son bien avait été fixé par le juge judiciaire à 6 000 FRF mensuels (915 EUR), mais que, à la suite de la vente de la plus grande partie de la propriété, il y avait lieu d’ordonner une expertise afin de déterminer le montant du préjudice résultant de l’occupation indue de la partie restante. Le tribunal rejeta par ailleurs le surplus des demandes de la requérante, dans la mesure où elles étaient liées à l’achat du bien ou au litige privé avec M. C., et écarta également le chef de préjudice tenant à la détérioration des bâtiments.
22. L’expert déposa son rapport le 7 mars 1997. Par jugement du 23 juin 1998, le tribunal s’exprima comme suit sur l’indemnité d’occupation et sur le préjudice financier résultant de l’indisponibilité du bien indûment occupé :
« Considérant qu’il ne résulte pas de l’instruction que l’expert désigné (…) aurait commis des erreurs d’appréciation en estimant que la propriété de la société (…) ne peut, compte tenu de l’état de vétusté et du manque d’équipement du logement qu’elle comporte, être placée sur le marché locatif d’habitation et en évaluant, à défaut d’autre possibilité, sa valeur locative mensuelle en fonction d’une destination agricole, soit 508, 36 francs en 1994 et, après actualisation, 539, 24 francs à partir de 1995 ;
Considérant que la société requérante ne justifie pas avoir été, en raison de la carence de l’administration, empêchée de céder la propriété en cause avant le 30 septembre 1997, date à laquelle une vente (…) a pu être conclue sous condition suspensive de la libération des lieux ; qu’ainsi, il y a lieu, pour la période s’étendant du 12 juin 1994 au 30 septembre 1997, d’évaluer le préjudice subi (…) en fonction des éléments fournis par l’expert judiciaire et (…) de l’arrêter à la somme de 21 140 francs [3 224 EUR] ; que, pour la période postérieure au 30 septembre 1997, le maintien des occupants sans titre dans les lieux ayant entraîné la caducité de la vente susmentionnée, la société requérante est fondée à demander que son préjudice financier soit réévalué mensuellement sur la base de la valeur vénale du bien ; que la mensualité (…) doit être fixée à la somme de 3 250 francs [495 EUR] ; que l’État devra verser ces mensualités jusqu’à la libération des lieux si celle-ci est intervenue avant la date du présent jugement, jusqu’à cette date dans le cas contraire (…) »
23. Le tribunal assortit cette indemnité des intérêts au taux légal, condamna l’Etat à verser à la requérante la somme de 5 000 FRF (762 EUR) au titre des frais de procédure non compris dans les dépens et mit à sa charge les frais d’expertise ; il rejeta par ailleurs les demandes de la requérante visant la réparation du préjudice résultant de la détérioration des bâtiments, le remboursement des frais divers (relatifs aux frais d’huissier et d’assurance, aux impositions foncières, aux expertises commanditées à titre privé et à la facture de consommation d’eau mise à la charge de la requérante), et l’allocation de dommages-intérêts.
24. Par arrêt du 8 décembre 2003, la cour administrative d’appel de Marseille annula le jugement du 23 juin 1998 en tant qu’il avait omis de statuer sur les conclusions de la requérante relatives à l’octroi de dommages-intérêts en réparation de la faute résultant du refus de lui accorder le concours de la force publique.
Après avoir évoqué ce chef de demande, la cour d’appel le rejeta en ces termes :
« Considérant que, dans les circonstances de l’espèce, compte tenu du trouble à l’ordre public que risquait d’entraîner l’expulsion forcée de M. et Mme C., en raison du comportement violent de M. C. et de la situation sociale extrêmement difficile du couple, qui sont établis par l’instruction, l’administration ne peut être regardée comme ayant commis une faute lourde de nature à engager, envers la société requérante, sa responsabilité ;
Considérant (…) que le préjudice qui peut naître [du refus d’accorder le concours de la force publique] entraîne pour le bénéficiaire de la décision de justice une charge anormale rompant l’égalité devant les charges publiques ; (…) que (…) la société requérante a subi un préjudice de caractère anormal et spécial justifiant la mise à la charge de l’État, même en l’absence de faute, d’une indemnité correspondant au préjudice certain directement imputable à l’inaction des autorités de police ; que, toutefois, il ressort de l’examen de l’ensemble des conclusions de la demande de l’intéressée que les dommages allégués en l’espèce pour un montant évalué à 100 000 francs [15 245 EUR] ne sont pas distincts des chefs de préjudice dont elle sollicite par ailleurs réparation ; que, dès lors, cette demande doit être rejetée. »
25. En outre, la cour administrative d’appel évalua la somme relative au préjudice tiré de l’immobilisation du capital entre le 12 juin 1994 et le 30 septembre 1997 à 19 000 EUR (au lieu des 3 224 EUR accordés par le jugement du 23 juin 1998), l’assortit des intérêts légaux et condamna l’Etat à verser la requérante une indemnité de 8 269 EUR au titre des charges relatives à la consommation d’eau, aux impositions foncières et aux frais d’assurances pour l’année 1998, ainsi qu’une somme de 2 600 EUR au titre des frais de procédure non compris dans les dépens. Elle rejeta le surplus de ses demandes.
26. La requérante se pourvut en cassation. Dans un mémoire complémentaire et en réplique aux observations du ministère de l’Intérieur, son avocat, citant l’affaire Matheus c. France (no 62740/00, 31 mars 2005), allégua la violation de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention et de l’article 6 § 1 de la Convention. Dans un pourvoi incident, le ministre de l’intérieur soutint que la responsabilité de l’Etat ne pouvait être engagée au vu d’un jugement d’adjudication et en l’absence d’un jugement ordonnant l’expulsion des occupants sans titre de la propriété de la requérante.
27. Le Conseil d’Etat tint son audience le 22 septembre 2006 et, par arrêt du 25 octobre 2006, rejeta le pourvoi formé par la requérante. Il rejeta également le pourvoi incident de l’Etat, au motif que ce dernier n’avait pas contesté le principe de la responsabilité de l’État résultant du jugement du tribunal administratif du 2 février 1996, devenu définitif, et qui était revêtu de l’autorité de la chose jugée.
2. Procédure de référé
28. Entre-temps, le 15 septembre 2004, la requérante saisit le juge des référés du tribunal administratif de Marseille d’une demande tendant à ce qu’il soit enjoint sous astreinte au préfet des Alpes de Haute-Provence de lui accorder le concours de la force publique.
29. Par ordonnance du 17 septembre 2004, le juge des référés rejeta la requête, au motif que, si le droit de propriété avait le caractère d’une liberté fondamentale et qu’un refus d’exécution d’une décision juridictionnelle ordonnant l’expulsion d’occupants sans titre ne pouvait légalement intervenir que s’il était justifié par les exigences de l’ordre public, le refus opposé en l’espèce n’apparaissait pas entaché d’une illégalité manifeste au sens de l’article L. 521-2 du code de justice administrative. Il considéra que l’exécution avec le concours de la force publique de la décision du 19 novembre 1992 serait de nature à créer un grave trouble à l’ordre public, dans la mesure où la situation sociale sans relogement dans laquelle se trouvaient les époux C. était extrêmement difficile.
30. Saisi de l’appel de la requérante, le juge des référés du Conseil d’Etat tint le 14 octobre 2004 une audience à laquelle l’avocat de la requérante et le ministre de l’Intérieur furent convoqués. Le 15 octobre 2004, le juge des référés confirma l’ordonnance et rejeta l’appel. Après avoir rappelé que le jugement d’adjudication du 19 novembre 1992 ordonnait aux époux C. de libérer les lieux, il statua dans les termes suivants :
« Considérant que, pour justifier le refus de concours de la force publique, l’autorité préfectorale fait valoir que M.C., qui est né en 1948, se trouve depuis plusieurs années dans une situation sociale et financière d’une grande détresse ; que son épouse, avec qui il a contracté mariage en 1993, connaît de graves difficultés de santé ; que M. C., qui dispose d’une arme, s’est signalé par un comportement violent et un refus de dialogue avec les institutions tant judiciaires que sociales ; qu’il se refuse à admettre l’expulsion d’une ferme qu’il exploite à la suite de son père et qu’il est prêt à commettre, y compris contre lui-même, des actes graves pour s’y opposer, qu’il existe dans ces conditions des risques sérieux tant à l’expulser avec le concours de la force publique qu’à l’empêcher ensuite de revenir ; que des procès-verbaux de gendarmerie produits devant le juge des référés du Conseil d’État confirment la réalité de ces affirmations ; que, dans ces conditions, et même si l’occupation indue se prolonge depuis plusieurs années, le refus d’accorder le concours de la force publique, fondé sur des motifs d’ordre public qui revêtent un caractère sérieux, n’est pas entaché d’une illégalité manifeste. »
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE PERTINENTS
31. Un exposé du droit et de la pratique pertinents figure dans l’arrêt Matheus précité (§§ 36-40).
32. L’article L. 521-2 du code de justice administrative, relatif au référé liberté, se lit ainsi :
« Saisi d’une demande en ce sens justifiée par l’urgence, le juge des référés peut ordonner toutes mesures nécessaires à la sauvegarde d’une liberté fondamentale à laquelle une personne morale de droit public ou un organisme de droit privé chargé de la gestion d’un service public aurait porté, dans l’exercice d’un de ses pouvoirs, une atteinte grave et manifestement illégale. Le juge des référés se prononce dans un délai de quarante-huit heures. »
Aux termes de l’article L. 523-1 du même code, les ordonnances rendues en application de l’article L. 521-2 sont susceptibles d’appel devant le Conseil d’Etat dans les quinze jours de leur notification.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
33. La requérante se plaint d’avoir été privé de ses droits sur sa propriété en raison du défaut d’octroi de la force publique depuis plus de seize ans. Elle allègue la violation de l’article 1 du Protocole no 1, qui est ainsi libellé :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les États de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Sur la recevabilité
1. Arguments des parties
34. Le Gouvernement soulève plusieurs exceptions préliminaires. Il soutient tout d’abord que la requérante ne peut invoquer de grief tiré de l’absence d’exécution d’un jugement ordonnant l’expulsion des époux C., dès lors qu’un tel jugement n’a jamais existé. Il souligne qu’en l’espèce aucune décision judiciaire n’a prononcé expressément l’expulsion des époux C. – le jugement d’adjudication du 19 novembre 1992 n’ayant aucun caractère contentieux et ne pouvant servir de fondement à une expulsion – alors que le droit et la pratique internes prévoient le recours obligatoire au juge avant toute expulsion ; il cite l’article 61 de la loi du 9 juillet 1991 ainsi qu’un arrêt de la Cour de cassation du 10 juillet 2003. La requérante n’ayant pas demandé l’expulsion au juge compétent pour la prononcer (le juge civil), il est d’avis que la requête est manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 de la Convention.
Le Gouvernement soulève ensuite une exception de non-épuisement des voies de recours internes. Il estime que l’ordonnance de référé-liberté du Conseil d’Etat du 15 octobre 2004 ne peut être regardée comme une décision interne définitive au sens de l’article 35 § 1 de la Convention, dès lors que la procédure de référé ne peut se substituer à une procédure au fond permettant d’examiner la légalité de la mesure administrative en cause. En outre, il estime que, dans la mesure où la requérante a saisi la Cour avant que le Conseil d’Etat se soit prononcé au fond sur le pourvoi formé contre l’arrêt de la cour administrative d’appel de Marseille, la requête devrait être écartée comme étant prématurée. Au surplus, il soutient que la requérante n’a pas soulevé en substance devant les juridictions nationales les griefs tirés des articles 6 § 1 de la Convention et 1 du Protocole no 1.
35. La requérante soutient qu’il n’était pas nécessaire pour elle de solliciter une décision judiciaire d’expulsion dans la mesure où il résulte du jugement même d’adjudication du 19 novembre 1992, qui constitue un titre exécutoire définitif, un ordre formel d’expulsion, comme le stipule la formule exécutoire apposée sur ledit jugement sur lequel se fonde la demande de concours de la force publique. De même, l’absence de contestation de la procédure d’expulsion par les époux C. a rendu légitime la procédure d’expulsion. Par ailleurs, elle souligne que les juridictions administratives ont définitivement tranché cette question : en reconnaissant dans cette affaire la responsabilité de l’Etat en raison du refus de lui prêter le concours de la force publique, elles ont de fait reconnu préalablement la légalité de la procédure d’expulsion.
La requérante fait valoir par ailleurs qu’elle a valablement épuisé l’ensemble des voies de recours internes, tout en invoquant la Convention expressément ou en substance. S’agissant du recours au fond de plein contentieux, elle estime qu’elle n’avait pas besoin d’attendre la décision du Conseil d’Etat, qui a rendu sa décision le 25 octobre 2006, pour saisir la Cour. Elle fait valoir que la procédure de référé qu’elle avait parallèlement engagée était la seule qui aurait pu aboutir à redresser le grief tiré de la violation de l’article 1 du Protocole no 1, en donnant injonction au préfet sous astreinte d’accorder le concours de la force publique.
2. Appréciation de la Cour
36. La Cour rappelle que c’est au premier chef aux juridictions internes qu’il appartient d’apprécier les faits et d’appliquer le droit interne. Elle relève que le jugement d’adjudication du 19 novembre 1992 comportait dans son dispositif l’ordre « à tous détenteurs ou possesseurs de délaisser les biens dont s’agit (…) sous peine d’y être contraints par voie d’expulsion (…) » et que les juridictions internes, aussi bien civiles qu’administratives, ont considéré que ce jugement constituait un titre exécutoire permettant de demander le concours de la force publique pour procéder à l’expulsion et de fixer une indemnité d’occupation à la charge des occupants sans titre.
De même, aucune des autorités internes (le procureur de la République, le préfet et le sous-préfet) n’a mis en cause le fait que l’expulsion pouvait être poursuivie en vertu de ce jugement, sans qu’il soit nécessaire à la requérante d’engager une autre procédure devant le juge civil. La Cour note au surplus que cet argument, soulevé par le ministre de l’Intérieur devant le Conseil d’État, a été rejeté par ce dernier dans son arrêt du 26 octobre 2006. Il s’ensuit que cette exception doit être rejetée.
37. La Cour relève ensuite que la requérante a fait usage de tous les recours qui lui étaient ouverts devant les juridictions administratives pour remédier à la situation qui lui faisait grief, à savoir le refus d’octroi du concours de la force publique. La requête en référé qu’elle a formée visait à obtenir une ordonnance enjoignant au préfet sous astreinte d’accorder le concours de la force publique, parallèlement au recours au fond en vue de faire reconnaître la responsabilité de l’Etat et d’obtenir une indemnisation de son préjudice. En outre, comme la Cour l’a souligné dans les décisions qu’elle a rendues dans l’affaire Matheus précitée (18 mai 2004), et dans les affaires R.P. c. France (no 10271/02), Barret et Sirjean c. France (no 13829/03) et Fernandez c. France (28440/05) du 3 juillet 2007, l’obligation d’agir pèse sur les autorités, qui sont tenues de prêter leur concours à l’exécution du jugement afin que le requérante récupère son bien.
Il ressort par ailleurs des écritures de la requérante qu’elle a soulevé expressément devant le Conseil d’Etat les griefs tirés des articles 6 § 1 de la Convention et 1 du Protocole no 1.
38. Enfin, quant au caractère prématuré de la requête, la Cour rappelle que, selon la jurisprudence constante des organes de la Convention (Ringeisen c. Autriche, 16 juillet 1971, § 91 série A no 13, Selmouni c. France [GC], no 25803/94, § 71, CEDH 1999-V et la jurisprudence citée), les voies de recours internes doivent être épuisées au plus tard au moment de la décision sur la recevabilité de la requête. Or tel est le cas en l’espèce. Il s’ensuit que cette exception doit également être rejetée.
39. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé, au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
a) La requérante
40. La requérante estime tout d’abord que l’ingérence qu’elle dénonce constitue une privation absolue de son droit de propriété, au sens du premier alinéa de l’article 1 du Protocole no 1, dans la mesure où sur la partie de la propriété qui n’a pu être vendue – un ancien corps de ferme de caractère comprenant des bâtiments d’habitation et d’exploitation avec un terrain de six hectares – elle ne dispose nullement de son bien, qui est occupé, et ne peut donc ni le vendre ni le louer.
Elle précise que la partie qu’elle a pu vendre en 1993 pour 260 000 FRF (39 634 EUR) était constituée de 31, 5 hectares de terres agricole pauvres et d’un cabanon, représentant moins d’un tiers de la valeur totale du bien ; elle souligne que cette partie a été vendue à perte en raison de l’occupation des lieux. Rappelant que les deux compromis de vente signés les 30 septembre 1997 et 9 septembre 2005 pour un prix respectif de 91 643 EUR et 220 000 EUR sont devenus caducs faute de libération des lieux, la requérante estime que l’indisponibilité de son bien pendant dix-sept ans équivaut, comme dans l’affaire Matheus, à une privation totale de sa propriété, qui résulte d’une carence du préfet et non d’une politique législative visant la protection d’un intérêt social. Elle rappelle que la Cour a considéré, dans l’affaire Matheus, que l’allocation d’indemnités au titre de la responsabilité de l’État n’effaçait pas l’inaction des autorités et conclut qu’il y a violation de l’article 1 précité, l’atteinte à son droit de propriété étant disproportionnée.
41. Dans l’hypothèse où la Cour suivrait l’argument du Gouvernement sur l’absence d’une telle privation de propriété, la requérante fait valoir que l’ingérence n’était ni nécessaire, ni justifiée par des raisons d’utilité publique. Elle estime que l’Etat a manqué à ses obligations positives en matière sociale de relogement des intéressés, contrairement au droit national (les articles 613-1, 613-2 et 641-1 du code de la construction et de l’habitation et la loi no 90-449 du 31 mai 1990 visant à la mise en œuvre du droit au logement) et à ses obligations internationales (l’article 1 de la Charte sociale européenne). Elle souligne que le préfet n’a recherché aucune solution de relogement, ni diligenté d’enquête, et qu’il n’a engagé aucune concertation sérieuse avec les époux C., alors qu’il n’est pas prouvé que ces derniers auraient commis des actes de violences répétés qui rendraient impossible sur une telle durée toute mesure d’expulsion par la force publique. Elle fait valoir que le Gouvernement ne rapporte aucune preuve de l’impossibilité d’agir, alors qu’il lui appartient de démontrer des tentatives d’exécution, en l’espèce non réalisées. Elle fait de plus observer que devant le Conseil d’Etat statuant en référé, elle avait fait valoir que M. C. disposait d’une solution personnelle de logement dans un bien dont il était propriétaire en indivision, et que ce point n’a jamais été contesté. Elle considère que l’inaction de l’Etat dans sa mission sociale a créé un trouble à l’ordre public, et que le Gouvernement, qui est mal fondé à se prévaloir d’un « motif social impérieux », ne saurait lui faire supporter son manquement à ses propres obligations.
42. La requérante estime par ailleurs que l’ingérence dans son droit au respect de ses biens est en toute hypothèse disproportionnée. Elle souligne le temps qui s’est écoulé depuis 1992 à ce jour, et rappelle l’affaire Immobiliare Saffi c. Italie ([GC], no 22774/93, CEDH 1999-V), dans laquelle la Cour a dit que les motivations sociales à l’origine d’un refus prolongé de concours de la force publique ne justifiaient pas seize années d’occupation illégale et que le temps écoulé aurait dû permettre de trouver une solution au relogement de la famille concernée. Elle souligne que pendant ces années, le préfet n’a jamais organisé d’enquête sérieuse pour connaître l’évolution de la situation sociale et l’actualité du trouble à l’ordre public, et que son inaction pendant de nombreuses années a pu légitimement faire naître dans l’esprit des époux C. l’idée qu’ils sont devenus propriétaires du bien, que leur opposition constitue un moyen de pression efficace, et qu’ils bénéficient du soutien de l’Etat. Elle fait valoir que la situation actuelle ne présente que des avantages pour l’administration puisque, pour un coût minime d’indemnisation (495,50 EUR par mois), les époux C. sont logés selon leurs exigences et ne créent pas de difficultés.
43. En réponse à l’argument du Gouvernement selon lequel elle aurait fait acquisition du bien litigieux en connaissance des risques encourus, la requérante demande si le Gouvernement soutient qu’acheter un bien occupé emporterait automatiquement un « risque légal » pour l’acheteur de ne pas pouvoir en jouir. Elle souligne que tous les dispositifs légaux et administratifs existent en droit français pour permettre normalement une expulsion dans des conditions décentes, qu’elle n’aurait jamais acheté le bien si elle avait pensé ne pas pouvoir le vendre, et que l’indemnisation accordée par le juge national ne réalise pas un juste équilibre entre la privation de son bien et l’objectif social, qui fait défaut.
44. La requérante s’estime en outre privée d’une juste indemnisation. Elle souligne à cet égard que les juridictions internes lui ont octroyé une indemnisation d’immobilisation du capital en évaluant le bien comme un terrain agricole (d’une valeur estimée à 600 000 FRF, soit 91 469 EUR), alors que ce bien, estimé à 220 000 EUR selon les termes du compromis de vente du 9 septembre 2005, avait été acquis pour le marché d’habitation. Elle ajoute que la cour administrative d’appel de Marseille a rejeté, sans justification, des avis d’experts sur la valeur vénale que la requérante avait demandés parallèlement. Enfin, elle se plaint de ce que les juridictions internes ne lui ont accordé aucune réparation du préjudice relatif à la moins-value liée à la détérioration des lieux et à l’impossibilité d’entreprendre des travaux de réfection, de rénovation ou de rafraichissement en raison de leur occupation.
b) Le Gouvernement
45. Le Gouvernement estime tout d’abord que l’ingérence en cause porte sur l’exercice du droit au respect des biens de la requérante et non sur une privation de propriété, comme la Cour l’avait relevé dans l’affaire Matheus précitée. Il relève à cet égard que l’exploitation agricole a pu être partiellement cédée par la société, celle-ci ayant vendu une partie du terrain ainsi qu’un cabanon les 6 mars 1993 et 8 janvier 1994 aux prix respectifs de 85 000 FRF (12 957 EUR) et 175 000 FRF (26 677 EUR).
46. Le Gouvernement considère ensuite qu’à la différence de ce qui a été jugé dans l’affaire Matheus, l’ingérence poursuivait un but d’intérêt général, fondé sur des considérations concrètes d’ordre social et de sécurité publique qui ont été rappelées et reconnues par le Conseil d’Etat dans son ordonnance du 15 octobre 2004. Il souligne que les indemnités versées à la requérante trouvent leur fondement dans la responsabilité sans faute de l’Etat pour rupture de l’égalité devant les charges publiques, et non dans la reconnaissance d’une faute lourde de la puissance publique.
47. Le Gouvernement soutient enfin que le refus du concours de la force publique a respecté en l’espèce le principe de proportionnalité vis-à-vis des intérêts du propriétaire. Au regard des nécessités de sécurité publique qui ont prévalu dans la présente affaire, que le Gouvernement qualifie d’impérieuses, l’atteinte au respect des biens de la requérante n’apparaît pas aussi forte que dans l’affaire Matheus. Il estime que la requérante, en acquérant son bien aux enchères publiques, avait connaissance des risques encourus en raison de la situation de l’ancien propriétaire, de sa présence sur les lieux, de son état de faillite et des difficultés qu’il y aurait à l’expulser. Il ajoute que l’intéressée a pu revendre la majeure partie de la propriété agricole litigieuse pour un montant de 260 000 FRF (39 634 EUR), alors qu’elle l’a achetée 270 000 FRF (41 161 EUR), et qu’elle s’est vu proposer une juste indemnisation de son manque à gagner. Le Gouvernement rappelle enfin que le présent litige se circonscrit à la seule appréciation du montant de l’indemnisation qui doit être versée, alors que trois degrés de juridiction se sont prononcés sur la question et que les écarts entre les indemnisations accordées par les juridictions administratives et les demandes de la requérante ont été réduits au cours de la procédure.
48. Il conclut qu’un juste équilibre a été aménagé, sous le contrôle du juge national, entre l’intérêt légitime de la communauté de prévenir les troubles à l’ordre public et le droit de la société requérante au respect de ses biens.
2. Appréciation de la Cour
49. Comme elle l’a fait dans les affaires Matheus, R.P., Barret et Sirjean et Fernandez précitées, la Cour considère que le refus de concours de la force publique ne découle pas de l’application d’une loi relevant d’une politique sociale et économique dans le domaine, par exemple, du logement ou d’accompagnement social de locataires en difficulté, mais d’un refus des autorités locales, dans des circonstances particulières et pendant une longue période, de prêter main-forte à la requérante pour faire libérer ses terres. Le défaut d’exécution du jugement du 19 novembre 1992 doit dès lors être examiné à la lumière de la norme générale contenue dans la première phrase du premier paragraphe de l’article 1 du Protocole no 1, qui énonce le principe du respect de la propriété.
50. La Cour rappelle, à cet égard, que l’exercice réel et efficace du droit que cette disposition garantit ne saurait en effet dépendre uniquement du devoir de l’Etat de s’abstenir de toute ingérence et peut exiger des mesures positives de protection, notamment là où il existe un lien direct entre les mesures qu’un requérant pourrait légitimement attendre des autorités et la jouissance effective par ce dernier de ses biens (Öneryıldız c. Turquie [GC], no 48939/99, § 134, CEDH 2004-XII, et Matheus précité, § 68).
51. Par ailleurs, combinée avec la première phrase de l’article 1 du Protocole no 1, la prééminence du droit, l’un des principe fondamentaux d’une société démocratique, inhérente à l’ensemble des articles de la Convention, justifie la sanction d’un Etat en raison du refus de celui-ci d’exécuter ou de faire exécuter une décision de justice (Katsaros c. Grèce, no 51473/99, § 43, 6 juin 2002, Georgiadis c. Grèce, no 41209/98, § 31, 28 mars 2000, et Barret et Sirjean précité, § 42).
52. La Cour observe que les motifs avancés par les autorités internes pour refuser le concours de la force publique en vue de l’expulsion des époux C. répondaient au souci d’éviter des troubles à l’ordre public. Devant les juridictions administratives, les autorités ont également fait valoir des considérations d’ordre social. La Cour examinera successivement ces deux types de motifs.
53. Sur le premier point, le préfet et le sous-préfet ont constamment fait valoir que l’expulsion des époux C. était susceptible de provoquer des troubles graves à l’ordre public ; la lettre du préfet du 24 septembre 2002 (paragraphe 17 ci-dessus) soulignait qu’Alain C. « a(vait) toujours fait savoir clairement qu’il se défendrait par les armes ». Ce risque est corroboré par d’autres éléments du dossier, notamment par la lettre de l’huissier de justice du 9 septembre 1993.
54. La Cour relève qu’à la différence de l’affaire Matheus précitée, les juridictions administratives ont considéré que l’administration n’avait pas commis de faute en refusant le concours de la force publique et note que le juge des référés du Conseil d’Etat a constaté, au vu de procès-verbaux de gendarmerie, la réalité des troubles à l’ordre public que l’expulsion aurait engendrés (paragraphe 30 ci-dessus). Dans ces conditions, la Cour admet que les autorités internes ont pu, dans le cadre de leur marge d’appréciation, estimer que les nécessités de l’ordre public imposaient de différer le concours de la force publique (a contrario Matheus précité, §§ 59 et 71).
55. Toutefois, même si la Cour a dit mutatis mutandis dans plusieurs affaires (notamment Immobiliare Saffi c. Italie ([GC], no 22774/93, § 69, CEDH 1999-V et Lunari c. Italie, no 21463/93, § 45, 11 janvier 2001) « qu’un sursis à l’exécution d’une décision de justice pendant le temps strictement nécessaire pour trouver une solution satisfaisante aux problèmes d’ordre public peut se justifier dans des circonstances exceptionnelles », elle estime qu’un laps de temps de plus de seize ans ne correspond pas à la notion de « temps strictement nécessaire ».
56. En ce qui concerne les motivations d’ordre social, elles ont été soulevées devant les juridictions par l’administration, qui a fait valoir que la situation sociale et financière des époux C., qui ne disposaient pas de solution de relogement, était très difficile et que Mme C. connaissait de graves problèmes de santé. La Cour observe que les juridictions internes, et notamment la cour administrative d’appel et le juge des référés du Conseil d’Etat, ont estimé ces affirmations établies. Elle relève à cet égard que les circonstances de la présente affaire sont très différentes de celles des affaires Matheus, R.P., Barret et Sirjean et Fernandez précitées, où des occupants sans titre s’étaient installés ou maintenus illégalement sur les terres des requérants, alors qu’en l’espèce la requérante a acquis aux enchères publiques une propriété agricole qu’occupait encore l’ancien propriétaire.
57. La Cour considère toutefois que, aussi louables fussent-elles en leur temps (Matheus précité, § 59), ces considérations d’ordre social ne sauraient justifier une aussi longue période d’occupation sans titre. Elle estime surtout que le temps écoulé aurait dû permettre de trouver une solution au relogement des époux C., comme le laissaient supposer les lettres du préfet à la requérante des 11 janvier 1999 et 24 septembre 2002 (paragraphes 16 et 17 ci-dessus). Or, la Cour constate qu’il ne ressort pas du dossier que les autorités aient fait tout ce qui était en leur pouvoir afin de trouver une solution de relogement satisfaisante pour les occupants et de sauvegarder ainsi les intérêts patrimoniaux de la requérante (a contrario et mutatis mutandis Société Cofinfo c. France (déc.), no 23516/08, 2 octobre 2010). En particulier, le Gouvernement n’a donné aucun détail sur les démarches qui ont pu être faites en ce sens, notamment depuis la lettre du préfet du 24 septembre 2002. La Cour relève en outre que les autorités internes n’ont pas contesté l’argument de la requérante selon laquelle M. C. disposait, pour se reloger, d’une maison en indivision proche de l’habitation qu’il occupait illégalement, et que le Gouvernement ne s’est pas davantage expliqué sur ce point.
58. Dans ces conditions, la Cour est d’avis que, si les motifs avancés par les autorités françaises revêtaient un caractère sérieux de nature à différer la mise en œuvre de l’expulsion pendant un laps de temps raisonnable (a contrario, Matheus précité, § 71 et Barret et Sirjean précité, § 44), ils n’apparaissent cependant pas suffisants pour justifier pendant une aussi longue période le refus de concours de la force publique (a contrario décision Société Cofinfo précitée).
59. Certes, la responsabilité sans faute de l’Etat a été engagée, et la requérante, qui par ailleurs a revendu une grande partie de la propriété, s’est vu allouer des indemnités qui ont effectivement été versées. Toutefois, la Cour est de l’avis que l’attribution de ces indemnités n’est pas de nature à compenser l’inaction des autorités.
60. Face aux intérêts individuels en cause, il appartenait à celles-ci, après un laps de temps raisonnable pour trouver une solution satisfaisante, de prendre les mesures nécessaires au respect de la décision de justice. Force est de constater que le refus prolongé d’apporter le concours de la force publique en l’espèce a eu pour conséquence, en l’absence de toute justification d’intérêt général, d’aboutir à une sorte d’expropriation privée dont l’occupant illégal s’est retrouvé bénéficiaire. Cette situation renvoie au risque de dérive – en l’absence d’un système d’exécution efficace – rappelé dans la Recommandation du Comité des Ministres en matière d’exécution des décisions de justice, d’aboutir à une forme de « justice privée » contraire à la prééminence du droit (Matheus précité, § 71).
61. Au vu de ce qui précède, la Cour considère qu’il y a eu en l’espèce violation de l’article 1 du Protocole no 1.
II. SUR LES AUTRES VIOLATIONS ALLÉGUÉES
A. Griefs tirés de l’article 6 § 1 de la Convention
62. La requérante se plaint du défaut d’équité de la procédure au fond devant la cour administrative d’appel de Marseille et le Conseil d’Etat, en raison de la non-communication avant l’audience des conclusions du commissaire du gouvernement. Elle se plaint également de la durée de la procédure, qu’elle estime déraisonnable.
Elle invoque l’article 6 § 1 de la Convention, dont les dispositions pertinentes se lisent ainsi :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (…) dans un délai raisonnable, par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
1. Grief relatif à l’équité de la procédure
63. La Cour rappelle sa jurisprudence constante selon laquelle, indépendamment du fait que, dans la majorité des cas, les conclusions du commissaire du gouvernement (devenu entre temps rapporteur public) ne font pas l’objet d’un document écrit, il ressort clairement du déroulement de la procédure devant les juridictions administratives que le commissaire du gouvernement présente ses conclusions pour la première fois oralement à l’audience publique de jugement de l’affaire et que tant les parties à l’instance que les juges et le public en découvrent le sens et le contenu à cette occasion (voir Kress c. France [GC], no 39594/98, § 73, CEDH 2001-VI).
64. La requérante ne saurait dès lors tirer du droit à l’égalité des armes reconnu par l’article 6 § 1 de la Convention le droit de se voir communiquer, préalablement à l’audience, des conclusions qui ne l’ont pas été à l’autre partie à l’instance, ni au rapporteur, ni aux juges de la formation de jugement. Aucun manquement à l’égalité des armes ne se trouve donc établi (Kress précité, § 73, et Farange S.A. c. France, no 77575/01, § 24, 13 juillet 2006). Il s’ensuit que ce grief est manifestement mal fondé et doit être rejeté en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
2. Grief relatif à la durée de la procédure
65. La Cour rappelle que tout grief tiré de la durée d’une procédure devant les juridictions administratives introduit devant elle le 1er janvier 2003 ou après cette date sans avoir préalablement été soumis aux juridictions internes dans le cadre d’un recours en responsabilité de l’Etat pour fonctionnement défectueux du service public de la justice, est irrecevable, quel que soit l’état de la procédure au plan interne (Broca et Texier-Micault c. France, nos 27928/02 et 31694/02, § 22, 21 octobre 2003). La présente requête ayant été introduite le 19 janvier 2005, il s’ensuit que ce grief doit être rejeté pour non-épuisement des voies de recours internes, en application de l’article 35 §§ 1 et 4 de la Convention.
B. Autres griefs
66. La requérante se plaint d’avoir fait l’objet d’un traitement discriminatoire en raison de sa qualité de marchand de biens et cite l’article 14 de la Convention. Par ailleurs, invoquant les articles 17 et 18 de la Convention, elle estime que le refus systématique de lui accorder le concours de la force publique pour obtenir l’exécution d’une décision de justice constitue un détournement de pouvoir et un abus de droit manifeste de la part des autorités nationales.
67. La Cour observe que ces griefs ne sont pas étayés. Il s’ensuit que cet aspect de la requête est manifestement mal fondé et doit être rejeté en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
68. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
69. La requérante réclame 109 456 EUR au titre du préjudice matériel qu’elle aurait subi, se décomposant comme suit : 66 651 EUR au titre de la non-réévaluation de l’indemnité d’immobilisation qu’elle reçoit de l’Etat (en se basant sur l’indemnité d’occupation fixée par le tribunal d’instance de Fortcalquier, indexée selon l’augmentation de l’indice INSEE), et 42 805 EUR au titre de la détérioration des bâtiments occupés par les époux C. Elle sollicite par ailleurs 15 000 EUR au titre du préjudice moral, en faisant valoir qu’elle est une petite structure familiale de trois associés (un couple et leur fils). Elle demande enfin à la Cour d’ordonner au Gouvernement de lui accorder le concours de la force publique dans un délai de trois mois à compter du présent arrêt.
70. Le Gouvernement estime les demandes de la requérante excessives et sans lien établi avec les violations alléguées de la Convention. Il fait valoir qu’elle a reçu et continue de recevoir régulièrement une indemnisation de l’Etat pour le préjudice subi du fait du maintien dans les lieux des époux C. et considère que les versements ainsi opérés suffisent à assurer une juste indemnisation de son préjudice matériel. Il considère que sa demande aux fins d’indemnisation de la valeur résiduelle de son bien (la partie qu’elle n’a pas revendue) est dépourvue de base juridique, puisqu’elle n’a pas subi de dépossession de son bien. Pour ce qui est du préjudice moral, il fait valoir que sa réalité n’est pas établie et que la requérante n’apporte aucune précision de nature à en justifier le montant.
Enfin, en ce qui concerne la demande de la requérante relative à la restitution de son bien, il rappelle que la Cour ne se reconnaît pas en principe de pouvoir d’injonction et que, lorsque dans des cas exceptionnels, elle prend une injonction de faire, elle indique que ses arrêts ont un caractère déclaratoire pour l’essentiel et qu’en général il appartient au premier chef à l’Etat en cause de choisir les moyens à utiliser dans son ordre juridique interne pour s’acquitter de son obligation au regard de l’article 46 de la Convention, pour autant que ces moyens soient compatibles avec les conclusions contenues dans l’arrêt de la Cour (Assanidzé c. Géorgie [GC], no 71503/01, § 202, CEDH 2004-II).
71. La Cour relève que la seule base à retenir pour l’octroi d’une satisfaction équitable réside en l’espèce dans le constat de violation de l’article 1 du Protocole no 1 en raison du refus de concours de la force publique en exécution d’une décision de justice. Elle estime qu’il y a lieu de tenir compte de ce que la requérante a revendu la plus grande partie de la propriété (31 ha sur 36), qu’elle est toujours propriétaire de la partie résiduelle et qu’elle perçoit régulièrement une indemnisation de l’Etat en réparation du préjudice causé par l’occupation des lieux (Barret et Sirjean précité, § 54). Dans ces conditions, il ne sera pas fait droit à ce chef de demande. La Cour considère par ailleurs qu’il y a lieu d’octroyer à la requérante 3 000 EUR au titre du préjudice moral (Comingersoll S.A. c. Portugal [GC], no 35382/97, §§ 36-37, CEDH 2000-IV).
72. S’agissant de l’injonction demandée par la requérante, la Cour considère que la présente affaire n’est pas de celles où il se justifie d’indiquer au Gouvernement la mesure à prendre pour remédier à la violation constatée. Il appartiendra à ce dernier, sous le contrôle du Comité des Ministres, de choisir les moyens à utiliser dans son ordre juridique interne pour s’acquitter de son obligation au regard de l’article 46 de la Convention (Öcalan c. Turquie [GC], no 46221/99, § 210, CEDH 2005-IV). Il y a donc lieu de rejeter la demande de la requérante sur ce point.
B. Frais et dépens
73. La requérante demande également 13 950, 77 EUR pour les frais et dépens engagés devant les juridictions internes, consistant en honoraires d’avocats, d’huissier de justice, frais d’expertise et de consultation juridique et produit des justificatifs. Elle sollicite en outre 3 588 EUR pour les frais exposés devant la Cour au titre des honoraires de son avocat, dont elle a soumis des justificatifs.
74. Le Gouvernement souligne que la requérante a bénéficié devant les juridictions nationales d’une indemnisation de ses frais de justice, que ses demandes au titre des frais d’huissier ont été rejetées par la cour administrative d’appel comme non justifiées et que celles au titre des frais d’expertise ont également été rejetées comme inutiles. Le Gouvernement conclut à ce que la somme éventuellement allouée à la requérante n’excède pas 3 588 EUR au titre des frais encourus devant la Cour.
75. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. S’agissant des frais encourus devant les juridictions internes, la Cour estime, au vu des justificatifs produits par la requérante, qu’il y a lieu de lui rembourser les frais d’avocats et d’huissier directement exposés pour les besoins des procédures internes, en tenant compte des montants au titre des frais de justice que les juridictions administratives ont condamné l’Etat à lui rembourser. La Cour accorde en conséquence à la requérante 5 000 EUR au titre des frais et dépens de la procédure nationale. Elle lui alloue en outre l’intégralité de la somme réclamée, à savoir 3 588 EUR, pour la procédure devant la Cour.
C. Intérêts moratoires
76. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant au grief tiré de l’article 1 du Protocole no 1 et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
3. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser à la requérante, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 3 000 EUR (trois mille euros) pour dommage moral et 8 588 EUR (huit mille cinq cent quatre-vingt-huit euros) pour frais et dépens, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par la requérante ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 2 décembre 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Claudia Westerdiek Peer Lorenzen
Greffière Président

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