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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE SOCIEDAD ANÓNIMA DEL UCIEZA c. ESPAGNE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 35, 06, P1-1
Numero: 38963/08/2014
Stato: Spagna
Data: 2014-11-04 00:00:00
Organo: Sezione Terza
Testo Originale

Conclusioni: Eccezione preliminare respinta, Articolo 35-1 – Termine dei sei mesi, Violazione dell’articolo 6 – Diritto ad un processo equo, Articolo 6 – Procedimento civile Articolo 6-1 – Accesso ad un tribunale, Violazione dell’articolo 1 del Protocollo n° 1 – Protezione della proprietà, articolo 1 al. 1 del Protocollo n° 1 – Rispetto dei beni, Danno morale – decisione riservata Danno patrimoniale – decisione riservata

TERZA SEZIONE

CAUSA SOCIEDAD ANÓNIMA DEL UCIEZA C. SPAGNA

( Richiesta no 38963/08)

SENTENZA
(fondo)

STRASBURGO

4 novembre 2014

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nel causa Sociedad Anónima del Ucieza c. Spagna,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta di:
Josep Casadevall, presidente,
Alvina Gyulumyan,
Ján Šikuta,
Luccica López Guerra,
Johannes Silvis,
Valeriu Griţco,
Iulia Antoanella Motoc, juges,et
di Marialena Tsirli, greffière collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 7 ottobre 2014,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 38963/08) diretta contro il Regno della Spagna e di cui una società anonima di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 4 agosto 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è stato rappresentato da OMISSIS, avvocati a Madrid. Il governo spagnolo (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, F. di A. Sanz Gandasegui, avvocato dello stato ed allora capo del servizio morale dei diritti dell’uomo al ministero della Giustizia.
3. Il richiedente si dice vittima di un attentato ai suoi beni raddoppiati di una discriminazione, e stima essere stato privata di accesso alla giurisdizione di cassazione con un eccesso di formalismo. Invoca gli articoli 6 e 14 della Convenzione e l’articolo 1 del Protocollo no 1.
4. Il 29 maggio 2012, la richiesta è stata dichiarata parzialmente inammissibile ed i motivi di appello derivati dei diritti ad un processo equo, al rispetto dei beni ed al non discriminazione è stato comunicato al Governo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è una società anonima di dritta spagnolo costituita nel 1978 avendo la sua sede a Ribas di Campos (Palencia).
6. Il 12 luglio 1978, il richiedente acquisì un terreno irrigato a Ribas di Campos. L’acquisizione del terreno fu iscritta al libro fondiario di Astudillo (Palencia). Oltre i limiti del terreno e la sua superficie totale, l’atto di iscrizione stabilita nel 1979 menzionava che nella proprietà era cinta “una chiesa, una casa, dei norias, un cortile ed un mulino”.
7. Il terreno acquisito dal richiedente era appartenuto al vecchio monastero di Santa Cruz dello Zarza un tempo-dell’ordine dei canonici regolari di Prémontré (Orden di los Premostratenses)-che faceva parte del priorato di Santa Cruz, fondato al XIIe secolo.
L’ordine dei Prémontrés era stato annullato in Spagna all’inizio del XIXe secolo, come molto altri all’epoca, paragrafi 19-23 sotto. I beni del priorato di Santa Cruz furono venduti alle aste a due riprese. Il 9 dicembre 1835, di prima, due motivi denominati H. ed il Sig. acquisirono i terreni e la maggioranza dei beni “urbani” (costruzioni, del priorato, salvo l’edificio del priorato propriamente detto,). Il sieur M. ricomprò più il lotto del sieur H. I beni di culto tardi furono messi in lista e tolti del convento. Il 23 dicembre 1841, poi, il sieur M. quietanza alle aste l’edificio del priorato. Questi beni conobbero poi tutta una catena di trasmissioni, fino al richiedente. Nelle iscrizioni successive di queste trasmissioni al libro fondiario, era fatto sempre espressamente “un edificio che era anticamente la chiesa del priorato di Santa Cruz” e di altri edifici menzione d ‘.
8. Il 22 dicembre 1994, il vescovato di Palencia (“il vescovato”) fece iscrivere al suo proprio nome nel libro fondiario di Astudillo un “terreno urbano” con una chiesa di stile cistercense dell’inizio del XIIIe secolo, una sagrestia ed una camera capitolare avendo fatto parte del vecchio monastero prémontré di Santa Cruz dello Zarza un tempo e trovandosi sul terreno di cui il richiedente era la proprietaria secondo il libro fondiario. Questa iscrizione al libro fondiario si effettuò sulla base di un certificato datato del 16 dicembre 1994 rilasciato dal vescovato sé sotto la firma del suo segretario generale, con l’accordo del vicario generale. Sebbene il suo nome figurasse al libro fondiario come titolare del terreno, questa nuova iscrizione ebbe luogo senza che il richiedente fosse stato sentita, e nessuna possibilità di opposizione non gli fu predisposta.
9. Informata dopo, il richiedente indirizzò dei reclami al vescovato di Palencia, stimandosi ingiustamente privata di una parte della sua proprietà senza causa di utilità pubblica e nella mancanza di ogni indennizzo in virtù di una legge anteriore alla Costituzione, legge ai suoi occhi discriminatori e contrari al carattere non confessionale dello stato così come alla libertà religiosa.
Il vescovato gli rispose nei seguenti termini:
“la proprietà del tempio al quale fai riferimento nella tua lettera appartiene alla diocesi di Palencia, in virtù, da sempre siccome lo sai, della legge di de ammortizzamento dei beni (desamortización): confisca dei beni ecclesiastici, del 2 settembre 1841 che, del de ammortizzamento escludeva nel suo articolo 6 gli immobili come le chiese, le cattedrali, gli allegati ed aiuti di chiesa; e nella misura in cui il tempio al quale fai riferimento è sempre stato un tempio parrocchiale è evidente che un tale immobile non è potuto essere mai tra le mani private.”
10. Il richiedente impegnò allora contro il vescovato di Palencia un’azione civile in nullità dell’iscrizione al libro fondiario della chiesa e delle sue dipendenze fatta dal vescovato nel 1994.
11. Con un giudizio del 28 marzo 2000, il pretore no 5 di Palencia respinse il richiedente-che aveva fondato la sua pretesa sull’anteriorità dell’iscrizione al suo nome al libro fondiario, l’origine della proprietà, la sua acquisizione con asta pubblica ed il possesso della chiesa e delle chiavi per aderire.
Il giudice motivò il suo giudizio come segue. Rilevò che il terreno ed i lavori in causa erano stati oggetto delle leggi di de ammortizzamento ed erano stati venduti poi alle aste in 1835 e 1841, ma che la chiesa lei stessa che era stato chiesa parrocchiale prima del desamortización, non aveva non per questa ragione stata lesa da questa ultima né con le vendite ulteriori. Ne voleva per prova che la chiesa aveva continuato di accogliere la messa e le altre attività legate al culto cattolico finché il suo stato l’aveva permesso e che il vescovato di Palencia aveva effettuato dei lavori di conservazione, il richiedente non avendo proceduto ai lavori che ai dintorni della chiesa. Il codice di diritto canonico che è di applicazione dunque, la chiesa in causa era potuta essere acquisita dal richiedente con via di usucapione, nella misura in cui il prescrizione acquisitive non poteva giocare in materia che al profitto delle persone giuridiche ecclesiastiche. Ad ogni modo, il richiedente non aveva avuto il possesso della chiesa durante il tempo esatto dalla legge affinché possa giocare la prescrizione, la diocesi avendo agito in quanto proprietario fino al conflitto sul titularité di suddetta chiesa. Peraltro, il fatto che gli impiegati del richiedente disponevano della chiave della chiesa non costituiva un atto di “proprietà” nella misura in cui l’origine di questa detenzione non era conosciuta e dove la chiave era alla disposizione di tutti quelli che voleva visitare la chiesa.
12. Il richiedente fece appello. Con una sentenza del 5 febbraio 2001, l’Audiencia provinciale di Palencia respinse l’appello e confermò il giudizio attaccato.
Nei suoi motivi, l’Audiencia provinciale sottolineò che la chiesa in questione non faceva parte di quelli dei beni immobili ubicati sul terreno in causa essendo stato trasmesso lungo la catena dei proprietari successivi dalla loro prima acquisizione col sieur Sig. nel 1841. La sua sentenza si leggeva come segue:
“(…) Primariamente. – Il rappresentante di [il richiedente] nel presente procedimento fa appello del giudizio di istanza avendo respinto la sua richiesta. Il richiedente esercita, secondo ciò che risulta della pretesa che espone nella sua richiesta, l’azione in dichiarazione di proprietà sull’immobile, chiesa con le sue dipendenze, esistente sul terreno rurale di cui è la proprietaria, e chiedi anche la dichiarazione della nullità e, di conseguenza, l’annullamento dell’iscrizione al libro fondiario di questo immobile in favore della parte convenuta, il vescovato di Palencia. Questa iscrizione [di cui il richiedente chiede l’annullamento] è un’iscrizione primo ed unico di proprietà, effettuata, in virtù dell’articolo 206 della legge ipotecaria, il 22 dicembre 1994. [Il richiedente mantiene] che la chiesa in questione è la sua proprietà poiché è inclusa cinta o nel suo terreno rurale ed iscritta al suo nome nel libro fondiario sotto il nº 3.250, e che l’ha acquisita dei precedenti proprietari con un atto autentico di vendita passo il 12 luglio 1978. [Agli occhi del richiedente], l’immatricolazione di suddetta chiesa, effettuata il 22 dicembre 1994 alla domanda del convenuto, il vescovato di Palencia, ha provocato un’iscrizione doppia e contraddittoria che, nella misura in cui [secondo lei] il vescovato non è il proprietario della chiesa, (…) deve essere decisa dalla riconoscenza o la dichiarazione della proprietà del richiedente sulla chiesa controversa e l’annullamento dell’iscrizione o dell’immatricolazione di suddetta chiesa fatta in favore del vescovato. Il richiedente sostiene che tiene il suo diritto dei proprietari successivi della proprietà che descrive nel “Fatto primo” del suo ricorso, fino al primo acquirente di questa, il Sig. José Martínez Liébana che aveva acquistato alle aste il 23 dicembre 1841 per un prezzo di 30.500 réals la casa-covano del priorato di Santa Cruz dello Zarza che appartiene all’ordine dei Prémontrés (Orden di los Premostratenses), soppresso con le leggi di de ammortizzamento (désamortización) del XIXe secolo; la questione si limita, siccome precisalo il pretore nel suo giudizio, a determinare se la chiesa controversa [presentata come] cinta, tutto come altri beni di cui una casa, due norias, un cortile ed un mulino, nella descrizione al libro fondiario della proprietà rurale 3.250, era stata inclusa nell’asta pubblica dei beni del priorato di Santa Cruz soppresso, siccome lo sostiene il richiesto оu se, al contrario, per il suo statuto di parrocchia, questa chiesa è stata allontanata del “de ammortizzamento” in virtù dell’articolo 6-4 della legge del 2 settembre 1841 che escludeva [tra] le proprietà del clero, “gli immobili delle chiese cattedrali o parrocchiali, o degli allegati оu aiuti di parrocchia” della dichiarazione generica dei beni nazionali.”
SECONDARIAMENTE: Il contesto si presenta come segue Il priorato di Santa Cruz, dell’ordine dei Prémontrés, è stato fondato o si è installato in 1176 alla località Santa Cruz, vicino alla località di Ribadisti di Campos. Contava solamente in 1688 due religiosi di cui uno di essi, il priore, officiait per il saluto delle anime. Il priorato fu abbandonato definitivamente difficile ad una data a precisare, ma anteriore all’inondazione del 5 dicembre 1739. Tuttavia, quando il 7 febbraio 1810 ebbe luogo la riconoscenza e la stimata del convento, con le sue case, colombaia, lapinière, cortile e ripari per bestiame, cantine e boschetto di Valdejimena su ordine del Sig. Juan Báez, prete parrocchiale del priorato soppresso [Risulta così] che a questa epoca esisteva un curato parrocchiale di questo priorato e che la chiesa non era stata inclusa all’epoca della riconoscenza e della stimata del convento, malgrado la descrizione dettagliata che fu fatta dei beni di questo. Questo corrisponde alle affermazioni del richiedente nel “Fatto quarto” del suo scritto in risposta alla questione di sapere se la chiesa in causa è sempre stata una parrocchia, questo essere-a-argomento una chiesa dove si amministrava i sacramenti e dove il si occupava spiritualmente dei fedeli, inizialmente [con] i religiosi dell’ordine del priorato precitato e posteriormente [con] dei curati o dei preti secolari dipendenti del vescovato di Palencia. Ciò che prova interamente che al meno da 1617, i sacramenti sono stati amministrati in modo ininterrotti. Ma a maggior ragione e per dimostrare che la chiesa non era stata inclusa nei beni che furono venduti alle aste ed acquisizioni nel 1841 col Sig. José Martínez Liébana, [c’è luogo di rilevare:] che dopo questa data ha continuato ad esistere in quanto chiesa parrocchiale di Santa Cruz finora, sebbene l’ultimo sacramento di battesimo [risalgo a] 1981, servita dai curati successivi [o ancora:] che, visto la sua anzianità e la sua precarietà, [questa chiesa] ha fatto l’oggetto delle diverse riabilitazioni alla domanda dei suoi curati e sempre agli oneri del vescovato, siccome provalo il richiedente lei stessa. Risulta con evidenza dunque che la chiesa in causa era una parrocchia prima del desamortización e la vendita dei beni del priorato soppresso e che l’è restata in seguito, sebbene a causa della mancanza di fedeli, nel 1951, secondo il documento che si trova al foglio 253, la popolazione di fatto di Santa Cruz di Ribadisti era di sedici abitanti, il curato parrocchiale fusto anche concomitamment quello della parrocchia di Ribadisti di Campos A questa indicazione incontestabile dell’esistenza e della sussistenza della parrocchia nella chiesa controversa, bisogna aggiungere ciò che è stato spiegato precedentemente, a sapere che all’epoca dell’inventario effettuato nel 1810, la chiesa non fu inclusa, e è la ragione per la quale si deve concludere che la chiesa in questione non figurava tra i beni del priorato annullato acquisito dal Sig. José Martínez Liébana nel 1841. Questo spiega che in ragione della ricomposizione i proprietari successivi [dei beni che rilevano della proprietà rurale registrata sotto il numero 3.250] non abbiano messo mai in questione la proprietà del vescovato ed il carattere parrocchiale della chiesa controversa. Bisogna concludere che il richiedente non abbia potuto acquisire mai dei venditori ciò che questi non potevano trasmettergli, la chiesa controversa che non è la loro proprietà ma quella del vescovato di Palencia, è stato dimostrato così pienamente. In definitiva, il richiedente non prova, siccome gli spetta, che il titolo di cui eccepisce comprende o include precisamente l’oggetto controverso. Di conseguenza, è bacino di ingrassamento per ostriche che la sua pretesa non saprebbe essere accolta senza ignorare con là l’articolo 34 della legge ipotecaria. (…) Considerando la descrizione equivoca che figura nel libro fondiario concernente i casamenti inclusi col terreno, [questa iscrizione] è interpretata [con la presente sentenza] nel senso che la chiesa parrocchiale non è inclusa nel titolo di proprietà del richiedente che non può neanche [avvalersi al suo riguardo] dell’usucapione poiché ad ogni modo [la durata di possesso richiesto non è raggiunta]. Il richiedente non ha provato neanche il possesso della chiesa a titolo di proprietario. Il non si saprebbe considerare come gli atti possessori la semplice detenzione con gli impiegati del richiedente delle chiavi difatti della chiesa per mostrarla ai visitatori alle epoche dell’anno dove, visto il debole numero di fedeli nella municipalità, non ci sono regolarmente attività di culto religioso. Per le ragioni esposte [sopra], c’è luogo di respingere l’appello e di confermare il giudizio di istanza.”
