Conclusione Violazione dell’art. 3; danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA SCOPPOLA C. ITALIA
( Richiesta no 50550/06)
SENTENZA
Questa versione è stata rettificata il 7 aprile 2009
conformemente all’articolo 81 dell’ordinamento della Corte
STRASBURGO
10 giugno 2008
DEFINITIVO
26/01/2009
Questa sentenza può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Scoppola c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Antonella Mularoni, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 20 maggio 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 50550/06) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. F. S. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 19 dicembre 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da N. P. ed A. M, avvocati a Roma. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, il Sig. I. M. Braguglia, e dal suo co-agente, il Sig. F. Crisafulli.
3. Il richiedente adduceva che la sua detenzione in un penitenziario era incompatibile col suo stato di salute.
4. Il 13 febbraio 2007, la presidentessa della seconda sezione della Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
5. Il richiedente è nato nel 1940 ed è attualmente detenuto presso il penitenziario di Parma.
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
6. Nel settembre 1999, al termine di una disputa coi suoi bambini, il richiedente uccise sua moglie e ferì uno dei suoi bambini.
7. Condannato all’ergastolo dalla corte d’assise di appello di Roma nel gennaio 2002, il richiedente scontò una parte della sua pena nell’ospedale della prigione di Regina Coeli a Roma.
8. Nel dicembre 2003, il richiedente che si spostava solo su una sedia a rotelle, chiese di essere trasferito in un’altra prigione di Roma dove, visto la mancanza di ostacoli architettonici (barriere architettoniche) avrebbe potuto beneficiare delle ore di uscita e di condizioni di detenzione più umane.
9. Il 5 aprile 2004, il dipartimento regionale dell’amministrazione penitenziaria del Lazio rifiutò il trasferimento, invocando delle difficoltà inerenti alla presa in carico del richiedente in ragione del suo stato di salute.
10. Secondo un rapporto medico del 9 gennaio 2006, stabilito su richiesta del consigliere del richiedente, le condizioni di salute di questo ultimo erano “ampiamente incompatibili con la detenzione in prigione ed imponevano l’adozione di misure alternative a questa, come il trasferimento in un ospedale esterno alla prigione atto a fornire al richiedente le cure adeguate e necessarie, o in un centro di presa in carico e di riabilitazione per persone a lunga degenza che esigono un’assistenza continua 24 ore su 24.”
11. Il 2 marzo 2006, il richiedente chiese al tribunale di applicazione delle pene di Roma di accordargli gli arresti domiciliari o la sua ospedalizzazione all’esterno della prigione.
12. L’11 aprile 2006, il richiedente fu ricoverato all’ospedale civile Sandro Pertini in ragione di una frattura del femore.
13. Risulta da un rapporto medico redatto il 6 giugno 2006 che l’innesto di una protesi dell’anca considerato immediatamente dopo l’arrivo del paziente non fu realizzato al motivo che, il richiedente non camminando più dal 1987, l’intervento chirurgico sarebbe stato inutile e pericoloso. Secondo il medico redattore del rapporto, il richiedente poteva lasciare l’ospedale a patto di essere trasferito in un centro di trattamenti attrezzati per dispensargli le cure necessarie (in particolare, assistenza continua, collocamento a disposizione di un materasso speciali anti-decubito, cinesiterapia passiva).
14. Con un’ordinanza del 16 giugno 2006 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 21 giugno 2006, il tribunale di applicazione delle pene di Roma accordò al richiedente gli arresti domiciliari per una durata di un anno, con obbligo di risiedere a Roma, autorizzazione di andare all’ospedale per le cure, interdizione di detenere delle armi. Il tribunale fondò la sua decisione sulle conclusioni del rapporto medico del 6 giugno 2006 e stimò che le condizioni di salute del richiedente, da una parte, esigevano delle cure che non potevano essere prodigate in prigione, e, dall’altra parte, finivano con provocare un’ “inutile violazione dell’interdizione di trattamenti disumani al riguardo del condannato.” L’ordinanza del tribunale di applicazione delle pene indicava che il richiedente era detenuto presso il penitenziario di Roma-Rebibbia e che questo ultimo non era ” atto a gestire la condizione medica dell’interessato” (“non (…) idoneo a gestire la situazione sanitaria del predetto”). In realtà, risulta da una nota del ministero della Giustizia del 19 settembre 2007 che il 14 giugno 2006, e dunque prima del pronunciamento dell’ordinanza del tribunale di applicazione delle pene, alla sua uscita dall’ospedale Sandro Pertini, il richiedente era stato trasferito alla prigione di Roma-Regina Coeli. La nota in questione precisa che dal 14 giugno 2006 il richiedente era costretto di restare nel suo letto e che non poteva quindi né fare la doccia né beneficiare della passeggiata all’aperto; con l’aiuto di un altro prigioniero era in grado di lavarsi e di prendersi cura della sua igiene.1
15. Il 23 giugno 2006, il consigliere del richiedente si rivolse al direttore della prigione Regina Coeli pregandolo di autorizzare il trasferimento del suo cliente presso la clinica nella quale la sorella del richiedente aveva riservato una camera.
16. Il 7 luglio 2006, il consigliere del richiedente informò il direttore che la clinica precedentemente scelta aveva rifiutato di accogliere il suo cliente. Tuttavia, chiese l’autorizzazione di fare esaminare il richiedente da un medico di un’altra clinica per determinare se, avuto riguardo alle condizioni di salute del paziente, la struttura aveva le attrezzature adeguate.
17. L’ 8 settembre 2006, il tribunale di applicazione delle pene revocò la sua decisione del 16 giugno perché gli arresti domiciliari non avevano trovato applicazione in mancanza per il richiedente di avere un domicilio adattato al suo stato.
18. Secondo una nota del ministero di Giustizia del 13 marzo 2007, il richiedente era stato trasferito al centro clinico del penitenziario Regina Coeli di Roma per controllare il suo stato di salute, in particolare le sue patologie metaboliche, e per garantirgli delle sedute di cinesiterapia, di natura tale da evitare un indebolimento della sua massa muscolare e da preservare la mobilità delle sue gambe. Era costretto a spostarsi su una sedia a rotelle a causa di una frattura del femore destro. La prigione Regina Coeli disponeva di mezzi per eliminare gli ostacoli architettonici ed un materasso anti-decubito era stato messo a disposizione del richiedente. Dei controlli di endocrinologia erano stati effettuati per ridurre l’amministrazione di insulina ed iniziare una terapia orale con un’alimentazione adeguata. Dei test cardiologici non aveva messo in evidenza nessuna anomalia, mentre gli esami urologici avevano mostrato un’ipertrofia della prostata. Un seguito psichiatrico era stato messo in posto per sorvegliare la depressione di cui il richiedente soffriva. Infine, il penitenziario Regina Coeli aveva chiesto al garante dei diritti dei detenuti per il Lazio di studiare la possibilità di trasferire il richiedente in strutture di accoglienza all’esterno del penitenziario, ed il richiedente era stato trasferito a più riprese presso di strutture ospedaliere civili.
19. Il 29 dicembre 2006, la direzione generale per i detenuti del ministero della Giustizia ordinò il trasferimento del richiedente al penitenziario di Parma che disponeva di strutture adattate alle esigenze delle persone handicappate. Questo trasferimento fu effettuato il 23 settembre 2007. Con un fax del 1 ottobre 2007, il richiedente ha affermato che questo trasferimento l’aveva immerso nell’angoscia, privandolo della possibilità di ricevere delle visite regolari da parte di sua sorella e del suo avvocato, tutti e due residenti a Roma.
20. In una nota del 5 novembre 2007, il dipartimento per l’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia ha precisato che il trasferimento del richiedente al penitenziario di Parma si spiegava con le sue difficoltà di mobilità. Difatti, in seguito ad una caduta dal letto che occupava nel penitenziario di Roma, il richiedente si era fratturato il femore sinistro. Era stato ricoverato, ma i medici avevano stimato che non poteva essere operato a causa delle sue patologie cardiache. A Parma, il richiedente fu sottoposto a test clinici per trattare meglio le sue malattie. Nel settembre e nell’ ottobre 2007, fu sottoposto ad una radiografia nasale e a degli esami neurologici, urologici e cardiologici. Questi ultimi esami non hanno scoperto nessuna patologia significativa. Un’endoscopia nasale ed un controllo urologico ulteriore, che miravano a scoprire l’esistenza eventuale di un calcolo alla vescica, sono stati programmati. Peraltro, il richiedente era stato ricoverato in seguito ad episodi di occlusione intestinale denunciati durante la sua detenzione al penitenziario di Regina Coeli. Malgrado l’avviso contrario dei suoi medici curanti, aveva deciso di lasciare l’ospedale. Di conseguenza, un medico del penitenziario di Parma è stato incaricato di effettuare un colonscopia.
21. In un’altra nota, datata del 28 gennaio 2008, il dipartimento per l’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia ha precisato che il trasferimento del richiedente al penitenziario di Parma ha avuto luogo solamente il 23 settembre 2007 perché, durante il suo soggiorno a Regina Coeli, l’interessato aveva seguito un ciclo di attività di diagnosi e di terapia che la direzione sanitaria non stimava opportuno interrompere. Peraltro, durante la sua detenzione, il richiedente è stato ricoverato negli ospedali civili durante i seguente periodi: dal 22 al 23 gennaio 2002 in seguito ad un malessere; dall’ 11 aprile al 14 giugno 2006 in ragione di una frattura al femore; dal 18 gennaio al 13 febbraio 2007 e dall’ 11 al 13 settembre 2007 a causa di occlusioni intestinali; dal 19 maggio al 19 giugno 2007 per valutare l’opportunità di un intervento chirurgico al femore.
22. Il richiedente stima che le spiegazioni date dal Governo nella nota sopraccitata sono incoerenti e sottolinea che il suo stato di salute non ha fatto che aggravarsi durante la sua detenzione. Adduce che il suo trasferimento a Parma non ha portato nessun miglioramento, immergendolo al contrario in una situazione di sconforto psicologico legato all’allontanamento di sua sorella e dei suoi consulenti legali. Stima che invece di trasferirlo in un altro penitenziario, lo stato avrebbe dovuto porlo in una struttura ospedaliera esterna alla prigione.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
23. La sospensione dell’esecuzione della pena è prevista dall’articolo 147 § 1 no 2, del codice penale, ai termini del quale
“L’esecuzione di una pena può essere sospesa: (…)
2) se una pena privativa di libertà deve essere eseguita contro una persona che si trova in condizione di infermità fisica grave. “
24. Ai termini dell’articolo 678 del codice di procedimento penale, la decisione di sospendere l’esecuzione della pena può essere adottata anche d’ufficio dal tribunale di applicazione delle pene.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
25. Il richiedente adduce che il suo mantenimento in detenzione in prigione costituisce un trattamento disumano. Invoca l’articolo 3 della Convenzione, così formulato:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
26. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
27. Il Governo eccepisce innanzitutto dell’inammissibilità della richiesta, al motivo che è essenzialmente la stessa della richiesta no 10249/03, introdotta dallo stesso richiedente. Nella cornice dell’esame di quest’ultima, con una decisione parziale dell’ 8 settembre 2005, la Corte ha respinto un motivo di appello derivato da un’incomprensione degli articoli 3 e 14 della Convenzione a causa delle condizioni di vita del richiedente in prigione.
28. Il richiedente osserva che la sua richiesta no 10249/03 riguardava la sua situazione fino al 2003. Ora, il suo stato di salute si è, da allora, degradato seriamente a causa, tra l’altro, dell’incidente di cui è stato vittima l’ 11 aprile 2006. I fatti denunciati nella presente richiesta sono dunque differenti rispetto a quelli che sono stati oggetto della richiesta no 10249/03.
29. La Corte ricorda che ai termini dell’articolo 35 § 2 b) della Convenzione, non considera nessuna richiesta individuale quando è “essenzialmente la stessa di una richiesta precedentemente esaminata dalla Corte e non contiene dei fatti nuovi.” Nello specifico, nella cornice dell’esame della richiesta no 10249/03, la Corte si è pronunciata sulla compatibilità tra lo stato di salute del richiedente ed il suo mantenimento in detenzione sulla base delle informazioni che le erano disponibili al momento della decisione sull’ammissibilità, presa l’ 8 settembre 2005. Nella cornice della presente richiesta, il richiedente ha prodotto dei certificati medici stabiliti dopo questa data e delle decisioni giudiziali pronunciate il 16 giugno e l’8 settembre 2006. La Corte stima che questi documenti costituiscono dei “fatti nuovi” ai termini dell’articolo 35 § 2 b.
30. Ne segue che l’eccezione del Governo non potrebbe essere considerata.
31. La Corte constata peraltro che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
(a) Il richiedente
32. Il richiedente stima che tenuto conto del suo stato di salute la cui gravità è stata riconosciuta dalle autorità stesse, avrebbe dovuto essere trasferito in una struttura ospedaliera che garantisce un’assistenza alle persone anziane non autonome. Osserva che in seguito alla frattura del femore, è costretto a passare a letto tutte le sue giornate e manca di ogni autonomia. Non è dunque in grado di iniziare delle ricerche per trovare un centro di cure adeguato al suo stato. In queste circostanze, appartiene allo stato di trovare tale centro. A questo riguardo, il richiedente ricorda che l’articolo 3 della Convenzione può essere infranto anche da un’inoperosità o da una mancanza di zelo da parte delle autorità pubbliche.
33. Il richiedente sottolinea che nella sua ordinanza del 16 giugno 2006, il tribunale di applicazione delle pene di Roma ha affermato che la continuazione della sua detenzione avrebbe costituito un trattamento disumano e degradante. L’interessato considera anche che il suo caso è similare alla causa Farbthus c. Lettonia (no 4672/02, 2 dicembre 2004,) dove la Corte ha concluso alla violazione dell’articolo 3.
34. Peraltro, il garante dei diritti dei detenuti ha per compito di proteggere le persone private della loro libertà contro gli abusi dell’amministrazione penitenziaria; non si suppone invece che si sostituisca a suddetta amministrazione ed alle autorità sanitarie per colmare le loro lacune.
35. Infine, il richiedente adduce che il suo trasferimento al penitenziario di Parma l’ha privato della comodità delle visite di sua sorella che costituiva il suo solo legame familiare.
(b) Il Governo,
36. Il Governo considera che l’amministrazione penitenziaria e la giurisdizione competente per l’applicazione delle pene hanno messo in opera tutte le misure possibili e necessarie per garantire al richiedente delle condizioni di vita compatibili con l’articolo 3 della Convenzione e per prodigargli le cure di cui ha bisogno. L’interessato è stato trasferito dal penitenziario di Rebibbia a quello di Regina Coeli, attrezzato con i mezzi necessari ad eliminare gli ostacoli architettonici e che disponeva di un centro di cure. Il richiedente ha beneficiato di un materasso anti-decubito, di una sorveglianza medica consolidata, di una terapia farmacologica e di un’assistenza psichiatrica. È stato trasferito a più riprese presso ospedali civili. Dopo il fallimento della misura degli arresti domiciliari, l’amministrazione si è affrettata per garantire al richiedente una possibilità di inserimento in una struttura di accoglienza adeguata in ambiente libero protetto.
37. L’attenzione delle autorità per il caso del richiedente è dimostrata dall’assegnazione dell’interessato ai domiciliari. Purtroppo, questa misura non ha potuto essere eseguita per ragioni non imputabili alle autorità. Peraltro, non appare che il richiedente potesse vivere presso il domicilio senza assistenza sanitaria e paramedica.
38. Il Governo sottolinea che quando un detenuto è autorizzato a vivere all’infuori dell’ambiente carcerario, appartiene all’interessato di trovare un luogo adeguato. Difatti, l’assegnazione ai domiciliari è subordinata all’esistenza di un luogo di accoglienza. In mancanza di questo, le autorità potevano solamente revocare la misura, non potendo il richiedente essere abbandonato alla sua sorte senza alloggio e senza assistenza.
39. Infine, il Governo ricorda che il richiedente è stato recentemente trasferito al penitenziario di Parma perché questo ultimo è attrezzato in particolare per accogliere i detenuti handicappati.
2. Valutazione della Corte
( a) Principi generali
40. Conformemente alla giurisprudenza consolidata della Corte, per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3, un cattivo trattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa; dipende dall’insieme dei dati della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o mentali così come, talvolta, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima (vedere, tra altre, Price c. Regno Unito, no 33394/96, § 24, CEDH 2001-VII, Mouisel c,. Francia, no 67263/01, § 37, CEDH 2002-IX, e Gennadi Naoumenko c. Ucraina, no 42023/98, § 108, 10 febbraio 2004). Le affermazioni di maltrattamenti devono essere supportate da elementi di prova adeguati (vedere, mutatis mutandis, Klaas c. Germania, sentenza del 22 settembre 1993, serie A no 269, § 30). Per la valutazione di questi elementi, la Corte aderisce al principio della prova “al di là di ogni ragionevole dubbio “, ma aggiunge che tale prova può risultare da un fascio di indizi, o da presunzioni non confutate, sufficientemente gravi, precise e concordanti (Irlanda c. Regno Unito, sentenza del 18 gennaio 1978, serie A no 25, § 161 in fini, e Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 121, CEDH 2000-IV).
41. Affinché una pena ed il trattamento di cui si accompagna possano essere qualificati come “disumani” o “degradanti”, la sofferenza o l’umiliazione devono andare in ogni caso al di là di ciò che comporta inevitabilmente una data forma di trattamento o di pena legittima (Jalloh c. Germania [GC], no 54810/00, § 68, 11 luglio 2006).
42. Trattandosi in particolare di persone private di libertà, l’articolo 3 impone allo stato l’obbligo positivo di assicurarsi che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili col rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato ad uno sconforto o una prova di un’intensità che supera il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, avuto riguardo alle esigenze pratiche della detenzione, la salute ed il benessere del prigioniero sono garantiti in modo adeguato, in particolare con la somministrazione delle cure mediche richieste (Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, § 94, CEDH 2000-XI, e Fiume c. Francia, no 33834/03, § 62, 11 luglio 2006). Così, la mancanza di cure mediche adeguate, e, più generalmente, la detenzione di una persona malata in condizioni inadeguate, può in principio costituire un trattamento contrario all’articolo 3 (vedere, per esempio, İlhan c. Turchia [GC], no 22277/93, § 87, CEDH 2000-VII, e Gennadi Naumenko precitata, § 112). In più, oltre la salute del prigioniero, è il suo benessere che deve essere garantito in un modo adeguato (Mouisel precitata, § 40,).
43. Le condizioni di detenzione di una persona malata devono garantire la protezione della sua salute, avuto riguardo alle contingenze ordinarie e ragionevoli della detenzione. Se non si può dedurre un obbligo generale di rimettere in libertà o di trasferire in un ospedale civile un detenuto, anche se questo ultimo soffre di una malattia particolarmente difficile da curare (Mouisel precitata, § 40,) l’articolo 3 della Convenzione impone in ogni caso allo stato di proteggere l’integrità fisica delle persone private di libertà. La Corte potrebbe escludere che, in condizioni particolarmente gravi, ci si possa trovare in presenza di situazioni in cui una buona amministrazione della giustizia penale esige che le misure di natura umanitaria siano prese per rimediarvi (Matencio c. Francia, no 58749/00, § 76,15 gennaio 2004, e Sakkopoulos c. Grecia, no 61828/00, § 38, 15 gennaio 2004).
44. Applicando i suddetti principi, la Corte ha concluso già che il mantenimento in detenzione per un periodo prolungato di una persona di un’età avanzata, e per di più malata, può entrare nel campo di protezione dell’articolo 3 (Papon c. Francia (no 1) (déc.), no 64666/01, CEDH 2001-VI; Sawoniuk c. Regno Unito,( déc.), no 63716/00, CEDH 2001-VI, e Priebke c. Italia, (déc.), no 48799/99, 5 aprile 2001). In più, la Corte ha giudicato che mantenere in detenzione una persona tetraplegica, in condizioni inadatte al suo stato di salute, era costitutivo di un trattamento degradante (Price precitatq, § 30,). Ha considerato anche che certi trattamenti possono infrangere l’articolo 3 per il fatto che sono inflitti ad una persona che soffre di disturbi mentali (Keenan c. Regno Unito, no 27229/95, §§ 111-115, CEDH 2001-III). Essendo così, la Corte deve tenere conto, in particolare, di tre elementi per esaminare la compatibilità di un stato di salute che preoccupa col mantenimento in detenzione del richiedente, e cioè: a) la condizione del detenuto, b) la qualità delle cure dispensate e c) l’opportunità di mantenere la detenzione alla vista dello stato di salute del richiedente (Farbthus precitata, § 53, e Sakkopoulos precitato, § 39).
(b) Applicazione di questi principi al caso specifico
45. Nella presente causa, si pongono la questione della compatibilità dello stato di salute del richiedente col suo mantenimento in detenzione e quella di sapere se questa situazione raggiunge un livello sufficiente di gravità da entrare nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione.
46. La Corte osserva al primo colpo che il richiedente che non cammina più dal 1987 e ha subito, nell’aprile 2006, una frattura del femore, può spostarsi solo su una sedia a rotelle. Manca di ogni autonomia ed afferma di essere costretto a passare a letto tutte le sue giornate, il che non è stato contestato dal Governo. Delle’età di 67 anni, soffre di patologie cardiache e del metabolismo, di diabete, di un indebolimento della sua massa muscolare, di ipertrofia della prostata e di depressione. Il perito commesso dal richiedente ha concluso che lo stato di salute di questo ultimo era incompatibile con la detenzione in prigione, tenuto conto dell’esigenza per l’interessato di essere assistito continuamente (paragrafo 10 sopra). Questo avviso sembra confermato dal rapporto medico del 6 giugno 2006, che suggeriva il trasferimento del richiedente in un centro di cure sufficientemente attrezzato ( paragrafo 13 sopra).
47. Alla luce di questi pareri qualificati, il 16 giugno 2006 il tribunale di applicazione delle pene di Roma ha accordato al richiedente gli arresti domiciliari, sottolineando che le cure di cui l’interessato aveva bisogno non potevano essere prodigate in prigione e che la continuazione della sua privazione di libertà in un penitenziario avrebbe costituito un trattamento disumano (paragrafo 14 sopra). La Corte non vede nessuna ragione di ritornare su questa conclusione alla quale le autorità interne sono giunte sulla base di un esame della pratica del richiedente.
48. La Corte nota anche che la decisione di fare scontare al richiedente la sua pena all’infuori dell’ambiente carcerario, ispirata dalla necessità di evitare una violazione dell’interdizione di trattamenti disumani, è stata revocata l’ 8 settembre 2006, in mancanza per il richiedente di avere un domicilio adattato al suo stato di salute (paragrafo 17 sopra). Il richiedente ha pertanto continuato ad essere detenuto in un penitenziario.
49. La Corte non potrebbe ignorare gli sforzi esposti dalle autorità interne che hanno posto il richiedente in un penitenziario che dispone di un centro clinico e di mezzi per eliminare gli ostacoli architettonici, ossia quello di Parma. Peraltro, presso la prigione di Roma-Regina Coeli2 il richiedente è stato sottoposto a numerosi esami medici, che miravano a trattare le sue patologie del metabolismo, e ha beneficiato di sedute di cinesiterapia (paragrafo 18 qui sopra)3. Però, la mancanza, a capo delle autorità nazionali, di una volontà di umiliare o di abbassare l’interessato non esclude definitivamente una constatazione di violazione dell’articolo 3; questa disposizione può ben essere infranta anche da un’inoperosità o da una mancanza di zelo da parte delle autorità pubbliche (Farbthus precitata, § 58,).
50. Nello specifico, l’esigenza, sottolineata dal tribunale di applicazione delle pene di Roma, di porre il richiedente all’infuori dell’ambiente carcerario è restata lettera morta per ragioni che non potrebbero essere imputate all’interessato. Agli occhi della Corte, in circostanze come queste della presente causa, una volta stabilito che il tentativo di porre il richiedente agli arresti domiciliari non poteva avere successo, apparteneva alle autorità di affrettarsi a soddisfare il loro obbligo di garantire delle condizioni di privazione di libertà conformi alla dignità umana. In particolare, il richiedente non potendo essere curato presso il suo domicilio e nessuna struttura di accoglienza idonea essendo preparato a prenderlo incarico, lo stato avrebbe dovuto o trasferire senza termine l’interessato in una prigione meglio attrezzata per escludere ogni rischio di trattamenti disumani, o sospendere l’esecuzione di una pena che si analizzava oramai in trattamento contrario all’articolo 3 della Convenzione. Però, nella sua decisione che revocava la misura di detenzione a domicilio del richiedente, il tribunale di applicazione delle pene di Roma non ha preso in considerazione questa ultima possibilità che, secondo le disposizioni interne pertinenti, avrebbe potuto essere esaminata anche d’ufficio (paragrafo 24 sopra).
51. Conformemente a ciò che precede, il richiedente ha continuato ad essere detenuto nel penitenziario di Roma4. È solamente il 23 settembre 2007, o più di un anno dopo la data in cui il tribunale di applicazione delle pene aveva constatato l’impossibilità di mettere il richiedente agli arresti domiciliari che questo ultimo è stato trasferito in un’altra prigione, quella di Parma, dotata di strutture che, secondo il ministero della Giustizia, potevano fare fronte alle difficoltà di mobilità del condannato. La Corte stima di non disporre, ora, di elementi sufficienti per pronunciarsi sulla qualità di queste strutture o, più in generale, sulle condizioni della detenzione del richiedente a Parma. Si limita ad osservare che la continuazione del suo soggiorno presso il penitenziario di Regina Coeli nelle circostanze menzionate più alto ha potuto solamente porlo in una situazione suscettibile di suscitare, a in lui, dei sentimenti consolidati di angoscia, di inferiorità e di umiliazione sufficientemente forti da costituire un “trattamento disumano o degradante”, ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. Le spiegazioni date dal Governo per giustificare il ritardo nel trasferimento al penitenziario di Parma- ossia, che non era opportuno interrompere le terapie in corso presso la prigione di Regina Coeli, paragrafo 21 sopra,-, non potrebbero giustificare il mantenimento di un detenuto in condizioni che recano offesa alla sua dignità umana.5
52. Pertanto, c’è stata violazione di questa disposizione.
II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
53. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
54. Il richiedente richiede 35 000 euro (EUR) a titolo del danno morale che avrebbe subito.
55. Il Governo stima che questa somma è eccessiva. Si rimette alla saggezza della Corte, pregandola di tenere conto di tutte le circostanze particolari della causa.
56. La Corte considera che il richiedente ha subito un torto morale certo. Considera però eccessivo l’importo sollecitato. Deliberando in equità, decide di concedere al richiedente 5 000 EUR a titolo del danno morale.
B. Oneri e spese
57. Senza appellarsi a delle note di parcella dei suoi avvocati, il richiedente chiede anche 5 000 EUR per oneri e spese incorsi dinnanzi alla Corte.
58. Il Governo considera che la somma sollecitata dovrebbe essere ridotta, tenuto conto del fatto che la causa era semplice e non ha richiesto nessuna attività particolarmente lunga o complessa.
59. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, il sussidio di oneri e spese sostenuti dal richiedente può intervenire solamente nella misura in cui si stabilisce la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Belziuk c. Polonia, sentenza del 25 marzo 1998, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-II, § 49). Nello specifico, tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei suddetti criteri, la Corte stima ragionevole la somma di 5 000 EUR a titolo di oneri e spese per il procedimento dinnanzi a lei e l’accorda al richiedente.
C. Interessi moratori
60. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 5 000 EUR (cinquemila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
ii. 5 000 EUR (cinquemila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese,;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto il 10 giugno 2008 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa
1 rettificato il 7 aprile 2009: le tre ultime frasi del § 14 sono state aggiunte.
2 rettificato il 7 aprile 2009: “in queste due prigioni” sono state sostituite con “presso la prigione di Roma-Regina Coeli.”
3 rettificato il 7 aprile 2009: “, paragrafo 18 sopra,” è stato aggiunto.
4 rettificato il 7 aprile 2009: “- Regina Coeli, che il tribunale di applicazione delle pene aveva stimato non atta a trattare le patologie dall’interessato” è stato annullato.
5 rettificato il 7 aprile 2009: “sono in contraddizione con le conclusioni del tribunale di applicazione delle pene. ” è stato annullato e sostituito con non “potrebbero giustificare il mantenimento di un detenuto in condizioni che recano offesa alla sua dignità umana.”