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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE STOLDER c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 24418/03/2009
Stato: Italia
Data: 2009-12-01 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

SECONDA SEZIONE
CAUSA STOLDER C. ITALIA
( Richiesta 24418/03)
SENTENZA
STRASBURGO
1 dicembre 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Stolder c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, Kristina Pardalos, giudici,
e di Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 10 novembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta, nostri 24418/03, diretta contro la Repubblica italiana e di cui un cittadino di questo Stato, il Sig. R. S. (“il richiedente”) ha investito la Corte il 20 giugno 2003, in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da C. D., avvocato a Parma.
Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo vecchio coagente, il Sig. F. Crisafulli.
3. Il richiedente adduceva in particolare che le sue condizioni di detenzione si analizzavano in trattamenti disumani e degradanti e in violazioni dei suoi diritti al rispetto della sua vita familiare e della sua corrispondenza.
4. Il 29 settembre 2006, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
5. Tanto il richiedente che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte sul merito della causa (articolo 59 § 1 dell’ordinamento).
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
6. Il richiedente è nato a Napoli nel 1958. È stato condannato per associazione di malviventi e di altri reati. L’insieme delle pene inflitte all’interessato ha dato adito alla decisione di cumulo, presa
il 10 settembre 1999 dal procuratore di Napoli, fissando a trentun anni, la pena da scontare.
7. Dal suo arresto, nel settembre 1992, il richiedente è stato detenuto in parecchie prigioni italiane, in particolare Parma, Ascoli Piceno Sulmona. L’avvocato del richiedente ha indicato che il suo cliente è stato posto in un settore penitenziario E.I.V. (elevato indice di vigilanza) ai sensi dell’articolo 14 bis OP. Non ha formulato a questo riguardo dei motivi di appello.
8. Il 15 settembre 1992, tenuto conto dell’estrema pericolosità dell’interessato, il ministro della Giustizia prese un’ordinanza che imponeva al richiedente, per un periodo di sei mesi, il regime di detenzione speciale previsto dall’articolo 41bis, capoverso 2, della legge sull’amministrazione penitenziaria – no 354 del 26 luglio 1975 (“la legge no 354/1975”). Modificata dalla legge no 356
del 7 agosto 1992, questa disposizione permetteva la sospensione totale o parziale dell’applicazione del regime normale di detenzione quando delle ragioni di ordine e di sicurezza pubblici l’esigevano. L’ordinanza imponeva il seguente restrizioni:
– limitazione delle visite dei membri della famiglia (al massimo una al mese della durata di un’ora);
– interdizione di incontrare dei terzi;
– interdizione di utilizzare il telefono;
– interdizione di ricevere o di mandare verso l’esterno delle somme di denaro al di là di un importo determinato;
– interdizione di ricevere dei pacchi, salvo uno al mese ma contenente della biancheria;
– interdizione di eleggere dei rappresentanti di detenuti e di essere eletto come rappresentante;
– interdizione di esercitare delle attività artigianali;
– interdizione di organizzare delle attività culturali, ricreative e sportive;
– interdizione di acquistare degli alimenti che necessitano la cottura;
– uscita all’aperto limitata a due al giorno.
Inoltre, tutta la corrispondenza del richiedente doveva essere sottoposta a controllo su autorizzazione preliminare dell’autorità giudiziale.
9. L’applicazione del regime speciale al richiedente fu prorogato per periodi di sei mesi fino al dicembre 2002, poi di un anno. Il richiedente espone di avere ottenuto un ammorbidimento del regime nella misura in cui, a contare dal 1997, l’interdizione di acquistare degli alimenti che necessitavano la cottura fu tolta; il numero dei pacchi al mese fu aumentato a due ed il loro contenuto fu ammesso per oggetti differenti dalla biancheria; una chiamata al mese alla famiglia, ascoltata e registrata, fu autorizzata, nel caso in cui la visita mensile della famiglia non avesse avuto luogo. Inoltre, a contare dal 1998, la limitazione alle due ore di uscita all’aperto venne annullata. Infine, con una decisione del TAP di Ancona del 29 marzo 2004, la durata massima di un’ora degli incontri mensili coi membri della famiglia fu annullata.
10. Il richiedente espone di avere attaccato sistematicamente le ordinanze dinnanzi al tribunale dell’applicazione delle pene (“il TAP”) competente, contestando l’applicazione del regime speciale e chiedendo l’abrogazione delle restrizioni relative. Ottenne delle decisioni giudiziali che ammorbidivano, all’occorrenza, certe limitazioni, e che confermavano l’applicazione del regime 41 bis al motivo che le condizioni per il mantenimento del regime speciale erano assolte, alla luce delle informazione raccolte dalla polizia e dalle autorità giudiziali sul conto del richiedente.
Tuttavia, con le decisioni datate 23 maggio 1994, 8 maggio 1995 e 12 febbraio 2002, il TAP competente dichiarò il ricorso inammissibile al motivo che il decreto attaccato era nel frattempo scaduto.
11. Le parti hanno indicato che il richiedente non era più sottomesso al regime 41 bis, in seguito alla decisione del TAP di Ancona del 8 giugno 2006.
12. Alcuni documenti versati alla pratica mostrano che la corrispondenza del richiedente è stata sottoposta a controllo il 15 e il 27 aprile, il 22 maggio, il 5 giugno, 17 luglio, il 28 agosto, il 20 dicembre 2000 e poi il 18 aprile e il 22 maggio 2001. Risulta dalla decisione del 14 giugno 2004 del giudice di applicazione delle pene di Macerata che il richiedente si era lamentato della mancata restituzione di due lettere. La sua lamentela fu giudicata come non fondata.
13. Trattandosi delle condizioni di salute del richiedente, risulta dalla sua pratica medica che nel 1981 aveva subito l’asportazione di un rene; che, in seguito ad una ferita di arma da fuoco, aveva delle lesioni al fegato; che, in seguito ad una trasfusione, era positivo al test dell’epatite B e C. soffriva anche di epilessia post-traumatica e di cardiopatie. Nel febbraio 2001, subisce un esame chirurgico delle vene della gamba sinistra, a seguito della diagnosi di una trombosi dell’arteria poplitea che provocava un’arteriopatia cronica. Secondo i medici non era necessario procedere all’impianto di un by-pass femorale, perché non c’era ischemia critica. Il richiedente zoppicava. Oltre i controlli effettuati dagli specialisti in angiologia ed in ortopedia, il richiedente è stato seguito in particolare da un dermatologo, in ragione di reazioni allergiche; da uno psichiatra, per depressione ed ansietà, e da uno specialista in malattie infettive.
Risulta dalla pratica che il richiedente si lamentò dinnanzi al TAP di Ancona del suo stato di salute rispetto al regime di detenzione 41 bis. Nella sua decisione del 29 marzo 2004, il TAP giudicò che non c’era legame tra gli stati di salute del richiedente ed il regime speciale di detenzione; difatti, nessuna incompatibilità tra gli stati di salute dell’interessato e la detenzione era stata accertata e non risultava che le cure portate fossero insufficienti o inadeguate.
L’arteriopatia grave alle gambe e dei problemi ai menischi provocarono un’incapacità di deambulazione che fu riconosciuta come invalidità civile al 50% dalle autorità sanitarie in data del 31 agosto 2005. Il richiedente poteva aiutarsi nella marcia in prigione coi bastoni “canadesi.” Il 14 ottobre 2005, le condizioni di salute del richiedente furono giudicate come buone, malgrado le patologie che lo colpivano. Il 10 novembre 2005, lo psichiatra adottò il trattamento farmaceutico, perché aveva trovato il richiedente “piuttosto agitato, preoccupato ed ansioso.” Il 29 dicembre 2005, lo psichiatra trovò il richiedente “agitato, ansioso, irritabile” e constatò che il pensiero di questo era focalizzato sulle sue vicissitudini giudiziali. Nel gennaio 2006, dei problemi psichici che portarono il richiedente a commettere degli atti di automutilazione furono menzionati nella pratica medica.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
14. Nella sua sentenza Ospina Vargas, e ultimamente nella sentenza Enea, la Corte ha riassunto il diritto e la pratica interna pertinenti in quanto al regime di detenzione speciale applicato nello specifico ed in quanto al controllo della corrispondenza (Ospina Vargas c. Italia, no 40750/98, §§ 23-33, 14 ottobre 2004; Enea c. Italia [GC], no 74912/01, §§ 30-42, 17 settembre 2009). Ha fatto anche stato delle modifiche introdotte dalla legge no 279 del 23 dicembre 2002 e dalla legge no 95 dell’ 8 aprile 2004 (ibidem).
Tenuto conto di questa riforma e delle decisioni della Corte (Ganci c. Italia, no 41576/98, §§ 19-31, CEDH 2003-XI) la Corte di cassazione si è scostata dalla sua giurisprudenza e ha stimato che un detenuto ha interesse ad avere una decisione, anche se il periodo di validità dell’ordinanza attaccata è scaduto, e ciò in ragione degli effetti diretti della decisione sulle ordinanze posteriori all’ordinanza attaccata (Corte di cassazione, prima camera, sentenza del 26 gennaio 2004, depositata
il 5 febbraio 2004, no 4599, Zara).
15. Il collocamento in un settore penitenziario E.I.V. è descritto nella sentenza Enea (precitata, §§ 43-47).
IN DIRITTO
I. SULL’ECCEZIONE DEL GOVERNO
16. Il Governo eccepisce dell’inammissibilità della richiesta ai sensi dell’articolo 35 § 2 b) nella misura in cui il richiedente ha sottoposto i suoi motivi di appello al Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti (CPT) del Consiglio dell’Europa.
17. Il richiedente si oppone a questa tesi.
18. La Corte ricorda che ha trattato già e respinto questa eccezione in richieste simili (per esempio, De Pace c. Italia, no 22728/03, §§ 22-29, 17 luglio 2008). Nello specifico, non vede nessuna ragione di scostarsi da questa conclusione.
19. Quindi, respinge l’eccezione formulata dal Governo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
20. Il richiedente si lamenta dell’applicazione a suo riguardo del regime di detenzione 41bis. Adduce la violazione dell’articolo 3 della Convenzione che dispone:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
21. Il Governo sottolinea la pericolosità del richiedente che ha giustificato la sottomissione di questo al regime speciale di detenzione. Le restrizioni imposte al richiedente dal regime speciale di detenzione 41bis non hanno raggiunto il livello minimo di gravità richiesto per ricadere nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione. Queste restrizioni sono state attenuate inoltre, progressivamente. Il richiedente non era più sottomesso al regime speciale di detenzione in seguito ad una decisione del tribunale di applicazione delle pene dell’ 8 giugno 2006. In quanto alle condizioni di salute del richiedente, le autorità penitenziarie hanno badato costantemente alla salute di questo, somministrandogli gli esami e le cure necessarie. Infine, il richiedente non ha fornito prove dell’esistenza dei maltrattamenti differenti rispetto alle restrizioni ordinarie previste dall’articolo 41bis della legge sull’amministrazione penitenziaria.
22. Il richiedente rinvia ai rapporti del CPT relativi alle visite in Italia pubblicati il 27 aprile 2006, il 29 gennaio 2003 e il 27 gennaio 2000, così come al rapporto del Commissario ai Diritti dell’uomo del Consiglio dell’Europa pubblicato il 14 dicembre 2005. Poi, si riferisce alla sua pratica medica e mette in causa il regime 41 bis, senza criticare tuttavia la qualità delle cure che gli sono state prodigate e senza addurre una mancanza di seguito medico.
23. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione, un cattivo trattamento deve raggiungere un minimo di gravità.́ La valutazione di questo minimo è relativa per essenza; dipende dall’insieme dei dati della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o mentali così come, talvolta, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima (Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, § 162, serie A no 25). In questa ottica, la Corte deve ricercare se l’applicazione prolungata del regime speciale di detenzione prevista dall’articolo 41bis-che, peraltro, dopo la riforma del 2002, è diventata una disposizione permanente della legge sull’amministrazione penitenziaria -per più di sei anni nel caso del richiedente ha costituito una violazione dell’articolo 3 della Convenzione (Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 119, CEDH 2000-IV).
La Corte ammette che in generale, l’applicazione prolungata di certe restrizioni può porre un detenuto in una situazione che potrebbe costituire un trattamento disumano o degradante, ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. Però, non potrebbe considerare una durata precisa per determinare il momento a partire dal quale viene raggiunta la soglia minima di gravità per ricadere nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione. In compenso, ha il dovere di controllare se, in un dato caso, il rinnovo ed il prolungamento delle restrizioni si giustificavano (Argenti c. Italia, no 56317/00, § 21, 10 novembre 2005). Ora appare che ogni volta, il ministro della Giustizia si è riferito, per giustificare la proroga delle restrizioni, alla persistenza delle condizioni che motivavano la prima applicazione. In più, i tribunali d’applicazione delle pene hanno controllato la realtà di queste restrizioni e, all’occorrenza, sono state ammorbidite. Infine, in seguito alla decisione del tribunale di applicazione delle pene di Ancona del giugno 2006, il regime in questione non è più stato applicato.
24. La Corte rileva poi il richiedente non ha dimostrato che le restrizioni alle quali è stato sottoposto hanno avuto per conseguenza un degrado del suo stato di salute. Il richiedente non ha fornito peraltro elementi che mostrano che la sottomissione al regime 41bis l’ha privato di un seguito medico adeguato e non ha addotto neanche che le cure che gli sono state prodigate sono state inadatte.
25. Alla luce degli elementi di cui dispone, la Corte non può concludere che l’applicazione prolungata del regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis ha causato al richiedente degli effetti fisici o mentali ricadenti sotto l’influenza dell’articolo 3. Quindi, la sofferenza che il richiedente ha potuto provare non è andata al di là di quella che comprende inevitabilmente una data forma di trattamento – nello specifico prolungato – o di pena legittima (Enea c. Italia [GC], no 74912/01, § 67, 17 settembre 2009, Labita c. Italia, precitata, § 120, e Bastone c. Italia, (dec) no 59638/00, 18 gennaio 2005).
26. Pertanto, le condizioni di detenzione del richiedente non hanno raggiunto il minimo necessario di gravità per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione. Questa parte della richiesta deve essere respinta quindi come manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE (DIRITTO AL RISPETTO DELLA CORRISPONDENZA)
27. Il richiedente adduce la violazione del suo diritto al rispetto della sua corrispondenza. Invoca l’articolo 8 della Convenzione, così formulato nella sua parte pertinente,:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.
2. Può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto solo per quanto questa ingerenza è prevista dalla legge e costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria, alla sicurezza pubblica, (…), alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione dei reati penali, (…). “
28. Il Governo contesta questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
29. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
30. Il richiedente si lamenta del controllo della sua corrispondenza da parte delle autorità penitenziarie ed adduce che questo non si fonda su una base legale sufficiente.
31. Il Governo si oppone a questa tesi.
32. La Corte constata che c’è stata “ingerenza di un’autorità pubblica” nell’esercizio del diritto del richiedente al rispetto della sua corrispondenza garantito dall’articolo 8 § 1 della Convenzione. Simile ingerenza ignora questa disposizione salvo se, “prevista dalla legge”, insegue uno o degli scopi legittimi allo sguardo del paragrafo 2 e, in più, è “necessaria, in una società democratica” per raggiungerli (Calogero Diana c. Italia, 15 novembre 1996, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V, § 28; Domenichini c. Italia, 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, § 28; Petra c. Romania, 23 settembre 1998, Raccolta 1998-VII, p. 2853, § 36; Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 179, CEDH 2000-IV; Musumeci c. Italia, no 33695/96, § 56, 11 gennaio 2005).
33. Prima del 15 aprile 2004, il controllo della corrispondenza del richiedente era effettuato conformemente all’articolo 18 della legge sull’amministrazione penitenziaria. La Corte ha giudicato già a più riprese che il controllo di corrispondenza fondato sull’articolo 18 ignorava l’articolo 8 della Convenzione perché non “era previsto dalla legge” nella misura in cui non regolamentava né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti, né i motivi che potevano giustificarle, e non indicava con abbastanza chiarezza la superficie e le modalità di esercizio del potere di valutazione delle autorità competenti nell’ambito considerato (vedere, tra altre, le sentenze Labita c. Italia, precitata, §§ 175-185; Calogero Diana c. Italia, precitata, § 33; De Pace c. Italia, no 22728/03, § 56, 17 luglio 2008; Enea c. Italia, precitata, §§ 144 e 147). Non vede nessuna ragione di scostarsi nello specifico da questa giurisprudenza.
34. Alla luce di ciò che precede, nella misura in cui il controllo della corrispondenza del richiedente versata alla pratica risale al periodo 2000-2001, non “era previsto dalla legge” ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Questa conclusione rende superfluo verificare nello specifico il rispetto delle altre esigenze del paragrafo 2 della stessa disposizione.
35. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
IV. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
36. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il richiedente si lamenta delle restrizioni alla vita familiare derivanti dall’applicazione del regime 41 bis. Sotto l’angolo degli articoli 6 e 13 della Convenzione, si lamenta poi di non avere avuto a disposizione dei ricorsi interni effettivi contro le decisioni di applicazione e di proroga del regime 41 bis. Peraltro, dopo la comunicazione della richiesta, l’avvocato del richiedente si è lamentato, sotto l’angolo dell’articolo 6 § 3 della Convenzione, delle difficoltà incontrate nel raccogliere i documenti pertinenti.
37. Dopo esame della pratica, nella misura in cui le affermazioni sono state esposte, la Corte non ha rilevato nessuna apparenza di violazione di suddette disposizioni. Stima dunque che niente gli permette di scostarsi dalle conclusioni derivate nelle cause Enea c. Italia ([GC], no 74912/01, §§ 77-78 e § 131, 17 settembre 2009, Bastone c. Italia (, dec.), no 59638/00, CEDH 2005-II (brani)), Zagaria c. Italia (dec.), no 58295/00, 27 novembre 2007, o ancora De Pace c. Italia (no 22728/03) § 49, 17 luglio 2008) e che questa parte della richiesta deve essere respinta conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
38. Resta la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione. Il richiedente richiede 200 000 euro (EUR) a titolo del danno patrimoniale e morale che avrebbe subito. Per ciò che è riguarda gli oneri e le spese dinnanzi alla Corte, chiede 20 105,89 EUR.
39. Il Governo contesta queste pretese.
40. La Corte ricorda che ha concluso unicamente alla violazione della Convenzione per ciò che riguarda il controllo della corrispondenza del richiedente. Non vede nessun legame di causalità tra questa violazione ed un qualsiasi danno patrimoniale. In quanto al danno morale, stima che, nelle circostanze dello specifico, la constatazione di violazione basta a compensarlo.
41. In quanto agli oneri e alle spese per il procedimento dinnanzi alla Corte, stima ragionevole
all’occorrenza la somma di 1 000 EUR, abbinata ad interessi moratori ricalcati sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dal controllo della corrispondenza ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
3. Stabilisce che questa constatazione di violazione costituisce in sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 1 000 EUR (mille euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto dal richiedente a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 1 dicembre 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa

Testo Tradotto

DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE STOLDER c. ITALIE
(Requête nos 24418/03)
ARRÊT
STRASBOURG
1er décembre 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Stolder c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nona Tsotsoria,
Kristina Pardalos, juges,
et de Sally Dollé, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 10 novembre 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (nos 24418/03) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, M. R. S. (« le requérant ») a saisi la Cour le 20 juin 2003, en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par Me C. D., avocat à Parme.
Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Mme E. Spatafora, et par son ancien coagent, M. F. Crisafulli.
3. Le requérant alléguait en particulier que ses conditions de détention s’analysent en des traitements inhumains et dégradants et en des violations de ses droits au respect de sa vie familiale et de sa correspondance.
4. Le 29 septembre 2006, la Cour a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Se prévalant des dispositions de l’article 29 § 3 de la Convention, elle a décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le bien-fondé de l’affaire.
5. Tant le requérant que le Gouvernement ont déposé des observations écrites sur le fond de l’affaire (article 59 § 1 du règlement).
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
6. Le requérant est né à Naples en 1958. Il a été condamné pour association de malfaiteurs et d’autres infractions. L’ensemble des peines infligées à l’intéressé a donné lieu à une décision de cumul, prise le 10 septembre 1999 par le procureur de Naples, fixant à trente et un an la peine à purger.
7. Depuis son arrestation, en septembre 1992, le requérant a été détenu dans plusieurs prisons italiennes (notamment Parme, Ascoli Piceno Sulmona). L’avocat du requérant a indiqué que son client a été placé dans un secteur pénitentiaire E.I.V. (elevato indice di vigilanza) au sens de l’article 14 bis OP. Il n’a pas formulé des griefs à cet égard.
8. Le 15 septembre 1992, compte tenu de l’extrême dangerosité de l’intéressé, le ministre de la Justice prit un arrêté imposant au requérant, pour une période de six mois, le régime de détention spécial prévu par l’article 41bis, alinéa 2, de la loi sur l’administration pénitentiaire – no 354 du 26 juillet 1975 (« la loi no 354/1975 »). Modifiée par la loi no 356
du 7 août 1992, cette disposition permettait la suspension totale ou partielle de l’application du régime normal de détention lorsque des raisons d’ordre et de sécurité publics l’exigeaient. L’arrêté imposait les restrictions suivantes :
– limitation des visites des membres de la famille (au maximum une par mois pendant une heure) ;
– interdiction de rencontrer des tiers ;
– interdiction d’utiliser le téléphone ;
– interdiction de recevoir ou d’envoyer vers l’extérieur des sommes d’argent au-delà d’un montant déterminé ;
– interdiction de recevoir des colis, sauf un par mois mais contenant du linge ;
– interdiction d’élire des représentants de détenus et d’être élu comme représentant ;
– interdiction d’exercer des activités artisanales ;
– interdiction d’organiser des activités culturelles, récréatives et sportives ;
– interdiction d’acheter des aliments nécessitant la cuisson ;
– sortie en plein air limitée à deux heures par jour.
En outre, toute la correspondance du requérant devait être soumise à contrôle sur autorisation préalable de l’autorité judiciaire.
9. L’application du régime spécial au requérant fut prorogée pour des périodes de six mois jusqu’en décembre 2002, puis d’un an. Le requérant expose avoir obtenu un assouplissement du régime dans la mesure où, à compter de 1997, l’interdiction d’acheter des aliments nécessitant la cuisson fut levée ; le nombre des colis par mois fut élevé à deux et leur contenu fut admis pour des objets autres que du linge ; un appel par mois à la famille, écouté et enregistré, fut autorisé, au cas où la visite mensuelle de la famille n’aurait pas eu lieu. En outre, à compter de 1998, la limitation à deux heures de la sortie en plein air fut supprimée. Enfin, par une décision du TAP d’Ancône du 29 mars 2004, la durée maximale d’une heure de l’entretien mensuel avec les membres de la famille fut supprimée.
10. Le requérant expose avoir systématiquement attaqué les arrêtés devant le tribunal de l’application des peines (« le TAP ») compétent, contestant l’application du régime spécial et demandant l’abrogation des restrictions y relatives. Il obtint des décisions judiciaires assouplissant, le cas échéant, certaines limitations, et confirmant l’application du régime 41 bis au motif que les conditions pour le maintien du régime spécial étaient remplies, à la lumière des informations recueillies par la police et par les autorités judiciaires sur le compte du requérant.
Toutefois, par des décisions datées des 23 mai 1994, du 8 mai 1995 et du 12 février 2002, le TAP compétent déclara le recours irrecevable au motif que le décret attaqué avait entre-temps expiré.
11. Les parties ont indiqué que le requérant n’était plus soumis au régime 41 bis, à la suite de la décision du TAP d’Ancône du 8 juin 2006.
12. Des documents versés au dossier montrent que la correspondance du requérant a été soumise à contrôle les 15 et 27 avril, 22 mai, 5 juin, 17 juillet, 28 août, 20 décembre 2000 et puis les 18 avril et 22 mai 2001. Il ressort de la décision du 14 juin 2004 du juge d’application des peines de Macerata que le requérant s’était plaint de la non remise de deux courriers. Sa plainte fut jugée comme étant non fondée.
13. S’agissant des conditions de santé du requérant, il ressort de son dossier médical qu’en 1981 il avait subi l’ablation d’un rein ; que, suite à une blessure d’arme à feu, il avait des lésions au foie ; que, suite à une transfusion, il était positif au test de l’hépatite B et C. Il souffrait aussi d’épilepsie post-traumatique et de cardiopathie. En février 2001, il subit un examen chirurgical des vaisseaux de la jambe gauche, suite au diagnostic d’une thrombose de l’artère poplitée entraînant une artériopathie chronique. Selon les médecins il n’était pas nécessaire de procéder à la pose d’un by-pass fémoral, car il n’y avait pas d’ischémie critique. Le requérant boitait. En plus des contrôles effectués par des spécialistes en angiologie et en orthopédie, le requérant a été suivi notamment par un dermatologue, en raison de réactions allergiques ; par un psychiatre, pour dépression et anxiété, et par un spécialiste en maladies infectieuses.
Il ressort du dossier que le requérant se plaignit devant le TAP d’Ancône de son état de santé par rapport au régime de détention 41 bis. Dans sa décision du 29 mars 2004, le TAP jugea qu’il n’y avait pas de lien entre l’état de santé du requérant et le régime spécial de détention ; en effet, aucune incompatibilité entre l’état de santé de l’intéressé et la détention n’était avérée et il ne ressortait pas que les soins apportés soient insuffisants ou inadéquats.
L’artériopathie grave aux jambes et des problèmes aux ménisques entraînèrent une incapacité de déambuler qui fut reconnue comme invalidité civile à 50% par les autorités sanitaires en date du 31 août 2005. Le requérant pouvait s’aider dans la marche en prison avec des bâtons « canadiens ». Le 14 octobre 2005, les conditions de santé du requérant furent jugées comme étant bonnes, malgré les pathologies qui le frappaient. Le 10 novembre 2005, le psychiatre adapta le traitement médicamenteux, car il avait trouvé le requérant « plutôt agité, préoccupé et anxieux ».
Le 29 décembre 2005, le psychiatre trouva le requérant « agité, anxieux, irritable » et constata que la pensée de celui-ci était focalisée sur ses vicissitudes judiciaires. En janvier 2006, des problèmes psychiques amenant le requérant à commettre des actes d’automutilation furent mentionnés dans le dossier médical.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
14. Dans son arrêt Ospina Vargas, et tout dernièrement dans l’arrêt Enea, la Cour a résumé le droit et la pratique internes pertinents quant au régime de détention spécial appliqué en l’espèce et quant au contrôle de la correspondance (Ospina Vargas c. Italie, no 40750/98, §§ 23-33, 14 octobre 2004 ; Enea c. Italie [GC], no 74912/01, §§ 30-42, 17 septembre 2009). Elle a aussi fait état des modifications introduites par la loi no 279 du 23 décembre 2002 et par la loi no 95 du 8 avril 2004 (ibidem).
Compte tenu de cette réforme et des décisions de la Cour (Ganci c. Italie, no 41576/98, §§ 19-31, CEDH 2003-XI), la Cour de cassation s’est écartée de sa jurisprudence et a estimé qu’un détenu a intérêt à avoir une décision, même si la période de validité de l’arrêté attaqué a expiré, et cela en raison des effets directs de la décision sur les arrêtés postérieurs à l’arrêté attaqué (Cour de cassation, première chambre, arrêt du 26 janvier 2004, déposé
le 5 février 2004, no 4599, Zara).
15. Le placement dans un secteur pénitentiaire E.I.V. est décrit dans l’arrêt Enea, précité, §§ 43-47.
EN DROIT
I. SUR L’EXCEPTION DU GOUVERNEMENT
16. Le Gouvernement excipe de l’irrecevabilité de la requête au sens de l’article 35 § 2 b), dans la mesure où le requérant a soumis ses griefs au Comité européen pour la prévention de la torture et des peines ou traitements inhumains ou dégradants (CPT) du Conseil de l’Europe.
17. Le requérant s’oppose à cette thèse.
18. La Cour rappelle qu’elle a déjà traité et rejeté cette exception dans des requêtes similaires (par exemple, De Pace c. Italie, no 22728/03, §§ 22-29, 17 juillet 2008). En l’espèce, elle ne voit aucune raison pour s’écarter de cette conclusion.
19. Dès lors, elle rejette l’exception formulée par le Gouvernement.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 3 DE LA CONVENTION
20. Le requérant se plaint de l’application à son égard du régime de détention 41bis. Il allègue la violation de l’article 3 de la Convention, qui dispose :
« Nul ne peut être soumis à la torture ni à des peines ou traitements inhumains ou dégradants. »
21. Le Gouvernement souligne la dangerosité du requérant qui a justifié la soumission de celui-ci au régime spécial de détention. Les restrictions imposées au requérant par le régime spécial de détention 41bis n’ont pas atteint le niveau minimum de gravité requis pour tomber dans le champ d’application de l’article 3 de la Convention. En outre, ces restrictions ont été progressivement atténuées. Le requérant n’était plus soumis au régime spécial de détention suite à une décision du tribunal d’application des peines du 8 juin 2006. Quant aux conditions de santé du requérant, les autorités pénitentiaires ont constamment veillé à la santé de celui-ci, en lui prodiguant les examens et les soins nécessaires. Enfin, le requérant n’a pas fourni de preuves de l’existence de mauvais traitements différents par rapport aux restrictions ordinaires prévues par l’article 41bis de la loi sur l’administration pénitentiaire.
22. Le requérant renvoie aux rapports du CPT relatifs aux visites en Italie publiés les 27 avril 2006, 29 janvier 2003 et 27 janvier 2000, ainsi qu’au rapport du Commissaire aux Droits de l’Homme du Conseil de l’Europe publié le 14 décembre 2005. Ensuite, il se réfère à son dossier médical et met en cause le régime 41 bis, sans toutefois critiquer la qualité des soins qui lui ont été prodigués et sans alléguer un manque de suivi médical.
23. La Cour rappelle que, selon sa jurisprudence, pour tomber sous le coup de l’article 3 de la Convention, un mauvais traitement doit atteindre un minimum de gravité. L’appréciation de ce minimum est relative par essence ; elle dépend de l’ensemble des données de la cause, notamment de la durée du traitement et de ses effets physiques ou mentaux ainsi que, parfois, du sexe, de l’âge et de l’état de santé de la victime (Irlande c. Royaume-Uni, 18 janvier 1978, § 162, série A no 25). Dans cette optique, la Cour doit rechercher si l’application prolongée du régime spécial de détention prévu par l’article 41bis – qui, par ailleurs, après la réforme de 2002, est devenue une disposition permanente de la loi sur l’administration pénitentiaire – pendant plus de six ans dans le cas du requérant constitue une violation de l’article 3 de la Convention (Labita c. Italie [GC],
no 26772/95, § 119, CEDH 2000-IV).
La Cour admet qu’en général, l’application prolongée de certaines restrictions peut placer un détenu dans une situation qui pourrait constituer un traitement inhumain ou dégradant, au sens de l’article 3 de la Convention. Cependant, elle ne saurait retenir une durée précise pour déterminer le moment à partir duquel est atteint le seuil minimum de gravité pour tomber dans le champ d’application de l’article 3 de la Convention. En revanche, elle se doit de contrôler si, dans un cas donné, le renouvellement et la prolongation des restrictions se justifiaient (Argenti c. Italie, no 56317/00, § 21, 10 novembre 2005). Or il apparaît qu’à chaque fois, le ministre de la Justice s’est référé, pour justifier la prorogation des restrictions, à la persistance des conditions qui motivaient la première application. En plus, les tribunaux de l’application des peines ont contrôlé la réalité de ces restrictions et, le cas échéant, elles ont été assouplies. Enfin, suite à la décision du tribunal d’application des peines d’Ancône de juin 2006, le régime en question n’a plus été appliqué.
24. La Cour relève ensuite le requérant n’a pas démontré que les restrictions auxquelles il a été soumis ont eu pour conséquence une dégradation de son état de santé. Le requérant n’a par ailleurs pas fourni d’éléments montrant que la soumission au régime 41bis l’a privé d’un suivi médical adéquat et il n’a pas allégué non plus que les soins qui lui sont prodigués sont inappropriés.
25. A la lumière des éléments dont elle dispose, la Cour ne peut pas conclure que l’application prolongée du régime spécial de détention prévu par l’article 41bis a causé au requérant des effets physiques ou mentaux tombant sous le coup de l’article 3. Dès lors, la souffrance que le requérant a pu ressentir n’est pas allée au-delà de celle que comporte inévitablement une forme donnée de traitement – en l’espèce prolongé – ou de peine légitime (Enea c. Italie [GC], no 74912/01, § 67, 17 septembre 2009, Labita c. Italie, précité, § 120, et Bastone c. Italie, (déc), no 59638/00, 18 janvier 2005).
26. Partant, les conditions de détention du requérant n’ont pas atteint le minimum nécessaire de gravité pour tomber sous le coup de l’article 3 de la Convention. Cette partie de la requête doit dès lors être rejetée comme étant manifestement mal fondée au sens de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 DE LA CONVENTION (DROIT AU RESPECT DE LA CORRESPONDANCE)
27. Le requérant allègue la violation de son droit au respect de sa correspondance. Il invoque l’article 8 de la Convention, ainsi libellé dans sa partie pertinente :
« 1. Toute personne a droit au respect de sa vie privée et familiale, de son domicile et de sa correspondance.
2. Il ne peut y avoir ingérence d’une autorité publique dans l’exercice de ce droit que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu’elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire (…), à la sûreté publique, (…), à la défense de l’ordre et à la prévention des infractions pénales, (…). »
28. Le Gouvernement conteste cette thèse.
A. Sur la recevabilité
29. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
30. Le requérant se plaint du contrôle de sa correspondance par les autorités pénitentiaires et allègue que celui-ci ne repose pas sur une base légale suffisante.
31. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
32. La Cour constate qu’il y a eu « ingérence d’une autorité publique » dans l’exercice du droit du requérant au respect de sa correspondance garanti par l’article 8 § 1 de la Convention. Pareille ingérence méconnaît cette disposition sauf si, « prévue par la loi », elle poursuit un ou des buts légitimes au regard du paragraphe 2 et, de plus, est « nécessaire, dans une société démocratique » pour les atteindre (Calogero Diana c. Italie, 15 novembre 1996, Recueil des arrêts et décisions 1996-V, § 28 ; Domenichini c. Italie, 15 novembre 1996, Recueil 1996-V, § 28 ;
Petra c. Roumanie, 23 septembre 1998, Recueil 1998-VII, p. 2853, § 36 ; Labita c. Italie [GC], no 26772/95, § 179, CEDH 2000-IV ; Musumeci c. Italie, no 33695/96, § 56, 11 janvier 2005).
33. Avant le 15 avril 2004, le contrôle de la correspondance du requérant était effectué conformément à l’article 18 de la loi sur l’administration pénitentiaire. La Cour a déjà jugé à maintes reprises que le contrôle de correspondance fondé sur l’article 18 méconnaissait l’article 8 de la Convention car il n’était pas « prévu par la loi » dans la mesure où il ne réglementait ni la durée des mesures de contrôle de la correspondance des détenus, ni les motifs pouvant les justifier, et n’indiquait pas avec assez de clarté l’étendue et les modalités d’exercice du pouvoir d’appréciation des autorités compétentes dans le domaine considéré (voir, entre autres, les arrêts Labita c. Italie, précité, §§ 175-185 ; Calogero Diana c. Italie, précité, § 33 ; De Pace c. Italie, no 22728/03, § 56, 17 juillet 2008 ; Enea c. Italie, précité, §§ 144 et 147). Elle ne voit aucune raison de s’écarter en l’espèce de cette jurisprudence.
34. A la lumière de ce qui précède, dans la mesure où le contrôle de la correspondance du requérant versée au dossier remonte à la période 2000-2001, il n’était pas « prévu par la loi » au sens de l’article 8 de la Convention. Cette conclusion rend superflu de vérifier en l’espèce le respect des autres exigences du paragraphe 2 de la même disposition.
35. Partant, il y a eu violation de l’article 8 de la Convention.
IV. SUR LES AUTRES VIOLATIONS ALLÉGUÉES
36. Invoquant l’article 8 de la Convention, le requérant se plaint des restrictions à la vie familiale découlant de l’application du régime 41 bis. Sous l’angle des articles 6 et 13 de la Convention, il se plaint ensuite de ne pas avoir eu à disposition des recours internes effectifs contre les décisions d’application et prorogation du régime 41 bis. Par ailleurs, après la communication de la requête, l’avocat du requérant s’est plaint, sous l’angle de l’article 6 § 3 de la Convention, des difficultés rencontrées pour recueillir les documents pertinents.
37. Après examen du dossier, dans la mesure où les allégations ont été érayées, la Cour n’a relevé aucune apparence de violation desdites dispositions. Elle estime donc que rien ne lui permet de s’écarter des conclusions tirées dans les affaires Enea c. Italie ([GC], no 74912/01,
§§ 77-78 et § 131, 17 septembre 2009), Bastone c. Italie ((déc.), no 59638/00, CEDH 2005-II (extraits)), Zagaria c. Italie ((déc.), no 58295/00, 27 novembre 2007), ou encore De Pace c. Italie (no 22728/03, § 49, 17 juillet 2008) et que cette partie de la requête doit être rejetée conformément à l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
V. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
38. Reste la question de l’application de l’article 41 de la Convention. Le requérant réclame 200 000 euros (EUR) au titre du préjudice matériel et moral qu’il aurait subi. Pour ce qui est des frais et dépens devant la Cour, il demande 20 105,89 EUR.
39. Le Gouvernement conteste ces prétentions.
40. La Cour rappelle qu’elle a conclu à la violation de la Convention uniquement en ce qui concerne le contrôle de la correspondance du requérant. Elle n’aperçoit aucun lien de causalité entre cette violation et un quelconque dommage matériel. Quant au dommage moral, elle estime que, dans les circonstances de l’espèce, le constat de violation suffit à le compenser.
41. Quant aux frais et dépens pour la procédure devant la Cour, elle estime raisonnable la somme de 1 000 EUR, assortie, le cas échéant, d’intérêts moratoires calqués sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant au grief tiré du contrôle de la correspondance et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 8 de la Convention ;
3. Dit que ce constat de violation constitue en lui-même une satisfaction équitable suffisante pour le dommage moral ;
4. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 1 000 EUR (mille euros) pour frais et dépens, plus tout montant pouvant être dû par le requérant à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
5. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 1er décembre 2009, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Sally Dollé Françoise Tulkens
Greffière Présidente

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