13. Il richiedente si ricorse in cassazione. Nel suo ricorso, enunciò che il valore del bene in causa era “inestimabile”, considerando le sue caratteristiche, pure ammettendo che la controversia aveva una posta finanziaria superiore a 36 000 euros (EUR), ammontando richiesto all’epoca affinché un ricorso in cassazione sia possibile a questo titolo. La parte convenuta affermò in quanto a lei che il valore dell’immobile rivendicato s`élevait a 600 000 EUR.
14. Con un’ordinanza del 8 marzo 2005, il Tribunale supremo invitò il richiedente a giustificare che la posta della controversia superava i 150 000 EUR, nuova soglia applicabile ai ricorsi in cassazione su criterio finanziario secondo il codice di procedimento civile del 7 gennaio 2000, entrato in vigore nel frattempo.
15. Il richiedente rispose che era difficile valutare un immobile storico, ma ricordò che il vescovato aveva sé stimato il valore del bene in causa a 600 000 EUR.
Il perito anteriormente nominato aveva considerato che il valore artistico del tempio che è oggetto della perizia era molto alzato, sebbene economicamente incalcolabile” considerando la mancanza di mercato di acquisto-vendita delle chiese medievali.
16. Nella sua analisi dei conclusioni della perizia in causa, il richiedente aveva indicato che il valore del bene superava certamente i 600 000 EUR indicati dalla parte convenuta, ma aveva stimato inutile di discutere questa cifra nella misura in cui le due parti erano di accordo per considerare la posta finanziaria del procedimento come superiore a 36 000 EUR, montando minimo necessario e sufficiente, all’epoca, per ricorrersi in cassazione su questo fondamento.
17. Con una decisione del 14 giugno 2005, il Tribunale supremo dichiarò inammissibile il ricorso in cassazione formata dal richiedente, al motivo che le esigenze dell’articolo 477 § 2-2º del codice di procedimento civile per l’apertura di questa via di ricorso a titolo della posta finanziaria della controversia non erano riuniti.
Per giungere a questa conclusione, il Tribunale supremo considerò che la stima del valore del bene a 600 000 EUR non bastava a contraddire la qualifica iniziale del bene controverso come “inestimabile.” Osservò che il richiedente aveva persistito nell’affermazione del carattere inestimabile, in termini economici, dei beni rivendicati. Considerò che il richiedente era riuscito unicamente a stabilire che la posta del procedimento superava prima i 36 000 EUR richiesti con l’articolo 1687 § 1-c, del codice di procedimento civile del 1881, ma che non era riuscita a mostrare che la nuova soglia di apertura dei ricorsi a titolo del criterio finanziario era raggiunta. La sua sentenza era redatta in questi termini:
“Così [il richiedente] ha sostenuto che il valore dell’interesse controverso della richiesta era di 36 000 EUR, deve essere rilevato tuttavia, da una parte che oltre questa affermazione, il richiedente ha mantenuto il suo criterio, ammettendo solamente che il valore dell’immobile superava l’importo esatto in cassazione secondo l’articolo 1687 § 1-c, del codice di procedimento civile del 1881; e che, altro parte, questa affermazione non aveva nessuna giustificazione e che, di più-e questo è il fatto determinante-, non era sostenuta dalla prova proposta ed era amministrata all’epoca dell’istanza, poiché il perito era stato incapace di assegnare agli immobili un valore economico. [Peraltro], il richiedente non può spettare sul carattere inestimabile, in termini economici, che ha assegnato all’oggetto in causa, né su lei [quantificazione del suo valore]-che, sebbene avesse potuto facilitare l’accesso alla cassazione sotto il regime del codice di procedimento civile precedente, non può avere simile effetto sotto il regime instaurato dal codice di procedimento civile 1/2000-, per aderire alla dichiarazione della parte convenuta in quanto al valore economico dei beni rivendicati, e, di conseguenza, alla posta finanziaria del procedimento. Questo ultimo deve essere fissato in funzione di [la definizione che ne è dato] al 1o dell’articolo 489 del codice di procedimento civile del 1881 che è ripreso nei termini analoghi al 1º dell’articolo 25 del codice di procedimento civile 1/2000. Allo visto di tutto ciò, conviene dichiarare il ricorso in cassazione inammissibile, per il contemplato in quanto 483 § all’articolo 2-3º capoverso 1 del codice di procedimento civile. “
18. Il richiedente formò allora un ricorso di amparo dinnanzi al Tribunale costituzionale sul fondamento degli articoli 16 e 24 della Costituzione spagnola (diritto alla libertà religiosa e diritto all’equità del procedimento) rispettivamente). Con una decisione del 26 febbraio 2008, notificato il 3 marzo 2008, il Tribunale costituzionale dichiarò il ricorso inammissibile come essendo privato di contenuto costituzionale, in virtù dell’articolo 50 § 1 c, della legge organica che cade sul Tribunale costituzionale nella sua versione anteriore alla sua modifica con la legge organica 6/2007 del 24 maggio 2007.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
19. Il “de ammortizzamento” (desamortización). Designando étymologiquement l’uscita di un bene di un “mainmorte”, questo termine è la denominazione consacrata in Spagna di un lungo processo storico ed economico che si dilungò della fine del XVIIIe all’inizio del XXe secolo e che consistè, essenzialmente, a mettere alle aste pubbliche delle terre e dei beni improduttivi detenute dai mainmortes: nella maggior parte dei casi, si trattava della chiesa cattolica o di ordini religiosi che aveva visto il loro patrimonio aumentare con l’accumulo delle eredità o donazioni col passare del tempo.
20. La beni proprietà del clero “regolare”-di cui i canonici dell’ordine di Prémontré (Premostratenses)-furono previsti dai decreti reali del 11 ottobre 1835 e 19 febbraio 1836, adottato per permettere il de ammortizzamento dei conventi, monasteri ed altre entità simili.
21. Tra la beni proprietà del clero “secolare”, l’articolo 6 § 4 della legge del 2 settembre 1841 esclude del de ammortizzamento gli immobili delle chiese cattedrali o parrocchiali, così come degli allegati ed aiuti si c’annettendo.
22. La pubblicità fondiaria. È regolata dalla legge ipotecaria del 8 febbraio 1946 di cui le disposizioni pertinenti si leggono come segue:
Articolo 17
“Una volta lo nomina iscrive, nessuno altro titolo incompatibile con questo non può essere iscritto anche se porta la stessa data o una data anteriore.”
Articolo 38
1. “Ad ogni effetto morale, è presunto che i diritti reale iscritti al libro fondiario esistono ed appartengono al loro titolare [registrato], sotto la forma determinata nell’iscrizione corrispondente.”
(…). “
Articolo 199
“L’immatricolazione delle proprietà che non sono iscritte al nome di nessuno sarà effettuata [secondo una del seguente modalità]:
ha. al termine di un procedimento di [riconoscenza di] proprietà;
b. su presentazione di un titolo pubblico di acquisizione, completato da un atto di notorietà quando il titolo acquisitif del venditore o di quello che lo trasmette non è attestato in modo inconfutabile;
c. su presentazione del certificato al quale si riferisce l’articolo 206, nei soli casi indicati in questo articolo”.
Articolo 206
“Lo stato, le province, i comuni e [altri] entità di dritto pubblici o servizi organizzati facendo parte della struttura politica dello stato così come [le entità che rilevano] della chiesa cattolica possono, di proprietà scrive in caso di mancanza di titolo, [fare] iscrivere come [la loro proprietà] i beni immobili che appartengono loro su presentazione di un certificato rilasciato dal funzionario incaricato della loro amministrazione in che sarà menzionata il titolo dove il modo di acquisizione [dei beni in causa].”
23. L’ordinamento ipotecario completo queste disposizioni, nei seguenti termini,:
Articolo 304
“Nel caso dove il funzionario incaricato dell’amministrazione o della guardia dei beni non esercita di autorità pubblica e non è abilitato a rilasciare il certificato [suddetto], questo sarà rilasciato dal primo superiore gerarchica abilità a farlo, prendendo per ciò i dati e le notizie ufficiali indispensabili. Trattandosi dei beni della chiesa, i certificati saranno rilasciati dal diocesano competente. “
Articolo 306
“[Se si rivela che] i certificati rilasciati conformemente alle disposizioni precedenti sono in contraddizione con un’iscrizione non annullata, o si riferiscono ai terreni o ai diritti reali di cui l’iscrizione ritaglia già con certi aspetti dei beni o dei diritti iscritti, il responsabile del libro fondiario sospenderà all’iscrizione chiesta e manderà copia delle iscrizioni contraddittorie all’autorità avendo rilasciato suddetti certificati.”
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
24. Il richiedente stima che è con un eccesso di formalismo che si è vista privata del suo diritto di accesso al ricorso in cassazione dinnanzi al Tribunale supremo: considera che aveva dimostrato debitamente che il valore della chiesa superava la soglia finanziaria di 150 000 EUR fissato per l’apertura della via della cassazione. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulata,:
“Ogni persona ha diritto a ciò che la sua causa sia equamente sentita con un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Sull’ammissibilità
25. La Corte constata che il presente motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione. Rileva peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
26. Il richiedente sottolinea il carattere singolare dell’oggetto della controversia-una chiesa medievale -e l’impossibilità di quantificare ne il valore, nella misura in cui non c’è “mercato” per questo tipo di bene.
Ricorda anche che una seconda circostanza è intervenuta, di procedimento civile che ha portato a 150 000 EUR l’importo minimale per ricorrersi in cassazione a titolo della posta finanziaria della controversia codifica a sapere in vigore l’entrata della novella, al posto di 36 000 EUR prima.
27. All’inizio del procedimento, era stato considerato semplicemente che il valore dell’immobile era di “più di 36 000 EUR”, perché era allora in vigore là l’importo richiesto col codice di procedimento civile affinché un ricorso in cassazione sia possibile su questo terreno. Il richiedente nota che il vescovato di Palencia aveva per la sua parte considerata che il valore della chiesa ammontava a 600 000 EUR e che il perito designato aveva stimato, in risposta ad una questione del rappresentante del vescovato, che il suo valore era “molto alzato, economicamente incalcolabile” ed in ogni caso superiore a 600 000 EUR.
28. La decisione del Tribunale supremo gli sembra irragionevole e sproporzionata, in una causa dove l’oggetto della controversia, una chiesa medievale, aveva un valore straordinario. Stima che l’interpretazione particolarmente rigorosa fatta dal Tribunale supremo delle condizioni di ammissibilità del ricorso in cassazione l’ha privata del suo diritto di accesso ad un ricorso garantito dall’articolo 6 della Convenzione.
29. Il Governo, del suo lato, non vede niente di arbitrarietà nelle ragioni che hanno condotto il Tribunale supremo a dichiarare il ricorso in cassazione del richiedente inammissibile. Ricorda la giurisprudenza della Corte in quanto al modo di cui l’articolo 6 § 1 si applicano alle istanze di appello o di cassazione, le condizioni di ammissibilità di un ricorso in cassazione che può essere più rigorose che per un appello, Lievitazione Prestazioni Servizi c. Francia, 23 ottobre 1996, § 45, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V, Brualla Gómez del Torre c. Spagna, 19 dicembre 1997, § 37, Raccolta 1997-VIII, tra altri,. Insiste sul fatto che la Corte non ha per compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne e che appartiene al primo capo alle autorità nazionali, ed in particolare ai corsi e tribunali, che tocca di interpretare la legislazione interna, Società Anonimo Sotiris e Nikos Koutras Attee c. Grecia, no 39442/98, §§ 17-18, CEDH 2000-XII, in particolare per ciò che è della regolamentazione relativa alle formalità ed ai termini a rispettare per formare un ricorso, Stone Court Shipping Company, S.p.A. c. Spagna, no 55524/00, 28 ottobre 2003.
30. Il Governo osserva che nello specifico, il richiedente ha formato un ricorso in cassazione contro la sentenza dell’Audiencia Provinciale di Palencia riferendosi alla posta finanziaria della causa. L’accesso alla cassazione non essendo aperto su questo terreno nelle cause dove la somma è indeterminata, era imperativo che la posta della controversia sia quantificata e di un importo che raggiunge la soglia richiese. Ora, la regolamentazione applicabile al ricorso in cassazione nel momento in cui il ricorso è stato formato fissava questa soglia a 150 000 EUR. L’apertura del ricorso in cassazione col criterio della posta finanziaria non era possibile nei casi dunque dove questo era inferiore a questa soglia, o di un importo indeterminato.
31. Nella misura in cui il richiedente aveva seguito il procedimento ordinario applicabile alle cause “di importo minorenne” che prende motivo del carattere economicamente inestimabile delle sue pretese, il Tribunale supremo ha stimato, nella sua decisione del 14 giugno 2005, che l’importo minimo richiesto per aderire al ricorso in cassazione col criterio finanziario non era raggiunto, il richiedente lei stessa avendo scritto che l’importo in controversia era “inestimabile allo visto degli immobili previsti dall’azione in rivendicazione che costituisce l’oggetto del processo.” Agli occhi del Governo, valutando dinnanzi alla Corte la posta finanziaria della controversia a 600 000 EUR, mentre questa valutazione corrisponde a quella fatto dalla parte convenuta-la chiesa cattolica-nel procedimento civile interno, il richiedente contraddice i suoi propri atti.
32. Il Governo conclude che non c’è niente avuto di irragionevole nell’inammissibilità del ricorso in cassazione: il richiedente ha preteso aderire alla via della cassazione a ragione della posta finanziaria della controversia, pure fissando il valore della chiesa ad un importo inferiore alla soglia richiese astenendosi o da quantificare ne il valore al motivo che era inestimabile. Non saprebbe attiva contro i suoi propri atti per rimproverare al Tribunale supremo una condotta insensata dunque.
33. La Corte ricorda che non ha per compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne. Appartiene al primo capo alle autorità nazionali, ed in particolare ai corsi e tribunali, che tocca di interpretare la legislazione interna (vedere, tra molto altri, Brualla Gómez del Torre c. Spagna, precitata, § 31, ed Edificaciones March Gallego S.p.A. c. Spagna, 19 febbraio 1998, § 33, Raccolta 1998-I. Il ruolo della Corte si limita a verificare la compatibilità con la Convenzione degli effetti di simile interpretazione. Ciò è particolarmente vero trattandosi dell’interpretazione coi tribunali delle regole di natura procedurale come i termini che regolano il deposito dei documenti o l’introduzione di ricorso, Tejedor García c. Spagna, 16 dicembre 1997, § 31, Raccolta 1997-VIII. Peraltro, la Corte riafferma che l’articolo 6 non costretto gli Stati contraenti a creare dei corsi di appello o di cassazione. Tuttavia, un Stato che si dota di giurisdizioni di questa natura ha l’obbligo di badare a ciò che i giudicabile godono presso di esse delle garanzie fondamentali dell’articolo 6 (vedere, in particolare, Delcourt c. Belgio, 17 gennaio 1970, § 25, serie Ha no 11; Viard c. Francia, no 71658/10, § 30, 9 gennaio 2014.
34. La Corte stima peraltro che la regolamentazione relativa alle formalità ed ai termini a rispettare per formare un ricorso miri a garantire una buona amministrazione della giustizia ed il rispetto, in particolare, del principio della sicurezza giuridica. Gli interessati devono potere aspettarsi di ciò che queste regole siano applicate. Altra parte, risulta della giurisprudenza della Corte che il “diritto ad un tribunale” di cui il diritto di accesso costituisce un aspetto particolare, non è assoluto e prestati alle limitazioni implicitamente ammesse, in particolare in quanto alle condizioni di ammissibilità di un ricorso, perché chiama anche per la sua natura una regolamentazione con lo stato che gode a questo riguardo di un certo margine di valutazione.
35. Tuttavia, queste limitazioni non saprebbero restringere l’accesso aperto ad un giudicabile in modo o ad un punto come il suo diritto di accesso ad un tribunale se ne trova raggiunge nella sua sostanza stessa; infine, non si conciliano con l’articolo 6 § 1 che se tendono ad un scopo legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto (vedere, in particolare, Brualla Gómez del Torre, precitato, § 33, Edificaciones March Gallego S.p.A., precitato, § 34, e Rodríguez Valín c. Spagna, no 47792/99, § 22, 11 ottobre 2001.
36. Nell’occorrenza, la Corte nota che, con la sua decisione del 14 giugno 2005, il Tribunale supremo ha dichiarato inammissibile il ricorso in cassazione formata dal richiedente al motivo che le esigenze dell’articolo 477 § 2-2º del codice di procedimento civile per l’apertura di questa via di ricorso a titolo della posta finanziaria non erano riuniti.
Al sostegno di questa conclusione, il Tribunale supremo ha considerato che la stima del valore del bene a 600 000 EUR non bastava a contraddire la qualifica iniziale del bene controverso come “inestimabile”; ha osservato che il richiedente aveva persistito nell’affermazione del carattere inestimabile, in termini economici, dei beni rivendicati; ha considerato che il richiedente era riuscito unicamente a stabilire che la posta del procedimento superava prima i 36 000 EUR richiesti con l’articolo 1687 § 1-c, del codice di procedimento civile del 1881, ma che non era riuscita a mostrare che la nuova soglia di apertura dei ricorsi a titolo del criterio finanziario era raggiunta.
37. Se è vero che era difficile quantificare il valore concreto dell’immobile storico in causa, la Corte osserva che il vescovato aveva sé stimato che il valore del bene in causa superava i 600 000 EUR. L’interpretazione fatta dal Tribunale supremo gli sembra quindi troppo rigorosa, considerando le caratteristiche del bene in causa, sottolineata dal richiedente.
38. Difatti, agli occhi della Corte, non si può rimproverare al richiedente di avere considerato come inestimabile il valore di un bene di cui nessuno prezzo di mercato non era potuto essere stabilito, malgrado l’intervento di un perito; e ciò tanto più che, anche se il rapporto di perizia non era concludente a questo motivo, il perito aveva indicato tuttavia che il valore dell’immobile superava i 600 000 EUR, ammontando già bene superiore a quello richiesto con la novella codifica di procedimento civile affinché la via del ricorso in cassazione sia aperta a titolo della posta finanziaria.
39. In queste circostanze, la Corte stima che non si tratta qui di un semplice problema ordinario di interpretazione della legge, ma dell’interpretazione di un’esigenza procedurale avendo impedito l’esame in fondo alla causa, Stone Court Shipping Company, S.p.A. c. Spagna, no 55524/00, § 40, 28 ottobre 2003.
40. Di conseguenza, se le limitazioni relative alla presentazione dei ricorsi presso del Tribunale supremo non hanno luogo, in quanto tale, di essere messe in causa, la Corte stima che la combinazione particolare dei fatti nella presente causa non ha lasciato un rapporto sufficiente di proporzionalità tra le limitazioni applicate dal Tribunale supremo e le conseguenze di questa applicazione.
Così, l’interpretazione particolarmente rigorosa di una regola di procedimento ha privato il richiedente del diritto di accesso al tribunale competente per esaminare il suo ricorso in cassazione (vedere mutatis mutandis) Pérez di Rada Cavanilles c. Spagna, 28 ottobre 1998, § 49, Raccolta 1998-VIII, Stone Court Shipping Company, S.A, precitato, § 42.
41. C’è stata dunque violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
42. Il richiedente adduce essere stato privata di una parte della sua proprietà, constando di una chiesa medievale, senza causa di utilità pubblica e nella mancanza di ogni indennizzo, sul fondamento di un legge precostituzionale. Situa questa privazione nella decisione del responsabile del libro fondiario di Astudillo di iscrivere la chiesa medievale in causa come appartenendo al vescovato di Palencia al solo visto di un certificato di proprietà ad hoc invalsa il 16 dicembre 1994 col segretario generale di suddetto Vescovato, facendo valere che uguale iscrizione crea una presunzione iuris tantum di proprietà al profitto del vescovato. Respinta nel procedimento giudiziale impegnato da lei in reazione, la richiedente stima essere stato di questo fatto definitivamente decaduto del diritto che, secondo lei, era anteriormente il suo. Invoca l’articolo 1 del Protocollo no 1 di cui le parti pertinenti sono formulate come segue:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà che a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge ed i principi generali del diritto internazionale.
(…). “
A. Sull’ammissibilità
43. Il Governo stima che questo motivo di appello è stato introdotto all’infuori del termine di sei mesi contemplati 35 § 1 all’articolo della Convenzione. Ricorda che il diritto di proprietà protetto con l’articolo 33 della Costituzione non figura tra i diritti e libertà potendo essere oggetto di un ricorso di amparo dinnanzi al Tribunale costituzionale. Quindi, la decisione interna definitiva che apre il corso del termine di sei mesi risiedrebbe nella decisione del Tribunale supremo del 14 giugno 2005.
44. Il richiedente mantiene che è la decisione del Tribunale costituzionale del 26 febbraio 2008, notificato il 3 marzo 2008 che costituisce la decisione interna definitiva nella causa.
45. La Corte osserva, certo, che il diritto di proprietà non è protetto dal ricorso di amparo, così che in principio la decisione interna definitiva allo sguardo di questa disposizione dovrebbe essere la decisione del 14 giugno 2005 con la quale il Tribunale supremo aveva dichiarato inammissibile il ricorso in cassazione formata dal richiedente, e non la decisione ulteriore del Tribunale costituzionale sulla violazione addotta dei diritti e libertà fondamentali protette col ricorso di amparo, corrispondendo presentemente ai motivi di appello tirati degli articoli 6, 9 e 14 della Convenzione.
Nello specifico tuttavia, egli decide di rilevare che i motivi di appello principali della presente richiesta, derivata dell’incomprensione addotta del diritto all’equità del procedimento e del diritto al non discriminazione garantito dall’articolo 14, dovevano imperativamente, essi, essere oggetto di un ricorso di amparo prima di potere essere sottomessi alla Corte. Altra parte, il motivo di appello derivato dell’articolo 14 non può essere addotto che in collegamento con altri diritti garantiti dalla Convenzione. Agli occhi della Corte, esigere del richiedente l’introduzione di due richieste dinnanzi a lei alle date differenti per tenere conto di questa specificità del diritto interno rileverebbe di un’interpretazione fin troppo formalista del termine di sei mesi. La Corte stima più conforme allo spirito ed allo scopo della Convenzione di considerare i motivi di appello sollevati dai richiedenti nel loro insieme alle fini della determinazione del dies ha quo per la presentazione della richiesta. A questo riguardo, ricorda che il termine di sei mesi costituisco una regola autonoma che deve, in una causa dato, essere interpretata ed applicata in modo da garantire l’effettività del diritto di richiesta individuale, Worm c. Austria, no 22714/93, Decisioni e rapporti, (DR, 83, p,). 17 e Fernández-Molina González ed altri c. Spagna, déc.), no 64359/01, CEDH 2002-IX. Perciò, la Corte stima che questo motivo di appello è stato presentato nel rispetto del termine di sei mesi previsti dall’articolo 35 § 1 della Convenzione.
46. La Corte rileva peraltro che il presente motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione e che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Tesi delle parti
a) Il Governo
47. Il Governo indica che l’articolo 206 della legge ipotecaria deve essere fermato nel contesto che è il suo: quello dell’iscrizione al libro fondiario dei beni immobili che non figurano ancora. La loro immatricolazione, cioè la loro iscrizione per la prima volta, si fa mediante un procedimento un poco più complesso di quella di un’iscrizione ordinaria. A questo effetto, le persone fisiche e giuridiche dispongono dei procedimenti contemplati all’articolo 199 della legge ipotecaria, paragrafo 22 sopra.
Tra queste, una, descritta al b, di suddetto articolo, prevedi il caso della mancanza di documento che fa fede- cioè il caso dove non esiste di titolo pubblico di acquisizione rilasciata da un notaio ed attestando dell’acquisizione preliminare della proprietà che si intende immatricolare. Il bene può essere immatricolato allora su presentazione di un titolo pubblico di acquisizione, completata da un atto di notorietà che fa fede di ciò che quello che trasferisce bene l’è considerato come proprietario.
La terza opzione, contemplata al c, dell’articolo 199 della legge ipotecaria, ed evoluta con l’articolo 206 di questa ultima, permette l’immatricolazione su presentazione di un certificato rilasciato da un organismo pubblico o, siccome nello specifico, con la chiesa cattolica.
48. Il Governo precisa che il certificato al quale si riferisce l’articolo 206 della legge ipotecaria non costituisce un titolo di proprietà, ma solamente un titolo di iscrizione, la proprietà che è preesistente, anche se non esiste di documento che l’attesta. Il certificato rende allora il bene eleggibile ad un’iscrizione al libro fondiario, palliando la mancanza di un titolo inscriptible. Nel caso dell’articolo 206, è un’autorità civile o, siccome nello specifico, ecclesiastico che attesto della proprietà del bene per mezzo di un certificato. Questo procedimento ha un carattere suppletivo: potuto stato utilizzata che in mancanza di titolo inscrivibile al senso della legislazione ipotecaria. Non può giocare neanche se la proprietà è registrata già.
49. Il Governo lo ripete: il certificato contemplato all’articolo 206 della legge ipotecaria permette ad un bene immobile di essere iscritto al libro fondiario, ma non costituire un modo di acquisire ne la proprietà. Né la chiesa, né lo stato, né gli organismi pubblici non acquisiscono, col fatto di rilasciare allo stesso modo certificato, una proprietà che non è la loro. Il certificato non ha altro effetto che quello di facilitare la registrazione del bene al libro fondiario.
50. Il Governo intende sottolineare che l’immatricolazione non crea una situazione giuridica definitiva o inoppugnabile, siccome si potrebbe crederlo alla lettura della richiesta che lascia intendere che il richiedente “ha perso” la sua proprietà a causa del certificato che ha permesso l’iscrizione della chiesa. Se le giurisdizioni interne hanno giudicato che suddetta chiesa non era appartenuta mai al richiedente, sono per i motivi che non hanno niente da vedere col rilascio di questo certificato. Il solo effetto dell’immatricolazione è di creare una presunzione di ordine “possessorio.” Ora, si tratta solamente di una presunzione semplice (“iuris tantum”) che cedo dinnanzi alla prova contraria portata all’epoca di un processo giudiziale a questa fine.
51. L’oggetto dell’immatricolazione, esponi il Governo non è di rendere inoppugnabile il titolare registrato, ma solamente di garantire la sicurezza delle transazioni a titolo oneroso effettuato da un eventuale terzo acquirente, dopo lo scorrimento di due anni dall’iscrizione. Quello che si considera come il vero titolare dei beni può esercitare un’azione declaratoria: se prova essere proprietario del bene in causa, il giudice ordinerà l’annullamento dell’immatricolazione.
52. Per il Governo, il richiedente ha strumentalizzato l’articolo 206 della legge ipotecaria suscitando torto all’immatricolazione un effetto costitutivo di proprietà al profitto del vescovato e, pertanto, denunciandola come un’espropriazione. Ora, quando il richiedente ha contestato l’immatricolazione della chiesa arguendo che ne era la vera proprietaria, le giurisdizioni interne hanno dichiarato che la proprietà apparteneva alla chiesa, e ciò sulla base di argomenti indipendenti della sua immatricolazione al nome del vescovato. Così, la società richiesta e la chiesa cattolica sarebbero state nelle stesse condizioni di uguaglianza dinnanzi al giudice che se la disputa opponesse due particolari.
53. Il Governo fa osservare che l’articolo 206 della legge ipotecaria non è stato dichiarato incostituzionale col Tribunale costituzionale spagnolo. Del suo lato, il Tribunale supremo avrebbe anche, secondo lui, ammessi la costituzionalità dell’articolo 206 della legge ipotecaria in una sentenza del 16 novembre 2006, a proposito del santuario di Nostro-signora di Lluch.
54. Il Governo espone che l’articolo 206 della legge ipotecaria trova la sua giustificazione nelle difficoltà proprie all’iscrizione dei beni dello stato e di altre entità che proviene dal desamortización di cui era stato escluso, ricorda peraltro, le chiese cattoliche assegnate al culto,: per togliere l’ostacolo potendo risultare della mancanza di titoli di proprietà per questo tipo di beni, il legislatore ha deciso di permettere la loro iscrizione per mezzo di autenticazioni.
La spiegazione di questa scelta è a ricercare, secondo lui, nella difficoltà di descrivere l’origine di molto vasti patrimoni posseduti dai tempi immemorabili, e per che non esiste di titoli scritti che attestano della proprietà.
Così, agli occhi del Governo, non sono per le ragioni religiose che sono state incluse queste della chiesa cattolica tra le autorità di cui i certificati fanno fede alle fini dell’immatricolazione. Di conseguenza, stima egli, questa inclusione non reca offesa al principio di uguaglianza.
55. In altri termini, per il Governo, la disposizione in causa è ragionevole in questo che:
-da un lato, permette che tutte le proprietà a carattere immemorabile che appartiene allo stato, alla chiesa cattolica ed agli altri motivi di diritto menzionato nella disposizione controversa possano figurare nel libro fondiario;
-dell’altro, non produce di conseguenze irrimediabili per i terzo che potranno, all’occorrenza, investire gli organi giudiziali per la difesa dei loro diritti.
56. Il Governo osserva che il richiedente assegna degli effetti expropriatoires all’immatricolazione con la chiesa cattolica, per mezzo dell’articolo 206 della legge ipotecaria, della chiesa cinta nei terreni di cui fa il proprietario. Ora, sottolinea, il sistema di immatricolazione con autenticazione non è stato il motivo per che le giurisdizioni interne hanno dichiarato che il richiedente non era bene il titolare del richiesto.
Sul fatto che sia potuto essere accettato l’immatricolazione dei beni cinti nei fondi del richiedente mentre questo era già, in quanto a lui, iscritta al libro fondiario, il Governo spiega che il responsabile del libro fondiario ha considerato, da una parte, che il bene controverso, la chiesa, apparteneva alla chiesa cattolica e non al richiedente e, altro parte, che non era incluso né compresi nell’iscrizione effettuata al nome del richiedente.
57. Il Governo ne vuole per prova la sentenza dell’Audiencia Provinciale di Palencia che ha confermato il giudizio di prima istanza e di cui le parti pertinenti sono riprodotte sopra al paragrafo 12. Risulta di suddetto sentenza che mai, nel procedimento giudiziale, l’immatricolazione effettuata in favore del vescovato su presentazione del certificato contemplato all’articolo 206 della legge ipotecaria non è stata considerata come la sorgente, per la chiesa, della proprietà dell’edificio controverso.
