Conclusione Non – violazione dell’art. 14+P1-1; Non – violazione dell’art. 4
GRANDE CAMERA
CAUSA STUMMER C. AUSTRIA
(Richiesta no 37452/02)
SENTENZA
STRASBURGO
7 luglio 2011
Questa sentenza è definitiva. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Stummer c. Austria,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, riunendosi in una Grande Camera composta da:
Jean-Paul Costa, presidente, Nicolas Bratza, Peer Lorenzen, Francesca Tulkens, Josep Casadevall, Corneliu Bîrsan, Anatoly Kovler, Elisabetta Steiner, Alvina Gyulumyan, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, Dragoljub Popović, Giorgio Malinverni, George Nicolaou, Ann Power, Kristina Pardalos, Vincent A. di Gaetano, giudici,
e da Vincent Berger, giureconsulto,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 3 novembre 2010 ed il 25 maggio 2011,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 37452/02) diretta contro la Repubblica dell’Austria e di cui un cittadino austriaco, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 14 ottobre 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente che si è visto accordare l’utile dell’assistenza giudiziale, è stato rappresentato da A. B., avvocato iscrive al foro di Vienna. Il governo austriaco (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, il Sig. H. Tichy, ambasciatore e capo del dipartimento di diritto internazionale del ministero federale delle Cause europee ed internazionali.
3. Nella sua richiesta, il Sig. OMISSIS si lamentava di essere stato oggetto di una discriminazione nella misura in cui, nonostante il fatto che lavorava, non aveva, a ragione della sua condizione di detenuto, non stato affiliato al regime delle pensioni di pensione durante i suoi anni di carcerazione, e di essere stato perciò privato di una pensione. Invocava l’articolo 4 e, in sostanza, l’articolo 14 della Convenzione, composto con l’articolo 4 e con l’articolo 1 del Protocollo no 1.
4. La richiesta è stata assegnata alla prima sezione della Corte, articolo 52 § 1 dell’ordinamento. Il 11 ottobre 2007, è stata dichiarata ammissibile con una camera di questa sezione composta di Christos Rozakis, Anatoly Kovler, Elisabetta Steiner, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens e Giorgio Malinverni, giudici, e di Søren Nielsen, cancelliere di sezione. Il 18 marzo 2010, una camera della stessa sezione composta di Christos Rozakis, Anatoly Kovler, Elisabetta Steiner, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, Giorgio Malinverni e George Nicolaou, giudici, e di Søren Nielsen, cancelliere di sezione, si è disfatta a questo riguardo a favore della Grande Camera, nessuna delle parti consultate, non essendosi opposta alla privazione (articolo 30 della Convenzione ed articolo 72 dell’ordinamento).
5. La composizione della Grande Camera è stata arrestata conformemente alle disposizioni dell’articolo 26 §§ 4 e 5 della Convenzione e dell’articolo 24 dell’ordinamento.
6. Il richiedente ed il Governo hanno ciascuno depositato delle osservazioni scritte sul fondo, articolo 59 § 1 dell’ordinamento.
7. Un’udienza ha avuto luogo in pubblico al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 3 novembre 2010, articolo 59 § 3.
Sono comparsi:
OMISSIS
La Corte ha inteso nei loro dichiarazioni OMISSIS, e, nelle loro risposte a certe questioni poste dai giudici, OMISSIS.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
8. Il richiedente è nato in 1938 e risiede a Vienna. Ha trascorso ventotto anni della sua vita in prigione e ha lavorato nella cucina o nella panetteria della struttura per lunghi periodi dove era incarcerato. In quanto detenuto che esercitava un lavoro, non fu affiliato al regime delle pensioni di anzianità che dipendeva dal regime generale della previdenza sociale. A contare tuttavia del 1 gennaio 1994, fu affiliato al regime dell’assicurazione di disoccupazione per i suoi periodi di lavoro in prigione.
9. L’ 8 febbraio 1999, introdusse dinnanzi all’ufficio delle pensioni dei lavoratori salariati (Pensionsversicherungsanstalt der Arbeiter-“l’ufficio delle pensioni”) unistanza di pensione di anzianità anticipata.
10. Con una decisione dell’ 8 marzo 1999, l’ufficio delle pensioni respinse l’istanza al motivo che il richiedente non aveva compiuto 240 mesi di assicurazione, minimo richiesto per potere beneficiare di una pensione di anzianità anticipata. Un elenco dei periodi di assicurazione del richiedente che cominciava nell’ottobre 1953 e si concludeva nel febbraio 1999, era annesso alla decisione. Ne risultava che il richiedente aveva accumulato solamente 117 mesi di assicurazione. Mostrava dei lunghi periodi durante cui nessuna quota era stata versata, in particolare dal maggio 1963 al maggio 1964, di luglio 1965 al settembre 1968, di giugno 1969 al gennaio 1974, di aprile 1974 al marzo 1984, di giugno 1984 a maggio 1986 e di febbraio 1987 all’aprile 1994. Tra maggio 1994 e febbrai 1999, un certo numero di mese al corso dai quali il richiedente aveva percepito dei sussidi di disoccupazione o un sussidio di necessità a titolo della legge sull’assicurazione disoccupazione fu preso in conto come periodi di sostituzione.
11. In seguito, il richiedente investe il tribunale del lavoro e delle cause sociali, Arbeits – und Sozialgericht, di Vienna di un’azione contro l’ufficio delle pensioni. Faceva valere che aveva lavorato durante ventotto anni in prigione e che i mesi dove aveva lavorato durante la sua carcerazione dovevano essere considerati come i mesi di assicurazione alle fini della struttura dei suoi diritti a pensione.
12. Il 4 aprile 2001, il tribunale del lavoro e delle cause sociali respinse il richiedente della sua pretesa. Confermò che l’interessato non aveva compiuto il numero minimo richiesi di mese di assicurazione. Riferendosi all’articolo 4 § 2 della legge sul regime generale della previdenza sociale, notò che i prigionieri che effettuavano un lavoro obbligatorio durante la loro detenzione non erano affiliati al regime obbligatorio della previdenza sociale. In virtù della giurisprudenza buona invalsa della Corte suprema, sentenza 10 ObS 66/90 del 27 febbraio 1990 e sentenza 10 ObS 52/99s del 16 marzo 1999, il loro lavoro che corrispondeva ad un obbligo legale, doveva essere distinto del lavoro compiuto dai salariati sulla base di un contratto di lavoro. Il tribunale considerò che la differenza di trattamento che riservava a questo riguardo il diritto della previdenza sociale non rivelava nessuna apparenza di discriminazione.
13. Oramai assistito di un avvocato, il richiedente interpose appello. Sosteneva in particolare che la formula dell’articolo 4 § 2 della legge sul regime generale della previdenza sociale non distinguevano tra lavori compiuti in esecuzione di un obbligo legale e lavoro compiuto in esecuzione di un contratto. Stimava per di più che la distinzione trattenuta non era obiettivamente giustificata. Faceva osservare che da fine 1993 i detenuti che lavoravano erano affiliati al regime dell’assicurazione disoccupazione. Considerava che non c’era nessuna ragione di non affiliarli al regime delle pensioni di pensione.
14. Il 24 ottobre 2001, la corte di appello (Oberlandesgericht) di Vienna lo respinse del suo ricorso. Considerò che il tribunale del lavoro e delle cause sociali aveva applicato correttamente in vigore il diritto. Indicò che in virtù della giurisprudenza buona invalsa della Corte suprema, i prigionieri che compivano un lavoro obbligatorio non dovevano essere trattati come i salariati ai sensi dall’articolo 4 § 2 della legge sul regime generale della previdenza sociale e non erano affiliati quindi al regime obbligatorio della previdenza sociale. Aggiunse che il fatto che si trovava affiliati all’assicurazione disoccupazione dalla modifica portata alla legge sull’esecuzione delle pene (Strafvollzugsgesetz) nel 1993 i prigionieri non era relativamente concludente alla questione della loro affiliazione al regime delle pensioni di pensione. Stimò che in sostanza il richiedente sollevava una questione di politica giuridica o sociale. Ora, secondo lei, apparteneva non ai tribunali, ma al legislatore di decidere dell’opportunità di modificare o non le disposizioni relative alla coperta sociale dei prigionieri. A questo riguardo, la corte di appello precisò che non divideva i dubbi espressi dal richiedente in quanto ad un possibile incostituzionalità dell’esclusione del regime delle pensioni di pensione dei detenuti che esercitano un lavoro.
