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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE SCOPPOLA c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 3, 29
Numero: 50550/06/2008
Stato:
Data: 2008-06-10 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Violazione dell’art. 3; danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA SCOPPOLA C. ITALIA
( Richiesta no 50550/06)
SENTENZA
Questa versione è stata rettificata il 7 aprile 2009
conformemente all’articolo 81 dell’ordinamento della Corte
STRASBURGO
10 giugno 2008
DEFINITIVO
26/01/2009
Questa sentenza può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Scoppola c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Antonella Mularoni, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 20 maggio 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 50550/06) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. F. S. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 19 dicembre 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da N. P. ed A. M, avvocati a Roma. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, il Sig. I. M. Braguglia, e dal suo co-agente, il Sig. F. Crisafulli.
3. Il richiedente adduceva che la sua detenzione in un penitenziario era incompatibile col suo stato di salute.
4. Il 13 febbraio 2007, la presidentessa della seconda sezione della Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
5. Il richiedente è nato nel 1940 ed è attualmente detenuto presso il penitenziario di Parma.
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
6. Nel settembre 1999, al termine di una disputa coi suoi bambini, il richiedente uccise sua moglie e ferì uno dei suoi bambini.
7. Condannato all’ergastolo dalla corte d’assise di appello di Roma nel gennaio 2002, il richiedente scontò una parte della sua pena nell’ospedale della prigione di Regina Coeli a Roma.
8. Nel dicembre 2003, il richiedente che si spostava solo su una sedia a rotelle, chiese di essere trasferito in un’altra prigione di Roma dove, visto la mancanza di ostacoli architettonici (barriere architettoniche) avrebbe potuto beneficiare delle ore di uscita e di condizioni di detenzione più umane.
9. Il 5 aprile 2004, il dipartimento regionale dell’amministrazione penitenziaria del Lazio rifiutò il trasferimento, invocando delle difficoltà inerenti alla presa in carico del richiedente in ragione del suo stato di salute.
10. Secondo un rapporto medico del 9 gennaio 2006, stabilito su richiesta del consigliere del richiedente, le condizioni di salute di questo ultimo erano “ampiamente incompatibili con la detenzione in prigione ed imponevano l’adozione di misure alternative a questa, come il trasferimento in un ospedale esterno alla prigione atto a fornire al richiedente le cure adeguate e necessarie, o in un centro di presa in carico e di riabilitazione per persone a lunga degenza che esigono un’assistenza continua 24 ore su 24.”
11. Il 2 marzo 2006, il richiedente chiese al tribunale di applicazione delle pene di Roma di accordargli gli arresti domiciliari o la sua ospedalizzazione all’esterno della prigione.
12. L’11 aprile 2006, il richiedente fu ricoverato all’ospedale civile Sandro Pertini in ragione di una frattura del femore.
13. Risulta da un rapporto medico redatto il 6 giugno 2006 che l’innesto di una protesi dell’anca considerato immediatamente dopo l’arrivo del paziente non fu realizzato al motivo che, il richiedente non camminando più dal 1987, l’intervento chirurgico sarebbe stato inutile e pericoloso. Secondo il medico redattore del rapporto, il richiedente poteva lasciare l’ospedale a patto di essere trasferito in un centro di trattamenti attrezzati per dispensargli le cure necessarie (in particolare, assistenza continua, collocamento a disposizione di un materasso speciali anti-decubito, cinesiterapia passiva).
14. Con un’ordinanza del 16 giugno 2006 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 21 giugno 2006, il tribunale di applicazione delle pene di Roma accordò al richiedente gli arresti domiciliari per una durata di un anno, con obbligo di risiedere a Roma, autorizzazione di andare all’ospedale per le cure, interdizione di detenere delle armi. Il tribunale fondò la sua decisione sulle conclusioni del rapporto medico del 6 giugno 2006 e stimò che le condizioni di salute del richiedente, da una parte, esigevano delle cure che non potevano essere prodigate in prigione, e, dall’altra parte, finivano con provocare un’ “inutile violazione dell’interdizione di trattamenti disumani al riguardo del condannato.” L’ordinanza del tribunale di applicazione delle pene indicava che il richiedente era detenuto presso il penitenziario di Roma-Rebibbia e che questo ultimo non era ” atto a gestire la condizione medica dell’interessato” (“non (…) idoneo a gestire la situazione sanitaria del predetto”). In realtà, risulta da una nota del ministero della Giustizia del 19 settembre 2007 che il 14 giugno 2006, e dunque prima del pronunciamento dell’ordinanza del tribunale di applicazione delle pene, alla sua uscita dall’ospedale Sandro Pertini, il richiedente era stato trasferito alla prigione di Roma-Regina Coeli. La nota in questione precisa che dal 14 giugno 2006 il richiedente era costretto di restare nel suo letto e che non poteva quindi né fare la doccia né beneficiare della passeggiata all’aperto; con l’aiuto di un altro prigioniero era in grado di lavarsi e di prendersi cura della sua igiene.1
15. Il 23 giugno 2006, il consigliere del richiedente si rivolse al direttore della prigione Regina Coeli pregandolo di autorizzare il trasferimento del suo cliente presso la clinica nella quale la sorella del richiedente aveva riservato una camera.
16. Il 7 luglio 2006, il consigliere del richiedente informò il direttore che la clinica precedentemente scelta aveva rifiutato di accogliere il suo cliente. Tuttavia, chiese l’autorizzazione di fare esaminare il richiedente da un medico di un’altra clinica per determinare se, avuto riguardo alle condizioni di salute del paziente, la struttura aveva le attrezzature adeguate.
17. L’ 8 settembre 2006, il tribunale di applicazione delle pene revocò la sua decisione del 16 giugno perché gli arresti domiciliari non avevano trovato applicazione in mancanza per il richiedente di avere un domicilio adattato al suo stato.
18. Secondo una nota del ministero di Giustizia del 13 marzo 2007, il richiedente era stato trasferito al centro clinico del penitenziario Regina Coeli di Roma per controllare il suo stato di salute, in particolare le sue patologie metaboliche, e per garantirgli delle sedute di cinesiterapia, di natura tale da evitare un indebolimento della sua massa muscolare e da preservare la mobilità delle sue gambe. Era costretto a spostarsi su una sedia a rotelle a causa di una frattura del femore destro. La prigione Regina Coeli disponeva di mezzi per eliminare gli ostacoli architettonici ed un materasso anti-decubito era stato messo a disposizione del richiedente. Dei controlli di endocrinologia erano stati effettuati per ridurre l’amministrazione di insulina ed iniziare una terapia orale con un’alimentazione adeguata. Dei test cardiologici non aveva messo in evidenza nessuna anomalia, mentre gli esami urologici avevano mostrato un’ipertrofia della prostata. Un seguito psichiatrico era stato messo in posto per sorvegliare la depressione di cui il richiedente soffriva. Infine, il penitenziario Regina Coeli aveva chiesto al garante dei diritti dei detenuti per il Lazio di studiare la possibilità di trasferire il richiedente in strutture di accoglienza all’esterno del penitenziario, ed il richiedente era stato trasferito a più riprese presso di strutture ospedaliere civili.
19. Il 29 dicembre 2006, la direzione generale per i detenuti del ministero della Giustizia ordinò il trasferimento del richiedente al penitenziario di Parma che disponeva di strutture adattate alle esigenze delle persone handicappate. Questo trasferimento fu effettuato il 23 settembre 2007. Con un fax del 1 ottobre 2007, il richiedente ha affermato che questo trasferimento l’aveva immerso nell’angoscia, privandolo della possibilità di ricevere delle visite regolari da parte di sua sorella e del suo avvocato, tutti e due residenti a Roma.
20. In una nota del 5 novembre 2007, il dipartimento per l’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia ha precisato che il trasferimento del richiedente al penitenziario di Parma si spiegava con le sue difficoltà di mobilità. Difatti, in seguito ad una caduta dal letto che occupava nel penitenziario di Roma, il richiedente si era fratturato il femore sinistro. Era stato ricoverato, ma i medici avevano stimato che non poteva essere operato a causa delle sue patologie cardiache. A Parma, il richiedente fu sottoposto a test clinici per trattare meglio le sue malattie. Nel settembre e nell’ ottobre 2007, fu sottoposto ad una radiografia nasale e a degli esami neurologici, urologici e cardiologici. Questi ultimi esami non hanno scoperto nessuna patologia significativa. Un’endoscopia nasale ed un controllo urologico ulteriore, che miravano a scoprire l’esistenza eventuale di un calcolo alla vescica, sono stati programmati. Peraltro, il richiedente era stato ricoverato in seguito ad episodi di occlusione intestinale denunciati durante la sua detenzione al penitenziario di Regina Coeli. Malgrado l’avviso contrario dei suoi medici curanti, aveva deciso di lasciare l’ospedale. Di conseguenza, un medico del penitenziario di Parma è stato incaricato di effettuare un colonscopia.
21. In un’altra nota, datata del 28 gennaio 2008, il dipartimento per l’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia ha precisato che il trasferimento del richiedente al penitenziario di Parma ha avuto luogo solamente il 23 settembre 2007 perché, durante il suo soggiorno a Regina Coeli, l’interessato aveva seguito un ciclo di attività di diagnosi e di terapia che la direzione sanitaria non stimava opportuno interrompere. Peraltro, durante la sua detenzione, il richiedente è stato ricoverato negli ospedali civili durante i seguente periodi: dal 22 al 23 gennaio 2002 in seguito ad un malessere; dall’ 11 aprile al 14 giugno 2006 in ragione di una frattura al femore; dal 18 gennaio al 13 febbraio 2007 e dall’ 11 al 13 settembre 2007 a causa di occlusioni intestinali; dal 19 maggio al 19 giugno 2007 per valutare l’opportunità di un intervento chirurgico al femore.
22. Il richiedente stima che le spiegazioni date dal Governo nella nota sopraccitata sono incoerenti e sottolinea che il suo stato di salute non ha fatto che aggravarsi durante la sua detenzione. Adduce che il suo trasferimento a Parma non ha portato nessun miglioramento, immergendolo al contrario in una situazione di sconforto psicologico legato all’allontanamento di sua sorella e dei suoi consulenti legali. Stima che invece di trasferirlo in un altro penitenziario, lo stato avrebbe dovuto porlo in una struttura ospedaliera esterna alla prigione.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
23. La sospensione dell’esecuzione della pena è prevista dall’articolo 147 § 1 no 2, del codice penale, ai termini del quale
“L’esecuzione di una pena può essere sospesa: (…)
2) se una pena privativa di libertà deve essere eseguita contro una persona che si trova in condizione di infermità fisica grave. “
24. Ai termini dell’articolo 678 del codice di procedimento penale, la decisione di sospendere l’esecuzione della pena può essere adottata anche d’ufficio dal tribunale di applicazione delle pene.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
25. Il richiedente adduce che il suo mantenimento in detenzione in prigione costituisce un trattamento disumano. Invoca l’articolo 3 della Convenzione, così formulato:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
26. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
27. Il Governo eccepisce innanzitutto dell’inammissibilità della richiesta, al motivo che è essenzialmente la stessa della richiesta no 10249/03, introdotta dallo stesso richiedente. Nella cornice dell’esame di quest’ultima, con una decisione parziale dell’ 8 settembre 2005, la Corte ha respinto un motivo di appello derivato da un’incomprensione degli articoli 3 e 14 della Convenzione a causa delle condizioni di vita del richiedente in prigione.
28. Il richiedente osserva che la sua richiesta no 10249/03 riguardava la sua situazione fino al 2003. Ora, il suo stato di salute si è, da allora, degradato seriamente a causa, tra l’altro, dell’incidente di cui è stato vittima l’ 11 aprile 2006. I fatti denunciati nella presente richiesta sono dunque differenti rispetto a quelli che sono stati oggetto della richiesta no 10249/03.
29. La Corte ricorda che ai termini dell’articolo 35 § 2 b) della Convenzione, non considera nessuna richiesta individuale quando è “essenzialmente la stessa di una richiesta precedentemente esaminata dalla Corte e non contiene dei fatti nuovi.” Nello specifico, nella cornice dell’esame della richiesta no 10249/03, la Corte si è pronunciata sulla compatibilità tra lo stato di salute del richiedente ed il suo mantenimento in detenzione sulla base delle informazioni che le erano disponibili al momento della decisione sull’ammissibilità, presa l’ 8 settembre 2005. Nella cornice della presente richiesta, il richiedente ha prodotto dei certificati medici stabiliti dopo questa data e delle decisioni giudiziali pronunciate il 16 giugno e l’8 settembre 2006. La Corte stima che questi documenti costituiscono dei “fatti nuovi” ai termini dell’articolo 35 § 2 b.
30. Ne segue che l’eccezione del Governo non potrebbe essere considerata.
31. La Corte constata peraltro che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
(a) Il richiedente
32. Il richiedente stima che tenuto conto del suo stato di salute la cui gravità è stata riconosciuta dalle autorità stesse, avrebbe dovuto essere trasferito in una struttura ospedaliera che garantisce un’assistenza alle persone anziane non autonome. Osserva che in seguito alla frattura del femore, è costretto a passare a letto tutte le sue giornate e manca di ogni autonomia. Non è dunque in grado di iniziare delle ricerche per trovare un centro di cure adeguato al suo stato. In queste circostanze, appartiene allo stato di trovare tale centro. A questo riguardo, il richiedente ricorda che l’articolo 3 della Convenzione può essere infranto anche da un’inoperosità o da una mancanza di zelo da parte delle autorità pubbliche.
33. Il richiedente sottolinea che nella sua ordinanza del 16 giugno 2006, il tribunale di applicazione delle pene di Roma ha affermato che la continuazione della sua detenzione avrebbe costituito un trattamento disumano e degradante. L’interessato considera anche che il suo caso è similare alla causa Farbthus c. Lettonia (no 4672/02, 2 dicembre 2004,) dove la Corte ha concluso alla violazione dell’articolo 3.
34. Peraltro, il garante dei diritti dei detenuti ha per compito di proteggere le persone private della loro libertà contro gli abusi dell’amministrazione penitenziaria; non si suppone invece che si sostituisca a suddetta amministrazione ed alle autorità sanitarie per colmare le loro lacune.
35. Infine, il richiedente adduce che il suo trasferimento al penitenziario di Parma l’ha privato della comodità delle visite di sua sorella che costituiva il suo solo legame familiare.
(b) Il Governo,
36. Il Governo considera che l’amministrazione penitenziaria e la giurisdizione competente per l’applicazione delle pene hanno messo in opera tutte le misure possibili e necessarie per garantire al richiedente delle condizioni di vita compatibili con l’articolo 3 della Convenzione e per prodigargli le cure di cui ha bisogno. L’interessato è stato trasferito dal penitenziario di Rebibbia a quello di Regina Coeli, attrezzato con i mezzi necessari ad eliminare gli ostacoli architettonici e che disponeva di un centro di cure. Il richiedente ha beneficiato di un materasso anti-decubito, di una sorveglianza medica consolidata, di una terapia farmacologica e di un’assistenza psichiatrica. È stato trasferito a più riprese presso ospedali civili. Dopo il fallimento della misura degli arresti domiciliari, l’amministrazione si è affrettata per garantire al richiedente una possibilità di inserimento in una struttura di accoglienza adeguata in ambiente libero protetto.
37. L’attenzione delle autorità per il caso del richiedente è dimostrata dall’assegnazione dell’interessato ai domiciliari. Purtroppo, questa misura non ha potuto essere eseguita per ragioni non imputabili alle autorità. Peraltro, non appare che il richiedente potesse vivere presso il domicilio senza assistenza sanitaria e paramedica.
38. Il Governo sottolinea che quando un detenuto è autorizzato a vivere all’infuori dell’ambiente carcerario, appartiene all’interessato di trovare un luogo adeguato. Difatti, l’assegnazione ai domiciliari è subordinata all’esistenza di un luogo di accoglienza. In mancanza di questo, le autorità potevano solamente revocare la misura, non potendo il richiedente essere abbandonato alla sua sorte senza alloggio e senza assistenza.
39. Infine, il Governo ricorda che il richiedente è stato recentemente trasferito al penitenziario di Parma perché questo ultimo è attrezzato in particolare per accogliere i detenuti handicappati.
2. Valutazione della Corte
( a) Principi generali
40. Conformemente alla giurisprudenza consolidata della Corte, per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3, un cattivo trattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa; dipende dall’insieme dei dati della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o mentali così come, talvolta, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima (vedere, tra altre, Price c. Regno Unito, no 33394/96, § 24, CEDH 2001-VII, Mouisel c,. Francia, no 67263/01, § 37, CEDH 2002-IX, e Gennadi Naoumenko c. Ucraina, no 42023/98, § 108, 10 febbraio 2004). Le affermazioni di maltrattamenti devono essere supportate da elementi di prova adeguati (vedere, mutatis mutandis, Klaas c. Germania, sentenza del 22 settembre 1993, serie A no 269, § 30). Per la valutazione di questi elementi, la Corte aderisce al principio della prova “al di là di ogni ragionevole dubbio “, ma aggiunge che tale prova può risultare da un fascio di indizi, o da presunzioni non confutate, sufficientemente gravi, precise e concordanti (Irlanda c. Regno Unito, sentenza del 18 gennaio 1978, serie A no 25, § 161 in fini, e Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 121, CEDH 2000-IV).
41. Affinché una pena ed il trattamento di cui si accompagna possano essere qualificati come “disumani” o “degradanti”, la sofferenza o l’umiliazione devono andare in ogni caso al di là di ciò che comporta inevitabilmente una data forma di trattamento o di pena legittima (Jalloh c. Germania [GC], no 54810/00, § 68, 11 luglio 2006).
42. Trattandosi in particolare di persone private di libertà, l’articolo 3 impone allo stato l’obbligo positivo di assicurarsi che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili col rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato ad uno sconforto o una prova di un’intensità che supera il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, avuto riguardo alle esigenze pratiche della detenzione, la salute ed il benessere del prigioniero sono garantiti in modo adeguato, in particolare con la somministrazione delle cure mediche richieste (Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, § 94, CEDH 2000-XI, e Fiume c. Francia, no 33834/03, § 62, 11 luglio 2006). Così, la mancanza di cure mediche adeguate, e, più generalmente, la detenzione di una persona malata in condizioni inadeguate, può in principio costituire un trattamento contrario all’articolo 3 (vedere, per esempio, İlhan c. Turchia [GC], no 22277/93, § 87, CEDH 2000-VII, e Gennadi Naumenko precitata, § 112). In più, oltre la salute del prigioniero, è il suo benessere che deve essere garantito in un modo adeguato (Mouisel precitata, § 40,).
43. Le condizioni di detenzione di una persona malata devono garantire la protezione della sua salute, avuto riguardo alle contingenze ordinarie e ragionevoli della detenzione. Se non si può dedurre un obbligo generale di rimettere in libertà o di trasferire in un ospedale civile un detenuto, anche se questo ultimo soffre di una malattia particolarmente difficile da curare (Mouisel precitata, § 40,) l’articolo 3 della Convenzione impone in ogni caso allo stato di proteggere l’integrità fisica delle persone private di libertà. La Corte potrebbe escludere che, in condizioni particolarmente gravi, ci si possa trovare in presenza di situazioni in cui una buona amministrazione della giustizia penale esige che le misure di natura umanitaria siano prese per rimediarvi (Matencio c. Francia, no 58749/00, § 76,15 gennaio 2004, e Sakkopoulos c. Grecia, no 61828/00, § 38, 15 gennaio 2004).
44. Applicando i suddetti principi, la Corte ha concluso già che il mantenimento in detenzione per un periodo prolungato di una persona di un’età avanzata, e per di più malata, può entrare nel campo di protezione dell’articolo 3 (Papon c. Francia (no 1) (déc.), no 64666/01, CEDH 2001-VI; Sawoniuk c. Regno Unito,( déc.), no 63716/00, CEDH 2001-VI, e Priebke c. Italia, (déc.), no 48799/99, 5 aprile 2001). In più, la Corte ha giudicato che mantenere in detenzione una persona tetraplegica, in condizioni inadatte al suo stato di salute, era costitutivo di un trattamento degradante (Price precitatq, § 30,). Ha considerato anche che certi trattamenti possono infrangere l’articolo 3 per il fatto che sono inflitti ad una persona che soffre di disturbi mentali (Keenan c. Regno Unito, no 27229/95, §§ 111-115, CEDH 2001-III). Essendo così, la Corte deve tenere conto, in particolare, di tre elementi per esaminare la compatibilità di un stato di salute che preoccupa col mantenimento in detenzione del richiedente, e cioè: a) la condizione del detenuto, b) la qualità delle cure dispensate e c) l’opportunità di mantenere la detenzione alla vista dello stato di salute del richiedente (Farbthus precitata, § 53, e Sakkopoulos precitato, § 39).
(b) Applicazione di questi principi al caso specifico
45. Nella presente causa, si pongono la questione della compatibilità dello stato di salute del richiedente col suo mantenimento in detenzione e quella di sapere se questa situazione raggiunge un livello sufficiente di gravità da entrare nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione.
46. La Corte osserva al primo colpo che il richiedente che non cammina più dal 1987 e ha subito, nell’aprile 2006, una frattura del femore, può spostarsi solo su una sedia a rotelle. Manca di ogni autonomia ed afferma di essere costretto a passare a letto tutte le sue giornate, il che non è stato contestato dal Governo. Delle’età di 67 anni, soffre di patologie cardiache e del metabolismo, di diabete, di un indebolimento della sua massa muscolare, di ipertrofia della prostata e di depressione. Il perito commesso dal richiedente ha concluso che lo stato di salute di questo ultimo era incompatibile con la detenzione in prigione, tenuto conto dell’esigenza per l’interessato di essere assistito continuamente (paragrafo 10 sopra). Questo avviso sembra confermato dal rapporto medico del 6 giugno 2006, che suggeriva il trasferimento del richiedente in un centro di cure sufficientemente attrezzato ( paragrafo 13 sopra).
47. Alla luce di questi pareri qualificati, il 16 giugno 2006 il tribunale di applicazione delle pene di Roma ha accordato al richiedente gli arresti domiciliari, sottolineando che le cure di cui l’interessato aveva bisogno non potevano essere prodigate in prigione e che la continuazione della sua privazione di libertà in un penitenziario avrebbe costituito un trattamento disumano (paragrafo 14 sopra). La Corte non vede nessuna ragione di ritornare su questa conclusione alla quale le autorità interne sono giunte sulla base di un esame della pratica del richiedente.
48. La Corte nota anche che la decisione di fare scontare al richiedente la sua pena all’infuori dell’ambiente carcerario, ispirata dalla necessità di evitare una violazione dell’interdizione di trattamenti disumani, è stata revocata l’ 8 settembre 2006, in mancanza per il richiedente di avere un domicilio adattato al suo stato di salute (paragrafo 17 sopra). Il richiedente ha pertanto continuato ad essere detenuto in un penitenziario.
49. La Corte non potrebbe ignorare gli sforzi esposti dalle autorità interne che hanno posto il richiedente in un penitenziario che dispone di un centro clinico e di mezzi per eliminare gli ostacoli architettonici, ossia quello di Parma. Peraltro, presso la prigione di Roma-Regina Coeli2 il richiedente è stato sottoposto a numerosi esami medici, che miravano a trattare le sue patologie del metabolismo, e ha beneficiato di sedute di cinesiterapia (paragrafo 18 qui sopra)3. Però, la mancanza, a capo delle autorità nazionali, di una volontà di umiliare o di abbassare l’interessato non esclude definitivamente una constatazione di violazione dell’articolo 3; questa disposizione può ben essere infranta anche da un’inoperosità o da una mancanza di zelo da parte delle autorità pubbliche (Farbthus precitata, § 58,).
50. Nello specifico, l’esigenza, sottolineata dal tribunale di applicazione delle pene di Roma, di porre il richiedente all’infuori dell’ambiente carcerario è restata lettera morta per ragioni che non potrebbero essere imputate all’interessato. Agli occhi della Corte, in circostanze come queste della presente causa, una volta stabilito che il tentativo di porre il richiedente agli arresti domiciliari non poteva avere successo, apparteneva alle autorità di affrettarsi a soddisfare il loro obbligo di garantire delle condizioni di privazione di libertà conformi alla dignità umana. In particolare, il richiedente non potendo essere curato presso il suo domicilio e nessuna struttura di accoglienza idonea essendo preparato a prenderlo incarico, lo stato avrebbe dovuto o trasferire senza termine l’interessato in una prigione meglio attrezzata per escludere ogni rischio di trattamenti disumani, o sospendere l’esecuzione di una pena che si analizzava oramai in trattamento contrario all’articolo 3 della Convenzione. Però, nella sua decisione che revocava la misura di detenzione a domicilio del richiedente, il tribunale di applicazione delle pene di Roma non ha preso in considerazione questa ultima possibilità che, secondo le disposizioni interne pertinenti, avrebbe potuto essere esaminata anche d’ufficio (paragrafo 24 sopra).
51. Conformemente a ciò che precede, il richiedente ha continuato ad essere detenuto nel penitenziario di Roma4. È solamente il 23 settembre 2007, o più di un anno dopo la data in cui il tribunale di applicazione delle pene aveva constatato l’impossibilità di mettere il richiedente agli arresti domiciliari che questo ultimo è stato trasferito in un’altra prigione, quella di Parma, dotata di strutture che, secondo il ministero della Giustizia, potevano fare fronte alle difficoltà di mobilità del condannato. La Corte stima di non disporre, ora, di elementi sufficienti per pronunciarsi sulla qualità di queste strutture o, più in generale, sulle condizioni della detenzione del richiedente a Parma. Si limita ad osservare che la continuazione del suo soggiorno presso il penitenziario di Regina Coeli nelle circostanze menzionate più alto ha potuto solamente porlo in una situazione suscettibile di suscitare, a in lui, dei sentimenti consolidati di angoscia, di inferiorità e di umiliazione sufficientemente forti da costituire un “trattamento disumano o degradante”, ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. Le spiegazioni date dal Governo per giustificare il ritardo nel trasferimento al penitenziario di Parma- ossia, che non era opportuno interrompere le terapie in corso presso la prigione di Regina Coeli, paragrafo 21 sopra,-, non potrebbero giustificare il mantenimento di un detenuto in condizioni che recano offesa alla sua dignità umana.5
52. Pertanto, c’è stata violazione di questa disposizione.
II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
53. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
54. Il richiedente richiede 35 000 euro (EUR) a titolo del danno morale che avrebbe subito.
55. Il Governo stima che questa somma è eccessiva. Si rimette alla saggezza della Corte, pregandola di tenere conto di tutte le circostanze particolari della causa.
56. La Corte considera che il richiedente ha subito un torto morale certo. Considera però eccessivo l’importo sollecitato. Deliberando in equità, decide di concedere al richiedente 5 000 EUR a titolo del danno morale.
B. Oneri e spese
57. Senza appellarsi a delle note di parcella dei suoi avvocati, il richiedente chiede anche 5 000 EUR per oneri e spese incorsi dinnanzi alla Corte.
58. Il Governo considera che la somma sollecitata dovrebbe essere ridotta, tenuto conto del fatto che la causa era semplice e non ha richiesto nessuna attività particolarmente lunga o complessa.
59. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, il sussidio di oneri e spese sostenuti dal richiedente può intervenire solamente nella misura in cui si stabilisce la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Belziuk c. Polonia, sentenza del 25 marzo 1998, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-II, § 49). Nello specifico, tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei suddetti criteri, la Corte stima ragionevole la somma di 5 000 EUR a titolo di oneri e spese per il procedimento dinnanzi a lei e l’accorda al richiedente.
C. Interessi moratori
60. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 5 000 EUR (cinquemila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
ii. 5 000 EUR (cinquemila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese,;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto il 10 giugno 2008 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa
1 rettificato il 7 aprile 2009: le tre ultime frasi del § 14 sono state aggiunte.

2 rettificato il 7 aprile 2009: “in queste due prigioni” sono state sostituite con “presso la prigione di Roma-Regina Coeli.”

3 rettificato il 7 aprile 2009: “, paragrafo 18 sopra,” è stato aggiunto.

4 rettificato il 7 aprile 2009: “- Regina Coeli, che il tribunale di applicazione delle pene aveva stimato non atta a trattare le patologie dall’interessato” è stato annullato.

5 rettificato il 7 aprile 2009: “sono in contraddizione con le conclusioni del tribunale di applicazione delle pene. ” è stato annullato e sostituito con non “potrebbero giustificare il mantenimento di un detenuto in condizioni che recano offesa alla sua dignità umana.”

Testo Tradotto

Conclusion Violation de l’art. 3 ; Préjudice moral – réparation
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE SCOPPOLA c. ITALIE
(Requête no 50550/06)
ARRÊT
Cette version a été rectifiée le 7 avril 2009
conformément à l’article 81 du règlement de la Cour
STRASBOURG
10 juin 2008
DÉFINITIF
26/01/2009
Cet arrêt peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Scoppola c. Italie,
La Cour européenne des Droits de l’Homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Antonella Mularoni,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş, juges,
et de Sally Dollé, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 20 mai 2008,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 50550/06) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, M. F. S. (« le requérant »), a saisi la Cour le 19 décembre 2006 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des Droits de l’Homme et des Libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par Mes N. P. et A. M, avocats à Rome. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, M. I. M. Braguglia, et par son co-agent, M. F. Crisafulli.
3. Le requérant alléguait que sa détention dans un pénitencier était incompatible avec son état de santé.
4. Le 13 février 2007, la présidente de la deuxième section de la Cour a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Se prévalant des dispositions de l’article 29 § 3, elle a décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le bien-fondé de l’affaire.
EN FAIT
5. Le requérant est né en 1940 et est actuellement détenu au pénitencier de Parme.
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
6. En septembre 1999, à l’issue d’une dispute avec ses enfants, le requérant tua sa femme et blessa l’un de ses enfants.
7. Condamné à la réclusion à perpétuité par la cour d’assises d’appel de Rome en janvier 2002, le requérant purgea une partie de sa peine dans l’hôpital de la prison de Regina Coeli à Rome.
8. En décembre 2003, le requérant, qui ne se déplaçait plus qu’en fauteuil roulant, demanda à être transféré dans une autre prison de Rome où, vu l’absence d’obstacles architecturaux (barriere architettoniche), il pourrait bénéficier des heures de sortie et de conditions de détention plus humaines.
9. Le 5 avril 2004, le département régional de l’administration pénitentiaire du Latium refusa le transfert, invoquant des difficultés de prise en charge du requérant en raison de son état de santé.
10. Selon un rapport médical du 9 janvier 2006, établi à la demande du conseil du requérant, les conditions de santé de ce dernier étaient « amplement incompatibles avec la détention en prison et imposaient l’adoption de mesures alternatives à celle-ci, telles le transfert dans un hôpital externe à la prison apte à fournir au requérant les soins adéquats et nécessaires, ou dans un centre de prise en charge et de réhabilitation pour personnes en long séjour exigeant une assistance continue 24 heures sur 24 ».
11. Le 2 mars 2006, le requérant demanda au tribunal d’application des peines de Rome de lui accorder la détention à domicile ou son hospitalisation à l’extérieur de la prison.
12. Le 11 avril 2006, le requérant fut hospitalisé à l’hôpital civil Sandro Pertini en raison d’une fracture du fémur.
13. Il ressort d’un rapport médical rédigé le 6 juin 2006 que la pose d’une prothèse de la hanche envisagée immédiatement après l’arrivée du patient ne fut pas réalisée au motif que, le requérant ne marchant plus depuis 1987, l’intervention chirurgicale aurait été inutile et dangereuse. Selon le médecin rédacteur du rapport, le requérant pouvait quitter l’hôpital à condition d’être transféré dans un centre de traitements équipé pour lui dispenser les soins nécessaires (en particulier, assistance continue, mise à disposition d’un matelas spécial anti-escarres, kinésithérapie passive).
14. Par une ordonnance du 16 juin 2006, dont le texte fut déposé au greffe le 21 juin 2006, le tribunal d’application des peines de Rome accorda au requérant la détention à domicile pour une durée d’un an (avec obligation de résider à Rome, autorisation de se rendre à l’hôpital pour les soins, interdiction de détenir des armes). Le tribunal fonda sa décision sur les conclusions du rapport médical du 6 juin 2006 et estima que les conditions de santé du requérant, d’une part, exigeaient des soins qui ne pouvaient pas être prodigués en prison, et, d’autre part, finissaient par entraîner une « inutile violation de l’interdiction de traitements inhumains à l’égard du condamné ». L’ordonnance du tribunal d’application des peines indiquait que le requérant était détenu au pénitencier de Rome-Rebibbia et que ce dernier était « non apte à gérer la condition médicale de l’intéressé » (« non (…) idonea a gestire la situazione sanitaria del predetto »). En réalité, il ressort d’une note du ministère de la Justice du 19 septembre 2007 que le 14 juin 2006 (et donc avant le prononcé de l’ordonnance du tribunal d’application des peines), à sa sortie de l’hôpital Sandro Pertini, le requérant avait été transféré à la prison de Rome-Regina Coeli. La note en question précise que depuis le 14 juin 2006 le requérant était contraint de rester dans son lit et que dès lors ne pouvait ni se doucher ni bénéficier de la promenade en plein air ; avec l’aide d’un autre prisonnier il était en mesure de se laver et de prendre soin de son hygiène.1
15. Le 23 juin 2006, le conseil du requérant s’adressa au directeur de la prison Regina Coeli en le priant d’autoriser le transfert de son client auprès de la clinique dans laquelle la sœur du requérant avait réservé une chambre.
16. Le 7 juillet 2006, le conseil du requérant informa le directeur que la clinique précédemment choisie avait refusé d’accueillir son client. Toutefois, il demanda l’autorisation de faire examiner le requérant par un médecin d’une autre clinique afin de déterminer si, eu égard aux conditions de santé du patient, l’établissement avait les équipements adéquats.
17. Le 8 septembre 2006, le tribunal d’application des peines révoqua sa décision du 16 juin car la détention à domicile n’avait pas trouvé application faute pour le requérant d’avoir un domicile adapté à son état.
18. Selon une note du ministère de la Justice du 13 mars 2007, le requérant avait été transféré au centre clinique du pénitencier Regina Coeli de Rome afin de contrôler son état de santé, en particulier ses pathologies métaboliques, et pour lui assurer des séances de kinésithérapie, de nature à éviter un affaiblissement de sa masse musculaire et à préserver la mobilité de ses jambes. Il était contraint de se déplacer dans un fauteuil roulant à cause d’une fracture du fémur droit. La prison Regina Coeli disposait de moyens pour éliminer les obstacles architecturaux et un matelas anti-escarres avait été mis à la disposition du requérant. Des contrôles d’endocrinologie avaient été effectués pour réduire l’administration d’insuline et entamer une thérapie orale avec une alimentation adéquate. De tests cardiologiques n’avaient mis en évidence aucune anomalie, alors que les examens urologiques avaient montré une hypertrophie de la prostate. Un suivi psychiatrique avait été mis en place pour surveiller la dépression dont le requérant souffrait. Enfin, le pénitencier Regina Coeli avait demandé au garant des droits des détenus pour le Latium d’étudier la possibilité de transférer le requérant dans de structures d’accueil à l’extérieur du pénitencier, et le requérant avait été à plusieurs reprises transféré auprès de structures hospitalières civiles.
19. Le 29 décembre 2006, la direction générale pour les détenus du ministère de la Justice ordonna le transfert du requérant au pénitencier de Parme, qui disposait de structures adaptées aux exigences des personnes handicapées. Ce transfert fut effectué le 23 septembre 2007. Par une télécopie du 1er octobre 2007, le requérant a affirmé que ce transfert l’a plongé dans l’angoisse, le privant de la possibilité de recevoir des visites régulières de la part de sa sœur et de son avocat, tous les deux résidants à Rome.
20. Dans une note du 5 novembre 2007, le département pour l’administration pénitentiaire du ministère de la Justice a précisé que le transfert du requérant au pénitencier de Parme s’expliquait par ses difficultés de mobilité. En effet, suite à une chute du lit qu’il occupait dans le pénitencier de Rome, le requérant s’était fracturé le fémur gauche. Il avait été hospitalisé, mais les médecins avaient estimé qu’il ne pouvait pas être opéré à cause de ses pathologies cardiaques. A Parme, le requérant fut soumis à des tests cliniques afin de mieux traiter ses maladies. En septembre et octobre 2007, il fut soumis à une radiographie nasale et à des examens neurologique, urologique et cardiologique. Ces derniers examens n’ont décelé aucune pathologie significative. Une endoscopie nasale et un contrôle urologique ultérieur, visant à déceler l’existence éventuelle d’un calcul à la vessie, ont été programmés. Par ailleurs, le requérant avait été hospitalisé à la suite d’épisodes d’occlusion intestinale dénoncés pendant sa détention au pénitencier de Regina Coeli. Malgré l’avis contraire de ses médecins traitants, il avait décidé de quitter l’hôpital. Par conséquent, un médecin du pénitencier de Parme a été chargé d’effectuer une colonoscopie.
21. Dans une autre note, datée du 28 janvier 2008, le département pour l’administration pénitentiaire du ministère de la Justice a précisé que le transfert du requérant au pénitencier de Parme a eu lieu seulement le 23 septembre 2007 car, pendant son séjour à Regina Coeli, l’intéressé avait suivi un cycle d’activités de diagnose et de thérapie que la direction sanitaire n’estimait pas opportun d’interrompre. Par ailleurs, au cours de sa détention, le requérant a été hospitalisé dans des hôpitaux civils pendant les périodes suivantes : du 22 au 23 janvier 2002 suite à un malaise ; du 11 avril au 14 juin 2006 en raison d’une fracture au fémur ; du 18 janvier au 13 février 2007 et du 11 au 13 septembre 2007 à cause d’occlusions intestinales ; du 19 mai au 19 juin 2007 pour évaluer l’opportunité d’une intervention chirurgicale au fémur.
22. Le requérant estime que les explications données par le Gouvernement dans la note citée ci-dessus sont incohérentes et souligne que son état de santé n’a fait que s’aggraver au cours de sa détention. Il allègue que son transfert à Parme n’a amené aucune amélioration, le plongeant au contraire dans une situation de détresse psychologique liée à l’éloignement de sa sœur et de ses conseils juridiques. Il estime qu’au lieu de le transférer dans un autre pénitencier, l’Etat aurait dû le placer dans une structure hospitalière extérieure à la prison.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
23. La suspension de l’exécution de la peine est prévue par l’article 147 § 1 no 2) du code pénal, aux termes duquel
« L’exécution d’une peine peut être suspendue : (…)
2) si une peine privative de liberté doit être exécutée à l’encontre d’une personne se trouvant en condition d’infirmité physique grave (…). »
24. Aux termes de l’article 678 du code de procédure pénale, la décision de suspendre l’exécution de la peine peut être adoptée même d’office par le tribunal d’application des peines.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 3 DE LA CONVENTION
25. Le requérant allègue que son maintien en détention en prison constitue un traitement inhumain. Il invoque l’article 3 de la Convention, ainsi libellé :
« Nul ne peut être soumis à la torture ni à des peines ou traitements inhumains ou dégradants. »
26. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
27. Le Gouvernement excipe tout d’abord de l’irrecevabilité de la requête, au motif qu’elle est essentiellement la même que la requête no 10249/03, introduite par le même requérant. Dans le cadre de l’examen de cette dernière, par une décision partielle du 8 septembre 2005, la Cour a rejeté un grief tiré d’une méconnaissance des articles 3 et 14 de la Convention à cause des conditions de vie du requérant en prison.
28. Le requérant observe que sa requête no 10249/03 concernait sa situation jusqu’à 2003. Or, son état de santé s’est, depuis lors, sérieusement dégradé à cause, entre autres, de l’accident dont il a été victime le 11 avril 2006. Les faits dénoncés dans la présente requête sont donc différents par rapport à ceux qui ont fait l’objet de la requête no 10249/03.
29. La Cour rappelle qu’aux termes de l’article 35 § 2 b) de la Convention, elle ne retient aucune requête individuelle lorsqu’elle est « essentiellement la même qu’une requête précédemment examinée par la Cour (…) et (…) ne contient pas des faits nouveaux ». En l’espèce, dans le cadre de l’examen de la requête no 10249/03, la Cour s’est prononcée sur la compatibilité entre l’état de santé du requérant et son maintien en détention sur la base des informations qui lui étaient disponibles au moment de la décision sur la recevabilité, prise le 8 septembre 2005. Dans le cadre de la présente requête, le requérant a produit des certificats médicaux établi après cette date et des décisions judiciaires prononcées les 16 juin et 8 septembre 2006. La Cour estime que ces documents constituent des « faits nouveaux » aux termes de l’article 35 § 2 b).
30. Il s’ensuit que l’exception du Gouvernement ne saurait être retenue.
31. La Cour constate par ailleurs que la requête n’est pas manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève qu’elle ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de la déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
(a) Le requérant
32. Le requérant estime que compte tenu de son état de santé, dont la gravité a été reconnue par les autorités elles-mêmes, il aurait dû être transféré dans une structure hospitalière garantissant une assistance aux personnes âgées non autonomes. Il observe que suite à la fracture du fémur, il est contraint de passer toutes ses journées au lit et manque de toute autonomie. Il n’est donc pas en mesure d’entamer des recherches pour trouver un centre de soins approprié à son état. Dans ces circonstances, il appartient à l’Etat de trouver un tel centre. A cet égard, le requérant rappelle que l’article 3 de la Convention peut être enfreint aussi par une inaction ou un manque de diligence de la part des autorités publiques.
33. Le requérant souligne que dans son ordonnance du 16 juin 2006, le tribunal d’application des peines de Rome a affirmé que la continuation de sa détention aurait constitué un traitement inhumain et dégradant. L’intéressé considère également que son cas est similaire à l’affaire Farbthus c. Lettonie (no 4672/02, 2 décembre 2004), où la Cour a conclu à la violation de l’article 3.
34. Par ailleurs, le garant des droits des détenus a pour tâche de protéger les personnes privées de leur liberté contre les abus de l’administration pénitentiaire ; il n’est par contre pas censé se substituer à ladite administration et aux autorités sanitaires pour combler leurs lacunes.
35. Enfin, le requérant allègue que son transfert au pénitencier de Parme l’a privé du confort des visites de sa sœur, qui constituait son seul lien familial.
(b) Le Gouvernement
36. Le Gouvernement considère que l’administration pénitentiaire et la juridiction compétente pour l’application des peines ont mis en œuvre toutes les mesures possibles et nécessaires pour garantir au requérant des conditions de vie compatibles avec l’article 3 de la Convention et pour lui prodiguer les soins dont il a besoin. L’intéressé a été transféré du pénitencier de Rebibbia à celui de Regina Coeli, équipé de moyens nécessaires à éliminer les obstacles architecturaux et disposant d’un centre de soins. Le requérant a bénéficié d’un matelas anti-escarres, d’une surveillance médicale constante, d’une thérapie pharmacologique et d’une assistance psychiatrique. Il a à plusieurs reprises été transféré auprès d’hôpitaux civils. Après l’échec de la mesure de détention à domicile, l’administration s’est activée pour garantir au requérant une possibilité d’insertion dans une structure d’accueil adéquate en milieu libre protégé.
37. L’attention des autorités pour le cas du requérant est démontrée par l’assignation de l’intéressé à domicile. Malheureusement, cette mesure n’a pas pu être exécutée pour des raisons non imputables aux autorités. Par ailleurs, il n’apparaît pas que le requérant pourrait vivre à domicile sans assistance médicale et paramédicale.
38. Le Gouvernement souligne que lorsqu’un détenu est autorisé à vivre en dehors du milieu carcéral, il appartient à l’intéressé de trouver un endroit adéquat. En effet, l’assignation à domicile est subordonnée à l’existence d’un lieu d’accueil. En l’absence de celui-ci, les autorités ne pouvaient que révoquer la mesure, le requérant ne pouvant être abandonné à son sort sans logement et sans assistance.
39. Enfin, le Gouvernement rappelle que le requérant a été récemment transféré au pénitencier de Parme car ce dernier est particulièrement équipé pour accueillir les détenus handicapés.
2. Appréciation de la Cour
(a) Principes généraux
40. Conformément à la jurisprudence constante de la Cour, pour tomber sous le coup de l’article 3, un mauvais traitement doit atteindre un minimum de gravité. L’appréciation de ce minimum est relative ; elle dépend de l’ensemble des données de la cause, notamment de la durée du traitement et de ses effets physiques ou mentaux ainsi que, parfois, du sexe, de l’âge et de l’état de santé de la victime (voir, entre autres, Price c. Royaume-Uni, no 33394/96, § 24, CEDH 2001-VII, Mouisel c. France, no 67263/01, § 37, CEDH 2002-IX, et Gennadi Naoumenko c. Ukraine, no 42023/98, § 108, 10 février 2004). Les allégations de mauvais traitements doivent être étayées par des éléments de preuve appropriés (voir, mutatis mutandis, Klaas c. Allemagne, arrêt du 22 septembre 1993, série A no 269, § 30). Pour l’appréciation de ces éléments, la Cour se rallie au principe de la preuve « au-delà de tout doute raisonnable », mais ajoute qu’une telle preuve peut résulter d’un faisceau d’indices, ou de présomptions non réfutées, suffisamment graves, précis et concordants (Irlande c. Royaume-Uni, arrêt du 18 janvier 1978, série A no 25, § 161 in fine, et Labita c. Italie [GC], no 26772/95, § 121, CEDH 2000-IV).
41. Pour qu’une peine et le traitement dont elle s’accompagne puissent être qualifiés d’« inhumains » ou de « dégradants », la souffrance ou l’humiliation doivent en tout cas aller au-delà de celles que comporte inévitablement une forme donnée de traitement ou de peine légitimes (Jalloh c. Allemagne [GC], no 54810/00, § 68, 11 juillet 2006).
42. S’agissant en particulier de personnes privées de liberté, l’article 3 impose à l’Etat l’obligation positive de s’assurer que tout prisonnier est détenu dans des conditions compatibles avec le respect de la dignité humaine, que les modalités d’exécution de la mesure ne soumettent pas l’intéressé à une détresse ou une épreuve d’une intensité qui excède le niveau inévitable de souffrance inhérent à la détention et que, eu égard aux exigences pratiques de l’emprisonnement, la santé et le bien-être du prisonnier sont assurés de manière adéquate, notamment par l’administration des soins médicaux requis (Kudła c. Pologne [GC], no 30210/96, § 94, CEDH 2000-XI, et Riviere c. France, no 33834/03, § 62, 11 juillet 2006). Ainsi, le manque de soins médicaux appropriés, et, plus généralement, la détention d’une personne malade dans des conditions inadéquates, peut en principe constituer un traitement contraire à l’article 3 (voir, par exemple, İlhan c. Turquie [GC], no 22277/93, § 87, CEDH 2000-VII, et Gennadi Naumenko précité, § 112). Qui plus, est, outre la santé du prisonnier, c’est son bien-être qui doit être assuré d’une manière adéquate (Mouisel précité, § 40).
43. Les conditions de détention d’une personne malade doivent garantir la protection de sa santé, eu égard aux contingences ordinaires et raisonnables de l’emprisonnement. Si l’on ne peut en déduire une obligation générale de remettre en liberté ou bien de transférer dans un hôpital civil un détenu, même si ce dernier souffre d’une maladie particulièrement difficile à soigner (Mouisel précité, § 40), l’article 3 de la Convention impose en tout cas à l’Etat de protéger l’intégrité physique des personnes privées de liberté. La Cour ne saurait exclure que, dans des conditions particulièrement graves, l’on puisse se trouver en présence de situations où une bonne administration de la justice pénale exige que des mesures de nature humanitaire soient prises pour y parer (Matencio c. France, no 58749/00, § 76,15 janvier 2004, et Sakkopoulos c. Grèce, no 61828/00, § 38, 15 janvier 2004).
44. En appliquant les principes susmentionnés, la Cour a déjà conclu que le maintien en détention pour une période prolongée d’une personne d’un âge avancé, et de surcroît malade, peut entrer dans le champ de protection de l’article 3 (Papon c. France (no 1) (déc.), no 64666/01, CEDH 2001-VI ; Sawoniuk c. Royaume-Uni (déc.), no 63716/00, CEDH 2001-VI, et Priebke c. Italie (déc.), no 48799/99, 5 avril 2001). De plus, la Cour a jugé que maintenir en détention une personne tétraplégique, dans des conditions inadaptées à son état de santé, était constitutif d’un traitement dégradant (Price précité, § 30). Elle a aussi considéré que certains traitements peuvent enfreindre l’article 3 du fait qu’ils sont infligés à une personne souffrant de troubles mentaux (Keenan c. Royaume-Uni, no 27229/95, §§ 111-115, CEDH 2001-III). Cela étant, la Cour doit tenir compte, notamment, de trois éléments afin d’examiner la compatibilité d’un état de santé préoccupant avec le maintien en détention du requérant, à savoir : a) la condition du détenu, b) la qualité des soins dispensés et c) l’opportunité de maintenir la détention au vu de l’état de santé du requérant (Farbthus précité, § 53, et Sakkopoulos précité, § 39).
(b) Application de ces principes au cas d’espèce
45. Dans la présente affaire, se posent la question de la compatibilité de l’état de santé du requérant avec son maintien en détention et celle de savoir si cette situation atteint un niveau suffisant de gravité pour entrer dans le champ d’application de l’article 3 de la Convention.
46. La Cour observe d’emblée que le requérant, qui n’a plus marché depuis 1987 et a subi, en avril 2006, une fracture du fémur, ne peut se déplacer qu’en fauteuil roulant. Il manque de toute autonomie et affirme être contraint de passer toutes ses journées au lit, ce qui n’a pas été contesté par le Gouvernement. Agé de 67 ans, il souffre de pathologies cardiaques et du métabolisme, de diabète, d’un affaiblissement de sa masse musculaire, d’hypertrophie de la prostate et de dépression. L’expert commis par le requérant a conclu que l’état de santé de ce dernier était incompatible avec la détention en prison, compte tenu de l’exigence pour l’intéressé d’être continuellement assisté (paragraphe 10 ci-dessus). Cet avis semble confirmé par le rapport médical du 6 juin 2006, suggérant le transfert du requérant dans un centre de soins suffisamment équipé (paragraphe 13 ci-dessus).
47. A la lumière de ces avis qualifiés, le 16 juin 2006 le tribunal d’application des peines de Rome a accordé au requérant la détention à domicile, soulignant que les soins dont l’intéressé avait besoin ne pouvaient pas être prodigués en prison et que la continuation de sa privation de liberté dans un pénitencier aurait constitué un traitement inhumain (paragraphe 14 ci-dessus). La Cour ne voit aucune raison de revenir sur cette conclusion, à laquelle les autorités internes sont parvenues sur la base d’un examen du dossier du requérant.
48. La Cour note également que la décision de faire purger au requérant sa peine en dehors du milieu carcéral, inspirée par la nécessité d’éviter une violation de l’interdiction de traitements inhumains, a été révoquée le 8 septembre 2006, faute pour le requérant d’avoir un domicile adapté à son état de santé (paragraphe 17 ci-dessus). Le requérant a partant continué à être détenu dans un pénitencier.
49. La Cour ne saurait ignorer les efforts déployés par les autorités internes, qui ont placé le requérant dans un pénitencier disposant d’un centre clinique et de moyens pour éliminer les obstacles architecturaux, à savoir celui de Parme. Par ailleurs, à la prison de Rome-Regina Coeli2 le requérant a été soumis à des nombreux examens médicaux, visant à traiter ses pathologies du métabolisme, et a bénéficié de séances de kinésithérapie (paragraphe 18 ci-dessus)3. Cependant, l’absence, dans le chef des autorités nationales, d’une volonté d’humilier ou de rabaisser l’intéressé n’exclut pas définitivement un constat de violation de l’article 3 ; cette disposition peut aussi bien être enfreinte par une inaction ou un manque de diligence de la part des autorités publiques (Farbthus précité, § 58).
50. En l’espèce, l’exigence, soulignée par le tribunal d’application des peines de Rome, de placer le requérant en dehors du milieu carcéral est restée lettre morte pour des raisons qui ne sauraient être imputées à l’intéressé. Aux yeux de la Cour, dans des circonstances telles que celles de la présente affaire, une fois établi que la tentative de placer le requérant en détention à domicile ne pouvait aboutir, il appartenait aux autorités de s’activer pour satisfaire à l’obligation qui est la leur d’assurer des conditions de privation de liberté conformes à la dignité humaine. En particulier, le requérant ne pouvant pas être soigné à son domicile et aucune structure d’accueil idoine n’étant disposée à le prendre en charge, l’Etat aurait dû soit transférer sans délai l’intéressé dans une prison mieux équipée afin d’exclure tout risque de traitements inhumains, soit suspendre l’exécution d’une peine qui s’analysait désormais en traitement contraire à l’article 3 de la Convention. Cependant, dans sa décision révoquant la mesure de détention à domicile du requérant, le tribunal d’application des peines de Rome n’a pas pris en considération cette dernière possibilité qui, selon les dispositions internes pertinentes, aurait pu être examinée même d’office (paragraphe 24 ci-dessus).
51. En conséquence de ce qui précède, le requérant a continué à être détenu dans le pénitencier de Rome4. Ce n’est que le 23 septembre 2007, soit plus d’un an après la date à laquelle le tribunal d’application des peines avait constaté l’impossibilité de détenir le requérant à domicile, que ce dernier a été transféré dans une autre prison, celle de Parme, dotée de structures qui, selon le ministère de la Justice, peuvent faire face aux difficultés de mobilité du condamné. La Cour estime de ne pas disposer, à présent, d’éléments suffisants pour se prononcer sur la qualité de ces structures ou, plus en général, sur les conditions de la détention du requérant à Parme. Elle se borne à observer que la continuation de son séjour au pénitencier de Regina Coeli dans les circonstances mentionnées plus haut n’a pu que le placer dans une situation susceptible de susciter, chez lui, des sentiments constants d’angoisse, d’infériorité et d’humiliation suffisamment forts pour constituer un « traitement inhumain ou dégradant », au sens de l’article 3 de la Convention. Les explications données par le Gouvernement pour justifier le retard dans le transfert au pénitencier de Parme – à savoir, qu’il n’était pas opportun d’interrompre les thérapies en cours à la prison de Regina Coeli (paragraphe 21 ci-dessus) –, ne sauraient justifier le maintien d’un détenu dans des conditions portant atteinte à sa dignité humaine.5
52. Partant, il y a eu violation de cette disposition.
II. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
53. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
54. Le requérant réclame 35 000 euros (EUR) au titre du préjudice moral qu’il aurait subi.
55. Le Gouvernement estime que cette somme est excessive. Il s’en remet à la sagesse de la Cour, la priant de tenir compte de toutes les circonstances particulières de l’affaire.
56. La Cour considère que le requérant a subi un tort moral certain. Elle considère cependant excessif le montant sollicité. Statuant en équité, elle décide d’octroyer au requérant 5 000 EUR au titre du préjudice moral.
B. Frais et dépens
57. Sans s’appuyer sur des notes d’honoraires de ses avocats, le requérant demande également 5 000 EUR pour les frais et dépens encourus devant la Cour.
58. Le Gouvernement considère que la somme sollicitée devrait être réduite, compte tenu du fait que l’affaire était simple et n’a requis aucune activité particulièrement longue ou complexe.
59. Selon la jurisprudence constante de la Cour, l’allocation des frais et dépens exposés par le requérant ne peut intervenir que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux (Belziuk c. Pologne, arrêt du 25 mars 1998, Recueil des arrêts et décisions 1998-II, § 49). En l’espèce, compte tenu des éléments en sa possession et des critères susmentionnés, la Cour estime raisonnable la somme de 5 000 EUR au titre des frais et dépens pour la procédure devant elle et l’accorde au requérant.
C. Intérêts moratoires
60. La Cour juge approprié de baser le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 3 de la Convention ;
3. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes :
i. 5 000 EUR (cinq mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour dommage moral ;
ii. 5 000 EUR (cinq mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par le requérant, pour frais et dépens ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 10 juin 2008 en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Sally Dollé Françoise Tulkens
Greffière Présidente
1 Rectifié le 7 avril 2009 : les trois dernières phrases du § 14 ont été rajoutées.

2 Rectifié le 7 avril 2009 : « dans ces deux prisons » a été remplacé par « à la prison de Rome-Regina Coeli ».

3 Rectifié le 7 avril 2009 : « (paragraphe 18 ci-dessus) » a été rajouté.

4 Rectifié le 7 avril 2009 : « -Regina Coeli, que le tribunal d’application des peines avait estimé non apte à traiter les pathologies de l’intéressé » a été supprimé.

5 Rectifié le 7 avril 2009 : « sont en contradiction avec les conclusions du tribunal d’application des peines. » a été supprimé et remplacé par « ne sauraient justifier le maintien d’un détenu dans des conditions portant atteinte à sa dignité humaine ».

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