A.N.P.T.ES. Associazione Nazionale per la Tutela degli Espropriati. Oltre 5.000 espropri trattati in 15 anni di attività.
Qui trovi tutto cio che ti serve in tema di espropriazione per pubblica utilità.

Se desideri chiarimenti in tema di espropriazione compila il modulo cliccando qui e poi chiamaci ai seguenti numeri: 06.91.65.04.018 - 340.95.85.515

Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE STUMMER c. AUTRICHE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 04, 14, P1-1
Numero: 37452/02/2011
Stato:
Data: 2011-07-07 00:00:00
Organo: Grande Camera
Testo Originale

Conclusione Non – violazione dell’art. 14+P1-1; Non – violazione dell’art. 4
GRANDE CAMERA
CAUSA STUMMER C. AUSTRIA
(Richiesta no 37452/02)
SENTENZA
STRASBURGO
7 luglio 2011
Questa sentenza è definitiva. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Stummer c. Austria,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, riunendosi in una Grande Camera composta da:
Jean-Paul Costa, presidente, Nicolas Bratza, Peer Lorenzen, Francesca Tulkens, Josep Casadevall, Corneliu Bîrsan, Anatoly Kovler, Elisabetta Steiner, Alvina Gyulumyan, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, Dragoljub Popović, Giorgio Malinverni, George Nicolaou, Ann Power, Kristina Pardalos, Vincent A. di Gaetano, giudici,
e da Vincent Berger, giureconsulto,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 3 novembre 2010 ed il 25 maggio 2011,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 37452/02) diretta contro la Repubblica dell’Austria e di cui un cittadino austriaco, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 14 ottobre 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente che si è visto accordare l’utile dell’assistenza giudiziale, è stato rappresentato da A. B., avvocato iscrive al foro di Vienna. Il governo austriaco (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, il Sig. H. Tichy, ambasciatore e capo del dipartimento di diritto internazionale del ministero federale delle Cause europee ed internazionali.
3. Nella sua richiesta, il Sig. OMISSIS si lamentava di essere stato oggetto di una discriminazione nella misura in cui, nonostante il fatto che lavorava, non aveva, a ragione della sua condizione di detenuto, non stato affiliato al regime delle pensioni di pensione durante i suoi anni di carcerazione, e di essere stato perciò privato di una pensione. Invocava l’articolo 4 e, in sostanza, l’articolo 14 della Convenzione, composto con l’articolo 4 e con l’articolo 1 del Protocollo no 1.
4. La richiesta è stata assegnata alla prima sezione della Corte, articolo 52 § 1 dell’ordinamento. Il 11 ottobre 2007, è stata dichiarata ammissibile con una camera di questa sezione composta di Christos Rozakis, Anatoly Kovler, Elisabetta Steiner, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens e Giorgio Malinverni, giudici, e di Søren Nielsen, cancelliere di sezione. Il 18 marzo 2010, una camera della stessa sezione composta di Christos Rozakis, Anatoly Kovler, Elisabetta Steiner, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, Giorgio Malinverni e George Nicolaou, giudici, e di Søren Nielsen, cancelliere di sezione, si è disfatta a questo riguardo a favore della Grande Camera, nessuna delle parti consultate, non essendosi opposta alla privazione (articolo 30 della Convenzione ed articolo 72 dell’ordinamento).
5. La composizione della Grande Camera è stata arrestata conformemente alle disposizioni dell’articolo 26 §§ 4 e 5 della Convenzione e dell’articolo 24 dell’ordinamento.
6. Il richiedente ed il Governo hanno ciascuno depositato delle osservazioni scritte sul fondo, articolo 59 § 1 dell’ordinamento.
7. Un’udienza ha avuto luogo in pubblico al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 3 novembre 2010, articolo 59 § 3.
Sono comparsi:
OMISSIS
La Corte ha inteso nei loro dichiarazioni OMISSIS, e, nelle loro risposte a certe questioni poste dai giudici, OMISSIS.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
8. Il richiedente è nato in 1938 e risiede a Vienna. Ha trascorso ventotto anni della sua vita in prigione e ha lavorato nella cucina o nella panetteria della struttura per lunghi periodi dove era incarcerato. In quanto detenuto che esercitava un lavoro, non fu affiliato al regime delle pensioni di anzianità che dipendeva dal regime generale della previdenza sociale. A contare tuttavia del 1 gennaio 1994, fu affiliato al regime dell’assicurazione di disoccupazione per i suoi periodi di lavoro in prigione.
9. L’ 8 febbraio 1999, introdusse dinnanzi all’ufficio delle pensioni dei lavoratori salariati (Pensionsversicherungsanstalt der Arbeiter-“l’ufficio delle pensioni”) unistanza di pensione di anzianità anticipata.
10. Con una decisione dell’ 8 marzo 1999, l’ufficio delle pensioni respinse l’istanza al motivo che il richiedente non aveva compiuto 240 mesi di assicurazione, minimo richiesto per potere beneficiare di una pensione di anzianità anticipata. Un elenco dei periodi di assicurazione del richiedente che cominciava nell’ottobre 1953 e si concludeva nel febbraio 1999, era annesso alla decisione. Ne risultava che il richiedente aveva accumulato solamente 117 mesi di assicurazione. Mostrava dei lunghi periodi durante cui nessuna quota era stata versata, in particolare dal maggio 1963 al maggio 1964, di luglio 1965 al settembre 1968, di giugno 1969 al gennaio 1974, di aprile 1974 al marzo 1984, di giugno 1984 a maggio 1986 e di febbraio 1987 all’aprile 1994. Tra maggio 1994 e febbrai 1999, un certo numero di mese al corso dai quali il richiedente aveva percepito dei sussidi di disoccupazione o un sussidio di necessità a titolo della legge sull’assicurazione disoccupazione fu preso in conto come periodi di sostituzione.
11. In seguito, il richiedente investe il tribunale del lavoro e delle cause sociali, Arbeits – und Sozialgericht, di Vienna di un’azione contro l’ufficio delle pensioni. Faceva valere che aveva lavorato durante ventotto anni in prigione e che i mesi dove aveva lavorato durante la sua carcerazione dovevano essere considerati come i mesi di assicurazione alle fini della struttura dei suoi diritti a pensione.
12. Il 4 aprile 2001, il tribunale del lavoro e delle cause sociali respinse il richiedente della sua pretesa. Confermò che l’interessato non aveva compiuto il numero minimo richiesi di mese di assicurazione. Riferendosi all’articolo 4 § 2 della legge sul regime generale della previdenza sociale, notò che i prigionieri che effettuavano un lavoro obbligatorio durante la loro detenzione non erano affiliati al regime obbligatorio della previdenza sociale. In virtù della giurisprudenza buona invalsa della Corte suprema, sentenza 10 ObS 66/90 del 27 febbraio 1990 e sentenza 10 ObS 52/99s del 16 marzo 1999, il loro lavoro che corrispondeva ad un obbligo legale, doveva essere distinto del lavoro compiuto dai salariati sulla base di un contratto di lavoro. Il tribunale considerò che la differenza di trattamento che riservava a questo riguardo il diritto della previdenza sociale non rivelava nessuna apparenza di discriminazione.
13. Oramai assistito di un avvocato, il richiedente interpose appello. Sosteneva in particolare che la formula dell’articolo 4 § 2 della legge sul regime generale della previdenza sociale non distinguevano tra lavori compiuti in esecuzione di un obbligo legale e lavoro compiuto in esecuzione di un contratto. Stimava per di più che la distinzione trattenuta non era obiettivamente giustificata. Faceva osservare che da fine 1993 i detenuti che lavoravano erano affiliati al regime dell’assicurazione disoccupazione. Considerava che non c’era nessuna ragione di non affiliarli al regime delle pensioni di pensione.
14. Il 24 ottobre 2001, la corte di appello (Oberlandesgericht) di Vienna lo respinse del suo ricorso. Considerò che il tribunale del lavoro e delle cause sociali aveva applicato correttamente in vigore il diritto. Indicò che in virtù della giurisprudenza buona invalsa della Corte suprema, i prigionieri che compivano un lavoro obbligatorio non dovevano essere trattati come i salariati ai sensi dall’articolo 4 § 2 della legge sul regime generale della previdenza sociale e non erano affiliati quindi al regime obbligatorio della previdenza sociale. Aggiunse che il fatto che si trovava affiliati all’assicurazione disoccupazione dalla modifica portata alla legge sull’esecuzione delle pene (Strafvollzugsgesetz) nel 1993 i prigionieri non era relativamente concludente alla questione della loro affiliazione al regime delle pensioni di pensione. Stimò che in sostanza il richiedente sollevava una questione di politica giuridica o sociale. Ora, secondo lei, apparteneva non ai tribunali, ma al legislatore di decidere dell’opportunità di modificare o non le disposizioni relative alla coperta sociale dei prigionieri. A questo riguardo, la corte di appello precisò che non divideva i dubbi espressi dal richiedente in quanto ad un possibile incostituzionalità dell’esclusione del regime delle pensioni di pensione dei detenuti che esercitano un lavoro.
15. Il 12 febbraio 2002, la Corte suprema, Oberster Gerichtshof, respinse il ricorso in cassazione di cui il richiedente l’aveva investita. La sua sentenza fu notificata a questo ultimo il 6 maggio 2002.
16. Il 29 gennaio 2004, il richiedente ebbe finito di scontare la sua ultima pena di detenzione. Percepì delle indennità di disoccupazione fino al 29 ottobre 2004, poi, alla scadenza di questa, un sussidio di necessità (Notstandshilfe). Secondo le informazione fornite dall’avvocato dell’interessato all’udienza, il richiedente percepisce circa oggi 720 euros (EUR) con mese, 15,77 EUR con giorno, più 167 EUR con mese a titolo del sussidio di necessità e 87 EUR a titolo di intervento nei suoi oneri di affitto.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
A. La legge sul regime generale della previdenza sociale
17. La base del sistema austriaco di previdenza sociale è costituita di due leggi: la legge sul regime generale della previdenza sociale, Allgemeines Sozialversicherungsgesetz, e la legge sull’assicurazione disoccupazione (Arbeitslosenversicherungsgesetz). Il diritto austriaco della previdenza sociale è fondato sul principio contributivo.
1. Regole generali
18. L’assicurazione messa in opera con la legge sul regime generale della previdenza sociale copre la salute, gli incidenti e la pensione di pensione.
19. L’articolo 4 della legge contempla l’affiliazione obbligatoria alla previdenza sociale. Il paragrafo 1 capoverso 1 di questo articolo enuncia che i salariati sono affiliati al regime dell’assicurazione salute ed incidenti ed al regime delle pensioni di pensione. Il paragrafo 2 dello stesso articolo precisa che con salariato si intende ogni persona adoperata contro rimunerazione in un rapporto di dipendenza personale ed economica. Una condizione supplementare all’affiliazione obbligatoria è che la rimunerazione supera una soglia determinata (Geringfügigkeitsgrenze). Ai tassi reali, questo importo è di 366,33 EUR con mese, articolo 5 § 2 della legge.
20. Per un lavoratore salariato affiliato alla previdenza sociale, delle quote obbligatorie sono a versare ne partire col datore di lavoro e partire ne col salariato.
21. L’articolo 17 § 1 della legge dispongono che le persone che non sono più coperte con l’affiliazione obbligatoria alla previdenza sociale possono continuare a pagare delle quote volontarie, freiwillige Weiterversicherung, per quanto abbiano compiuto al minimo dodici mesi di assicurazione durante i ventiquattro ultimi mesi in seno al sistema o almeno tre mesi di assicurazione durante ciascuna dei cinque ultimi anni. Le quote possono essere ridotte in certi limiti se la situazione finanziaria della persona riguardata giustifica uguale misura.
22. Una persona che raggiunge l’età della partenza alla pensione non ha diritto ad una pensione di pensione che se ha accumulato un numero sufficiente di mese di assicurazione, a sapere 180 mesi, o, nel caso di una pensione anticipata, 240 mesi. Per il calcolo del numero di mese di assicurazione, certi periodi al corso dalle quali non c’è stato esercizio di un’attività salariata né, perciò, versamento di quote può tuttavia essere presi in considerazione come periodi di sostituzione (Ersatzzeiten), per esempio i periodi consacrati ad alzare dei bambini o a compiere un servizio militare, o ancora i periodi di disoccupazione.
23. L’importo di una pensione di pensione dipende principalmente dal numero di mese di assicurazione e del livello delle quote versate. Se la pensione così calcolata non raggiunge una soglia determinata, fissata oggi a 783,99 EUR con mese per una persona isolata ed a 1 175,45 EUR per una coppia, un sussidio di complemento (Ausgleichszulage) è versato in modo che il livello minimo sia raggiunto.
2. La situazione dei detenuti
24. Quando una persona è portata a scontare una pena di detenzione superiore ad un mese, la sua coperta salute ed incidenti e la sua coperta pensiono sono sospese (articolo 78 della legge sul regime generale della previdenza sociale). Sono le autorità penitenziarie che sono supposte provvedere ai bisogni dei prigionieri. Parimenti, è lo stato che, in virtù della legge sull’esecuzione delle pene (vedere sotto 41 e 44 i paragrafi), è supposto fornire le cure di cui hanno bisogno agli interessati, ivi compreso in caso di incidente.
25. In principio, i prigionieri che esercitano un lavoro non sono affiliati al regime generale della previdenza sociale. Secondo la giurisprudenza della Corte suprema, non sono considerati come i salariati al senso dell’articolo 4 § 2 della legge sul regime generale della previdenza sociale.
26. In una sentenza del 27 febbraio 1990, 10 Obs 66/90, la Corte suprema si pronunciò su un ricorso formato da un ex-detenuto contro il rifiuto di accordargli una pensione di invalidità motivata dal fatto che non aveva compiuto il numero di mese di assicurazione richiesi. La Corte suprema si espresse come segue:
Secondo l’opinione unanime del ministero federale competente, Raccolta di pubblicazioni in materia di assicurazione sociale SVSlg 19.570, della Corte amministrativa (2.2.1972, 782/71 e 62/72, VwSlgNF 8162 = SVSlg 21.171, e della corte di appello di Vienna (SVSlg 8.868) 21.172, 26.918, 30.930 e 32.418, queste prestazioni di lavoro che sono compiute sulla base di un obbligo legale e non sulla base di un contratto volontariamente accettato, non rientrano nel campo di applicazione del regime dell’assicurazione obbligatoria. La dottrina esalta anche la seguente interpretazione che il diritto della previdenza sociale, come il resto il diritto del lavoro, esigi che i contratti di lavoro siano stabiliti su una base consensuale. I servizi compiuti in esecuzione di un obbligo previsto dal diritto pubblico non si fondano su una convenzione. Perciò, il lavoro compiuto nel contesto dell’esecuzione di una pena non saprebbe essere considerato come rilevando dell’articolo 4 § 2 della legge sul regime generale della previdenza sociale (vedere Krejci-Marhold in Tomandl, SV-System 3,). ErgLfg 46; MGA ASVG 49. ErgLfg 125; Krejci in Rummel, ABGB § 1151 Rz 16. Nella sua sentenza dei 26.11.1971 B 128/71, VfSlg 6582 = SVSlg 21.170, la Corte costituzionale ha considerato che la decisione del legislatore in virtù della quale il lavoro compiuto nel contesto dell’esecuzione di una pena di prigione non entrava nel campo di applicazione del regime della previdenza sociale-al motivo che faceva difetto la condizione di accettazione volontaria di un obbligo di lavoro specifico, richiesta per costituire un contratto di lavoro che necessita il versamento di quote sociali- non era contrario al principio dell’uguaglianza di trattamento.
(…)
Le cure mediche dovettero ai detenuti in applicazione degli articoli 66 e seguono della legge sull’esecuzione delle pene e le prestazioni dovute agli interessati in applicazione degli articoli 76 e segue della stessa legge in seguito ad incidenti del lavoro o di malattie professionali, al senso dell’articolo 76, paragrafi 2-4, della stessa legge, offrono a questa categoria di persone un regime legale di assicurazione salute ed incidenti adattati al contesto carcerario.
Il fatto che i detenuti non siano affiliati di più al regime legale obbligatorio dell’assicurazione pensiono quando compiono delle prestazioni di lavoro nella cornice del loro obbligo di lavorare-contrariamente a ciò che accade, per esempio, nella cornice di una relazione employeur/salarié ordinario-può essere giustificato dalle differenze essenziali dei rapporti già menzionati, e, come la Corte costituzionale l’ha precisato nella sua sentenza, non porta attentato al principio dell’uguaglianza di trattamento dunque.
I periodi passati in detenzione provvisoria o queste passate in prigione in esecuzione di una pena non sono, conformemente alla legge sul regime generale della previdenza sociale, considerate come i periodi di quota obbligatoria che nei casi dove le misure privative di libertà in questione sono state imposte o per i motivi politici-altri che legati alle attività nazional-socialista-, per i motivi religiosi o per i motivi di estrazione, articolo 500 ed articolo 502 § 1, o nei casi dove un tribunale austriaco, conformemente alla legge sugli indennizzi in materia penale, ha reso a proposito dei periodi di detenzione controversa una decisione obbligatoria che riconosce la fondatezza di una domanda di danno-interessi per la detenzione o la condanna subita (articolo 506a). I periodi così considerate come i periodi validi di quota obbligatoria devono essere guardati nel primo caso menzionato come non richiedendo il versamento di quote, articolo 502 § 1 terza frase,; nel secondo caso, lo stato federale deve versare le quote corrispondenti all’organismo di assicurazione competente, articolo 506a seconda frase. Si tratta nei due casi di compensare gli svantaggi in materia di assicurazione sociale che è supposta avere causato al giudicabile l’imposta di una pena privativa di libertà non giustificata. Un’estensione di queste disposizioni eccezionali al tempo passato in prigione a ragione di un fermo giustificato dagli atti condannabili sarebbe contrario al principio di uguaglianza di trattamento. Per i motivi analoghi, l’ammissione degli uguali periodi come periodi di sostituzione sarebbe anche contraria al principio dell’uguaglianza di trattamento Un detenuto al quale le eccezioni suddette previste dagli articoli 502 § 1 e 506a non si applicano acquisisce non quindi nel contesto del suo obbligo di lavorare né periodi di quota a titolo del regime dell’assicurazione obbligatoria né periodi di sostituzione. L’esecuzione della sua pena non l’impedisce tuttavia di continuare a versare delle quote al regime delle pensioni di pensione a titolo dell’articolo 17 e di accumulare dei periodi di quota mediante il versamento di quote volontarie, essendo sentito che in virtù dell’articolo 76a § 4 il mantenimento della coperta deve potere farsi, alla domanda dell’interessato, sulla base di un tasso di quota meno elevata che quello previsto ai paragrafi 1 a 3 di suddetta disposizione. Conformemente all’articolo 75 § 3 della legge sull’esecuzione delle pene, i detenuti devono essere informati delle possibilità e vantaggi che può avere per essi, per esempio, a continuare su una base volontaria a quotarsi all’assicurazione, ed egli è loro anche lecito di utilizzare per il versamento delle quote alla previdenza sociale dei fondi di cui non possono disporre diversamente nella cornice ordinaria dell’esecuzione della loro pena. Grazie alla flessibilità del dispositivo-particolarmente in ciò che riguarda l’inizio, la fine ed il calcolo dei mesi di quota-che gli permette di continuare a quotarsi alla previdenza sociale (vedere 17 §§ l’articolo 7 e 8), un detenuto può acquisire anche dei mesi di quota supplementare per colmare i buchi nel suo periodo di assicurazione et/ou per ottenere delle prestazioni di pensione più elevata. C’è luogo di non perdere a questo riguardo di vista il fatto che se si doveva considerare che un detenuto è coperto dall’assicurazione invalidità e l’assicurazione pensiono per le prestazioni di lavoro compiuto da lui nella cornice dell’esecuzione della sua pena, delle quote dovrebbero essere prosciolte per i periodi in questione. Alla differenza del regime previsto dall’articolo 506a, in virtù del quale lo stato federale deve versare le quote che corrispondono ai periodi di quota in questione, questo obbligo che fa parte integrante del regime di indennizzo in materia penale, all’organismo di assicurazione competente, una quota dello stato non sarebbe ragionevole nel caso presente Non sarebbe ragionevole in simile caso aspettare della comunità delle persone assicurate che accetta che i periodi per che nessuna quota è stata versata danno diritto alle prestazioni di pensione; i detenuti avrebbero a versare simili quote, così che la situazione non sarebbe sostanzialmente differente di quella che caratterizza l’assicurazione su una base volontaria. Perciò, se il legislatore ha deciso che le prestazioni di lavoro compiuto nel contesto dell’obbligo di lavorare che pesa sui detenuti non possono in principio portare il conto dei periodi di quota obbligatoria o di periodi di sostituzione e se, alla luce di questo principio, il legislatore ha contemplato solamente le eccezioni precitate, questa decisione è fondata su delle considerazioni obiettive.
Perciò, la Corte suprema non ha nessuno dubbio in quanto alla costituzionalità delle disposizioni legali applicabili nello specifico. “
27. In una sentenza del 16 marzo 1999, 10 ObS 52/99s, la Corte suprema confermò la sua decisione anteriore.
28. Alle fini del calcolo dei diritti ad una pensione di pensione, i periodi passati in prigione non sono presi in considerazione che nelle circostanze buone definite nella legge sul regime generale della previdenza sociale. Per esempio, i periodi di carcerazione che hanno dato adito a versamento di un’indennità a titolo della legge sugli indennizzi in materia penale, Strafrechtliches Entschädigungsgesetz, sono contati come i periodi di sostituzione.
B. La legge sull’assicurazione di disoccupazione e la pratica pertinente
29. I salariati sono affiliati anche al regime dell’assicurazione disoccupazione. Delle quote obbligatore sono a versare ne partire col datore di lavoro e partire ne col salariato.
30. Dalla modifica portata alla legge sull’assicurazione disoccupazione nel 1993, i detenuti che esercitano un lavoro conformemente all’articolo 44 § 1 della legge sull’esecuzione delle pene sono affiliati al regime dell’assicurazione disoccupazione in virtù dell’articolo 66a della legge sull’assicurazione disoccupazione. La quota salariale delle quote è a prelevare sulla rimunerazione del detenuto, per quanto questa supera la soglia di spettati marginale, la quota padronale dinnanzi ad essere versata dallo stato mediante il ministero della Giustizia. La modifica in questione è entrata in vigore il 1 gennaio 1994.
31. In ciò che riguarda la modifica della legge che si inseriva in una riforma più larga del sistema dell’esecuzione delle pene, la commissione della giustizia (Justizausschuß) del Parlamento considerò che l’affiliazione al regime dell’assicurazione disoccupazione dei detenuti che esercitano un lavoro costituiva una prima tappa verso la piena integrazione degli interessati nel sistema della previdenza sociale. Sottolineò che l’affiliazione al regime dell’assicurazione disoccupazione dei detenuti che esercitano un lavoro costituiva un aspetto importante del miglioramento delle probabilità di reinserimento degli interessati nella società e della limitazione dei rischi di recidiva (vedere la pagina 1253 degli allegati ai conti resi stenografici del Consiglio nazionale) Beilagen zu den Stenographischen Protokollen dei Nationalrates, XVIII.GP).
32. Tra le prestazioni previste dalla legge sull’assicurazione disoccupazione raffigurano l’accesso ai corsi di formazione, degli aiuti alla ricerca di un impiego ed il versamento di indennità di disoccupazione che sono partire funzione dalla rimunerazione anteriore, durante un certo periodo. Alla scadenza delle indennità di disoccupazione, la persona garantita ha diritto al versamento di un sussidio di necessità che mira a garantirgli un minimo di sussistenza. Quando il beneficiario del sussidio di necessità raggiunge l’età legale della pensione, il sussidio continuo di essere versatagli se non ha dritto ad una pensione.
33. All’udienza, il Governo ha fornito il seguente informazione sulla proporzione di detenuti che esercitano un lavoro e hanno dunque dritto ai sussidi di disoccupazione dopo la loro liberazione:
-sulle 12 460 persone che si trovavano detenute nel 2009, 8 903, circa il 71%, esercitavano un lavoro ed erano coperti così dall’assicurazione disoccupazione. 2 490 solamente di questi detenuti guadagnavano più della soglia legale che porta obbligo di versare delle quote; gli altri non erano sottomessi all’obbligo di quotarsi;
-sulle 9 477 persone che si trovavano detenute tra il 1 gennaio ed i 30 giugni 2010, 6 791, circa il 71%, esercitavano un lavoro ed erano coperti dall’assicurazione disoccupazione dunque. 1 879 solamente di questi detenuti versavano infatti delle quote, la loro rimunerazione che supera la soglia legale che porta obbligo di quotarsi, gli altri non erano costretti a versare delle quote;
-entro il 1 gennaio 2009 ed il 30 giugno 2010, si censiva 2 086 persone misura di sollecitare l’utile di prestazioni di disoccupazione al motivo che erano state affiliate al regime dell’assicurazione disoccupazione durante la loro carcerazione; 1 898 di esse sollecitò l’utile di sussidi disoccupazione alla loro liberazione e si vide concedere in media un sussidio di 21,09 EUR con giorno, la media prova generale che si trova a 26,90 EUR con giorno.
C. Assistenza sociale
34. La previdenza sociale è completata da un regime di assistenza sociale fondata su delle condizioni di risorse. Si tratta di fornire alle persone che non dispongono dei mezzi necessari (risorse personali o dritte alle prestazioni di pensione o di disoccupazione), un reddito minimo per permetterloro di provvedere ai loro bisogni di base.
35. Il 1 settembre 2010, un nuovo sistema, quello del sussidio minimo sotto condizioni di risorse (, bedarfsorientierte Mindestsicherung, è entrato in vigore che ha sostituito il regime dell’assistenza sociale. Garantisce un reddito minimo a tutte le persone che sono desiderose e capaci di lavorare o che sono vecchie di più di sessantacinque anni e non dispongono altri mezzi di sussistenza. L’importo ne è allineato su quello della pensione minima.
D. La legge sull’esecuzione delle pene e la pratica pertinente
36. In virtù dell’articolo 44 § 1 della legge sull’esecuzione delle pene (Strafvollzugsgesetz), tutto detenuto che è atto a lavorare è tenuto di effettuare ogni lavoro che gli è citato.
37. L’articolo 45 § 1 della legge obbligano le autorità penitenziarie a fornire ad ogni detenuto un lavoro utile. L’articolo 45 § 2 tratta delle differenti forme di lavoro che può essere citate ai prigionieri. Questi possono così essere costretti ad effettuare dei compiti in seno alla prigione, a lavorare per le autorità pubbliche, per i œuvres caritatives o per i datori di lavoro privati.
38. L’articolo 46 § 3 precisi che gli autorità pénitentaires possono concludere relativamente dei contratti con le imprese private al lavoro dei detenuti.
39. In virtù dell’articolo 51, è lo stato federale, der Bund che percepisce il prodotto del lavoro dei prigionieri.
40. I prigionieri che compiono il loro lavoro in modo soddisfacente hanno diritto ad una rimunerazione. Gli importi orari della rimunerazione in questione che è funzione del tipo di lavoro compiuto, sono fissati all’articolo 52 § 1. Ai tassi reali, si presentano come segue:
-per i lavori di manodopera leggeri EUR 5,00
-per i lavori di manodopera pesanti EUR 5,63
-per il lavoro artigianale EUR 6,26
-per il lavoro specializzato EUR 6,88
-per il lavoro di agente di padronanza EUR 7,50
41. Le autorità penitenziarie devono garantire la sussistenza dei detenuti (articolo 31).
42. In virtù dell’articolo 32, i prigionieri devono, salvo eccezione, contribuire agli oneri afferenti all’esecuzione della loro pena. Se il prigioniero lavora, il contributo ammonta al 75% della sua rimunerazione. Questo contributo è dedotto automaticamente della somma dovuta al prigioniero.
43. Per di più, la quota salariale della quota all’assicurazione disoccupazione è a dedurre della rimunerazione del prigioniero. Il restante della rimunerazione è utilizzato del seguente modo: la metà ne è rimesso al detenuto a titolo “di denaro per le spese minute”, l’altra metà è versata su un conto risparmio che è liquidato il giorno della liberazione dell’interessato (articolo 54 della legge).
44. In virtù degli articoli 66 e segue e 76 e segue della legge sull’esecuzione delle pene, sono alle autorità penitenziarie di badare a ciò che i detenuti beneficiano delle cure di salute e dei trattamenti medici di cui possono avere bisogno, in particolare in caso di incidente. In sostanza, il diritto alle cure di salute ed ai trattamenti in simile caso corrisponde al diritto previsto dalla legge sul regime generale della previdenza sociale.
45. Se un detenuto nega di esercitare il lavoro che gli è citato, si rende colpevole di una violazione repressa dall’articolo 107 § 1, capoverso 7, della legge sull’esecuzione delle pene. Le sanzioni che si attaccano a simile reato in virtù dell’articolo 109 della stessa legge vanno del semplice avvertimento all’isolamento cellulare, passando dalla riduzione o il ritiro di certi diritti, il diritto di utilizzare “il denaro per le spese minute” per esempio, di guardare la televisione o di mandare e di ricevere della corrispondenza o di ricevere degli appelli telefonici, ed una multa.
46. Secondo le informazione fornite dal Governo, la proporzione dei detenuti che lavorano è oggi del 70% in Austria. Tenuto conto delle esigenze della routine carceraria, la durata media di una giornata di lavoro in prigione si trova tra sei ore e sei ore e metà. Il tempo passato da un prigioniero a seguire un trattamento terapeutico o sociale è considerato tuttavia e rimunerato come il tempo di lavoro, fino ad un massimo di cinque ore con settimana.
III. TESTI INTERNAZIONALI PERTINENTI
A. Strumenti delle Nazioni Unite
1. La Convenzione sul lavoro forzato (no 29, dell’organizzazione Internazionale del Lavoro,)
47. La Convenzione sul lavoro forzato (no 29) è stata adottata dalla Conferenza generale dell’organizzazione Internazionale del Lavoro, Ode, il 28 giugno 1930; è entrata in vigore il 1 maggio 1932. La parte pertinente nello specifico del suo articolo 2 è formulata come segue:
“1. Ai fini della presente Convenzione, il termine lavoro forzato od obbligatorio designerà ogni lavoro o servizio richiesto da un individuo sotto la minaccia di una pena qualsiasi e per cui suddetto individuo non si è offerto in pieno gradimento.
2. Tuttavia, il termine lavoro forzato od obbligatorio non comprende, alle fini della presente Convenzione:
(…)
c. ogni lavoro o servizio richiesto di un individuo come conseguenza di una condanna pronunciata da una decisione giudiziale, alla condizione che questo lavoro o servizio siano eseguiti sotto la sorveglianza ed il controllo delle autorità pubbliche e che suddetto individuo non sia concesso o messo a disposizione di individui, compagnie o persone giuridiche o private.”
All’epoca della sua 96 sessione, tenuta nel 2007, la Conferenza internazionale del lavoro, la riunione annua degli Stati membri dello ode, ha proceduto ad un studio di insieme relativo alla Convenzione, no 29, sul lavoro forzato, basata su un rapporto della Commissione di periti per l’applicazione delle Convenzioni e Raccomandazioni (“la Commissione”).
Il rapporto trattava in particolare dell’impiego del manodopera penitenziario col settore privato. Rilevando che il lavoro penitenziario per il conto di datori di lavoro privati era vietato dall’articolo 2 § 2 c) della Convenzione no 29, la Commissione precisava che poteva avere delle situazioni in che, nonostante il loro stato di cattività, i prigionieri potevano essere reputati essere offerti si di pieno gradimento e senza essere minacciati di una pena qualsiasi per effettuare un lavoro per il conto di un datore di lavoro privato. Aggiungeva che a questo riguardo, eccetto il consenso scrive formale del prigioniero, delle condizioni prossime di una relazione di lavoro libero, in termini di livello di rimunerazione, di previdenza sociale e di condizioni di sicurezza e di igiene, costituivano l’indicatore più affidabile del carattere volontario del lavoro. Dal momento che simili condizioni erano assolte, il lavoro penitenziario effettuato per il conto di imprese private doveva, secondo lei, essere considerato come non rilevando della definizione del lavoro costretto comparsa all’articolo 2 § 1 della Convenzione no 29 e come sfuggendo perciò al campo di applicazione di questo testo, paragrafi 59–60 e 114-116 del rapporto.
2. Il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici
48. Il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici sono stati adottati dall’assemblea generale delle Nazioni unite il 16 dicembre 1966, Risoluzione 2200A (XXI)) e è entrato in vigore il 23 marzo 1976. La parte pertinente nello specifico del suo articolo 8 è formulata così:
“3. ha, nessuno sarà costretto a compiere o un lavoro forzato obbligatorio;
b, Il capoverso ha, del presente paragrafo non saprebbe essere interpretato come vietando, nei paesi dove certi crimini possono essere puniti di detenzione corredata di lavori forzati, il compimento di una pena di lavori forzati, inflitti da un tribunale competente,;
c, non è considerato o come “lavoro forzato obbligatorio” al senso del presente paragrafo:
i. ogni lavoro o servizio, non mirato al capoverso b, normalmente richiesti di un individuo che è detenuto in virtù di una decisione di giustizia regolare o che, essendo stato oggetto di una tale decisione, è liberato condizionalmente;
(…)
B. Testi del Consiglio dell’Europa
1. Le Regole penitenziarie europee
49. Le Regole penitenziarie europee sono delle raccomandazioni del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio dell’Europa in quanto al norme minimo ad applicare nelle prigioni. Gli Stati sono incoraggiati ad ispirarsi a queste regole nell’elaborazione delle loro legislazioni e dei loro politici ed a garantire ne presso una larga diffusione delle loro autorità giudiziali così come presso del personale penitenziario e dei detenuti.
a) Le Regole penitenziarie europee del 1987
50. Le Regole penitenziarie europee del 1987, Raccomandazione no R (87) 3-“le Regole del 1987”) furono adottate dal Comitato dei Ministri del Consiglio dell’Europa il 12 febbraio 1987.
51. Nella loro Prima parte, contenevano un certo numero di principi fondamentali di cui i successivo:
“1. La privazione di libertà deve avere luogo nelle condizioni patrimoniali e giuridiche che garantiscono il rispetto della dignità umana in conformità con le presenti regole.
(…)
3. Gli scopi del trattamento dei detenuti devono essere di preservare la loro salute e di salvaguardare la loro dignità e, nella misura in cui la durata della pena lo permette, di sviluppare il loro senso delle responsabilità e di dotarli di competenze che li aiuteranno a reintegrare si nella società, a vivere nella legalità ed a provvedere ai loro propri bisogni dopo la loro uscita di prigione.
(…) “
52. Nella loro Quarta parte, consacrata agli obiettivi del trattamento ed ai regimi, contenevano il seguente regole:
“64. La detenzione per la privazione di libertà è una punizione in quanto tale. Le condizioni di detenzione ed i regimi penitenziari non devono aggravare la sofferenza così causata dunque, salvo se la segregazione o il mantenimento della disciplina lo giustifica.
65. Tutti gli sforzi devono essere intrapresi per assicurarsi che i regimi delle determinazioni siano stabiliti e gestiti in modo da:
ha, garantire le condizioni di vita compatibile con la dignità umana e con le norme accettabili con la collettività;
b, ridurre al minimo gli effetti pregiudizievoli della detenzione e le differenze tra la vita carceraria e le vite in libertà, affinché i detenuti non perdono il rispetto di si o il senso della loro responsabilità personale;
(…) “
53. Nella loro Quarta parte, sotto il titolo “Lavoro”, contenevano anche il seguente regole:
“71.1. Il lavoro in prigione deve essere considerato come un elemento positivo del trattamento, della formazione e della gestione della struttura.
2. I detenuti condannati possono essere sottomessi all’obbligo del lavoro, tenuto conto della loro attitudine fisica e mentale come è stata determinata dal medico.
3. Un lavoro sufficiente o, all’occorrenza altre attività utili, devono essere proposti ai detenuti affinché siano occupati durante la durata normale di una giornata di lavoro.
4. Questo lavoro deve essere, per quanto possibile, di natura tale da intrattenere o ad aumentare la capacità del detenuto a guadagnarsi normalmente da vivere dopo la sua uscita di prigione.
(…)
72. L’organizzazione ed i metodi di lavoro nelle determinazioni devono avvicinarsi per quanto possibile di queste che regola un lavoro analogo nella comunità, per preparare i detenuti alle condizioni normali del lavoro libero.
(…)
74.1. La sicurezza e l’igiene devono essere garantite nelle condizioni simili a queste di cui beneficia i lavoratori liberi.
2. Alcune disposizioni devono essere prese per indennizzare le detenuti vittime di incidenti del lavoro e di malattie professionali nelle condizioni uguali a queste previsto dalla legge nel caso di lavoratori liberi.
(…)
76.1. Il lavoro dei detenuti deve essere rimunerato di un modo equo. “
b) Le Regole penitenziarie europee del 2006
54. Il 11 gennaio 2006, il Comitato dei Ministri del Consiglio dell’Europa ha adottato una nuova versione delle Regole penitenziarie europee, Raccomandazione REC(2006)2-“le Regole del 2006”), rilevando che le Regole del 1987 dovevano essere riviste e dovevano essere puntate aggiornati in modo approfondita per potere riflettere gli sviluppi sopraggiunti nella tenuta della politica penale, le pratiche di condanna così come di gestione delle prigioni in generale in Europa.
55. Nel loro Parte I, le Regole del 2006 consacrano in particolare i principi fondamentali segue:
“2. Le persone private di libertà conservano tutti i diritti che non sono stati tolti loro secondo la legge con la decisione che li condanna ad una pena di detenzione o ponendoli in detenzione provvisoria.
3. Le restrizioni imposte alle persone private di libertà devono essere ridotte al rigorose necessario e devono essere proporzionali agli obiettivi legittimi per che sono state imposte.
(…)
5. La vita in prigione è allineata anche strettamente che possibile sugli aspetti positivi della vita all’esterno della prigione.
6. Ogni detenzione è gestita in modo da facilitare la reintegrazione nella società libera delle persone private di libertà. “
Nel suo commento relativo alle Regole del 2006, il Comitato europeo per i problemi criminali (CDPC) notava che la regola 2 sottolineava che la perdita del diritto alla libertà non doveva essere compresa come implicando automaticamente il ritiro ai detenuti dei loro dritti politici, civili, sociali, economici e culturali, ma che le restrizioni dovevano essere anche poco numerose che possibile. Indicava a proposito della regola 5 che sottolineava gli aspetti positivi della normalizzazione, aggiungendo che se la vita in prigione non poteva essere identica alla vita in una società libera c’era luogo di intervenire attivamente per avvicinare più possibile le condizioni di vita in prigione della vita normale. Rilevava peraltro che la regola 6 “reconna[issait] che i detenuti, condannati o no, retourner[aient] un giorno vivere nella società libera e che la vita in prigione [doveva] essere organizzata in modo da tenere conto di questo fatto.”
56. La regola 26 delle Regole di 2006 che figurano sotto il parte II (“Condizioni di detenzione”), tratta dei differenti aspetti del lavoro in prigione. Nella sua parte pertinente per il presente genere, è formulata così:
“26.1. Il lavoro in prigione deve essere considerato come un elemento positivo del regime carcerario ed in nessun caso essere imposto come una punizione.
26.2. Le autorità penitenziarie devono sforzarsi di procurare un lavoro sufficiente ed utile.
26.3. Questo lavoro deve permettere, per quanto possibile, di intrattenere o di aumentare la capacità del detenuto a guadagnarsi da vivere dopo la sua uscita di prigione.
(…)
26.7. L’organizzazione ed i metodi di lavoro nelle prigioni devono avvicinarsi per quanto possibile di queste che regola un lavoro analogo fuori dalla prigione, per preparare i detenuti alle condizioni della vita professionale normale.
(…)
26.9. Il lavoro dei detenuti deve essere procurato dalle autorità penitenziarie, con o senza il concorso di imprenditori privati, all’interno o all’esterno della prigione.
26.10. Ad ogni modo, il lavoro dei detenuti deve essere rimunerato in modo equo.
(…)
26.13. Le misure applicate in materia di salute e di sicurezza devono garantire una protezione efficace dei detenuti e non possono essere meno rigorose di queste di cui beneficia i lavoratori fuori da prigione.
26.14. Alcune disposizioni devono essere prese per indennizzare le detenuti vittime di incidenti del lavoro e di malattie professionali nelle condizioni non meno favorevoli di queste previsto dal diritto interno per i lavoratori fuori da prigione.
(…)
26.17. I detenuti che esercitano un lavoro devono, per quanto possibile, essere affiliati al regime nazionale di previdenza sociale. “
Il commento relativo alla regola 26 sottolinea il principio di normalizzazione del lavoro in prigione enunciando che le misure applicate in materia di igiene e di sicurezza, le ore di lavoro e “anche l’affiliazione ai sistemi nazionali di previdenza sociale” deve essere allineata su queste di cui beneficia i salariati all’esterno della prigione. Con contrasto, le Regole del 1987, se parlavano di normalizzazione del lavoro in prigione, rimanevano silenziose sulla questione dell’integrazione dei detenuti nei sistemi nazionali di previdenza sociale.
57. Il parte VII delle Regole del 2006 (“Detenuti condannati”) comprendo altre regole concernente l’obiettivo perseguito dal regime dei detenuti condannati:
“102.1. Al di là delle regole applicabili all’insieme dei detenuti, il regime dei detenuti condannati deve essere concepito per permettere loro di condurre una vita responsabile ed esente da crimine.
102.2. La privazione di libertà che costituisce una punizione in si, il regime dei detenuti condannati non deve aggravare le sofferenze inerenti alla detenzione. “
58. Suddetti partire VII tratto anche del lavoro considerato come uno degli aspetti del regime dei detenuti condannati. Nella sua parte pertinente nello specifico, la regola 105 è formulata così:
“105.2. I detenuti condannati non avendo raggiunto l’età normale della pensione possono essere sottomessi all’obbligo di lavorare, tenuto conto della loro attitudine fisica e mentale come è stata determinata dal medico.
105.3. Quando dei detenuti condannati sono sottoposti ad un obbligo di lavorare, le condizioni di lavoro devono essere conformi alle norme ed ai controlli applicate all’esterno. “
2. La Carta sociale europea
59. La Carta sociale europea, convenzione adottata sotto l’egida del Consiglio dell’Europa nel 1961 e rivista nel 1996, è anche pertinente nello specifico. Il suo articolo 1 che tratta del diritto al lavoro, disponi:
“In vista di garantire l’esercizio effettivo del diritto al lavoro, le parti si avviano:
1. a riconoscere più come uno dei loro principali obiettivi e responsabilità la realizzazione ed il mantenimento del livello l’elevato e più stabile possibile dell’impiego in vista della realizzazione del pieno impiego;
2. a proteggere in modo efficace il diritto per il lavoratore di guadagnarsi da vivere con un lavoro liberamente intrapreso;
(…) “
Il Comitato europeo dei diritti sociali che è l’organo responsabile del controllo dell’osservazione con gli Stati partiti dalla Carta sociale europea, ha interpretato l’articolo 1 § 2 di questa come significante che il lavoro in prigione deve essere incorniciato rigorosamente in termini di rimunerazione, di ore di lavoro e di previdenza sociale, specialmente se i detenuti lavorano per le imprese private. I detenuti non possono essere adoperati dalle imprese private che se acconsentono e nelle condizioni anche prossimi che possibile di queste che è normalmente applicabili nella cornice di contratti di lavoro di diritto privato, Digest di giurisprudenza del Comitato europeo dei diritti sociali, 1 settembre 2008, p. 23.
C. Diritto comparato europeo
60. Risulta delle informazione di cui la Corte dispone, ed in particolare di un studio di diritto comparato che cade sulle legislazioni nazionali di 40 dei 47 Stati membri del Consiglio dell’Europa, che:
-in venticinque Stati membri, i detenuti sono, a tutto il meno in certe circostanze, obbligati di lavorare (Azerbaigian, Repubblica ceca, Estonia, Finlandia, Georgia, Germania, Ungheria, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Montenegro, Russia, Slovacchia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina e Regno Unito,;
-in ventidue Stati membri, i detenuti hanno accesso al regime delle pensioni di pensione (Albania, Andorra, Azerbaigian, Croazia, Cipro, Repubblica ceca, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Macedonia, Norvegia, Portogallo, Russia, Slovacchia, Slovenia, Svizzera, Turchia, Ucraina e Regno Unito. In certi di questi Stati, i detenuti non sono automaticamente coperti, per mezzo di ritenute obbligatore sulla loro rimunerazione o di prelevamenti fiscali, ma hanno solamente la possibilità di versare loro stessi delle quote su una base volontaria;
-in undici Stati membri, i detenuti non sono affiliati ad un regime di pensione di pensione (Belgio, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Estonia, Georgia, Grecia, Ungheria, Malta, Montenegro, Paesi Bassi, Romania e Serbia,;
-in un terzo gruppo di stati membri, l’affiliazione al sistema della previdenza sociale, ivi compreso le pensioni di pensione, varia in funzione del tipo di lavoro esercitato e, soprattutto, dei punti di sapere se si tratta di un lavoro effettuato per il conto di datori di lavoro esterni alla prigione e se è rimunerato. Tale è il caso in Germania, nel Lussemburgo, in Polonia, in Spagna ed in Svezia. In Danimarca, il diritto ad una pensione di pensione è senza rapporto col lavoro effettuato prima e col versamento o no di quote. Tutte le persone avendo raggiunto l’età legale della pensione hanno diritto ad una pensione di base;
-una maggioranza assoluta (trentasette) degli Stati membri offre all’insieme dei detenuti, o talvolta solamente ad alcuni di loro, un accesso alla protezione sociale, o affiliandoli al regime generale della previdenza sociale o a certe dei suoi componenti, o facendo beneficiare essi di un tipo specifico di assicurazione o di un’altra protezione.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE COMBINATA CON L’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
61. Il richiedente sostiene il carattere discriminatorio dell’esenzione dei detenuti che esercitano un lavoro dell’affiliazione al regime delle pensioni di anzianità lavorativa. Invoca in sostanza l’articolo 14 della Convenzione, composto con l’articolo 1 del Protocollo no 1.
62. L’articolo 14 della Convenzione è formulato così:
“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza distinzione nessuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita od ogni altra situazione. “
63. L’articolo 1 del Protocollo no 1 dispone:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Tesi delle parti
1. Il richiedente
64. Il richiedente si avvale del principio secondo cui la privazione di libertà costituisce una punizione in sé, non dovendo le misure che non riguardano un detenuto aggravare la sofferenza inerente alla detenzione. Sostiene che l’esclusione dei detenuti che esercitano un lavoro dell’affiliazione al regime delle pensioni di anzianità lavorativa è una misura che porta degli effetti a lungo termine che perdurano dopo l’uscita di prigione e che è contraria a questo principio dunque.
65. Stima per di più che i detenuti che lavorano si trovano nella stessa situazione degli altri salariati relativamente alla necessità di garantire la loro sussistenza ai loro giorni di vecchiaia mediante una previdenza sociale. Secondo lui, l’interpretazione dell’articolo 4 § 2 della legge sul regime generale della previdenza sociale data dai tribunali interni ed in virtù della quale una distinzione dovrebbe essere stabilita volontariamente tra i lavori esercitati sulla base di un contratto di lavoro regolare ed il lavoro compiuto dai detenuti in esecuzione del loro obbligo legale di lavorare non giustifica in modo convincente l’esclusione dei detenuti che esercitano un lavoro dell’affiliazione al regime delle pensioni di anzianità lavorativa.
66. Il richiedente considera che le due situazioni non sono fondamentalmente differenti. In realtà,anche la grande maggioranza delle persone in libertà sarebbe obbligata a lavorare, non per l’effetto della legge, ma per la necessità di garantire la loro sussistenza. Il lavoro, che sia compiuto in prigione o in libertà, inseguirebbe sempre un ventaglio di scopi diversi e vari che superano l’aspetto finanziario. Tutto sommato, l’esclusione dei detenuti che esercitano un lavoro dell’affiliazione al regime delle pensioni di anzianità lavorativa non si baserebbe su un qualsiasi differenza dei fatti e richiederebbe quindi di essere giustificata.
67. Ora simile giustificazione farebbe difetto. Primariamente, l’esclusione dei detenuti che esercitano un lavoro dell’affiliazione al regime delle pensioni di anzianità lavorativa non inseguirebbe nessuno scopo legittimo. Per quanto il Governo invoca la situazione finanziaria difficile del sistema della previdenza sociale, il richiedente aggiunge che le considerazioni di ordine di bilancio non possono bastare a giustificare l’esclusione di un gruppo vulnerabile dalla protezione sociale.
68. Secondariamente, il Governo non avrebbe dimostrato l’esistenza di motivi obiettivi e ragionevoli propri a giustificare la differenza di trattamento controverso. In particolare, il richiedente contesta l’argomento che consiste nel dire che i detenuti che esercitano un lavoro non sono in grado di versare delle quote sufficientemente importanti e che la presa in conto come periodi di assicurazione dei periodi di lavoro compiuto in prigione significherebbe accordare ai detenuti un privilegio ingiustificato comparato ai salariati ordinari che sarebbero costretti a versare delle quote sociali al tasso pieno. Dal momento che in virtù dell’articolo 51 della legge sull’esecuzione delle pene lo stato percepirebbe il prodotto del lavoro dei prigionieri, ci si potrebbe aspettare ragionevolmente da lui che versi delle quote alla previdenza sociale. In quanto all’argomento del Governo relativo al punto di sapere se i periodi di lavoro compiuto in prigione potrebbero essere considerati legittimamente come i periodi di sostituzione, sarebbe privo quindi di pertinenza.
69. Per ciò che riguarda la possibilità per i detenuti di versare delle quote volontarie al regime delle pensioni di pensione, in virtù dell’articolo 17 della legge sul regime generale della previdenza sociale, il richiedente sostiene che numerosi detenuti non sono in grado di soddisfare la condizione di giustificare di un numero sufficiente di mesi di assicurazione durante i periodi anteriori. Il costo dell’assicurazione volontaria supererebbe per di più, in generale le risorse finanziarie limitate dei detenuti, il 75% della loro modesta rimunerazione essendo utilizzati, in virtù dell’articolo 32 della legge sull’esecuzione delle pene, come contributo agli oneri della loro manutenzione.
2. Il Governo
70. Il Governo sostiene principalmente che la no-affiliazione dei detenuti che esercitano un lavoro al regime delle pensioni di pensione non è discriminatoria al senso dell’articolo 14 della Convenzione, i detenuti che esercitano un lavoro non essendo, secondo lui, in una situazione analoga a quella dei salariati ordinari.
71. Il Governo dà una descrizione dettagliata dell’organizzazione del lavoro penitenziario in Austria, sottolineando che il lavoro in prigione mira essenzialmente a favorire il reinserimento ed il risocializzazione degli interessati. Rileva che le norme pertinenti del Consiglio dell’Europa così come l’ultimo rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene e trattamenti disumani o degradanti (CPT) relativi all’Austria riconoscono che il lavoro è importante per i detenuti nella misura in cui offre loro una possibilità di preservare o di migliorare le loro qualifiche professionali ne che permette loro di esercitare un’attività utile e ne imponendo loro una routine quotidiana strutturata, in modo da rendere la loro carcerazione più sopportabile ed a prepararli ad assumere un impiego normale una volta liberi.
72. L’articolo 44 § 1 della legge sull’esecuzione delle pene obbligherebbero i detenuti a lavorare, e l’articolo 45 § 1 di suddetta legge obbligherebbero le autorità penitenziarie a fornire ai detenuti un lavoro corretto. Tenuto conto delle condizioni specifiche all’ambiente carcerario, i detenuti lavorerebbero in media cinque alle sei con giorno. Mentre ciò non sarebbe previsto da nessuna disposizione della Convenzione, percepirebbero una rimunerazione. Gli importi ne sarebbero fissati dalla legge e varierebbero di 5 EUR a 7,50 EUR dell’ora, in funzione del tipo di lavoro effettuato. I periodi passati dai detenuti a seguire un trattamento terapeutico o sociale sarebbero considerati come le ore di lavoro, nel limite di cinque ore con settimana. Si tratterebbe chiaramente là di una forma di trattamento imperniato sul bene degli interessati che indicherebbe che il lavoro in prigione mira al risocializzazione dei detenuti. In quanto al fatto che una parte della rimunerazione degli interessati sarebbe utilizzata come contributo agli oneri della loro manutenzione, egli non révèlerait nessuna violazione della Convenzione.
73. In riassunto, avuto riguardo alla sua natura ed agli scopi perseguita da lui, il lavoro in prigione differirebbe considerevolmente di un’attività salariata ordinaria. Il lavoro in prigione che corrisponderebbe ad un obbligo legale, mirerebbe al risocializzazione ed al reinserimento dei detenuti, mentre il lavoro salariato ordinario sarebbe basato su un contratto di lavoro e tenderebbe a garantire la sussistenza del salariato e la sua espressione professionale. Perciò, trattare differentemente alle fini dell’assicurazione pensiona i periodi di lavoro compiuto in prigione sarebbe giustificato non solo ma richiesti con le differenze di fatto tra le situazioni considerate. Contare come periodi di assicurazione dei periodi per che non sarebbero stati versati delle quote conferirebbe ai detenuti che esercitano un lavoro un vantaggio ingiustificato rispetto ai salariati ordinari.
74. La decisione del legislatore di non contare come periodi di assicurazione o come periodi di sostituzione i periodi di lavoro compiuto da un detenuto sarebbero basati parimenti su delle ragioni obiettive. In virtù delle disposizioni pertinenti della legge sul regime generale della previdenza sociale, i periodi di carcerazione sarebbero trattati in particolare come i periodi da assicurazione nei casi dove la persona interessata avrebbe ottenuto, in virtù della legge sugli indennizzi in materia penale, un’indennità per la sua carcerazione. Nel tali caso, lo stato sarebbe tenuto di versare le quote alla previdenza sociale per risarcire la persona riguardata degli svantaggi allo sguardo della legislazione in materia di previdenza sociale subita da lei a causa della sua detenzione. Trattare dallo stesso modo le persone incarcerate si analizzerebbe a buon diritto in un trattamento uguale di fatti impari. Trattare i periodi da carcerazione come i periodi di sostituzione nella mancanza di versamenti di quote creerebbe anche degli squilibri nel sistema della previdenza sociale. Di un modo generale, il legislatore avrebbe considerato che i periodi di sostituzione devono corrispondere ai periodi dove gli interessati sono stati impediti di pagare delle quote per i motivi socialmente accettabili, per esempio in caso di formazione scolastica, di nascita di un bambino, di disoccupazione, di malattia, di servizio militare o di servizio civile,.
75. Per di più, i detenuti avrebbero la facoltà, in virtù dell’articolo 17 della legge sul regime generale della previdenza sociale, di versare delle quote volontarie al regime delle pensioni di pensione. La legge contemplerebbe anche la possibilità di un abbassamento dell’importo supposto essere versato a titolo di quota. Il Governo precisa tuttavia che, per le ragioni che tengono alla protezione dei dati, non può fornire di elementi statistici in quanto al numero ed alla percentuale dei detenuti che fanno uso di questa possibilità.
76. A titolo accessorio, il Governo sostiene che a supporre anche che i detenuti che esercitano un lavoro siano in una situazione analoga a quella dei salariati ordinari, la differenza di trattamento controverso è giustificata. In pratica, anche se i detenuti non erano esclusi dell’affiliazione al regime delle pensioni di pensione, non sarebbero in grado di versare delle quote significative perché molto spesso la loro rimunerazione dopo deduzione del contributo agli oneri della loro manutenzione non raggiungerebbe al di qua la soglia di 366,33 EUR del quale i salariati non sono ad ogni modo coperti con l’assicurazione obbligatoria prevista dalla legge sul regime generale della previdenza sociale. Tenuto conto della situazione finanziaria tesa degli organismi di previdenza sociale, uniche la persone misura di versare delle quote significative potrebbe essere integrata al regime delle pensioni di pensione.
77. Per di più, gli Stati contraenti godrebbero di un ampio margine di valutazione per organizzare i loro sistemi di previdenza sociale. Le Regole penitenziarie europee del 2006 raccomanderebbero solamente del resto che “i detenuti che esercitano un lavoro [siano], per quanto possibile affiliati al regime nazionale di previdenza sociale.”
78. Il Governo spiega che dalla modifica portata alla legge sull’assicurazione disoccupazione nel 1993, i detenuti che esercitano un lavoro sono affiliati al regime dell’assicurazione disoccupazione. La modifica in questione che si sarebbe inserita in una riforma più larga del sistema di esecuzione delle pene, sarebbe stata preceduta da parecchi anni di discussioni intensive. La decisione di integrare i detenuti al regime dell’assicurazione disoccupazione ma no a quello delle pensioni di pensione sarebbe stato motivato dalla considerazione che l’assicurazione disoccupazione che ingloberebbe non solo delle prestazioni finanziarie ma anche l’accesso ai corsi di formazione ed ai servizi di ricerca di impiego, era lo strumento più efficace per favorire il reinserimento dei detenuti dopo la loro liberazione. La misura sarebbe stata considerata come una prima tappa verso l’integrazione dei detenuti nel sistema della previdenza sociale al senso largo. Quindi tuttavia che l’assicurazione prevista dalla legge sul regime generale della previdenza sociale ricoprirebbe l’assicurazione salute ed incidenti più un’affiliazione al regime delle pensioni di pensione e che nel caso dei detenuti le cure di salute in caso di malattia o di incidente sarebbero fornite dalle autorità penitenziarie in virtù della legge sull’esecuzione delle pene, l’affiliazione dei detenuti al regime delle pensioni di pensione avrebbe necessitato degli emendamenti più complessi. Per di più, sulla base di studi condotti all’epoca, questa affiliazione sarebbe stata considerata come il fattore più costoso.
79. Il Governo fa osservare peraltro che le cause, come quella dello specifico che riguarda di molto lunghe pene di detenzione è estremamente raro. La maggioranza dei detenuti sarebbe in grado di accumulare un numero sufficiente di mese di assicurazione sulla base dei periodi di lavoro effettuato in libertà. Nello specifico, il richiedente avrebbe percepito dei sussidi di disoccupazione, e dalla scadenza di queste percepirebbe un sussidio di necessità.
80. Infine, la decisione del legislatore austriaco di non affiliare i detenuti al regime delle pensioni di pensione prevista con la legge sul regime generale della previdenza sociale non notificherebbe che gli interessati non beneficiano di nessuna coperta sociale. Primariamente, così come egli è stato esposto sopra, sarebbero coperti dal regime dell’assicurazione disoccupazione. Perciò, percepirebbero dei sussidi di disoccupazione e, alla scadenza di queste, un sussidio di necessità. In ultima istanza, il sistema di previdenza sociale contemplerebbe un regime di reddito minimo sotto condizioni di risorse per le persone incapaci di garantire diversamente i loro bisogni di base. Tutto sommato, il sistema giuridico austriaco fornirebbe una soluzione differenziata e bene equilibrato prendendo in conto gli interessi della società al senso largo, da una parte, e gli interessi dei detenuti, altro parte.
B. La posizione della Corte
1. Sull’applicabilità dell’articolo 14 composto con l’articolo 1 del Protocollo no 1
81. La Corte ricorda che l’articolo 14 fatto completare solamente le altre clausole patrimoniali della Convenzione e dei suoi Protocolli. Non ha esistenza indipendente, poiché vale unicamente per “il godimento dei diritti e libertà” che garantiscono. La sua applicazione non presuppone necessariamente la violazione di uno dei diritti materiali garantiti dalla Convenzione. Occorre, ma basta, che i fatti della causa cadono almeno “sotto l’impero” di un degli articoli della Convenzione. L’interdizione della discriminazione che consacra l’articolo 14 supera il godimento dei diritti e libertà dunque che la Convenzione ed i suoi Protocolli impongono ad ogni Stato di garantire. Si applica anche ai diritti addizionali, per quanto rilevano del campo di applicazione prova generale di uno degli articoli della Convenzione, che lo stato ha deciso volontariamente di proteggere (vedere Stec ed altri c). Regno Unito, déc.) [GC], i nostri 65731/01 e 65900/01, §§ 39-40, CEDH 2005-X; Andrejeva c. Lettonia [GC], no 55707/00, § 74, CEDH 2009 -… ; e, più recentemente, Carson ed altri c. Regno Unito [GC], no 42184/05, § 63, CEDH 2010 -…).
82. In virtù della giurisprudenza buona invalsa della Corte, i principi che si applicano generalmente alle cause concernente l’articolo 1 del Protocollo no 1 tengono tutta la loro pertinenza in materia di assegni mutualistici. In particolare, suddetta clausola non crea un diritto ad acquisire dei beni. Non impone nessuna restrizione alla libertà per gli Stati contraenti di decidere di instaurare o non un regime di protezione sociale o di scegliere il tipo o il livello delle prestazioni supposte essere accordate a titolo di simile regime. In compenso, dal momento che un Stato contraente mette in posto una legislazione che contempla il versamento automatico di un assegno mutualistico-che la concessione di questa prestazione dipenda o no del versamento preliminare di quote-questa legislazione deve essere considerata come generando un interesse patrimoniale che rileva del campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 per le persone che assolvono le sue condizioni, vedere Stec ed altri, déc.), precitata, § 54; Andrejeva, precitata, § 77; e Carson ed altri, precitata, § 64.
83. Di più, nei casi, tali quello dello specifico, dove un richiedente formula sul terreno dell’articolo 14 composto con l’articolo 1 del Protocollo no 1 un motivo di appello ai termini del quale è stato privato in tutto o partire ne e per un motivo discriminatorio mirato all’ar

Testo Tradotto

Conclusion Non-violation de l’art. 14+P1-1 ; Non-violation de l’art. 4
GRANDE CHAMBRE
AFFAIRE STUMMER c. AUTRICHE
(Requête no 37452/02)
ARRÊT
STRASBOURG
7 juillet 2011
Cet arrêt est définitif. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Stummer c. Autriche,
La Cour européenne des droits de l’homme, siégeant en une Grande Chambre composée de :
Jean-Paul Costa, président,
Nicolas Bratza,
Peer Lorenzen,
Françoise Tulkens,
Josep Casadevall,
Corneliu Bîrsan,
Anatoly Kovler,
Elisabeth Steiner,
Alvina Gyulumyan,
Dean Spielmann,
Sverre Erik Jebens,
Dragoljub Popović,
Giorgio Malinverni,
George Nicolaou,
Ann Power,
Kristina Pardalos,
Vincent A. de Gaetano, juges,
et de Vincent Berger, jurisconsulte,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 3 novembre 2010 et le 25 mai 2011,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 37452/02) dirigée contre la République d’Autriche et dont un ressortissant autrichien, OMISSIS (« le requérant »), a saisi la Cour le 14 octobre 2002 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant, qui s’est vu accorder le bénéfice de l’assistance judiciaire, a été représenté par Me A. B., avocat inscrit au barreau de Vienne. Le gouvernement autrichien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, M. H. Tichy, ambassadeur et chef du département de droit international du ministère fédéral des Affaires européennes et internationales.
3. Dans sa requête, M. OMISSIS se plaignait d’avoir fait l’objet d’une discrimination dans la mesure où, nonobstant le fait qu’il travaillait, il n’avait, à raison de sa condition de détenu, pas été affilié au régime des pensions de retraite pendant ses années d’incarcération, et d’avoir en conséquence été privé d’une pension. Il invoquait l’article 4 et, en substance, l’article 14 de la Convention, combiné avec l’article 4 et avec l’article 1 du Protocole no 1.
4. La requête a été allouée à la première section de la Cour (article 52 § 1 du règlement). Le 11 octobre 2007, elle a été déclarée recevable par une chambre de cette section composée de Christos Rozakis, Anatoly Kovler, Elisabeth Steiner, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens et Giorgio Malinverni, juges, et de Søren Nielsen, greffier de section. Le 18 mars 2010, une chambre de la même section composée de Christos Rozakis, Anatoly Kovler, Elisabeth Steiner, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, Giorgio Malinverni et George Nicolaou, juges, et de Søren Nielsen, greffier de section, s’est dessaisie en faveur de la Grande Chambre, aucune des parties consultées, à cet égard, ne s’étant opposée au dessaisissement (article 30 de la Convention et article 72 du règlement).
5. La composition de la Grande Chambre a été arrêtée conformément aux dispositions de l’article 26 §§ 4 et 5 de la Convention et de l’article 24 du règlement.
6. Le requérant et le Gouvernement ont chacun déposé des observations écrites sur le fond (article 59 § 1 du règlement).
7. Une audience a eu lieu en public au Palais des droits de l’homme, à Strasbourg, le 3 novembre 2010 (article 59 § 3).
Ont comparu :
OMISSIS
La Cour a entendu en leurs déclarations OMISSIS, et, en leurs réponses à certaines questions posées par les juges, OMISSIS.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
8. Le requérant est né en 1938 et réside à Vienne. Il a passé vingt-huit années de sa vie en prison et a travaillé pendant de longues périodes dans la cuisine ou la boulangerie de l’établissement où il était incarcéré. En tant que détenu exerçant un travail, il ne fut pas affilié au régime des pensions de retraite relevant du régime général de la sécurité sociale. A compter toutefois du 1er janvier 1994, il fut affilié au régime de l’assurance chômage pour ses périodes de travail en prison.
9. Le 8 février 1999, il introduisit devant l’Office des pensions des travailleurs salariés (Pensionsversicherungsanstalt der Arbeiter – « l’Office des pensions ») une demande de pension de retraite anticipée.
10. Par une décision du 8 mars 1999, l’Office des pensions rejeta la demande au motif que le requérant n’avait pas accompli 240 mois d’assurance, minimum requis pour pouvoir bénéficier d’une pension de retraite anticipée. Une liste des périodes d’assurance du requérant, qui commençait en octobre 1953 et se terminait en février 1999, était annexée à la décision. Il en ressortait que le requérant n’avait accumulé que 117 mois d’assurance. Elle montrait de longues périodes pendant lesquelles aucune cotisation n’avait été versée, notamment de mai 1963 à mai 1964, de juillet 1965 à septembre 1968, de juin 1969 à janvier 1974, d’avril 1974 à mars 1984, de juin 1984 à mai 1986 et de février 1987 à avril 1994. Entre mai 1994 et février 1999, un certain nombre de mois au cours desquels le requérant avait perçu des allocations de chômage ou une allocation de nécessité au titre de la loi sur l’assurance chômage furent pris en compte comme périodes de substitution.
11. Par la suite, le requérant saisit le tribunal du travail et des affaires sociales (Arbeits- und Sozialgericht) de Vienne d’une action contre l’Office des pensions. Il faisait valoir qu’il avait travaillé pendant vingt-huit ans en prison et que les mois où il avait travaillé pendant son incarcération devaient être considérés comme des mois d’assurance aux fins de l’établissement de ses droits à pension.
12. Le 4 avril 2001, le tribunal du travail et des affaires sociales débouta le requérant de sa prétention. Il confirma que l’intéressé n’avait pas accompli le nombre minimum requis de mois d’assurance. Se référant à l’article 4 § 2 de la loi sur le régime général de la sécurité sociale, il nota que les prisonniers qui effectuaient un travail obligatoire pendant leur détention n’étaient pas affiliés au régime obligatoire de la sécurité sociale. En vertu de la jurisprudence bien établie de la Cour suprême (arrêt 10 ObS 66/90 du 27 février 1990 et arrêt 10 ObS 52/99s du 16 mars 1999), leur travail, qui correspondait à une obligation légale, devait être distingué du travail accompli par des salariés sur la base d’un contrat de travail. Le tribunal considéra que la différence de traitement que réservait le droit de la sécurité sociale à cet égard ne révélait aucune apparence de discrimination.
13. Désormais assisté d’un avocat, le requérant interjeta appel. Il soutenait en particulier que le libellé de l’article 4 § 2 de la loi sur le régime général de la sécurité sociale ne distinguait pas entre travail accompli en exécution d’une obligation légale et travail accompli en exécution d’un contrat. Il estimait de surcroît que la distinction retenue n’était pas objectivement justifiée. Il faisait observer que depuis fin 1993 les détenus qui travaillaient étaient affiliés au régime de l’assurance chômage. Il considérait qu’il n’y avait aucune raison de ne pas les affilier au régime des pensions de retraite.
14. Le 24 octobre 2001, la cour d’appel (Oberlandesgericht) de Vienne le débouta de son recours. Elle considéra que le tribunal du travail et des affaires sociales avait correctement appliqué le droit en vigueur. Elle indiqua qu’en vertu de la jurisprudence bien établie de la Cour suprême, les prisonniers qui accomplissaient un travail obligatoire ne devaient pas être traités comme des salariés au sens de l’article 4 § 2 de la loi sur le régime général de la sécurité sociale et n’étaient dès lors pas affiliés au régime obligatoire de la sécurité sociale. Elle ajouta que le fait que depuis la modification apportée à la loi sur l’exécution des peines (Strafvollzugsgesetz) en 1993 les prisonniers se trouvaient affiliés à l’assurance chômage n’était pas concluant relativement à la question de leur affiliation au régime des pensions de retraite. Elle estima qu’en substance le requérant soulevait une question de politique juridique ou sociale. Or, selon elle, il appartenait non pas aux tribunaux, mais au législateur de décider de l’opportunité de modifier ou non les dispositions relatives à la couverture sociale des prisonniers. A cet égard, la cour d’appel précisa qu’elle ne partageait pas les doutes exprimés par le requérant quant à une possible inconstitutionnalité de l’exclusion du régime des pensions de retraite des détenus exerçant un travail.
15. Le 12 février 2002, la Cour suprême (Oberster Gerichtshof) rejeta le pourvoi en cassation dont le requérant l’avait saisie. Son arrêt fut notifié à ce dernier le 6 mai 2002.
16. Le 29 janvier 2004, le requérant eut fini de purger sa dernière peine d’emprisonnement. Il perçut des indemnités de chômage jusqu’au 29 octobre 2004, puis, à l’expiration de celle-ci, une allocation de nécessité (Notstandshilfe). D’après les informations fournies par l’avocat de l’intéressé à l’audience, le requérant perçoit aujourd’hui quelque 720 euros (EUR) par mois (15,77 EUR par jour, plus 167 EUR par mois au titre de l’allocation de nécessité et 87 EUR à titre d’intervention dans ses frais de loyer).
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
A. La loi sur le régime général de la sécurité sociale
17. La base du système autrichien de sécurité sociale est constituée de deux lois : la loi sur le régime général de la sécurité sociale (Allgemeines Sozialversicherungsgesetz) et la loi sur l’assurance chômage (Arbeitslosenversicherungsgesetz). Le droit autrichien de la sécurité sociale est fondé sur le principe contributif.
1. Règles générales
18. L’assurance mise en place par la loi sur le régime général de la sécurité sociale couvre la santé, les accidents et la pension de retraite.
19. L’article 4 de la loi prévoit l’affiliation obligatoire à la sécurité sociale. Le paragraphe 1 alinéa 1 de cet article énonce que les salariés sont affiliés au régime de l’assurance santé et accidents et au régime des pensions de retraite. Le paragraphe 2 du même article précise que par salarié on entend toute personne employée contre rémunération dans un rapport de dépendance personnelle et économique. Une condition supplémentaire à l’affiliation obligatoire est que la rémunération excède un seuil déterminé (Geringfügigkeitsgrenze). Aux taux actuels, ce montant est de 366,33 EUR par mois (article 5 § 2 de la loi).
20. Pour un travailleur salarié affilié à la sécurité sociale, des cotisations obligatoires sont à verser en partie par l’employeur et en partie par le salarié.
21. L’article 17 § 1 de la loi dispose que les personnes qui ne sont plus couvertes par l’affiliation obligatoire à la sécurité sociale peuvent continuer à payer des cotisations volontaires (freiwillige Weiterversicherung) pour autant qu’elles aient accompli au minimum douze mois d’assurance au cours des vingt-quatre derniers mois au sein du système ou au moins trois mois d’assurance pendant chacune des cinq dernières années. Les cotisations peuvent être réduites dans certaines limites si la situation financière de la personne concernée justifie pareille mesure.
22. Une personne atteignant l’âge du départ à la retraite n’a droit à une pension de retraite que si elle a accumulé un nombre suffisant de mois d’assurance, à savoir 180 mois, ou, dans le cas d’une retraite anticipée, 240 mois. Pour le calcul du nombre de mois d’assurance, certaines périodes au cours desquelles il n’y a eu ni exercice d’une activité salariée ni, en conséquence, versement de cotisations peuvent néanmoins être prises en considération comme périodes de substitution (Ersatzzeiten), par exemple les périodes consacrées à élever des enfants ou à accomplir un service militaire, ou encore les périodes de chômage.
23. Le montant d’une pension de retraite dépend principalement du nombre de mois d’assurance et du niveau des cotisations versées. Si la pension ainsi calculée n’atteint pas un seuil déterminé, fixé aujourd’hui à 783,99 EUR par mois pour une personne isolée et à 1 175,45 EUR pour un couple, une allocation de complément (Ausgleichszulage) est versée de manière à ce que le niveau minimum soit atteint.
2. La situation des détenus
24. Lorsqu’une personne est amenée à purger une peine d’emprisonnement supérieure à un mois, sa couverture santé et accidents et sa couverture retraite sont suspendues (article 78 de la loi sur le régime général de la sécurité sociale). Ce sont les autorités pénitentiaires qui sont censées subvenir aux besoins des prisonniers. De même, c’est l’Etat qui, en vertu de la loi sur l’exécution des peines (voir les paragraphes 41 et 44 ci-dessous), est censé fournir aux intéressés les soins dont ils ont besoin, y compris en cas d’accident.
25. En principe, les prisonniers exerçant un travail ne sont pas affiliés au régime général de la sécurité sociale. D’après la jurisprudence de la Cour suprême, ils ne sont pas considérés comme des salariés au sens de l’article 4 § 2 de la loi sur le régime général de la sécurité sociale.
26. Dans un arrêt du 27 février 1990 (10 Obs 66/90), la Cour suprême se prononça sur un recours formé par un ex-détenu contre le refus de lui accorder une pension d’invalidité motivé par le fait qu’il n’avait pas accompli le nombre de mois d’assurance requis. La Cour suprême s’exprima comme suit :
« D’après l’opinion unanime du ministère fédéral compétent (Recueil de publications en matière d’assurance sociale SVSlg 19.570) de la Cour administrative (2.2.1972, 782/71 et 62/72, VwSlgNF 8162 = SVSlg 21.171) et de la cour d’appel de Vienne (SVSlg 8.868, 21.172, 26.918, 30.930 et 32.418), ces prestations de travail, qui sont accomplies sur la base d’une obligation légale et non sur la base d’un contrat volontairement accepté, ne rentrent pas dans le champ d’application du régime de l’assurance obligatoire. La doctrine prône également l’interprétation suivant laquelle le droit de la sécurité sociale, comme du reste le droit du travail, exige que les contrats de travail soient établis sur une base consensuelle. Les services accomplis en exécution d’une obligation prévue par le droit public ne reposent pas sur une convention. En conséquence, le travail accompli dans le contexte de l’exécution d’une peine ne saurait être considéré comme relevant de l’article 4 § 2 de la loi sur le régime général de la sécurité sociale (voir Krejci-Marhold in Tomandl, SV-System 3. ErgLfg 46 ; MGA ASVG 49. ErgLfg 125 ; Krejci in Rummel, ABGB § 1151 Rz 16). Dans son arrêt du 26.11.1971 B 128/71, VfSlg 6582 = SVSlg 21.170, la Cour constitutionnelle a considéré que la décision du législateur en vertu de laquelle le travail accompli dans le contexte de l’exécution d’une peine de prison n’entrait pas dans le champ d’application du régime de la sécurité sociale – au motif que faisait défaut la condition d’acceptation volontaire d’une obligation de travail spécifique, requise pour constituer un contrat de travail nécessitant le versement de cotisations sociales – n’était pas contraire au principe de l’égalité de traitement.
(…)
Les soins médicaux dus aux détenus en application des articles 66 et suivants de la loi sur l’exécution des peines et les prestations dues aux intéressés en application des articles 76 et suivants de la même loi à la suite d’accidents du travail ou de maladies professionnelles, au sens de l’article 76 (paragraphes 2-4) de la même loi, offrent à cette catégorie de personnes un régime légal d’assurance santé et accidents adapté au contexte carcéral.
Le fait que les détenus ne soient pas davantage affiliés au régime légal obligatoire de l’assurance retraite lorsqu’ils accomplissent des prestations de travail dans le cadre de leur obligation de travailler – contrairement à ce qui se passe, par exemple, dans le cadre d’une relation employeur/salarié ordinaire – peut être justifié par les différences essentielles des rapports déjà évoquées, et, comme la Cour constitutionnelle l’a précisé dans son arrêt, il n’emporte donc pas atteinte au principe de l’égalité de traitement.
Les périodes passées en détention provisoire ou celles passées en prison en exécution d’une peine ne sont, conformément à la loi sur le régime général de la sécurité sociale, considérées comme des périodes de cotisation obligatoire que dans les cas où les mesures privatives de liberté en question ont été imposées soit pour des motifs politiques – autres que liés à des activités national-socialistes –, pour des motifs religieux ou pour des motifs d’extraction (article 500 et article 502 § 1) ou dans les cas où un tribunal autrichien (conformément à la loi sur les indemnisations en matière pénale) a rendu au sujet des périodes de détention litigieuses une décision obligatoire reconnaissant le bien-fondé d’une demande de dommages-intérêts pour la détention ou la condamnation subies (article 506a). Les périodes ainsi considérées comme des périodes valables de cotisation obligatoire doivent être regardées dans le premier cas mentionné comme ne requérant pas le versement de cotisations (article 502 § 1 troisième phrase) ; dans le second cas, l’Etat fédéral doit verser les cotisations correspondantes à l’organisme d’assurance compétent (article 506a deuxième phrase). Il s’agit dans les deux cas de compenser les désavantages en matière d’assurance sociale qu’est censée avoir causés au justiciable l’imposition d’une peine privative de liberté non justifiée. Une extension de ces dispositions exceptionnelles au temps passé en prison à raison d’un enfermement justifié par des actes condamnables serait contraire au principe d’égalité de traitement. Pour des motifs analogues, l’admission de pareilles périodes comme périodes de substitution serait également contraire au principe de l’égalité de traitement (…) Un détenu auquel les exceptions susmentionnées prévues par les articles 502 § 1 et 506a ne s’appliquent pas n’acquiert dès lors dans le contexte de son obligation de travailler ni périodes de cotisation au titre du régime de l’assurance obligatoire ni périodes de substitution. L’exécution de sa peine ne l’empêche toutefois pas de continuer à verser des cotisations au régime des pensions de retraite au titre de l’article 17 et d’accumuler des périodes de cotisation au travers du versement de cotisations volontaires, étant entendu qu’en vertu de l’article 76a § 4 le maintien de la couverture doit pouvoir se faire, à la demande de l’intéressé, sur la base d’un taux de cotisation moins élevé que celui prévu aux paragraphes 1 à 3 de ladite disposition. Conformément à l’article 75 § 3 de la loi sur l’exécution des peines, les détenus doivent être informés des possibilités et avantages qu’il peut y avoir pour eux, par exemple, à continuer sur une base volontaire à cotiser à l’assurance, et il leur est également loisible d’utiliser pour le versement des cotisations à la sécurité sociale des fonds dont ils ne peuvent autrement disposer dans le cadre ordinaire de l’exécution de leur peine. Grâce à la souplesse du dispositif – particulièrement en ce qui concerne le début, la fin et le calcul des mois de cotisation –, qui lui permet de continuer à cotiser à la sécurité sociale (voir l’article 17 §§ 7 et 8), un détenu peut également acquérir des mois de cotisation supplémentaires pour combler les trous dans sa période d’assurance et/ou pour obtenir des prestations de pension plus élevées. Il y a lieu de ne pas perdre de vue à cet égard le fait que si l’on devait considérer qu’un détenu est couvert par l’assurance invalidité et l’assurance retraite pour les prestations de travail accomplies par lui dans le cadre de l’exécution de sa peine, des cotisations devraient être acquittées pour les périodes en question. A la différence du régime prévu par l’article 506a, en vertu duquel l’Etat fédéral doit verser les cotisations correspondant aux périodes de cotisation en question (cette obligation faisant partie intégrante du régime d’indemnisation en matière pénale) à l’organisme d’assurance compétent, une cotisation de l’Etat ne serait pas raisonnable dans le cas présent (…) Il ne serait pas raisonnable en pareil cas d’attendre de la communauté des personnes assurées qu’elle accepte que des périodes pour lesquelles aucune cotisation n’a été versée donnent droit à des prestations de pension ; les détenus auraient à verser pareilles cotisations, de sorte que la situation ne serait pas substantiellement différente de celle qui caractérise l’assurance sur une base volontaire. En conséquence, si le législateur a décidé que les prestations de travail accomplies dans le contexte de l’obligation de travailler qui pèse sur les détenus ne peuvent en principe emporter comptabilisation de périodes de cotisation obligatoire ou de périodes de substitution et si, à la lumière de ce principe, le législateur n’a prévu que les exceptions précitées, cette décision est fondée sur des considérations objectives.
En conséquence, la Cour suprême n’a aucun doute quant à la constitutionnalité des dispositions légales applicables en l’espèce. »
27. Dans un arrêt du 16 mars 1999 (10 ObS 52/99s), la Cour suprême confirma sa décision antérieure.
28. Aux fins du calcul des droits à une pension de retraite, les périodes passées en prison ne sont prises en considération que dans des circonstances bien définies dans la loi sur le régime général de la sécurité sociale. Par exemple, les périodes d’incarcération qui ont donné lieu au versement d’une indemnité au titre de la loi sur les indemnisations en matière pénale (Strafrechtliches Entschädigungsgesetz) sont comptées comme des périodes de substitution.
B. La loi sur l’assurance chômage et la pratique pertinente
29. Les salariés sont également affiliés au régime de l’assurance chômage. Des cotisations obligatoires sont à verser en partie par l’employeur et en partie par le salarié.
30. Depuis la modification apportée à la loi sur l’assurance chômage en 1993, les détenus exerçant un travail conformément à l’article 44 § 1 de la loi sur l’exécution des peines sont affiliés au régime de l’assurance chômage en vertu de l’article 66a de la loi sur l’assurance chômage. La quote-part salariale des cotisations est à prélever sur la rémunération du détenu, pour autant que celle-ci excède le seuil de revenus marginal, la quote-part patronale devant être versée par l’Etat au travers du ministère de la Justice. La modification en question est entrée en vigueur le 1er janvier 1994.
31. En ce qui concerne la modification de la loi, qui s’inscrivait dans une réforme plus large du système de l’exécution des peines, la commission de la justice (Justizausschuß) du Parlement considéra que l’affiliation au régime de l’assurance chômage des détenus exerçant un travail constituait une première étape vers la pleine intégration des intéressés dans le système de la sécurité sociale. Elle souligna que l’affiliation au régime de l’assurance chômage des détenus exerçant un travail constituait un aspect important de l’amélioration des chances de réinsertion des intéressés dans la société et de la limitation des risques de récidive (voir la page 1253 des annexes aux comptes rendus sténographiques du Conseil national (Beilagen zu den Stenographischen Protokollen des Nationalrates), XVIII.GP).
32. Parmi les prestations prévues par la loi sur l’assurance chômage figurent l’accès à des cours de formation, des aides à la recherche d’un emploi et le versement d’indemnités de chômage (qui sont en partie fonction de la rémunération antérieure) pendant une certaine période. A l’expiration des indemnités de chômage, la personne assurée a droit au versement d’une allocation de nécessité qui vise à lui assurer un minimum de subsistance. Lorsque le bénéficiaire de l’allocation de nécessité atteint l’âge légal de la retraite, l’allocation continue de lui être versée s’il n’a pas droit à une retraite.
33. A l’audience, le Gouvernement a fourni les informations suivantes sur la proportion de détenus qui exercent un travail et ont donc droit à des allocations de chômage après leur libération :
– sur les 12 460 personnes qui se trouvaient détenues en 2009, 8 903 (environ 71 %) exerçaient un travail et étaient ainsi couvertes par l’assurance chômage. 2 490 seulement de ces détenus gagnaient plus que le seuil légal emportant obligation de verser des cotisations ; les autres n’étaient pas soumis à l’obligation de cotiser ;
– sur les 9 477 personnes qui se trouvaient détenues entre le 1er janvier et le 30 juin 2010, 6 791 (environ 71 %) exerçaient un travail et étaient donc couvertes par l’assurance chômage. 1 879 seulement de ces détenus versaient effectivement des cotisations, leur rémunération dépassant le seuil légal emportant obligation de cotiser, les autres n’étaient pas astreints à verser des cotisations ;
– entre le 1er janvier 2009 et le 30 juin 2010, on dénombrait 2 086 personnes en mesure de solliciter le bénéfice de prestations de chômage au motif qu’elles avaient été affiliées au régime de l’assurance chômage pendant leur incarcération ; 1 898 d’entre elles sollicitèrent le bénéfice d’allocations chômage à leur libération et se virent octroyer en moyenne une allocation de 21,09 EUR par jour (la moyenne générale se situant à 26,90 EUR par jour).
C. Assistance sociale
34. La sécurité sociale est complétée par un régime d’assistance sociale fondé sur des conditions de ressources. Il s’agit de fournir aux personnes qui ne disposent pas des moyens nécessaires (ressources personnelles ou droit à des prestations de pension ou de chômage), un revenu minimum pour leur permettre de subvenir à leurs besoins de base.
35. Le 1er septembre 2010, un nouveau système, celui de l’allocation minimum sous conditions de ressources ((bedarfsorientierte Mindestsicherung), est entré en vigueur, qui a remplacé le régime de l’assistance sociale. Il garantit un revenu minimum à toutes les personnes qui sont désireuses et capables de travailler ou qui sont âgées de plus de soixante-cinq ans et ne disposent pas d’autres moyens de subsistance. Le montant en est aligné sur celui de la pension minimum.
D. La loi sur l’exécution des peines et la pratique pertinente
36. En vertu de l’article 44 § 1 de la loi sur l’exécution des peines (Strafvollzugsgesetz), tout détenu qui est apte à travailler est tenu d’effectuer tout travail qui lui est assigné.
37. L’article 45 § 1 de la loi oblige les autorités pénitentiaires à fournir à chaque détenu un travail utile. L’article 45 § 2 traite des différentes formes de travail pouvant être assignées aux prisonniers. Ceux-ci peuvent ainsi être astreints à effectuer des tâches au sein de la prison, à travailler pour des autorités publiques, pour des œuvres caritatives ou pour des employeurs privés.
38. L’article 46 § 3 précise que les autorités pénitentaires peuvent conclure des contrats avec des entreprises privées relativement au travail des détenus.
39. En vertu de l’article 51, c’est l’Etat fédéral (der Bund) qui perçoit le produit du travail des prisonniers.
40. Les prisonniers qui accomplissent leur travail de manière satisfaisante ont droit à une rémunération. Les montants horaires de la rémunération en question, qui est fonction du type de travail accompli, sont fixés à l’article 52 § 1. Aux taux actuels, ils se présentent comme suit :
– pour des travaux de manœuvre légers EUR 5,00
– pour des travaux de manœuvre lourds EUR 5,63
– pour du travail artisanal EUR 6,26
– pour du travail spécialisé EUR 6,88
– pour du travail d’agent de maîtrise EUR 7,50
41. Les autorités pénitentiaires doivent assurer la subsistance des détenus (article 31).
42. En vertu de l’article 32, les prisonniers doivent, sauf exception, contribuer aux frais afférents à l’exécution de leur peine. Si le prisonnier travaille, la contribution s’élève à 75 % de sa rémunération. Cette contribution est automatiquement déduite de la somme due au prisonnier.
43. De surcroît, la quote-part salariale de la cotisation à l’assurance chômage est à déduire de la rémunération du prisonnier. Le restant de la rémunération est utilisée de la manière suivante : la moitié en est remise au détenu à titre « d’argent de poche », l’autre moitié est versée sur un compte épargne qui est liquidé le jour de la libération de l’intéressé (article 54 de la loi).
44. En vertu des articles 66 et suivants et 76 et suivants de la loi sur l’exécution des peines, c’est aux autorités pénitentiaires de veiller à ce que les détenus bénéficient des soins de santé et des traitements médicaux dont ils peuvent avoir besoin, notamment en cas d’accident. En substance, le droit à des soins de santé et à des traitements en pareil cas correspond au droit prévu par la loi sur le régime général de la sécurité sociale.
45. Si un détenu refuse d’exercer le travail qui lui est assigné, il se rend coupable d’une infraction réprimée par l’article 107 § 1, alinéa 7, de la loi sur l’exécution des peines. Les sanctions qui s’attachent à pareille infraction en vertu de l’article 109 de la même loi vont du simple avertissement à l’isolement cellulaire, en passant par la réduction ou le retrait de certains droits (par exemple le droit d’utiliser « l’argent de poche », de regarder la télévision ou d’envoyer et de recevoir du courrier ou de recevoir des appels téléphoniques) et une amende.
46. D’après les informations fournies par le Gouvernement, la proportion des détenus qui travaillent est aujourd’hui de 70 % en Autriche. Compte tenu des exigences de la routine carcérale, la durée moyenne d’une journée de travail en prison se situe entre six heures et six heures et demie. Le temps passé par un prisonnier à suivre un traitement thérapeutique ou social est toutefois considéré et rémunéré comme du temps de travail, jusqu’à un maximum de cinq heures par semaine.
III. TEXTES INTERNATIONAUX PERTINENTS
A. Instruments des Nations unies
1. La Convention sur le travail forcé (no 29) de l’Organisation Internationale du Travail
47. La Convention sur le travail forcé (no 29) a été adoptée par la Conférence générale de l’Organisation Internationale du Travail (OIT) le 28 juin 1930 ; elle est entrée en vigueur le 1er mai 1932. La partie pertinente en l’espèce de son article 2 est libellée comme suit :
« 1. Aux fins de la présente Convention, le terme travail forcé ou obligatoire désignera tout travail ou service exigé d’un individu sous la menace d’une peine quelconque et pour lequel ledit individu ne s’est pas offert de plein gré.
2. Toutefois, le terme travail forcé ou obligatoire ne comprend pas, aux fins de la présente Convention :
(…)
c. tout travail ou service exigé d’un individu comme conséquence d’une condamnation prononcée par une décision judiciaire, à la condition que ce travail ou service soit exécuté sous la surveillance et le contrôle des autorités publiques et que ledit individu ne soit pas concédé ou mis à la disposition de particuliers, compagnies ou personnes morales ou privées ».
Lors de sa 96e session, tenue en 2007, la Conférence internationale du travail (la réunion annuelle des Etats membres de l’OIT) a procédé à une étude d’ensemble relative à la Convention (no 29) sur le travail forcé, basée sur un rapport de la Commission d’experts pour l’application des Conventions et Recommandations (« la Commission »).
Le rapport traitait notamment de l’emploi de la main-d’œuvre pénitentiaire par le secteur privé. Relevant que le travail pénitentiaire pour le compte d’employeurs privés était interdit par l’article 2 § 2 c) de la Convention no 29, la Commission précisait qu’il pouvait y avoir des situations dans lesquelles, nonobstant leur état de captivité, les prisonniers pouvaient être réputés s’être offerts de plein gré et sans être menacés d’une peine quelconque pour effectuer un travail pour le compte d’un employeur privé. Elle ajoutait qu’à cet égard, hormis le consentement écrit formel du prisonnier, des conditions proches d’une relation de travail libre (en termes de niveau de rémunération, de sécurité sociale et de conditions de sécurité et d’hygiène) constituaient l’indicateur le plus fiable du caractère volontaire du travail. Dès lors que pareilles conditions étaient remplies, le travail pénitentiaire effectué pour le compte d’entreprises privées devait, selon elle, être considéré comme ne relevant pas de la définition du travail forcé figurant à l’article 2 § 1 de la Convention no 29 et comme échappant en conséquence au champ d’application de ce texte (paragraphes 59–60 et 114-116 du rapport).
2. Le Pacte international relatif aux droits civils et politiques
48. Le Pacte international relatif aux droits civils et politiques a été adopté par l’Assemblée générale des Nations unies le 16 décembre 1966 (Résolution 2200A (XXI)) et est entré en vigueur le 23 mars 1976. La partie pertinente en l’espèce de son article 8 est ainsi libellée :
« 3. a) Nul ne sera astreint à accomplir un travail forcé ou obligatoire ;
b) L’alinéa a) du présent paragraphe ne saurait être interprété comme interdisant, dans les pays où certains crimes peuvent être punis de détention accompagnée de travaux forcés, l’accomplissement d’une peine de travaux forcés, infligée par un tribunal compétent ;
c) N’est pas considéré comme « travail forcé ou obligatoire » au sens du présent paragraphe :
i. tout travail ou service, non visé à l’alinéa b), normalement requis d’un individu qui est détenu en vertu d’une décision de justice régulière ou qui, ayant fait l’objet d’une telle décision, est libéré conditionnellement ;
(…)
B. Textes du Conseil de l’Europe
1. Les Règles pénitentiaires européennes
49. Les Règles pénitentiaires européennes sont des recommandations du Comité des Ministres aux Etats membres du Conseil de l’Europe quant aux normes minimum à appliquer dans les prisons. Les Etats sont encouragés à s’inspirer de ces règles dans l’élaboration de leurs législations et de leurs politiques et à en assurer une large diffusion auprès de leurs autorités judiciaires ainsi qu’auprès du personnel pénitentiaire et des détenus.
a) Les Règles pénitentiaires européennes de 1987
50. Les Règles pénitentiaires européennes de 1987 (Recommandation no R (87) 3 – « les Règles de 1987 ») furent adoptées par le Comité des Ministres du Conseil de l’Europe le 12 février 1987.
51. En leur Première partie, elles contenaient un certain nombre de principes fondamentaux, dont les suivants :
« 1. La privation de liberté doit avoir lieu dans des conditions matérielles et morales qui assurent le respect de la dignité humaine en conformité avec les présentes règles.
(…)
3. Les buts du traitement des détenus doivent être de préserver leur santé et de sauvegarder leur dignité et, dans la mesure où la durée de la peine le permet, de développer leur sens des responsabilités et de les doter de compétences qui les aideront à se réintégrer dans la société, à vivre dans la légalité et à subvenir à leurs propres besoins après leur sortie de prison.
(…) »
52. Dans leur Quatrième partie, consacrée aux objectifs du traitement et aux régimes, elles contenaient les règles suivantes :
« 64. L’emprisonnement de par la privation de liberté est une punition en tant que telle. Les conditions de détention et les régimes pénitentiaires ne doivent donc pas aggraver la souffrance ainsi causée, sauf si la ségrégation ou le maintien de la discipline le justifient.
65. Tous les efforts doivent être entrepris pour s’assurer que les régimes des établissements soient établis et gérés de manière à :
a) assurer les conditions de vie compatibles avec la dignité humaine et avec les normes acceptables par la collectivité ;
b) réduire au minimum les effets préjudiciables de la détention et les différences entre la vie carcérale et la vie en liberté, afin que les détenus ne perdent pas le respect de soi ou le sens de leur responsabilité personnelle ;
(…) »
53. Egalement dans leur Quatrième partie, sous le titre « Travail », elles contenaient les règles suivantes :
« 71.1. Le travail en prison doit être considéré comme un élément positif du traitement, de la formation et de la gestion de l’établissement.
2. Les détenus condamnés peuvent être soumis à l’obligation du travail, compte tenu de leur aptitude physique et mentale telle qu’elle a été déterminée par le médecin.
3. Un travail suffisant ou, le cas échéant, d’autres activités utiles, doivent être proposés aux détenus pour qu’ils soient occupés pendant la durée normale d’une journée de travail.
4. Ce travail doit être, dans la mesure du possible, de nature à entretenir ou à augmenter la capacité du détenu à gagner normalement sa vie après sa sortie de prison.
(…)
72. L’organisation et les méthodes de travail dans les établissements doivent se rapprocher autant que possible de celles qui régissent un travail analogue dans la communauté, afin de préparer les détenus aux conditions normales du travail libre.
(…)
74.1. La sécurité et l’hygiène doivent être assurées dans des conditions semblables à celles dont bénéficient les travailleurs libres.
2. Des dispositions doivent être prises pour indemniser les détenus victimes d’accidents du travail et de maladies professionnelles dans des conditions égales à celles prévues par la loi dans le cas de travailleurs libres.
(…)
76.1. Le travail des détenus doit être rémunéré d’une façon équitable. »
b) Les Règles pénitentiaires européennes de 2006
54. Le 11 janvier 2006, le Comité des Ministres du Conseil de l’Europe a adopté une nouvelle version des Règles pénitentiaires européennes (Recommandation REC(2006)2 – « les Règles de 2006 »), relevant que les Règles de 1987 devaient être révisées et mises à jour de façon approfondie pour pouvoir refléter les développements survenus dans le domaine de la politique pénale, les pratiques de condamnation ainsi que de gestion des prisons en général en Europe.
55. Dans leur Partie I, les Règles de 2006 consacrent notamment les principes fondamentaux suivants :
« 2. Les personnes privées de liberté conservent tous les droits qui ne leur ont pas été retirés selon la loi par la décision les condamnant à une peine d’emprisonnement ou les plaçant en détention provisoire.
3. Les restrictions imposées aux personnes privées de liberté doivent être réduites au strict nécessaire et doivent être proportionnelles aux objectifs légitimes pour lesquels elles ont été imposées.
(…)
5. La vie en prison est alignée aussi étroitement que possible sur les aspects positifs de la vie à l’extérieur de la prison.
6. Chaque détention est gérée de manière à faciliter la réintégration dans la société libre des personnes privées de liberté. »
Dans son commentaire relatif aux Règles de 2006, le Comité européen pour les problèmes criminels (CDPC) notait que la règle 2 soulignait que la perte du droit à la liberté ne devait pas être comprise comme impliquant automatiquement le retrait aux détenus de leurs droits politiques, civils, sociaux, économiques et culturels, mais que les restrictions devaient être aussi peu nombreuses que possible. Il indiquait au sujet de la règle 5 qu’elle soulignait les aspects positifs de la normalisation, ajoutant que si la vie en prison ne pouvait être identique à la vie dans une société libre il y avait lieu d’intervenir activement pour rapprocher le plus possible les conditions de vie en prison de la vie normale. Il relevait par ailleurs que la règle 6 « reconna[issait] que les détenus, condamnés ou non, retourner[aient] un jour vivre dans la société libre et que la vie en prison [devait] être organisée de façon à tenir compte de ce fait ».
56. La règle 26 des Règles de 2006, qui figure sous la partie II (« Conditions de détention »), traite des différents aspects du travail en prison. Dans sa partie pertinente pour la présente espèce, elle est ainsi libellée :
« 26.1. Le travail en prison doit être considéré comme un élément positif du régime carcéral et en aucun cas être imposé comme une punition.
26.2. Les autorités pénitentiaires doivent s’efforcer de procurer un travail suffisant et utile.
26.3. Ce travail doit permettre, dans la mesure du possible, d’entretenir ou d’augmenter la capacité du détenu à gagner sa vie après sa sortie de prison.
(…)
26.7. L’organisation et les méthodes de travail dans les prisons doivent se rapprocher autant que possible de celles régissant un travail analogue hors de la prison, afin de préparer les détenus aux conditions de la vie professionnelle normale.
(…)
26.9. Le travail des détenus doit être procuré par les autorités pénitentiaires, avec ou sans le concours d’entrepreneurs privés, à l’intérieur ou à l’extérieur de la prison.
26.10. En tout état de cause, le travail des détenus doit être rémunéré de façon équitable.
(…)
26.13. Les mesures appliquées en matière de santé et de sécurité doivent assurer une protection efficace des détenus et ne peuvent pas être moins rigoureuses que celles dont bénéficient les travailleurs hors de prison.
26.14. Des dispositions doivent être prises pour indemniser les détenus victimes d’accidents du travail et de maladies professionnelles dans des conditions non moins favorables que celles prévues par le droit interne pour les travailleurs hors de prison.
(…)
26.17. Les détenus exerçant un travail doivent, dans la mesure du possible, être affiliés au régime national de sécurité sociale. »
Le commentaire relatif à la règle 26 souligne le principe de normalisation du travail en prison en énonçant que les mesures appliquées en matière d’hygiène et de sécurité, les heures de travail et « même l’affiliation aux systèmes nationaux de sécurité sociale » doivent être alignées sur celles dont bénéficient les salariés à l’extérieur de la prison. Par contraste, les Règles de 1987, si elles parlaient de normalisation du travail en prison, demeuraient silencieuses sur la question de l’intégration des détenus dans les systèmes nationaux de sécurité sociale.
57. La partie VII des Règles de 2006 (« Détenus condamnés ») comporte d’autres règles concernant l’objectif poursuivi par le régime des détenus condamnés :
« 102.1. Au-delà des règles applicables à l’ensemble des détenus, le régime des détenus condamnés doit être conçu pour leur permettre de mener une vie responsable et exempte de crime.
102.2. La privation de liberté constituant une punition en soi, le régime des détenus condamnés ne doit pas aggraver les souffrances inhérentes à l’emprisonnement. »
58. Ladite partie VII traite également du travail considéré comme l’un des aspects du régime des détenus condamnés. Dans sa partie pertinente en l’espèce, la règle 105 est ainsi libellée :
« 105.2. Les détenus condamnés n’ayant pas atteint l’âge normal de la retraite peuvent être soumis à l’obligation de travailler, compte tenu de leur aptitude physique et mentale telle qu’elle a été déterminée par le médecin.
105.3. Lorsque des détenus condamnés sont soumis à une obligation de travailler, les conditions de travail doivent être conformes aux normes et aux contrôles appliqués à l’extérieur. »
2. La Charte sociale européenne
59. La Charte sociale européenne, convention adoptée sous l’égide du Conseil de l’Europe en 1961 et révisée en 1996, est également pertinente en l’espèce. Son article 1, qui traite du droit au travail, dispose :
« En vue d’assurer l’exercice effectif du droit au travail, les parties s’engagent :
1. à reconnaître comme l’un de leurs principaux objectifs et responsabilités la réalisation et le maintien du niveau le plus élevé et le plus stable possible de l’emploi en vue de la réalisation du plein emploi ;
2. à protéger de façon efficace le droit pour le travailleur de gagner sa vie par un travail librement entrepris ;
(…) »
Le Comité européen des droits sociaux, qui est l’organe responsable du contrôle de l’observation par les Etats parties de la Charte sociale européenne, a interprété l’article 1 § 2 de celle-ci comme signifiant que le travail en prison doit être strictement encadré en termes de rémunération, d’heures de travail et de sécurité sociale, spécialement si les détenus travaillent pour des entreprises privées. Les détenus ne peuvent être employés par des entreprises privées que s’ils y consentent et dans des conditions aussi proches que possible de celles qui sont normalement applicables dans le cadre de contrats de travail de droit privé (Digest de jurisprudence du Comité européen des droits sociaux, 1er septembre 2008, p. 23).
C. Droit comparé européen
60. Il ressort des informations dont la Cour dispose, et notamment d’une étude de droit comparé portant sur les législations nationales de 40 des 47 Etats membres du Conseil de l’Europe, que :
– dans vingt-cinq Etats membres, les détenus sont, à tout le moins dans certaines circonstances, obligés de travailler (Azerbaïdjan, République tchèque, Estonie, Finlande, Géorgie, Allemagne, Hongrie, Irlande, Italie, Lettonie, Lituanie, Luxembourg, Malte, Pays-Bas, Norvège, Pologne, Monténégro, Russie, Slovaquie, Espagne, Suède, Suisse, Turquie, Ukraine et Royaume-Uni) ;
– dans vingt-deux Etats membres, les détenus ont accès au régime des pensions de retraite (Albanie, Andorre, Azerbaïdjan, Croatie, Chypre, République tchèque, Finlande, France, Irlande, Italie, Lettonie, Lituanie, Macédoine, Norvège, Portugal, Russie, Slovaquie, Slovénie, Suisse, Turquie, Ukraine et Royaume-Uni). Dans certains de ces Etats, les détenus ne sont pas automatiquement couverts (au moyen de retenues obligatoires sur leur rémunération ou de prélèvements fiscaux) mais ont seulement la possibilité de verser eux-mêmes des cotisations sur une base volontaire ;
– dans onze Etats membres, les détenus ne sont pas affiliés à un régime de pension de retraite (Belgique, Bosnie-Herzégovine, Bulgarie, Estonie, Géorgie, Grèce, Hongrie, Malte, Monténégro, Pays-Bas, Roumanie et Serbie) ;
– dans un troisième groupe d’Etats membres, l’affiliation au système de la sécurité sociale (y compris les pensions de retraite) varie en fonction du type de travail exercé et, surtout, des points de savoir s’il s’agit d’un travail effectué pour le compte d’employeurs extérieurs à la prison et s’il est rémunéré. Tel est le cas en Allemagne, au Luxembourg, en Pologne, en Espagne et en Suède. Au Danemark, le droit à une pension de retraite est sans rapport avec le travail effectué auparavant et avec le versement ou non de cotisations. Toutes les personnes ayant atteint l’âge légal de la retraite ont droit à une pension de base ;
– une majorité absolue (trente-sept) des Etats membres offrent à l’ensemble des détenus, ou parfois seulement à certains d’entre eux, un accès à la protection sociale, soit en les affiliant au régime général de la sécurité sociale ou à certaines de ses composantes, soit en les faisant bénéficier d’un type spécifique d’assurance ou d’une autre protection.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 14 DE LA CONVENTION COMBINÉ AVEC L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
61. Le requérant plaide le caractère discriminatoire de l’exemption des détenus exerçant un travail de l’affiliation au régime des pensions de retraite. Il invoque en substance l’article 14 de la Convention, combiné avec l’article 1 du Protocole no 1.
62. L’article 14 de la Convention est ainsi libellé :
« La jouissance des droits et libertés reconnus dans la (…) Convention doit être assurée, sans distinction aucune, fondée notamment sur le sexe, la race, la couleur, la langue, la religion, les opinions politiques ou toutes autres opinions, l’origine nationale ou sociale, l’appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance ou toute autre situation. »
63. L’article 1 du Protocole no 1 dispose :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Thèses des parties
1. Le requérant
64. Le requérant se prévaut du principe selon lequel la privation de liberté constitue une punition en soi, les mesures concernant un détenu ne devant pas aggraver la souffrance inhérente à l’emprisonnement. Il soutient que l’exclusion des détenus exerçant un travail de l’affiliation au régime des pensions de retraite est une mesure qui emporte des effets à long terme qui perdurent après la sortie de prison et qui est donc contraire à ce principe.
65. Il estime de surcroît que les détenus qui travaillent se trouvent dans la même situation que les autres salariés relativement à la nécessité d’assurer leur subsistance à leurs vieux jours au travers d’une assurance sociale. Selon lui, l’interprétation de l’article 4 § 2 de la loi sur le régime général de la sécurité sociale donnée par les tribunaux internes et en vertu de laquelle une distinction devrait être établie entre le travail exercé volontairement sur la base d’un contrat de travail régulier et le travail accompli par les détenus en exécution de leur obligation légale de travailler ne justifie pas de manière convaincante l’exclusion des détenus exerçant un travail de l’affiliation au régime des pensions de retraite.
66. Le requérant considère que les deux situations ne sont pas fondamentalement différentes. En réalité, la grande majorité des personnes en liberté seraient elles aussi obligées de travailler, non pas par l’effet de la loi, mais par la nécessité d’assurer leur subsistance. Le travail, qu’il soit accompli en prison ou en liberté, poursuivrait toujours un éventail de buts divers et variés dépassant l’aspect financier. En somme, l’exclusion des détenus exerçant un travail de l’affiliation au régime des pensions de retraite ne se fonderait pas sur une quelconque différence factuelle et demanderait dès lors à être justifiée.
67. Or pareille justification ferait défaut. Premièrement, l’exclusion des détenus exerçant un travail de l’affiliation au régime des pensions de retraite ne poursuivrait aucun but légitime. Pour autant que le Gouvernement invoque la situation financière difficile du système de la sécurité sociale, le requérant ajoute que des considérations d’ordre budgétaire ne peuvent suffire à justifier l’exclusion d’un groupe vulnérable de la protection sociale.
68. Deuxièmement, le Gouvernement n’aurait pas démontré l’existence de motifs objectifs et raisonnables propres à justifier la différence de traitement litigieuse. En particulier, le requérant conteste l’argument consistant à dire que les détenus exerçant un travail ne sont pas en mesure de verser des cotisations suffisamment importantes et que la prise en compte comme périodes d’assurance des périodes de travail accomplies en prison reviendrait à accorder aux détenus un privilège injustifié comparé aux salariés ordinaires, qui seraient astreints à verser des cotisations sociales au taux plein. Dès lors qu’en vertu de l’article 51 de la loi sur l’exécution des peines l’Etat percevrait le produit du travail des prisonniers, on pourrait raisonnablement attendre de lui qu’il verse des cotisations à la sécurité sociale. Quant à l’argument du Gouvernement relatif au point de savoir si les périodes de travail accomplies en prison pourraient légitimement être considérées comme des périodes de substitution, il serait dès lors dépourvu de pertinence.
69. En ce qui concerne la possibilité pour les détenus de verser des cotisations volontaires au régime des pensions de retraite, en vertu de l’article 17 de la loi sur le régime général de la sécurité sociale, le requérant soutient que de nombreux détenus ne sont pas en mesure de satisfaire à la condition de justifier d’un nombre suffisant de mois d’assurance au cours des périodes antérieures. De surcroît, le coût de l’assurance volontaire excéderait en général les ressources financières limitées des détenus, 75 % de leur modeste rémunération étant utilisés, en vertu de l’article 32 de la loi sur l’exécution des peines, comme contribution aux frais de leur entretien.
2. Le Gouvernement
70. Le Gouvernement soutient principalement que la non-affiliation des détenus exerçant un travail au régime des pensions de retraite n’est pas discriminatoire au sens de l’article 14 de la Convention, les détenus exerçant un travail n’étant pas, selon lui, dans une situation analogue à celle des salariés ordinaires.
71. Le Gouvernement donne une description détaillée de l’organisation du travail pénitentiaire en Autriche, soulignant que le travail en prison vise essentiellement à favoriser la réinsertion et la resocialisation des intéressés. Il relève que les normes pertinentes du Conseil de l’Europe ainsi que le dernier rapport du Comité européen pour la prévention de la torture et des peines et traitements inhumains ou dégradants (CPT) relatif à l’Autriche reconnaissent que le travail est important pour les détenus dans la mesure où il leur offre une possibilité de préserver ou d’améliorer leurs qualifications professionnelles en leur permettant d’exercer une activité utile et en leur imposant une routine quotidienne structurée, de façon à rendre leur incarcération plus supportable et à les préparer à assumer un emploi normal une fois libérés.
72. L’article 44 § 1 de la loi sur l’exécution des peines obligerait les détenus à travailler, et l’article 45 § 1 de ladite loi obligerait les autorités pénitentiaires à fournir aux détenus un travail correct. Compte tenu des conditions spécifiques au milieu carcéral, les détenus travailleraient en moyenne cinq à six heures par jour. Alors que cela ne serait prévu par aucune disposition de la Convention, ils percevraient une rémunération. Les montants en seraient fixés par la loi et varieraient de 5 EUR à 7,50 EUR de l’heure, en fonction du type de travail effectué. Les périodes passées par les détenus à suivre un traitement thérapeutique ou social seraient considérées comme des heures de travail, dans la limite de cinq heures par semaine. Il s’agirait là clairement d’une forme de traitement axée sur le bien des intéressés, qui indiquerait que le travail en prison vise à la resocialisation des détenus. Quant au fait qu’une partie de la rémunération des intéressés serait utilisée comme contribution aux frais de leur entretien, il ne révèlerait aucune violation de la Convention.
73. En résumé, eu égard à sa nature et aux buts poursuivis par lui, le travail en prison différerait considérablement d’une activité salariée ordinaire. Le travail en prison, qui correspondrait à une obligation légale, viserait à la resocialisation et à la réinsertion des détenus, tandis que le travail salarié ordinaire serait basé sur un contrat de travail et tendrait à assurer la subsistance du salarié et son épanouissement professionnel. En conséquence, traiter différemment aux fins de l’assurance retraite les périodes de travail accomplies en prison serait non seulement justifié mais requis par les différences de fait entre les situations considérées. Compter comme périodes d’assurance des périodes pour lesquelles des cotisations n’auraient pas été versées conférerait aux détenus exerçant un travail un avantage injustifié par rapport aux salariés ordinaires.
74. La décision du législateur de ne pas compter comme périodes d’assurance ou comme périodes de substitution les périodes de travail accomplies par un détenu serait de même basée sur des raisons objectives. En vertu des dispositions pertinentes de la loi sur le régime général de la sécurité sociale, les périodes d’incarcération seraient notamment traitées comme des périodes d’assurance dans les cas où la personne intéressée aurait obtenu, en vertu de la loi sur les indemnisations en matière pénale, une indemnité pour son incarcération. Dans de tels cas, l’Etat serait tenu de verser les cotisations à la sécurité sociale afin de dédommager la personne concernée des désavantages au regard de la législation en matière de sécurité sociale subis par elle du fait de sa détention. Traiter de la même façon les personnes incarcérées à juste titre s’analyserait en un traitement égal de faits inégaux. Traiter les périodes d’incarcération comme des périodes de substitution en l’absence de versements de cotisations créerait également des déséquilibres dans le système de la sécurité sociale. D’une manière générale, le législateur aurait considéré que les périodes de substitution doivent correspondre à des périodes où les intéressés ont été empêchés de payer des cotisations pour des motifs socialement acceptables, par exemple en cas de formation scolaire, de naissance d’un enfant, de chômage, de maladie, de service militaire ou de service civil.
75. De surcroît, les détenus auraient la faculté, en vertu de l’article 17 de la loi sur le régime général de la sécurité sociale, de verser des cotisations volontaires au régime des pensions de retraite. La loi prévoirait également la possibilité d’un abaissement du montant censé être versé à titre de cotisation. Le Gouvernement précise toutefois que, pour des raisons tenant à la protection des données, il ne peut fournir d’éléments statistiques quant au nombre et au pourcentage des détenus qui font usage de cette possibilité.
76. A titre subsidiaire, le Gouvernement soutient qu’à supposer même que les détenus exerçant un travail soient dans une situation analogue à celle des salariés ordinaires, la différence de traitement litigieuse est justifiée. En pratique, même si les détenus n’étaient pas exclus de l’affiliation au régime des pensions de retraite, ils ne seraient pas en mesure de verser des cotisations significatives car très souvent leur rémunération après déduction de la contribution aux frais de leur entretien n’atteindrait pas le seuil de 366,33 EUR en deçà duquel les salariés ne sont en tout état de cause pas couverts par l’assurance obligatoire prévue par la loi sur le régime général de la sécurité sociale. Compte tenu de la situation financière tendue des organismes de sécurité sociale, seules les personnes en mesure de verser des cotisations significatives pourraient être intégrées au régime des pensions de retraite.
77. De surcroît, les Etats contractants jouiraient d’une ample marge d’appréciation pour organiser leurs systèmes de sécurité sociale. Les Règles pénitentiaires européennes de 2006 recommanderaient du reste seulement que « les détenus exerçant un travail [soient], dans la mesure du possible (…) affiliés au régime national de sécurité sociale ».
78. Le Gouvernement explique que depuis la modification apportée à la loi sur l’assurance chômage en 1993, les détenus exerçant un travail sont affiliés au régime de l’assurance chômage. La modification en question, qui se serait inscrite dans une réforme plus large du système d’exécution des peines, aurait été précédée de plusieurs années de discussions intensives. La décision d’intégrer les détenus au régime de l’assurance chômage mais non à celui des pensions de retraite aurait été motivée par la considération que l’assurance chômage, qui engloberait non seulement des prestations financières mais également l’accès à des cours de formation et à des services de recherche d’emploi, était l’instrument le plus efficace pour favoriser la réinsertion des détenus après leur libération. La mesure aurait été considérée comme une première étape vers l’intégration des détenus dans le système de la sécurité sociale au sens large. Dès lors toutefois que l’assurance prévue par la loi sur le régime général de la sécurité sociale recouvrirait l’assurance santé et accidents plus une affiliation au régime des pensions de retraite et que dans le cas des détenus les soins de santé en cas de maladie ou d’accident seraient fournis par les autorités pénitentiaires en vertu de la loi sur l’exécution des peines, l’affiliation des détenus au régime des pensions de retraite aurait nécessité des amendements plus complexes. De surcroît, sur la base d’études menées à l’époque, cette affiliation aurait été considérée comme le facteur le plus coûteux.
79. Le Gouvernement fait par ailleurs observer que les affaires, telles que celle de l’espèce, qui concernent de très longues peines d’emprisonnement sont extrêmement rares. La majorité des détenus seraient en mesure d’accumuler un nombre suffisant de mois d’assurance sur la base des périodes de travail effectuées en liberté. En l’espèce, le requérant aurait perçu des allocations de chômage, et depuis l’expiration de celles-ci il percevrait une allocation de nécessité.
80. Enfin, la décision du législateur autrichien de ne pas affilier les détenus au régime des pensions de retraite prévu par la loi sur le régime général de la sécurité sociale ne signifierait pas que les intéressés ne bénéficient d’aucune couverture sociale. Premièrement, ainsi qu’il a été exposé ci-dessus, ils seraient couverts par le régime de l’assurance chômage. En conséquence, ils percevraient des allocations de chômage et, à l’expiration de celles-ci, une allocation de nécessité. En dernier ressort, le système de sécurité sociale prévoirait un régime de revenu minimum sous conditions de ressources pour les personnes incapables d’assurer autrement leurs besoins de base. En somme, le système juridique autrichien fournirait une solution différenciée et bien équilibrée prenant en compte les intérêts de la société au sens large, d’une part, et les intérêts des détenus, d’autre part.
B. La position de la Cour
1. Sur l’applicabilité de l’article 14 combiné a

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

Se l'espropriato ha già un Professionista di sua fiducia, può comunicagli che sul nostro sito trova strumenti utili per il suo lavoro.
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 - Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.

  • La consulenza iniziale, con esame di atti e consigli, è sempre gratuita
    - Per richiederla cliccate qui: Colloquio telefonico gratuito
  • Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
    - Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
    - Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI

Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 14/09/2024