15. Il 12 febbraio 2002, la Corte suprema, Oberster Gerichtshof, respinse il ricorso in cassazione di cui il richiedente l’aveva investita. La sua sentenza fu notificata a questo ultimo il 6 maggio 2002.
16. Il 29 gennaio 2004, il richiedente ebbe finito di scontare la sua ultima pena di detenzione. Percepì delle indennità di disoccupazione fino al 29 ottobre 2004, poi, alla scadenza di questa, un sussidio di necessità (Notstandshilfe). Secondo le informazione fornite dall’avvocato dell’interessato all’udienza, il richiedente percepisce circa oggi 720 euros (EUR) con mese, 15,77 EUR con giorno, più 167 EUR con mese a titolo del sussidio di necessità e 87 EUR a titolo di intervento nei suoi oneri di affitto.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
A. La legge sul regime generale della previdenza sociale
17. La base del sistema austriaco di previdenza sociale è costituita di due leggi: la legge sul regime generale della previdenza sociale, Allgemeines Sozialversicherungsgesetz, e la legge sull’assicurazione disoccupazione (Arbeitslosenversicherungsgesetz). Il diritto austriaco della previdenza sociale è fondato sul principio contributivo.
1. Regole generali
18. L’assicurazione messa in opera con la legge sul regime generale della previdenza sociale copre la salute, gli incidenti e la pensione di pensione.
19. L’articolo 4 della legge contempla l’affiliazione obbligatoria alla previdenza sociale. Il paragrafo 1 capoverso 1 di questo articolo enuncia che i salariati sono affiliati al regime dell’assicurazione salute ed incidenti ed al regime delle pensioni di pensione. Il paragrafo 2 dello stesso articolo precisa che con salariato si intende ogni persona adoperata contro rimunerazione in un rapporto di dipendenza personale ed economica. Una condizione supplementare all’affiliazione obbligatoria è che la rimunerazione supera una soglia determinata (Geringfügigkeitsgrenze). Ai tassi reali, questo importo è di 366,33 EUR con mese, articolo 5 § 2 della legge.
20. Per un lavoratore salariato affiliato alla previdenza sociale, delle quote obbligatorie sono a versare ne partire col datore di lavoro e partire ne col salariato.
21. L’articolo 17 § 1 della legge dispongono che le persone che non sono più coperte con l’affiliazione obbligatoria alla previdenza sociale possono continuare a pagare delle quote volontarie, freiwillige Weiterversicherung, per quanto abbiano compiuto al minimo dodici mesi di assicurazione durante i ventiquattro ultimi mesi in seno al sistema o almeno tre mesi di assicurazione durante ciascuna dei cinque ultimi anni. Le quote possono essere ridotte in certi limiti se la situazione finanziaria della persona riguardata giustifica uguale misura.
22. Una persona che raggiunge l’età della partenza alla pensione non ha diritto ad una pensione di pensione che se ha accumulato un numero sufficiente di mese di assicurazione, a sapere 180 mesi, o, nel caso di una pensione anticipata, 240 mesi. Per il calcolo del numero di mese di assicurazione, certi periodi al corso dalle quali non c’è stato esercizio di un’attività salariata né, perciò, versamento di quote può tuttavia essere presi in considerazione come periodi di sostituzione (Ersatzzeiten), per esempio i periodi consacrati ad alzare dei bambini o a compiere un servizio militare, o ancora i periodi di disoccupazione.
23. L’importo di una pensione di pensione dipende principalmente dal numero di mese di assicurazione e del livello delle quote versate. Se la pensione così calcolata non raggiunge una soglia determinata, fissata oggi a 783,99 EUR con mese per una persona isolata ed a 1 175,45 EUR per una coppia, un sussidio di complemento (Ausgleichszulage) è versato in modo che il livello minimo sia raggiunto.
2. La situazione dei detenuti
24. Quando una persona è portata a scontare una pena di detenzione superiore ad un mese, la sua coperta salute ed incidenti e la sua coperta pensiono sono sospese (articolo 78 della legge sul regime generale della previdenza sociale). Sono le autorità penitenziarie che sono supposte provvedere ai bisogni dei prigionieri. Parimenti, è lo stato che, in virtù della legge sull’esecuzione delle pene (vedere sotto 41 e 44 i paragrafi), è supposto fornire le cure di cui hanno bisogno agli interessati, ivi compreso in caso di incidente.
25. In principio, i prigionieri che esercitano un lavoro non sono affiliati al regime generale della previdenza sociale. Secondo la giurisprudenza della Corte suprema, non sono considerati come i salariati al senso dell’articolo 4 § 2 della legge sul regime generale della previdenza sociale.
26. In una sentenza del 27 febbraio 1990, 10 Obs 66/90, la Corte suprema si pronunciò su un ricorso formato da un ex-detenuto contro il rifiuto di accordargli una pensione di invalidità motivata dal fatto che non aveva compiuto il numero di mese di assicurazione richiesi. La Corte suprema si espresse come segue:
Secondo l’opinione unanime del ministero federale competente, Raccolta di pubblicazioni in materia di assicurazione sociale SVSlg 19.570, della Corte amministrativa (2.2.1972, 782/71 e 62/72, VwSlgNF 8162 = SVSlg 21.171, e della corte di appello di Vienna (SVSlg 8.868) 21.172, 26.918, 30.930 e 32.418, queste prestazioni di lavoro che sono compiute sulla base di un obbligo legale e non sulla base di un contratto volontariamente accettato, non rientrano nel campo di applicazione del regime dell’assicurazione obbligatoria. La dottrina esalta anche la seguente interpretazione che il diritto della previdenza sociale, come il resto il diritto del lavoro, esigi che i contratti di lavoro siano stabiliti su una base consensuale. I servizi compiuti in esecuzione di un obbligo previsto dal diritto pubblico non si fondano su una convenzione. Perciò, il lavoro compiuto nel contesto dell’esecuzione di una pena non saprebbe essere considerato come rilevando dell’articolo 4 § 2 della legge sul regime generale della previdenza sociale (vedere Krejci-Marhold in Tomandl, SV-System 3,). ErgLfg 46; MGA ASVG 49. ErgLfg 125; Krejci in Rummel, ABGB § 1151 Rz 16. Nella sua sentenza dei 26.11.1971 B 128/71, VfSlg 6582 = SVSlg 21.170, la Corte costituzionale ha considerato che la decisione del legislatore in virtù della quale il lavoro compiuto nel contesto dell’esecuzione di una pena di prigione non entrava nel campo di applicazione del regime della previdenza sociale-al motivo che faceva difetto la condizione di accettazione volontaria di un obbligo di lavoro specifico, richiesta per costituire un contratto di lavoro che necessita il versamento di quote sociali- non era contrario al principio dell’uguaglianza di trattamento.
(…)
Le cure mediche dovettero ai detenuti in applicazione degli articoli 66 e seguono della legge sull’esecuzione delle pene e le prestazioni dovute agli interessati in applicazione degli articoli 76 e segue della stessa legge in seguito ad incidenti del lavoro o di malattie professionali, al senso dell’articolo 76, paragrafi 2-4, della stessa legge, offrono a questa categoria di persone un regime legale di assicurazione salute ed incidenti adattati al contesto carcerario.
Il fatto che i detenuti non siano affiliati di più al regime legale obbligatorio dell’assicurazione pensiono quando compiono delle prestazioni di lavoro nella cornice del loro obbligo di lavorare-contrariamente a ciò che accade, per esempio, nella cornice di una relazione employeur/salarié ordinario-può essere giustificato dalle differenze essenziali dei rapporti già menzionati, e, come la Corte costituzionale l’ha precisato nella sua sentenza, non porta attentato al principio dell’uguaglianza di trattamento dunque.
I periodi passati in detenzione provvisoria o queste passate in prigione in esecuzione di una pena non sono, conformemente alla legge sul regime generale della previdenza sociale, considerate come i periodi di quota obbligatoria che nei casi dove le misure privative di libertà in questione sono state imposte o per i motivi politici-altri che legati alle attività nazional-socialista-, per i motivi religiosi o per i motivi di estrazione, articolo 500 ed articolo 502 § 1, o nei casi dove un tribunale austriaco, conformemente alla legge sugli indennizzi in materia penale, ha reso a proposito dei periodi di detenzione controversa una decisione obbligatoria che riconosce la fondatezza di una domanda di danno-interessi per la detenzione o la condanna subita (articolo 506a). I periodi così considerate come i periodi validi di quota obbligatoria devono essere guardati nel primo caso menzionato come non richiedendo il versamento di quote, articolo 502 § 1 terza frase,; nel secondo caso, lo stato federale deve versare le quote corrispondenti all’organismo di assicurazione competente, articolo 506a seconda frase. Si tratta nei due casi di compensare gli svantaggi in materia di assicurazione sociale che è supposta avere causato al giudicabile l’imposta di una pena privativa di libertà non giustificata. Un’estensione di queste disposizioni eccezionali al tempo passato in prigione a ragione di un fermo giustificato dagli atti condannabili sarebbe contrario al principio di uguaglianza di trattamento. Per i motivi analoghi, l’ammissione degli uguali periodi come periodi di sostituzione sarebbe anche contraria al principio dell’uguaglianza di trattamento Un detenuto al quale le eccezioni suddette previste dagli articoli 502 § 1 e 506a non si applicano acquisisce non quindi nel contesto del suo obbligo di lavorare né periodi di quota a titolo del regime dell’assicurazione obbligatoria né periodi di sostituzione. L’esecuzione della sua pena non l’impedisce tuttavia di continuare a versare delle quote al regime delle pensioni di pensione a titolo dell’articolo 17 e di accumulare dei periodi di quota mediante il versamento di quote volontarie, essendo sentito che in virtù dell’articolo 76a § 4 il mantenimento della coperta deve potere farsi, alla domanda dell’interessato, sulla base di un tasso di quota meno elevata che quello previsto ai paragrafi 1 a 3 di suddetta disposizione. Conformemente all’articolo 75 § 3 della legge sull’esecuzione delle pene, i detenuti devono essere informati delle possibilità e vantaggi che può avere per essi, per esempio, a continuare su una base volontaria a quotarsi all’assicurazione, ed egli è loro anche lecito di utilizzare per il versamento delle quote alla previdenza sociale dei fondi di cui non possono disporre diversamente nella cornice ordinaria dell’esecuzione della loro pena. Grazie alla flessibilità del dispositivo-particolarmente in ciò che riguarda l’inizio, la fine ed il calcolo dei mesi di quota-che gli permette di continuare a quotarsi alla previdenza sociale (vedere 17 §§ l’articolo 7 e 8), un detenuto può acquisire anche dei mesi di quota supplementare per colmare i buchi nel suo periodo di assicurazione et/ou per ottenere delle prestazioni di pensione più elevata. C’è luogo di non perdere a questo riguardo di vista il fatto che se si doveva considerare che un detenuto è coperto dall’assicurazione invalidità e l’assicurazione pensiono per le prestazioni di lavoro compiuto da lui nella cornice dell’esecuzione della sua pena, delle quote dovrebbero essere prosciolte per i periodi in questione. Alla differenza del regime previsto dall’articolo 506a, in virtù del quale lo stato federale deve versare le quote che corrispondono ai periodi di quota in questione, questo obbligo che fa parte integrante del regime di indennizzo in materia penale, all’organismo di assicurazione competente, una quota dello stato non sarebbe ragionevole nel caso presente Non sarebbe ragionevole in simile caso aspettare della comunità delle persone assicurate che accetta che i periodi per che nessuna quota è stata versata danno diritto alle prestazioni di pensione; i detenuti avrebbero a versare simili quote, così che la situazione non sarebbe sostanzialmente differente di quella che caratterizza l’assicurazione su una base volontaria. Perciò, se il legislatore ha deciso che le prestazioni di lavoro compiuto nel contesto dell’obbligo di lavorare che pesa sui detenuti non possono in principio portare il conto dei periodi di quota obbligatoria o di periodi di sostituzione e se, alla luce di questo principio, il legislatore ha contemplato solamente le eccezioni precitate, questa decisione è fondata su delle considerazioni obiettive.
Perciò, la Corte suprema non ha nessuno dubbio in quanto alla costituzionalità delle disposizioni legali applicabili nello specifico. “
27. In una sentenza del 16 marzo 1999, 10 ObS 52/99s, la Corte suprema confermò la sua decisione anteriore.
28. Alle fini del calcolo dei diritti ad una pensione di pensione, i periodi passati in prigione non sono presi in considerazione che nelle circostanze buone definite nella legge sul regime generale della previdenza sociale. Per esempio, i periodi di carcerazione che hanno dato adito a versamento di un’indennità a titolo della legge sugli indennizzi in materia penale, Strafrechtliches Entschädigungsgesetz, sono contati come i periodi di sostituzione.
B. La legge sull’assicurazione di disoccupazione e la pratica pertinente
29. I salariati sono affiliati anche al regime dell’assicurazione disoccupazione. Delle quote obbligatore sono a versare ne partire col datore di lavoro e partire ne col salariato.
30. Dalla modifica portata alla legge sull’assicurazione disoccupazione nel 1993, i detenuti che esercitano un lavoro conformemente all’articolo 44 § 1 della legge sull’esecuzione delle pene sono affiliati al regime dell’assicurazione disoccupazione in virtù dell’articolo 66a della legge sull’assicurazione disoccupazione. La quota salariale delle quote è a prelevare sulla rimunerazione del detenuto, per quanto questa supera la soglia di spettati marginale, la quota padronale dinnanzi ad essere versata dallo stato mediante il ministero della Giustizia. La modifica in questione è entrata in vigore il 1 gennaio 1994.
31. In ciò che riguarda la modifica della legge che si inseriva in una riforma più larga del sistema dell’esecuzione delle pene, la commissione della giustizia (Justizausschuß) del Parlamento considerò che l’affiliazione al regime dell’assicurazione disoccupazione dei detenuti che esercitano un lavoro costituiva una prima tappa verso la piena integrazione degli interessati nel sistema della previdenza sociale. Sottolineò che l’affiliazione al regime dell’assicurazione disoccupazione dei detenuti che esercitano un lavoro costituiva un aspetto importante del miglioramento delle probabilità di reinserimento degli interessati nella società e della limitazione dei rischi di recidiva (vedere la pagina 1253 degli allegati ai conti resi stenografici del Consiglio nazionale) Beilagen zu den Stenographischen Protokollen dei Nationalrates, XVIII.GP).
32. Tra le prestazioni previste dalla legge sull’assicurazione disoccupazione raffigurano l’accesso ai corsi di formazione, degli aiuti alla ricerca di un impiego ed il versamento di indennità di disoccupazione che sono partire funzione dalla rimunerazione anteriore, durante un certo periodo. Alla scadenza delle indennità di disoccupazione, la persona garantita ha diritto al versamento di un sussidio di necessità che mira a garantirgli un minimo di sussistenza. Quando il beneficiario del sussidio di necessità raggiunge l’età legale della pensione, il sussidio continuo di essere versatagli se non ha dritto ad una pensione.
33. All’udienza, il Governo ha fornito il seguente informazione sulla proporzione di detenuti che esercitano un lavoro e hanno dunque dritto ai sussidi di disoccupazione dopo la loro liberazione:
-sulle 12 460 persone che si trovavano detenute nel 2009, 8 903, circa il 71%, esercitavano un lavoro ed erano coperti così dall’assicurazione disoccupazione. 2 490 solamente di questi detenuti guadagnavano più della soglia legale che porta obbligo di versare delle quote; gli altri non erano sottomessi all’obbligo di quotarsi;
-sulle 9 477 persone che si trovavano detenute tra il 1 gennaio ed i 30 giugni 2010, 6 791, circa il 71%, esercitavano un lavoro ed erano coperti dall’assicurazione disoccupazione dunque. 1 879 solamente di questi detenuti versavano infatti delle quote, la loro rimunerazione che supera la soglia legale che porta obbligo di quotarsi, gli altri non erano costretti a versare delle quote;
-entro il 1 gennaio 2009 ed il 30 giugno 2010, si censiva 2 086 persone misura di sollecitare l’utile di prestazioni di disoccupazione al motivo che erano state affiliate al regime dell’assicurazione disoccupazione durante la loro carcerazione; 1 898 di esse sollecitò l’utile di sussidi disoccupazione alla loro liberazione e si vide concedere in media un sussidio di 21,09 EUR con giorno, la media prova generale che si trova a 26,90 EUR con giorno.
C. Assistenza sociale
34. La previdenza sociale è completata da un regime di assistenza sociale fondata su delle condizioni di risorse. Si tratta di fornire alle persone che non dispongono dei mezzi necessari (risorse personali o dritte alle prestazioni di pensione o di disoccupazione), un reddito minimo per permetterloro di provvedere ai loro bisogni di base.
35. Il 1 settembre 2010, un nuovo sistema, quello del sussidio minimo sotto condizioni di risorse (, bedarfsorientierte Mindestsicherung, è entrato in vigore che ha sostituito il regime dell’assistenza sociale. Garantisce un reddito minimo a tutte le persone che sono desiderose e capaci di lavorare o che sono vecchie di più di sessantacinque anni e non dispongono altri mezzi di sussistenza. L’importo ne è allineato su quello della pensione minima.
D. La legge sull’esecuzione delle pene e la pratica pertinente
36. In virtù dell’articolo 44 § 1 della legge sull’esecuzione delle pene (Strafvollzugsgesetz), tutto detenuto che è atto a lavorare è tenuto di effettuare ogni lavoro che gli è citato.
37. L’articolo 45 § 1 della legge obbligano le autorità penitenziarie a fornire ad ogni detenuto un lavoro utile. L’articolo 45 § 2 tratta delle differenti forme di lavoro che può essere citate ai prigionieri. Questi possono così essere costretti ad effettuare dei compiti in seno alla prigione, a lavorare per le autorità pubbliche, per i œuvres caritatives o per i datori di lavoro privati.
38. L’articolo 46 § 3 precisi che gli autorità pénitentaires possono concludere relativamente dei contratti con le imprese private al lavoro dei detenuti.
39. In virtù dell’articolo 51, è lo stato federale, der Bund che percepisce il prodotto del lavoro dei prigionieri.
40. I prigionieri che compiono il loro lavoro in modo soddisfacente hanno diritto ad una rimunerazione. Gli importi orari della rimunerazione in questione che è funzione del tipo di lavoro compiuto, sono fissati all’articolo 52 § 1. Ai tassi reali, si presentano come segue:
-per i lavori di manodopera leggeri EUR 5,00
-per i lavori di manodopera pesanti EUR 5,63
-per il lavoro artigianale EUR 6,26
-per il lavoro specializzato EUR 6,88
-per il lavoro di agente di padronanza EUR 7,50
41. Le autorità penitenziarie devono garantire la sussistenza dei detenuti (articolo 31).
42. In virtù dell’articolo 32, i prigionieri devono, salvo eccezione, contribuire agli oneri afferenti all’esecuzione della loro pena. Se il prigioniero lavora, il contributo ammonta al 75% della sua rimunerazione. Questo contributo è dedotto automaticamente della somma dovuta al prigioniero.
43. Per di più, la quota salariale della quota all’assicurazione disoccupazione è a dedurre della rimunerazione del prigioniero. Il restante della rimunerazione è utilizzato del seguente modo: la metà ne è rimesso al detenuto a titolo “di denaro per le spese minute”, l’altra metà è versata su un conto risparmio che è liquidato il giorno della liberazione dell’interessato (articolo 54 della legge).
44. In virtù degli articoli 66 e segue e 76 e segue della legge sull’esecuzione delle pene, sono alle autorità penitenziarie di badare a ciò che i detenuti beneficiano delle cure di salute e dei trattamenti medici di cui possono avere bisogno, in particolare in caso di incidente. In sostanza, il diritto alle cure di salute ed ai trattamenti in simile caso corrisponde al diritto previsto dalla legge sul regime generale della previdenza sociale.
45. Se un detenuto nega di esercitare il lavoro che gli è citato, si rende colpevole di una violazione repressa dall’articolo 107 § 1, capoverso 7, della legge sull’esecuzione delle pene. Le sanzioni che si attaccano a simile reato in virtù dell’articolo 109 della stessa legge vanno del semplice avvertimento all’isolamento cellulare, passando dalla riduzione o il ritiro di certi diritti, il diritto di utilizzare “il denaro per le spese minute” per esempio, di guardare la televisione o di mandare e di ricevere della corrispondenza o di ricevere degli appelli telefonici, ed una multa.
46. Secondo le informazione fornite dal Governo, la proporzione dei detenuti che lavorano è oggi del 70% in Austria. Tenuto conto delle esigenze della routine carceraria, la durata media di una giornata di lavoro in prigione si trova tra sei ore e sei ore e metà. Il tempo passato da un prigioniero a seguire un trattamento terapeutico o sociale è considerato tuttavia e rimunerato come il tempo di lavoro, fino ad un massimo di cinque ore con settimana.
III. TESTI INTERNAZIONALI PERTINENTI
A. Strumenti delle Nazioni Unite
1. La Convenzione sul lavoro forzato (no 29, dell’organizzazione Internazionale del Lavoro,)
47. La Convenzione sul lavoro forzato (no 29) è stata adottata dalla Conferenza generale dell’organizzazione Internazionale del Lavoro, Ode, il 28 giugno 1930; è entrata in vigore il 1 maggio 1932. La parte pertinente nello specifico del suo articolo 2 è formulata come segue:
“1. Ai fini della presente Convenzione, il termine lavoro forzato od obbligatorio designerà ogni lavoro o servizio richiesto da un individuo sotto la minaccia di una pena qualsiasi e per cui suddetto individuo non si è offerto in pieno gradimento.
2. Tuttavia, il termine lavoro forzato od obbligatorio non comprende, alle fini della presente Convenzione:
(…)
c. ogni lavoro o servizio richiesto di un individuo come conseguenza di una condanna pronunciata da una decisione giudiziale, alla condizione che questo lavoro o servizio siano eseguiti sotto la sorveglianza ed il controllo delle autorità pubbliche e che suddetto individuo non sia concesso o messo a disposizione di individui, compagnie o persone giuridiche o private.”
All’epoca della sua 96 sessione, tenuta nel 2007, la Conferenza internazionale del lavoro, la riunione annua degli Stati membri dello ode, ha proceduto ad un studio di insieme relativo alla Convenzione, no 29, sul lavoro forzato, basata su un rapporto della Commissione di periti per l’applicazione delle Convenzioni e Raccomandazioni (“la Commissione”).
Il rapporto trattava in particolare dell’impiego del manodopera penitenziario col settore privato. Rilevando che il lavoro penitenziario per il conto di datori di lavoro privati era vietato dall’articolo 2 § 2 c) della Convenzione no 29, la Commissione precisava che poteva avere delle situazioni in che, nonostante il loro stato di cattività, i prigionieri potevano essere reputati essere offerti si di pieno gradimento e senza essere minacciati di una pena qualsiasi per effettuare un lavoro per il conto di un datore di lavoro privato. Aggiungeva che a questo riguardo, eccetto il consenso scrive formale del prigioniero, delle condizioni prossime di una relazione di lavoro libero, in termini di livello di rimunerazione, di previdenza sociale e di condizioni di sicurezza e di igiene, costituivano l’indicatore più affidabile del carattere volontario del lavoro. Dal momento che simili condizioni erano assolte, il lavoro penitenziario effettuato per il conto di imprese private doveva, secondo lei, essere considerato come non rilevando della definizione del lavoro costretto comparsa all’articolo 2 § 1 della Convenzione no 29 e come sfuggendo perciò al campo di applicazione di questo testo, paragrafi 59–60 e 114-116 del rapporto.
2. Il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici
48. Il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici sono stati adottati dall’assemblea generale delle Nazioni unite il 16 dicembre 1966, Risoluzione 2200A (XXI)) e è entrato in vigore il 23 marzo 1976. La parte pertinente nello specifico del suo articolo 8 è formulata così:
“3. ha, nessuno sarà costretto a compiere o un lavoro forzato obbligatorio;
b, Il capoverso ha, del presente paragrafo non saprebbe essere interpretato come vietando, nei paesi dove certi crimini possono essere puniti di detenzione corredata di lavori forzati, il compimento di una pena di lavori forzati, inflitti da un tribunale competente,;
c, non è considerato o come “lavoro forzato obbligatorio” al senso del presente paragrafo:
i. ogni lavoro o servizio, non mirato al capoverso b, normalmente richiesti di un individuo che è detenuto in virtù di una decisione di giustizia regolare o che, essendo stato oggetto di una tale decisione, è liberato condizionalmente;
(…)
B. Testi del Consiglio dell’Europa
1. Le Regole penitenziarie europee
49. Le Regole penitenziarie europee sono delle raccomandazioni del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio dell’Europa in quanto al norme minimo ad applicare nelle prigioni. Gli Stati sono incoraggiati ad ispirarsi a queste regole nell’elaborazione delle loro legislazioni e dei loro politici ed a garantire ne presso una larga diffusione delle loro autorità giudiziali così come presso del personale penitenziario e dei detenuti.
a) Le Regole penitenziarie europee del 1987
50. Le Regole penitenziarie europee del 1987, Raccomandazione no R (87) 3-“le Regole del 1987”) furono adottate dal Comitato dei Ministri del Consiglio dell’Europa il 12 febbraio 1987.
51. Nella loro Prima parte, contenevano un certo numero di principi fondamentali di cui i successivo:
“1. La privazione di libertà deve avere luogo nelle condizioni patrimoniali e giuridiche che garantiscono il rispetto della dignità umana in conformità con le presenti regole.
(…)
3. Gli scopi del trattamento dei detenuti devono essere di preservare la loro salute e di salvaguardare la loro dignità e, nella misura in cui la durata della pena lo permette, di sviluppare il loro senso delle responsabilità e di dotarli di competenze che li aiuteranno a reintegrare si nella società, a vivere nella legalità ed a provvedere ai loro propri bisogni dopo la loro uscita di prigione.
(…) “
52. Nella loro Quarta parte, consacrata agli obiettivi del trattamento ed ai regimi, contenevano il seguente regole:
“64. La detenzione per la privazione di libertà è una punizione in quanto tale. Le condizioni di detenzione ed i regimi penitenziari non devono aggravare la sofferenza così causata dunque, salvo se la segregazione o il mantenimento della disciplina lo giustifica.
65. Tutti gli sforzi devono essere intrapresi per assicurarsi che i regimi delle determinazioni siano stabiliti e gestiti in modo da:
ha, garantire le condizioni di vita compatibile con la dignità umana e con le norme accettabili con la collettività;
b, ridurre al minimo gli effetti pregiudizievoli della detenzione e le differenze tra la vita carceraria e le vite in libertà, affinché i detenuti non perdono il rispetto di si o il senso della loro responsabilità personale;
(…) “
53. Nella loro Quarta parte, sotto il titolo “Lavoro”, contenevano anche il seguente regole:
“71.1. Il lavoro in prigione deve essere considerato come un elemento positivo del trattamento, della formazione e della gestione della struttura.
2. I detenuti condannati possono essere sottomessi all’obbligo del lavoro, tenuto conto della loro attitudine fisica e mentale come è stata determinata dal medico.
3. Un lavoro sufficiente o, all’occorrenza altre attività utili, devono essere proposti ai detenuti affinché siano occupati durante la durata normale di una giornata di lavoro.
4. Questo lavoro deve essere, per quanto possibile, di natura tale da intrattenere o ad aumentare la capacità del detenuto a guadagnarsi normalmente da vivere dopo la sua uscita di prigione.
(…)
72. L’organizzazione ed i metodi di lavoro nelle determinazioni devono avvicinarsi per quanto possibile di queste che regola un lavoro analogo nella comunità, per preparare i detenuti alle condizioni normali del lavoro libero.
(…)
74.1. La sicurezza e l’igiene devono essere garantite nelle condizioni simili a queste di cui beneficia i lavoratori liberi.
2. Alcune disposizioni devono essere prese per indennizzare le detenuti vittime di incidenti del lavoro e di malattie professionali nelle condizioni uguali a queste previsto dalla legge nel caso di lavoratori liberi.
(…)
76.1. Il lavoro dei detenuti deve essere rimunerato di un modo equo. “
b) Le Regole penitenziarie europee del 2006
54. Il 11 gennaio 2006, il Comitato dei Ministri del Consiglio dell’Europa ha adottato una nuova versione delle Regole penitenziarie europee, Raccomandazione REC(2006)2-“le Regole del 2006”), rilevando che le Regole del 1987 dovevano essere riviste e dovevano essere puntate aggiornati in modo approfondita per potere riflettere gli sviluppi sopraggiunti nella tenuta della politica penale, le pratiche di condanna così come di gestione delle prigioni in generale in Europa.
55. Nel loro Parte I, le Regole del 2006 consacrano in particolare i principi fondamentali segue:
“2. Le persone private di libertà conservano tutti i diritti che non sono stati tolti loro secondo la legge con la decisione che li condanna ad una pena di detenzione o ponendoli in detenzione provvisoria.
3. Le restrizioni imposte alle persone private di libertà devono essere ridotte al rigorose necessario e devono essere proporzionali agli obiettivi legittimi per che sono state imposte.
(…)
5. La vita in prigione è allineata anche strettamente che possibile sugli aspetti positivi della vita all’esterno della prigione.
6. Ogni detenzione è gestita in modo da facilitare la reintegrazione nella società libera delle persone private di libertà. “
Nel suo commento relativo alle Regole del 2006, il Comitato europeo per i problemi criminali (CDPC) notava che la regola 2 sottolineava che la perdita del diritto alla libertà non doveva essere compresa come implicando automaticamente il ritiro ai detenuti dei loro dritti politici, civili, sociali, economici e culturali, ma che le restrizioni dovevano essere anche poco numerose che possibile. Indicava a proposito della regola 5 che sottolineava gli aspetti positivi della normalizzazione, aggiungendo che se la vita in prigione non poteva essere identica alla vita in una società libera c’era luogo di intervenire attivamente per avvicinare più possibile le condizioni di vita in prigione della vita normale. Rilevava peraltro che la regola 6 “reconna[issait] che i detenuti, condannati o no, retourner[aient] un giorno vivere nella società libera e che la vita in prigione [doveva] essere organizzata in modo da tenere conto di questo fatto.”
56. La regola 26 delle Regole di 2006 che figurano sotto il parte II (“Condizioni di detenzione”), tratta dei differenti aspetti del lavoro in prigione. Nella sua parte pertinente per il presente genere, è formulata così:
“26.1. Il lavoro in prigione deve essere considerato come un elemento positivo del regime carcerario ed in nessun caso essere imposto come una punizione.
26.2. Le autorità penitenziarie devono sforzarsi di procurare un lavoro sufficiente ed utile.
26.3. Questo lavoro deve permettere, per quanto possibile, di intrattenere o di aumentare la capacità del detenuto a guadagnarsi da vivere dopo la sua uscita di prigione.
(…)
26.7. L’organizzazione ed i metodi di lavoro nelle prigioni devono avvicinarsi per quanto possibile di queste che regola un lavoro analogo fuori dalla prigione, per preparare i detenuti alle condizioni della vita professionale normale.
(…)
26.9. Il lavoro dei detenuti deve essere procurato dalle autorità penitenziarie, con o senza il concorso di imprenditori privati, all’interno o all’esterno della prigione.
26.10. Ad ogni modo, il lavoro dei detenuti deve essere rimunerato in modo equo.
(…)
26.13. Le misure applicate in materia di salute e di sicurezza devono garantire una protezione efficace dei detenuti e non possono essere meno rigorose di queste di cui beneficia i lavoratori fuori da prigione.
26.14. Alcune disposizioni devono essere prese per indennizzare le detenuti vittime di incidenti del lavoro e di malattie professionali nelle condizioni non meno favorevoli di queste previsto dal diritto interno per i lavoratori fuori da prigione.
(…)
26.17. I detenuti che esercitano un lavoro devono, per quanto possibile, essere affiliati al regime nazionale di previdenza sociale. “
Il commento relativo alla regola 26 sottolinea il principio di normalizzazione del lavoro in prigione enunciando che le misure applicate in materia di igiene e di sicurezza, le ore di lavoro e “anche l’affiliazione ai sistemi nazionali di previdenza sociale” deve essere allineata su queste di cui beneficia i salariati all’esterno della prigione. Con contrasto, le Regole del 1987, se parlavano di normalizzazione del lavoro in prigione, rimanevano silenziose sulla questione dell’integrazione dei detenuti nei sistemi nazionali di previdenza sociale.
57. Il parte VII delle Regole del 2006 (“Detenuti condannati”) comprendo altre regole concernente l’obiettivo perseguito dal regime dei detenuti condannati:
“102.1. Al di là delle regole applicabili all’insieme dei detenuti, il regime dei detenuti condannati deve essere concepito per permettere loro di condurre una vita responsabile ed esente da crimine.
102.2. La privazione di libertà che costituisce una punizione in si, il regime dei detenuti condannati non deve aggravare le sofferenze inerenti alla detenzione. “
58. Suddetti partire VII tratto anche del lavoro considerato come uno degli aspetti del regime dei detenuti condannati. Nella sua parte pertinente nello specifico, la regola 105 è formulata così:
“105.2. I detenuti condannati non avendo raggiunto l’età normale della pensione possono essere sottomessi all’obbligo di lavorare, tenuto conto della loro attitudine fisica e mentale come è stata determinata dal medico.
105.3. Quando dei detenuti condannati sono sottoposti ad un obbligo di lavorare, le condizioni di lavoro devono essere conformi alle norme ed ai controlli applicate all’esterno. “
2. La Carta sociale europea
59. La Carta sociale europea, convenzione adottata sotto l’egida del Consiglio dell’Europa nel 1961 e rivista nel 1996, è anche pertinente nello specifico. Il suo articolo 1 che tratta del diritto al lavoro, disponi:
“In vista di garantire l’esercizio effettivo del diritto al lavoro, le parti si avviano:
1. a riconoscere più come uno dei loro principali obiettivi e responsabilità la realizzazione ed il mantenimento del livello l’elevato e più stabile possibile dell’impiego in vista della realizzazione del pieno impiego;
2. a proteggere in modo efficace il diritto per il lavoratore di guadagnarsi da vivere con un lavoro liberamente intrapreso;
(…) “
Il Comitato europeo dei diritti sociali che è l’organo responsabile del controllo dell’osservazione con gli Stati partiti dalla Carta sociale europea, ha interpretato l’articolo 1 § 2 di questa come significante che il lavoro in prigione deve essere incorniciato rigorosamente in termini di rimunerazione, di ore di lavoro e di previdenza sociale, specialmente se i detenuti lavorano per le imprese private. I detenuti non possono essere adoperati dalle imprese private che se acconsentono e nelle condizioni anche prossimi che possibile di queste che è normalmente applicabili nella cornice di contratti di lavoro di diritto privato, Digest di giurisprudenza del Comitato europeo dei diritti sociali, 1 settembre 2008, p. 23.
C. Diritto comparato europeo
60. Risulta delle informazione di cui la Corte dispone, ed in particolare di un studio di diritto comparato che cade sulle legislazioni nazionali di 40 dei 47 Stati membri del Consiglio dell’Europa, che:
-in venticinque Stati membri, i detenuti sono, a tutto il meno in certe circostanze, obbligati di lavorare (Azerbaigian, Repubblica ceca, Estonia, Finlandia, Georgia, Germania, Ungheria, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Montenegro, Russia, Slovacchia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina e Regno Unito,;
-in ventidue Stati membri, i detenuti hanno accesso al regime delle pensioni di pensione (Albania, Andorra, Azerbaigian, Croazia, Cipro, Repubblica ceca, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Macedonia, Norvegia, Portogallo, Russia, Slovacchia, Slovenia, Svizzera, Turchia, Ucraina e Regno Unito. In certi di questi Stati, i detenuti non sono automaticamente coperti, per mezzo di ritenute obbligatore sulla loro rimunerazione o di prelevamenti fiscali, ma hanno solamente la possibilità di versare loro stessi delle quote su una base volontaria;
-in undici Stati membri, i detenuti non sono affiliati ad un regime di pensione di pensione (Belgio, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Estonia, Georgia, Grecia, Ungheria, Malta, Montenegro, Paesi Bassi, Romania e Serbia,;
-in un terzo gruppo di stati membri, l’affiliazione al sistema della previdenza sociale, ivi compreso le pensioni di pensione, varia in funzione del tipo di lavoro esercitato e, soprattutto, dei punti di sapere se si tratta di un lavoro effettuato per il conto di datori di lavoro esterni alla prigione e se è rimunerato. Tale è il caso in Germania, nel Lussemburgo, in Polonia, in Spagna ed in Svezia. In Danimarca, il diritto ad una pensione di pensione è senza rapporto col lavoro effettuato prima e col versamento o no di quote. Tutte le persone avendo raggiunto l’età legale della pensione hanno diritto ad una pensione di base;
-una maggioranza assoluta (trentasette) degli Stati membri offre all’insieme dei detenuti, o talvolta solamente ad alcuni di loro, un accesso alla protezione sociale, o affiliandoli al regime generale della previdenza sociale o a certe dei suoi componenti, o facendo beneficiare essi di un tipo specifico di assicurazione o di un’altra protezione.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE COMBINATA CON L’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
61. Il richiedente sostiene il carattere discriminatorio dell’esenzione dei detenuti che esercitano un lavoro dell’affiliazione al regime delle pensioni di anzianità lavorativa. Invoca in sostanza l’articolo 14 della Convenzione, composto con l’articolo 1 del Protocollo no 1.
62. L’articolo 14 della Convenzione è formulato così:
“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza distinzione nessuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita od ogni altra situazione. “
63. L’articolo 1 del Protocollo no 1 dispone:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Tesi delle parti
1. Il richiedente
64. Il richiedente si avvale del principio secondo cui la privazione di libertà costituisce una punizione in sé, non dovendo le misure che non riguardano un detenuto aggravare la sofferenza inerente alla detenzione. Sostiene che l’esclusione dei detenuti che esercitano un lavoro dell’affiliazione al regime delle pensioni di anzianità lavorativa è una misura che porta degli effetti a lungo termine che perdurano dopo l’uscita di prigione e che è contraria a questo principio dunque.
65. Stima per di più che i detenuti che lavorano si trovano nella stessa situazione degli altri salariati relativamente alla necessità di garantire la loro sussistenza ai loro giorni di vecchiaia mediante una previdenza sociale. Secondo lui, l’interpretazione dell’articolo 4 § 2 della legge sul regime generale della previdenza sociale data dai tribunali interni ed in virtù della quale una distinzione dovrebbe essere stabilita volontariamente tra i lavori esercitati sulla base di un contratto di lavoro regolare ed il lavoro compiuto dai detenuti in esecuzione del loro obbligo legale di lavorare non giustifica in modo convincente l’esclusione dei detenuti che esercitano un lavoro dell’affiliazione al regime delle pensioni di anzianità lavorativa.
66. Il richiedente considera che le due situazioni non sono fondamentalmente differenti. In realtà,anche la grande maggioranza delle persone in libertà sarebbe obbligata a lavorare, non per l’effetto della legge, ma per la necessità di garantire la loro sussistenza. Il lavoro, che sia compiuto in prigione o in libertà, inseguirebbe sempre un ventaglio di scopi diversi e vari che superano l’aspetto finanziario. Tutto sommato, l’esclusione dei detenuti che esercitano un lavoro dell’affiliazione al regime delle pensioni di anzianità lavorativa non si baserebbe su un qualsiasi differenza dei fatti e richiederebbe quindi di essere giustificata.
67. Ora simile giustificazione farebbe difetto. Primariamente, l’esclusione dei detenuti che esercitano un lavoro dell’affiliazione al regime delle pensioni di anzianità lavorativa non inseguirebbe nessuno scopo legittimo. Per quanto il Governo invoca la situazione finanziaria difficile del sistema della previdenza sociale, il richiedente aggiunge che le considerazioni di ordine di bilancio non possono bastare a giustificare l’esclusione di un gruppo vulnerabile dalla protezione sociale.
68. Secondariamente, il Governo non avrebbe dimostrato l’esistenza di motivi obiettivi e ragionevoli propri a giustificare la differenza di trattamento controverso. In particolare, il richiedente contesta l’argomento che consiste nel dire che i detenuti che esercitano un lavoro non sono in grado di versare delle quote sufficientemente importanti e che la presa in conto come periodi di assicurazione dei periodi di lavoro compiuto in prigione significherebbe accordare ai detenuti un privilegio ingiustificato comparato ai salariati ordinari che sarebbero costretti a versare delle quote sociali al tasso pieno. Dal momento che in virtù dell’articolo 51 della legge sull’esecuzione delle pene lo stato percepirebbe il prodotto del lavoro dei prigionieri, ci si potrebbe aspettare ragionevolmente da lui che versi delle quote alla previdenza sociale. In quanto all’argomento del Governo relativo al punto di sapere se i periodi di lavoro compiuto in prigione potrebbero essere considerati legittimamente come i periodi di sostituzione, sarebbe privo quindi di pertinenza.
69. Per ciò che riguarda la possibilità per i detenuti di versare delle quote volontarie al regime delle pensioni di pensione, in virtù dell’articolo 17 della legge sul regime generale della previdenza sociale, il richiedente sostiene che numerosi detenuti non sono in grado di soddisfare la condizione di giustificare di un numero sufficiente di mesi di assicurazione durante i periodi anteriori. Il costo dell’assicurazione volontaria supererebbe per di più, in generale le risorse finanziarie limitate dei detenuti, il 75% della loro modesta rimunerazione essendo utilizzati, in virtù dell’articolo 32 della legge sull’esecuzione delle pene, come contributo agli oneri della loro manutenzione.
2. Il Governo
70. Il Governo sostiene principalmente che la no-affiliazione dei detenuti che esercitano un lavoro al regime delle pensioni di pensione non è discriminatoria al senso dell’articolo 14 della Convenzione, i detenuti che esercitano un lavoro non essendo, secondo lui, in una situazione analoga a quella dei salariati ordinari.
71. Il Governo dà una descrizione dettagliata dell’organizzazione del lavoro penitenziario in Austria, sottolineando che il lavoro in prigione mira essenzialmente a favorire il reinserimento ed il risocializzazione degli interessati. Rileva che le norme pertinenti del Consiglio dell’Europa così come l’ultimo rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene e trattamenti disumani o degradanti (CPT) relativi all’Austria riconoscono che il lavoro è importante per i detenuti nella misura in cui offre loro una possibilità di preservare o di migliorare le loro qualifiche professionali ne che permette loro di esercitare un’attività utile e ne imponendo loro una routine quotidiana strutturata, in modo da rendere la loro carcerazione più sopportabile ed a prepararli ad assumere un impiego normale una volta liberi.
72. L’articolo 44 § 1 della legge sull’esecuzione delle pene obbligherebbero i detenuti a lavorare, e l’articolo 45 § 1 di suddetta legge obbligherebbero le autorità penitenziarie a fornire ai detenuti un lavoro corretto. Tenuto conto delle condizioni specifiche all’ambiente carcerario, i detenuti lavorerebbero in media cinque alle sei con giorno. Mentre ciò non sarebbe previsto da nessuna disposizione della Convenzione, percepirebbero una rimunerazione. Gli importi ne sarebbero fissati dalla legge e varierebbero di 5 EUR a 7,50 EUR dell’ora, in funzione del tipo di lavoro effettuato. I periodi passati dai detenuti a seguire un trattamento terapeutico o sociale sarebbero considerati come le ore di lavoro, nel limite di cinque ore con settimana. Si tratterebbe chiaramente là di una forma di trattamento imperniato sul bene degli interessati che indicherebbe che il lavoro in prigione mira al risocializzazione dei detenuti. In quanto al fatto che una parte della rimunerazione degli interessati sarebbe utilizzata come contributo agli oneri della loro manutenzione, egli non révèlerait nessuna violazione della Convenzione.
73. In riassunto, avuto riguardo alla sua natura ed agli scopi perseguita da lui, il lavoro in prigione differirebbe considerevolmente di un’attività salariata ordinaria. Il lavoro in prigione che corrisponderebbe ad un obbligo legale, mirerebbe al risocializzazione ed al reinserimento dei detenuti, mentre il lavoro salariato ordinario sarebbe basato su un contratto di lavoro e tenderebbe a garantire la sussistenza del salariato e la sua espressione professionale. Perciò, trattare differentemente alle fini dell’assicurazione pensiona i periodi di lavoro compiuto in prigione sarebbe giustificato non solo ma richiesti con le differenze di fatto tra le situazioni considerate. Contare come periodi di assicurazione dei periodi per che non sarebbero stati versati delle quote conferirebbe ai detenuti che esercitano un lavoro un vantaggio ingiustificato rispetto ai salariati ordinari.
74. La decisione del legislatore di non contare come periodi di assicurazione o come periodi di sostituzione i periodi di lavoro compiuto da un detenuto sarebbero basati parimenti su delle ragioni obiettive. In virtù delle disposizioni pertinenti della legge sul regime generale della previdenza sociale, i periodi di carcerazione sarebbero trattati in particolare come i periodi da assicurazione nei casi dove la persona interessata avrebbe ottenuto, in virtù della legge sugli indennizzi in materia penale, un’indennità per la sua carcerazione. Nel tali caso, lo stato sarebbe tenuto di versare le quote alla previdenza sociale per risarcire la persona riguardata degli svantaggi allo sguardo della legislazione in materia di previdenza sociale subita da lei a causa della sua detenzione. Trattare dallo stesso modo le persone incarcerate si analizzerebbe a buon diritto in un trattamento uguale di fatti impari. Trattare i periodi da carcerazione come i periodi di sostituzione nella mancanza di versamenti di quote creerebbe anche degli squilibri nel sistema della previdenza sociale. Di un modo generale, il legislatore avrebbe considerato che i periodi di sostituzione devono corrispondere ai periodi dove gli interessati sono stati impediti di pagare delle quote per i motivi socialmente accettabili, per esempio in caso di formazione scolastica, di nascita di un bambino, di disoccupazione, di malattia, di servizio militare o di servizio civile,.
75. Per di più, i detenuti avrebbero la facoltà, in virtù dell’articolo 17 della legge sul regime generale della previdenza sociale, di versare delle quote volontarie al regime delle pensioni di pensione. La legge contemplerebbe anche la possibilità di un abbassamento dell’importo supposto essere versato a titolo di quota. Il Governo precisa tuttavia che, per le ragioni che tengono alla protezione dei dati, non può fornire di elementi statistici in quanto al numero ed alla percentuale dei detenuti che fanno uso di questa possibilità.
76. A titolo accessorio, il Governo sostiene che a supporre anche che i detenuti che esercitano un lavoro siano in una situazione analoga a quella dei salariati ordinari, la differenza di trattamento controverso è giustificata. In pratica, anche se i detenuti non erano esclusi dell’affiliazione al regime delle pensioni di pensione, non sarebbero in grado di versare delle quote significative perché molto spesso la loro rimunerazione dopo deduzione del contributo agli oneri della loro manutenzione non raggiungerebbe al di qua la soglia di 366,33 EUR del quale i salariati non sono ad ogni modo coperti con l’assicurazione obbligatoria prevista dalla legge sul regime generale della previdenza sociale. Tenuto conto della situazione finanziaria tesa degli organismi di previdenza sociale, uniche la persone misura di versare delle quote significative potrebbe essere integrata al regime delle pensioni di pensione.
77. Per di più, gli Stati contraenti godrebbero di un ampio margine di valutazione per organizzare i loro sistemi di previdenza sociale. Le Regole penitenziarie europee del 2006 raccomanderebbero solamente del resto che “i detenuti che esercitano un lavoro [siano], per quanto possibile affiliati al regime nazionale di previdenza sociale.”
78. Il Governo spiega che dalla modifica portata alla legge sull’assicurazione disoccupazione nel 1993, i detenuti che esercitano un lavoro sono affiliati al regime dell’assicurazione disoccupazione. La modifica in questione che si sarebbe inserita in una riforma più larga del sistema di esecuzione delle pene, sarebbe stata preceduta da parecchi anni di discussioni intensive. La decisione di integrare i detenuti al regime dell’assicurazione disoccupazione ma no a quello delle pensioni di pensione sarebbe stato motivato dalla considerazione che l’assicurazione disoccupazione che ingloberebbe non solo delle prestazioni finanziarie ma anche l’accesso ai corsi di formazione ed ai servizi di ricerca di impiego, era lo strumento più efficace per favorire il reinserimento dei detenuti dopo la loro liberazione. La misura sarebbe stata considerata come una prima tappa verso l’integrazione dei detenuti nel sistema della previdenza sociale al senso largo. Quindi tuttavia che l’assicurazione prevista dalla legge sul regime generale della previdenza sociale ricoprirebbe l’assicurazione salute ed incidenti più un’affiliazione al regime delle pensioni di pensione e che nel caso dei detenuti le cure di salute in caso di malattia o di incidente sarebbero fornite dalle autorità penitenziarie in virtù della legge sull’esecuzione delle pene, l’affiliazione dei detenuti al regime delle pensioni di pensione avrebbe necessitato degli emendamenti più complessi. Per di più, sulla base di studi condotti all’epoca, questa affiliazione sarebbe stata considerata come il fattore più costoso.
79. Il Governo fa osservare peraltro che le cause, come quella dello specifico che riguarda di molto lunghe pene di detenzione è estremamente raro. La maggioranza dei detenuti sarebbe in grado di accumulare un numero sufficiente di mese di assicurazione sulla base dei periodi di lavoro effettuato in libertà. Nello specifico, il richiedente avrebbe percepito dei sussidi di disoccupazione, e dalla scadenza di queste percepirebbe un sussidio di necessità.
80. Infine, la decisione del legislatore austriaco di non affiliare i detenuti al regime delle pensioni di pensione prevista con la legge sul regime generale della previdenza sociale non notificherebbe che gli interessati non beneficiano di nessuna coperta sociale. Primariamente, così come egli è stato esposto sopra, sarebbero coperti dal regime dell’assicurazione disoccupazione. Perciò, percepirebbero dei sussidi di disoccupazione e, alla scadenza di queste, un sussidio di necessità. In ultima istanza, il sistema di previdenza sociale contemplerebbe un regime di reddito minimo sotto condizioni di risorse per le persone incapaci di garantire diversamente i loro bisogni di base. Tutto sommato, il sistema giuridico austriaco fornirebbe una soluzione differenziata e bene equilibrato prendendo in conto gli interessi della società al senso largo, da una parte, e gli interessi dei detenuti, altro parte.
B. La posizione della Corte
1. Sull’applicabilità dell’articolo 14 composto con l’articolo 1 del Protocollo no 1
81. La Corte ricorda che l’articolo 14 fatto completare solamente le altre clausole patrimoniali della Convenzione e dei suoi Protocolli. Non ha esistenza indipendente, poiché vale unicamente per “il godimento dei diritti e libertà” che garantiscono. La sua applicazione non presuppone necessariamente la violazione di uno dei diritti materiali garantiti dalla Convenzione. Occorre, ma basta, che i fatti della causa cadono almeno “sotto l’impero” di un degli articoli della Convenzione. L’interdizione della discriminazione che consacra l’articolo 14 supera il godimento dei diritti e libertà dunque che la Convenzione ed i suoi Protocolli impongono ad ogni Stato di garantire. Si applica anche ai diritti addizionali, per quanto rilevano del campo di applicazione prova generale di uno degli articoli della Convenzione, che lo stato ha deciso volontariamente di proteggere (vedere Stec ed altri c). Regno Unito, déc.) [GC], i nostri 65731/01 e 65900/01, §§ 39-40, CEDH 2005-X; Andrejeva c. Lettonia [GC], no 55707/00, § 74, CEDH 2009 -… ; e, più recentemente, Carson ed altri c. Regno Unito [GC], no 42184/05, § 63, CEDH 2010 -…).
82. In virtù della giurisprudenza buona invalsa della Corte, i principi che si applicano generalmente alle cause concernente l’articolo 1 del Protocollo no 1 tengono tutta la loro pertinenza in materia di assegni mutualistici. In particolare, suddetta clausola non crea un diritto ad acquisire dei beni. Non impone nessuna restrizione alla libertà per gli Stati contraenti di decidere di instaurare o non un regime di protezione sociale o di scegliere il tipo o il livello delle prestazioni supposte essere accordate a titolo di simile regime. In compenso, dal momento che un Stato contraente mette in posto una legislazione che contempla il versamento automatico di un assegno mutualistico-che la concessione di questa prestazione dipenda o no del versamento preliminare di quote-questa legislazione deve essere considerata come generando un interesse patrimoniale che rileva del campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 per le persone che assolvono le sue condizioni, vedere Stec ed altri, déc.), precitata, § 54; Andrejeva, precitata, § 77; e Carson ed altri, precitata, § 64.
83. Di più, nei casi, tali quello dello specifico, dove un richiedente formula sul terreno dell’articolo 14 composto con l’articolo 1 del Protocollo no 1 un motivo di appello ai termini del quale è stato privato in tutto o partire ne e per un motivo discriminatorio mirato all’ar