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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE SOLTANA c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 37336/06/2009
Stato: Italia
Data: 2009-03-24 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

SECONDA SEZIONE
CAUSA SOLTANA C. ITALIA
( Richiesta no 37336/06)
SENTENZA
STRASBURGO
24 marzo 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Soltana c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e di Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 3 marzo 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 37336/06) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino tunisino, il Sig. M B.S. S. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 19 settembre 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da S. C. e B. M, avvocati a Milano. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora e dal suo co-agente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il richiedente adduce che il collocamento in esecuzione della decisione di espellerlo verso la Tunisia violerebbe gli articoli 3 e 8 della Convenzione e che questa decisione non si fondava su dei motivi di sicurezza nazionale.
4. L’8 novembre 2006, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la Camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità e sul merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1973 e ha risieduto a Milano.
A. I perseguimenti e l’ordinanza d’espulsione contro il richiedente
6. Dal 1989, il richiedente risiede con sua moglie in Italia, dove dirige una società che impiega quindici salariati. Il richiedente e sua moglie sono titolari di titoli di soggiorno regolari. I quattro bambini della coppia sono nati in Italia.
7. Il 1 settembre 2006, il ministro delle Cause interne ordinò l’espulsione del richiedente. Osservò che risultava dalla pratica dell’interessato che si era imbarcato in una “intensa attività di proselitismo” nella cornice di organizzazioni aventi per oggetto di sostenere i membri di “unità integraliste islamiche presenti in Italia ed all’estero.” L’ordinanza di sfratto fu presa in virtù del decreto-legge no 144 del 27 luglio 2005.
8. Il 12 settembre 2006, la polizia fermò il richiedente a casa sua a Budrio (Bologna) e lo portò al centro di detenzione provvisoria di Milano, in vista dell’esecuzione dell’ordinanza d’espulsione.
9. Il 14 settembre 2006, il giudice conciliatore di Milano convalidò suddetta ordinanza.
10. Lo stesso giorno, il richiedente chiese la concessione dello statuto di profugo. Fece valere da una parte che aveva un permesso di soggiorno in Italia e che non era stato mai condannato, e dall’ altra parte che un procedimento penale era pendente a suo carico, che non era stato posto in detenzione provvisoria, e che desiderava difendersi ai dibattimenti. Addusse peraltro che rischierebbe, in Tunisia, di essere sottomesso a trattamenti disumani, perché tale era la sorte di tutti quelli che erano sospettati di terrorismo.
11. Con una decisione del 15 settembre 2006, il prefetto (Questore) di Milano dichiarò inammissibile l’istanza di concessione dello statuto di profugo, osservando che ai termini degli articoli 2 § 2 del decreto presidenziale no 303 di 2004 e 1 § 4 d, della legge no 39 del 1990, ogni istanza presentata da uno straniero pericoloso per la sicurezza dello stato doveva essere allontanata.
12. Risulta dalla pratica che il richiedente era stato accusato di appartenere ad un’organizzazione terroristica integralista. Nella cornice del procedimento, la procura aveva chiesto il suo collocamento in detenzione provvisoria. Con un’ordinanza dell’ 11 aprile 2006, il giudice delle investigazioni preliminari (“il GIP”) di Bologna aveva respinto questa istanza, alla vista della mancanza di “indizi gravi [della] colpevolezza” del richiedente.
13. La procura aveva interposto appello.
14. Con un’ordinanza del 27 giugno 2006, la camera del tribunale di Bologna incaricata di riesaminare le misure di precauzione (“la camera specializzata”) confermò la decisione del GIP. Osservò che non era provato che i profitti provenienti dai furti e dalle violazioni delle leggi sull’immigrazione commessa dagli imputati fossero stati utilizzati per finanziare o sostenere la propagazione di idee integraliste radicali, e che non era neanche stabilito che gli imputati avessero creato un’associazione avente per oggetto l’appoggio alla perpetrazione di atti di terrorismo. Ammise che risultava da intercettazioni telefoniche che gli imputati erano degli islamici radicali; ma rilevò che soli alcuni di loro avevano espresso l’opinione che il momento di immolarsi per la guerra santa era venuto, e che non c’era nessuna prova dell’esistenza di contatti tra gli imputati e delle organizzazioni che nutrivano dei progetti concreti della Jihad contro l’occidente.
15. Secondo la camera specializzata, anche se dei gravi indizi di colpevolezza di istigazione al crimine (istigazione a commettere reati) pesavano sul richiedente, si trattava di fatti risalenti al 2002 per cui non era necessario applicare una misura di precauzione.
16. Il richiedente ha informato la Corte che il consolato della Tunisia in Italia ha negato di rinnovare il suo passaporto.
17. Secondo le informazione fornite dal richiedente il 18 settembre 2006, la data della sua espulsione non è stata ancora fissata, ma in diritto italiano, l’ordinanza del ministro delle Cause interne può essere eseguita in ogni momento.
18. Su richiesta del richiedente, il presidente della terza sezione ha deciso, il 6 novembre 2006, di indicare al governo italiano, in applicazione dell’articolo 39 dell’ordinamento della Corte, che era auspicabile, nell’interesse delle parti e del buono svolgimento del procedimento dinnanzi alla Corte, di non espellere il richiedente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. Ha chiamato l’attenzione del Governo sul fatto che, quando un Stato contraente non si conforma ad una misura indicata a titolo dell’articolo 39 dell’ordinamento, ciò può provocare una violazione dell’articolo 34 della Convenzione (vedere Mamatkoulov ed Askarov c. Turchia [GC], numeri 46827/99 e 46951/99, §§ 128-129 e punto 5 del dispositivo, CEDH 2005-I).
B. Le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità italiane
19. Il 29 agosto 2008, l’ambasciata dell’Italia a Tunisi indirizzò al ministero tunisino delle Cause estere la nota verbale (no 3124) seguente:
“L’ambasciata dell’Italia presenta i suoi complimenti al ministero delle Cause Estere e si riferisce alle sue proprie note verbali no 2738 del 21 luglio e no 2911 del 6 agosto scorsi ed alla visita in Tunisia della delegazione tecnica dei rappresentanti dei ministeri italiani dell’interno e della Giustizia, tenutasi il 24 luglio scorso, concernente un esame dei procedimenti da seguire a proposito dei ricorsi pendenti della Corte europea dei diritti dell’uomo, presentato dai cittadini tunisini, che sono stati o che potrebbero essere oggetto di decreti di espulsione.
L’ambasciata dell’Italia ringrazia il ministero delle Cause Estere per la nota verbale DGAC no 011998 del 26 agosto scorso e tramite questo il ministero della Giustizia e dei diritti dell’uomo per la concreta collaborazione espressa per il caso del Sig. E. S. B. K..
Conformemente a ciò che era stato convenuto all’epoca della riunione del 24 luglio, le autorità italiane hanno l’onore di sottoporre qui di seguito tramite via diplomatica la loro richiesta di elementi addizionali specifici che si rivelano necessari nel contenzioso in corso dinnanzi alla Corte di Strasburgo tra l’Italia ed i cittadini tunisine citati qui sotto: (…)
A questo effetto, l’ambasciata dell’Italia ha l’onore di chiedere al ministero delle Cause Estere di volere cortesemente investire le autorità tunisine competenti affinché possano fornire tramite via diplomatica le assicurazioni specifiche su ciascuno di questi ricorrenti che si riferiscono ai seguenti argomenti:
– in caso di espulsione verso la Tunisia del ricorrente le cui generalità saranno specificate, non sarà sottomesso a torture né a pene o trattamenti disumani o degradanti;
– che possa essere giudicato da un tribunale indipendente ed imparziale, secondo i procedimenti che, nell’insieme, saranno conformi ai principi di un processo equo e pubblico;
– che possa, durante la sua detenzione, ricevere le visite dei suoi avvocati ivi compreso quello italiano che lo rappresenta nel processo dinnanzi alla Corte di Strasburgo, così come dei membri della sua famiglia e di un medico.
Poiché la scadenza per la presentazione delle osservazioni del governo italiano a Strasburgo per suddetto caso è fissata al 19 settembre prossimo, l’ambasciata dell’Italia sarebbe grata al ministero delle Cause Estere di volere cortesemente farle giungere al più presto gli elementi richiesti, fondamentali per la strategia della difesa del governo italiano e suggerisce che la Sig.ra C., primo segretario [dell’] ambasciata, possa recarsi al ministero della Giustizia e dei diritti dell’uomo per fornire ogni delucidazione opportuna.
L’ambasciata dell’Italia sarebbe inoltre grata al ministero delle Cause Estere di volere cortesemente verificare se le autorità tunisine competenti giudicano opportuno che il governo tunisino partecipi, per suddetto ricorso, ai procedimenti dinnanzi alla Corte di Strasburgo, in quanto terzo, e questo, conformemente agli articoli 36 [della Convenzione], 44 dell’ordinamento della Corte [e] A1 paragrafo 2 dell’allegato all’ordinamento.
L’ambasciata dell’Italia ringrazia in anticipo il ministero delle Cause Estere per l’attenzione che sarà riservata alla presente nota ed coglie l’occasione per rinnovargli le assicurazioni della sua alta considerazione. ”
20. Il 5 novembre 2008, le autorità tunisine fecero pervenire la loro risposta, firmata dall’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziali. Nelle sue parti pertinenti, questa risposta si legge come segue:
“Nella sua nota verbale in data del 29 agosto 2008, come completata dalla sua nota verbale datata del 4 settembre 2008, l’ambasciata dell’Italia a Tunisi ha sollecitato, dalle autorità tunisine, le assicurazioni, qui di seguito enumerate, concernente i cittadini tunisini M. S. [ed altri] se venissero ad essere espulsi verso la Tunisia.
I. Le autorità tunisine sottolineano, innanzitutto, che li denominati M. S. [ed altri] non sono oggetto, attualmente, di perseguimenti giudiziali in Tunisia. La giustizia tunisina, non avendo nessuna cognizione della loro eventuale implicazione in fatti delittuosi, non ha intentato a loro carico perseguimenti penali.
Non essendo sotto l’influenza di nessuna condanna o perseguimenti penali, gli interessati beneficiano, come ogni cittadino tunisino, e sullo stesso piano di uguaglianza, di tutti i diritti che sono riconosciuti loro dalla costituzione tunisina il cui articolo 6 dispone che “tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Sono uguali dinnanzi alla legge.” L’articolo 7 della Costituzione aggiunge che “esercitano la pienezza dei loro diritti nelle forme e condizioni previste dalla legge.” (…)
1. La garanzia del rispetto della dignità degli interessati:
Il rispetto della dignità degli interessati è garantito, la sua origine risiede nel principio del rispetto della dignità di ogni persona qualunque sia lo stato in cui si trova, principio fondamentale riconosciuto dal diritto tunisino e garantito per ogni persona e più particolarmente per i detenuti il cui statuto è regolamentato minuziosamente.
