Conclusione Non -violazione dell’art. 5-1; violazione dell’art. 3.
SECONDA SEZIONE
CAUSA SARIGIANNIS C. ITALIA
( Richiesta no 14569/05)
SENTENZA
STRASBURGO
5 aprile 2011
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Sarigiannis c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Danutė Jočienė, Ireneu Cabral Barreto, Dragoljub Popović, Giorgio Malinverni, Işıl Karakaş, Guido Raimondi, giudici, Davide Thór Björgvinsson, András Sajó, giudici supplenti,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 15 marzo 2011,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 14569/05) diretta contro la Repubblica italiana e in cui due cittadini francesi, i Sigg. OMISSIS (“i richiedenti”), rispettivamente padre e figlio, hanno investito la Corte l’ 11 aprile 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”). Il 5 settembre 2007, il secondo richiedente ha informato la Corte del decesso del primo richiedente e ha espresso il desiderio di continuare nel procedimento a suo nome proprio ed a nome di suo padre. La vedova e la figlia del Sig. OMISSIS hanno espresso anche il loro interesse a perseguire il procedimento. Per ragioni di ordine pratico, la Corte continuerà a chiamare i Sigg. OMISSIS rispettivamente “il primo richiedente” e “il secondo richiedente.”
2. I richiedenti sono rappresentati da M. N., avvocato a Parigi. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente, il Sig. N. Lettieri.
3. I richiedenti adducevano in particolare una violazione degli articoli 3 e 5 della Convenzione per cattivi trattamenti e detenzione irregolare all’epoca di un controllo di identità all’aeroporto di Roma.
4. Il 15 giugno 2006, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
5. Informato della richiesta, il governo francese non ha desiderato esercitare il diritto che gli riconosce l’articolo 36 § 1 della Convenzione.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
6. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1948 e 1983. All’epoca dell’introduzione della richiesta, risiedevano a Franconville.
7. Il 30 giugno 2002, alle 18 h 30 circa, il primo richiedente arrivò all’aeroporto “Leonardo da Vinci” di Fiumicino con un volo in provenienza da Parigi. Era accompagnato da suo figlio maggiore, il secondo richiedente, così come da sua moglie, la Sig.ra OMISSIS, e di sua figlia.
8. Alcuni minuti più tardi, mentre il primo richiedente aveva appena lasciato la sala di consegna dei bagagli, si accorse che due agenti della polizia fiscale (“Guardia di Finanza”) avevano chiamato sua moglie che si trovava ancora in suddetta sala, per un controllo dei passaporti.
9. Il primo richiedente, ritornando sui suoi passi, si avvicinò agli agenti di polizia chiedendo delle spiegazioni e questi gli intimarono l’ordine di mostrare a sua volta il suo passaporto. Il richiedente reiterando la sua istanza di spiegazioni, i due poliziotti, così come due altri che erano arrivati sui luoghi nel frattempo, lo spinsero violentemente in direzione di un ufficio. Il secondo richiedente, intervenuto in soccorso di suo padre, fu spinto anche lui nel locale la cui porta fu subito chiusa.
La Sig.ra OMISSIS provò a raggiungere i due richiedenti dentro al locale ma fu respinta verso l’esterno dai poliziotti.
10. Secondo i richiedenti, una volta dentro l’ufficio, furono immediatamente ammanettati e colpiti al viso ed alla testa da quattro agenti.
11. In seguito, il primo richiedente fu trasportato in un locale contiguo dove fu gettato a terra e colpito di nuovo. Afferma che gli agenti gli impedirono di utilizzare il telefono per chiamare l’ambasciata della Francia o il suo avvocato e gli diedero da bere un bicchiere di acqua solo dopo un’ora e mezza d’attesa.
12. Alla fine delle due ore, gli agenti invitarono i richiedenti a farsi esaminare dai medici del servizio medico dell’aeroporto. Il primo richiedente si oppose e negò anche di firmare un documento che attestava la sua opposizione. Questa reticenza avrebbe generato altre minacce da parte degli agenti.
13. In compenso, il secondo richiedente, sempre collocato lontano da suo padre nel primo ufficio, accettò di essere esaminato. In un rapporto stabilito alle 20, il medico dell’aeroporto certificò la presenza di contusioni nella regione frontale ed alla nuca.
14. In seguito, i poliziotti restituirono ai richiedenti i loro passaporti e li invitarono a lasciare l’aeroporto.
15. I richiedenti si recarono subito al pronto soccorso dell’ospedale “San Carlo di Nancy” di Roma, dove furono esaminati alle 21 h 30 circa. I medici dell’ospedale constatarono presso il primo richiedente un trauma cranico, delle molteplici escoriazioni alla schiena, ai polsi, nella zona posteriore auricolare sinistra, nella zona latéro-cervicale destra ed una possibile lesione all’epifisi distale della radio destro.
16. Per ciò riguardava il secondo richiedente, i medici fecero stato di una distorsione dei due polsi, di una contusione della tibia sinistra con escoriazioni, di un trauma cranico, di un ematoma nella regione frontale, della presenza di ecchimosi sulla parte sinistra del viso, nella zona posteriore auricolare sinistra e sulla parte anteriore della gamba sinistra.
La querela dei richiedenti per cattivi trattamenti ed il procedimento aperto a loro carico
17. Il 2 luglio 2002, i richiedenti depositarono querela contro tre agenti di polizia non identificati per i reati di lesioni, sequestro di persona ed abuso di potere.
18. Il 4 luglio 2002, la Sig.ra W., una cittadina americana che era transitata all’aeroporto di Fiumicino il 30 giugno, depositò una testimonianza presso lo studio dell’avvocato dei richiedenti. Affermò di avere assistito ai fatti controversi e confermò la versione fornita dai richiedenti.
19. In particolare, manifestò di avere visto il primo richiedente mentre parlava con tre agenti di polizia da cui uno, molto agitato, lo spingeva verso una porta. Il richiedente che non era aggressivo, si limitava a richiedere in inglese ai poliziotti di non toccarlo e provava a resistere ai tentativi di questi di farlo entrare nell’ufficio. Il primo richiedente ed il secondo che erano intervenuti in soccorso di suo padre, furono portati infine all’interno e, una volta chiusa la porta, il testimone poté sentire delle urla provenienti dal locale.
Alla Sig.ra OMISSIS ed a sua figlia, molto inquiete, fu impedito di entrare nell’ufficio dagli agenti.
20. L’ 8 luglio 2002, quattro agenti di polizia informarono il procuratore della Repubblica del fatto che, il 30 giugno 2002, i richiedenti avevano commesso dei reati di violenza e di resistenza verso i funzionari pubblici, contemplati agli articoli 336 e 337 del codice penale.
21. Secondo la loro esposizione dei fatti, in seguito ad un controllo di passaporto di una donna adulta di origine orientale effettuata da uno di essi, incaricato del servizio antiterrorismo dell’aeroporto, i richiedenti, rispettivamente marito e figlio della donna, si erano introdotti con la forza nella sala di consegna dei bagagli la cui entrata è vietata alle persone non autorizzate. Il primo richiedente aveva chiesto prima, in inglese ed in modo agitato, delle spiegazioni al poliziotto e poi, di fronte agli inviti di questo a tenere la calma ed a seguirlo nell’ufficio della polizia per un controllo di identità, i due richiedenti l’avevano aggredito fisicamente. L’intervento degli altri poliziotti si era rivelato necessario per fare fronte alla violenza dei richiedenti e riuscire a condurli nell’ufficio per potere identificarli. All’interno dell’ufficio, i due richiedenti erano stati ammanettati il tempo necessario per ristabilire l’ordine. Infine, dopo l’esame medico compiuto sul secondo richiedente da parte dei medici del pronto soccorso dell’aeroporto che erano stati chiamati dai poliziotti, questi ultimi avevano redatto un processo verbale ed avevano invitato i richiedenti a lasciare i luoghi.
22. I quattro agenti avrebbero subito delle contusioni molteplici alle braccia ed alle gambe, certificate il giorno stesso dai medici del pronto soccorso dell’aeroporto e confermate in seguito dal servizio medico della polizia fiscale.
23. I due procedimenti penali furono riuniti dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Civitavecchia.
24. Il 31 ottobre 2003, il ministero pubblico chiese l’archiviazione senza seguito delle querele. Il 12 dicembre 2003, i richiedenti si opposero e chiesero l’ascolto della Sig.ra W. così come di loro moglie e madre, la Sig.ra OMISSIS.
25. Con una decisione del 13 ottobre 2004, il giudice delle investigazioni preliminari di Civitavecchia ordinò l’archiviazione senza seguito delle querele riunite. Affermò che, avuto riguardo alle differenti versioni dei fatti forniti dalle parti, era impossibile stabilire se l’intervento dei poliziotti fosse stato legittimo e se la loro condotta fosse stata proporzionata al comportamento dei richiedenti.
26. Secondo il giudice, da una parte, l’intervento degli agenti di polizia incaricati della sicurezza dell’aeroporto era stato giustificato dal comportamento scorretto del primo richiedente che si era introdotto con la forza nella sala di consegna dei bagagli a dispetto dell’interdizione, rendendo così necessario il controllo di identità che aveva generato lo scontro fisico in seguito. Il giudice osservò a questo riguardo che l’intervento iniziale dei poliziotti era giustificato alla vista delle consegne assegnate agli agenti destinati al controllo dell’aeroporto.
D’altra parte, la Sig.ra OMISSIS avendo dei tratti orientali, era probabile che le proteste del primo richiedente erano state motivate dai sospetti di un atteggiamento discriminatorio verso sua moglie. Anche se le difficoltà linguistiche e lo stato emozionale dei richiedenti non avevano permesso ai due cittadini francesi di esprimere correttamente il loro punto di vista, il loro atteggiamento, in un primo tempo, non poteva essere qualificato come violento o sproporzionato.
27. Inoltre, il giudice sottolineò che tanto gli agenti di polizia che i richiedenti avevano subito delle lesioni. Sostenne che la natura delle lesioni di questi ultimi era compatibile con lo scopo di immobilizzarli e confermava la versione dei fatti forniti dagli agenti di polizia, piuttosto che la tesi dei richiedenti, poco credibile, dei maltrattamenti.
28. Infine, riferendosi ai processi verbali delle dichiarazioni della Sig.ra W. raccolti dall’avvocato dei richiedenti all’epoca delle investigazioni preliminari, il giudice affermò che la testimonianza del testimone oculare dei fatti non forniva alcuna delucidazioni in quanto all’origine della disputa, la Sig.ra W. avendo assistito solamente ai tentativi degli agenti di condurre il primo richiedente nell’ufficio della polizia allo scopo di identificarlo, il che dipendeva manifestamente dall’esercizio legittimo delle loro funzioni.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
29. Ai sensi dell’articolo 11 della decreto legge no 59 del 21 marzo 1978:
“Gli ufficiali e gli agenti di polizia possono accompagnare nei loro locali chiunque neghi di dichiarare la sua identità e possono trattenerlo il tempo necessario per identificarlo ma, in ogni caso, non più delle ventiquattro.
Questa disposizione si trova ad applicare anche se esistono degli indizi sufficienti per considerare che le dichiarazioni fatte o i documenti esibiti dalla persona controllata sono falsi.”
IN DIRITTO
I. SU L’OGGETTO DELLA RICHIESTA
30. I richiedenti adducono che la loro detenzione nei locali della polizia fiscale dell’aeroporto di Fiumicino è stata arbitraria e contraria alla legge. Invocano l’articolo 5 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, si legge così:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà ed alla sicurezza. Nessuno può essere privato della sua libertà, salvo nei seguenti casi e secondo le vie legali: (…)
b) se è stato oggetto di un arresto o di una detenzione regolare in vista di garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge .”
31. Si lamentano poi di trattamenti disumani e degradanti subiti durante la loro detenzione da parte della polizia ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. Adducono anche che, decidendo di archiviare senza seguito la loro querela, le autorità giudiziali hanno rinunciato a condurre un’inchiesta giudiziale approfondita ed effettiva.
32. L’articolo 3 della Convenzione è formulato così:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
II. SULL’AMMISSIBILITÀ
33. La Corte constata che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. C’è luogo dunque di dichiararla ammissibile.
III. SUL MERITO
A. in quanto alla violazione addotta dell’articolo 5 § 1 della Convenzione
1. Tesi delle parti
34. Il Governo afferma innanzitutto che la permanenza degli interessati nei locali della polizia è durata solamente un’ora e mezza, dalle 18 h 30 alle 20 h 00, o un tempo ragionevole.
Poi, sostiene che la detenzione dei richiedenti era necessaria alla vista della legislazione in vigore. Così, in un primo tempo, gli agenti di polizia furono costretti di arrestare i richiedenti e di iniziare il procedimento di identificazione previsto dall’articolo 11 del decreto no 59 del 1978 in ragione del comportamento dubbio di questi nella zona invalicabile di un aeroporto internazionale e del loro rifiuto di farsi identificare. La resistenza opposta dai richiedenti e gli atti di violenza compiuti all’interno dei locali della polizia aveva potuto portare in seguito, solamente le forze dell’ordine ad applicare il procedimento di identificazione previsto dal codice di procedimento penale ed ad aprire una pratica giudiziale a loro carico.
35. Secondo il Governo, l’ingerenza nel diritto alla libertà dei richiedenti era conforme alle vie legali dunque, inseguiva uno scopo legittimo, ossia la protezione dell’ordine pubblico, ed era proporzionata allo scopo previsto.
36. Infine, tiene a sottolineare che i fatti controversi furono provocati da un pregiudizio dei richiedenti nei confronti degli agenti di polizia nell’esercizio legittimo delle loro funzioni, il che non potrebbe essere considerato come accettabile in uno Stato di diritto.
37. I richiedenti adducono di essere stati privati della loro libertà per due ore e mezza, senza che nessuna decisione formale venisse presa, né nessuno controllo giudiziale venisse effettuato. Fanno valere a questo proposito che nessuna pratica giudiziale fu aperta contro loro alla conclusione della loro detenzione da parte della polizia.
38. Affermano che la detenzione, che qualificano come “sequestro aggravato”, non era prevista dalla legge e non era giustificata per niente dalle circostanze dello specifico. A questo riguardo, sottolineano che il controllo di identità controverso era di natura discriminatoria e non era giustificato, poiché il famiglia OMISSIS transitava nello spazio Schengen e non si trovava in una zona vietata dell’aeroporto. Per di più, secondo la versione dei fatti forniti dagli agenti di polizia, questi avevano deciso di controllare l’identità della Sig.ra OMISSIS solo in ragione dei suoi tratti orientali.
2. Valutazione della Corte
39. La Corte ricorda che l’articolo 5 § 1 richiede da prima la “regolarità” della detenzione, ivi compresa l’osservazione delle vie legali. In materia la Convenzione rinvia essenzialmente alla legislazione nazionale ed enuncia l’obbligo di rispettarne le disposizioni normative e procedurali, ma comanda per di più la conformità di ogni privazione di libertà allo scopo dell’articolo 5: proteggere l’individuo contro l’arbitrarietà. L’articolo 5 § 1 enumera i casi in cui la Convenzione permette di privare una persona della sua libertà. Questo elenco riveste un carattere esauriente e la sola un’interpretazione stretta quadra con lo scopo di questa disposizione: garantire che nessuno sia privato arbitrariamente della sua libertà (Vasileva c. Danimarca, no 52792/99, 25 settembre 2003, §§ 32-33; K. – F. c. Germania, 27 novembre 1997, § 70, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VII).
Su questo ultimo punto, la Corte sottolinea che quando si tratta di una privazione di libertà, è particolarmente importante soddisfare il principio generale della sicurezza giuridica. Di conseguenza, è essenziale che le condizioni della privazione di libertà in virtù del diritto interno siano definite chiaramente e che la legge stessa sia prevedibile nella sua applicazione, in modo da assolvere il criterio di “legalità” fissato dalla Convenzione che esige che ogni legge sia sufficientemente precisa per evitare ogni rischio di arbitrarietà (Nasrulloyev c. Russia, no 656/06, § 71, 1 ottobre 2007; Khudoyorov c. Russia, no 6847/02, § 125, CEDH 2005-X (brani); Ječius c. Lithuanie, no 34578/97, § 56, CEDH 2000-IX; Baranowski c. Polonia, no 28358/95, §§ 50-52, CEDH 2000-III, ed Amuur c. Francia, sentenza del 25 giugno 1996, Raccolta 1996-III).
40. I richiedenti contestano che la loro detenzione sia stata coperta da uno dei motivi che figurano nel paragrafo primo dell’articolo 5.
41. La Corte osserva che il giudice delle investigazioni preliminari di Civitavecchia ha constatato che i richiedenti sono stati condotti negli uffici della polizia dell’aeroporto in ragione del loro rifiuto di sottoporsi ad un controllo di identità. A questo riguardo, si è costretti a constatare che i due richiedenti non negano di essersi opposti al controllo di identità, limitandosi a contestare la legittimità di suddetto controllo da parte della polizia, che considerano discriminatorio ed illegale.
42. La Corte osserva che la legge italiana presrive l’obbligo di dichiarare la sua identità e contempla la possibilità di considerare nei locali della polizia ogni persona che nega di liberarsi da questo obbligo, paragrafo 29 sopra. Secondo lei, la ritenzione dei richiedenti è stata quindi decisa in vista di garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge, ai sensi dell’articolo 5 § 1 b, della Convenzione (Reyntjens c. Belgio, no 16810/90, decisione della Commissione del 9 settembre 1992, Decisione e Rapporti, (DR, 73, p,). 136; Epple c. Germania, no 77909/01, § 36, 24 marzo 2005).
43. La Corte ricorda che, affinché la detenzione controversa sia giustificata allo sguardo dell’articolo 5 § 1 b) l’obbligo in questione deve essere specifico e concreto, l’interessato deve trascurare di assolverlo e l’arresto e la detenzione devono avere per scopo garantire l’esecuzione di questo. Inoltre, appena viene soddisfatto l’obbligo mirato, la base della detenzione smette di esistere. Infine, bisogna stabilire un equilibrio tra la necessità in una società democratica di garantire l’esecuzione immediata dell’obbligo di cui si tratta e l’importanza del diritto alla libertà. A questo riguardo, la Corte terrà conto della natura dell’obbligo, ivi compreso il suo oggetto e del suo scopo sottostante, della persona detenuta e delle circostanze particolari che hanno portato alla sua detenzione e, alla fine, della durata di questa (Vasileva precitata §§ 37-38; Iliya Stefanov c. Bulgaria, no 65755/01, § 71, 22 maggio 2008).
44. Ora, la Corte ha considerato già che l’obbligo di collaborare con la polizia e di fornire la sua identità, anche in mancanza di sospetti di avere commesso una violazione, costituisce un obbligo sufficientemente “concreto e specifico” per potere dipendere dall’articolo 5 § 1 b) della Convenzione (Vasileva, precitata, § 39).
45. Peraltro, osserva che i richiedenti, di rispettivamente cinquantaquattro e diciannove anni, furono considerati dalla polizia per due ore e mezzo, o dalle 18 h 30 alle 21 h 30 al più tardi (vedere sopra paragrafi 15).
46. La Corte stima che la breve durata della detenzione dei richiedenti nell’ufficio di polizia e le circostanze dello specifico permettono di concludere che un giusto equilibrio è stato rispettato tra l’importanza di garantire l’esecuzione immediata dell’obbligo in questione e quella del diritto alla libertà dei richiedenti.
47. Ne segue che non c’è stata violazione dell’articolo 5 § 1 della Convenzione nello specifico.
B. in quanto alla violazione addotta dell’articolo 3 della Convenzione
1. Tesi delle parti
48. Il Governo afferma innanzitutto che le lesioni, molto leggere, subite dai richiedenti sono state indotte dall’opposizione di questi alle operazioni di controllo condotte dai poliziotti nell’esercizio legittimo delle loro funzioni. Le lesioni non sono state inflitte quindi, intenzionalmente dagli agenti dello stato e non sono state perseguite per fini vietati dalla legge.
49. Peraltro, nessun trattamento degradante, proprio ad umiliare, avvilire o creare dei sentimenti di paura e di angoscia non è stato provato dai richiedenti. Il Governo ricorda che la durata della detenzione nei locali della polizia non potrebbe essere qualificata come eccessiva. In quanto alle affermazioni che hanno fatto riferimento agli impedimenti di utilizzare il telefono o di bere dell’acqua, osserva da prima che il diritto invocato dai richiedenti di contattare le autorità diplomatiche o un avvocato nella cornice di una breve detenzione non è garantito dalla Convenzione. Inoltre, un’attesa di un’ora e mezza, o la durata globale del mantenimento degli interessati nei locali della polizia, è una circostanza che non potrebbe raggiungere in nessun caso la soglia minima di gravità prevista all’articolo 3 della Convenzione.
50. I richiedenti sostengono di essere stati oggetto di violenze fisiche e psicologiche da parte dei poliziotti. Le lesioni subite, certificate dai differenti medici che li hanno esaminati, rappresentano la manifestazione dell’uso della forza fisica su delle persone private della libertà e vulnerabili, inaccettabile in una società democratica.
2. Valutazione della Corte
51. La Corte ricorda che l’articolo 3 consacra uno dei valori fondamentali delle società democratiche. Anche nelle circostanze più difficili, come la lotta contro il terrorismo ed il crimine organizzato, la Convenzione proibisce in termini assoluti la tortura e pene o trattamenti disumani o degradanti. L’articolo 3 non contempla restrizioni, nella qual cosa contrasta con la maggioranza delle clausole normative della Convenzione e dei Protocolli numeri 1 e 4, e secondo l’articolo 15 § 2 non soffre di nessuna deroga , anche in caso di pericolo pubblico che minaccia la vita della nazione (Selmouni c. Francia [GC], no 25803/94, § 95, CEDH 1999-V).
52. Un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravità per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3. La valutazione di questo minimo è relativa per essenza; dipende dall’insieme dei dati della causa e, in particolare, della durata del trattamento, dai suoi effetti fisici o mentali così come talvolta, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima.
53. Per valutare gli elementi che le permettono di dire se c’è stata violazione dell’articolo 3, la Corte aderisce al principio della prova “al di là di ogni ragionevole dubbio “, ma aggiunge che tale prova può risultare da un fascio di indizi, o di presunzioni non confutate, sufficientemente gravi, precise e concordanti (Jalloh c. Germania [GC], no 54810/00, § 67, CEDH 2006-IX; Ramirez Sanchez c. Francia [GC], no 59450/00, § 117, CEDH 2006-IX). Peraltro, quando un individuo si trova privato della sua libertà, l’utilizzazione a suo riguardo della forza fisica mentre non è resa rigorosamente necessaria dal suo comportamento reca offesa alla dignità umana e costituisce, in principio, una violazione del diritto garantito dall’articolo 3 (Ribitsch c. Austria, sentenza del 4 dicembre 1995, serie A no 336, § 38, e Tekin c. Turchia, sentenza del 9 giugno 1998, Raccolta 1998-IV, §§ 52-53).
54. Parimenti, l’articolo 3 non proibisce il ricorso alla forza da parte degli agenti di polizia all’epoca di un’interpellanza. Tuttavia, il ricorso alla forza deve essere proporzionato e necessario alla vista delle circostanze dello specifico (vedere, tra molte altre, Rehbock c. Slovenia, no 29462/95, § 76, CEDH 2000-XII; Altay c. Turchia, no 22279/93, § 54, 22 maggio 2001). Qualunque sia la conclusione del procedimento impegnato sul piano interno, una constatazione di colpevolezza o meno non potrebbe esentare lo stato convenuto dalla sua responsabilità allo sguardo della Convenzione; appartiene a lui fornire una spiegazione plausibile sull’origine delle lesioni in mancanza di cui l’articolo 3 si trova ad applicare (Selmouni, precitata, § 87; Ribadisti c. Francia, no 59584/00, § 38, 1 aprile 2004).
55. In caso di affermazioni sul terreno dell’articolo 3 della Convenzione, la Corte deve concedersi ad un esame particolarmente approfondito (Vladimir Romanov c. Russia, no 41461/02, § 59, 24 luglio 2008). Quando c’è stato un procedimento interno, non entra tuttavia nelle attribuzioni della Corte di sostituire la sua propria visione delle cose a quella dei corsi e dei tribunali interni ai quali appartiene in principio di soppesare i dati raccolti da loro (Jasar c. l’ex-repubblica iugoslava di Macedonia, no 69908/01, § 49, 15 febbraio 2007). Anche se le constatazioni dei tribunali interni non vincolano la Corte, le occorrono tuttavia degli elementi convincenti per potere scostarsi dalle constatazioni alle quali sono giunti.
56. Nello specifico, il Governo non contesta che la forza è stata utilizzata dai poliziotti per dominare i richiedenti. Inoltre, non è obiettato neanche che le lesioni dei richiedenti sono sopraggiunte durante la loro detenzione nei locali della polizia, mentre si trovavano interamente sotto il controllo dei funzionari di polizia. In compenso, il Governo nega che le lesioni sofferte dai richiedenti abbiano raggiunto una soglia di gravità sufficiente a ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione.
57. La Corte osserva al primo colpo che i certificati medici concernenti i richiedenti, preparati subito dopo la loro liberazione, attestano traumi cranici, delle multipli contusioni ai polsi, al viso e agli arti superiori ed inferiori. Sulla base di questi elementi di prova, che il Governo non ha contestato, la Corte stima che la gravità delle lesioni corporali constatate dimostra che i richiedenti sono stati sottomessi a trattamenti i cui effetti superano la soglia di gravità sufficiente a ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione( Afanassïev c. Ucraina, no 38722/02, § 61, 5 aprile 2005; Sashov ed altri c. Bulgaria, no 14383/03, § 49, 7 gennaio 2010).
58. Quindi, appartiene alla Corte di ricercare se la forza utilizzata era, nello specifico, proporzionata.
La Corte rileva innanzitutto che i richiedenti erano sconosciuti alle forze di polizia. Inoltre, secondo la ricostruzione dei fatti effettuati dal giudice delle investigazioni preliminari sulla base delle dichiarazioni di un testimone, il comportamento del primo richiedente, sebbene poco collaborativo, non era né violento né sproporzionato all’epoca della sua interpellanza (vedere paragrafo 26 sopra).
59. Le violenze furono scatenate dal tentativo dei poliziotti di condurre il primo richiedente nell’ufficio di polizia per effettuare il controllo di identità al quale aveva negato di sottoporsi e di cui contestava la legittimità. Il secondo richiedente, appena maggiorenne all’epoca dei fatti, intervenne a favore di suo padre.
60. Il Governo sostiene che il ricorso alla forza era necessario per fare fronte all’aggressione fisica perpetrata dai richiedenti verso i poliziotti.
Ora, se le versioni delle parti divergono in quanto allo svolgimento dei fatti dentro ai locali di polizia, la Corte non potrebbe ignorare che anche i quattro agenti sono stati feriti all’epoca degli avvenimenti, paragrafo 22 sopra. Peraltro, i richiedenti non hanno negato di avere opposto una certa resistenza ai poliziotti.
61. In queste condizioni, la Corte è pronta ad ammettere la necessità di esercitare una forma di costrizione per evitare degli eventuali eccessi ed impedire che i richiedenti diventassero violenti ( a contrario, Darraj c. Francia, no 34588/07, § 43, 4 novembre 2010). Però, anche supponendo che la costrizione sia stata, in una certa misura, “necessaria” a causa del comportamento aggressivo dei richiedenti, la Corte non è convinta che sia stata “proporzionale.”
62. Nota che i quattro poliziotti erano presenti per dominare i due richiedenti. Peraltro, se una parte delle lesioni subite dagli interessati, in particolare a livello delle braccia e delle gambe, sembrano compatibili con lo scopo di immobilizzarli e di mettere loro le manette, paragrafo 27 sopra, né le autorità nazionali né il Governo hanno spiegato l’origine delle numerose lesioni a livello della testa e del viso dei richiedenti.
63. Inoltre, i richiedenti che erano stranieri ed avevano delle difficoltà linguistiche, furono posti in due locali separati durante la loro detenzione. Durante questo tempo, la Sig.ra OMISSIS e sua figlia minorenne a cui era stato impedito di entrare nell’ufficio, si trovavano in un stato di inquietudine comprensibile e restarono senza nuove dei loro prossimi.
64. La Corte considera che questa situazione era di natura tale da generare presso i richiedenti delle sofferenze fisiche e mentali e, tenuto conto delle circostanze dello specifico, creare anche dei sentimenti di paura, di angoscia e di inferiorità propri ad umiliare, avvilire e rompere eventualmente la loro resistenza fisica e mentale. Sono questi elementi che portano la Corte a considerare che i trattamenti inflitti ai richiedenti hanno rivestito un carattere disumano e degradante.
65. In conclusione, stima che il Governo non ha dimostrato, nelle circostanze dello specifico, che l’uso della forza contro i richiedenti era proporzionato (vedere, a contrario, sentenze Caloc c. Francia, no 33951/96, §§ 100-101, CEDH 2000-IX; Milano c. Francia, no 7549/03, § 65, 24 gennaio 2008).
66. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
67. Peraltro, tenuto conto dell’insieme dei fatti della causa e degli argomenti delle parti, la Corte considera che non c’è luogo, nelle circostanze dello specifico, di deliberare separatamente sul motivo di appello derivato dall’aspetto rigorosamente procedurale dell’articolo 3.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
68. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
69. I richiedenti non hanno fatto richiesta di soddisfazione equa. Pertanto, la Corte stima che non c’è luogo di concedere loro nessuna somma a questo titolo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 5 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione;
4. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare il restante della richiesta.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 5 aprile 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Francesca Tulkens
Cancelliere Presidentessa