Di conseguenza, secondo il Governo, questa iscrizione non ha posto in nessun modo la chiesa in situazione di vantaggio per determinare la proprietà dell’edificio. Si è trattato in altri termini, solamente di una controversia tra due persone particolari sulla questione di sapere che doveva essere considerata come il proprietario di un bene, controversia che è stata decisa sulla base di motivi di dritto civile patrimoniale senza nessuna entrata in gioco delle disposizioni criticate della legge ipotecaria. Questi motivi erano in particolare: che la chiesa in causa non era stata inclusa nel desamortización; che l’usucapione non era applicabile; e che, nessuno dei proprietari successivi dei fondi l’aveva acquisito di conseguenza, mai. Così, insisti il Governo, la chiesa in causa è sempre restata la proprietà della chiesa cattolica, e l’iscrizione effettuata dal richiedente non l’includeva.
58. Agli occhi del Governo, è a torto che il richiedente analizza la situazione come un’espropriazione senza procedimento pertinente. Sottolinea che le giurisdizioni interne hanno concluso che i beni controversi appartenevano alla chiesa cattolica da sempre e che non si tratta neanche di una privazione coercitiva di un diritto a causa di utilità pubblica, siccome lo pretende il richiedente. Ripete che ha avuto non ci nessuna influenza del certificato rilasciato dalla chiesa in virtù dell’articolo 206 della legge ipotecaria nella determinazione del titolare dei beni, il certificato di proprietà che non è un modo di acquisizione della proprietà ma una semplice via di accesso alla pubblicità fondiaria per le proprietà esistenti della chiesa.
59. Il Governo ricorda infine che l’iscrizione al nome del vescovato non ha impedito il richiedente di investire la giustizia per fare decidere la disputa che l’opponeva a questo in quanto alla proprietà dell’edificio controverso.
b) Il richiedente
60. Il richiedente contesta l’idea secondo la quale la causa si presenterebbe all’identica di una controversia tra semplice particolari, deciso secondo le regole del diritto civile patrimoniale e non della legislazione ipotecaria.
Sul primo punto, fa valere: da una parte, che l’articolo 206 della legge ipotecaria mette la chiesa cattolica allo stesso livello dello stato, i comuni, le province ed altre entità di dritti pubblico; di altra parte, che la via privilegiata di cui dispone la chiesa cattolica per l’immatricolazione dei suoi beni supposti non si applica alle altre confessioni religiose organizzate.
Sulla questione del diritto applicato alla risoluzione della controversia, il richiedente afferma che le cose si sarebbero svolte diversamente, addirittura che non sarebbe accaduto affatto niente, se l’iscrizione al libro fondiario della sua proprietà fosse stata rispettata. Espone:
-che quando ne aveva fatto l’acquisizione nel 1978, il terreno si trovava già iscritto al libro fondiario da più di un mezzo-secolo; che questa prima iscrizione comprendeva già una menzione espressa della chiesa; che sono solamente nel 1994, o sedici anni dopo il suo acquisto ed il rinnovo dell’iscrizione al suo nome, che il vescovato ha intrapreso di immatricolare la chiesa come suo;
-che il vescovato ha proceduto all’immatricolazione no sulla base del diritto civile sostanziale et/ou al termine di un procedimento giudiziale di determinazione del suo preteso diritto di proprietà, ma sul fondamento di una norma esclusivamente applicabile alla pubblicità fondiaria, a sapere il certificato contemplato all’articolo 206 della legge ipotecaria,;
-che sono questa iscrizione e questo sconfinamento che l’hanno costretta ad iniziare un procedimento giudiziale lungo e costoso per la difesa della sua diritti faccia alla chiesa cattolica che, attraverso il vescovato di Palencia, è ai suoi occhi diventata l’autore di una spoliazione.
61. Il richiedente intende sottolineare l’importanza sociale, economica e giuridica della sua richiesta. Afferma che l’uso fa dalla chiesa cattolica del privilegio che gli dà l’articolo 206 della legge ipotecaria è un motivo di scandalo in Spagna, soprattutto dalla riforma dell’articolo 5 dell’ordinamento ipotecario nel 1998 che ha annullato l’interdizione di iscrivere al libro fondiario le chiese destinate al culto cattolico: la chiesa cattolica si è lanciata allora, secondo il richiedente, in una corsa alle iscrizioni nel libro fondiario per ogni tipo di beni avvalendosi del procedimento privilegiato previsto dall’articolo 206 della legge ipotecaria.
62. Abbordando la questione del sistema del libro fondiario in Spagna, il richiedente nota che il Governo insiste a questo motivo sull’opportunità di favorire la pubblicità della proprietà dei beni immobili col loro iscrizione auditing mi concedo. Però, affermando che l’iscrizione al libro fondiario non ha effetto creatore di proprietà al profitto del richiedente e non ledere il diritto di proprietà di altrui, il Governo tenta secondo lei a torto di minimizzare gli effetti dell’immatricolazione dei beni.
63. Il richiedente considera che il libro fondiario è un strumento di pubblicità della proprietà fondiaria destinata a garantire la proprietà dei beni, così come la loro circolazione ed il loro commercio. Secondo lei, non ha vocazione a registrare ecc. le proprietà dei “mainmortes” (ordini religiosi) clero, Chiesa,) che comprenderebbero solamente dei beni fuori commercio (cattedrali, chiese, eremitaggi, ecc.). Nella misura in cui la maggioranza di essi non ha mercato, il richiedente contesta l’esistenza di un interesse a ciò che simili beni siano iscritti al libro fondiario. Gli sembra meno giustificato di stabilire al profitto della chiesa cattolica un procedimento privilegiato che gli permette di procedere alla loro iscrizione sulla base di certificati emessi da lei stessa.
Il richiedente nota che la pubblicità fondiaria non trova in materia, anche di giustificazione di ordine fiscale, nella misura in cui, in virtù degli accordi tra la Spagna e le Santa Sede, i beni di chiesa sono esonerati di imposte. L’interesse per la chiesa cattolica di iscrivere i suoi beni presenti il carattere di un interesse puramente privato dunque: quello di godere della protezione del libro fondiario e di potere opporrlo al resto dei cittadini.
64. Secondo il richiedente, è a torto che il Governo minimizza gli effetti dell’iscrizione al libro fondiario riducendoli alla creazione di una semplice presunzione. Ai suoi occhi, questa iscrizione ha, in Spagna, dei potenti effetti giuridici e questo sono ciò che spiegherebbe la “febbre dell’iscrizione” espressa dalla chiesa cattolica del resto. Non si saprebbe ignorare, indica, gli importanti vantaggi di ordine sostanziale o processuel che la registrazione di un bene al libro fondiario conferisce al suo titolare. Rinviando ai termini dell’articolo 38 § 1 della legge ipotecaria che stabilisce nel capo di questo ultimo una presunzione di proprietà in primo luogo, paragrafo 22 sopra, il richiedente ricorda tra altri:
-che i proprietari di cui i beni sono iscritti possono esercitare delle azioni reali contro le persone che ignorano il loro diritto;
-che la legge ipotecaria vietata ai giudici e tribunali di riconoscere un qualsiasi effetto, al danno di terzo, ai diritti reali soggetti ad iscrizione al libro fondiario e che non sono stati iscritti;
-o sebbene, secondo l’articolo 17 della legge ipotecaria, dopo l’iscrizione del titolo al libro fondiario, nessuno altro titolo incompatibile non può essere iscritto, anche se porta una data anteriore, paragrafo 22 sopra.
65. Concernente l’immatricolazione dei beni immobili ed in modo particolare il procedimento privilegiato dell’articolo 206 della legge ipotecaria, il richiedente non vede nessuna giustificazione a fare ne beneficiare gli organi di una confessione religiosa, nell’occorrenza, quelli della chiesa cattolica.
66. All’argomento derivato di ciò che il procedimento mirato all’articolo 206 della legge ipotecaria non è stato dichiarato mai incostituzionale, il richiedente intende portare il seguente sfumature.
Per il Tribunale costituzionale, la ragione ne è secondo lei tutto semplice: questo è che non è stato investito mai della questione. Del resto, nella sua sentenza del 18 novembre 1996, aveva presentato incidentalmente l’articolo 206 della legge ipotecaria come costituzionalità dubitatore.”
In quanto al Tribunale supremo, stima il richiedente, sarebbe vano cercare di leggere una riconoscenza della costituzionalità dell’articolo 206 della legge ipotecaria nella sua sentenza del 16 novembre 2006: da una parte, perché, in questa sentenza, la questione non si porsi; di altra parte, perché il Tribunale supremo non è competente per deliberare sulla costituzionalità di una legge, paragrafo 53 sopra.
67. Supponendo che l’articolo 206 della legge ipotecaria o costituzionale, il richiedente stima che il vescovato di Palencia come il responsabile del libro fondiario ne hanno ignorato del resto le esigenze ed i limiti di questo ultimo.
Difatti, sottolinea, l’articolo 206 della legge ipotecaria esige, oltre la mancanza di iscrizione al libro fondiario dei beni in causa, un certificato che fa espressamente stato “del titolo di acquisizione o del modo con che i beni sono stati acquisiti”. Una semplice dichiarazione di volontà o altra affermazione concisa, come quella prodotto dal vescovato di Palencia, non era ammessa dunque. Gli sembra inconcepibile che questo procedimento sia potuto essere convalidato, col responsabile del libro fondiario di prima, poi coi tribunali.
Il richiedente osserva peraltro, come il Governo lo sottolineo sé, paragrafo 48 sopra, che il procedimento di immatricolazione prevista all’articolo 206 della legge ipotecaria non può essere messo normalmente in opera quando la proprietà dell’immobile è iscritta già.
68. Nello specifico, il richiedente è convinto che l’iscrizione preliminare della sua proprietà al libro fondiario di Astudillo cadeva anche sugli edifici espressamente menzionati come imbastiture su suo sciolgo, a sapere la vecchia chiesa, il mulino e di altre costruzioni, paragrafo 6 sopra. Di conseguenza, ai suoi occhi, il responsabile del libro fondiario non si è accontentato di iscrivere al nome il vescovato di Palencia un bene che non figurava al libro fondiario, ma ha fatto semplicemente infischiarsene della sua iscrizione anteriore. Il richiedente ricorda che il 12 luglio 1978, aveva fatto l’acquisizione di una “vasta proprietà rurale sulla quale si trovavano costruiti diversi lavori, tutti molto vecchi e deteriorati di cui una chiesa, un’abitazione, due norias, un cortile ed un mulino.” Sono solamente tardi sedici anni più che il vescovato di Palencia ha fatto iscrivere al suo nome una “proprietà urbana” che, secondo lui, includeva “una chiesa, una sagrestia ed una camera capitolare cinta nella proprietà che appartiene a [il richiedente], sul terreno di cui è la proprietaria fondiaria.”
69. Il richiedente contesta l’idea che l’immatricolazione della chiesa con la chiesa cattolica, via l’articolo 206 della legge ipotecaria, non abbia sostenuto nessuno ruolo nella determinazione con le giurisdizioni interne del proprietario di questo edificio cinto sul suo terreno. In breve, mantiene che la chiesa controversa e gli altri edifici impiantati o cinti nel suo terreno erano la sua proprietà legittimamente acquisita e che l’iscrizione al libro fondiario valeva per questi allo stesso titolo che per il terreno. Pertanto, stima anormale che questa iscrizione abbia potuto, in quanto alla chiesa controversa, restare senza effetto dinnanzi ad un semplice “certificato” emesso dal vescovato di Palencia, di un modo secondo lei contrario alla legge.
Infine, ricorda in sostanza che l’articolo 1 del Protocollo no 1 riguarda non solo le privazioni formali di proprietà, ma anche l’espropriazione di fatto così come le ingerenze nell’uso della proprietà.
2. Valutazione della Corte
a) Principi generali
70. L’articolo 1 del Protocollo no 1 contiene tre norme distinte. La prima che si esprime nella prima frase del primo capoverso e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà. La seconda, figurando che nel secondo, fraseggia dello stesso capoverso, prevedi la privazione di proprietà e la sottopone a certe condizioni; in quanto alla terza, registrata nel secondo capoverso, riconosce agli Stati contraenti il potere, entra altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale. Non si tratta per tanto di regole prive di rapporti tra esse: la seconda e la terza hanno fatto riferimento agli esempi particolari di attentati al diritto di proprietà; quindi, devono interpretarsi alla luce del principio generale consacrato dalla prima (vedere, tra molto altri, Bruncrona c. Finlandia, no 41673/98, § 65, 16 novembre 2004, rispettare il principio di legalità e prevedere ragionevolmente un scopo legittimo coi mezzi proporzionati a questo (vedere, per esempio, Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, §§ 108-114, CEDH 2000-I.
71. Il nozione d ‘ “utilità pubblica” del secondo fraseggio del primo capoverso è ampio con natura. La decisione di adottare delle leggi sul diritto di proprietà implichi in particolare, di solito l’esame di questioni politici, economici e sociali. Una privazione di proprietà operata nella cornice di una politica legittima-di ordine sociale, economico o altro- può rispondere all’utilità pubblica anche se la collettività nel suo insieme non si serve o non approfittare lei stessa del bene di cui si tratta.
72. Le autorità nazionali si trovano in principio più meglio collocato che il giudice internazionale per determinare ciò che è “di utilità pubblica.” Stimando normale che il legislatore dispone di una grande latitudine per condurre una politica economica e sociale, la Corte rispetta il modo di cui concepisce gli imperativi di l ‘ “utilità pubblica” salvo si il suo giudizio si rivela manifestamente privo di fondamento. Finché il legislatore non supera i limiti del suo margine di valutazione, la Corte non ha a dire se ha scelto la migliore modo di trattare il problema o se avrebbe dovuto esercitare differentemente il suo potere, James ed altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 51, serie Ha no 98.
73. Una misura di ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve predisporre tuttavia un “giusto equilibro” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo. La preoccupazione di garantire un tale equilibrio si rifletta nella struttura dell’articolo 1 del Protocollo no 1 tutto intero che deve leggere si alla luce del principio generale consacrato dalla prima frase. In particolare, deve esistere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto da ogni misura che priva una persona della sua proprietà o regolamentando l’uso di questa.
74. Nonostante il silenzio dell’articolo 1 del Protocollo no 1 in materia di esigenze procedurali, per valutare la proporzionalità dell’ingerenza, la Corte guarda il livello di protezione contro l’arbitrarietà dispensata dal procedimento in causa, Hentrich c. Francia, 22 settembre 1994, § 46, serie Ha no 296-ha. Quando si tratta di un’ingerenza nel diritto del richiedente al rispetto dei suoi beni, i procedimenti applicabili devono offrire anche alla persona riguardata un’occasione adeguata di esporre la sua causa alle autorità competenti per contestare infatti le misure che recano offesa al diritto in causa. Una tale ingerenza non può avere legittimità nella mancanza di un dibattito contraddittorio e rispettosi del principio dell’uguaglianza delle armi che permetta di discutere degli aspetti di importanza per la conclusione della causa. Per assicurarsi del rispetto di questa condizione, c’è luogo di considerare i procedimenti applicabili di un punto di vista generale (vedere, tra altri, Jokela c. Finlandia, no 28856/95, § 45, CEDH 2002-IV, AGOSI c,. Regno Unito, 24 ottobre 1986, § 55, serie Ha no 108, Hentrich v. Francia, precitato, § 49 e Gáll c. Ungheria, no 49570/11, § 63, 25 giugno 2013.
75.

Testo Tradotto

Conclusions: Exception préliminaire rejetée (Article 35-1 – Délai de six mois) Violation de l’article 6 – Droit à un procès équitable (Article 6 – Procédure civile Article 6-1 – Accès à un tribunal) Violation de l’article 1 du Protocole n° 1 – Protection de la propriété (article 1 al. 1 du Protocole n° 1 – Respect des biens) Préjudice moral – décision réservée Dommage matériel – décision réservée

TROISIÈME SECTION

AFFAIRE SOCIEDAD ANÓNIMA DEL UCIEZA c. ESPAGNE

(Requête no 38963/08)

ARRÊT
(fond)

STRASBOURG

4 novembre 2014

Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Sociedad Anónima del Ucieza c. Espagne,
La Cour européenne des droits de l’homme (troisième section), siégeant en une chambre composée de :
Josep Casadevall, président,
Alvina Gyulumyan,
Ján Šikuta,
Luis López Guerra,
Johannes Silvis,
Valeriu Griţco,
Iulia Antoanella Motoc, juges,
et de Marialena Tsirli, greffière adjointe de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 7 octobre 2014,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. À l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 38963/08) dirigée contre le Royaume d’Espagne et dont une société anonyme de cet État, OMISSIS (« la requérante »), a saisi la Cour le 4 août 2008 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. La requérante a été représentée par OMISSIS, avocats à Madrid. Le gouvernement espagnol (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, F. de A. Sanz Gandasegui, avocat de l’État et alors chef du service juridique des droits de l’homme au ministère de la Justice.
3. La requérante se dit victime d’une atteinte à ses biens doublée d’une discrimination, et estime avoir été privée d’accès à la juridiction de cassation par un excès de formalisme. Elle invoque les articles 6 et 14 de la Convention et l’article 1 du Protocole no 1.
4. Le 29 mai 2012, la requête a été déclarée partiellement irrecevable et les griefs tirés des droits à un procès équitable, au respect des biens et à la non-discrimination ont été communiqués au Gouvernement.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. La requérante est une société anonyme de droit espagnol constituée en 1978 ayant son siège à Ribas de Campos (Palencia).
6. Le 12 juillet 1978, la requérante acquit un terrain irrigué à Ribas de Campos. L’acquisition du terrain fut inscrite au livre foncier d’Astudillo (Palencia). Outre les limites du terrain et sa superficie totale, l’acte d’inscription établi en 1979 mentionnait que dans la propriété étaient enclavés « une église, une maison, des norias, une basse-cour et un moulin ».
7. Le terrain acquis par la requérante avait jadis appartenu à l’ancien monastère de Santa Cruz de la Zarza – de l’ordre des chanoines réguliers de Prémontré (Orden de los Premostratenses) –, qui faisait partie du prieuré de Santa Cruz, fondé au XIIe siècle.
L’ordre des Prémontrés avait été supprimé en Espagne au début du XIXe siècle, comme beaucoup d’autres à l’époque (paragraphes 19-23 ci dessous). Les biens du prieuré de Santa Cruz furent vendus aux enchères à deux reprises. Le 9 décembre 1835, d’abord, deux sujets dénommés H. et M. acquirent les terrains et la majorité des biens « urbains » (constructions) du prieuré, sauf le bâtiment du prieuré proprement dit. Le sieur M. racheta plus tard le lot du sieur H. Les biens de culte furent listés et retirés du couvent. Le 23 décembre 1841, ensuite, le sieur M. acquit aux enchères le bâtiment du prieuré. Ces biens connurent ensuite toute une chaîne de transmissions, jusqu’à la requérante. Dans les inscriptions successives de ces transmissions au livre foncier, il était toujours expressément fait mention d’« un bâtiment qui était anciennement l’église du prieuré de Santa Cruz » et d’autres bâtiments.
8. Le 22 décembre 1994, l’évêché de Palencia (« l’Évêché ») fit inscrire à son propre nom dans le livre foncier d’Astudillo un « terrain urbain » avec une église de style cistercien du début du XIIIe siècle, une sacristie et une chambre capitulaire ayant jadis fait partie de l’ancien monastère prémontré de Santa Cruz de la Zarza et se trouvant sur le terrain dont la requérante était la propriétaire selon le livre foncier. Cette inscription au livre foncier s’effectua sur la base d’un certificat daté du 16 décembre 1994 délivré par l’Évêché lui-même sous le seing de son secrétaire général, avec l’accord du vicaire général. Bien que son nom figurât au livre foncier comme titulaire du terrain, cette nouvelle inscription eut lieu sans que la requérante eût été entendue, et aucune possibilité d’opposition ne lui fut ménagée.
9. Informée après coup, la requérante adressa des réclamations à l’Évêché de Palencia, s’estimant injustement privée d’une partie de sa propriété sans cause d’utilité publique et en l’absence de toute indemnisation en vertu d’une loi antérieure à la Constitution, loi à ses yeux discriminatoire et contraire au caractère non confessionnel de l’État ainsi qu’à la liberté religieuse.
L’Évêché lui répondit dans les termes suivants :
« la propriété du temple auquel tu fais référence dans ta lettre appartient depuis toujours au diocèse de Palencia, en vertu, comme tu le sais, de la loi de désamortissement des biens (desamortización : confiscation des biens ecclésiastiques) du 2 septembre 1841 qui, dans son article 6 excluait du désamortissement les immeubles tels que les églises, les cathédrales, les annexes et aides d’église ; et dans la mesure où le temple auquel tu fais référence a toujours été un temple paroissial il est évident qu’un tel immeuble n’a jamais pu être entre des mains privées ».
10. La requérante engagea alors contre l’Évêché de Palencia une action civile en nullité de l’inscription au livre foncier de l’église et de ses dépendances faite par l’Évêché en 1994.
11. Par un jugement du 28 mars 2000, le juge de première instance no 5 de Palencia débouta la requérante – qui avait fondé sa prétention sur l’antériorité de l’inscription à son nom au livre foncier, l’origine de la propriété, son acquisition par vente aux enchères et la possession de l’église et des clés pour y accéder.
Le juge motiva son jugement comme suit. Il releva que le terrain et les ouvrages en cause avaient fait l’objet des lois de désamortissement et avaient été ensuite vendus aux enchères en 1835 et 1841, mais que l’église elle-même, qui avait été église paroissiale avant la desamortización, n’avait pour cette raison pas été affectée par cette dernière ni par les ventes ultérieures. Il en voulait pour preuve que l’église avait continué d’accueillir la messe et les autres activités liées au culte catholique tant que son état l’avait permis et que l’Évêché de Palencia avait effectué des travaux de conservation, la requérante n’ayant procédé à des travaux qu’aux alentours de l’église. Le code de droit canonique étant donc d’application, l’église en cause ne pouvait avoir été acquise par la requérante par voie d’usucapion, dans la mesure où la prescription acquisitive ne pouvait jouer en la matière qu’au profit des personnes morales ecclésiastiques. En tout état de cause, la requérante n’avait pas eu la possession de l’église pendant le temps exigé par la loi pour que puisse jouer la prescription, le diocèse ayant agi en tant que propriétaire jusqu’au conflit sur la titularité de ladite église. Par ailleurs, le fait que les employés de la requérante disposaient de la clé de l’église ne constituait pas un acte de « propriété » dans la mesure où l’origine de cette détention n’était pas connue et où la clé était à la disposition de tous ceux qui voulaient visiter l’église.
12. La requérante fit appel. Par un arrêt du 5 février 2001, l’Audiencia provincial de Palencia rejeta l’appel et confirma le jugement attaqué.
Dans ses motifs, l’Audiencia provincial souligna que l’église en question ne faisait pas partie de ceux des biens immeubles sis sur le terrain en cause ayant été transmis le long de la chaîne des propriétaires successifs depuis leur première acquisition par le sieur M. en 1841. Son arrêt se lisait comme suit :
« (…) PREMIÈREMENT.- Le représentant de [la requérante] dans la présente procédure fait appel du jugement d’instance ayant rejeté sa requête. La requérante exerce, selon ce qui ressort de la prétention qu’elle expose dans sa requête, l’action en déclaration de propriété sur l’immeuble (église avec ses dépendances) existant sur le terrain rural dont elle est la propriétaire (…) et demande également la déclaration de la nullité et, par voie de conséquence, l’annulation de l’inscription au livre foncier de cet immeuble en faveur de la partie défenderesse, l’Évêché de Palencia. Cette inscription [dont la requérante demande l’annulation] est une inscription première et unique de propriété, effectuée, en vertu de l’article 206 de la loi hypothécaire, le 22 décembre 1994. [La requérante maintient] que l’église en question est sa propriété puisqu’elle est incluse ou enclavée dans son terrain rural et inscrite à son nom dans le livre foncier sous le nº 3.250, et qu’elle l’a acquise des précédents propriétaires par un acte authentique de vente passé le 12 juillet 1978. [Aux yeux de la requérante], l’immatriculation de ladite église, effectuée le 22 décembre 1994 à la demande du défendeur, l’Évêché de Palencia, a (…) provoqué une inscription double et contradictoire qui, dans la mesure où [selon elle] l’Évêché n’est pas le propriétaire de l’église, (…) doit être résolue par la reconnaissance ou la déclaration de la propriété de la requérante sur l’église litigieuse et l’annulation de l’inscription ou de l’immatriculation de ladite église faite en faveur de l’Évêché. La requérante soutient qu’elle tient son droit des propriétaires successifs de la propriété qu’elle décrit dans le “Fait premier” de son recours, jusqu’au premier acquéreur de celle ci, M. José Martínez Liébana, qui avait acquis aux enchères le 23 décembre 1841 pour un prix de 30.500 réals la maison-couvent du prieuré de Santa Cruz de la Zarza appartenant à l’ordre des Prémontrés (Orden de los Premostratenses), supprimé par les lois de désamortissement (désamortización) du XIXe siècle ; la question se limite, comme le précise le juge de première instance (…) dans son jugement, à déterminer si l’église litigieuse [présentée comme] enclavée, tout comme d’autres biens, dont une maison, deux norias, une basse-cour et un moulin, dans la description au livre foncier de la propriété rurale 3.250, avait été incluse dans la vente aux enchères des biens du prieuré de Santa Cruz supprimé, comme le soutient la requérante оu si, au contraire, de par son statut de paroisse, cette église a été écartée du “désamortissement” en vertu de l’article 6-4 de la loi du 2 septembre 1841, qui excluait [parmi] les propriétés du clergé, “les immeubles des églises cathédrales ou paroissiales, ou des annexes оu aides de paroisse” de la déclaration générique des biens nationaux ».
DEUXIÈMEMENT : Le contexte se présente comme suit (…) Le prieuré de Santa Cruz, de l’ordre des Prémontrés, a été fondé ou s’est installé en 1176 au lieu-dit Santa Cruz, près de la localité de Rivas de Campos. Il comptait en 1688 seulement deux religieux, dont l’un d’eux, le prieur, officiait pour le salut des âmes. Le prieuré fut définitivement abandonné à une date difficile à préciser, mais antérieure à l’inondation du 5 décembre 1739. Pourtant, lorsque le 7 février 1810 eut lieu la reconnaissance et la prisée du couvent, avec ses maisons, pigeonnier, lapinière, basse cour et abris pour bétail, caves et bosquet de Valdejimena sur ordre de M. Juan Báez, prêtre paroissial du prieuré supprimé (…) [Il ressort ainsi] qu’à cette époque il existait un curé paroissial de ce prieuré et que l’église n’avait pas été incluse lors de la reconnaissance et de la prisée du couvent, malgré la description détaillée qui fut faite des biens de celui-ci. Ceci correspond aux allégations de la requérante dans le « Fait quatrième » de son écrit en réponse à la question de savoir si l’église en cause a toujours été une paroisse, c’est-à-dire une église où l’on administrait les sacrements et où l’on s’occupait spirituellement des fidèles, initialement [par] les religieux de l’ordre du prieuré précité et postérieurement [par] des curés ou des prêtres séculiers dépendants de l’Évêché de Palencia. Ce qui prouve entièrement (…) qu’au moins depuis 1617, les sacrements ont été administrés de façon ininterrompue (…). Mais à plus forte raison et pour démontrer que l’église n’avait pas été incluse dans les biens qui furent vendus aux enchères et acquis en 1841 par M. José Martínez Liébana, [il y a lieu de relever :] que postérieurement à cette date elle a continué à exister en tant qu’église paroissiale de Santa Cruz jusqu’à présent (bien que le dernier sacrement de baptême [remonte à] 1981), servie par des curés successifs (…) [ou encore :] que, vu son ancienneté et sa précarité, [cette église] a fait l’objet de diverses réhabilitations à la demande de ses curés et toujours aux frais de l’Évêché, comme le prouve la requérante elle-même (…). Il ressort donc avec évidence (…) que l’église en cause était une paroisse avant la desamortización et la vente des biens du prieuré supprimé et qu’elle l’est restée par la suite (…), bien qu’à cause du manque de fidèles (en 1951, selon le document se trouvant au folio 253, la population de fait de Santa Cruz de Rivas était de seize habitants), le curé paroissial fût aussi concomitamment celui de la paroisse de Rivas de Campos (…) À cette indication incontestable de l’existence et de la subsistance de la paroisse dans l’église litigieuse, il faut ajouter ce qui a été précédemment expliqué, à savoir que lors de l’inventaire effectué en 1810, l’église ne fut pas incluse, et c’est la raison pour laquelle on doit conclure que l’église en question ne figurait pas parmi les biens du prieuré supprimé acquis par M. José Martínez Liébana en 1841. Ceci explique qu’en raison du remembrement les propriétaires successifs [des biens relevant de la propriété rurale enregistrée sous le numéro 3.250] n’aient jamais mis en question la propriété de l’Évêché et le caractère paroissial de l’église litigieuse. Il faut conclure que la requérante n’a jamais pu acquérir des vendeurs ce que ceux-ci ne pouvaient pas lui transmettre, l’église litigieuse n’étant pas leur propriété mais celle de l’Évêché de Palencia, comme cela a été pleinement démontré. En définitive, la requérante ne prouve pas, comme il lui incombe, que le titre dont elle excipe (…) comprend ou inclut précisément l’objet litigieux. Par conséquent, il est clair que sa prétention ne saurait être accueillie sans méconnaître par là l’article 34 de la loi hypothécaire. (…) Étant donné la description équivoque qui figure dans le livre foncier concernant les bâtisses incluses avec le terrain, [cette inscription] est interprétée [par le présent arrêt] dans le sens que l’église paroissiale n’est pas incluse dans le titre de propriété de la requérante, qui ne peut pas non plus [se prévaloir à son égard] de l’usucapion puisqu’en tout état de cause [la durée de possession requise n’est pas atteinte]. La requérante n’a pas non plus prouvé la possession de l’église à titre de propriétaire. L’on ne saurait considérer en effet comme des actes possessoires la simple détention par les employés de la requérante des clés de l’église pour la montrer aux visiteurs aux époques de l’année où, vu le faible nombre de fidèles dans la municipalité, il n’y a pas régulièrement d’activités de culte religieux. Pour les raisons exposées [ci-dessus], il y a lieu de rejeter l’appel et de confirmer le jugement d’instance ».
13. La requérante se pourvut en cassation. Dans son pourvoi, elle énonça que la valeur du bien en cause était « inestimable », étant donné ses caractéristiques, tout en admettant que le litige avait un enjeu financier supérieur à 36 000 euros (EUR), montant exigé à l’époque pour qu’un pourvoi en cassation soit possible à ce titre. La partie défenderesse affirma quant à elle que la valeur de l’immeuble revendiqué s`élevait à 600 000 EUR.
14. Par une ordonnance du 8 mars 2005, le Tribunal suprême invita la requérante à justifier que l’enjeu du litige excédait les 150 000 EUR, nouveau seuil applicable aux pourvois en cassation sur critère financier selon le code de procédure civile du 7 janvier 2000, entré en vigueur entre temps.
15. La requérante répondit qu’il était difficile d’évaluer un immeuble historique, mais rappela que l’Évêché avait lui-même estimé la valeur du bien en cause à 600 000 EUR.
L’expert antérieurement désigné avait considéré que la valeur artistique du temple faisant l’objet de l’expertise était très élevée, « bien qu’économiquement incalculable » étant donné l’absence de marché d’achat-vente des églises médiévales.
16. Dans son analyse des conclusions de l’expertise en cause, la requérante avait indiqué que la valeur du bien excédait certainement les 600 000 EUR indiqués par la partie défenderesse, mais avait estimé inutile de discuter ce chiffre dans la mesure où les deux parties étaient d’accord pour considérer l’enjeu financier de la procédure comme supérieur à 36 000 EUR, montant minimum nécessaire et suffisant, à l’époque, pour se pourvoir en cassation sur ce fondement.
17. Par une décision du 14 juin 2005, le Tribunal suprême déclara irrecevable le pourvoi en cassation formé par la requérante, au motif que les exigences de l’article 477 § 2-2º du code de procédure civile pour l’ouverture de cette voie de recours au titre de l’enjeu financier du litige n’étaient pas réunies.
Pour parvenir à cette conclusion, le Tribunal suprême considéra que l’estimation de la valeur du bien à 600 000 EUR ne suffisait pas à contredire la qualification initiale du bien litigieux comme « inestimable ». Il observa que la requérante avait persisté dans l’affirmation du caractère inestimable, en termes économiques, des biens revendiqués. Il retint que la requérante avait uniquement réussi à établir que l’enjeu de la procédure dépassait les 36 000 EUR exigés auparavant par l’article 1687 § 1-c) du code de procédure civile de 1881, mais qu’elle n’était pas parvenue à montrer que le nouveau seuil d’ouverture des pourvois au titre du critère financier était atteint. Son arrêt était rédigé en ces termes :
« Si [la requérante] a soutenu que la valeur de l’intérêt litigieux de la requête était de 36 000 EUR, il doit toutefois être relevé, d’une part, que par-delà cette affirmation, la requérante a maintenu son critère, en admettant seulement que la valeur de l’immeuble dépassait le montant exigé en cassation selon l’article 1687 § 1-c) du code de procédure civile de 1881 ; et que, d’autre part, cette affirmation n’avait aucune justification et que, de plus – et ceci est le fait déterminant –, elle n’était pas appuyée par la preuve proposée et administrée lors de l’instance, puisque l’expert avait été incapable d’attribuer aux immeubles une valeur économique. [Par ailleurs], la requérante ne peut pas revenir sur le caractère inestimable, en termes économiques, qu’elle a attribué à l’objet en cause, ni sur la [quantification de sa valeur] – qui, bien qu’il eût pu faciliter l’accès à la cassation sous le régime du code de procédure civile précédent, ne peut avoir semblable effet sous le régime instauré par le code de procédure civile 1/2000 –, pour adhérer à la déclaration de la partie défenderesse quant à la valeur économique des biens revendiqués, et, par conséquent, à l’enjeu financier de la procédure. Ce dernier doit être fixé en fonction de [la définition qui en est donnée] au 1o de l’article 489 du code de procédure civile de 1881, qui est repris en des termes analogues au 1º de l’article 25 du code de procédure civile 1/2000. Au vu de tout cela, il convient de déclarer le pourvoi en cassation irrecevable, pour le motif prévu à l’article 483 § 2-3º alinéa 1er du code de procédure civile. »
18. La requérante forma alors un recours d’amparo devant le Tribunal constitutionnel sur le fondement des articles 16 et 24 de la Constitution espagnole (droit à la liberté religieuse et droit à l’équité de la procédure, respectivement). Par une décision du 26 février 2008, notifiée le 3 mars 2008, le Tribunal constitutionnel déclara le recours irrecevable comme étant dépourvu de contenu constitutionnel, en vertu de l’article 50 § 1 c) de la loi organique portant sur le Tribunal constitutionnel dans sa version antérieure à sa modification par la loi organique 6/2007 du 24 mai 2007.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
19. Le « désamortissement » (desamortización). Désignant étymologiquement la sortie d’un bien d’une « mainmorte », ce terme est l’appellation consacrée en Espagne d’un long processus historique et économique qui s’étendit de la fin du XVIIIe au début du XXe siècle et qui consista, essentiellement, à mettre aux enchères publiques des terres et des biens improductifs détenus par les mainmortes : dans la plupart des cas, il s’agissait de l’Église catholique ou d’ordres religieux, qui avaient vu leur patrimoine s’accroître par l’accumulation des legs ou donations au fil du temps.
20. Les biens propriété du clergé « régulier » – dont les chanoines de l’ordre de Prémontré (Premostratenses) – furent visés par les décrets royaux des 11 octobre 1835 et 19 février 1836, adoptés pour permettre le désamortissement des couvents, monastères et autres entités similaires.
21. Parmi les biens propriété du clergé « séculier », l’article 6 § 4 de la loi du 2 septembre 1841 exclut du désamortissement les immeubles des églises cathédrales ou paroissiales, ainsi que des annexes et aides s’y rattachant.
22. La publicité foncière. Elle est régie par la loi hypothécaire du 8 février 1946, dont les dispositions pertinentes se lisent comme suit :
Article 17
« Une fois le titre inscrit, aucun autre titre incompatible avec celui-ci ne peut être inscrit même s’il porte la même date ou une date antérieure ».
Article 38
1. « À tous effets juridiques, il est présumé que les droits réels inscrits au livre foncier existent et appartiennent à leur titulaire [enregistré], sous la forme déterminée dans l’inscription correspondante ».
(…). »
Article 199
« L’immatriculation des propriétés qui ne sont inscrites au nom de personne sera effectuée [selon l’une des modalités suivantes] :
a. au terme d’une procédure de [reconnaissance de] propriété ;
b. sur présentation d’un titre public d’acquisition, complété par un acte de notoriété lorsque le titre acquisitif du vendeur ou de celui qui le transmet n’est pas attesté de manière irréfutable ;
c. sur présentation du certificat auquel se réfère l’article 206, dans les seuls cas indiqués dans cet article ».
Article 206
« L’État, les provinces, les communes et [autres] entités de droit public ou services organisés faisant partie de la structure politique de l’État ainsi que [les entités relevant] de l’Église catholique peuvent, en cas d’absence de titre écrit de propriété, [faire] inscrire comme [leur propriété] les biens immeubles leur appartenant sur présentation d’un certificat délivré par le fonctionnaire chargé de leur administration, dans lequel sera mentionné le titre où le mode d’acquisition [des biens en cause] ».
23. Le règlement hypothécaire complète ces dispositions, dans les termes suivants :
Article 304
« Dans le cas où le fonctionnaire chargé de l’administration ou de la garde des biens n’exerce pas d’autorité publique et n’est pas habilité à délivrer le certificat [susmentionné], celui-ci sera délivré par le premier supérieur hiérarchique habilité à le faire, en prenant pour cela les données et les nouvelles officielles indispensables. S’agissant des biens de l’Église, les certificats seront délivrés par le diocésain compétent. »
Article 306
« [S’il s’avère que] les certificats délivrés conformément aux dispositions précédentes sont en contradiction avec une inscription non annulée, ou se réfèrent à des terrains ou à des droits réels dont l’inscription recoupe par certains aspects des biens ou des droits déjà inscrits, le responsable du livre foncier surseoira à l’inscription demandée (…) et enverra copie des inscriptions contradictoires à l’autorité ayant délivré lesdits certificats ».
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
24. La requérante estime que c’est par un excès de formalisme qu’elle s’est vue privée de son droit d’accès au pourvoi en cassation devant le Tribunal suprême : elle considère qu’elle avait dûment démontré que la valeur de l’église dépassait le seuil financier de 150 000 EUR fixé pour l’ouverture de la voie de la cassation. Elle invoque l’article 6 § 1 de la Convention, ainsi libellé :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
A. Sur la recevabilité
25. La Cour constate que le présent grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 a) de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
26. La requérante souligne le caractère singulier de l’objet du litige – une église médiévale – et l’impossibilité d’en quantifier la valeur, dans la mesure où il n’y a pas de « marché » pour ce type de bien.
Elle rappelle aussi qu’une deuxième circonstance est intervenue, à savoir l’entrée en vigueur du nouveau code de procédure civile, qui a porté à 150 000 EUR le montant minimal pour se pourvoir en cassation au titre de l’enjeu financier du litige (au lieu de 36 000 EUR auparavant).
27. Au début de la procédure, il avait simplement été retenu que la valeur de l’immeuble était de « plus de 36 000 EUR », parce que c’était là le montant alors requis par le code de procédure civile en vigueur pour qu’un pourvoi en cassation soit possible sur ce terrain. La requérante note que l’Évêché de Palencia avait pour sa part considéré que la valeur de l’église s’élevait à 600 000 EUR et que l’expert désigné avait estimé, en réponse à une question du représentant de l’Évêché, que sa valeur était « très élevée, économiquement incalculable » et en tout cas supérieure à 600 000 EUR.
28. La décision du Tribunal suprême lui paraît déraisonnable et disproportionnée, dans une affaire où l’objet du litige, une église médiévale, avait une valeur extraordinaire. Elle estime que l’interprétation particulièrement rigoureuse faite par le Tribunal suprême des conditions de recevabilité du pourvoi en cassation l’a privée de son droit d’accès à un recours garanti par l’article 6 de la Convention.
29. Le Gouvernement, de son côté, ne voit rien d’arbitraire dans les raisons qui ont conduit le Tribunal suprême à déclarer le pourvoi en cassation de la requérante irrecevable. Il rappelle la jurisprudence de la Cour quant à la manière dont l’article 6 § 1 s’applique aux instances d’appel ou de cassation, les conditions de recevabilité d’un pourvoi en cassation pouvant être plus rigoureuses que pour un appel (Levages Prestations Services c. France, 23 octobre 1996, § 45, Recueil des arrêts et décisions 1996 V, Brualla Gómez de la Torre c. Espagne, 19 décembre 1997, § 37, Recueil 1997 VIII, parmi d’autres). Il insiste sur le fait que la Cour n’a pas pour tâche de se substituer aux juridictions internes et que c’est au premier chef aux autorités nationales, et notamment aux cours et tribunaux, qu’il incombe d’interpréter la législation interne (Société Anonyme Sotiris et Nikos Koutras Attee c. Grèce, no 39442/98, §§ 17-18, CEDH 2000 XII), en particulier pour ce qui est de la réglementation relative aux formalités et aux délais à respecter pour former un recours (Stone Court Shipping Company, S.A. c. Espagne, no 55524/00, 28 octobre 2003).
30. Le Gouvernement observe qu’en l’espèce, la requérante a formé un pourvoi en cassation contre l’arrêt de l’Audiencia Provincial de Palencia en se référant à l’enjeu financier de l’affaire. L’accès à la cassation n’étant pas ouvert sur ce terrain dans les affaires où la somme est indéterminée, il était impératif que l’enjeu du litige soit quantifié et d’un montant atteignant le seuil requis. Or, la réglementation applicable au pourvoi en cassation au moment où le pourvoi a été formé fixait ce seuil à 150 000 EUR. L’ouverture du recours en cassation par le critère de l’enjeu financier n’était donc pas possible dans les cas où celui-ci était inférieur à ce seuil, ou d’un montant indéterminé.
31. Dans la mesure où la requérante avait suivi la procédure ordinaire applicable aux affaires « de montant mineur » en prenant motif du caractère économiquement inestimable de ses prétentions, le Tribunal suprême a estimé, dans sa décision du 14 juin 2005, que le montant minimum requis pour accéder au pourvoi en cassation par le critère financier n’était pas atteint, la requérante elle-même ayant écrit que le montant en litige était « inestimable au vu des immeubles visés par l’action en revendication qui constitue l’objet du procès ». Aux yeux du Gouvernement, en évaluant devant la Cour l’enjeu financier du litige à 600 000 EUR, alors que cette évaluation correspond à celle faite par la partie défenderesse – l’Église catholique – dans la procédure civile interne, la requérante contredit ses propres actes.
32. Le Gouvernement conclut qu’il n’y a rien eu de déraisonnable dans l’irrecevabilité du pourvoi en cassation : la requérante a prétendu accéder à la voie de la cassation à raison de l’enjeu financier du litige, tout en fixant la valeur de l’église à un montant inférieur au seuil requis ou en s’abstenant d’en quantifier la valeur au motif qu’elle était inestimable. Elle ne saurait donc aller à l’encontre de ses propres actes pour reprocher au Tribunal suprême une conduite insensée.
33. La Cour rappelle qu’elle n’a pas pour tâche de se substituer aux juridictions internes. C’est au premier chef aux autorités nationales, et notamment aux cours et tribunaux, qu’il incombe d’interpréter la législation interne (voir, parmi beaucoup d’autres, Brualla Gómez de la Torre c. Espagne, précitée, § 31, et Edificaciones March Gallego S.A. c. Espagne, 19 février 1998, § 33, Recueil 1998 I). Le rôle de la Cour se limite à vérifier la compatibilité avec la Convention des effets de pareille interprétation. Cela est particulièrement vrai s’agissant de l’interprétation par les tribunaux des règles de nature procédurale telles que les délais régissant le dépôt des documents ou l’introduction de recours (Tejedor García c. Espagne, 16 décembre 1997, § 31, Recueil 1997 VIII). Par ailleurs, la Cour réaffirme que l’article 6 n’astreint pas les États contractants à créer des cours d’appel ou de cassation. Néanmoins, un État qui se dote de juridictions de cette nature a l’obligation de veiller à ce que les justiciables jouissent auprès d’elles des garanties fondamentales de l’article 6 (voir, notamment, Delcourt c. Belgique, 17 janvier 1970, § 25, série A no 11 ; Viard c. France, no 71658/10, § 30, 9 janvier 2014).
34. La Cour estime par ailleurs que la réglementation relative aux formalités et aux délais à respecter pour former un recours vise à assurer une bonne administration de la justice et le respect, en particulier, du principe de la sécurité juridique. Les intéressés doivent pouvoir s’attendre à ce que ces règles soient appliquées. D’autre part, il ressort de la jurisprudence de la Cour que le « droit à un tribunal », dont le droit d’accès constitue un aspect particulier, n’est pas absolu et se prête à des limitations implicitement admises, notamment quant aux conditions de recevabilité d’un recours, car il appelle de par sa nature même une réglementation par l’État, lequel jouit à cet égard d’une certaine marge d’appréciation.
35. Toutefois, ces limitations ne sauraient restreindre l’accès ouvert à un justiciable de manière ou à un point tels que son droit d’accès à un tribunal s’en trouve atteint dans sa substance même ; enfin, elles ne se concilient avec l’article 6 § 1 que si elles tendent à un but légitime et s’il existe un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé (voir, notamment, Brualla Gómez de la Torre, précité, § 33, Edificaciones March Gallego S.A., précité, § 34, et Rodríguez Valín c. Espagne, no 47792/99, § 22, 11 octobre 2001).
36. En l’occurrence, la Cour note que, par sa décision du 14 juin 2005, le Tribunal suprême a déclaré irrecevable le pourvoi en cassation formé par la requérante au motif que les exigences de l’article 477 § 2-2º du code de procédure civile pour l’ouverture de cette voie de recours au titre de l’enjeu financier n’étaient pas réunies.
Au soutien de cette conclusion, le Tribunal suprême a considéré que l’estimation de la valeur du bien à 600 000 EUR ne suffisait pas à contredire la qualification initiale du bien litigieux comme « inestimable » ; il a observé que la requérante avait persisté dans l’affirmation du caractère inestimable, en termes économiques, des biens revendiqués ; il a retenu que la requérante avait uniquement réussi à établir que l’enjeu de la procédure dépassait les 36 000 EUR exigés auparavant par l’article 1687 § 1-c) du code de procédure civile de 1881, mais qu’elle n’était pas parvenue à montrer que le nouveau seuil d’ouverture des pourvois au titre du critère financier était atteint.
37. S’il est vrai qu’il était difficile de quantifier la valeur concrète de l’immeuble historique en cause, la Cour observe que l’Évêché avait lui même estimé que la valeur du bien en cause excédait les 600 000 EUR. L’interprétation faite par le Tribunal suprême lui paraît dès lors trop rigoureuse, étant donné les caractéristiques du bien en cause, soulignées par la requérante.
38. En effet, aux yeux de la Cour, on ne peut reprocher à la requérante d’avoir considéré comme inestimable la valeur d’un bien dont aucun prix de marché n’avait pu être établi, malgré l’intervention d’un expert ; et cela d’autant plus que, même si le rapport d’expertise n’était pas concluant à ce sujet, l’expert avait toutefois indiqué que la valeur de l’immeuble dépassait les 600 000 EUR, montant déjà bien supérieur à celui exigé par le nouveau code de procédure civile pour que la voie du recours en cassation soit ouverte au titre de l’enjeu financier.
39. Dans ces circonstances, la Cour estime qu’il ne s’agit pas ici d’un simple problème ordinaire d’interprétation de la loi, mais de l’interprétation d’une exigence procédurale ayant empêché l’examen au fond de l’affaire (Stone Court Shipping Company, S.A. c. Espagne, no 55524/00, § 40, 28 octobre 2003).
40. Par conséquent, si les limitations relatives à la présentation des pourvois auprès du Tribunal suprême n’ont pas lieu, en tant que telles, d’être mises en cause, la Cour estime que la combinaison particulière des faits dans la présente affaire n’a pas laissé un rapport suffisant de proportionnalité entre les limitations appliquées par le Tribunal suprême et les conséquences de cette application.
Ainsi, l’interprétation particulièrement rigoureuse d’une règle de procédure a privé la requérante du droit d’accès au tribunal compétent pour examiner son pourvoi en cassation (voir mutatis mutandis, Pérez de Rada Cavanilles c. Espagne, 28 octobre 1998, § 49, Recueil 1998 VIII, Stone Court Shipping Company, S.A, précité, § 42).
41. Il y a donc eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
42. La requérante allègue avoir été privée d’une partie de sa propriété, comprenant une église médiévale, sans cause d’utilité publique et en l’absence de toute indemnisation, sur le fondement d’une loi préconstitutionnelle. Elle situe cette privation dans la décision du responsable du livre foncier d’Astudillo d’inscrire l’église médiévale en cause comme appartenant à l’Évêché de Palencia au seul vu d’un certificat de propriété ad hoc établi le 16 décembre 1994 par le secrétaire général dudit Évêché, faisant valoir que pareille inscription crée une présomption iuris tantum de propriété au profit de l’Évêché. Déboutée dans la procédure judiciaire engagée par elle en réaction, la requérante estime avoir été de ce fait définitivement déchue du droit qui, selon elle, était antérieurement le sien. Elle invoque l’article 1 du Protocole no 1, dont les parties pertinentes sont libellées comme suit :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
(…). »
A. Sur la recevabilité
43. Le Gouvernement estime que ce grief a été introduit en dehors du délai de six mois prévu à l’article 35 § 1 de la Convention. Il rappelle que le droit de propriété protégé par l’article 33 de la Constitution ne figure pas parmi les droits et libertés pouvant faire l’objet d’un recours d’amparo devant le Tribunal constitutionnel. Dès lors, la décision interne définitive ouvrant le cours du délai de six mois résiderait dans la décision du Tribunal suprême du 14 juin 2005.
44. La requérante maintient que c’est la décision du Tribunal constitutionnel du 26 février 2008, notifiée le 3 mars 2008, qui constitue la décision interne définitive dans l’affaire.
45. La Cour observe, certes, que le droit de propriété n’est pas protégé par le recours d’amparo, de sorte qu’en principe la décision interne définitive au regard de cette disposition devrait être la décision du 14 juin 2005 par laquelle le Tribunal suprême avait déclaré irrecevable le pourvoi en cassation formé par la requérante, et non la décision ultérieure du Tribunal constitutionnel sur la violation alléguée des droits et libertés fondamentaux protégés par le recours d’amparo, correspondant aux griefs présentement tirés des articles 6, 9 et 14 de la Convention.
En l’espèce toutefois, il échet de relever que les griefs principaux de la présente requête, tirés de la méconnaissance alléguée du droit à l’équité de la procédure et du droit à la non-discrimination garanti par l’article 14, devaient impérativement, eux, faire l’objet d’un recours d’amparo avant de pouvoir être soumis à la Cour. D’autre part, le grief tiré de l’article 14 ne peut être allégué qu’en liaison avec d’autres droits garantis par la Convention. Aux yeux de la Cour, exiger de la requérante l’introduction de deux requêtes devant elle à des dates différentes pour tenir compte de cette spécificité du droit interne relèverait d’une interprétation par trop formaliste du délai de six mois. La Cour estime plus conforme à l’esprit et au but de la Convention de considérer les griefs soulevés par les requérants dans leur ensemble aux fins de la détermination du dies a quo pour la présentation de la requête. À cet égard, elle rappelle que le délai de six mois constitue une règle autonome qui doit, dans une affaire donnée, être interprétée et appliquée de manière à assurer l’effectivité du droit de requête individuel (Worm c. Autriche, no 22714/93, Décisions et rapports (DR) 83, p. 17 et Fernández-Molina González et autres c. Espagne (déc.), no 64359/01, CEDH 2002-IX). En conséquence, la Cour estime que ce grief a été présenté dans le respect du délai de six mois prévu par l’article 35 § 1 de la Convention.
46. La Cour relève par ailleurs que le présent grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 a) de la Convention et qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Thèses des parties
a) Le Gouvernement
47. Le Gouvernement indique que l’article 206 de la loi hypothécaire doit être appréhendé dans le contexte qui est le sien : celui de l’inscription au livre foncier des biens immeubles qui n’y figurent pas encore. Leur immatriculation, c’est-à-dire leur inscription pour la première fois, se fait moyennant une procédure un peu plus complexe que celle d’une inscription ordinaire. À cet effet, les personnes physiques et morales disposent des procédures prévues à l’article 199 de la loi hypothécaire (paragraphe 22 ci dessus).
Parmi celles-ci, l’une, décrite au b) dudit article, vise le cas de l’absence de document faisant foi – c’est-à-dire le cas où il n’existe pas de titre public d’acquisition délivré par un notaire et attestant de l’acquisition préalable de la propriété que l’on entend immatriculer. Le bien peut alors être immatriculé sur présentation d’un titre public d’acquisition, complété par un acte de notoriété faisant foi de ce que celui qui transfère le bien est considéré comme propriétaire.
La troisième option, prévue au c) de l’article 199 de la loi hypothécaire, et développée par l’article 206 de cette dernière, permet l’immatriculation sur présentation d’un certificat délivré par un organisme public ou, comme en l’espèce, par l’Église catholique.
48. Le Gouvernement précise que le certificat auquel se réfère l’article 206 de la loi hypothécaire ne constitue pas un titre de propriété, mais seulement un titre d’inscription, la propriété étant préexistante, même s’il n’existe pas de document l’attestant. Le certificat rend alors le bien éligible à une inscription au livre foncier, palliant l’absence d’un titre inscriptible. Dans le cas de l’article 206, c’est une autorité civile ou, comme en l’espèce, ecclésiastique, qui atteste de la propriété du bien au moyen d’un certificat. Cette procédure a un caractère supplétif : elle ne pourra être utilisée qu’à défaut de titre inscriptible au sens de la législation hypothécaire. Elle ne peut non plus jouer si la propriété est déjà enregistrée.
49. Le Gouvernement le répète : le certificat prévu à l’article 206 de la loi hypothécaire permet à un bien immeuble d’être inscrit au livre foncier, mais ne constitue pas une manière d’en acquérir la propriété. Ni l’Église, ni l’État, ni les organismes publics n’acquièrent, par le fait de délivrer pareil certificat, une propriété qui n’est pas la leur. Le certificat n’a pas d’autre effet que celui de faciliter l’enregistrement du bien au livre foncier.
50. Le Gouvernement entend souligner que l’immatriculation ne crée pas une situation juridique définitive ou inattaquable, comme on pourrait le croire à la lecture de la requête, qui laisse entendre que la requérante a « perdu » sa propriété à cause du certificat qui a permis l’inscription de l’église. Si les juridictions internes ont jugé que ladite église n’avait jamais appartenu à la requérante, c’est pour des motifs n’ayant rien à voir avec la délivrance de ce certificat. Le seul effet de l’immatriculation est de créer une présomption d’ordre « possessoire ». Or, il ne s’agit que d’une présomption simple (« iuris tantum »), qui cède devant la preuve contraire apportée lors d’un procès judiciaire à cette fin.
51. L’objet de l’immatriculation, expose le Gouvernement n’est pas de rendre inattaquable le titulaire enregistré, mais seulement de garantir la sécurité des transactions à titre onéreux effectuées par un éventuel tiers acquéreur, après l’écoulement de deux ans depuis l’inscription. Celui qui se considère comme le véritable titulaire des biens peut exercer une action déclaratoire : s’il prouve être propriétaire du bien en cause, le juge ordonnera l’annulation de l’immatriculation.
52. Pour le Gouvernement, la requérante a instrumentalisé l’article 206 de la loi hypothécaire en prêtant à tort à l’immatriculation un effet constitutif de propriété au profit de l’Évêché et, partant, en la dénonçant comme une expropriation. Or, lorsque la requérante a contesté l’immatriculation de l’église en arguant qu’elle en était la véritable propriétaire, les juridictions internes ont déclaré que la propriété appartenait à l’Église, et cela sur la base d’arguments indépendants de son immatriculation au nom de l’Évêché. Ainsi, la société requérante et l’Église catholique auraient été dans les mêmes conditions d’égalité devant le juge que si le différend opposait deux particuliers.
53. Le Gouvernement fait observer que l’article 206 de la loi hypothécaire n’a pas été déclaré inconstitutionnel par le Tribunal constitutionnel espagnol. De son côté, le Tribunal suprême aurait même, selon lui, admis la constitutionnalité de l’article 206 de la loi hypothécaire dans un arrêt du 16 novembre 2006, à propos du sanctuaire de Notre-Dame de Lluch.
54. Le Gouvernement expose que l’article 206 de la loi hypothécaire trouve sa justification dans les difficultés propres à l’inscription des biens de l’État et d’autres entités provenant de la desamortización (dont avaient été exclues, rappelle-t-il par ailleurs, les églises catholiques affectées au culte) : pour lever l’obstacle pouvant résulter du manque de titres de propriété pour ce type de biens, le législateur a décidé de permettre leur inscription au moyen de certifications.
L’explication de ce choix est à rechercher, selon lui, dans la difficulté de retracer l’origine de très vastes patrimoines possédés depuis des temps immémoriaux, et pour lesquels il n’existe pas de titres écrits attestant de la propriété.
Ainsi, aux yeux du Gouvernement, ce n’est pas pour des raisons religieuses que parmi les autorités dont les certificats font foi aux fins de l’immatriculation ont été incluses celles de l’Église catholique. Par conséquent, estime-t-il, cette inclusion ne porte pas atteinte au principe d’égalité.
55. En d’autres termes, pour le Gouvernement, la disposition en cause est raisonnable en ce que :
– d’un côté, elle permet que toutes les propriétés à caractère immémorial appartenant à l’État, à l’Église catholique et aux autres sujets de droit mentionnés dans la disposition litigieuse puissent figurer dans le livre foncier ;
– de l’autre, elle ne produit pas de conséquences irrémédiables pour les tiers, qui pourront, au besoin, saisir les organes judiciaires pour la défense de leurs droits.
56. Le Gouvernement observe que la requérante attribue des effets expropriatoires à l’immatriculation par l’Église catholique, au moyen de l’article 206 de la loi hypothécaire, de l’église enclavée dans les terrains dont elle est propriétaire. Or, souligne-t-il, le système d’immatriculation par certification n’a pas été le motif pour lequel les juridictions internes ont déclaré que la requérante n’était pas la titulaire du bien réclamé.
Sur le fait qu’ait pu être acceptée l’immatriculation des biens enclavés dans le fonds de la requérante alors que celui-ci était déjà, quant à lui, inscrite au livre foncier, le Gouvernement explique que le responsable du livre foncier a considéré, d’une part, que le bien litigieux (l’église) appartenait à l’Église catholique et non pas à la requérante et, d’autre part, qu’il n’était pas inclus ni compris dans l’inscription effectuée au nom de la requérante.
57. Le Gouvernement en veut pour preuve l’arrêt de l’Audiencia Provincial de Palencia, qui a confirmé le jugement de première instance et dont les parties pertinentes sont reproduites au paragraphe 12 ci-dessus. Il ressort dudit arrêt qu’à aucun moment, dans la procédure judiciaire, l’immatriculation effectuée en faveur de l’Évêché sur présentation du certificat prévu à l’article 206 de la loi hypothécaire n’a été considérée comme la source, pour l’Église, de la propriété de l’édifice litigieux.
Par conséquent, selon le Gouvernement, cette inscription n’a aucunement placé l’Église en situation d’avantage pour déterminer la propriété de l’édifice. En d’autres termes, il ne s’est agi que d’une controverse entre deux personnes particulières sur la question de savoir qui devait être considéré comme le propriétaire d’un bien, controverse qui a été résolue sur la base de motifs de droit civil matériel sans aucune entrée en jeu des dispositions critiquées de la loi hypothécaire. Ces motifs étaient notamment : que l’église en cause n’avait pas été incluse dans la desamortización ; que l’usucapion n’était pas applicable ; et que, par suite, aucun des propriétaires successifs du fonds ne l’avait jamais acquise. Ainsi, insiste le Gouvernement, l’église en cause est toujours restée la propriété de l’Église catholique, et l’inscription effectuée par la requérante ne l’incluait pas.
58. Aux yeux du Gouvernement, c’est à tort que la requérante analyse la situation comme une expropriation sans procédure pertinente. Il souligne que les juridictions internes ont conclu que les biens litigieux appartenaient depuis toujours à l’Église catholique et qu’il ne s’agit pas non plus d’une privation coercitive d’un droit pour cause d’utilité publique, comme le prétend la requérante. Il répète qu’il n’y a eu aucune influence du certificat délivré par l’Église en vertu de l’article 206 de la loi hypothécaire dans la détermination du titulaire des biens, le certificat de propriété n’étant pas un mode d’acquisition de la propriété mais une simple voie d’accès à la publicité foncière pour les propriétés existantes de l’Église.
59. Le Gouvernement rappelle enfin que l’inscription au nom de l’Évêché n’a pas empêché la requérante de saisir la justice pour faire trancher le différend qui l’opposait à celui-ci quant à la propriété de l’édifice litigieux.
b) La requérante
60. La requérante conteste l’idée selon laquelle l’affaire se présenterait à l’identique d’un litige entre simples particuliers, tranché selon les règles du droit civil matériel et non de la législation hypothécaire.
Sur le premier point, elle fait valoir : d’une part, que l’article 206 de la loi hypothécaire met l’Église catholique au même niveau que l’État, les communes, les provinces et autres entités de droit public ; d’autre part, que la voie privilégiée dont dispose l’Église catholique pour l’immatriculation de ses biens supposés ne s’applique pas aux autres confessions religieuses organisées.
Sur la question du droit appliqué à la résolution du litige, la requérante affirme que les choses se seraient déroulées autrement, voire qu’il ne se serait rien passé du tout, si l’inscription au livre foncier de sa propriété avait été respectée. Elle expose :
– que lorsqu’elle en avait fait l’acquisition en 1978, le terrain se trouvait déjà inscrit au livre foncier depuis plus d’un demi-siècle ; que cette première inscription comportait déjà une mention expresse de l’église ; que ce n’est qu’en 1994, soit seize ans après son achat et le renouvellement de l’inscription à son nom, que l’Évêché a entrepris d’immatriculer l’église comme sienne ;
– que l’Évêché a procédé à l’immatriculation non sur la base du droit civil substantiel et/ou au terme d’une procédure judiciaire d’établissement de son prétendu droit de propriété, mais sur le fondement d’une norme exclusivement applicable à la publicité foncière, à savoir le certificat prévu à l’article 206 de la loi hypothécaire ;
– que ce sont cette inscription et cet empiétement qui l’ont contrainte à entamer une procédure judiciaire longue et coûteuse pour la défense de ses droits face à l’Église catholique qui, à travers l’Évêché de Palencia, est à ses yeux devenue l’auteur d’une spoliation.
61. La requérante entend souligner l’importance sociale, économique et juridique de sa requête. Elle affirme que l’usage fait par l’Église catholique du privilège que lui donne l’article 206 de la loi hypothécaire est un sujet de scandale en Espagne, surtout depuis la réforme de l’article 5 du règlement hypothécaire en 1998, qui a supprimé l’interdiction d’inscrire au livre foncier les églises affectées au culte catholique : l’Église catholique s’est alors lancée, d’après la requérante, dans une course aux inscriptions dans le livre foncier pour toutes sortes de biens en se prévalant de la procédure privilégiée prévue par l’article 206 de la loi hypothécaire.
62. Abordant la question du système du livre foncier en Espagne, la requérante note que le Gouvernement insiste à ce sujet sur l’opportunité de favoriser la publicité de la propriété des biens immeubles par leur inscription audit livre. Cependant, en affirmant que l’inscription au livre foncier n’a pas d’effet créateur de propriété au profit du pétitionnaire et n’affecte pas le droit de propriété d’autrui, le Gouvernement tente selon elle à tort de minimiser les effets de l’immatriculation des biens.
63. La requérante considère que le livre foncier est un instrument de publicité de la propriété foncière destiné à garantir la propriété des biens, ainsi que leur circulation et leur commerce. Selon elle, il n’a pas vocation à répertorier les propriétés des « mainmortes » (ordres religieux, clergé, Église, etc.), qui ne comprendraient que des biens hors commerce (cathédrales, églises, ermitages, etc.). Dans la mesure où la majorité d’entre eux n’ont pas de marché, la requérante conteste l’existence d’un intérêt à ce que pareils biens soient inscrits au livre foncier. Il lui paraît encore moins justifié d’établir au profit de l’Église catholique une procédure privilégiée lui permettant de procéder à leur inscription sur la base de certificats émis par elle-même.
La requérante note qu’en la matière, la publicité foncière ne trouve même pas de justification d’ordre fiscal, dans la mesure où, en vertu des accords entre l’Espagne et le Saint-Siège, les biens d’Église sont exonérés d’impôts. L’intérêt pour l’Église catholique d’inscrire ses biens présente donc le caractère d’un intérêt purement privé : celui de jouir de la protection du livre foncier et de pouvoir l’opposer au reste des citoyens.
64. Selon la requérante, c’est à tort que le Gouvernement minimise les effets de l’inscription au livre foncier en les réduisant à la création d’une simple présomption. À ses yeux, cette inscription a, en Espagne, de puissants effets juridiques et c’est d’ailleurs ce qui expliquerait la « fièvre de l’inscription » manifestée par l’Église catholique. On ne saurait ignorer, indique-t-elle, les importants avantages d’ordre substantiel ou processuel que l’enregistrement d’un bien au livre foncier confère à son titulaire. Renvoyant en premier lieu aux termes de l’article 38 § 1 de la loi hypothécaire, qui établit dans le chef de ce dernier une présomption de propriété (paragraphe 22 ci-dessus), la requérante rappelle entre autres :
– que les propriétaires dont les biens sont inscrits peuvent exercer des actions réelles à l’encontre des personnes qui méconnaissent leur droit ;
– que la loi hypothécaire interdit aux juges et tribunaux de reconnaître un quelconque effet, au préjudice de tiers, à des droits réels sujets à inscription au livre foncier et qui n’y ont pas été inscrits ;
– ou encore que, selon l’article 17 de la loi hypothécaire, après l’inscription du titre au livre foncier, aucun autre titre incompatible ne peut être inscrit, même s’il porte une date antérieure (paragraphe 22 ci-dessus).
65. Concernant l’immatriculation des biens immeubles et tout particulièrement la procédure privilégiée de l’article 206 de la loi hypothécaire, la requérante ne voit aucune justification à en faire bénéficier les organes d’une confession religieuse (en l’occurrence, ceux de l’Église catholique).
66. À l’argument tiré de ce que la procédure visée à l’article 206 de la loi hypothécaire n’a jamais été déclarée inconstitutionnelle, la requérante entend apporter les nuances suivantes.
Pour le Tribunal constitutionnel, la raison en est selon elle toute simple : c’est qu’il n’a jamais été saisi de la question. Au demeurant, dans son arrêt du 18 novembre 1996, il avait incidemment présenté l’article 206 de la loi hypothécaire comme « de constitutionnalité douteuse ».
Quant au Tribunal suprême, estime la requérante, il serait vain de chercher à lire une reconnaissance de la constitutionnalité de l’article 206 de la loi hypothécaire dans son arrêt du 16 novembre 2006 : d’une part, parce que, dans cet arrêt, la question ne se posait pas ; d’autre part, parce que le Tribunal suprême n’est pas compétent pour statuer sur la constitutionnalité d’une loi (paragraphe 53 ci-dessus).
67. À supposer que l’article 206 de la loi hypothécaire soit constitutionnel, la requérante estime que l’Évêché de Palencia comme le responsable du livre foncier en ont au demeurant méconnu les exigences et les limites de ce dernier.
En effet, souligne-t-elle, l’article 206 de la loi hypothécaire exige, outre l’absence d’inscription au livre foncier des biens en cause, un certificat faisant expressément état « du titre d’acquisition ou du mode par lequel les biens ont été acquis ». Une simple déclaration de volonté ou autre affirmation succincte, comme celle produite par l’Évêché de Palencia, n’était donc pas admise. Il lui paraît inconcevable que ce procédé ait pu être validé, par le responsable du livre foncier d’abord, puis par les tribunaux.
La requérante observe par ailleurs, comme le Gouvernement le souligne lui-même (paragraphe 48 ci-dessus), que la procédure d’immatriculation prévue à l’article 206 de la loi hypothécaire ne peut normalement être mise en œuvre lorsque la propriété de l’immeuble est déjà inscrite.
68. En l’espèce, la requérante est convaincue que l’inscription préalable de sa propriété au livre foncier d’Astudillo portait également sur les édifices expressément mentionnés comme bâtis sur son fonds, à savoir l’ancienne église, le moulin et d’autres constructions (paragraphe 6 ci-dessus). Par conséquent, à ses yeux, le responsable du livre foncier ne s’est pas contenté d’inscrire au nom l’Évêché de Palencia un bien qui ne figurait pas au livre foncier, mais a tout simplement fait fi de son inscription antérieure. La requérante rappelle que le 12 juillet 1978, elle avait fait l’acquisition d’une « vaste propriété rurale sur laquelle se trouvai[ent] construits divers ouvrages, tous très anciens et détériorés, dont une église, une habitation, deux norias, une basse-cour et un moulin ». Ce n’est que seize ans plus tard que l’Évêché de Palencia a fait inscrire à son nom une « propriété urbaine » qui, selon lui, incluait « une église, une sacristie et une chambre capitulaire enclavées dans la propriété appartenant à [la requérante], sur le terrain dont elle est la propriétaire foncière ».
69. La requérante conteste l’idée que l’immatriculation de l’église par l’Église catholique, via l’article 206 de la loi hypothécaire, n’ait joué aucun rôle dans la détermination par les juridictions internes du propriétaire de cet édifice enclavé sur son terrain. En bref, elle maintient que l’église litigieuse et les autres bâtiments implantés ou enclavés dans son terrain étaient sa propriété légitimement acquise et que l’inscription au livre foncier valait pour ceux-ci au même titre que pour le terrain. Partant, elle estime anormal que cette inscription ait pu, quant à l’église litigieuse, rester sans effet devant un simple « certificat » émis par l’Évêché de Palencia, d’une manière selon elle contraire à la loi.
Enfin, elle rappelle en substance que l’article 1 du Protocole no 1 concerne non seulement les privations formelles de propriété, mais aussi l’expropriation de fait ainsi que les ingérences dans l’usage de la propriété.
2. Appréciation de la Cour
a) Principes généraux
70. L’article 1 du Protocole no 1 contient trois normes distinctes. La première, qui s’exprime dans la première phrase du premier alinéa et revêt un caractère général, énonce le principe du respect de la propriété. La deuxième, figurant dans la seconde phrase du même alinéa, vise la privation de propriété et la soumet à certaines conditions ; quant à la troisième, consignée dans le second alinéa, elle reconnaît aux États contractants le pouvoir, entre autres, de réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général. Il ne s’agit pas pour autant de règles dépourvues de rapports entre elles : la deuxième et la troisième ont trait à des exemples particuliers d’atteintes au droit de propriété ; dès lors, elles doivent s’interpréter à la lumière du principe général consacré par la première (voir, parmi beaucoup d’autres, Bruncrona c. Finlande, no 41673/98, § 65, 16 novembre 2004), respecter le principe de légalité et viser un but légitime par des moyens raisonnablement proportionnés à celui-ci (voir, par exemple, Beyeler c. Italie [GC], no 33202/96, §§ 108-114, CEDH 2000 I).
71. La notion d’« utilité publique » de la seconde phrase du premier alinéa est ample par nature. En particulier, la décision d’adopter des lois sur le droit de propriété implique d’ordinaire l’examen de questions politiques, économiques et sociales. Une privation de propriété opérée dans le cadre d’une politique légitime – d’ordre social, économique ou autre – peut répondre à l’utilité publique même si la collectivité dans son ensemble ne se sert ou ne profite pas elle-même du bien dont il s’agit.
72. Les autorités nationales se trouvent en princ

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