Conclusione Violazione dell’art. 6-1
SECONDA SEZIONE
CAUSA SILVERI C. ITALIA (NO 2)
( Richiesta no 36624/02)
SENTENZA
STRASBURGO
19 ottobre 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Silveri c. Italia (no 2),
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Danutė Jočienė, Dragoljub Popoviæ, András Sajó, Nona Tsotsoria, Kristina Pardalos, Guido Raimondi, giudici,
e da Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 28 settembre 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 36624/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui quattro cittadini di questo Stato, OMISSIS (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 25 settembre 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati dal Sig. G., avvocato a Bergamo.
3. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo vecchio agente e coagente, i Sigg. I.M. Braguglia e F. Crisafulli, e dall’attuale coagente, il Sig. N. Lettieri.
4. Il 28 giugno 2004, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permetteva l’articolo 29 § 3 della Convenzione in vigore all’epoca, ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1927, 1928, 1931 e 1939 e risiedono a Bergamo (il primo richiedente) a Roma ( il secondo e il quarto richiedente) a Seregno, (Milano), (il terzo richiedente).
A. Il procedimento principale
6. Il 4 giugno 1983, i richiedenti citarono E.S. dinnanzi al tribunale civile di L’Aquila, per ottenere la divisione di un’eredità (RG nº 568/83).
7. Dopo parecchie udienze, con un’ordinanza del 5 luglio 2000, il tribunale ordinò ai richiedenti di citare a comparire otto altre persone interessate prima del 15 novembre 2000.
8. All’udienza del 19 febbraio 2000, la parte avversa rilevò che i richiedenti non avevano eseguito l’ordinanza del giudice.
9. In seguito al rinvio delle otto udienze successive a causa dello smarrimento della pratica presso la cancelleria, all’udienza del 28 ottobre 2002, i richiedenti eccepirono del fatto che erano stati impediti di citare a comparire le persone indicate nell’ordinanza del 5 luglio 2000, perché erano decedute o il loro indirizzo era sconosciuto. Chiesero la revoca dell’ordinanza del 5 luglio 2000.
10. Con un giudizio depositato il 15 novembre 2004, il tribunale dichiarò inammissibile la richiesta dei richiedenti, al motivo che questi ultimi avevano omesso di citare a comparire le persone indicate nell’ordinanza del 5 luglio 2000, o i loro eredi.
B. La prima richiesta dinnanzi alla Corte
11. Il 13 febbraio 1999, i richiedenti avevano investito nel frattempo, la Corte (richiesta no PM4007) per lamentarsi della durata del procedimento principale.
12. Con una lettera del 19 giugno 2001, la Corte informò i richiedenti dell’entrata in vigore della legge “Pinto.” La pratica fu distrutta il 27 giugno 2002 in mancanza per i richiedenti di avere fornito delle informazioni sulla loro richiesta durante più di un anno.
C. Il procedimento “Pinto”
13. Il 25 settembre 2001, i richiedenti investirono la corte di appello di Campobasso ai sensi del legge “Pinto”, chiedendo 50 000 000 lire italiane (ITL) [25 822,84 euro (EUR)] ciascuno per risarcimento dei danni subiti a causa della durata del procedimento principale.
14. Con una decisione dell’ 11 dicembre 2001, depositata il 17 dicembre 2001, la corte di appello dice che, in data della decisione, il procedimento controverso aveva superato una “durata ragionevole” ma respinse l’istanza di indennizzo dei richiedenti al motivo che i danni presumibilmente subiti non erano stati dimostrati. Decise che ogni parte avrebbe dovuto prendersi carico degli oneri e delle spese del procedimento.
15. Notificata il 15 febbraio 2002, questa decisione diventò definitiva il 15 aprile 2002.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
16. Il diritto e la pratica interna pertinenti relativi alla legge no 89 del 24 marzo 2001, detta “legge Pinto”, figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006-V).
IN DIRITTO
I. OSSERVAZIONE PRELIMINARE
17. Il Governo si oppone alla decisione della Corte di esaminare congiuntamente l’ammissibilità ed il merito della richiesta. Stima che la richiesta non suscita simile approccio, in ragione delle particolarità legate alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed alla data di deposito della decisione “Pinto.”
18. La Corte rileva, da una parte, che il Governo non ha supportato il suo argomento derivato dalle particolarità della richiesta. Osserva, dall’altra parte, che il procedimento di esame congiunto in questione non impedisce un esame attento delle questioni sollevate e degli argomenti invocati dal Governo (vedere, mutatis mutandis, Léo Zappia c. Italia, no 77744/01, §§ 12-14, 29 settembre 2005). Quindi, non c’è luogo di fare diritto all’istanza del Governo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
19. I richiedenti si lamentano della durata del procedimento principale e di non avere ottenuto nessuno indennizzo nella cornice del ricorso “Pinto.” Invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
20. Il Governo si oppone a questa tesi, eccependo del no-esaurimento delle vie di ricorso interne e del difetto di requisito di “vittime” a capo dei richiedenti. Secondo il Governo, la giurisdizione “Pinto” avrebbe respinto i richiedenti, alla vista del loro comportamento nel procedimento principale ed in particolare per il fatto che hanno omesso di eseguire l’ordinanza del giudice del 5 luglio 2000 (vedere sopra paragrafo 7).
21. La Corte stima che la prima eccezione del Governo è da respingere alla luce della sua giurisprudenza (Di Sante c. Italia, (dec.), no 56079/00, 24 giugno 2004).
22. In quanto alla seconda eccezione, la Corte, dopo avere esaminato l’insieme dei fatti della causa e gli argomenti delle parti, considera che la correzione nella cornice del ricorso “Pinto” si è rivelata insufficiente (vedere Delle Cave e Corrado c. Italia, no 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007; Cocchiarella c. Italia, precitata, §§ 69-98). Pertanto, i richiedenti possono sempre definirsi “vittime”, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
23. La Corte constata che questo motivo di appello non incontra nessun altro dei motivi di inammissibilità iscritti all’articolo 35 § 3 della Convenzione. Lo dichiara allo stesso modo ammissibile.
24. La Corte constata che in data della decisione “Pinto”, il procedimento principale era durato circa diciotto anni e sei mesi per un grado di giurisdizione, dal 4 giugno 1983 al 11 dicembre 2001, e che si è prolungato poi di due anni ed undici mesi.
25. La Corte ha trattato a più riprese cause che sollevavano delle questioni simili a quella del caso di specie e ha constatato un’incomprensione dell’esigenza del “termine ragionevole”, tenuto conto dei criteri emanati in materia dalla sua giurisprudenza ben consolidata (vedere, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, precitata). Non vedendo niente che possa condurre ad una conclusione differente nella presente causa, la Corte stima che c’è luogo anche di constatare una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, per lo stesso motivo.
III. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
26. Invocando gli articoli 13, 17 e 41 della Convenzione, i richiedenti si lamentano della non effettività del rimedio “Pinto.”
27. La Corte stima che questo motivo di appello è da analizzare sotto l’angolo dell’articolo 13 della Convenzione. Alla luce della sua giurisprudenza (Brusco c. Italia, (dec.), no 69789/01, CEDH 2001-IX; Delle Cave e Corrado c. Italia, precitata, §§ 43-46) lo dichiara inammissibile per difetto manifesto di fondamento ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
28. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
29. I richiedenti richiedono 15 000 000 EUR ciascuno per danno patrimoniale. Chiedono anche, a titolo del danno morale, 40 000 000 EUR ciascuno per la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e 25 000 000 EUR per la violazione degli articoli 13 e 17.
30. Il Governo stima che i richiedenti sono stati indennizzati in modo adeguato e sufficiente nella cornice del ricorso “Pinto”, tenuto conto del loro comportamento nel procedimento principale.
31. La Corte non vede legame di causalità tra la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione che ha appena constatato (vedere sopra paragrafo 25) ed il danno patrimoniale addotto e respinge questa richiesta. Per ciò che riguarda il danno morale, la Corte stima che avrebbe potuto accordare ad ogni richiedente, in mancanza di vie di ricorso interne e tenuto conto del comportamento dei richiedenti nel procedimento principale, la somma di 21 000 EUR. Il fatto che la giurisdizione “Pinto” non abbia concesso niente ai richiedenti arriva ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che, malgrado questo ricorso interno, sia giunta tuttavia ad una constatazione di violazione, prendendo in considerazione il prolungamento del procedimento principale dopo il ricorso “Pinto”, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia, (precitate, §§ 139-142 e 146) e, deliberando in equità, assegna ad ogni richiedente 9 450 EUR.
B. Oneri e spese
32. Note di parcella in appoggio, i richiedenti chiedono 5 633 328 ITL [2 909 EUR] per gli oneri e le spese della richiesta PM4007 dinnanzi alla Corte, 5 633 328 ITL [2 909 EUR] per gli oneri e le spese del ricorso “Pinto” e 13 083,46 EUR, questi ultimi, da aumentare del 2% a titolo del contributo alla cassa di previdenza degli avvocati e del 20% a titolo della tassa sul valore aggiunto, per gli oneri e le spese della presente richiesta.
33. Il Governo contesta queste pretese.
34. Secondo la giurisprudenza della Corte, il sussidio degli oneri e delle spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Can ed altri c. Turchia, no 29189/02, § 22, 24 gennaio 2008).
35. In quanto agli oneri e alle spese dinnanzi alla corte di appello “Pinto”, tenuto conto della durata e della complessità del procedimento “Pinto”, la Corte decide di assegnare congiuntamente 500 EUR ai richiedenti a questo titolo.
36. In quanto agli oneri e alle spese incorsi dinnanzi a lei, la Corte, alla vista dei giustificativi forniti, stima ragionevole assegnare congiuntamente 1 500 EUR ai richiedenti (somma che ingloba un rimborso per gli oneri e le spese della prima richiesta dinnanzi alla Corte).
C. Interessi moratori
37. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dalla durata eccessiva del procedimento, articolo 6 § 1 della Convenzione, ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione 9 450 EUR (novemila quattro cento cinquanta euro) ad ogni richiedente per danno morale e 2 000 EUR (duemila euro) ai richiedenti congiuntamente per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dai richiedenti;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la richiesta di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 19 ottobre 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa