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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE SELIN ASLI ÖZTÜRK c. TURQUIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 06, P1-1
Numero: 39523/03/2009
Stato: Turchia
Data: 2009-10-13 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Violazione dell’art. 6-1; violazione di P1-1; Soddisfazione equa riservata
SECONDA SEZIONE
CAUSA SELİN ASLI ÖZTÜRK C. TURCHIA
( Richiesta no 39523/03)
SENTENZA
(merito)
STRASBURGO
13 ottobre 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Selin Aslı Öztürk c. Turchia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, Nona Tsotsoria, Işıl Karakaş, giudici,
e daFrancesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio l’ 8 settembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 39523/03) diretta contro la Repubblica della Turchia e in cui una cittadina di questo Stato, la Sig.na S. A. Ö. (“la richiedente”), ha investito la Corte il 14 novembre 2003 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. La richiedente è rappresentata da J. E., avvocato ad Ankara e sua madre E. D. Ş.. Il governo turco (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente.
3. Il 9 maggio 2007, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare al Governo i motivi di appello tratti dagli articoli 6 e 13 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
4. La camera ha deciso che non c’era luogo di tenere un’udienza.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. La richiedente è nata il 7 settembre 2000 e risiede ad Istanbul.
6. Il 22 marzo 1968, il padre della richiedente aveva sposato una cittadina tedesca. In una data non comunicata, la coppia si era separata senza divorziare.
7. La richiedente è nata dell’unione di suo padre con una nuova compagna.
8. Il 1 febbraio 2001, la corte d’appello di Bensheim (Germania) pronunciò il divorzio del padre della richiedente e di sua moglie tedesca. Il giudizio di divorzio diventò definitivo il 13 aprile 2001.
9. Il 22 maggio 2001, il padre della richiedente decedette senza avere chiesto l’exequatur o la riconoscenza del giudizio di divorzio in Turchia.
10. L’ 8 giugno 2001, la pretura di Ankara rilasciò un certificato di erede secondo cui un quarto della successione del padre della richiedente spettava alla sua moglie tedesca ed i restanti tre quarti alla richiedente.
11. Il 14 luglio 2001, agendo a nome della richiedente minorenne, sua madre introdusse un’azione dinnanzi alla corte d’appello di Ankara in vista di ottenere la riconoscenza del giudizio di divorzio estero.
12. Il 26 settembre 2001, il giudizio di divorzio ricevette exequatur da parte della corte d’appello.
13. Il 6 dicembre 2001, la Corte di cassazione annullò questo giudizio. Rilevò da prima che il giudizio estero non produceva alcun effetto in Turchia senza exequatur o riconoscenza. Osservò poi che, essendo deceduta una delle parti al procedimento il 22 maggio 2001, il matrimonio si era concluso col decesso e che, nella misura in cui i bambini non potevano chiedere l’exequatur o la riconoscenza del giudizio di divorzio dei loro genitori, la richiedente non aveva requisito per agire. La Corte di cassazione rilevò inoltre che la corte d’appello aveva deliberato sull’exequatur del giudizio estero mentre la richiedente aveva chiesto la sua riconoscenza. Nella sua opinione dissidente, il presidente arguì che in quanto a lui ogni persona che disponeva di un interesse giuridico poteva chiedere l’exequatur o la riconoscenza.
14. Il 1 ottobre 2002, la corte d’appello si conformò alla sentenza di cassazione e respinse l’istanza presentata dalla richiedente.
15. Il 4 marzo 2003, la Corte di cassazione confermò questo giudizio e, il 21 aprile 2003, respinse il ricorso per rettifica. Questa ultima sentenza fu notificata alla richiedente il 14 maggio 2003.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
16. All’epoca dei fatti, l’articolo 34 della vecchia legge relativa al diritto ed al procedimento internazionale privato si leggeva come segue:
“L’esecuzione in Turchia delle decisioni rese da giurisdizioni estere in cause civili e diventate definitive secondo le leggi del paese riguardato è legata al rilascio da parte del tribunale turco competente di una decisione di exequatur. “
17. Secondo l’articolo 35, il tribunale competente era la corte d’appello del luogo di residenza in Turchia della parte avversa, salvo eccezione. L’articolo 36 precisava che l’istanza di exequatur era fatta per mezzo di una richiesta ed indicava le informazione che dovevano figurare in questa richiesta. L’articolo 37 enumerava l’elenco dei documenti da unire alla richiesta.
18. Secondo l’articolo 38, il tribunale competente poteva accordare l’exequatur quando le seguenti condizioni venivano assolte.
a) esistenza della reciprocità tra la Turchia ed il paese riguardato;
b) oggetto della controversia che non dipende dalla competenza esclusiva dei tribunali turchi;
c,)conformità all’ordine pubblico;
d) rispetto dei diritti della difesa nella cornice del procedimento estero;
e) in materia di stato delle persone, il rispetto delle regole turche relative ai conflitti di leggi.
19. Secondo l’articolo 39, la richiesta così come la data di udienza veniva notificata alla parte avversa e l’istanza di exequatur veniva esaminata secondo le regole di procedimento normale. La parte avversa poteva opporsi all’istanza di exequatur invocando la mancata osservanza delle condizioni di exequatur o se il giudizio estero era stato interamente o parzialmente eseguito o in caso di apparizione di una ragione che impediva la sua esecuzione.
20. Secondo l’articolo 42, relativo alla riconoscenza dei giudizi esteri, l’accettazione del giudizio estero come prova e giudizio definitivo era legata alla constatazione da parte del tribunale competente che questo giudizio assolveva le condizioni dell’exequatur. I paragrafi a) e d) dell’articolo 38 non si applicavano alla riconoscenza.
21. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, le regole di procedimento concernente l’exequatur si applicavano anche nella cornice di un’istanza di riconoscenza.
22. La legge relativa al diritto ed al procedimento internazionale privati, come era in vigore all’epoca dei fatti, non indicava espressamente le persone aventi requisito per chiedere l’exequatur o la riconoscenza di un giudizio estero. Tuttavia, secondo la giurisprudenza ben stabilita della Corte di cassazione, solo le parti al procedimento iniziale potevano chiedere l’exequatur o la riconoscenza. Così, nelle cause di divorzio, soli gli sposi divorziati potevano chiedere l’exequatur o la riconoscenza del loro giudizio di divorzio.
23. Il 12 dicembre 2007, è entrata in vigore la nuova legge relativa al diritto ed al procedimento internazionale privati. Secondo il suo articolo 52, ogni persona che dispone di un interesse giuridico nel rilascio dell’exequatur può fare l’istanza. Secondo le sentenze recenti della Corte di cassazione, ogni persona che dispone di un interesse giuridico può chiedere oramai la riconoscenza o l’exequatur di un giudizio estero.
24. Le disposizioni pertinenti del codice civile sono peraltro formulate, così:
Articolo 575
“La successione si apre con la morte del de cujus. (…) “
Articolo 599
“Col decesso del de cujus, gli eredi acquisiscono in pieno dritto la successione in comunione. “
Articolo 705
“L’acquisizione della proprietà fondiaria si fa con l’iscrizione [al registro fondiario].
In caso di successione, la proprietà è acquisita prima dell’iscrizione. (…) “
Secondo l’articolo 499 del codice civile, se lo sposo deceduto precedentemente lascia dei bambini, il coniuge superstite raccoglie un quarto della successione.
IN DIRITTO
I. SULL’ECCEZIONE PRELIMINARE DEL GOVERNO
25. Il Governo invita la Corte a respingere la richiesta per mancata osservanza del termine dei sei mesi. Ricordando che la decisione interna definitiva è intervenuta il 21 aprile 2003, avanza che la richiesta è stata introdotta il 15 marzo 2004. Aggiunge che la pratica della causa non contiene nessun documento che attesti l’introduzione della richiesta il 14 novembre 2003.
26. La richiedente combatte la tesi del Governo.
27. La Corte nota che, con una lettera del 16 dicembre 2003, ha informato la richiedente della registrazione della sua richiesta e che ha indicato il 14 novembre 2003 come data d’ introduzione. In questa stessa lettera, ha invitato l’interessata a restituirle il formulario di facoltà di rappresentanza debitamente compilato. Il 15 marzo 2004, ha accusato ricevuta del documento chiesto.
28. Con una lettera del 30 gennaio 2006, ha informato la richiedente della perdita del formulario di richiesta iniziale e l’ha invitata a farle giungere un nuovo formulario, il che fu fatto l’8 febbraio 2006.
29. La Corte nota così come la richiesta non è stata introdotta il 15 marzo 2004 come pretende il Governo, ma che questa data è quella in cui ha ricevuto il formulario di facoltà di rappresentanza.
30. Osserva poi che la sentenza della Corte di cassazione resa il 21 aprile 2003 e notificata alla richiedente il 14 maggio 2003 costituisce la decisione interna definitiva. Essendo stata introdotta la presente richiesta il 14 novembre 2003, il termine dei sei mesi da contare dalla notifica della decisione interna definitiva è stato ben rispettato.
31. Pertanto, la Corte respinge l’eccezione del Governo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE
32. La richiedente si lamenta di non avere avuto accesso ad un tribunale nella misura in cui le giurisdizioni nazionali hanno respinto la sua istanza di riconoscenza per difetto di requisito per agire. Si lamenta che in ragione di questa restrizione la vecchia sposa di suo padre ha ereditato un quarto della successione. Adduce una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato nelle sue parti pertinenti nello specifico,:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà della fondatezza di ogni accusa in materia penale diretta contro lei. “
A. Sull’ammissibilità
33. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Peraltro, non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
34. La richiedente reitera le sue affermazioni.
35. Il Governo ricorda che, secondo il diritto interno in vigore all’epoca dei fatti, solo le parti al procedimento iniziale potevano chiedere la riconoscenza di un giudizio di divorzio.
36. La Corte ricorda da prima che il “diritto ad un tribunale” di cui il diritto di accesso costituisce un aspetto (Golder c. Regno Unito, 21 febbraio 1975, § 36, serie A no 18) non è assoluto e che suscita delle limitazioni implicitamente ammesse. Tuttavia, le limitazioni applicate non devono restringere l’accesso aperto all’individuo in un modo o ad un punto tale che il diritto se ne trovi raggiunto nella sua sostanza stessa; infine, si conciliano con l’articolo 6 § 1 solo se inseguono uno scopo legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto (Tolstoy Miloslavsky c. Regno Unito, 13 luglio 1995, § 59, serie A no 316-B, e Pastore c. Francia, no 48221/99, § 30, CEDH 2002-X).
37. La Corte ricorda anche che non ha per compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne e che appartiene al primo capo alle autorità nazionali, ed in particolare ai corsi ed ai tribunali, che tocca interpretare la legislazione interna. Il ruolo della Corte si limita a verificare la compatibilità con la Convenzione degli effetti di simile interpretazione. A questo riguardo, conviene ricordare che il ruolo della Corte non è di esaminare in abstracto la legislazione e la pratica pertinente, ma di ricercare se il modo in cui hanno toccato un richiedente ha infranto la Convenzione (Kaufmann c. Italia, no 14021/02, § 33, 19 maggio 2005, e, più recentemente, McDonald c. Francia, (dec.), no 18648/04, 29 aprile 2008).
38. Nella presente causa, la Corte nota che il giudizio di divorzio del padre della richiedente è stato pronunciato da una giurisdizione tedesca. Essendo deceduto suo padre prima di avere chiesto la riconoscenza di questo giudizio dinnanzi alle giurisdizioni turche, la richiedente ha fatto una domanda di riconoscenza che è stata respinta per difetto di requisito per agire.
39. La Corte osserva inoltre che all’epoca dei fatti la legge relativa al diritto ed al procedimento internazionale privato non menzionava espressamente quali persone avevano il requisito per chiedere l’exequatur o la riconoscenza. Essendo così, secondo la giurisprudenza ben stabilita della Corte di cassazione, solo le parti al procedimento iniziale potevano chiedere l’exequatur o la riconoscenza di un giudizio estero, il che escludeva la possibilità per i bambini di chiedere l’exequatur o la riconoscenza del giudizio di divorzio dei loro genitori.
40. La Corte considera dunque che la regola in questione aveva come base legale la giurisprudenza ben stabilita della Corte di cassazione. Può ammettere anche che questa regola inseguiva un scopo legittimo, ossia la protezione dei diritti delle parti al procedimento iniziale. Resta da sapere se, privando la richiedente della possibilità di chiedere la riconoscenza del giudizio di divorzio del suo defunto padre, i tribunali le hanno imposto un carico sproporzionato avendo portato rottura del giusto equilibrio tra, da una parte, la preoccupazione legittima di proteggere i diritti delle parti al giudizio per cui la riconoscenza è stata chiesta e, dall’altra parte, il diritto di accesso della richiedente ad un tribunale.
41. A questo riguardo, la Corte rileva che la limitazione controversa ha impedito non solo la richiedente di ottenere la riconoscenza del giudizio di divorzio di suo padre, ma che è diventata un ostacolo insormontabile all’epoca di ogni tentativo di rivendicazione sulla totalità della successione del suo defunto padre (vedere, mutatis mutandis, Lupaş ed altri c. Romania, numeri 1434/02, 35370/02 e 1385/03, § 73, CEDH 2006-XV (brani)). La richiedente-unica erede diretta di suo padre-si è trovata nell’impossibilità assoluta di fare riconoscere una situazione giuridica che riguardava suo padre defunto e di fare valere tutti i suoi diritti successori. La giurisprudenza della Corte di cassazione non contemplava nessuna deroga per i casi come quello della presente causa, in cui lo sposo divorziato è deceduto senza avere chiesto la riconoscenza, in più in un termine molto breve. Difatti, la Corte osserva che il padre della richiedente è deceduto il 22 maggio 2001, o circa un mese e dieci giorni dopo che il giudizio di divorzio fu diventato definitivo.
42. La Corte nota anche che la nuova legge relativa al diritto ed al procedimento internazionale privati, entrata in vigore il 12 dicembre 2007, permette ad ogni persona che ha un interesse giuridico nel rilascio dell’exequatur di farne istanza. Le sentenze recenti della Corte di cassazione applicano la nuova legge nel senso che ogni persona che ha un interesse può chiedere la riconoscenza o l’exequatur del giudizio estero.
43. Alla luce delle considerazioni che precedono, la Corte stima che la regola controversa ha imposto un carico sproporzionato alla richiedente che l’ha privata di ogni possibilità concreta di ottenere la riconoscenza, e che ha recato così offesa alla sostanza stessa del suo diritto di accesso ad un tribunale.
44. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
45. La richiedente si lamenta inoltre di un’incomprensione del suo diritto al rispetto dei suoi beni a ragione del rifiuto delle giurisdizioni nazionali di accordare la riconoscenza al giudizio di divorzio pronunziato all’estero, il che ha provocato la perdita per lei di un quarto dell’eredità di suo padre. Adduce inoltre la mancanza di un ricorso interno effettivo che le avrebbe permesso di fare valere questo motivo di appello. Vede nell’impossibilità addotta una violazione dell’articolo 13 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
46. La Corte stima opportuno esaminare questi motivi di appello sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 la cui parte pertinente si legge come segue:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. (…) “
A. Sull’ammissibilità
47. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Peraltro, non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
48. La richiedente sostiene che in caso di decesso del de cujus la proprietà del suo patrimonio è trasmessa immediatamente ed automaticamente ai suoi eredi universali. Aggiunge che quando suo padre è deceduto, era divorziato già dalla sua ex-moglir con un giudizio tedesco che disponeva della re judicata. Fa osservare che è l’unica figlia di suo padre defunto e stima che a questo titolo può pretendere di avere una speranza legittima di ereditare nell’insieme i beni paterni.
49. Il Governo sostiene che l’articolo 1 del Protocollo no 1 non è applicabile nelle circostanze dello specifico. Stima che si tratta qui di un guadagno futuro e che la richiedente, potendo sperare di ottenere dei diritti successori solo al termine del procedimento che ha intentato, non ha acquisito mai il diritto di proprietà in questione; quindi, non potrebbe secondo il Governo pretendere di disporre di un bene ai sensi dell’articolo invocato.
50. La Corte osserva da prima che la richiedente aveva già ottenuto tramite successione una parte del patrimonio di fuoco suo padre (paragrafo 10 sopra). Difatti, in virtù dell’articolo 599 del codice civile turco, alla morte del de cujus, ha acquisito automaticamente i suoi diritti ereditari sulla successione che sono devoluti agli eredi in comunione (paragrafo 24 sopra). La richiedente avendo disposto così di un interesse patrimoniale sull’insieme dei beni che componevano il patrimonio di suo padre defunto ed avendo ottenuto i tre quarti della successione, poteva sperare di raccogliere il resto. L’articolo 1 del Protocollo no 1 si applica dunque ai fatti della causa.
51. La Corte considera che, nella misura in cui la richiedente è stata privata del quarto della successione di suo padre, il rifiuto delle giurisdizioni turche di accordare la riconoscenza del giudizio di divorzio estero ha costituito un’ingerenza nel diritto dell’interessata al rispetto dei suoi beni. Stima di dovere esaminare questa ingerenza alla luce della norma generale.
52. A questo motivo, la Corte osserva che le giurisdizioni nazionali hanno considerato che la richiedente non aveva alcun requisito per agire. Per fare questo, si sono basate sulla giurisprudenza della Corte di cassazione concernente l’articolo 42 della vecchia legge relativa al diritto ed al procedimento internazionale privati secondo la quale solo le parti al procedimento iniziale potevano chiedere la riconoscenza. A questo riguardo, la Corte ricorda che può conoscere solamente in modo limitato degli errori di fatto o di diritto presumibilmente commessi dalle giurisdizioni interne alle quali spetta al primo capo di interpretare e di applicare il diritto interno (García Ruiz c. Spagna [GC], no 30544/96, § 28, CEDH 1999-I). Essendo così, la Corte non giudica utile dedicarsi in astratto sulla legge applicabile in materia; le tocca in compenso verificare se il modo in cui il diritto interno è stato interpretato ed applicato nei casi sottomessi al suo esame si concilia con la Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Pla e Puncernau c. Andorra, no 69498/01, § 46 in fine, CEDH 2004-VIII, e, più recentemente, Karaman c. Turchia, no 6489/03, § 30, 15 gennaio 2008).
53. La Corte ricorda di avere concluso sotto l’angolo dell’articolo 6 della Convenzione che la regola controversa, come è stata interpretata dalle giurisdizioni nazionali, ha imposto un carico sproporzionato alla richiedente che l’ha privata di ogni possibilità concreta di ottenere la riconoscenza, e che ha recato così offesa alla sostanza stessa del diritto di accesso dell’interessata ad un tribunale (paragrafo 43 sopra). L’impossibilità per la richiedente di accedere ad un tribunale l’ha privata difatti, definitivamente della possibilità di fare riconoscere in Turchia il giudizio di divorzio di suo padre pronunziato all’estero, il che ha avuto per effetto di privarla del quarto della successione.
54. Di conseguenza, l’interpretazione restrittiva e rigorosa data dalla Corte di cassazione dell’articolo 42 della vecchia legge relativa al diritto ed al procedimento internazionale privati che consiste nel dire che i bambini non potevano chiedere la riconoscenza del giudizio di divorzio dei loro genitori-anche in caso di decesso di questi ultimi -è di natura tale da rompere il giusto equilibro tra le esigenze dell’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti individuali nella misura in cui, nello specifico, la richiedente non poteva rivendicare più la totalità della successione di suo padre defunto.
55. La Corte sottolinea di nuovo l’entrata in vigore della nuova legge relativa al diritto ed al procedimento internazionale privato che permette ad ogni persona che ha un interesse giuridico nel rilascio dell’exequatur di farne richiesta; i bambini possono così oramai chiedere l’exequatur o la riconoscenza del giudizio di divorzio dei loro genitori.
56. Alla luce delle considerazioni sopra ed alla vista dell’insieme degli elementi della pratica, l’applicazione dell’articolo 42 della vecchia legge relativa al diritto ed al procedimento internazionale privati non era compatibile con le esigenze dell’articolo 1 del Protocollo no 1. C’è stata dunque violazione di questa disposizione.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
57. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, la richiedente sostiene infine che il rigetto della sua istanza di riconoscenza da parte delle giurisdizioni nazionali costituisce un attentato al suo diritto alla vita familiare.
58. Avuto riguardo alle sue conclusioni sopra sul terreno dell’articolo 6 della Convenzione (paragrafi 43 e 44 sopra) la Corte stima che questo motivo di appello è ammissibile ma che non c’è luogo di esaminarlo separatamente sul merito.
V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
59. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
60. La richiedente richiede 3 397 821 lire turche, circa 1 950 000 euro, per danno materiale. A titolo di giustificativo, fornisce l’elenco dei beni che figurano nel patrimonio del de cujus ed il loro valore, determinato per certo da periti giudiziali. Non ha presentato alcuna richiesta per oneri e spese
61. Il Governo contesta questa pretesa.
62. La Corte stima che la questione dell’applicazione dell’articolo 41 non è matura, così che conviene riservarla tenendo in conto l’eventualità di un accordo tra lo stato convenuto ed i richiedenti.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile,;
2. Stabilisce, per sei voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce, per sei voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
4. Stabilisce, all’unanimità, che non c’è luogo di esaminare separatamente i motivi di appello tratti dagli articoli 8 e 13 della Convenzione;
5. Stabilisce, all’unanimità, che la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione non è matura;
perciò,
a) la riserva per intero;
b) invita il Governo ed la richiedente ad indirizzarle per iscritto, nel termine di sei mesi a contare del giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva in virtù dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, le loro osservazioni su questa questione e, in particolare, a darle cognizione di ogni accordo al quale potrebbero arrivare;
c) riserva l’ulteriore procedimento e delega alla presidentessa della camera la cura di fissarlo all’occorrenza.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 13 ottobre 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione dissidente del giudice Vladimiro Zagrebelsky.
F.T.
F.E.P.

OPINIONE DISSIDENTE DEL GIUDICE ZAGREBELSKY
Mi dispiace di non potere condividere le conclusioni della maggioranza in questa causa. Mi spiegherò.
1. All’epoca in cui gli avvenimenti si sono svolti, secondo la legge in vigore come interpretata dalla giurisprudenza ben stabilita della Corte di cassazione (paragrafi 16, 33 e 34 della sentenza) l’exequatur o la riconoscenza di una sentenza estera poteva essere ordinata solamente su richiesta delle persone che erano state parti al procedimento iniziale.
La maggioranza ammette al paragrafo 34 che questa “regola inseguiva uno scopo legittimo, ossia la protezione dei diritti delle parti al procedimento iniziale”. Ciò vuole dire, ai miei occhi, che la Corte ammetta che l’esclusione di altre persone (la richiedente nello specifico) poteva giustificarsi nella preoccupazione di lasciare le parti al procedimento che era arrivato alla sentenza di divorzio di cui si tratta soli i capi degli effetti di questo in un ordine giuridico differente di quello in cui la sentenza era stata resa. Tale soluzione può trovare un fondamento ragionevole specialmente nell’ambito sensibile del matrimonio e delle questioni che vi sono legate. Nello specifico, mi sembra fuori luogo speculare sulle ragioni dell’atteggiamento passivo o negativo del padre della richiedente. Naturalmente, una scelta legislativa differente può da parte sua giustificarsi per ragioni domestiche. E la soluzione adottata dalla Turchia con la riforma del 2007 non si presta alla critica. Ma ciò che voglio sottolineare, è che né una né un’altra soluzione “vengono richieste” dalla Convenzione. Appartiene allo stato dunque adottare quella che trova preferibile in un dato momento.
Ciò dicendo, occorre secondo me prendere atto del fatto che la richiedente non aveva all’epoca nessuno diritto, né in dritto interno né ancora meno a livello convenzionale, di farsi valere dinnanzi ad un giudice. Non aveva di conseguenza nessuno diritto di accesso ad un giudice ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione. La soluzione adottata dalla maggioranza della camera si manifesta nella creazione di un diritto-la riconoscenza o l’exequatur del divorzio di suo padre-che non esisteva all’epoca in diritto interno.
2. La maggioranza, dopo avere assegnato alla richiedente il diritto alla riconoscenza, o l’exequatur, nell’ordine giuridico turco del divorzio di suo padre ed aver concluso alla violazione dell’articolo 6 della Convenzione, ha considerato che la richiedente era titolare di un bene ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1, il quarto del patrimonio di suo padre, e che l’impossibilità di accedere ad un tribunale l’aveva privata del quarto della successione (paragrafi 50 e 53 della sentenza).
Secondo me, anche se si ammettesse che la richiedente avesse avuto il diritto di investire un giudice per chiedere la riconoscenza o l’exequatur del divorzio di suo padre, la conclusione della maggioranza secondo la quale c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 sarebbe ingiustificata. Difatti, il diritto di investire un giudice non comprendere il diritto di ottenere guadagno di causa. Nello specifico, la riconoscenza di un giudizio estero, o il suo exequatur, è in diritto turco assoggettato ad un certo numero di condizioni (paragrafi 17 a 21 della sentenza), in modo tale che l’accettazione dell’istanza da parte della richiedente non sarebbe stata automatica. La “parte avversa” avrebbe potuto opporsi (paragrafo 19). La Corte non dispone di nessuno elemento per dire che la richiedente, accedendo ad un giudice per chiedere la riconoscenza o l’exequatur del divorzio di suo padre, avrebbe ottenuto ciò che chiedeva. Ora senza riconoscenza o exequatur del divorzio di suo padre, non aveva nessuno diritto sul quarto della successione.
Stimo di conseguenza che la Corte non avrebbe dovuto riconoscere l’esistenza di un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Ciò facendo, tra l’altro, la Corte mi sembra abbia sconfinato sui diritti della moglie del padre della richiedente, senza che abbia avuto la possibilità di fare ascoltare le sue ragioni.

Testo Tradotto

Conclusion Violation de l’art. 6-1 ; Violation de P1-1 ; Satisfaction équitable réservée
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE SELİN ASLI ÖZTÜRK c. TURQUIE
(Requête no 39523/03)
ARRÊT
(fond)
STRASBOURG
13 octobre 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Selin Aslı Öztürk c. Turquie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Nona Tsotsoria,
Işıl Karakaş, juges,
et de Françoise Elens-Passos, greffière adjointe de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 8 septembre 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 39523/03) dirigée contre la République de Turquie et dont une ressortissante de cet Etat, Mlle S. A.Ö (« la requérante »), a saisi la Cour le 14 novembre 2003 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. La requérante est représentée par Me J. E., avocate à Ankara et sa mère E. D. Ş.. Le gouvernement turc (« le Gouvernement ») est représenté par son agent.
3. Le 9 mai 2007, la présidente de la deuxième section a décidé de communiquer au Gouvernement les griefs tirés des articles 6 et 13 de la Convention et 1 du Protocole no 1. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le fond de l’affaire.
4. La chambre a décidé qu’il n’y avait pas lieu de tenir une audience.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. La requérante est née le 7 septembre 2000 et réside à Istanbul.
6. Le 22 mars 1968, le père de la requérante avait épousé une ressortissante allemande. A une date non communiquée, le couple s’était séparé sans divorcer.
7. La requérante est née de l’union de son père avec une nouvelle compagne.
8. Le 1er février 2001, le tribunal de grande instance de Bensheim (Allemagne) prononça le divorce du père de la requérante et de son épouse allemande. Le jugement de divorce devint définitif le 13 avril 2001.
9. Le 22 mai 2001, le père de la requérante décéda sans avoir demandé l’exequatur ou la reconnaissance du jugement de divorce en Turquie.
10. Le 8 juin 2001, le tribunal d’instance d’Ankara délivra un certificat d’héritier, selon lequel un quart de la succession du père de la requérante revenait à son épouse allemande et les trois quarts restants à la requérante.
11. Le 14 juillet 2001, agissant au nom de la requérante mineure, sa mère introduisit une action devant le tribunal de grande instance d’Ankara en vue d’obtenir la reconnaissance du jugement de divorce étranger.
12. Le 26 septembre 2001, le jugement de divorce reçut exequatur par le tribunal de grande instance.
13. Le 6 décembre 2001, la Cour de cassation cassa ce jugement. Elle releva d’abord que le jugement étranger ne produisait pas d’effet en Turquie sans exequatur ou reconnaissance. Elle observa ensuite que, l’une des parties à la procédure étant décédée le 22 mai 2001, le mariage avait pris fin avec le décès et que, dans la mesure où les enfants ne pouvaient pas demander l’exequatur ou la reconnaissance du jugement de divorce de leurs parents, la requérante n’avait pas qualité pour agir. La Cour de cassation releva en outre que le tribunal de grande instance avait statué sur l’exequatur du jugement étranger alors que la requérante avait demandé sa reconnaissance. Dans son opinion dissidente, le président argüa quant à lui que toute personne disposant d’un intérêt juridique pouvait demander l’exequatur ou la reconnaissance.
14. Le 1er octobre 2002, le tribunal de grande instance se conforma à l’arrêt de cassation et rejeta la demande présentée par la requérante.
15. Le 4 mars 2003, la Cour de cassation confirma ce jugement et, le 21 avril 2003, elle rejeta le recours en rectification. Ce dernier arrêt fut notifié à la requérante le 14 mai 2003.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
16. A l’époque des faits, l’article 34 de l’ancienne loi relative au droit et à la procédure internationaux privés se lisait comme suit :
« L’exécution en Turquie des décisions rendues par les juridictions étrangères dans les affaires civiles et devenues définitives selon les lois du pays concerné est liée à la délivrance par le tribunal turc compétent d’une décision d’exequatur. »
17. Selon l’article 35, le tribunal compétent était le tribunal de grande instance du lieu de résidence en Turquie de la partie adverse, sauf exception. L’article 36 précisait que la demande d’exequatur était présentée au moyen d’une requête et indiquait les informations devant figurer dans cette requête. L’article 37 énumérait la liste des documents à joindre à la requête.
18. Selon l’article 38, le tribunal compétent pouvait accorder l’exequatur lorsque les conditions suivantes étaient remplies.
a) existence de la réciprocité entre la Turquie et le pays concerné ;
b) objet du litige ne relevant pas de la compétence exclusive des tribunaux turcs ;
c) conformité à l’ordre public ;
d) respect des droits de la défense dans le cadre de la procédure étrangère ;
e) en matière d’état des personnes, le respect des règles turques relatives aux conflits de lois.
19. Selon l’article 39, la requête ainsi que la date d’audience étaient notifiées à la partie adverse et la demande d’exequatur était examinée selon les règles de procédure normales. La partie adverse pouvait s’opposer à la demande d’exequatur en invoquant le non-respect des conditions d’exequatur ou si le jugement étranger avait été entièrement ou partiellement exécuté ou bien en cas d’apparition d’une raison empêchant son exécution.
20. Selon l’article 42 (relative à la reconnaissance des jugements étrangers), l’acceptation du jugement étranger comme preuve et jugement définitif était liée à la constatation par le tribunal compétent que ce jugement remplissait les conditions de l’exequatur. Les paragraphes a) et d) de l’article 38 ne s’appliquaient pas à la reconnaissance.
21. Selon la jurisprudence constante de la Cour de cassation, les règles de procédure concernant l’exequatur s’appliquent aussi dans le cadre d’une demande de reconnaissance.
22. La loi relative au droit et à la procédure internationaux privés, tel qu’elle était en vigueur à l’époque des faits, n’indiquait pas expressément les personnes ayant qualité pour demander l’exequatur ou la reconnaissance d’un jugement étranger. Toutefois, selon la jurisprudence bien établie de la Cour de cassation, seules les parties à la procédure initiale pouvaient demander l’exequatur ou la reconnaissance. Ainsi, dans les affaires de divorce, seuls les époux divorcés pouvaient demander l’exequatur ou la reconnaissance de leur jugement de divorce.
23. Le 12 décembre 2007, la nouvelle loi relative au droit et à la procédure internationaux privés est entrée en vigueur. Selon son article 52, toute personne disposant d’un intérêt juridique dans la délivrance de l’exequatur peut en faire la demande. Selon les arrêts récents de la Cour de cassation, toute personne disposant d’un intérêt juridique peut désormais demander la reconnaissance ou l’exequatur d’un jugement étranger.
24. Par ailleurs, les dispositions pertinentes du code civil sont ainsi libellées :
Article 575
« La succession s’ouvre par la mort du de cujus. (…) »
Article 599
« Avec le décès du de cujus, les héritiers acquièrent de plein droit la succession en indivision. »
Article 705
« L’acquisition de la propriété foncière se fait par l’inscription [au registre foncier].
En cas de succession (…), la propriété est acquise avant l’inscription. (…) »
Selon l’article 499 du code civil, si l’époux prédécédé laisse des enfants, le conjoint survivant recueille un quart de la succession.
EN DROIT
I. SUR L’EXCEPTION PRÉLIMINAIRE DU GOUVERNEMENT
25. Le Gouvernement invite la Cour à rejeter la requête pour non-respect du délai de six mois. Rappelant que la décision interne définitive est intervenue le 21 avril 2003, il avance que la requête a été introduite le 15 mars 2004. Il ajoute que le dossier de l’affaire ne contient aucun document attestant de l’introduction de la requête le 14 novembre 2003.
26. La requérante combat la thèse du Gouvernement.
27. La Cour note que, par une lettre du 16 décembre 2003, elle a informé la requérante de l’enregistrement de sa requête et qu’elle a indiqué le 14 novembre 2003 comme étant la date d’introduction. Dans cette même lettre, elle a invité l’intéressée à lui retourner le formulaire de pouvoir de représentation dûment rempli. Le 15 mars 2004, elle a accusé réception du document demandé.
28. Par une lettre du 30 janvier 2006, elle a informé la requérante de la perte du formulaire de requête initial et l’a invitée à lui faire parvenir un nouveau formulaire, ce qui fut fait le 8 février 2006.
29. La Cour note ainsi que la requête n’a pas été introduite le 15 mars 2004 comme le prétend le Gouvernement, mais que cette date est celle à laquelle elle a reçu le formulaire de pouvoir de représentation.
30. Elle observe ensuite que l’arrêt de la Cour de cassation rendu le 21 avril 2003 et notifié à la requérante le 14 mai 2003 constitue la décision interne définitive. La présente requête ayant été introduite le 14 novembre 2003, le délai de six mois à compter de la notification de la décision interne définitive a bien été respecté.
31. Partant, la Cour rejette l’exception du Gouvernement.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 DE LA CONVENTION
32. La requérante se plaint de n’avoir pas eu accès à un tribunal dans la mesure où les juridictions nationales ont rejeté sa demande de reconnaissance pour défaut de qualité pour agir. Elle se plaint qu’en raison de cette restriction l’ancienne épouse de son père ait hérité d’un quart de la succession. Elle allègue une violation de l’article 6 § 1 de la Convention, ainsi libellé en ses parties pertinentes en l’espèce :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) par un tribunal (…) qui décidera (…) du bien-fondé de toute accusation en matière pénale dirigée contre elle. »
A. Sur la recevabilité
33. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Par ailleurs, il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
34. La requérante réitère ses allégations.
35. Le Gouvernement rappelle que, selon le droit interne en vigueur à l’époque des faits, seules les parties à la procédure initiale pouvaient demander la reconnaissance d’un jugement de divorce.
36. La Cour rappelle d’abord que le « droit à un tribunal », dont le droit d’accès constitue un aspect (Golder c. Royaume-Uni, 21 février 1975, § 36, série A no 18), n’est pas absolu et qu’il se prête à des limitations implicitement admises. Toutefois, les limitations appliquées ne doivent pas restreindre l’accès ouvert à l’individu d’une manière ou à un point tels que le droit s’en trouve atteint dans sa substance même ; enfin, elles ne se concilient avec l’article 6 § 1 que si elles poursuivent un but légitime et s’il existe un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé (Tolstoy Miloslavsky c. Royaume-Uni, 13 juillet 1995, § 59, série A no 316-B, et Berger c. France, no 48221/99, § 30, CEDH 2002-X).
37. La Cour rappelle aussi qu’elle n’a pas pour tâche de se substituer aux juridictions internes et que c’est au premier chef aux autorités nationales, et notamment aux cours et tribunaux, qu’il incombe d’interpréter la législation interne. Le rôle de la Cour se limite à vérifier la compatibilité avec la Convention des effets de pareille interprétation. A cet égard, il convient de rappeler que le rôle de la Cour n’est pas d’examiner in abstracto la législation et la pratique pertinentes, mais de rechercher si la manière dont elles ont touché un requérant a enfreint la Convention (Kaufmann c. Italie, no 14021/02, § 33, 19 mai 2005, et, plus récemment, McDonald c. France (déc.), no 18648/04, 29 avril 2008).
38. Dans la présente affaire, la Cour note que le jugement de divorce du père de la requérante a été prononcé par une juridiction allemande. Son père étant décédé avant d’avoir demandé la reconnaissance de ce jugement devant les juridictions turques, la requérante a présenté une demande de reconnaissance, laquelle a été rejetée pour défaut de qualité pour agir.
39. La Cour observe en outre qu’à l’époque des faits la loi relative au droit et à la procédure internationaux privés ne mentionnait pas expressément quelles personnes avaient qualité pour demander l’exequatur ou la reconnaissance. Cela étant, selon la jurisprudence bien établie de la Cour de cassation, seules les parties à la procédure initiale pouvaient demander l’exequatur ou la reconnaissance d’un jugement étranger, ce qui excluait la possibilité pour des enfants de demander l’exequatur ou la reconnaissance du jugement de divorce de leurs parents.
40. La Cour considère donc que la règle en question avait comme base légale la jurisprudence bien établie de la Cour de cassation. Elle peut également admettre que cette règle poursuivait un but légitime, à savoir la protection des droits des parties à la procédure initiale. Reste à savoir si, en privant la requérante de la possibilité de demander la reconnaissance du jugement de divorce de son père défunt, les tribunaux lui ont imposé une charge disproportionnée ayant emporté rupture du juste équilibre entre, d’une part, le souci légitime de protéger les droits des parties au jugement pour lequel la reconnaissance a été demandée et, d’autre part, le droit d’accès de la requérante à un tribunal.
41. A cet égard, la Cour relève que la limitation litigieuse a non seulement empêché la requérante d’obtenir la reconnaissance du jugement de divorce de son père, mais qu’elle est devenue un obstacle insurmontable lors de toute tentative de revendication sur la totalité de la succession de son père défunt (voir, mutatis mutandis, Lupaş et autres c. Roumanie, nos 1434/02, 35370/02 et 1385/03, § 73, CEDH 2006-XV (extraits)). La requérante – seule héritière directe de son père – s’est trouvée dans l’impossibilité absolue de faire reconnaître une situation juridique concernant son père défunt et de faire valoir tous ses droits successoraux. La jurisprudence de la Cour de cassation ne prévoyait aucune dérogation pour des cas tels que celui de la présente affaire, où l’époux divorcé est décédé sans avoir demandé la reconnaissance, qui plus est dans un délai très court. En effet, la Cour observe que le père de la requérante est décédé 22 mai 2001, soit environ un mois et dix jours après que le jugement de divorce fut devenu définitif.
42. La Cour note également que la nouvelle loi relative au droit et à la procédure internationaux privés, entrée en vigueur le 12 décembre 2007, permet à toute personne ayant un intérêt juridique dans la délivrance de l’exequatur d’en faire la demande. Les arrêts récents de la Cour de cassation appliquent la nouvelle loi en ce sens que toute personne ayant un intérêt peut demander la reconnaissance ou l’exequatur du jugement étranger.
43. A la lumière des considérations qui précèdent, la Cour estime que la règle litigieuse a imposé à la requérante une charge disproportionnée qui l’a privée de toute possibilité concrète d’obtenir la reconnaissance, et qu’elle a ainsi porté atteinte à la substance même de son droit d’accès à un tribunal.
44. Partant, il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
45. La requérante se plaint en outre d’une méconnaissance de son droit au respect de ses biens à raison du refus des juridictions nationales d’accorder la reconnaissance au jugement de divorce prononcé à l’étranger, ce qui a entraîné la perte pour elle d’un quart de l’héritage de son père. Elle allègue en outre l’absence d’un recours interne effectif qui lui aurait permis de faire valoir ce grief. Elle voit dans l’impossibilité alléguée une violation de l’article 13 de la Convention et de l’article 1 du Protocole no 1.
46. La Cour estime opportun d’examiner ces griefs sous l’angle de l’article 1 du Protocole no 1, dont la partie pertinente se lit comme suit :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. (…) »
A. Sur la recevabilité
47. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Par ailleurs, il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
48. La requérante soutient qu’en cas de décès du de cujus la propriété de son patrimoine est transmise immédiatement et automatiquement à ses héritiers universels. Elle ajoute que lorsque son père est décédé, il était déjà divorcé de son ex-épouse par un jugement allemand disposant de la res judicata. Elle fait observer qu’elle est l’unique enfant de son père défunt et estime qu’à ce titre elle peut prétendre avoir une espérance légitime d’hériter de l’ensemble des biens paternels.
49. Le Gouvernement soutient que l’article 1 du Protocole no 1 n’est pas applicable dans les circonstances de l’espèce. Il estime qu’il s’agit ici d’un gain futur et que la requérante, ne pouvant espérer obtenir des droits successoraux qu’au terme de la procédure qu’elle a intentée, n’a jamais acquis le droit de propriété en question ; dès lors, elle ne saurait selon le Gouvernement prétendre disposer d’un bien au sens de l’article invoqué.
50. La Cour observe d’abord que la requérante avait déjà obtenu par voie de succession une part du patrimoine de feu son père (paragraphe 10 ci-dessus). En effet, en vertu de l’article 599 du code civil turc, à la mort du de cujus, elle a acquis automatiquement ses droits héréditaires sur la succession, lesquels sont dévolus aux héritiers en indivision (paragraphe 24 ci-dessus). La requérante ayant ainsi disposé d’un intérêt patrimonial sur l’ensemble des biens composant le patrimoine de son père défunt et obtenu les trois quarts de la succession, elle pouvait espérer recueillir le reste. L’article 1 du Protocole no 1 s’applique donc aux faits de la cause.
51. La Cour considère que, dans la mesure où la requérante a été privée du quart de la succession de son père, le refus des juridictions turques d’accorder la reconnaissance au jugement de divorce étranger a constitué une ingérence dans le droit de l’intéressée au respect de ses biens. Elle estime devoir examiner cette ingérence à la lumière de la norme générale.
52. A ce sujet, la Cour observe que les juridictions nationales ont considéré que la requérante n’avait pas qualité pour agir. Pour ce faire, elles se sont fondées sur la jurisprudence de la Cour de cassation concernant l’article 42 de l’ancienne loi relative au droit et à la procédure internationaux privés, selon laquelle seules les parties à la procédure initiale pouvaient demander la reconnaissance. A cet égard, la Cour rappelle qu’elle ne peut connaître que de façon limitée des erreurs de fait ou de droit prétendument commises par les juridictions internes, auxquelles il revient au premier chef d’interpréter et d’appliquer le droit interne (García Ruiz c. Espagne [GC], no 30544/96, § 28, CEDH 1999-I). Cela étant, la Cour ne juge pas utile de se pencher dans l’abstrait sur la loi applicable en la matière ; il lui incombe en revanche de vérifier si la façon dont le droit interne a été interprété et appliqué dans les cas soumis à son examen se concilie avec la Convention (voir, mutatis mutandis, Pla et Puncernau c. Andorre, no 69498/01, § 46 in fine, CEDH 2004-VIII, et, plus récemment, Karaman c. Turquie, no 6489/03, § 30, 15 janvier 2008).
53. La Cour rappelle avoir conclu sous l’angle de l’article 6 de la Convention que la règle litigieuse, telle qu’elle a été interprétée par les juridictions nationales, a imposé à la requérante une charge disproportionnée qui l’a privée de toute possibilité concrète d’obtenir la reconnaissance, et qu’elle a ainsi porté atteinte à la substance même du droit d’accès de l’intéressée à un tribunal (paragraphe 43 dessus). En effet, l’impossibilité pour la requérante d’accéder à un tribunal l’a définitivement privée de la possibilité de faire reconnaître en Turquie le jugement de divorce de son père prononcé à l’étranger, ce qui a eu pour effet de la priver du quart de la succession.
54. Par conséquent, l’interprétation restrictive et stricte donnée par la Cour de cassation de l’article 42 de l’ancienne loi relative au droit et à la procédure internationaux privés consistant à dire que les enfants ne pouvaient pas demander la reconnaissance du jugement de divorce de leurs parents – même en cas de décès de ces derniers – est de nature à rompre le juste équilibre entre les exigences de l’intérêt général et les impératifs de la sauvegarde des droits individuels dans la mesure où, en l’espèce, la requérante ne pouvait plus revendiquer la totalité de la succession de son père défunt.
55. La Cour souligne à nouveau l’entrée en vigueur de la nouvelle loi relative au droit et à la procédure internationaux privés, laquelle permet à toute personne ayant un intérêt juridique dans la délivrance de l’exequatur d’en faire la demande ; les enfants peuvent ainsi désormais demander l’exequatur ou la reconnaissance du jugement de divorce de leurs parents.
56. A la lumière des considérations ci-dessus et au vu de l’ensemble des éléments du dossier, l’application de l’article 42 de l’ancienne loi relative au droit et à la procédure internationaux privés n’était pas compatible avec les exigences de l’article 1 du Protocole no 1. Il y a donc eu violation de cette disposition.
IV. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 DE LA CONVENTION
57. Invoquant l’article 8 de la Convention, la requérante soutient enfin que le rejet de sa demande de reconnaissance par les juridictions nationales constitue une atteinte à son droit à la vie familiale.
58. Eu égard à ses conclusions ci-dessus sur le terrain de l’article 6 de la Convention (paragraphes 43 et 44 ci-dessus), la Cour estime que ce grief est recevable mais qu’il n’y a pas lieu de l’examiner séparément sur le fond.
V. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
59. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
60. La requérante réclame 3 397 821 livres turques (environ 1 950 000 euros) pour préjudice matériel. A titre de justificatif, elle fournit la liste des biens figurant dans le patrimoine du de cujus et leur valeur, déterminée pour certains par des experts judiciaires. Elle n’a pas présenté de demande pour frais et dépens
61. Le Gouvernement conteste cette prétention.
62. La Cour estime que la question de l’application de l’article 41 ne se trouve pas en état, de sorte qu’il convient de la réserver en tenant compte de l’éventualité d’un accord entre l’Etat défendeur et la requérante.
PAR CES MOTIFS, LA COUR,
1. Déclare, à l’unanimité, la requête recevable ;
2. Dit, par six voix contre une, qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;
3. Dit, par six voix contre une, qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
4. Dit, à l’unanimité, qu’il n’y a pas lieu d’examiner séparément les griefs tirés des articles 8 et 13 de la Convention ;
5. Dit, à l’unanimité, que la question de l’application de l’article 41 de la Convention ne se trouve pas en état ;
en conséquence,
a) la réserve en entier ;
b) invite le Gouvernement et la requérante à lui adresser par écrit, dans le délai de six mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif en vertu de l’article 44 § 2 de la Convention, leurs observations sur cette question et, notamment, à lui donner connaissance de tout accord auquel ils pourraient aboutir ;
c) réserve la procédure ultérieure et délègue à la présidente de la chambre le soin de la fixer au besoin.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 13 octobre 2009, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Françoise Elens-Passos Françoise Tulkens
Greffière adjointe Présidente
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé de l’opinion dissidente du juge Vladimiro Zagrebelsky.
F.T.
F.E.P.

OPINION DISSIDENTE DU JUGE ZAGREBELSKY
Je regrette de ne pouvoir partager les conclusions de la majorité dans cette affaire. Je vais m’en expliquer.
1. A l’époque où les événements se sont déroulés, selon la loi en vigueur telle qu’interprétée par la jurisprudence bien établie de la Cour de cassation (paragraphes 16, 33 et 34 de l’arrêt), l’exequatur ou la reconnaissance d’un arrêt étranger pouvaient être ordonnés seulement à la demande des personnes qui avaient été parties à la procédure initiale.
La majorité admet au paragraphe 34 que cette « règle poursuivait un but légitime, à savoir la protection des droits des parties à la procédure initiale ». Cela veut dire, à mes yeux, que la Cour admet que l’exclusion d’autres personnes (la requérante en l’espèce) pouvait se justifier dans le souci de laisser les parties à la procédure qui avait abouti à l’arrêt de divorce dont il s’agit seuls maîtres des effets de celui-ci dans un ordre juridique différent de celui où l’arrêt avait été rendu. Une telle solution peut trouver un fondement raisonnable spécialement dans le domaine sensible du mariage et des questions qui y sont liées. En l’espèce, il me paraît déplacé de spéculer sur les raisons de l’attitude passive ou négative du père de la requérante. Naturellement, un choix législatif différent peut de son côté se justifier pour de bonnes raisons. Et la solution adoptée par la Turquie avec la réforme de 2007 ne prête pas à la critique. Mais ce que je veux souligner, c’est que ni l’une ni l’autre solution n’est « exigée » par la Convention. Il appartient donc à l’Etat d’adopter celle qu’il trouve préférable à un moment donné.
Cela dit, il faut à mon sens prendre acte du fait que la requérante n’avait à l’époque aucun droit (ni en droit interne ni encore moins au niveau conventionnel) à faire valoir devant un juge. Elle n’avait par conséquent aucun droit d’accès à un juge au sens de l’article 6 de la Convention. La solution adoptée par la majorité de la chambre se traduit par la création d’un droit – la reconnaissance ou l’exequatur du divorce de son père – qui n’existait pas à l’époque en droit interne.
2. La majorité, après avoir attribué à la requérante le droit à la reconnaissance (ou l’exequatur) dans l’ordre juridique turc du divorce de son père et avoir conclu à la violation de l’article 6 de la Convention, a considéré que la requérante était titulaire d’un bien au sens de l’article 1 du Protocole no 1 (le quart du patrimoine de son père) et que l’impossibilité d’accéder à un tribunal l’avait privée du quart de la succession (paragraphes 50 et 53 de l’arrêt).
A mon sens, même si l’on admettait que la requérante avait le droit de saisir un juge pour demander la reconnaissance ou l’exequatur du divorce de son père, la conclusion de la majorité selon laquelle il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 serait injustifiée. En effet, le droit de saisir un juge ne comporte pas le droit d’obtenir gain de cause. En l’espèce, la reconnaissance d’un jugement étranger (ou son exequatur) est en droit turc assujettie à un certain nombre de conditions (paragraphes 17 à 21 de l’arrêt), de telle sorte que l’acceptation de la demande par la requérante n’aurait pas été automatique. La « partie adverse » aurait pu s’y opposer (paragraphe 19). La Cour ne dispose d’aucun élément pour dire que la requérante, en accédant à un juge pour demander la reconnaissance ou l’exequatur du divorce de son père, aurait obtenu ce qu’elle demandait. Or sans reconnaissance ou exequatur du divorce de son père, elle n’avait aucun droit sur le quart de la succession.
J’estime par conséquent que la Cour n’aurait pas dû reconnaître l’existence d’un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1. En ce faisant, entre autres, la Cour me paraît avoir empiété sur les droits de la femme du père de la requérante, sans qu’elle ait eu la possibilité de faire entendre ses raisons.

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