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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE STAMOULI c. GRECE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 55862/07/2009
Stato: Grecia
Data: 2009-06-11 00:00:00
Organo: Sezione Prima
Testo Originale

PRIMA SEZIONE
CAUSA STAMOULI C. GRECIA
( Richiesta no 55862/07)
SENTENZA
STRASBURGO
11 giugno 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Stamouli c. Grecia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Nina Vajić, presidentessa, Christos Rozakis, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, Giorgio Malinverni, George Nicolaou, giudici,
e da Søren Nielsen, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 19 maggio 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 55862/07) diretta contro la Repubblica ellenica e in cui una cittadina di questo Stato, la Sig.ra G. S. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 6 dicembre 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da L. P. ed A. P., avvocati al foro di Atene. Il governo greco (“il Governo”) è rappresentato dai delegati presso il suo agente, il Sig. G. Kanellopoulos, assessore del Consulente legale di stato, e dalla Sig.ra S. Trekli, ascoltatrice presso il Consulente legale di stato.
3. Il 29 agosto 2008, la presidentessa della prima sezione ha deciso di comunicare il motivo di appello derivato dalla durata del procedimento al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato in 1935 e risiede ad Atene.
5. Il 25 maggio 1994, il richiedente investì il tribunale di prima istanza di Atene di un’azione in danno-interessi contro l’ospedale pubblico Ippokrateio che le dava impiego come donna delle pulizie. Richiedeva la somma di 73 248 euro circa a titolo di stipendi. In seguito ad un rinvio, l’udienza ebbe luogo il 12 maggio 1995.
6. L’ 8 novembre 1995, il tribunale fece parzialmente dritto alla’istanza del richiedente, decisione no 3880/1995. Questa decisione fu stesa in bella copia il 23 agosto 1996.
7. Rispettivamente il 17 gennaio e il 2 luglio 1997, l’ospedale ed il richiedente interposero appello. L’udienza ebbe luogo il 16 marzo 1999.
8. Il 20 aprile 1999, la corte di appello di Atene annullò la decisione attaccata e fece parzialmente dritto all’azione del richiedente, aumentando leggermente l’importo assegnato in prima istanza (sentenza no 3110/1999). Questa sentenza fu notificata al richiedente il 14 ottobre 1999.
9. Rispettivamente il 7 marzo e il 6 aprile 2000, il richiedente e l’ospedale ricorsero in cassazione. L’udienza ebbe luogo il 16 gennaio 2001.
10. Il 15 giugno 2001, la Corte di cassazione respinse il ricorso dell’ospedale, fece diritto a quello introdotto dal richiedente, annullò la sentenza attaccata e rinviò la causa dinnanzi alla corte di appello, composta differentemente (sentenza no 1141/2001).
11. Il 26 giugno 2001, il richiedente riprese l’istanza dinnanzi alla corte di appello e chiese la determinazione di una data di udienza. Questa ebbe luogo il 16 ottobre 2001.
12. Il 20 dicembre 2001, la corte di appello di Atene dichiarò inammissibile l’appello dell’ospedale, in mancanza per lui di essersi presentato all’udienza, ma non si pronunciò su quello del richiedente (decisione no 9451/2001). Non essendo definitiva questa decisione, non era lecito al richiedente attaccarla in cassazione. Questa decisione fu stesa in bella copia il 3 febbraio 2004.
13. Il 25 luglio 2004, l’ospedale formò un’opposizione (ανακοπή ερημοδικίας) contro la suddetta decisione.
14. Il 31 maggio 2005, la corte di appello fece diritto all’opposizione dell’ospedale, annullò la decisione no 9451/2001 e ridusse in modo significativo l’importo da assegnare al richiedente (sentenza no 4479/2005).
15. Il 18 gennaio 2006, il richiedente ricorse in cassazione. L’udienza ebbe luogo il 15 maggio 2007.
16. Il 19 giugno 2007, la Corte di cassazione respinse il ricorso (sentenza no 1491/2007).
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
17. Le disposizioni pertinenti del codice di procedimento civile si leggono così:
Articolo 106
“Il tribunale agisce unicamente su richiesta di una parte e decide sulla base delle affermazioni sollevate dalle parti “
Articolo 108
“Gli atti del procedimento hanno luogo per iniziativa ed allo zelo delle parti “
I suddetti articoli consacrano rispettivamente i principi della disposizione dell’istanza (αρχή διαθέσεως) e dell’iniziativa delle parti (αρχή πρωτοβουλίας των διαδίκων). Secondo il principio della disposizione dell’istanza, la protezione giudiziale nella cornice delle controversie civili è accordata solamente se viene richiesta dalle parti, nella misura in cui lo è o continua ad esserlo. Peraltro, secondo il principio dell’iniziativa delle parti, il progresso di un procedimento civile dipende interamente dallo zelo delle parti (P. Yessiou-Faltsi, Procedimento Civile in Grecia, ed. Sakkoulas-Kluwer, p. 45 e succ.).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE ALLO SGUARDO DELLA DURATA DEL PROCEDIMENTO
18. Il richiedente adduce che la durata del procedimento ha ignorato il principio del “termine ragionevole” come previsto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
19. Il Governo si oppone a questa tesi, sottolineando che la causa ha dato adito a decisioni giudiziali. Riferendosi inoltre al codice di procedimento civile che lascia l’iniziativa del procedimento alle parti, il Governo stima che la cronologia attesta la mancanza di zelo del richiedente nello specifico che ritardò in modo eccessivo la richiesta di determinazione delle date di udienza.
20. Il richiedente afferma che nessuna mancanza di zelo potrebbe esseregli imputabile.
A. Sull’ammissibilità
21. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva inoltre che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Periodo da prendere in considerazione
22. Il periodo da considerare è cominciato il 25 maggio 1994, con l’immissione nel processo del tribunale di prima istanza di Atene, e si è concluso il 19 giugno 2007, con la sentenza no 1491/2007 della Corte di cassazione, o una durata di più di tredici anni per tre gradi di giurisdizione.
2. Carattere ragionevole della durata del procedimento
23. La Corte ricorda che il carattere ragionevole della durata di un procedimento si rivaluta secondo le circostanze della causa ed avuto riguardo ai criteri consacrati dalla sua giurisprudenza, in particolare alla complessità della causa, al comportamento del richiedente e a quello delle autorità competenti, così come alla posta della controversia per gli interessati (vedere, tra molte altre, Frydlender c. Francia [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
24. La Corte ha trattato a più riprese cause che sollevano delle questioni simili a quella del caso specifico e ha constatato la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere Frydlender precitata).
25. Dopo avere esaminato tutti gli elementi che gli sono stati sottoposti, la Corte considera che il Governo non ha esposto nessuno fatto né argomento da poter condurre ad una conclusione differente nel caso presente. In particolare, la Corte rileva che in seno delle giurisdizioni investite, la causa ha dato adito a sentenze di cui due della Corte di cassazione, ed ammette che, per questo fatto, ne deriva una certa complessità. Tuttavia, stima che ciò non basta per giustificare la durata globale che conobbe il procedimento. La Corte nota, peraltro, che le parti sono responsabili di certi ritardi nella condotta della prima istanza dinnanzi alla corte di appello. Essendo così, non è da meno che anche se si deduce dalla durata globale del procedimento suddetti ritardi, questo rimane eccessivo.
26. La Corte riafferma che anche nei sistemi giuridici che consacrano il principio della condotta del processo da parte delle parti, l’atteggiamento degli interessati non dispensa i giudici dal garantire la celerità voluta dall’articolo 6 § 1 (Litoselitis c. Grecia, no 62771/00, § 30, 5 febbraio 2004). Quindi, tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte stima che nello specifico la durata del procedimento controverso è eccessiva e non risponde all’esigenza del “termine ragionevole.”
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
27. Invocando gli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione, il richiedente si lamenta inoltre dell’equità del procedimento. Afferma che le giurisdizioni greche hanno commesso degli errori di fatto e di diritto che hanno privilegiato la parte avversa. Invocando l’articolo 1 del Protocollo no 1, il richiedente si lamenta infine di un attentato al suo diritto al rispetto dei suoi beni. Afferma di avere perso il suo diritto ad ottenere la totalità dell’importo che rivendicava a titolo dei danno-interessi.
Sull’ammissibilità
28. La Corte ricorda che ai termini dell’articolo 19 della Convenzione, ha per compito di garantire il rispetto degli impegni che risultano dalla Convenzione per le Parti contraenti. In particolare, non le appartiene conoscere degli errori di fatto o di diritto presumibilmente commessi da una giurisdizione interna, salvo se e nella misura in cui abbiano portato attentato ai diritti e alle libertà salvaguardati dalla Convenzione (vedere, in particolare, García Ruiz c. Spagna [GC], no 30544/96, § 28, CEDH 1999-I). La Corte non può valutare lei stessa gli elementi di fatto che hanno condotto una giurisdizione nazionale ad adottare tale decisione piuttosto che tal’altra, se non si erigerebbe come giudice di quarta istanza ed ignorerebbe i limiti della sua missione (vedere, mutatis mutandis, Kemmache c. Francia (no 3), 24 novembre 1994, § 44, serie A no 296-C). La Corte ha per sola funzione, allo sguardo dell’articolo 6 della Convenzione, di esaminare le richieste che adducono che le giurisdizioni nazionali hanno ignorato delle garanzie procedurali specifiche enunciate da questa disposizione o che la condotta del procedimento nel suo insieme non ha garantito un processo equo al richiedente (vedere, tra molte altre, Donadzé c. Georgia, no 74644/01, §§ 30-31, 7 marzo 2006).
29. Nel presente caso, niente permette di pensare che il procedimento durante cui il richiedente ha potuto presentare tutti i suoi argomenti, non sia stato equo. La Corte difatti non scopre nessuno indizio di arbitrarietà nella condotta del processo né di violazione dei diritti procedurali dell’interessata. Avuto riguardo a questa constatazione, la Corte non stima necessario mettersi per di più sul terreno dell’articolo 13; difatti le esigenze di questo ultimo sono meno rigorose di quelle dell’articolo 6 § 1 ed inglobate da queste nello specifico (vedere, tra altre, Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 88, serie A no 52).
30. Peraltro, la Corte stima che il preteso credito del richiedente non può passare per un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1, poiché non è stato constatato da una decisione giudiziale avente forza di cosa giudicata. Tale è tuttavia la condizione affinché un credito sia certo ed esigibile e, pertanto, protetto dall’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere, tra altre, Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 59, serie A, no 301-B).
31. In particolare, la Corte nota che, finché la sua causa era pendente dinnanzi alle giurisdizioni interne, la sua azione non faceva nascere nessuno diritto, a capo del richiedente, di credito, ma unicamente l’eventualità di ottenere simile credito. Quindi, avendo le sentenze respinto in parte la sua richiesta non hanno potuto avere per effetto di privarlo di un bene di cui era il proprietario.
32. Ne segue che questa parte della richiesta è manifestamente mal fondata e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
33. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
34. Il richiedente richiede 18 223 euro (EUR) a titolo del danno materiale. Questa somma corrisponde alla differenza tra la somma che rivendicò nella sua azione e quella che gli fu assegnata dalle giurisdizioni investite. Richiede inoltre 10 000 EUR a titolo del danno morale che avrebbe subito.
35. Il Governo invita la Corte ad allontanare la richiesta a titolo del danno materiale. Afferma inoltre che una constatazione di violazione costituirebbe in sé una soddisfazione equa sufficiente a titolo del danno morale. A titolo alternativo, afferma che la somma assegnata a questo titolo non potrebbe superare i 3 500 EUR.
36. La Corte ricorda che la constatazione di violazione della Convenzione alla quale è giunta risulta esclusivamente da un’incomprensione del diritto dell’interessato a vedere la sua causa sentita in un “termine ragionevole.” In queste condizioni, non vede legame di causalità tra la violazione constatata ed un qualsiasi danno materiale di cui il richiedente avrebbe dovuto soffrire; c’è dunque luogo di respingere questo aspetto delle sue pretese. In compenso, la Corte stima che il richiedente ha subito un torto morale certo che la constatazione di violazione della Convenzione non compensa sufficientemente. Deliberando in equità, gli accorda 10 000 EUR a questo titolo, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta.
B. Oneri e spese
37. Il richiedente chiede anche 6 816 EUR per gli oneri sostenuti dinnanzi alla Corte. Non produce nessuna fattura, ma solamente una nota spese dettagliata, dattiloscritta e firmata dal suo avvocato sulla quale figura questo stesso importo. Afferma che, visto i suoi redditi modesti, non è stato ancora in grado di versargli questa somma.
38. Il Governo contesta queste pretese ed afferma che non sono debitamente giustificate.
39. La Corte ricorda che il sussidio degli oneri e delle spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si stabilisca la loro realtà, la loro necessità e, in più, il carattere ragionevole del loro tasso (Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 2000-XI).
40. Nello specifico, tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei suddetti criteri, la Corte giudica ragionevole assegnare al richiedente 500 EUR a questo titolo, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta.
C. Interessi moratori
41. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dalla durata eccessiva del procedimento ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 10 000 EUR (diecimila euro) per danno morale e 500 EUR (cinque cento euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto l’ 11 giugno 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Søren Nielsen Nina Vajić
Cancelliere Presidente

Testo Tradotto

PREMIÈRE SECTION
AFFAIRE STAMOULI c. GRÈCE
(Requête no 55862/07)
ARRÊT
STRASBOURG
11 juin 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Stamouli c. Grèce,
La Cour européenne des droits de l’homme (première section), siégeant en une chambre composée de :
Nina Vajić, présidente,
Christos Rozakis,
Khanlar Hajiyev,
Dean Spielmann,
Sverre Erik Jebens,
Giorgio Malinverni,
George Nicolaou, juges,
et de Søren Nielsen, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 19 mai 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 55862/07) dirigée contre la République hellénique et dont une ressortissante de cet Etat, Mme G. S. (« la requérante »), a saisi la Cour le 6 décembre 2007 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. La requérante est représentée par Mes L. P. et A. P., avocats au barreau d’Athènes. Le gouvernement grec (« le Gouvernement ») est représenté par les délégués de son agent, M. G. Kanellopoulos, assesseur auprès du Conseil juridique de l’Etat, et Mme S. Trekli, auditrice auprès du Conseil juridique de l’Etat.
3. Le 29 août 2008, la présidente de la première section a décidé de communiquer le grief tiré de la durée de la procédure au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
4. La requérante est née en 1935 et réside à Athènes.
5. Le 25 mai 1994, la requérante saisit le tribunal de première instance d’Athènes d’une action en dommages-intérêts contre l’hôpital public Ippokrateio, qui l’employait en tant que femme de ménage. Elle réclamait la somme de 73 248 euros environ au titre de salaires. Suite à un ajournement, l’audience eut lieu le 12 mai 1995.
6. Le 8 novembre 1995, le tribunal fit partiellement droit à la demande de la requérante (décision no 3880/1995). Cette décision fut mise au net le 23 août 1996.
7. Les 17 janvier et 2 juillet 1997 respectivement, l’hôpital et la requérante interjetèrent appel. L’audience eut lieu le 16 mars 1999.
8. Le 20 avril 1999, la cour d’appel d’Athènes infirma la décision attaquée et fit partiellement droit à l’action de la requérante, en augmentant légèrement le montant alloué en première instance (arrêt no 3110/1999). Cet arrêt fut notifié à la requérante le 14 octobre 1999.
9. Les 7 mars et 6 avril 2000 respectivement, la requérante et l’hôpital se pourvurent en cassation. L’audience eut lieu le 16 janvier 2001.
10. Le 15 juin 2001, la Cour de cassation rejeta le pourvoi de l’hôpital, fit droit à celui introduit par la requérante, cassa l’arrêt attaqué et renvoya l’affaire devant la cour d’appel, composée différemment (arrêt no 1141/2001).
11. Le 26 juin 2001, la requérante reprit l’instance devant la cour d’appel et demanda la fixation d’une date d’audience. Celle-ci eut lieu le 16 octobre 2001.
12. Le 20 décembre 2001, la cour d’appel d’Athènes déclara irrecevable l’appel de l’hôpital, faute pour lui de s’être présenté à l’audience, mais ne se prononça pas sur celui de la requérante (décision no 9451/2001). Cette décision n’étant pas définitive, il n’était pas loisible à la requérante de l’attaquer en cassation. Cette décision fut mise au net le 3 février 2004.
13. Le 25 juillet 2004, l’hôpital forma une opposition (ανακοπή ερημοδικίας) contre la décision susmentionnée.
14. Le 31 mai 2005, la cour d’appel fit droit à l’opposition de l’hôpital, infirma la décision no 9451/2001 et réduisit de façon significative le montant à allouer à la requérante (arrêt no 4479/2005).
15. Le 18 janvier 2006, la requérante se pourvut en cassation. L’audience eut lieu le 15 mai 2007.
16. Le 19 juin 2007, la Cour de cassation rejeta le pourvoi (arrêt no 1491/2007).
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
17. Les dispositions pertinentes du code de procédure civile se lisent ainsi :
Article 106
« Le tribunal agit uniquement à la demande d’une partie et décide sur la base des allégations soulevées par les parties (…) »
Article 108
« Les actes de procédure ont lieu à l’initiative et à la diligence des parties (…) »
Les articles susmentionnés consacrent respectivement les principes de la disposition de l’instance (αρχή διαθέσεως) et de l’initiative des parties (αρχή πρωτοβουλίας των διαδίκων). Selon le principe de la disposition de l’instance, la protection judiciaire dans le cadre des litiges civils est accordée seulement si elle est demandée par les parties, dans la mesure où elle l’est et si elle continue à l’être. Par ailleurs, selon le principe de l’initiative des parties, le progrès d’une procédure civile dépend entièrement de la diligence des parties (P. Yessiou-Faltsi, Civil Procedure in Hellas, éd. Sakkoulas-Kluwer, p. 45 et suiv.).
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION AU REGARD DE LA DURÉE DE LA PROCÉDURE
18. La requérante allègue que la durée de la procédure a méconnu le principe du « délai raisonnable » tel que prévu par l’article 6 § 1 de la Convention, ainsi libellé :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) dans un délai raisonnable, par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
19. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse, en soulignant que l’affaire donna lieu à six décisions judiciaires. Se référant en outre au code de procédure civile, qui laisse l’initiative de la procédure aux parties, le Gouvernement estime que la chronologie atteste de l’absence de diligence de la requérante en l’espèce, qui retarda de manière excessive la demande de fixation des dates d’audience.
20. La requérante affirme qu’aucun manque de diligence ne saurait lui être imputable.
A. Sur la recevabilité
21. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève en outre qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Période à prendre en considération
22. La période à considérer a débuté le 25 mai 1994, avec la saisine du tribunal de première instance d’Athènes, et s’est terminée le 19 juin 2007, avec l’arrêt no 1491/2007 de la Cour de cassation, soit une durée de plus de treize ans pour trois degrés de juridiction.
2. Caractère raisonnable de la durée de la procédure
23. La Cour rappelle que le caractère raisonnable de la durée d’une procédure s’apprécie suivant les circonstances de la cause et eu égard aux critères consacrés par sa jurisprudence, en particulier la complexité de l’affaire, le comportement du requérant et celui des autorités compétentes, ainsi que l’enjeu du litige pour les intéressés (voir, parmi beaucoup d’autres, Frydlender c. France [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
24. La Cour a traité à maintes reprises d’affaires soulevant des questions semblables à celle du cas d’espèce et a constaté la violation de l’article 6 § 1 de la Convention (voir Frydlender précité).
25. Après avoir examiné tous les éléments qui lui ont été soumis, la Cour considère que le Gouvernement n’a exposé aucun fait ni argument pouvant mener à une conclusion différente dans le cas présent. En particulier, la Cour relève qu’au sein des juridictions saisies, l’affaire a donné lieu à six arrêts, dont deux de la Cour de cassation, et admet que, de ce fait, une certaine complexité en découle. Toutefois, elle estime que cela ne suffit pas pour justifier la durée globale que connut la procédure. La Cour note, par ailleurs, que les parties sont responsables de certains retards dans la conduite de la première instance devant la cour d’appel. Cela étant, il n’en demeure pas moins que même si l’on déduit de la durée globale de la procédure lesdits retards, celle-ci demeure excessive.
26. La Cour réaffirme que même dans les systèmes juridiques consacrant le principe de la conduite du procès par les parties, l’attitude des intéressés ne dispense pas les juges d’assurer la célérité voulue par l’article 6 § 1 (Litoselitis c. Grèce, no 62771/00, § 30, 5 février 2004). Dès lors, compte tenu de sa jurisprudence en la matière, la Cour estime qu’en l’espèce la durée de la procédure litigieuse est excessive et ne répond pas à l’exigence du « délai raisonnable ».
Partant, il y a eu violation de l’article 6 § 1.
II. SUR LES AUTRES VIOLATIONS ALLÉGUÉES
27. Invoquant les articles 6 § 1 et 13 de la Convention, la requérante se plaint en outre de l’équité de la procédure. Elle affirme que les juridictions grecques ont commis des erreurs de fait et de droit qui ont privilégié la partie adverse. Invoquant l’article 1 du Protocole no 1, la requérante se plaint enfin d’une atteinte à son droit au respect de ses biens. Elle affirme avoir perdu son droit d’obtenir la totalité du montant qu’elle revendiquait au titre des dommages-intérêts.
Sur la recevabilité
28. La Cour rappelle qu’aux termes de l’article 19 de la Convention, elle a pour tâche d’assurer le respect des engagements résultant de la Convention pour les Parties contractantes. En particulier, il ne lui appartient pas de connaître des erreurs de fait ou de droit prétendument commises par une juridiction interne, sauf si et dans la mesure où elles pourraient avoir porté atteinte aux droits et libertés sauvegardés par la Convention (voir, notamment, García Ruiz c. Espagne [GC], no 30544/96, § 28, CEDH 1999-I). La Cour ne peut apprécier elle-même les éléments de fait ayant conduit une juridiction nationale à adopter telle décision plutôt que telle autre, sinon elle s’érigerait en juge de quatrième instance et elle méconnaîtrait les limites de sa mission (voir, mutatis mutandis, Kemmache c. France (no 3), 24 novembre 1994, § 44, série A no 296-C). La Cour a pour seule fonction, au regard de l’article 6 de la Convention, d’examiner les requêtes alléguant que les juridictions nationales ont méconnu des garanties procédurales spécifiques énoncées par cette disposition ou que la conduite de la procédure dans son ensemble n’a pas garanti un procès équitable au requérant (voir, parmi beaucoup d’autres, Donadzé c. Géorgie, no 74644/01, §§ 30-31, 7 mars 2006).
29. En l’occurrence, rien ne permet de penser que la procédure, au cours de laquelle la requérante a pu présenter tous ses arguments, n’a pas été équitable. La Cour ne décèle en effet aucun indice d’arbitraire dans la conduite du procès ni de violation des droits procéduraux de l’intéressée. Eu égard à ce constat, la Cour n’estime pas nécessaire de se placer de surcroît sur le terrain de l’article 13 ; les exigences de ce dernier sont en effet moins strictes que celles de l’article 6 § 1 et absorbées par elles en l’espèce (voir, entre autres, Sporrong et Lönnroth c. Suède, 23 septembre 1982, § 88, série A no 52).
30. Par ailleurs, la Cour estime que la prétendue créance de la requérante ne peut passer pour un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1, puisque elle n’a pas été constatée par une décision judiciaire ayant force de chose jugée. Telle est pourtant la condition pour qu’une créance soit certaine et exigible et, partant, protégée par l’article 1 du Protocole no 1 (voir, parmi d’autres, Raffineries Grecques Stran et Stratis Andreadis c. Grèce, 9 décembre 1994, § 59, série A, no 301-B).
31. En particulier, la Cour note que, tant que son affaire était pendante devant les juridictions internes, son action ne faisait naître, dans le chef de la requérante, aucun droit de créance, mais uniquement l’éventualité d’obtenir pareille créance. Dès lors, les arrêts ayant rejeté en partie sa demande n’ont pu avoir pour effet de la priver d’un bien dont elle était propriétaire.
32. Il s’ensuit que cette partie de la requête est manifestement mal fondée et doit être rejetée en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
33. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
34. La requérante réclame 18 223 euros (EUR) au titre du préjudice matériel. Cette somme correspond à la différence entre la somme qu’elle revendiqua dans son action et celle qui lui fut allouée par les juridictions saisies. Elle réclame en outre 10 000 EUR au titre du dommage moral qu’elle aurait subi.
35. Le Gouvernement invite la Cour à écarter la demande au titre du dommage matériel. Il affirme en outre qu’un constat de violation constituerait en soi une satisfaction équitable suffisante au titre du dommage moral. A titre alternatif, il affirme que la somme allouée à ce titre ne saurait dépasser 3 500 EUR.
36. La Cour rappelle que le constat de violation de la Convention auquel elle est parvenue résulte exclusivement d’une méconnaissance du droit de l’intéressée à voir sa cause entendue dans un « délai raisonnable ». Dans ces conditions, elle n’aperçoit pas de lien de causalité entre la violation constatée et un quelconque dommage matériel dont la requérante aurait eu à souffrir ; il y a donc lieu de rejeter cet aspect de ses prétentions. En revanche, la Cour estime que la requérante a subi un tort moral certain que ne compense pas suffisamment le constat de violation de la Convention. Statuant en équité, elle lui accorde 10 000 EUR à ce titre, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt.
B. Frais et dépens
37. La requérante demande également 6 816 EUR pour les frais engagés devant la Cour. Elle ne produit aucune facture, mais seulement une note de frais détaillée, dactylographiée et signée par son avocat, sur laquelle figure ce même montant. Elle affirme que, vu ses revenus modestes, elle n’a pas encore été en mesure de lui verser cette somme.
38. Le Gouvernement conteste ces prétentions et affirme qu’elles ne sont pas dûment justifiées.
39. La Cour rappelle que l’allocation de frais et dépens au titre de l’article 41 présuppose que se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et, de plus, le caractère raisonnable de leur taux (Iatridis c. Grèce [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 2000-XI).
40. En l’espèce, compte tenu des éléments en sa possession et des critères susmentionnés, la Cour juge raisonnable d’allouer à la requérante 500 EUR à ce titre, plus tout montant pouvant être dû par elle à titre d’impôt.
C. Intérêts moratoires
41. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant au grief tiré de la durée excessive de la procédure et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;
3. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser à la requérante, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 10 000 EUR (dix mille euros) pour dommage moral et 500 EUR (cinq cents euros) pour frais et dépens, plus tout montant pouvant être dû par elle à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 11 juin 2009, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Søren Nielsen Nina Vajić
Greffier Présidente

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