SECONDA SEZIONE
CAUSA STOLDER C. ITALIA
( Richiesta 24418/03)
SENTENZA
STRASBURGO
1 dicembre 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Stolder c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, Kristina Pardalos, giudici,
e di Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 10 novembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta, nostri 24418/03, diretta contro la Repubblica italiana e di cui un cittadino di questo Stato, il Sig. R. S. (“il richiedente”) ha investito la Corte il 20 giugno 2003, in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da C. D., avvocato a Parma.
Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo vecchio coagente, il Sig. F. Crisafulli.
3. Il richiedente adduceva in particolare che le sue condizioni di detenzione si analizzavano in trattamenti disumani e degradanti e in violazioni dei suoi diritti al rispetto della sua vita familiare e della sua corrispondenza.
4. Il 29 settembre 2006, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
5. Tanto il richiedente che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte sul merito della causa (articolo 59 § 1 dell’ordinamento).
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
6. Il richiedente è nato a Napoli nel 1958. È stato condannato per associazione di malviventi e di altri reati. L’insieme delle pene inflitte all’interessato ha dato adito alla decisione di cumulo, presa
il 10 settembre 1999 dal procuratore di Napoli, fissando a trentun anni, la pena da scontare.
7. Dal suo arresto, nel settembre 1992, il richiedente è stato detenuto in parecchie prigioni italiane, in particolare Parma, Ascoli Piceno Sulmona. L’avvocato del richiedente ha indicato che il suo cliente è stato posto in un settore penitenziario E.I.V. (elevato indice di vigilanza) ai sensi dell’articolo 14 bis OP. Non ha formulato a questo riguardo dei motivi di appello.
8. Il 15 settembre 1992, tenuto conto dell’estrema pericolosità dell’interessato, il ministro della Giustizia prese un’ordinanza che imponeva al richiedente, per un periodo di sei mesi, il regime di detenzione speciale previsto dall’articolo 41bis, capoverso 2, della legge sull’amministrazione penitenziaria – no 354 del 26 luglio 1975 (“la legge no 354/1975”). Modificata dalla legge no 356
del 7 agosto 1992, questa disposizione permetteva la sospensione totale o parziale dell’applicazione del regime normale di detenzione quando delle ragioni di ordine e di sicurezza pubblici l’esigevano. L’ordinanza imponeva il seguente restrizioni:
– limitazione delle visite dei membri della famiglia (al massimo una al mese della durata di un’ora);
– interdizione di incontrare dei terzi;
– interdizione di utilizzare il telefono;
– interdizione di ricevere o di mandare verso l’esterno delle somme di denaro al di là di un importo determinato;
– interdizione di ricevere dei pacchi, salvo uno al mese ma contenente della biancheria;
– interdizione di eleggere dei rappresentanti di detenuti e di essere eletto come rappresentante;
– interdizione di esercitare delle attività artigianali;
– interdizione di organizzare delle attività culturali, ricreative e sportive;
– interdizione di acquistare degli alimenti che necessitano la cottura;
– uscita all’aperto limitata a due al giorno.
Inoltre, tutta la corrispondenza del richiedente doveva essere sottoposta a controllo su autorizzazione preliminare dell’autorità giudiziale.
9. L’applicazione del regime speciale al richiedente fu prorogato per periodi di sei mesi fino al dicembre 2002, poi di un anno. Il richiedente espone di avere ottenuto un ammorbidimento del regime nella misura in cui, a contare dal 1997, l’interdizione di acquistare degli alimenti che necessitavano la cottura fu tolta; il numero dei pacchi al mese fu aumentato a due ed il loro contenuto fu ammesso per oggetti differenti dalla biancheria; una chiamata al mese alla famiglia, ascoltata e registrata, fu autorizzata, nel caso in cui la visita mensile della famiglia non avesse avuto luogo. Inoltre, a contare dal 1998, la limitazione alle due ore di uscita all’aperto venne annullata. Infine, con una decisione del TAP di Ancona del 29 marzo 2004, la durata massima di un’ora degli incontri mensili coi membri della famiglia fu annullata.
