SECONDA SEZIONE
CAUSA SOTIRA C. ITALIA
( Richiesta no 16508/05)
SENTENZA
STRASBURGO
8 gennaio 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Sotira c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e di Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 2 dicembre 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 16508/05) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. G. S. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 2 maggio 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato dal Sig. G. B., avvocato a Benevento. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora e dal suo coagente aggiunto, N. Lettieri.
3. Il 12 aprile 2006, il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
4. Il Governo ha depositato delle osservazioni sull’ammissibilità e la fondatezza della richiesta, ma non il richiedente. Con una lettera del 19 settembre 2007, questo ultimo ha informato la cancelleria che desiderava mantenere la sua richiesta dinnanzi alla Corte.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1950 e ha risieduto a Roccella Jonica.
6. Il richiedente era il proprietario di un terreno edificabile ubicato a Roccella Jonica e registrato al catasto, foglio 40, appezzamento 30.
7. Con un’ordinanza del 5 dicembre 1979, la municipalità di Roccella Jonica approvò il progetto di costruzione di una strada sul terreno del richiedente.
8. Con un’ordinanza del 2 maggio 1980, il sindaco di Roccella Jonica ordinò l’occupazione d’emergenza di una parte di questo terreno, ossia 730 metri quadrati, in vista della sua espropriazione, per procedere alla costruzione della strada.
9. Il 30 maggio 1980, l’amministrazione procedette all’occupazione materiale del terreno ed iniziò i lavori di costruzione.
10. Con un atto di citazione notificato il 15 ottobre 1988, il richiedente introdusse dinnanzi al tribunale di Locri un’azione per danno-interessi contro la municipalità di Roccella Jonica. Faceva valere che l’occupazione del terreno era illegale, dato che questa era proseguita al di là del periodo autorizzato, senza la messa in opera di un procedimento di espropriazione e versamento di un’indennità. Alla luce di queste considerazioni, chiedeva un risarcimento per la perdita del terreno.
11. Durante il processo, una perizia fu depositata alla cancelleria. Il perito dichiarò che la parte del terreno occupato aveva un’estensione globale di 784 metri quadrati e che il suo valore venale nel 1989 era di 67 500 000 ITL ,o circa 34 860 EUR.
12. Con un giudizio depositato alla cancelleria il 27 marzo 1992, il tribunale dichiarò che il richiedente era stato privato del suo terreno per effetto della trasformazione irreversibile di questo, in virtù del principio dell’espropriazione indiretta. Alla luce di queste considerazioni, il tribunale condannò la municipalità a versare al richiedente una somma uguale al valore venale del terreno nel 1989 rivalutata al giorno della decisione, o 76 636 000 ITL, o 39 579 EUR, più interessi.
13. Con un atto notificato il 12 giugno 1992, la municipalità di Roccella Jonica interpose appello a questo giudizio dinnanzi alla corte di appello di Reggio Calabria.
14. Durante il processo, una perizia fu depositata alla cancelleria. Il perito dichiarò da prima che la parte del terreno occupato aveva un’estensione globale di 730 metri quadrati. Valutò a 83 920 000 ITL, o 43 341 EUR, il valore venale di questo terreno nel 2001 ed a 46 267 983 ITL, o 23 900 EUR, l’importo dell’indennità calcolata ai termini della legge no 662 del 1996 e rivalutata al 2001.
15. Con una sentenza del 14 luglio 2003, depositata alla cancelleria il 19 settembre 2003, la corte di appello di Reggio Calabria dichiarò che l’occupazione del terreno, inizialmente autorizzata, era diventata illegale a partire dal 1985 e che a partire da questa ultima data la proprietà del terreno era stata trasferita in virtù del principio dell’espropriazione indiretta. Alla luce di queste considerazioni, la corte di appello condannò la municipalità a versare al richiedente la somma di 12 471,51 EUR, più interessi e rivalutazione, a titolo di risarcimento per la perdita del terreno calcolato ai termini della legge no 662 del 1996.
16. Secondo il richiedente, questa sentenza acquisì forza di cosa giudicata il 3 novembre 2004. In compenso, il Governo afferma che suddetta sentenza acquisì autorità di cosa giudicata il 1 novembre 2004.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNI PERTINENTI
17. Il diritto interno pertinente è descritto nelal sentenza Scordino c. Italia (no 3), no 43662/98, §§ 30-60, 17 maggio 2005.
18. Con la sentenza no 349 del 22 ottobre 2007, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’articolo 5bis del decreto no 333 del 1992, come modificato dalla legge no 662 del 1996, in quanto ai criteri utilizzati per calcolare l’importo dell’indennizzo. La Corte costituzionale ha indicato anche al legislatore i criteri da prendere in conto per un’eventuale nuova legge, facendo riferimento al valore venale del bene.
19. La legge finanziaria no 244 del 24 dicembre 2007 ha stabilito che l’indennità di espropriazione per un terreno edificabile deve corrispondere al valore venale del bene. Quando l’espropriazione rientra nella cornice di una riforma economica e sociale, una riduzione del 25% sarà applicata. Questa disposizione è applicabile a tutti i procedimenti di espropriazione in corso al 1 gennaio 2008, salvo quelli in cui la decisione sull’indennità di espropriazione è stata accettata o è diventata definitiva.
IN DIRITTO
I. SULL’ECCEZIONE PRELIMINARE DEL GOVERNO
20. Il Governo sostiene che la richiesta è tardiva. Afferma che la sentenza della corte di appello di Reggio Calabria fu depositata alla cancelleria il 17 settembre 2003 e che, di conseguenza, acquisì autorità di cosa giudicata il 1 novembre 2004. Ora, essendo stata introdotta la richiesta il 2 maggio 2005, il termine di sei mesi previsto dall’articolo 35 della Convenzione non è stato rispettato.
21. Nel formulario di richiesta, il richiedente afferma che la data in cui la sentenza della corte di appello diventò definitiva è il 3 novembre 2004.
22. La Corte ricorda che in virtù dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, può essere investita di una causa solo “entro sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva” cioè dall’atto che chiude il processo di “esaurimento delle vie di ricorso interni”, ai sensi della stessa disposizione (Kadiÿis c. Lettonia (no 2) (déc.), no 62393/00, 25 settembre 2003). Inoltre, una decisione è definitiva se è passata in forza di cosa giudicata. Tale è il caso in cui è irrevocabile, cioè quando non è suscettibile di vie di ricorso ordinarie (mutatis mutandis, Nikitine c. Russia, no 50178/99, § 37, CEDH 2004-VIII).
23. Constata che le parti si accordano per dire che “la decisione interna definitiva” è la sentenza della corte di appello di Reggio Calabria del 14 luglio 2003, depositata alla cancelleria il 17 settembre 2003. In compenso, non si accordano in quanto alla data in cui suddetta decisione acquisì autorità di cosa giudicata.
24. La Corte osserva che, secondo le regole procedurali italiane, una sentenza che non è stata notificato non ́può più essere attaccata se è passato più di un anno dalla data di pubblicazione della sentenza, ossia la data del deposito alla cancelleria (articolo 327 del codice di procedura civile). A questo termine, egli decide di aggiungere quarantacinque giorni corrispondenti al periodo di vacanza giudiziale. La Corte ricorda anche che quando il termine per attaccare una decisione giudiziale coincide con un giorno non lavorativo, il termine è prorogato automaticamente al primo giorno lavorativo seguente (articolo 155 del codice di procedura civile). Infine, la legge no 260 del 1949 include il 1 novembre, giorno di Ognissanti, tra i giorni festivi ufficialmente riconosciuti.
25. Il Governo afferma che la sentenza controversa acquisì la forza della cosa giudicata il 1 novembre 2004. Ora, poiché questo giorno corrisponde ad un giorno non lavorativo ufficialmente riconosciuto, il termine per attaccare la sentenza era prorogato al più tardi al 2 novembre 2004.
26. Di conseguenza, essendo il dies a quo del termine di sei mesi il 2 novembre 2004, la richiesta, introdotta il 2 maggio 2005, non è tardiva. Pertanto, l’eccezione preliminare del Governo non può essere accolta.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
27. Il richiedente si lamenta di essere stato privato del suo terreno in modo incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo no 1 che si legge così:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
28. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
29. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Tesi delle parti
30. Il richiedente afferma che è stato privato del suo bene in virtù del principio dei espropriazione indiretta e chiede alla Corte di dichiarare che l’espropriazione del terreno non è conforme al principio di legalità. Riferendosi alle sentenze Belvedere Alberghiera c. Italia, (no 31524/96, CEDH 2000-VI) e Carbonara e Ventura c. Italia, (no 24638/94, 30 maggio 2000, CEDH 2000-VI) osserva che l’espropriazione indiretta è un meccanismo che permette all’autorità pubblica di acquisire un bene in tutta illegalità, il che non è ammissibile in un Stato di diritto.
31. Infine, in quanto all’indennizzo, il richiedente osserva che non c’è stato “risarcimento” del danno subito in ragione dell’applicazione della legge no 662 del 1996.
32. Il Governo fa osservare che, nel caso di specifico, si tratta di un’occupazione di terreno nella cornice di un procedimento amministrativo che si fonda su una dichiarazione di utilità pubblica. Ammette che il procedimento di espropriazione non è stato messo in opera nei termini previsti dalla legge, nella misura in cui nessuna ordinanza di espropriazione è stata adottata.
33. Primariamente, ci sarebbe utilità pubblica, il che non è stato rimesso in causa dalle giurisdizioni nazionali.
34. Secondariamente, la privazione del bene come risulta dall’espropriazione indiretta sarebbe “contemplata dalla legge.” Secondo il Governo, il principio dell’espropriazione indiretta deve essere considerato come facente parte del diritto positivo a contare al più tardi dalla sentenza della Corte di cassazione no 1464 del 1983. L’ ulteriore giurisprudenza avrebbe confermato questo principio ed avrebbe precisato certi aspetti della sua applicazione e, inoltre, questo principio sarebbe stato riconosciuto dalla legge no 458 del 27 ottobre 1988 e dalla legge di bilancio no 662 del 1996.
35. Il Governo conclude che a partire dal 1983, le regole dell’espropriazione indiretta erano perfettamente prevedibili, chiare ed accessibili a tutti i proprietari di terreni.
36. Il Governo definisce l’espropriazione indiretta come il risultato di un’interpretazione sistematica di principi esistenti, tendente a garantire che l’interesse generale prevalga sull’interesse degli individui, quando il lavoro pubblico è stato realizzato e questo risponde all’utilità pubblica.
37. In quanto all’esigenza di garantire un giusto equilibrio tra i sacrifici imposti agli individui ed il compenso concesso a questi, il Governo riconosce che l’amministrazione è tenuta ad indennizzare gli interessati.
38. Tenuto conto del fatto che l’espropriazione indiretta risponde ad un interesse collettivo e che l’illegalità commessa dall’amministrazione riguarda solamente la forma, ossia una trasgressione alle regole che regolano il procedimento amministrativo, l’indennizzo può essere inferiore al danno subito.
39. La determinazione dell’importo dell’indennità in causa rientra nel margine di valutazione lasciata agli Stati per fissare un indennizzo che sia ragionevolmente in rapporto col valore del bene. Il Governo ricorda inoltre che l’indennità come plafonata dalla legge in causa è in ogni caso superiore a quella che sarebbe stata accordata se l’espropriazione fosse stata regolare.
2. Valutazione della Corte
a) Sull’esistenza di un’ingerenza
40. Le parti si accordano nel dire che c’è stata “privazione della proprietà”
41. La Corte ricorda che, per determinare se c’è stata “privazione di beni”, bisogna esaminare non solo se ci sono state spodestamento o espropriazione formale, ma ancora guardare al di là delle apparenze ed analizzare la realtà della situazione controversa. Mirando la Convenzione a proteggere dei diritti “concreti ed effettivi”, importa ricercare se suddetta situazione è equivalsa ad un’espropriazione di fatto (Sporrong e Lönnroth c. Svezia, sentenza del 23 settembre 1982, serie A no 52, pp. 24-25, § 63).
42. La Corte rileva che, applicando il principio dell’espropriazione indiretta, il tribunale di Frosinone ha considerato i richiedenti come privati del loro bene a contare dal momento in cui il terreno era stato trasformato irreversibilmente dai lavori pubblici. A difetto di un atto formale di espropriazione, la constatazione di illegalità da parte del giudice è l’elemento che consacra il trasferimento al patrimonio pubblico del bene occupato. In queste circostanze, la Corte conclude che il giudizio del tribunale ha avuto per effetto di privare i richiedenti del loro bene al senso della seconda frase dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Carbonara e Ventura precitata, § 61; Brumărescu c. Romania [GC], no 28342/95, § 77, CEDH 1999-VII).
43. Per essere compatibile con l’articolo 1 del Protocollo no 1, tale ingerenza deve essere operata “a causa di utilità pubblica” e “nelle condizioni previste dalla legge ed i principi generali di diritto internazionale.” L’ingerenza deve predisporre un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (Sporrong e Lönnroth, precitata, p. 26, § 69). Inoltre, la necessità di esaminare la questione del giusto equilibrio può farsi “sentire solo quando si è rivelato che l’ingerenza controversa ha rispettato il principio di legalità e non era arbitraria” (Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 58, CEDH 1999-II; Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, § 107, CEDH 2000-I).
44. Quindi, la Corte non stima opportuno fondare il suo ragionamento sulla semplice constatazione che un risarcimento integrale a favore dei richiedenti non ha avuto luogo (Carbonara, precitata, § 62).
b) Sul rispetto del principio di legalità
45. La Corte rinvia alla sua giurisprudenza in materia di espropriazione indiretta (Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, no 31524/96, CEDH 2000-VI; Carbonara e Ventura c. Italia, no 24638/94, CEDH 2000-VI; tra le sentenze più recenti, vedere Acciardi e Campagna c. Italia, no 41040/98, 19 maggio 2005; Pasculli c. Italia, no 36818/97, 17 maggio 2005; Scordino c. Italia (no 3), no 43662/98, 17 maggio 2005; Serrao c. Italia, no 67198/01, 13 ottobre 2005; Il Rosa ed Alba c. Italia (no 1), no 58119/00, 11 ottobre 2005; Chirò c. Italia (no 4), no 67196/01, 11 ottobre 2005) secondo cui l’espropriazione indiretta ignora il principio di legalità al motivo che non è atta a garantire un grado sufficiente di sicurezza giuridica e che permette in generale all’amministrazione di passare oltre alle regole fissate in materia di espropriazione. L’espropriazione indiretta mira difatti, in ogni caso, ad interinare una situazione di fatto che deriva dalle illegalità commesse dall’amministrazione ed a regolare le conseguenze per l’individuo e per l’amministrazione, a favore di questa.
46. Nella presente causa, la Corte rileva che applicando il principio dell’espropriazione indiretta, il tribunale ha considerato che il richiedente era stato privato del suo bene a contare dal momento in cui l’occupazione aveva smesso di essere autorizzata, essendo riunite le condizioni di illegalità dell’occupazione e di interesse pubblico del lavoro costruito. Ora, in mancanza di un atto formale di espropriazione, la Corte stima che questa situazione non potrebbe essere considerata come “prevedibile”, poiché è solamente con la decisione giudiziale definitiva che si può considerare il principio dell’espropriazione indiretta come applicato effettivamente e che l’acquisizione del terreno tramite patrimonio pubblico è stata consacrata. Di conseguenza, il richiedente ha avuto la “sicurezza giuridica” concernente la privazione del terreno solo il 2 novembre 2003, data in cui la sentenza della corte di appello di Reggio Calabria è diventata definitiva.
47. La Corte osserva poi che la situazione in causa ha permesso all’amministrazione di derivare partito da un’occupazione di terreno illegale. In altri termini, l’amministrazione si è potuta appropriare del terreno a disprezzo delle regole che regolano l’espropriazione in buona e dovuta forma e, tra l’altro, senza che in compenso, un’indennità venisse messa a disposizione dell’interessato.
48. Trattandosi dell’indennità, la Corte constata che l’applicazione della legge no 662 del 1996 ha avuto per effetto di privare il richiedente di un risarcimento integrale del danno subito.
49. Alla luce di queste considerazioni, la Corte stima che l’ingerenza controversa non è compatibile col principio di legalità e che dunque ha infranto il diritto al rispetto dei beni del richiedente.
50. Quindi, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
51. Il richiedente afferma di avere subito un danno nella misura in cui la legge no 662 del 23 dicembre 1996 è stata applicata al suo procedimento.
52. La Corte ricorda che all’epoca della comunicazione della causa, ha stimato che il richiedente si lamenta in sostanza di un difetto del suo diritto ad un processo equo come garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nei suoi passaggi pertinenti, dispone:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa venga equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Sull’ammissibilità
53. La Corte rileva che questo motivo di appello è legato a quello esaminato sopra e deve essere dichiarato dunque anche ammissibile.
B. Sul merito
54. Il Governo fa valere che l’applicazione al caso di specifico del criterio di valutazione del risarcimento introdotto dalla legge no 662 del 1996 non avrebbe costituito un ostacolo all’esigenza di garantire un giusto equilibrio tra il sacrificio imposto all’individuo ed il compenso concesso a questo.
55. La Corte ha appena constatato, sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, che la situazione denunciata dal richiedente non è conforme al principio di legalità. Avuto riguardo ai motivi che hanno portato la Corte a questa constatazione di violazione (paragrafi 45 a 50 sopra) la Corte stima che non c’è luogo di esaminare separatamente se c’è stata, nello specifico, violazione dell’articolo 6 § 1 (vedere, a contrario, Scordino c. Italia (no 1) [GC], no 36813/97, §§ 103-104 e §§ 132-133, CEDH 2006; Velocci c. Italia, no 1717/03, § 50, 18 marzo 2008).
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
56. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
57. Il richiedente non ha fatto domanda di soddisfazione equa nel termine che gli era stato assegnato a questo fine, ossia il 20 settembre 2006. La Corte osserva che il richiedente ha presentato le sue istanze di soddisfazione equa il 19 settembre 2007 e che è stato informato, con una lettera del 31 ottobre 2007 che suddette istanze non sarebbero state versate alla pratica in ragione della loro tardività.
Pertanto, la Corte stima che non c’è luogo di concedere alcuna somma a titolo dell’articolo 41 (Willekens c. Belgio, no 50859/99, § 27, 24 aprile 2003; Di Giacomo c. Italia, no 25522/03, § 35, 24 gennaio 2008).
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare il motivo di appello tratto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto l’ 8 gennaio 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Présidente