È a questo riguardo utile ricordare che l’articolo 13 della Costituzione tunisina dispone nel suo capoverso 2 che “ogni individuo che ha perso la sua libertà è trattato umanamente, nel rispetto della sua dignità.”
La Tunisia ha ratificato peraltro senza nessuna riserva la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti. Ha riconosciuto così la competenza del comitato contro la tortura per ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate da o per conto di individui che dipendono dalla sua giurisdizione che pretendono essere vittime di violazione delle disposizioni della Convenzione (ratifica con la legge no 88-79 del 11 luglio 1988. Gazzetta ufficiale della Repubblica tunisina no 48 del 12-15 luglio 1988 (pagina 1035).
Le disposizioni di suddetta Convenzione sono state trasposte in diritto interno, l’articolo 101 bis del codice penale definisce la tortura come “ogni atto con cui un dolore o delle sofferenze acute, fisiche o mentali, sono inflitte intenzionalmente in particolare ad una persona ai fini di ottenere da lei o da una terza persona delle informazioni o delle confessioni, di punirla di un atto che lei o una terza persona ha commesso o è sospettata di avere commesso, di intimidirla o di fare pressione su una terza persona, o quando il dolore o le sofferenze acute sono inflitte per ogni altro motivo fondato su una forma di discriminazione [qualunque] sia.”
Il legislatore ha contemplato delle pene severe per questo genere di violazioni, così l’articolo 101 bis sopra citato dispone che è punito con una detenzione di otto anni il funzionario o assimilato che sottopone una persona alla tortura e questo, nell’esercizio o in occasione dell’esercizio delle sue funzioni.”
È da segnalare che la custodia preventiva è, secondo l’articolo 12 della Costituzione, sottoposta al controllo giudiziale e che si può procedere al carcere preventivo solo su ordine giurisdizionale. È vietato sottoporre chiunque ad una detenzione arbitraria. Parecchi garanzie accompagnano il procedimento della custodia preventiva e tendono a garantire il rispetto dell’integrità fisica e morale del detenuto tra cui in particolare:
– Il diritto della persona in custodia preventiva di informare, fin dal suo arresto, i membri della sua famiglia.
– Il diritto di chiedere durante il termine della custodia preventiva o alla sua scadenza di essere sottomessi ad un esame medico. Questo diritto può essere esercitato all’occorrenza dai membri della famiglia.
– La durata del carcere preventivo è regolamentata, il suo prolungamento è eccezionale e deve essere motivato dal giudice.
C’è luogo anche di notare che [la] legge del 14 maggio 2001 relativa all’organizzazione delle prigioni dispone nel suo articolo primo che ha per obiettivo di regolare “le condizioni di detenzione nelle prigioni preventiva di garantire l’integrità fisica e morale del detenuto, di prepararlo alla vita libera e di aiutare al suo reinserimento. “
Questo dispositivo legislativo è rinforzato dal collocamento in posto di un sistema di controllo destinato a garantire il rispetto effettivo della dignità dei detenuti. Si tratta di parecchi tipi di controlli effettuati da diversi organi ed istituzioni:
– C’è da prima un controllo giudiziale assicurato dal giudice di esecuzione delle pene tenuto, secondo i termini dell’articolo 342-3 del codice di procedura penale tunisino, [a] visitare la struttura penitenziaria che dipende dalla sua giurisdizione per prendere cognizione delle condizioni dei detenuti, queste visite sono in pratica effettuate in media nell’ordine di due volte alla settimana.
– C’è poi il controllo effettuato dal comitato superiore dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il presidente di questa istituzione nazionale indipendente può effettuare delle visite inopinate alle strutture penitenziarie per informarsi dello stato e delle condizioni dei detenuti.
– C’è anche il controllo amministrativo interno effettuato dai servizi dell’ispezione generale del ministero della Giustizia e dei diritti dell’uomo e l’ispezione generale che dipende dalla direzione generale delle prigioni e della rieducazione. È da notare in questa cornice che l’amministrazione penitenziaria dipende dal ministero della Giustizia e che gli ispettori di suddetto ministero sono dei magistrati di formazione il che costituisce una garanzia supplementare di un controllo rigoroso delle condizioni di detenzione.
– Bisogna segnalare infine che il comitato internazionale della Croce Rossa è abilitato dal 2005 ad effettuare delle visite nei luoghi di detenzione, prigioni e locali della polizia abilitati ad accogliere dei detenuti tenuti in custodia preventiva. Al termine di queste visite dei rapporti dettagliati vengono stabiliti e degli incontri vengono organizzati dai servizi riguardati per mettere in opera le raccomandazioni formulate dal comitato sullo stato dei detenuti.
Le autorità tunisine ricordano che non esitano ad indagare su tutte le affermazioni di tortura ogni volta che ci sono dei motivi ragionevoli che lasciano credere che un atto di maltrattamenti è stato commesso. Si citeranno a delucidazione due esempi: il primo riguarda tre agenti dell’amministrazione penitenziaria che hanno maltrattato un detenuto, a seguito di un’inchiesta aperta per questo motivo i tre agenti sono stati deferiti dinnanzi alla giustizia e sono stati condannati ciascuno a quattro anni di detenzione con una sentenza della corte di appello di Tunisi resa il 25 gennaio 2002.
-Il secondo esempio riguarda un agente di polizia che è stato perseguito per percosse e lesioni volontarie e che è stato condannato a 15 anni di detenzione con una sentenza resa dalla corte di appello di Tunisi il 2 aprile 2002.
Questi due esempi dimostrano che le autorità tunisine non tollerano nessuno maltrattamento e non esitano ad impegnare i perseguimenti necessari contro gli agenti dell’applicazione della legge ogni volta che ci sono dei motivi ragionevoli che lasciano credere che atti di tale natura [sono] stati commessi.
Alcuni casi di condanna per maltrattamenti sono stati segnalati nel rapporto presentato dalla Tunisia dinnanzi al Consiglio dei diritti dell’uomo e dinnanzi al Comitato dei diritti dell’uomo denotando così una politica di volontà dello stato si perseguire e reprimere ogni atto di tortura o di maltrattamento, il che è di natura tale da confutare ogni affermazione di violazione sistematica dei diritti dell’uomo.
(…)
2. La garanzia di un processo equo agli interessati:
Se essi [vengono] espulsi in Tunisia, gli interessati beneficeranno in particolare di procedimenti di perseguimento, di istruzione e di giudizio che offrono tutte le garanzie necessarie ad un processo equo,:
– Il rispetto del principio della separazione tra le autorità di perseguimento, di istruzione e di giudizio.
– L’istruzione in materia di crimini è obbligatoria. Ubbidisce al principio del doppio grado di giurisdizione (giudice istruttore e camera di accusa).
– Le udienze di giudizio sono pubbliche e rispettano il principio del contraddittorio.
– Ogni persona sospettata di crimine ha obbligatoriamente diritto all’assistenza di uno o parecchi avvocati. Gliene viene, all’occorrenza, commesso uno d’ufficio e gli oneri sono sopportati dallo stato. L’assistenza dell’avvocato prosegue durante tutte le tappe del procedimento: istruzione preparatoria e fase di giudizio.
– L’esame dei crimini è di competenza dei corsi criminali che sono formati dai cinque magistrati, questa formazione allargata rinforza le garanzie dell’imputato.
– Il principio del doppio grado di giurisdizione in materia criminale è consacrato dal diritto tunisino. Il diritto di fare appello ai giudizi di condanna è dunque un diritto fondamentale per l’imputato.
– Nessuna condanna può essere resa se non sulla base di prove solide che sono state oggetto di dibattimenti contraddittori dinnanzi alla giurisdizione competente. Anche la confessione dell’imputato non è considerata come una prova determinante. Questa posizione è stata confermata dalla sentenza della Corte di cassazione tunisina no 12150 del 26 gennaio 2005 con cui la Corte ha affermato che la confessione estorta con violenza è nulla e non avvenuta e questo, in applicazione dell’articolo 152 del codice di procedura penale che dispone che: “la confessione, come ogni elemento di prova, è lasciata alla libera valutazione dei giudici.” Il giudice deve dunque valutare tutte le prove che gli sono presentate per decidere della forza probante da conferire a dette prove secondo la sua intima convinzione.
3. La garanzia del diritto di ricevere delle visite:
Se l’arresto degli interessati [viene] decisa dall’autorità giudiziale competente, beneficeranno dei diritti garantiti ai detenuti dalla legge del 14 maggio 2001 relativa all’organizzazione delle prigioni. Questa legge consacra il diritto di ogni prevenuto a ricevere la visita dell’avvocato incaricato della sua difesa, senza la presenza di un agente della prigione così come la visita dei membri delle loro famiglie. Se il loro arresto [viene] deciso, gli interessati godranno di questo diritto conformemente alla regolamentazione, in vigore e senza restrizione nessuna.
Concernente la domanda di visita degli interessati da parte degli avvocati che li rappresentano nel procedimento in corso dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, le autorità tunisine osservano che tale visita non può essere autorizzata in mancanza di convenzione o di cornice legale interna che l’autorizzi.
Difatti la legge relativa alle prigioni determina le persone abilitate ad esercitare questo diritto: si tratta in particolare dei membri della famiglia del detenuto e del suo avvocato tunisino.
La Convenzione di aiuto giudiziale concluso tra la Tunisia e l’Italia il 15 novembre 1967 non contempla la possibilità per gli avvocati italiani di rendere visita ai detenuti tunisini. Tuttavia gli interessati potranno, se lo desiderano, incaricare degli avvocati tunisini di loro scelta [di] rendere loro visita e di procedere, coi loro omologhi italiani, al coordinamento delle loro azioni nella preparazione degli elementi della loro difesa dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
4. La garanzia del diritto di beneficiare delle cure mediche:
La legge precitata relativa all’organizzazione delle prigioni dispone che ogni detenuto ha diritto alla gratuità delle cure e dei medicinali dentro alle prigioni e, a difetto, nella struttura ospedaliera. Inoltre, l’articolo 336 del codice di procedura penale autorizza il giudice di esecuzione delle pene a sottoporre il condannato ad esame medico.
Se l’arresto degli interessati [viene] deciso, saranno sottoposti ad esame medico fin dalla loro ammissione nell’unità penitenziaria. Potranno, d’altra parte, beneficiare ulteriormente di un seguito medico nella cornice di esami periodici. In conclusione, gli interessati beneficeranno di un seguito medico regolare come ogni detenuto e non c’è luogo per questo fatto di autorizzare il loro esame da parte di un altro medico.
Le autorità tunisine reiterano la loro volontà di cooperare pienamente con la parte italiana fornendole tutte le informazione ed i dati utili alla sua difesa nel procedimento in corso dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.”
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
21. I ricorsi che è possibile formare contro un’ordinanza di espulsione in Italia e le regole che disciplinano la riapertura di un processo in contumacia in Tunisia sono descritti in Saadi c. Italia ([GC], no 37201/06, §§ 58-60, 28 febbraio 2008).

III. TESTI E DOCUMENTI INTERNAZIONALI

22. Si trova nella sentenza Saadi precitata una descrizione dei testi, documenti internazionali e sorgenti delle seguenti informazioni: l’accordo di cooperazione in materia di lotta contro la criminalità firmato dall’Italia e Tunisia e l’accordo di associazione tra la Tunisia, l’unione europea ed i suoi Stati membri, (§§ 61-62),; gli articoli 1, 32 e 33 della Convenzione delle Nazioni unite del 1951 relativi allo statuto dei profughi (§ 63); le linee direttive del Comitato dei Ministri del Consiglio dell’Europa (§ 64); i rapporti relativi alla Tunisia di Amnesty Internazionale (§§ 65-72) e di Human Rights Watch (§§ 73-79); le attività del Comitato internazionale della Croce Rossa (§§ 80-81); il rapporto del Dipartimento di stato americano relativo ai diritti dell’uomo in Tunisia (§§ 82-93); le altre sorgenti di informazione relative al rispetto dei diritti dell’uomo in Tunisia (§ 94).
23. Dopo l’adozione della sentenza Saadi, Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuo 2008. Le parti pertinenti della sezione di questo rapporto consacrato alla Tunisia sono riferite in Ben Khemais c. Italia, no 246/07, § 34,… 2009.
24. Nella sua risoluzione 1433(2005) relativa alla legalità della detenzione di persone da parte degli Stati Uniti a Guantanamo Bay, l’assemblea parlamentare del Consiglio dell’Europa ha chiesto al governo americano, tra l’altro, “di non rinviare o trasferire i detenuti basandosi su delle “assicurazioni diplomatiche” di paesi conosciuti per ricorrere sistematicamente alla tortura ed in ogni caso se la mancanza di rischio di maltrattamento non è fermamente stabilita.”

IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
25. Il richiedente considera che l’esecuzione del suo sfratto l’esporrebbe ad un rischio di trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione. Questa disposizione si legge come segue:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
26. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
27. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incontra nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
28. Il richiedente rinvia alle inchieste condotte da Amnesty International e dal Dipartimento di stato degli Stati Uniti dell’America che dimostrerebbero che la tortura è praticata in Tunisia e che certe persone sospettate di terrorismo ed espulse verso questo Stato sono puramente e semplicemente scomparse. Cita l’esempio di un compatriota espulso dall’Italia verso la Tunisia, il Sig. L. che avrebbe visto la sua pena passare dai dieci a trent’ anni senza essere sentito all’udienza, e non avrebbe avuto nessuna possibilità di comunicare con la sua famiglia. Riferisce inoltre il caso di un giovane uomo, il Sig. M. H. B. S. B. F.che, il 10 ottobre 2006, si sarebbe gettato dalla finestra di un commissariato poco prima un interrogatorio. L’avvocato di M. B. F. avrebbe spiegato che il suo cliente era stato detenuto per venticinque giorni nelle unità del ministero delle Cause interne a Tunisi, dove era stato torturato selvaggiamente. Il richiedente sottolinea che numerosi articoli di stampa denunciano la condizione dei detenuti politici e delle loro famiglie.
29. Secondo il richiedente, il semplice richiamo dei trattati internazionali firmati dalla Tunisia non può bastare ad allontanare ogni rischio di violazione dei diritti convenzionali. La sua famiglia avrebbe subito delle minacce e delle provocazioni continue delle forze di polizia che sarebbero andate a più riprese al domicilio familiare, applicando così una pratica corrente a riguardo degli oppositori politici. Gli amici del richiedente sarebbero stati autorizzati a recarsi in Italia solo in scambio della promessa che avrebbero fornito delle informazioni su di lui; e le autorità tunisine rifiuterebbero dal 2004 di rinnovare il suo passaporto.
30. Il richiedente afferma di non avere nessun legame con le organizzazioni politiche. Tutti i suoi problemi verrebbero dalla pubblicazione del libro scritto dal Sig. M. A., vice-direttore del quotidiano Il Corriere della Sarà, intitolato “Bin Laden in Italia: viaggio nell’islam radicale”, dove il suo nome era menzionato. Spiega che in seguito alla pubblicazione di questo libro, la polizia italiana ha perquisito il suo domicilio ed il console tunisino a Bologna l’ha accusato di essere un “membro eminente” del partito islamico Ennahdha di cui certi affiliati scontano una pesante pena di prigione in Tunisia. Secondo il richiedente, le persone sospettate di terrorismo in Europa sono giudicate di nuovo sistematicamente per questo stesso crimine da un tribunale militare appena vengono espulse verso la Tunisia.
b) Il Governo,
31. Il Governo sottolinea che le affermazioni relative ad un pericolo di morte o al rischio di essere esposto a tortura o a trattamenti disumani e degradanti deve essere supportato da elementi di prova adeguati, e stima che ciò non è stato il caso nello specifico, essendosi limitato il richiedente a descrivere una situazione falsamente generalizzata in Tunisia. Considera che i casi citati dal richiedente non sono pertinenti, ed arguisce che gli articoli di stampa non hanno valore di prova in una disputa giudiziale e che la possibilità di chiedere lo statuto di profugo non significa la certezza di ottenerlo.
32. Il Governo nota anche che la Tunisia ha ratificato parecchi strumenti internazionali in materia di protezione dei diritti dell’uomo, ivi compreso un accordo di associazione con l’unione europea, organizzazione internazionale che, secondo la giurisprudenza della Corte, è presunta di offrire una protezione dei diritti fondamentali “equivalenti” a quelli garantiti dalla Convenzione. Sottolinea peraltro che le autorità tunisine permettono alla Croce Rossa internazionale di visitare le prigioni. Secondo il Governo, si può presumere che la Tunisia non si scosterà dagli obblighi che le spettano in virtù dei trattati internazionali.
33. Secondo il Governo, si può presumere che la Tunisia non si scosterà dagli obblighi che le spettano in virtù dei trattati internazionali. In più, il sistema giuridico italiano contemplerebbe delle garanzie per l’individuo-ivi compresa la possibilità di ottenere lo statuto di profugo-che renderebbero ” una repressione contraria alle esigenze della Convenzione praticamente impossibile.”
34. Il Governo rinvia alle assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine, in cui vede il risultato di un dialogo intergovernativo molto fruttuoso. Queste assicurazioni garantirebbero una protezione adeguata del richiedente contro il rischio di subire, in Tunisia, dei trattamenti vietati dalla Convenzione.
35. Sottolinea che le autorità tunisine hanno corredato suddette assicurazioni con una “lunga e rassicurante spiegazione, in fatto ed in diritto, delle ragioni per cui bisogna credere loro”, e stima che la loro buona fede non dovrebbe essere messa in dubbio. Aggiunge che si è potuto verificare il rispetto effettivo di queste assicurazioni all’epoca dei controlli del Comitato superiore dei diritti dell’uomo e della Croce Rossa, così come delle visite degli avvocati e dei prossimi del richiedente.
36. Secondo il Governo, l’impossibilità per il rappresentante del richiedente dinnanzi alla Corte di visitare il suo cliente se incarcerato in Tunisia si spiega col fatto che questo Stato non ha aderito alla Convenzione. Sarebbe dunque ragionevole non permettere le visite di avvocati esteri che operano fuori dalla cornice nazionale ed internazionale in cui si iscrive la Tunisia. A questo riguardo, il Governo osserva che l’interessato potrà, se lo desidera, dare mandato agli avvocati tunisini di sua scelta affinché procedano, in collaborazione con gli omologhi italiani, alla preparazione della sua difesa dinnanzi alla Corte.
37 Secondo il Governo, le assicurazioni date dalla Tunisia sono rassicuranti per ciò che riguarda la sicurezza ed il benessere del richiedente così come il rispetto del suo diritto ad un processo equo. Sottolineando che nella causa Saadi precitata, avendo la Corte stessa chiesto se tali assicurazioni erano state sollecitate ed ottenute, il Governo stima che, senza che ci sia questione di rimetterli in causa, i principi affermati dalla Grande Camera devono essere adattati alle particolari circostanze di fatto del caso specifico.

2. Valutazione della Corte

38. I principi generali relativi alla responsabilità degli Stati contraenti in caso di espulsione, agli elementi da considerare per valutare il rischio di esposizione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione ed alla nozione di “tortura” e di “trattamenti disumani e degradanti” è riassunta nella sentenza Saadi (precitata, §§ 124-136) in cui la Corte ha riaffermato anche l’impossibilità di mettere sulla bilancia il rischio di maltrattamenti ed i motivi invocati per l’espulsione per determinare se la responsabilità di un Stato è impegnata sul terreno dell’articolo 3 (§§ 137-141).
39. La Corte ricorda le conclusioni a cui è giunta nella causa Saadi precitata (§§ 143-146) che erano le seguenti:
– i testi internazionali pertinenti fanno stato di numerosi casi regolari di tortura e di maltrattamenti inflitti in Tunisia a persone sospettate o riconosciute colpevoli di terrorismo;
– questi testi descrivono una situazione preoccupante;
– le visite del Comitato internazionale della Croce Rossa nei luoghi di detenzione tunisina non possono dissipare il rischio di sottomissione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione.
40. La Corte non vede nello specifico nessuna ragione di ritornare su queste conclusioni che si trovano del resto confermate dal rapporto 2008 di Amnesty Internazionale relativo alla Tunisia (vedere sopra il paragrafo 23). Nota per di più che in Italia il richiedente è stato accusato di appartenere ad un’organizzazione terroristica integralista (vedere sopra il paragrafo 12).
41. In queste condizioni, la Corte stima che nello specifico, dei fatti seri ed accertati giustifichino di concludere ad un rischio reale di vedere il richiedente subire dei trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione se venisse espulso verso la Tunisia (vedere, mutatis mutandis, Saadi, precitata, § 146. Resta da verificare se le assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine bastano ad allontanare questo rischio.
42. A questo riguardo, la Corte ricorda, primariamente, che l’esistenza di testi interni e l’accettazione di trattati internazionali che garantiscono, in principio, il rispetto dei diritti fondamentali non basta, da sola, a garantire una protezione adeguata contro il rischio di maltrattamenti quando, come nello specifico, delle sorgenti affidabili fanno stato di pratiche delle autorità-o tollerate o da queste -manifestamente contrarie ai principi della Convenzione (Saadi, precitata, § 147 in fine). Secondariamente, appartiene alla Corte esaminare se le assicurazioni date dallo stato di destinazione forniscono, nella loro applicazione effettiva, una garanzia sufficiente in quanto alla protezione del richiedente contro il rischio di trattamenti vietati dalla Convenzione (Chahal c. Regno Unito, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V, § 105, 15 novembre 1996). Il peso da accordare alle assicurazioni che provengono dallo stato di destinazione dipende difatti, in ogni caso, dalle circostanze che prevalgono all’epoca considerata (Saadi, precitata, § 148 in fine).
43. Nel presente caso, l’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziali ha garantito che la dignità umana del richiedente sarebbe rispettata in Tunisia, che non sarebbe sottomesso a tortura, a trattamenti disumani o degradanti o ad una detenzione arbitraria, che beneficerebbe di cure mediche adeguate e che potrebbe ricevere delle visite dal suo avvocato e dai membri della sua famiglia. Oltre le leggi tunisine pertinenti ed i trattati internazionali firmati dalla Tunisia, queste assicurazioni si fondano sui seguenti elementi:
– i controlli praticati dal giudice di esecuzione delle pene, dal comitato superiore dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (istituzione nazionale indipendente) e dai servizi dell’ispezione generale del ministero della Giustizia e dei Diritti dell’uomo;
– due casi di condanna di agenti dell’amministrazione penitenziaria e di un agente di polizia per maltrattamenti;
– la giurisprudenza interna, ai termini della quale una confessione estorta sotto la costrizione è nulla e non avvenuta (vedere sopra il paragrafo 20).
44. La Corte nota, però, che non è stabilito che l’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziali fosse competente per dare queste assicurazioni a nome dello stato (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko c. Ucraina, no 2440/07, § 73, 23 ottobre 2008.) In più, tenuto conto del fatto che delle sorgenti internazionali serie ed affidabili hanno indicato che le affermazioni di maltrattamenti non erano esaminate dalle autorità tunisine competenti (Saadi, precitata, § 143) il semplice richiamo di due casi di condanna di agenti dello stato per percosse e lesioni su dei detenuti non potrebbe bastare ad allontanare il rischio di tali trattamenti né a convincere la Corte dell’esistenza di un sistema effettivo di protezione contro la tortura, in mancanza di cui è difficile verificare che le assicurazioni date verranno rispettate. A questo riguardo, la Corte ricorda che nel suo rapporto del 2008 relativo alla Tunisia, Amnesty International ha precisato in particolare che, sebbene numerosi detenuti si siano lamentati di essere stati torturati durante la loro custodia provvisoria, “le autorità non hanno condotto praticamente mai alcuna inchiesta né preso una qualsiasi misura per tradurre in giustizia i presunti torturatori ” (vedere sopra il paragrafo 23).
45. In più, nella sentenza Saadi precitata (§ 146), la Corte ha constatato una reticenza delle autorità tunisine a cooperare con le organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti dell’uomo, come Human Rights Watch. Nel suo rapporto 2008 precitato, Amnesty International ha notato peraltro che, sebbene il numero di membri del comitato superiore dei diritti dell’uomo sia stato aumentato, questo non includeva organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti fondamentali.” L’impossibilità per il rappresentante del richiedente dinnanzi alla Corte di rendere visita al suo cliente nel caso fosse stato incarcerato in Tunisia conferma anche la difficoltà di accesso dei prigionieri tunisini ai consiglieri stranieri indipendenti quando sono parti ai procedimenti giudiziali dinnanzi a delle giurisdizioni internazionali. Questi ultimi rischiano dunque, una volta un richiedente viene espulso in Tunisia, di trovarsi nell’impossibilità di verificare la sua situazione e di conoscere degli eventuali motivi di appello che potrebbe sollevare in quanto ai trattamenti ai quali viene sottoposto (Ben Khemais, precitata, § 63).
46. In queste circostanze, la Corte non potrebbe aderire alla tesi del Governo secondo cui le assicurazioni date nel presente genere offrono una protezione efficace contro il rischio serio che corre il richiedente di essere sottomesso a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko precitata, §§ 73-74). Ricorda al contrario il principio affermato dall’assemblea parlamentare del Consiglio dell’Europa nella sua risoluzione 1433(2005) secondo cui le assicurazioni diplomatiche non possono bastare quando la mancanza di pericolo di maltrattamento non è fermamente stabilita (vedere sopra il paragrafo 24).
47. Pertanto, la decisione di espellere l’interessato verso la Tunisia violerebbe l’articolo 3 della Convenzione se fosse messa ad esecuzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
48. Il richiedente adduce che il suo sfratto verso la Tunisia priverebbe sua moglie ed i suoi quattro bambini della sua presenza e del suo aiuto. Fa valere a questo riguardo che è il solo sostegno finanziario della sua famiglia, ed invoca l’articolo 8 della Convenzione, così formulata nella sua parte pertinente,:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica ,(…), alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, (…). “
49. Il Governo considera che questo motivo di appello non potrebbe essere considerato.
50. La Corte considera che questo motivo di appello è ammissibile (Saadi, precitata, § 163). Però, avendo constatato che l’espulsione del richiedente verso la Tunisia costituirebbe una violazione dell’articolo 3 della Convenzione (vedere sopra il paragrafo 45) e non avendo nessun motivo di dubitare che il governo convenuto si conformerà alla presente sentenza, non stima necessario decidere la questione ipotetica di sapere se, in caso di espulsione verso la Tunisia, ci sarebbe anche violazione dell’articolo 8 della Convenzione (Saadi, precitata, § 170).

III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 7
51. Il richiedente adduce che le esigenze di protezione della sicurezza nazionale su cui il ministro delle Cause interne ha fondato la sua espulsione sono smentite dalle ordinanze del GIP e della camera specializzata di Bologna. Ricorda che al momento della sua espulsione, era titolare di un titolo di soggiorno regolare. Invoca l’articolo 1 del Protocollo no 7, così formulato,:
“1. Uno straniero che risiede regolarmente sul territorio di un Stato può essere espulso solo in esecuzione di una decisione presa conformemente alla legge e deve potere:
a) fare valere le ragioni che militano contro la sua espulsione,
b) fare esaminare il suo caso, e
c) farsi rappresentare a questo fine dinnanzi all’autorità competente o una o parecchie persone nominate da questa autorità.
2. Uno straniero può essere espulso prima dell’esercizio dei diritti enumerati al paragrafo 1 a) b) e c) di questo articolo quando questa espulsione è necessaria nell’interesse dell’ordine pubblico o è basata su dei motivi di sicurezza nazionale. “
52. Il Governo contesta questa tesi. Sostiene che il richiedente ha beneficiato delle garanzie procedurali richieste dal Protocollo no 7 nella misura in cui è stato rappresentato da un consigliere di sua scelta che ha potuto fare valere dinnanzi al giudice conciliatore le ragioni militanti contro l’espulsione. Aggiunge che l’espulsione in questione si fondava su dei motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico.
53. La Corte osserva che l’espulsione del richiedente, ordinata dal ministro delle Cause interne, è stata esaminata dal giudice conciliatore di Milano che poteva o annullarla o convalidarla (vedere sopra il paragrafo 9). Dinnanzi a questa giurisdizione, l’interessato ha goduto di garanzie procedurali sufficienti e ha avuto l’opportunità di presentare tutti gli argomenti che militavano contro la sua espulsione.
54. In queste circostanze, nessuna apparenza di violazione degli articoli 1 del Protocollo no 7 e 13 della Convenzione potrebbe essere scoperta.
55. Ne segue che questa parte della richiesta è manifestamente mal fondata e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

56. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
57. Il richiedente sollecita 80 000 euro (EUR) a titolo del danno materiale che stima avere subito. Adduce che questa somma copre la mancanza di guadagno derivante dalla sua privazione di libertà nel centro di detenzione provvisoria di Milano. Chiede inoltre 50 000 EUR per danno morale.
58. Il Governo ricorda che l’espulsione del richiedente non è stata eseguita e stima che sarebbe singolare che uno straniero che ha infranto le regole del paese di accoglienza possa ottenere un risarcimento in ragione di un’ordinanza legittima di repressione. Il richiedente sarebbe stato detenuto peraltro conformemente alla legislazione nazionale e non ci sarebbe nessuno legame di causalità tra i danni addotti ed il comportamento dello stato.
59. La Corte ricorda che è in grado di concedere delle somme a titolo di soddisfazione equa prevista dall’articolo 41 quando la perdita o i danni richiesti sono stati causati dalla violazione constatata,non essendo lo stato in compenso supposto di versare delle somme per i danni che non gli sono imputabili (Perote Pellon c. Spagna, no 45238/99, § 57, 25 luglio 2002).
60. Nello specifico, la Corte ha constatato che il collocamento in esecuzione dello sfratto del richiedente verso la Tunisia violerebbe l’articolo 3 della Convenzione. Però, non ha rilevato delle violazioni della Convenzione in ragione della privazione di libertà dell’interessato. Quindi, non vede nessun legame di causalità tra la violazione constatata nella presente sentenza ed il danno materiale addotto dal richiedente (Saadi precitata, § 187,).
61. Trattandosi del danno morale subito dal richiedente, la Corte stima che la constatazione che l’espulsione, se fosse condotta ad esecuzione, costituirebbe una violazione dell’articolo 3 della Convenzione, rappresenta una soddisfazione equa sufficiente (Saadi precitata, § 188,).
B. Oneri e spese
62. Il richiedente non ha fatto domanda di rimborso a titolo di oneri e spese. Pertanto, la Corte stima che non c’è luogo di concedergli nessuna somma a questo titolo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dagli articoli 3 e 8 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che, nell’eventualità del collocamento in esecuzione della decisione di espellere il richiedente verso la Tunisia, ci sarebbe violazione dell’articolo 3 della Convenzione;
3. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare anche se il collocamento in esecuzione della decisione di espellere il richiedente verso la Tunisia violerebbe anche l’articolo 8 della Convenzione;
4. Stabilisce che la constatazione di una violazione costituisce una soddisfazione equa sufficiente a titolo del danno morale subito dal richiedente;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 24 marzo 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa

Testo Tradotto

DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE SOLTANA c. ITALIE
(Requête no 37336/06)
ARRÊT
STRASBOURG
24 mars 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Soltana c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş, juges,
et de Sally Dollé, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 3 mars 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 37336/06) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant tunisien, M. M B.S. S. (« le requérant »), a saisi la Cour le 19 septembre 2006 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par Mes S. C. et B. M, avocats à Milan. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Mme E. Spatafora et par son co-agent adjoint, M. N. Lettieri.
3. Le requérant allègue que la mise à exécution de la décision de l’expulser vers la Tunisie violerait les articles 3 et 8 de la Convention et que cette décision ne reposait pas sur des motifs de sécurité nationale.
4. Le 8 novembre 2006, le président de la troisième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la Chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et sur le fond de l’affaire.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le requérant est né en 1973 et réside à Milan.
A. Les poursuites et l’arrêté d’expulsion contre le requérant
6. Depuis 1989, le requérant réside avec sa femme en Italie, où il dirige une société employant quinze salariés. Le requérant et sa femme sont titulaires de titres de séjour réguliers. Les quatre enfants du couple sont nés en Italie.
7. Le 1er septembre 2006, le ministre des Affaires intérieures ordonna l’expulsion du requérant. Il observa qu’il ressortait du dossier de l’intéressé qu’il s’était engagé dans une « intense activité de prosélytisme » dans le cadre d’organisations ayant pour objet de soutenir les membres de « cellules intégristes islamistes présentes en Italie et à l’étranger ». L’arrêté d’expulsion fut pris en vertu du décret-loi no 144 du 27 juillet 2005.
8. Le 12 septembre 2006, la police interpella le requérant chez lui à Budrio (Bologne) et l’amena au centre de détention provisoire de Milan, en vue de l’exécution de l’arrêté d’expulsion.
9. Le 14 septembre 2006, le juge de paix de Milan valida ledit arrêté.
10. Le même jour, le requérant demanda l’octroi du statut de réfugié. Il fit valoir d’une part qu’il avait un permis de séjour en Italie et qu’il n’avait jamais été condamné, et d’autre part qu’une procédure pénale était pendante à son encontre, qu’il n’avait pas été placé en détention provisoire, et qu’il souhaitait se défendre aux débats. Il allégua par ailleurs qu’il risquerait, en Tunisie, d’être soumis à des traitements inhumains, car tel était le lot de tous ceux qui étaient soupçonnés de terrorisme.
11. Par une décision du 15 septembre 2006, le préfet (Questore) de Milan déclara irrecevable la demande d’octroi du statut de réfugié, observant qu’aux termes des articles 2 § 2 du décret présidentiel no 303 de 2004 et 1 § 4 d) de la loi no 39 de 1990, toute demande présentée par un étranger dangereux pour la sûreté de l’Etat devait être écartée.
12. Il ressort du dossier que le requérant avait été accusé d’appartenir à une organisation terroriste intégriste. Dans le cadre de la procédure, le parquet avait demandé son placement en détention provisoire. Par une ordonnance du 11 avril 2006, le juge des investigations préliminaires (« le GIP ») de Bologne avait rejeté cette demande, au vu de l’absence d’« indices graves de [la] culpabilité » du requérant.
13. Le parquet avait interjeté appel.
14. Par une ordonnance du 27 juin 2006, la chambre du tribunal de Bologne chargée de réexaminer les mesures de précaution (« la chambre spécialisée ») confirma la décision du GIP. Elle observa qu’il n’était pas prouvé que les profits provenant des vols et des violations des lois sur l’immigration commis par les accusés eussent été utilisés pour financer ou soutenir la propagation d’idées intégristes radicales, et qu’il n’était pas non plus établi que les accusés eussent créé une association ayant pour objet l’appui à la commission d’actes de terrorisme. Elle admit qu’il ressortait des écoutes téléphoniques que les accusés étaient des islamistes radicaux ; mais releva que seuls certains d’entre eux avaient manifesté l’opinion que le moment de s’immoler pour la guerre sainte était venu, et qu’il n’y avait aucune preuve de l’existence de contacts entre les accusés et des organisations nourrissant des projets concrets de Jihad contre l’Occident.
15. Selon la chambre spécialisée, même si de graves indices de culpabilité d’instigation au crime (istigazione a commettere reati) pesaient sur le requérant, il s’agissait de faits remontant à 2002, pour lesquels il n’était pas nécessaire d’appliquer une mesure de précaution.
16. Le requérant a informé la Cour que le consulat de Tunisie en Italie a refusé de renouveler son passeport.
17. Selon les informations fournies par le requérant le 18 septembre 2006, la date de son expulsion n’a pas encore été fixée, mais en droit italien, l’arrêté du ministre des Affaires intérieures peut être exécuté à tout moment.
18. A la demande du requérant, le président de la troisième section a décidé, le 6 novembre 2006, d’indiquer au gouvernement italien, en application de l’article 39 du règlement de la Cour, qu’il était souhaitable, dans l’intérêt des parties et du bon déroulement de la procédure devant la Cour, de ne pas expulser le requérant vers la Tunisie jusqu’à nouvel ordre. Il a appelé l’attention du Gouvernement sur le fait que, lorsqu’un Etat contractant ne se conforme pas à une mesure indiquée au titre de l’article 39 du règlement, cela peut entraîner une violation de l’article 34 de la Convention (voir Mamatkoulov et Askarov c. Turquie [GC], nos 46827/99 et 46951/99, §§ 128-129 et point 5 du dispositif, CEDH 2005-I).
B. Les assurances diplomatiques obtenues par les autorités italiennes
19. Le 29 août 2008, l’Ambassade d’Italie à Tunis adressa au ministère tunisien des Affaires étrangères la note verbale (no 3124) suivante :
« L’Ambassade d’Italie présente ses compliments au ministère des Affaires Etrangères et se réfère à ses propres notes verbales no 2738 du 21 juillet et no 2911 du 6 août derniers et à la visite en Tunisie de la délégation technique des représentants des ministères italiens de l’Intérieur et de la Justice, tenue le 24 juillet dernier, concernant un examen des procédures à suivre au sujet des recours pendants auprès de la Cour européenne des droits de l’homme, présentés par des citoyens tunisiens, ayant fait ou qui pourraient faire l’objet de décrets d’expulsion.
L’Ambassade d’Italie remercie le ministère des Affaires Etrangères pour la note verbale DGAC no 011998 du 26 août dernier et par son biais le ministère de la Justice et des droits de l’homme pour la concrète collaboration manifestée pour le cas de M. Essid Sami Ben Khemais.
Conformément à ce qui avait été convenu lors de la réunion du 24 juillet, les autorités italiennes ont l’honneur de soumettre par voie diplomatique leur requête d’éléments additionnels spécifiques, qui s’avèrent nécessaires dans le contentieux en cours devant la Cour de Strasbourg entre l’Italie et les citoyens tunisien cités ci-après (…): (…)
A cet effet, l’Ambassade d’Italie a l’honneur de demander au ministère des Affaires Etrangères de bien vouloir saisir les autorités tunisiennes compétentes pour qu’elles puissent fournir par voie diplomatique les assurances spécifiques sur chacun de ces appelants se rapportant aux arguments suivants :
– en cas d’expulsion vers la Tunisie de l’appelant, dont les généralités seront spécifiées, il ne sera pas soumis à des tortures ni à des peines ou traitements inhumains ou dégradants ;
– qu’il puisse être jugé par un tribunal indépendant et impartial, selon des procédures qui, dans l’ensemble, seront conformes aux principes d’un procès équitable et public ;
– qu’il puisse, durant sa détention, recevoir les visites de ses avocats y compris celui italien qui le représente dans le procès devant la Cour de Strasbourg, ainsi que des membres de sa famille et d’un médecin.
Puisque l’échéance pour la présentation des observations du gouvernement italien à Strasbourg pour lesdits cas est fixée au 19 septembre prochain, l’Ambassade d’Italie saurait gré au ministère des Affaires Etrangères de bien vouloir lui faire parvenir dans les plus brefs délais les éléments requis et fondamentaux pour la stratégie de défense du gouvernement italien et suggère que Mme Costantini, premier secrétaire de [l’]ambassade, puisse se rendre au ministère de la Justice et des droits de l’homme pour fournir tout éclaircissement opportun.
L’Ambassade d’Italie saurait gré en outre au ministère des Affaires Etrangères de bien vouloir vérifier si les autorités tunisiennes compétentes jugeaient opportun que le gouvernement tunisien participe, pour lesdits recours, aux procédures devant la Cour de Strasbourg, en tant que tiers, et ce, conformément aux articles 36 [de la Convention], 44 du règlement de la Cour [et] A1 paragraphe 2 de l’annexe au règlement.
L’Ambassade d’Italie remercie d’avance le ministère des Affaires Etrangères pour l’attention qui sera réservée à la présente note et saisit l’occasion pour lui renouveler les assurances de sa haute considération. »
20. Le 5 novembre 2008, les autorités tunisiennes firent parvenir leur réponse, signée par l’avocat général à la direction générale des services judiciaires. En ses parties pertinentes, cette réponse se lit comme suit :
« Dans sa note verbale en date du 29 août 2008, telle que complétée par sa note verbale datée du 4 septembre 2008, l’ambassade d’Italie à Tunis a sollicité, des autorités tunisiennes, les assurances, ci-après énumérées, concernant les citoyens tunisiens M. S. [et autres] s’ils venaient à être expulsés vers la Tunisie.
I. Les autorités tunisiennes soulignent, tout d’abord, que les dénommés M. S. [et autres] ne font pas l’objet, actuellement, de poursuites judiciaires en Tunisie. La justice tunisienne, n’ayant aucune connaissance de leur éventuelle implication dans des faits délictueux, n’a pas déclenché à leur encontre de poursuites pénales.
N’étant sous le coup d’aucune condamnation ou poursuites pénales, les intéressés bénéficient, à l’instar de tout citoyen tunisien, et sur le même pied d’égalité, de tous les droits qui leur sont reconnus par la constitution tunisienne dont l’article 6 dispose que « tous les citoyens ont les mêmes droits et les mêmes devoirs. Ils sont égaux devant la loi ». L’article 7 de la Constitution ajoute qu’ils « exercent la plénitude de leurs droits dans les formes et conditions prévues par la loi ». (…)
1. La garantie du respect de la dignité des intéressés :
Le respect de la dignité des intéressés est garanti, son origine réside dans le principe du respect de la dignité de toute personne quelque soit l’état dans lequel elle se trouve, principe fondamental reconnu par le droit tunisien et garanti pour toute personne et plus particulièrement pour les détenus dont le statut est minutieusement réglementé.
Il est utile à cet égard de rappeler que l’article 13 de la Constitution tunisienne dispose dans son alinéa 2 que « tout individu ayant perdu sa liberté est traité humainement, dans le respect de sa dignité ».
La Tunisie a par ailleurs ratifié sans réserve aucune la Convention des Nations Unies contre la torture et autres peines ou traitements cruels, inhumains ou dégradants. Elle a ainsi reconnu la compétence du comité contre la torture pour recevoir et examiner les communications présentées par ou pour le compte des particuliers relevant de sa juridiction qui prétendent être victimes de violation des dispositions de la Convention (ratification par la loi no 88-79 du 11 juillet 1988. Journal Officiel de la République tunisienne no 48 du 12-15 juillet 1988, page 1035).
Les dispositions de ladite Convention ont été transposées en droit interne, l’article 101 bis du code pénal définit la torture comme étant « tout acte par lequel une douleur ou des souffrances aiguës, physiques ou mentales, sont intentionnellement infligées à une personne aux fins notamment d’obtenir d’elle ou d’une tierce personne des renseignements ou des aveux, de la punir d’un acte qu’elle ou une tierce personne a commis ou est soupçonnée d’avoir commis, de l’intimider ou de faire pression sur une tierce personne, ou lorsque la douleur ou les souffrances aiguës sont infligées pour tout autre motif fondé sur une forme de discrimination [quelle] qu’elle soit ».
Le législateur a prévu des peines sévères pour ce genre d’infractions, ainsi l’article 101 bis suscité dispose qu’« est puni d’un emprisonnement de huit ans le fonctionnaire ou assimilé qui soumet une personne à la torture et ce, dans l’exercice ou à l’occasion de l’exercice de ses fonctions ».
Il est à signaler que la garde à vue est, selon l’article 12 de la Constitution, soumise au contrôle judiciaire et qu’il ne peut être procédé à la détention préventive que sur ordre juridictionnel. Il est interdit de soumettre quiconque à une détention arbitraire. Plusieurs garanties accompagnent la procédure de la garde à vue et tendent à assurer le respect de l’intégrité physique et morale du détenu dont notamment :
– Le droit de la personne gardée à vue d’informer, dès son arrestation, les membres de sa famille.
– Le droit de demander au cours du délai de la garde à vue ou à son expiration d’être soumis à un examen médical. Ce droit peut être exercé le cas échéant par les membres de la famille.
– La durée de la détention préventive est réglementée, son prolongement est exceptionnel et doit être motivé par le juge.
Il y a lieu également de noter que [la] loi du 14 mai 2001 relative à l’organisation des prisons dispose dans son article premier qu’elle a pour objectif de régir « les conditions de détention dans les prisons en vue d’assurer l’intégrité physique et morale du détenu, de le préparer à la vie libre et d’aider à sa réinsertion ».
Ce dispositif législatif est renforcé par la mise en place d’un système de contrôle destiné à assurer le respect effectif de la dignité des détenus. Il s’agit de plusieurs types de contrôles effectués par divers organes et institutions :
– Il y a d’abord un contrôle judiciaire assuré par le juge d’exécution des peines tenu, selon les termes de l’article 342-3 du code de procédure pénale tunisien, [de] visiter l’établissement pénitentiaire relevant de son ressort pour prendre connaissance des conditions des détenus, ces visites sont dans la pratique effectuées en moyenne à raison de deux fois par semaine.
– Il y a ensuite le contrôle effectué par le comité supérieur des droits de l’homme et des libertés fondamentales, le président de cette institution nationale indépendante peut effectuer des visites inopinées aux établissements pénitentiaires pour s’enquérir de l’état et des conditions des détenus.
– Il y a également le contrôle administratif interne effectué par les services de l’inspection générale du ministère de la Justice et des droits de l’homme et l’inspection générale relevant de la direction générale des prisons et de la rééducation. Il est à noter dans ce cadre que l’administration pénitentiaire relève du ministère de la Justice et que les inspecteurs dudit ministère sont des magistrats de formation ce qui constitue une garantie supplémentaire d’un contrôle rigoureux des conditions de détention.
– Il faut enfin signaler que le comité international de la Croix-Rouge est habilité depuis 2005 à effectuer des visites dans les lieux de détention, prisons et locaux de la police habilités à accueillir des détenus gardés à vue. A l’issue de ces visites des rapports détaillés sont établis et des rencontres sont organisées avec les services concernés pour mettre en œuvre les recommandations formulées par le comité sur l’état des détenus.
Les autorités tunisiennes rappellent qu’elles n’hésitent point à enquêter sur toutes les allégations de torture chaque fois qu’il y a des motifs raisonnables laissant croire qu’un acte de mauvais traitements a été commis. On citera en illustration deux exemples :
– Le premier exemple concerne trois agents de l’administration pénitentiaire poursuivis pour voie de fait sur un détenu ; l’enquête diligentée à cet effet a abouti à la condamnation de trois agents des prisons à une peine d’emprisonnement de quatre ans chacun (arrêt de la cour d’appel de Tunis rendu le 25 janvier 2002).
– Le deuxième exemple concerne un agent de police condamné à 15 ans d’emprisonnement pour coups et blessures volontaires ayant causé la mort sans intention de la donner (arrêt rendu par la cour d’appel de Tunis le 2 avril 2002).
Ces deux exemples démontrent que les autorités tunisiennes ne tolèrent aucun mauvais traitement et n’hésitent pas à engager les poursuites nécessaires contre les agents de l’application de la loi chaque fois qu’il y a des motifs raisonnables laissant croire que des actes de telle nature [ont] été commis.
Les quelques cas de condamnation pour mauvais traitements ont été signalés dans le rapport présenté par la Tunisie devant le Conseil des droits de l’homme et devant le Comité des droits de l’homme dénotant ainsi de la politique volontariste de l’Etat à poursuivre et réprimer tout acte de torture ou de mauvais traitements, ce qui est de nature à réfuter toute allégation de violation systématique des droits de l’homme.
(…)
2. La garantie d’un procès équitable aux intéressés :
S’ils [sont] expulsés en Tunisie, les intéressés bénéficieront de procédures de poursuite, d’instruction et de jugement offrant toutes les garanties nécessaires à un procès équitable, notamment :
– Le respect du principe de la séparation entre les autorités de poursuite, d’instruction et de jugement.
– L’instruction en matière de crimes est obligatoire. Elle obéit au principe du double degré de juridiction (juge d’instruction et chambre d’accusation).
– Les audiences de jugement sont publiques et respectent le principe du contradictoire.
– Toute personne soupçonnée de crime a obligatoirement droit à l’assistance d’un ou plusieurs avocats. Il lui en est, au besoin, commis un d’office et les frais sont supportés par l’Etat. L’assistance de l’avocat se poursuit pendant toutes les étapes de la procédure : instruction préparatoire et phase de jugement.
– L’examen des crimes est de la compétence des cours criminelles qui sont formées de cinq magistrats, cette formation élargie renforce les garanties du prévenu.
– Le principe du double degré de juridiction en matière criminelle est consacré par le droit tunisien. Le droit de faire appel des jugements de condamnation est donc un droit fondamental pour le prévenu.
– Aucune condamnation ne peut être rendue que sur la base de preuves solides ayant fait l’objet de débats contradictoires devant la juridiction compétente. Même l’aveu du prévenu n’est pas considéré comme une preuve déterminante. Cette position a été confirmée par l’arrêt de la Cour de cassation tunisienne no 12150 du 26 janvier 2005 par lequel la Cour a affirmé que l’aveu extorqué par violence est nul et non avenu et ce, en application de l’article 152 du code de procédure pénale qui dispose que : « l’aveu, comme tout élément de preuve, est laissé à la libre appréciation des juges ». Le juge doit donc apprécier toutes les preuves qui lui sont présentées afin de décider de la force probante à conférer auxdites preuves d’après son intime conviction.
3. La garantie du droit de recevoir des visites :
Si l’arrestation des intéressés [est] décidée par l’autorité judiciaire compétente, ils bénéficieront des droits garantis aux détenus par la loi du 14 mai 2001 relative à l’organisation des prisons. Cette loi consacre le droit de tout prévenu à recevoir la visite de l’avocat chargé de sa défense, sans la présence d’un agent de la prison ainsi que la visite des membres de leurs familles. Si leur arrestation [est] décidée, les intéressés jouiront de ce droit conformément à la réglementation, en vigueur et sans restriction aucune.
Concernant la demande de visite des intéressés par les avocats qui les représentent dans la procédure en cours devant la Cour européenne des droits de l’homme, les autorités tunisiennes observent qu’une telle visite ne peut être autorisée en l’absence de convention ou de cadre légal interne qui l’autoriserait.
En effet la loi relative aux prisons détermine les personnes habilitées à exercer ce droit : il s’agit notamment des membres de la famille du détenu et de son avocat tunisien.
La Convention d’entraide judiciaire conclue entre la Tunisie et l’Italie le 15 novembre 1967 ne prévoit pas la possibilité pour les avocats italiens de rendre visite à des détenus tunisiens. Toutefois les intéressés pourront, s’ils le souhaitent, charger des avocats tunisiens de leur choix [de] leur rendre visite et de procéder, avec leurs homologues italiens, à la coordination de leurs actions dans la préparation des éléments de leur défense devant la Cour européenne des droits de l’homme.
4. La garantie du droit de bénéficier des soins médicaux :
La loi précitée relative à l’organisation des prisons dispose que tout détenu a droit à la gratuité des soins et des médicaments à l’intérieur des prisons et, à défaut, dans les établissement hospitaliers. En outre, l’article 336 du code de procédure pénale autorise le juge d’exécution des peines à soumettre le condamné à examen médical.
Si l’arrestation des intéressés [est] décidée, ils seront soumis à examen médical dès leur admission dans l’unité pénitentiaire. Ils pourront, d’autre part, bénéficier ultérieurement d’un suivi médical dans le cadre d’examens périodiques. En conclusion, les intéressés bénéficieront d’un suivi médical régulier à l’instar de tout détenu et il n’y a pas lieu de ce fait d’autoriser leur examen par un autre médecin.
Les autorités tunisiennes réitèrent leur volonté de coopérer pleinement avec la partie italienne en lui fournissant toutes les informations et les données utiles à sa défense dans la procédure en cours devant la Cour européenne des droits de l’homme ».
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
21. Les recours qu’il est possible de former contre un arrêté d’expulsion en Italie et les règles régissant la réouverture d’un procès par défaut en Tunisie sont décrits dans Saadi c. Italie ([GC], no 37201/06, §§ 58-60, 28 février 2008).
III. TEXTES ET DOCUMENTS INTERNATIONAUX
22. On trouve dans l’arrêt Saadi précité une description des textes, documents internationaux et sources d’informations suivants : l’accord de coopération en matière de lutte contre la criminalité signé par l’Italie et la Tunisie et l’accord d’association entre la Tunisie, l’Union européenne et ses Etats membres (§§ 61-62) ; les articles 1, 32 et 33 de la Convention des Nations unies de 1951 relative au statut des réfugiés (§ 63) ; les lignes directrices du Comité des Ministres du Conseil de l’Europe (§ 64) ; les rapports relatifs à la Tunisie d’Amnesty International (§§ 65-72) et de Human Rights Watch (§§ 73-79) ; les activités du Comité international de la Croix-Rouge (§§ 80-81) ; le rapport du Département d’Etat américain relatif aux droits de l’homme en Tunisie (§§ 82-93) ; les autres sources d’informations relatives au respect des droits de l’homme en Tunisie (§ 94).
23. Après l’adoption de l’arrêt Saadi, Amnesty International a publié son rapport annuel 2008. Les parties pertinentes de la section de ce rapport consacrée à la Tunisie sont relatées dans Ben Khemais c. Italie, no 246/07, § 34, … 2009).
24. Dans sa résolution 1433(2005), relative à la légalité de la détention de personnes par les Etats-Unis à Guantánamo Bay, l’Assemblée parlementaire du Conseil de l’Europe a demandé au gouvernement américain, entre autres, « de ne pas renvoyer ou transférer les détenus en se fondant sur des « assurances diplomatiques » de pays connus pour recourir systématiquement à la torture et dans tous les cas si l’absence de risque de mauvais traitement n’est pas fermement établie ».
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 3 DE LA CONVENTION
25. Le requérant considère que l’exécution de son expulsion l’exposerait à un risque de traitements contraires à l’article 3 de la Convention. Cette disposition se lit comme suit :
« Nul ne peut être soumis à la torture ni à des peines ou traitements inhumains ou dégradants. »
26. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
27. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention et qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
a) Le requérant
28. Le requérant renvoie aux enquêtes menées par Amnesty International et par le Département d’Etat des Etats-Unis d’Amérique, qui démontreraient que la torture est pratiquée en Tunisie et que certaines personnes soupçonnées de terrorisme et expulsées vers cet Etat ont purement et simplement disparu. Il cite l’exemple d’un compatriote expulsé de l’Italie vers la Tunisie, M. L., qui aurait vu sa peine passer de dix à trente ans sans être entendu à l’audience, et n’aurait aucune possibilité de communiquer avec sa famille. Il relate en outre le cas d’un jeune homme, M. H. B. S. B. F., qui, le 10 octobre 2006, se serait jeté par la fenêtre d’un commissariat peu avant un interrogatoire. L’avocat de M. Ben Frej aurait expliqué que son client avait été détenu pendant vingt-cinq jours dans les cellules du ministère des Affaires intérieures à Tunis, où il avait été sauvagement torturé. Le requérant souligne que de nombreux articles de presse dénoncent la condition des détenus politiques et de leurs familles.
29. Selon le requérant, le simple rappel des traités internationaux signés par la Tunisie ne peut suffire à écarter tout risque de violation des droits conventionnels. Sa famille aurait subi des menaces et des provocations continuelles des forces de police, qui se seraient rendues à plusieurs reprises au domicile familial, appliquant ainsi une pratique courante à l’égard des opposants politiques. Les amis du requérant n’auraient été autorisés à se rendre en Italie qu’en échange de la promesse qu’ils fourniraient des renseignements sur lui ; et les autorités tunisiennes refuseraient depuis 2004 de renouveler son passeport.
30. Le requérant affirme n’avoir aucun lien avec des organisations politiques. Tous ses problèmes viendraient de la publication du livre écrit par M. M. A., vice-directeur du quotidien Il Corriere della Sera, intitulé « Ben Laden en Italie : voyage dans l’Islam radical », où son nom était mentionné. Il explique qu’à la suite de la publication de ce livre, la police italienne a perquisitionné son domicile et le consul tunisien à Bologne l’a accusé d’être un « membre éminent » du parti islamique Ennahdha, dont certains affiliés purgent de lourdes peine de prison en Tunisie. Selon le requérant, les personnes soupçonnées de terrorisme en Europe sont systématiquement rejugées pour ce même crime par un tribunal militaire dès qu’elles sont expulsées vers la Tunisie.
b) Le Gouvernement
31. Le Gouvernement souligne que les allégations relatives à un danger de mort ou au risque d’être exposé à la torture ou à des traitements inhumains et dégradants doivent être étayées par des éléments de preuve adéquats, et estime que cela n’a pas été le cas en l’espèce, le requérant s’étant borné à décrire une situation prétendument généralisée en Tunisie. Il considère que les cas cités par le requérant ne sont pas pertinents, et argue que les articles de presse n’ont pas valeur de preuve dans un différend judiciaire et que la possibilité de demander le statut de réfugié ne signifie pas la certitude de l’obtenir.
32. Le Gouvernement note également que la Tunisie a ratifié plusieurs instruments internationaux en matière de protection des droits de l’homme, y compris un accord d’association avec l’Union européenne, organisation internationale qui, selon la jurisprudence de la Cour, est présumée offrir une protection des droits fondamentaux « équivalente » à celle assurée par la Convention. Il souligne par ailleurs que les autorités tunisiennes permettent à la Croix Rouge internationale de visiter les prisons.
33. De l’avis du Gouvernement, on peut présumer que la Tunisie ne s’écartera pas des obligations qui lui incombent en vertu des traités internationaux. De plus, le système juridique italien prévoirait des garanties pour l’individu – y compris la possibilité d’obtenir le statut de réfugié – qui rendraient un refoulement contraire aux exigences de la Convention « pratiquement impossible ».
34. Le Gouvernement renvoie aux assurances diplomatiques fournies par les autorités tunisiennes, en lesquelles il voit le résultat d’un dialogue intergouvernemental très fructueux. Ces assurances garantiraient une protection adéquate du requérant contre le risque de subir, en Tunisie, des traitements interdits par la Convention.
35. Il souligne que les autorités tunisiennes ont accompagné lesdites assurances d’une « longue et rassurante explication, en fait et en droit, des raisons pour lesquelles il faut y croire », et estime que leur bonne foi ne devrait pas être mise en doute. Il ajoute que le respect effectif de ces assurances pourra être vérifié lors des contrôles du Comité supérieur des droits de l’homme et de la Croix-Rouge, ainsi que des visites des avocats et des proches du requérant.
36. Selon le Gouvernement, l’impossibilité pour le représentant du requérant devant la Cour de visiter son client s’il était incarcéré en Tunisie s’explique par le fait que cet Etat n’a pas adhéré à la Convention. Il serait donc raisonnable de ne pas permettre les visites d’avocats étrangers opérant hors du cadre national et international dans lequel s’inscrit la Tunisie. A cet égard, le Gouvernement observe que l’intéressé pourra, s’il le souhaite, donner mandat à des avocats tunisiens de son choix afin qu’ils procèdent, en collaboration avec leur homologues italiens, à la préparation de sa défense devant la Cour.
37. De l’avis du Gouvernement, les assurances données par la Tunisie sont tranquillisantes en ce qui concerne la sécurité et le bien-être du requérant ainsi que le respect de son droit à un procès équitable. Soulignant que dans l’affaire Saadi précitée, la Cour elle-même a demandé si de telles assurances avaient été sollicitées et obtenues, le Gouvernement estime que, sans qu’il soit question de les remettre en cause, les principes affirmés par la Grande Chambre doivent être adaptés aux circonstances factuelles particulières du cas d’espèce.
2. Appréciation de la Cour
38. Les principes généraux relatifs à la responsabilité des Etats contractants en cas d’expulsion, aux éléments à retenir pour évaluer le risque d’exposition à des traitements contraires à l’article 3 de la Convention et à la notion de « torture » et de « traitements inhumains et dégradants » sont résumés dans l’arrêt Saadi (précité, §§ 124-136), dans lequel la Cour a également réaffirmé l’impossibilité de mettre en balance le risque de mauvais traitements et les motifs invoqués pour l’expulsion afin de déterminer si la responsabilité d’un Etat est engagée sur le terrain de l’article 3 (§§ 137-141).
39. La Cour rappelle les conclusions auxquelles elle est parvenue dans l’affaire Saadi précité (§§ 143-146), qui étaient les suivantes :
– les textes internationaux pertinents font état de cas nombreux et réguliers de torture et de mauvais traitements infligés en Tunisie à des personnes soupçonnées ou reconnues coupables de terrorisme ;
– ces textes décrivent une situation préoccupante ;
– les visites du Comité international de la Croix-Rouge dans les lieux de détention tunisiens ne peuvent dissiper le risque de soumission à des traitements contraires à l’article 3 de la Convention.
40. La Cour ne voit en l’espèce aucune raison de revenir sur ces conclusions, qui se trouvent d’ailleurs confirmées par le rapport 2008 d’Amnesty International relatif à la Tunisie (voir le paragraphe 23 ci-dessus). Elle note de surcroît qu’en Italie le requérant a été accusé d’appartenir à une organisation terroriste intégriste (voir le paragraphe 12 ci-dessus).
41. Dans ces conditions, la Cour estime qu’en l’espèce, des faits sérieux et avérés justifient de conclure à un risque réel de voir le requérant subir des traitements contraires à l’article 3 de la Convention s’il était expulsé vers la Tunisie (voir, mutatis mutandis, Saadi, précité, § 146). Il reste à vérifier si les assurances diplomatiques fournies par les autorités tunisiennes suffisent à écarter ce risque.
42. A cet égard, la Cour rappelle, premièrement, que l’existence de textes internes et l’acceptation de traités internationaux garantissant, en principe, le respect des droits fondamentaux ne suffisent pas, à elles seules, à assurer une protection adéquate contre le risque de mauvais traitements lorsque, comme en l’espèce, des sources fiables font état de pratiques des autorités – ou tolérées par celles-ci – manifestement contraires aux principes de la Convention (Saadi, précité, § 147 in fine). Deuxièmement, il appartient à la Cour d’examiner si les assurances données par l’Etat de destination fournissent, dans leur application effective, une garantie suffisante quant à la protection du requérant contre le risque de traitements interdits par la Convention (Chahal c. Royaume-Uni, Recueil des arrêts et décisions 1996-V, § 105, 15 novembre 1996). Le poids à accorder aux assurances émanant de l’Etat de destination dépend en effet, dans chaque cas, des circonstances prévalant à l’époque considérée (Saadi, précité, § 148 in fine).
43. En la présente espèce, l’avocat général à la direction générale des services judiciaires a assuré que la dignité humaine du requérant serait respectée en Tunisie, qu’il ne serait pas soumis à la torture, à des traitements inhumains ou dégradants ou à une détention arbitraire, qu’il bénéficierait de soins médicaux appropriés et qu’il pourrait recevoir des visites de son avocat et des membres de sa famille. Outre les lois tunisiennes pertinentes et les traités internationaux signés par la Tunisie, ces assurances reposent sur les éléments suivants :
– les contrôles pratiqués par le juge d’exécution des peines, par le comité supérieur des droits de l’homme et des libertés fondamentales (institution nationale indépendante) et par les services de l’inspection générale du ministère de la Justice et des Droits de l’homme ;
– deux cas de condamnation d’agents de l’administration pénitentiaire et d’un agent de police pour mauvais traitements ;
– la jurisprudence interne, aux termes de laquelle un aveu extorqué sous la contrainte est nul et non avenu (voir le paragraphe 20 ci-dessus).
44. La Cour note, cependant, qu’il n’est pas établi que l’avocat général à la direction générale des services judiciaires était compétent pour donner ces assurances au nom de l’Etat (voir, mutatis mutandis, Soldatenko c. Ukraine, no 2440/07, § 73, 23 octobre 2008). De plus, compte tenu du fait que des sources internationales sérieuses et fiables ont indiqué que les allégations de mauvais traitements n’étaient pas examinées par les autorités tunisiennes compétentes (Saadi, précité, § 143), le simple rappel de deux cas de condamnation d’agents de l’Etat pour coups et blessures sur des détenus ne saurait suffire à écarter le risque de tels traitements ni à convaincre la Cour de l’existence d’un système effectif de protection contre la torture, en l’absence duquel il est difficile de vérifier que les assurances données seront respectées. A cet égard, la Cour rappelle que dans son rapport 2008 relatif à la Tunisie, Amnesty International a précisé notamment que, bien que de nombreux détenus se soient plaints d’avoir été torturés pendant leur garde à vue, « les autorités n’ont pratiquement jamais mené d’enquête ni pris une quelconque mesure pour traduire en justice les tortionnaires présumés » (voir le paragraphe 23 ci-dessus).
45. De plus, dans l’arrêt Saadi précité (§ 146), la Cour a constaté une réticence des autorités tunisiennes à coopérer avec les organisations indépendantes de défense des droits de l’homme, telles que Human Rights Watch. Dans son rapport 2008 précité, Amnesty International a par ailleurs noté que, bien que le nombre de membres du comité supérieur des droits de l’homme ait été accru, celui-ci « n’incluait pas d’organisations indépendantes de défense des droits fondamentaux ». L’impossibilité pour le représentant du requérant devant la Cour de rendre visite à son client s’il était emprisonné en Tunisie confirme la difficulté d’accès des prisonniers tunisiens à des conseils étrangers indépendants même lorsqu’ils sont parties à des procédures judiciaires devant des juridictions internationales. Ces dernières risquent donc, une fois un requérant expulsé en Tunisie, de se trouver dans l’impossibilité de vérifier sa situation et de connaître d’éventuels griefs qu’il pourrait soulever quant aux traitements auxquels il est soumis (Ben Khemais, précité, § 63).
46. Dans ces circonstances, la Cour ne saurait souscrire à la thèse du Gouvernement selon laquelle les assurances données en la présente espèce offrent une protection efficace contre le risque sérieux que court le requérant d’être soumis à des traitements contraires à l’article 3 de la Convention (voir, mutatis mutandis, Soldatenko précité, §§ 73-74). Elle rappelle au contraire le principe affirmé par l’Assemblée parlementaire du Conseil de l’Europe dans sa résolution 1433(2005), selon lequel les assurances diplomatiques ne peuvent suffire lorsque l’absence de danger de mauvais traitement n’est pas fermement établie (voir le paragraphe 24 ci-dessus).
47. Partant, la décision d’expulser l’intéressé vers la Tunisie violerait l’article 3 de la Convention si elle était mise à exécution.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 DE LA CONVENTION
48. Le requérant allègue que son expulsion vers la Tunisie priverait sa femme et ses quatre enfants de sa présence et de son aide. Il fait valoir à cet égard qu’il est le seul soutien financier de sa famille, et invoque l’article 8 de la Convention, ainsi libellé dans sa partie pertinente :
« 1. Toute personne a droit au respect de sa vie privée et familiale, (…).
2. Il ne peut y avoir ingérence d’une autorité publique dans l’exercice de ce droit que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu’elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire à la sécurité nationale, à la sûreté publique, (…), à la défense de l’ordre et à la prévention des infractions pénales, (…). »
49. Le Gouvernement considère que ce grief ne saurait être retenu.
50. La Cour considère que ce grief est recevable (Saadi, précité, § 163). Cependant, ayant constaté que l’expulsion du requérant vers la Tunisie constituerait une violation de l’article 3 de la Convention (voir le paragraphe 47 ci-dessus) et n’ayant aucun motif de douter que le gouvernement défendeur se conformera au présent arrêt, elle n’estime pas nécessaire de trancher la question hypothétique de savoir si, en cas d’expulsion vers la Tunisie, il y aurait aussi violation de l’article 8 de la Convention (Saadi, précité, § 170).
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 7
51. Le requérant allègue que les exigences de protection de la sécurité nationale sur lesquelles le ministre des Affaires intérieures a fondé son expulsion sont démenties par les ordonnances du GIP et de la chambre spécialisée de Bologne. Il rappelle qu’au moment de son expulsion, il était titulaire d’un titre de séjour régulier. Il invoque l’article 1 du Protocole no 7, ainsi libellé :
« 1. Un étranger résidant régulièrement sur le territoire d’un Etat ne peut en être expulsé qu’en exécution d’une décision prise conformément à la loi et doit pouvoir :
a) faire valoir les raisons qui militent contre son expulsion,
b) faire examiner son cas, et
c) se faire représenter à ces fins devant l’autorité compétente ou une ou plusieurs personnes désignées par cette autorité.
2. Un étranger peut être expulsé avant l’exercice des droits énumérés au paragraphe 1 a), b) et c) de cet article lorsque cette expulsion est nécessaire dans l’intérêt de l’ordre public ou est basée sur des motifs de sécurité nationale. »
52. Le Gouvernement conteste cette thèse. Il soutient que le requérant a bénéficié des garanties procédurales requises par le Protocole no 7 dans la mesure où il a été représenté par un conseil de son choix qui a pu faire valoir devant le juge de paix les raisons militant contre l’expulsion. Il ajoute que l’expulsion en question reposait sur des motifs de sécurité nationale et d’ordre public.
53. La Cour observe que l’expulsion du requérant, ordonnée par le ministre des Affaires intérieures, a été examinée par le juge de paix de Milan, qui pouvait soit l’annuler soit la valider (voir le paragraphe 9 ci-dessus). Devant cette juridiction, l’intéressé a joui de garanties procédurales suffisantes et eu l’opportunité de présenter tous les arguments militant contre son expulsion.
54. Dans ces circonstances, aucune apparence de violation de l’article 1 du Protocole no 7 ne saurait être décelée.
55. Il s’ensuit que ce grief est manifestement mal fondé et doit être rejeté en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
IV. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
56. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
57. Le requérant sollicite 80 000 euros (EUR) au titre du préjudice matériel qu’il estime avoir subi. Il allègue que cette somme couvre le manque à gagner découlant de sa privation de liberté dans le centre de détention provisoire de Milan. Il demande en outre 50 000 EUR pour préjudice moral.
58. Le Gouvernement rappelle que l’expulsion du requérant n’a pas été exécutée et estime qu’il serait singulier qu’un étranger ayant enfreint les règles du pays d’accueil pût obtenir un dédommagement en raison d’un arrêté légitime de refoulement. Le requérant aurait par ailleurs été détenu conformément à la législation nationale et il n’y aurait aucun lien de causalité entre le préjudice allégué et le comportement de l’Etat.
59. La Cour rappelle qu’elle est en mesure d’octroyer des sommes au titre de la satisfaction équitable prévue par l’article 41 lorsque la perte ou les dommages réclamés ont été causés par la violation constatée, l’Etat n’étant en revanche pas censé verser des sommes pour les dommages qui ne lui sont pas imputables (Perote Pellon c. Espagne, no 45238/99, § 57, 25 juillet 2002).
60. En l’espèce, la Cour a constaté que la mise à exécution de l’expulsion du requérant vers la Tunisie violerait l’article 3 de la Convention. Cependant, elle n’a pas relevé de violations de la Convention en raison de la privation de liberté de l’intéressé. Dès lors, elle n’aperçoit aucun lien de causalité entre la violation constatée dans le présent arrêt et le préjudice matériel allégué par le requérant (Saadi précité, § 187).
61. S’agissant du préjudice moral subi par le requérant, la Cour estime que le constat que l’expulsion, si elle était menée à exécution, constituerait une violation de l’article 3 de la Convention, représente une satisfaction équitable suffisante (Saadi précité, § 188).
B. Frais et dépens
62. Le requérant n’a présenté aucune demande de remboursement au titre des frais et dépens. Partant, la Cour estime qu’il n’y a pas lieu de lui octroyer de somme à ce titre.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant aux griefs tirés des articles 3 et 8 de la Convention et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit que, dans l’éventualité de la mise à exécution de la décision d’expulser le requérant vers la Tunisie, il y aurait violation de l’article 3 de la Convention ;
3. Dit qu’il n’y a pas lieu d’examiner également si la mise à exécution de la décision d’expulser le requérant vers la Tunisie violerait aussi l’article 8 de la Convention ;
4. Dit que le constat d’une violation constitue une satisfaction équitable suffisante au titre du dommage moral subi par le requérant ;
5. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 24 mars 2009, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Sally Dollé Françoise Tulkens
Greffière Présidente

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