10. Il richiedente espone di avere attaccato sistematicamente le ordinanze dinnanzi al tribunale dell’applicazione delle pene (“il TAP”) competente, contestando l’applicazione del regime speciale e chiedendo l’abrogazione delle restrizioni relative. Ottenne delle decisioni giudiziali che ammorbidivano, all’occorrenza, certe limitazioni, e che confermavano l’applicazione del regime 41 bis al motivo che le condizioni per il mantenimento del regime speciale erano assolte, alla luce delle informazione raccolte dalla polizia e dalle autorità giudiziali sul conto del richiedente.
Tuttavia, con le decisioni datate 23 maggio 1994, 8 maggio 1995 e 12 febbraio 2002, il TAP competente dichiarò il ricorso inammissibile al motivo che il decreto attaccato era nel frattempo scaduto.
11. Le parti hanno indicato che il richiedente non era più sottomesso al regime 41 bis, in seguito alla decisione del TAP di Ancona del 8 giugno 2006.
12. Alcuni documenti versati alla pratica mostrano che la corrispondenza del richiedente è stata sottoposta a controllo il 15 e il 27 aprile, il 22 maggio, il 5 giugno, 17 luglio, il 28 agosto, il 20 dicembre 2000 e poi il 18 aprile e il 22 maggio 2001. Risulta dalla decisione del 14 giugno 2004 del giudice di applicazione delle pene di Macerata che il richiedente si era lamentato della mancata restituzione di due lettere. La sua lamentela fu giudicata come non fondata.
13. Trattandosi delle condizioni di salute del richiedente, risulta dalla sua pratica medica che nel 1981 aveva subito l’asportazione di un rene; che, in seguito ad una ferita di arma da fuoco, aveva delle lesioni al fegato; che, in seguito ad una trasfusione, era positivo al test dell’epatite B e C. soffriva anche di epilessia post-traumatica e di cardiopatie. Nel febbraio 2001, subisce un esame chirurgico delle vene della gamba sinistra, a seguito della diagnosi di una trombosi dell’arteria poplitea che provocava un’arteriopatia cronica. Secondo i medici non era necessario procedere all’impianto di un by-pass femorale, perché non c’era ischemia critica. Il richiedente zoppicava. Oltre i controlli effettuati dagli specialisti in angiologia ed in ortopedia, il richiedente è stato seguito in particolare da un dermatologo, in ragione di reazioni allergiche; da uno psichiatra, per depressione ed ansietà, e da uno specialista in malattie infettive.
Risulta dalla pratica che il richiedente si lamentò dinnanzi al TAP di Ancona del suo stato di salute rispetto al regime di detenzione 41 bis. Nella sua decisione del 29 marzo 2004, il TAP giudicò che non c’era legame tra gli stati di salute del richiedente ed il regime speciale di detenzione; difatti, nessuna incompatibilità tra gli stati di salute dell’interessato e la detenzione era stata accertata e non risultava che le cure portate fossero insufficienti o inadeguate.
L’arteriopatia grave alle gambe e dei problemi ai menischi provocarono un’incapacità di deambulazione che fu riconosciuta come invalidità civile al 50% dalle autorità sanitarie in data del 31 agosto 2005. Il richiedente poteva aiutarsi nella marcia in prigione coi bastoni “canadesi.” Il 14 ottobre 2005, le condizioni di salute del richiedente furono giudicate come buone, malgrado le patologie che lo colpivano. Il 10 novembre 2005, lo psichiatra adottò il trattamento farmaceutico, perché aveva trovato il richiedente “piuttosto agitato, preoccupato ed ansioso.” Il 29 dicembre 2005, lo psichiatra trovò il richiedente “agitato, ansioso, irritabile” e constatò che il pensiero di questo era focalizzato sulle sue vicissitudini giudiziali. Nel gennaio 2006, dei problemi psichici che portarono il richiedente a commettere degli atti di automutilazione furono menzionati nella pratica medica.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
14. Nella sua sentenza Ospina Vargas, e ultimamente nella sentenza Enea, la Corte ha riassunto il diritto e la pratica interna pertinenti in quanto al regime di detenzione speciale applicato nello specifico ed in quanto al controllo della corrispondenza (Ospina Vargas c. Italia, no 40750/98, §§ 23-33, 14 ottobre 2004; Enea c. Italia [GC], no 74912/01, §§ 30-42, 17 settembre 2009). Ha fatto anche stato delle modifiche introdotte dalla legge no 279 del 23 dicembre 2002 e dalla legge no 95 dell’ 8 aprile 2004 (ibidem).
Tenuto conto di questa riforma e delle decisioni della Corte (Ganci c. Italia, no 41576/98, §§ 19-31, CEDH 2003-XI) la Corte di cassazione si è scostata dalla sua giurisprudenza e ha stimato che un detenuto ha interesse ad avere una decisione, anche se il periodo di validità dell’ordinanza attaccata è scaduto, e ciò in ragione degli effetti diretti della decisione sulle ordinanze posteriori all’ordinanza attaccata (Corte di cassazione, prima camera, sentenza del 26 gennaio 2004, depositata
il 5 febbraio 2004, no 4599, Zara).
15. Il collocamento in un settore penitenziario E.I.V. è descritto nella sentenza Enea (precitata, §§ 43-47).
IN DIRITTO
I. SULL’ECCEZIONE DEL GOVERNO
16. Il Governo eccepisce dell’inammissibilità della richiesta ai sensi dell’articolo 35 § 2 b) nella misura in cui il richiedente ha sottoposto i suoi motivi di appello al Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti (CPT) del Consiglio dell’Europa.
17. Il richiedente si oppone a questa tesi.
18. La Corte ricorda che ha trattato già e respinto questa eccezione in richieste simili (per esempio, De Pace c. Italia, no 22728/03, §§ 22-29, 17 luglio 2008). Nello specifico, non vede nessuna ragione di scostarsi da questa conclusione.
19. Quindi, respinge l’eccezione formulata dal Governo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
20. Il richiedente si lamenta dell’applicazione a suo riguardo del regime di detenzione 41bis. Adduce la violazione dell’articolo 3 della Convenzione che dispone:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
21. Il Governo sottolinea la pericolosità del richiedente che ha giustificato la sottomissione di questo al regime speciale di detenzione. Le restrizioni imposte al richiedente dal regime speciale di detenzione 41bis non hanno raggiunto il livello minimo di gravità richiesto per ricadere nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione. Queste restrizioni sono state attenuate inoltre, progressivamente. Il richiedente non era più sottomesso al regime speciale di detenzione in seguito ad una decisione del tribunale di applicazione delle pene dell’ 8 giugno 2006. In quanto alle condizioni di salute del richiedente, le autorità penitenziarie hanno badato costantemente alla salute di questo, somministrandogli gli esami e le cure necessarie. Infine, il richiedente non ha fornito prove dell’esistenza dei maltrattamenti differenti rispetto alle restrizioni ordinarie previste dall’articolo 41bis della legge sull’amministrazione penitenziaria.
22. Il richiedente rinvia ai rapporti del CPT relativi alle visite in Italia pubblicati il 27 aprile 2006, il 29 gennaio 2003 e il 27 gennaio 2000, così come al rapporto del Commissario ai Diritti dell’uomo del Consiglio dell’Europa pubblicato il 14 dicembre 2005. Poi, si riferisce alla sua pratica medica e mette in causa il regime 41 bis, senza criticare tuttavia la qualità delle cure che gli sono state prodigate e senza addurre una mancanza di seguito medico.
23. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione, un cattivo trattamento deve raggiungere un minimo di gravità.́ La valutazione di questo minimo è relativa per essenza; dipende dall’insieme dei dati della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o mentali così come, talvolta, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima (Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, § 162, serie A no 25). In questa ottica, la Corte deve ricercare se l’applicazione prolungata del regime speciale di detenzione prevista dall’articolo 41bis-che, peraltro, dopo la riforma del 2002, è diventata una disposizione permanente della legge sull’amministrazione penitenziaria -per più di sei anni nel caso del richiedente ha costituito una violazione dell’articolo 3 della Convenzione (Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 119, CEDH 2000-IV).
La Corte ammette che in generale, l’applicazione prolungata di certe restrizioni può porre un detenuto in una situazione che potrebbe costituire un trattamento disumano o degradante, ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. Però, non potrebbe considerare una durata precisa per determinare il momento a partire dal quale viene raggiunta la soglia minima di gravità per ricadere nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione. In compenso, ha il dovere di controllare se, in un dato caso, il rinnovo ed il prolungamento delle restrizioni si giustificavano (Argenti c. Italia, no 56317/00, § 21, 10 novembre 2005). Ora appare che ogni volta, il ministro della Giustizia si è riferito, per giustificare la proroga delle restrizioni, alla persistenza delle condizioni che motivavano la prima applicazione. In più, i tribunali d’applicazione delle pene hanno controllato la realtà di queste restrizioni e, all’occorrenza, sono state ammorbidite. Infine, in seguito alla decisione del tribunale di applicazione delle pene di Ancona del giugno 2006, il regime in questione non è più stato applicato.
24. La Corte rileva poi il richiedente non ha dimostrato che le restrizioni alle quali è stato sottoposto hanno avuto per conseguenza un degrado del suo stato di salute. Il richiedente non ha fornito peraltro elementi che mostrano che la sottomissione al regime 41bis l’ha privato di un seguito medico adeguato e non ha addotto neanche che le cure che gli sono state prodigate sono state inadatte.
25. Alla luce degli elementi di cui dispone, la Corte non può concludere che l’applicazione prolungata del regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis ha causato al richiedente degli effetti fisici o mentali ricadenti sotto l’influenza dell’articolo 3. Quindi, la sofferenza che il richiedente ha potuto provare non è andata al di là di quella che comprende inevitabilmente una data forma di trattamento – nello specifico prolungato – o di pena legittima (Enea c. Italia [GC], no 74912/01, § 67, 17 settembre 2009, Labita c. Italia, precitata, § 120, e Bastone c. Italia, (dec) no 59638/00, 18 gennaio 2005).
26. Pertanto, le condizioni di detenzione del richiedente non hanno raggiunto il minimo necessario di gravità per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione. Questa parte della richiesta deve essere respinta quindi come manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE (DIRITTO AL RISPETTO DELLA CORRISPONDENZA)
27. Il richiedente adduce la violazione del suo diritto al rispetto della sua corrispondenza. Invoca l’articolo 8 della Convenzione, così formulato nella sua parte pertinente,:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.
2. Può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto solo per quanto questa ingerenza è prevista dalla legge e costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria, alla sicurezza pubblica, (…), alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione dei reati penali, (…). “
28. Il Governo contesta questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
29. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
30. Il richiedente si lamenta del controllo della sua corrispondenza da parte delle autorità penitenziarie ed adduce che questo non si fonda su una base legale sufficiente.
31. Il Governo si oppone a questa tesi.
32. La Corte constata che c’è stata “ingerenza di un’autorità pubblica” nell’esercizio del diritto del richiedente al rispetto della sua corrispondenza garantito dall’articolo 8 § 1 della Convenzione. Simile ingerenza ignora questa disposizione salvo se, “prevista dalla legge”, insegue uno o degli scopi legittimi allo sguardo del paragrafo 2 e, in più, è “necessaria, in una società democratica” per raggiungerli (Calogero Diana c. Italia, 15 novembre 1996, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V, § 28; Domenichini c. Italia, 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, § 28; Petra c. Romania, 23 settembre 1998, Raccolta 1998-VII, p. 2853, § 36; Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 179, CEDH 2000-IV; Musumeci c. Italia, no 33695/96, § 56, 11 gennaio 2005).
33. Prima del 15 aprile 2004, il controllo della corrispondenza del richiedente era effettuato conformemente all’articolo 18 della legge sull’amministrazione penitenziaria. La Corte ha giudicato già a più riprese che il controllo di corrispondenza fondato sull’articolo 18 ignorava l’articolo 8 della Convenzione perché non “era previsto dalla legge” nella misura in cui non regolamentava né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti, né i motivi che potevano giustificarle, e non indicava con abbastanza chiarezza la superficie e le modalità di esercizio del potere di valutazione delle autorità competenti nell’ambito considerato (vedere, tra altre, le sentenze Labita c. Italia, precitata, §§ 175-185; Calogero Diana c. Italia, precitata, § 33; De Pace c. Italia, no 22728/03, § 56, 17 luglio 2008; Enea c. Italia, precitata, §§ 144 e 147). Non vede nessuna ragione di scostarsi nello specifico da questa giurisprudenza.
34. Alla luce di ciò che precede, nella misura in cui il controllo della corrispondenza del richiedente versata alla pratica risale al periodo 2000-2001, non “era previsto dalla legge” ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Questa conclusione rende superfluo verificare nello specifico il rispetto delle altre esigenze del paragrafo 2 della stessa disposizione.
35. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
IV. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
36. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il richiedente si lamenta delle restrizioni alla vita familiare derivanti dall’applicazione del regime 41 bis. Sotto l’angolo degli articoli 6 e 13 della Convenzione, si lamenta poi di non avere avuto a disposizione dei ricorsi interni effettivi contro le decisioni di applicazione e di proroga del regime 41 bis. Peraltro, dopo la comunicazione della richiesta, l’avvocato del richiedente si è lamentato, sotto l’angolo dell’articolo 6 § 3 della Convenzione, delle difficoltà incontrate nel raccogliere i documenti pertinenti.
37. Dopo esame della pratica, nella misura in cui le affermazioni sono state esposte, la Corte non ha rilevato nessuna apparenza di violazione di suddette disposizioni. Stima dunque che niente gli permette di scostarsi dalle conclusioni derivate nelle cause Enea c. Italia ([GC], no 74912/01, §§ 77-78 e § 131, 17 settembre 2009, Bastone c. Italia (, dec.), no 59638/00, CEDH 2005-II (brani)), Zagaria c. Italia (dec.), no 58295/00, 27 novembre 2007, o ancora De Pace c. Italia (no 22728/03) § 49, 17 luglio 2008) e che questa parte della richiesta deve essere respinta conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
38. Resta la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione. Il richiedente richiede 200 000 euro (EUR) a titolo del danno patrimoniale e morale che avrebbe subito. Per ciò che è riguarda gli oneri e le spese dinnanzi alla Corte, chiede 20 105,89 EUR.
39. Il Governo contesta queste pretese.
40. La Corte ricorda che ha concluso unicamente alla violazione della Convenzione per ciò che riguarda il controllo della corrispondenza del richiedente. Non vede nessun legame di causalità tra questa violazione ed un qualsiasi danno patrimoniale. In quanto al danno morale, stima che, nelle circostanze dello specifico, la constatazione di violazione basta a compensarlo.
41. In quanto agli oneri e alle spese per il procedimento dinnanzi alla Corte, stima ragionevole
all’occorrenza la somma di 1 000 EUR, abbinata ad interessi moratori ricalcati sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dal controllo della corrispondenza ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
3. Stabilisce che questa constatazione di violazione costituisce in sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 1 000 EUR (mille euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto dal richiedente a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 1 dicembre 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa