SECONDA SEZIONE
CAUSA SOLTANA C. ITALIA
( Richiesta no 37336/06)
SENTENZA
STRASBURGO
24 marzo 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Soltana c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e di Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 3 marzo 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 37336/06) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino tunisino, il Sig. M B.S. S. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 19 settembre 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da S. C. e B. M, avvocati a Milano. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora e dal suo co-agente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il richiedente adduce che il collocamento in esecuzione della decisione di espellerlo verso la Tunisia violerebbe gli articoli 3 e 8 della Convenzione e che questa decisione non si fondava su dei motivi di sicurezza nazionale.
4. L’8 novembre 2006, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la Camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità e sul merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1973 e ha risieduto a Milano.
A. I perseguimenti e l’ordinanza d’espulsione contro il richiedente
6. Dal 1989, il richiedente risiede con sua moglie in Italia, dove dirige una società che impiega quindici salariati. Il richiedente e sua moglie sono titolari di titoli di soggiorno regolari. I quattro bambini della coppia sono nati in Italia.
7. Il 1 settembre 2006, il ministro delle Cause interne ordinò l’espulsione del richiedente. Osservò che risultava dalla pratica dell’interessato che si era imbarcato in una “intensa attività di proselitismo” nella cornice di organizzazioni aventi per oggetto di sostenere i membri di “unità integraliste islamiche presenti in Italia ed all’estero.” L’ordinanza di sfratto fu presa in virtù del decreto-legge no 144 del 27 luglio 2005.
8. Il 12 settembre 2006, la polizia fermò il richiedente a casa sua a Budrio (Bologna) e lo portò al centro di detenzione provvisoria di Milano, in vista dell’esecuzione dell’ordinanza d’espulsione.
9. Il 14 settembre 2006, il giudice conciliatore di Milano convalidò suddetta ordinanza.
10. Lo stesso giorno, il richiedente chiese la concessione dello statuto di profugo. Fece valere da una parte che aveva un permesso di soggiorno in Italia e che non era stato mai condannato, e dall’ altra parte che un procedimento penale era pendente a suo carico, che non era stato posto in detenzione provvisoria, e che desiderava difendersi ai dibattimenti. Addusse peraltro che rischierebbe, in Tunisia, di essere sottomesso a trattamenti disumani, perché tale era la sorte di tutti quelli che erano sospettati di terrorismo.
11. Con una decisione del 15 settembre 2006, il prefetto (Questore) di Milano dichiarò inammissibile l’istanza di concessione dello statuto di profugo, osservando che ai termini degli articoli 2 § 2 del decreto presidenziale no 303 di 2004 e 1 § 4 d, della legge no 39 del 1990, ogni istanza presentata da uno straniero pericoloso per la sicurezza dello stato doveva essere allontanata.
12. Risulta dalla pratica che il richiedente era stato accusato di appartenere ad un’organizzazione terroristica integralista. Nella cornice del procedimento, la procura aveva chiesto il suo collocamento in detenzione provvisoria. Con un’ordinanza dell’ 11 aprile 2006, il giudice delle investigazioni preliminari (“il GIP”) di Bologna aveva respinto questa istanza, alla vista della mancanza di “indizi gravi [della] colpevolezza” del richiedente.
13. La procura aveva interposto appello.
14. Con un’ordinanza del 27 giugno 2006, la camera del tribunale di Bologna incaricata di riesaminare le misure di precauzione (“la camera specializzata”) confermò la decisione del GIP. Osservò che non era provato che i profitti provenienti dai furti e dalle violazioni delle leggi sull’immigrazione commessa dagli imputati fossero stati utilizzati per finanziare o sostenere la propagazione di idee integraliste radicali, e che non era neanche stabilito che gli imputati avessero creato un’associazione avente per oggetto l’appoggio alla perpetrazione di atti di terrorismo. Ammise che risultava da intercettazioni telefoniche che gli imputati erano degli islamici radicali; ma rilevò che soli alcuni di loro avevano espresso l’opinione che il momento di immolarsi per la guerra santa era venuto, e che non c’era nessuna prova dell’esistenza di contatti tra gli imputati e delle organizzazioni che nutrivano dei progetti concreti della Jihad contro l’occidente.
15. Secondo la camera specializzata, anche se dei gravi indizi di colpevolezza di istigazione al crimine (istigazione a commettere reati) pesavano sul richiedente, si trattava di fatti risalenti al 2002 per cui non era necessario applicare una misura di precauzione.
16. Il richiedente ha informato la Corte che il consolato della Tunisia in Italia ha negato di rinnovare il suo passaporto.
17. Secondo le informazione fornite dal richiedente il 18 settembre 2006, la data della sua espulsione non è stata ancora fissata, ma in diritto italiano, l’ordinanza del ministro delle Cause interne può essere eseguita in ogni momento.
18. Su richiesta del richiedente, il presidente della terza sezione ha deciso, il 6 novembre 2006, di indicare al governo italiano, in applicazione dell’articolo 39 dell’ordinamento della Corte, che era auspicabile, nell’interesse delle parti e del buono svolgimento del procedimento dinnanzi alla Corte, di non espellere il richiedente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. Ha chiamato l’attenzione del Governo sul fatto che, quando un Stato contraente non si conforma ad una misura indicata a titolo dell’articolo 39 dell’ordinamento, ciò può provocare una violazione dell’articolo 34 della Convenzione (vedere Mamatkoulov ed Askarov c. Turchia [GC], numeri 46827/99 e 46951/99, §§ 128-129 e punto 5 del dispositivo, CEDH 2005-I).
B. Le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità italiane
19. Il 29 agosto 2008, l’ambasciata dell’Italia a Tunisi indirizzò al ministero tunisino delle Cause estere la nota verbale (no 3124) seguente:
“L’ambasciata dell’Italia presenta i suoi complimenti al ministero delle Cause Estere e si riferisce alle sue proprie note verbali no 2738 del 21 luglio e no 2911 del 6 agosto scorsi ed alla visita in Tunisia della delegazione tecnica dei rappresentanti dei ministeri italiani dell’interno e della Giustizia, tenutasi il 24 luglio scorso, concernente un esame dei procedimenti da seguire a proposito dei ricorsi pendenti della Corte europea dei diritti dell’uomo, presentato dai cittadini tunisini, che sono stati o che potrebbero essere oggetto di decreti di espulsione.
L’ambasciata dell’Italia ringrazia il ministero delle Cause Estere per la nota verbale DGAC no 011998 del 26 agosto scorso e tramite questo il ministero della Giustizia e dei diritti dell’uomo per la concreta collaborazione espressa per il caso del Sig. E. S. B. K..
Conformemente a ciò che era stato convenuto all’epoca della riunione del 24 luglio, le autorità italiane hanno l’onore di sottoporre qui di seguito tramite via diplomatica la loro richiesta di elementi addizionali specifici che si rivelano necessari nel contenzioso in corso dinnanzi alla Corte di Strasburgo tra l’Italia ed i cittadini tunisine citati qui sotto: (…)
A questo effetto, l’ambasciata dell’Italia ha l’onore di chiedere al ministero delle Cause Estere di volere cortesemente investire le autorità tunisine competenti affinché possano fornire tramite via diplomatica le assicurazioni specifiche su ciascuno di questi ricorrenti che si riferiscono ai seguenti argomenti:
– in caso di espulsione verso la Tunisia del ricorrente le cui generalità saranno specificate, non sarà sottomesso a torture né a pene o trattamenti disumani o degradanti;
– che possa essere giudicato da un tribunale indipendente ed imparziale, secondo i procedimenti che, nell’insieme, saranno conformi ai principi di un processo equo e pubblico;
– che possa, durante la sua detenzione, ricevere le visite dei suoi avvocati ivi compreso quello italiano che lo rappresenta nel processo dinnanzi alla Corte di Strasburgo, così come dei membri della sua famiglia e di un medico.
Poiché la scadenza per la presentazione delle osservazioni del governo italiano a Strasburgo per suddetto caso è fissata al 19 settembre prossimo, l’ambasciata dell’Italia sarebbe grata al ministero delle Cause Estere di volere cortesemente farle giungere al più presto gli elementi richiesti, fondamentali per la strategia della difesa del governo italiano e suggerisce che la Sig.ra C., primo segretario [dell’] ambasciata, possa recarsi al ministero della Giustizia e dei diritti dell’uomo per fornire ogni delucidazione opportuna.
L’ambasciata dell’Italia sarebbe inoltre grata al ministero delle Cause Estere di volere cortesemente verificare se le autorità tunisine competenti giudicano opportuno che il governo tunisino partecipi, per suddetto ricorso, ai procedimenti dinnanzi alla Corte di Strasburgo, in quanto terzo, e questo, conformemente agli articoli 36 [della Convenzione], 44 dell’ordinamento della Corte [e] A1 paragrafo 2 dell’allegato all’ordinamento.
L’ambasciata dell’Italia ringrazia in anticipo il ministero delle Cause Estere per l’attenzione che sarà riservata alla presente nota ed coglie l’occasione per rinnovargli le assicurazioni della sua alta considerazione. ”
20. Il 5 novembre 2008, le autorità tunisine fecero pervenire la loro risposta, firmata dall’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziali. Nelle sue parti pertinenti, questa risposta si legge come segue:
“Nella sua nota verbale in data del 29 agosto 2008, come completata dalla sua nota verbale datata del 4 settembre 2008, l’ambasciata dell’Italia a Tunisi ha sollecitato, dalle autorità tunisine, le assicurazioni, qui di seguito enumerate, concernente i cittadini tunisini M. S. [ed altri] se venissero ad essere espulsi verso la Tunisia.
I. Le autorità tunisine sottolineano, innanzitutto, che li denominati M. S. [ed altri] non sono oggetto, attualmente, di perseguimenti giudiziali in Tunisia. La giustizia tunisina, non avendo nessuna cognizione della loro eventuale implicazione in fatti delittuosi, non ha intentato a loro carico perseguimenti penali.
Non essendo sotto l’influenza di nessuna condanna o perseguimenti penali, gli interessati beneficiano, come ogni cittadino tunisino, e sullo stesso piano di uguaglianza, di tutti i diritti che sono riconosciuti loro dalla costituzione tunisina il cui articolo 6 dispone che “tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Sono uguali dinnanzi alla legge.” L’articolo 7 della Costituzione aggiunge che “esercitano la pienezza dei loro diritti nelle forme e condizioni previste dalla legge.” (…)
1. La garanzia del rispetto della dignità degli interessati:
Il rispetto della dignità degli interessati è garantito, la sua origine risiede nel principio del rispetto della dignità di ogni persona qualunque sia lo stato in cui si trova, principio fondamentale riconosciuto dal diritto tunisino e garantito per ogni persona e più particolarmente per i detenuti il cui statuto è regolamentato minuziosamente.
È a questo riguardo utile ricordare che l’articolo 13 della Costituzione tunisina dispone nel suo capoverso 2 che “ogni individuo che ha perso la sua libertà è trattato umanamente, nel rispetto della sua dignità.”
La Tunisia ha ratificato peraltro senza nessuna riserva la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti. Ha riconosciuto così la competenza del comitato contro la tortura per ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate da o per conto di individui che dipendono dalla sua giurisdizione che pretendono essere vittime di violazione delle disposizioni della Convenzione (ratifica con la legge no 88-79 del 11 luglio 1988. Gazzetta ufficiale della Repubblica tunisina no 48 del 12-15 luglio 1988 (pagina 1035).
Le disposizioni di suddetta Convenzione sono state trasposte in diritto interno, l’articolo 101 bis del codice penale definisce la tortura come “ogni atto con cui un dolore o delle sofferenze acute, fisiche o mentali, sono inflitte intenzionalmente in particolare ad una persona ai fini di ottenere da lei o da una terza persona delle informazioni o delle confessioni, di punirla di un atto che lei o una terza persona ha commesso o è sospettata di avere commesso, di intimidirla o di fare pressione su una terza persona, o quando il dolore o le sofferenze acute sono inflitte per ogni altro motivo fondato su una forma di discriminazione [qualunque] sia.”
Il legislatore ha contemplato delle pene severe per questo genere di violazioni, così l’articolo 101 bis sopra citato dispone che è punito con una detenzione di otto anni il funzionario o assimilato che sottopone una persona alla tortura e questo, nell’esercizio o in occasione dell’esercizio delle sue funzioni.”
È da segnalare che la custodia preventiva è, secondo l’articolo 12 della Costituzione, sottoposta al controllo giudiziale e che si può procedere al carcere preventivo solo su ordine giurisdizionale. È vietato sottoporre chiunque ad una detenzione arbitraria. Parecchi garanzie accompagnano il procedimento della custodia preventiva e tendono a garantire il rispetto dell’integrità fisica e morale del detenuto tra cui in particolare:
– Il diritto della persona in custodia preventiva di informare, fin dal suo arresto, i membri della sua famiglia.
– Il diritto di chiedere durante il termine della custodia preventiva o alla sua scadenza di essere sottomessi ad un esame medico. Questo diritto può essere esercitato all’occorrenza dai membri della famiglia.
– La durata del carcere preventivo è regolamentata, il suo prolungamento è eccezionale e deve essere motivato dal giudice.
C’è luogo anche di notare che [la] legge del 14 maggio 2001 relativa all’organizzazione delle prigioni dispone nel suo articolo primo che ha per obiettivo di regolare “le condizioni di detenzione nelle prigioni preventiva di garantire l’integrità fisica e morale del detenuto, di prepararlo alla vita libera e di aiutare al suo reinserimento. “
Questo dispositivo legislativo è rinforzato dal collocamento in posto di un sistema di controllo destinato a garantire il rispetto effettivo della dignità dei detenuti. Si tratta di parecchi tipi di controlli effettuati da diversi organi ed istituzioni:
– C’è da prima un controllo giudiziale assicurato dal giudice di esecuzione delle pene tenuto, secondo i termini dell’articolo 342-3 del codice di procedura penale tunisino, [a] visitare la struttura penitenziaria che dipende dalla sua giurisdizione per prendere cognizione delle condizioni dei detenuti, queste visite sono in pratica effettuate in media nell’ordine di due volte alla settimana.
– C’è poi il controllo effettuato dal comitato superiore dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il presidente di questa istituzione nazionale indipendente può effettuare delle visite inopinate alle strutture penitenziarie per informarsi dello stato e delle condizioni dei detenuti.
– C’è anche il controllo amministrativo interno effettuato dai servizi dell’ispezione generale del ministero della Giustizia e dei diritti dell’uomo e l’ispezione generale che dipende dalla direzione generale delle prigioni e della rieducazione. È da notare in questa cornice che l’amministrazione penitenziaria dipende dal ministero della Giustizia e che gli ispettori di suddetto ministero sono dei magistrati di formazione il che costituisce una garanzia supplementare di un controllo rigoroso delle condizioni di detenzione.
– Bisogna segnalare infine che il comitato internazionale della Croce Rossa è abilitato dal 2005 ad effettuare delle visite nei luoghi di detenzione, prigioni e locali della polizia abilitati ad accogliere dei detenuti tenuti in custodia preventiva. Al termine di queste visite dei rapporti dettagliati vengono stabiliti e degli incontri vengono organizzati dai servizi riguardati per mettere in opera le raccomandazioni formulate dal comitato sullo stato dei detenuti.
Le autorità tunisine ricordano che non esitano ad indagare su tutte le affermazioni di tortura ogni volta che ci sono dei motivi ragionevoli che lasciano credere che un atto di maltrattamenti è stato commesso. Si citeranno a delucidazione due esempi: il primo riguarda tre agenti dell’amministrazione penitenziaria che hanno maltrattato un detenuto, a seguito di un’inchiesta aperta per questo motivo i tre agenti sono stati deferiti dinnanzi alla giustizia e sono stati condannati ciascuno a quattro anni di detenzione con una sentenza della corte di appello di Tunisi resa il 25 gennaio 2002.
-Il secondo esempio riguarda un agente di polizia che è stato perseguito per percosse e lesioni volontarie e che è stato condannato a 15 anni di detenzione con una sentenza resa dalla corte di appello di Tunisi il 2 aprile 2002.
Questi due esempi dimostrano che le autorità tunisine non tollerano nessuno maltrattamento e non esitano ad impegnare i perseguimenti necessari contro gli agenti dell’applicazione della legge ogni volta che ci sono dei motivi ragionevoli che lasciano credere che atti di tale natura [sono] stati commessi.
Alcuni casi di condanna per maltrattamenti sono stati segnalati nel rapporto presentato dalla Tunisia dinnanzi al Consiglio dei diritti dell’uomo e dinnanzi al Comitato dei diritti dell’uomo denotando così una politica di volontà dello stato si perseguire e reprimere ogni atto di tortura o di maltrattamento, il che è di natura tale da confutare ogni affermazione di violazione sistematica dei diritti dell’uomo.
(…)
2. La garanzia di un processo equo agli interessati:
Se essi [vengono] espulsi in Tunisia, gli interessati beneficeranno in particolare di procedimenti di perseguimento, di istruzione e di giudizio che offrono tutte le garanzie necessarie ad un processo equo,:
– Il rispetto del principio della separazione tra le autorità di perseguimento, di istruzione e di giudizio.
– L’istruzione in materia di crimini è obbligatoria. Ubbidisce al principio del doppio grado di giurisdizione (giudice istruttore e camera di accusa).
– Le udienze di giudizio sono pubbliche e rispettano il principio del contraddittorio.
– Ogni persona sospettata di crimine ha obbligatoriamente diritto all’assistenza di uno o parecchi avvocati. Gliene viene, all’occorrenza, commesso uno d’ufficio e gli oneri sono sopportati dallo stato. L’assistenza dell’avvocato prosegue durante tutte le tappe del procedimento: istruzione preparatoria e fase di giudizio.
– L’esame dei crimini è di competenza dei corsi criminali che sono formati dai cinque magistrati, questa formazione allargata rinforza le garanzie dell’imputato.
– Il principio del doppio grado di giurisdizione in materia criminale è consacrato dal diritto tunisino. Il diritto di fare appello ai giudizi di condanna è dunque un diritto fondamentale per l’imputato.
– Nessuna condanna può essere resa se non sulla base di prove solide che sono state oggetto di dibattimenti contraddittori dinnanzi alla giurisdizione competente. Anche la confessione dell’imputato non è considerata come una prova determinante. Questa posizione è stata confermata dalla sentenza della Corte di cassazione tunisina no 12150 del 26 gennaio 2005 con cui la Corte ha affermato che la confessione estorta con violenza è nulla e non avvenuta e questo, in applicazione dell’articolo 152 del codice di procedura penale che dispone che: “la confessione, come ogni elemento di prova, è lasciata alla libera valutazione dei giudici.” Il giudice deve dunque valutare tutte le prove che gli sono presentate per decidere della forza probante da conferire a dette prove secondo la sua intima convinzione.
3. La garanzia del diritto di ricevere delle visite:
Se l’arresto degli interessati [viene] decisa dall’autorità giudiziale competente, beneficeranno dei diritti garantiti ai detenuti dalla legge del 14 maggio 2001 relativa all’organizzazione delle prigioni. Questa legge consacra il diritto di ogni prevenuto a ricevere la visita dell’avvocato incaricato della sua difesa, senza la presenza di un agente della prigione così come la visita dei membri delle loro famiglie. Se il loro arresto [viene] deciso, gli interessati godranno di questo diritto conformemente alla regolamentazione, in vigore e senza restrizione nessuna.
Concernente la domanda di visita degli interessati da parte degli avvocati che li rappresentano nel procedimento in corso dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, le autorità tunisine osservano che tale visita non può essere autorizzata in mancanza di convenzione o di cornice legale interna che l’autorizzi.
Difatti la legge relativa alle prigioni determina le persone abilitate ad esercitare questo diritto: si tratta in particolare dei membri della famiglia del detenuto e del suo avvocato tunisino.
La Convenzione di aiuto giudiziale concluso tra la Tunisia e l’Italia il 15 novembre 1967 non contempla la possibilità per gli avvocati italiani di rendere visita ai detenuti tunisini. Tuttavia gli interessati potranno, se lo desiderano, incaricare degli avvocati tunisini di loro scelta [di] rendere loro visita e di procedere, coi loro omologhi italiani, al coordinamento delle loro azioni nella preparazione degli elementi della loro difesa dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
4. La garanzia del diritto di beneficiare delle cure mediche:
La legge precitata relativa all’organizzazione delle prigioni dispone che ogni detenuto ha diritto alla gratuità delle cure e dei medicinali dentro alle prigioni e, a difetto, nella struttura ospedaliera. Inoltre, l’articolo 336 del codice di procedura penale autorizza il giudice di esecuzione delle pene a sottoporre il condannato ad esame medico.
Se l’arresto degli interessati [viene] deciso, saranno sottoposti ad esame medico fin dalla loro ammissione nell’unità penitenziaria. Potranno, d’altra parte, beneficiare ulteriormente di un seguito medico nella cornice di esami periodici. In conclusione, gli interessati beneficeranno di un seguito medico regolare come ogni detenuto e non c’è luogo per questo fatto di autorizzare il loro esame da parte di un altro medico.
Le autorità tunisine reiterano la loro volontà di cooperare pienamente con la parte italiana fornendole tutte le informazione ed i dati utili alla sua difesa nel procedimento in corso dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.”
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
21. I ricorsi che è possibile formare contro un’ordinanza di espulsione in Italia e le regole che disciplinano la riapertura di un processo in contumacia in Tunisia sono descritti in Saadi c. Italia ([GC], no 37201/06, §§ 58-60, 28 febbraio 2008).
III. TESTI E DOCUMENTI INTERNAZIONALI
22. Si trova nella sentenza Saadi precitata una descrizione dei testi, documenti internazionali e sorgenti delle seguenti informazioni: l’accordo di cooperazione in materia di lotta contro la criminalità firmato dall’Italia e Tunisia e l’accordo di associazione tra la Tunisia, l’unione europea ed i suoi Stati membri, (§§ 61-62),; gli articoli 1, 32 e 33 della Convenzione delle Nazioni unite del 1951 relativi allo statuto dei profughi (§ 63); le linee direttive del Comitato dei Ministri del Consiglio dell’Europa (§ 64); i rapporti relativi alla Tunisia di Amnesty Internazionale (§§ 65-72) e di Human Rights Watch (§§ 73-79); le attività del Comitato internazionale della Croce Rossa (§§ 80-81); il rapporto del Dipartimento di stato americano relativo ai diritti dell’uomo in Tunisia (§§ 82-93); le altre sorgenti di informazione relative al rispetto dei diritti dell’uomo in Tunisia (§ 94).
23. Dopo l’adozione della sentenza Saadi, Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuo 2008. Le parti pertinenti della sezione di questo rapporto consacrato alla Tunisia sono riferite in Ben Khemais c. Italia, no 246/07, § 34,… 2009.
24. Nella sua risoluzione 1433(2005) relativa alla legalità della detenzione di persone da parte degli Stati Uniti a Guantanamo Bay, l’assemblea parlamentare del Consiglio dell’Europa ha chiesto al governo americano, tra l’altro, “di non rinviare o trasferire i detenuti basandosi su delle “assicurazioni diplomatiche” di paesi conosciuti per ricorrere sistematicamente alla tortura ed in ogni caso se la mancanza di rischio di maltrattamento non è fermamente stabilita.”
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
25. Il richiedente considera che l’esecuzione del suo sfratto l’esporrebbe ad un rischio di trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione. Questa disposizione si legge come segue:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
26. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
27. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incontra nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
28. Il richiedente rinvia alle inchieste condotte da Amnesty International e dal Dipartimento di stato degli Stati Uniti dell’America che dimostrerebbero che la tortura è praticata in Tunisia e che certe persone sospettate di terrorismo ed espulse verso questo Stato sono puramente e semplicemente scomparse. Cita l’esempio di un compatriota espulso dall’Italia verso la Tunisia, il Sig. L. che avrebbe visto la sua pena passare dai dieci a trent’ anni senza essere sentito all’udienza, e non avrebbe avuto nessuna possibilità di comunicare con la sua famiglia. Riferisce inoltre il caso di un giovane uomo, il Sig. M. H. B. S. B. F.che, il 10 ottobre 2006, si sarebbe gettato dalla finestra di un commissariato poco prima un interrogatorio. L’avvocato di M. B. F. avrebbe spiegato che il suo cliente era stato detenuto per venticinque giorni nelle unità del ministero delle Cause interne a Tunisi, dove era stato torturato selvaggiamente. Il richiedente sottolinea che numerosi articoli di stampa denunciano la condizione dei detenuti politici e delle loro famiglie.
29. Secondo il richiedente, il semplice richiamo dei trattati internazionali firmati dalla Tunisia non può bastare ad allontanare ogni rischio di violazione dei diritti convenzionali. La sua famiglia avrebbe subito delle minacce e delle provocazioni continue delle forze di polizia che sarebbero andate a più riprese al domicilio familiare, applicando così una pratica corrente a riguardo degli oppositori politici. Gli amici del richiedente sarebbero stati autorizzati a recarsi in Italia solo in scambio della promessa che avrebbero fornito delle informazioni su di lui; e le autorità tunisine rifiuterebbero dal 2004 di rinnovare il suo passaporto.
30. Il richiedente afferma di non avere nessun legame con le organizzazioni politiche. Tutti i suoi problemi verrebbero dalla pubblicazione del libro scritto dal Sig. M. A., vice-direttore del quotidiano Il Corriere della Sarà, intitolato “Bin Laden in Italia: viaggio nell’islam radicale”, dove il suo nome era menzionato. Spiega che in seguito alla pubblicazione di questo libro, la polizia italiana ha perquisito il suo domicilio ed il console tunisino a Bologna l’ha accusato di essere un “membro eminente” del partito islamico Ennahdha di cui certi affiliati scontano una pesante pena di prigione in Tunisia. Secondo il richiedente, le persone sospettate di terrorismo in Europa sono giudicate di nuovo sistematicamente per questo stesso crimine da un tribunale militare appena vengono espulse verso la Tunisia.
b) Il Governo,
31. Il Governo sottolinea che le affermazioni relative ad un pericolo di morte o al rischio di essere esposto a tortura o a trattamenti disumani e degradanti deve essere supportato da elementi di prova adeguati, e stima che ciò non è stato il caso nello specifico, essendosi limitato il richiedente a descrivere una situazione falsamente generalizzata in Tunisia. Considera che i casi citati dal richiedente non sono pertinenti, ed arguisce che gli articoli di stampa non hanno valore di prova in una disputa giudiziale e che la possibilità di chiedere lo statuto di profugo non significa la certezza di ottenerlo.
32. Il Governo nota anche che la Tunisia ha ratificato parecchi strumenti internazionali in materia di protezione dei diritti dell’uomo, ivi compreso un accordo di associazione con l’unione europea, organizzazione internazionale che, secondo la giurisprudenza della Corte, è presunta di offrire una protezione dei diritti fondamentali “equivalenti” a quelli garantiti dalla Convenzione. Sottolinea peraltro che le autorità tunisine permettono alla Croce Rossa internazionale di visitare le prigioni. Secondo il Governo, si può presumere che la Tunisia non si scosterà dagli obblighi che le spettano in virtù dei trattati internazionali.
33. Secondo il Governo, si può presumere che la Tunisia non si scosterà dagli obblighi che le spettano in virtù dei trattati internazionali. In più, il sistema giuridico italiano contemplerebbe delle garanzie per l’individuo-ivi compresa la possibilità di ottenere lo statuto di profugo-che renderebbero ” una repressione contraria alle esigenze della Convenzione praticamente impossibile.”
34. Il Governo rinvia alle assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine, in cui vede il risultato di un dialogo intergovernativo molto fruttuoso. Queste assicurazioni garantirebbero una protezione adeguata del richiedente contro il rischio di subire, in Tunisia, dei trattamenti vietati dalla Convenzione.
35. Sottolinea che le autorità tunisine hanno corredato suddette assicurazioni con una “lunga e rassicurante spiegazione, in fatto ed in diritto, delle ragioni per cui bisogna credere loro”, e stima che la loro buona fede non dovrebbe essere messa in dubbio. Aggiunge che si è potuto verificare il rispetto effettivo di queste assicurazioni all’epoca dei controlli del Comitato superiore dei diritti dell’uomo e della Croce Rossa, così come delle visite degli avvocati e dei prossimi del richiedente.
36. Secondo il Governo, l’impossibilità per il rappresentante del richiedente dinnanzi alla Corte di visitare il suo cliente se incarcerato in Tunisia si spiega col fatto che questo Stato non ha aderito alla Convenzione. Sarebbe dunque ragionevole non permettere le visite di avvocati esteri che operano fuori dalla cornice nazionale ed internazionale in cui si iscrive la Tunisia. A questo riguardo, il Governo osserva che l’interessato potrà, se lo desidera, dare mandato agli avvocati tunisini di sua scelta affinché procedano, in collaborazione con gli omologhi italiani, alla preparazione della sua difesa dinnanzi alla Corte.
37 Secondo il Governo, le assicurazioni date dalla Tunisia sono rassicuranti per ciò che riguarda la sicurezza ed il benessere del richiedente così come il rispetto del suo diritto ad un processo equo. Sottolineando che nella causa Saadi precitata, avendo la Corte stessa chiesto se tali assicurazioni erano state sollecitate ed ottenute, il Governo stima che, senza che ci sia questione di rimetterli in causa, i principi affermati dalla Grande Camera devono essere adattati alle particolari circostanze di fatto del caso specifico.
2. Valutazione della Corte
38. I principi generali relativi alla responsabilità degli Stati contraenti in caso di espulsione, agli elementi da considerare per valutare il rischio di esposizione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione ed alla nozione di “tortura” e di “trattamenti disumani e degradanti” è riassunta nella sentenza Saadi (precitata, §§ 124-136) in cui la Corte ha riaffermato anche l’impossibilità di mettere sulla bilancia il rischio di maltrattamenti ed i motivi invocati per l’espulsione per determinare se la responsabilità di un Stato è impegnata sul terreno dell’articolo 3 (§§ 137-141).
39. La Corte ricorda le conclusioni a cui è giunta nella causa Saadi precitata (§§ 143-146) che erano le seguenti:
– i testi internazionali pertinenti fanno stato di numerosi casi regolari di tortura e di maltrattamenti inflitti in Tunisia a persone sospettate o riconosciute colpevoli di terrorismo;
– questi testi descrivono una situazione preoccupante;
– le visite del Comitato internazionale della Croce Rossa nei luoghi di detenzione tunisina non possono dissipare il rischio di sottomissione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione.
40. La Corte non vede nello specifico nessuna ragione di ritornare su queste conclusioni che si trovano del resto confermate dal rapporto 2008 di Amnesty Internazionale relativo alla Tunisia (vedere sopra il paragrafo 23). Nota per di più che in Italia il richiedente è stato accusato di appartenere ad un’organizzazione terroristica integralista (vedere sopra il paragrafo 12).
41. In queste condizioni, la Corte stima che nello specifico, dei fatti seri ed accertati giustifichino di concludere ad un rischio reale di vedere il richiedente subire dei trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione se venisse espulso verso la Tunisia (vedere, mutatis mutandis, Saadi, precitata, § 146. Resta da verificare se le assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine bastano ad allontanare questo rischio.
42. A questo riguardo, la Corte ricorda, primariamente, che l’esistenza di testi interni e l’accettazione di trattati internazionali che garantiscono, in principio, il rispetto dei diritti fondamentali non basta, da sola, a garantire una protezione adeguata contro il rischio di maltrattamenti quando, come nello specifico, delle sorgenti affidabili fanno stato di pratiche delle autorità-o tollerate o da queste -manifestamente contrarie ai principi della Convenzione (Saadi, precitata, § 147 in fine). Secondariamente, appartiene alla Corte esaminare se le assicurazioni date dallo stato di destinazione forniscono, nella loro applicazione effettiva, una garanzia sufficiente in quanto alla protezione del richiedente contro il rischio di trattamenti vietati dalla Convenzione (Chahal c. Regno Unito, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V, § 105, 15 novembre 1996). Il peso da accordare alle assicurazioni che provengono dallo stato di destinazione dipende difatti, in ogni caso, dalle circostanze che prevalgono all’epoca considerata (Saadi, precitata, § 148 in fine).
43. Nel presente caso, l’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziali ha garantito che la dignità umana del richiedente sarebbe rispettata in Tunisia, che non sarebbe sottomesso a tortura, a trattamenti disumani o degradanti o ad una detenzione arbitraria, che beneficerebbe di cure mediche adeguate e che potrebbe ricevere delle visite dal suo avvocato e dai membri della sua famiglia. Oltre le leggi tunisine pertinenti ed i trattati internazionali firmati dalla Tunisia, queste assicurazioni si fondano sui seguenti elementi:
– i controlli praticati dal giudice di esecuzione delle pene, dal comitato superiore dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (istituzione nazionale indipendente) e dai servizi dell’ispezione generale del ministero della Giustizia e dei Diritti dell’uomo;
– due casi di condanna di agenti dell’amministrazione penitenziaria e di un agente di polizia per maltrattamenti;
– la giurisprudenza interna, ai termini della quale una confessione estorta sotto la costrizione è nulla e non avvenuta (vedere sopra il paragrafo 20).
44. La Corte nota, però, che non è stabilito che l’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziali fosse competente per dare queste assicurazioni a nome dello stato (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko c. Ucraina, no 2440/07, § 73, 23 ottobre 2008.) In più, tenuto conto del fatto che delle sorgenti internazionali serie ed affidabili hanno indicato che le affermazioni di maltrattamenti non erano esaminate dalle autorità tunisine competenti (Saadi, precitata, § 143) il semplice richiamo di due casi di condanna di agenti dello stato per percosse e lesioni su dei detenuti non potrebbe bastare ad allontanare il rischio di tali trattamenti né a convincere la Corte dell’esistenza di un sistema effettivo di protezione contro la tortura, in mancanza di cui è difficile verificare che le assicurazioni date verranno rispettate. A questo riguardo, la Corte ricorda che nel suo rapporto del 2008 relativo alla Tunisia, Amnesty International ha precisato in particolare che, sebbene numerosi detenuti si siano lamentati di essere stati torturati durante la loro custodia provvisoria, “le autorità non hanno condotto praticamente mai alcuna inchiesta né preso una qualsiasi misura per tradurre in giustizia i presunti torturatori ” (vedere sopra il paragrafo 23).
45. In più, nella sentenza Saadi precitata (§ 146), la Corte ha constatato una reticenza delle autorità tunisine a cooperare con le organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti dell’uomo, come Human Rights Watch. Nel suo rapporto 2008 precitato, Amnesty International ha notato peraltro che, sebbene il numero di membri del comitato superiore dei diritti dell’uomo sia stato aumentato, questo non includeva organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti fondamentali.” L’impossibilità per il rappresentante del richiedente dinnanzi alla Corte di rendere visita al suo cliente nel caso fosse stato incarcerato in Tunisia conferma anche la difficoltà di accesso dei prigionieri tunisini ai consiglieri stranieri indipendenti quando sono parti ai procedimenti giudiziali dinnanzi a delle giurisdizioni internazionali. Questi ultimi rischiano dunque, una volta un richiedente viene espulso in Tunisia, di trovarsi nell’impossibilità di verificare la sua situazione e di conoscere degli eventuali motivi di appello che potrebbe sollevare in quanto ai trattamenti ai quali viene sottoposto (Ben Khemais, precitata, § 63).
46. In queste circostanze, la Corte non potrebbe aderire alla tesi del Governo secondo cui le assicurazioni date nel presente genere offrono una protezione efficace contro il rischio serio che corre il richiedente di essere sottomesso a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko precitata, §§ 73-74). Ricorda al contrario il principio affermato dall’assemblea parlamentare del Consiglio dell’Europa nella sua risoluzione 1433(2005) secondo cui le assicurazioni diplomatiche non possono bastare quando la mancanza di pericolo di maltrattamento non è fermamente stabilita (vedere sopra il paragrafo 24).
47. Pertanto, la decisione di espellere l’interessato verso la Tunisia violerebbe l’articolo 3 della Convenzione se fosse messa ad esecuzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
48. Il richiedente adduce che il suo sfratto verso la Tunisia priverebbe sua moglie ed i suoi quattro bambini della sua presenza e del suo aiuto. Fa valere a questo riguardo che è il solo sostegno finanziario della sua famiglia, ed invoca l’articolo 8 della Convenzione, così formulata nella sua parte pertinente,:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica ,(…), alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, (…). “
49. Il Governo considera che questo motivo di appello non potrebbe essere considerato.
50. La Corte considera che questo motivo di appello è ammissibile (Saadi, precitata, § 163). Però, avendo constatato che l’espulsione del richiedente verso la Tunisia costituirebbe una violazione dell’articolo 3 della Convenzione (vedere sopra il paragrafo 45) e non avendo nessun motivo di dubitare che il governo convenuto si conformerà alla presente sentenza, non stima necessario decidere la questione ipotetica di sapere se, in caso di espulsione verso la Tunisia, ci sarebbe anche violazione dell’articolo 8 della Convenzione (Saadi, precitata, § 170).
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 7
51. Il richiedente adduce che le esigenze di protezione della sicurezza nazionale su cui il ministro delle Cause interne ha fondato la sua espulsione sono smentite dalle ordinanze del GIP e della camera specializzata di Bologna. Ricorda che al momento della sua espulsione, era titolare di un titolo di soggiorno regolare. Invoca l’articolo 1 del Protocollo no 7, così formulato,:
“1. Uno straniero che risiede regolarmente sul territorio di un Stato può essere espulso solo in esecuzione di una decisione presa conformemente alla legge e deve potere:
a) fare valere le ragioni che militano contro la sua espulsione,
b) fare esaminare il suo caso, e
c) farsi rappresentare a questo fine dinnanzi all’autorità competente o una o parecchie persone nominate da questa autorità.
2. Uno straniero può essere espulso prima dell’esercizio dei diritti enumerati al paragrafo 1 a) b) e c) di questo articolo quando questa espulsione è necessaria nell’interesse dell’ordine pubblico o è basata su dei motivi di sicurezza nazionale. “
52. Il Governo contesta questa tesi. Sostiene che il richiedente ha beneficiato delle garanzie procedurali richieste dal Protocollo no 7 nella misura in cui è stato rappresentato da un consigliere di sua scelta che ha potuto fare valere dinnanzi al giudice conciliatore le ragioni militanti contro l’espulsione. Aggiunge che l’espulsione in questione si fondava su dei motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico.
53. La Corte osserva che l’espulsione del richiedente, ordinata dal ministro delle Cause interne, è stata esaminata dal giudice conciliatore di Milano che poteva o annullarla o convalidarla (vedere sopra il paragrafo 9). Dinnanzi a questa giurisdizione, l’interessato ha goduto di garanzie procedurali sufficienti e ha avuto l’opportunità di presentare tutti gli argomenti che militavano contro la sua espulsione.
54. In queste circostanze, nessuna apparenza di violazione degli articoli 1 del Protocollo no 7 e 13 della Convenzione potrebbe essere scoperta.
55. Ne segue che questa parte della richiesta è manifestamente mal fondata e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
56. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
57. Il richiedente sollecita 80 000 euro (EUR) a titolo del danno materiale che stima avere subito. Adduce che questa somma copre la mancanza di guadagno derivante dalla sua privazione di libertà nel centro di detenzione provvisoria di Milano. Chiede inoltre 50 000 EUR per danno morale.
58. Il Governo ricorda che l’espulsione del richiedente non è stata eseguita e stima che sarebbe singolare che uno straniero che ha infranto le regole del paese di accoglienza possa ottenere un risarcimento in ragione di un’ordinanza legittima di repressione. Il richiedente sarebbe stato detenuto peraltro conformemente alla legislazione nazionale e non ci sarebbe nessuno legame di causalità tra i danni addotti ed il comportamento dello stato.
59. La Corte ricorda che è in grado di concedere delle somme a titolo di soddisfazione equa prevista dall’articolo 41 quando la perdita o i danni richiesti sono stati causati dalla violazione constatata,non essendo lo stato in compenso supposto di versare delle somme per i danni che non gli sono imputabili (Perote Pellon c. Spagna, no 45238/99, § 57, 25 luglio 2002).
60. Nello specifico, la Corte ha constatato che il collocamento in esecuzione dello sfratto del richiedente verso la Tunisia violerebbe l’articolo 3 della Convenzione. Però, non ha rilevato delle violazioni della Convenzione in ragione della privazione di libertà dell’interessato. Quindi, non vede nessun legame di causalità tra la violazione constatata nella presente sentenza ed il danno materiale addotto dal richiedente (Saadi precitata, § 187,).
61. Trattandosi del danno morale subito dal richiedente, la Corte stima che la constatazione che l’espulsione, se fosse condotta ad esecuzione, costituirebbe una violazione dell’articolo 3 della Convenzione, rappresenta una soddisfazione equa sufficiente (Saadi precitata, § 188,).
B. Oneri e spese
62. Il richiedente non ha fatto domanda di rimborso a titolo di oneri e spese. Pertanto, la Corte stima che non c’è luogo di concedergli nessuna somma a questo titolo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dagli articoli 3 e 8 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che, nell’eventualità del collocamento in esecuzione della decisione di espellere il richiedente verso la Tunisia, ci sarebbe violazione dell’articolo 3 della Convenzione;
3. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare anche se il collocamento in esecuzione della decisione di espellere il richiedente verso la Tunisia violerebbe anche l’articolo 8 della Convenzione;
4. Stabilisce che la constatazione di una violazione costituisce una soddisfazione equa sufficiente a titolo del danno morale subito dal richiedente;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 24 marzo 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa