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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE SARIGIANNIS c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 03, 05
Numero: 14569/05/2011
Stato: Italia
Data: 2011-04-05 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Non -violazione dell’art. 5-1; violazione dell’art. 3.
SECONDA SEZIONE
CAUSA SARIGIANNIS C. ITALIA
( Richiesta no 14569/05)
SENTENZA
STRASBURGO
5 aprile 2011
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Sarigiannis c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Danutė Jočienė, Ireneu Cabral Barreto, Dragoljub Popović, Giorgio Malinverni, Işıl Karakaş, Guido Raimondi, giudici, Davide Thór Björgvinsson, András Sajó, giudici supplenti,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 15 marzo 2011,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 14569/05) diretta contro la Repubblica italiana e in cui due cittadini francesi, i Sigg. OMISSIS (“i richiedenti”), rispettivamente padre e figlio, hanno investito la Corte l’ 11 aprile 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”). Il 5 settembre 2007, il secondo richiedente ha informato la Corte del decesso del primo richiedente e ha espresso il desiderio di continuare nel procedimento a suo nome proprio ed a nome di suo padre. La vedova e la figlia del Sig. OMISSIS hanno espresso anche il loro interesse a perseguire il procedimento. Per ragioni di ordine pratico, la Corte continuerà a chiamare i Sigg. OMISSIS rispettivamente “il primo richiedente” e “il secondo richiedente.”
2. I richiedenti sono rappresentati da M. N., avvocato a Parigi. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente, il Sig. N. Lettieri.
3. I richiedenti adducevano in particolare una violazione degli articoli 3 e 5 della Convenzione per cattivi trattamenti e detenzione irregolare all’epoca di un controllo di identità all’aeroporto di Roma.
4. Il 15 giugno 2006, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
5. Informato della richiesta, il governo francese non ha desiderato esercitare il diritto che gli riconosce l’articolo 36 § 1 della Convenzione.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
6. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1948 e 1983. All’epoca dell’introduzione della richiesta, risiedevano a Franconville.
7. Il 30 giugno 2002, alle 18 h 30 circa, il primo richiedente arrivò all’aeroporto “Leonardo da Vinci” di Fiumicino con un volo in provenienza da Parigi. Era accompagnato da suo figlio maggiore, il secondo richiedente, così come da sua moglie, la Sig.ra OMISSIS, e di sua figlia.
8. Alcuni minuti più tardi, mentre il primo richiedente aveva appena lasciato la sala di consegna dei bagagli, si accorse che due agenti della polizia fiscale (“Guardia di Finanza”) avevano chiamato sua moglie che si trovava ancora in suddetta sala, per un controllo dei passaporti.
9. Il primo richiedente, ritornando sui suoi passi, si avvicinò agli agenti di polizia chiedendo delle spiegazioni e questi gli intimarono l’ordine di mostrare a sua volta il suo passaporto. Il richiedente reiterando la sua istanza di spiegazioni, i due poliziotti, così come due altri che erano arrivati sui luoghi nel frattempo, lo spinsero violentemente in direzione di un ufficio. Il secondo richiedente, intervenuto in soccorso di suo padre, fu spinto anche lui nel locale la cui porta fu subito chiusa.
La Sig.ra OMISSIS provò a raggiungere i due richiedenti dentro al locale ma fu respinta verso l’esterno dai poliziotti.
10. Secondo i richiedenti, una volta dentro l’ufficio, furono immediatamente ammanettati e colpiti al viso ed alla testa da quattro agenti.
11. In seguito, il primo richiedente fu trasportato in un locale contiguo dove fu gettato a terra e colpito di nuovo. Afferma che gli agenti gli impedirono di utilizzare il telefono per chiamare l’ambasciata della Francia o il suo avvocato e gli diedero da bere un bicchiere di acqua solo dopo un’ora e mezza d’attesa.
12. Alla fine delle due ore, gli agenti invitarono i richiedenti a farsi esaminare dai medici del servizio medico dell’aeroporto. Il primo richiedente si oppose e negò anche di firmare un documento che attestava la sua opposizione. Questa reticenza avrebbe generato altre minacce da parte degli agenti.
13. In compenso, il secondo richiedente, sempre collocato lontano da suo padre nel primo ufficio, accettò di essere esaminato. In un rapporto stabilito alle 20, il medico dell’aeroporto certificò la presenza di contusioni nella regione frontale ed alla nuca.
14. In seguito, i poliziotti restituirono ai richiedenti i loro passaporti e li invitarono a lasciare l’aeroporto.
15. I richiedenti si recarono subito al pronto soccorso dell’ospedale “San Carlo di Nancy” di Roma, dove furono esaminati alle 21 h 30 circa. I medici dell’ospedale constatarono presso il primo richiedente un trauma cranico, delle molteplici escoriazioni alla schiena, ai polsi, nella zona posteriore auricolare sinistra, nella zona latéro-cervicale destra ed una possibile lesione all’epifisi distale della radio destro.
16. Per ciò riguardava il secondo richiedente, i medici fecero stato di una distorsione dei due polsi, di una contusione della tibia sinistra con escoriazioni, di un trauma cranico, di un ematoma nella regione frontale, della presenza di ecchimosi sulla parte sinistra del viso, nella zona posteriore auricolare sinistra e sulla parte anteriore della gamba sinistra.
La querela dei richiedenti per cattivi trattamenti ed il procedimento aperto a loro carico
17. Il 2 luglio 2002, i richiedenti depositarono querela contro tre agenti di polizia non identificati per i reati di lesioni, sequestro di persona ed abuso di potere.
18. Il 4 luglio 2002, la Sig.ra W., una cittadina americana che era transitata all’aeroporto di Fiumicino il 30 giugno, depositò una testimonianza presso lo studio dell’avvocato dei richiedenti. Affermò di avere assistito ai fatti controversi e confermò la versione fornita dai richiedenti.
19. In particolare, manifestò di avere visto il primo richiedente mentre parlava con tre agenti di polizia da cui uno, molto agitato, lo spingeva verso una porta. Il richiedente che non era aggressivo, si limitava a richiedere in inglese ai poliziotti di non toccarlo e provava a resistere ai tentativi di questi di farlo entrare nell’ufficio. Il primo richiedente ed il secondo che erano intervenuti in soccorso di suo padre, furono portati infine all’interno e, una volta chiusa la porta, il testimone poté sentire delle urla provenienti dal locale.
Alla Sig.ra OMISSIS ed a sua figlia, molto inquiete, fu impedito di entrare nell’ufficio dagli agenti.
20. L’ 8 luglio 2002, quattro agenti di polizia informarono il procuratore della Repubblica del fatto che, il 30 giugno 2002, i richiedenti avevano commesso dei reati di violenza e di resistenza verso i funzionari pubblici, contemplati agli articoli 336 e 337 del codice penale.
21. Secondo la loro esposizione dei fatti, in seguito ad un controllo di passaporto di una donna adulta di origine orientale effettuata da uno di essi, incaricato del servizio antiterrorismo dell’aeroporto, i richiedenti, rispettivamente marito e figlio della donna, si erano introdotti con la forza nella sala di consegna dei bagagli la cui entrata è vietata alle persone non autorizzate. Il primo richiedente aveva chiesto prima, in inglese ed in modo agitato, delle spiegazioni al poliziotto e poi, di fronte agli inviti di questo a tenere la calma ed a seguirlo nell’ufficio della polizia per un controllo di identità, i due richiedenti l’avevano aggredito fisicamente. L’intervento degli altri poliziotti si era rivelato necessario per fare fronte alla violenza dei richiedenti e riuscire a condurli nell’ufficio per potere identificarli. All’interno dell’ufficio, i due richiedenti erano stati ammanettati il tempo necessario per ristabilire l’ordine. Infine, dopo l’esame medico compiuto sul secondo richiedente da parte dei medici del pronto soccorso dell’aeroporto che erano stati chiamati dai poliziotti, questi ultimi avevano redatto un processo verbale ed avevano invitato i richiedenti a lasciare i luoghi.
22. I quattro agenti avrebbero subito delle contusioni molteplici alle braccia ed alle gambe, certificate il giorno stesso dai medici del pronto soccorso dell’aeroporto e confermate in seguito dal servizio medico della polizia fiscale.
23. I due procedimenti penali furono riuniti dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Civitavecchia.
24. Il 31 ottobre 2003, il ministero pubblico chiese l’archiviazione senza seguito delle querele. Il 12 dicembre 2003, i richiedenti si opposero e chiesero l’ascolto della Sig.ra W. così come di loro moglie e madre, la Sig.ra OMISSIS.
25. Con una decisione del 13 ottobre 2004, il giudice delle investigazioni preliminari di Civitavecchia ordinò l’archiviazione senza seguito delle querele riunite. Affermò che, avuto riguardo alle differenti versioni dei fatti forniti dalle parti, era impossibile stabilire se l’intervento dei poliziotti fosse stato legittimo e se la loro condotta fosse stata proporzionata al comportamento dei richiedenti.
26. Secondo il giudice, da una parte, l’intervento degli agenti di polizia incaricati della sicurezza dell’aeroporto era stato giustificato dal comportamento scorretto del primo richiedente che si era introdotto con la forza nella sala di consegna dei bagagli a dispetto dell’interdizione, rendendo così necessario il controllo di identità che aveva generato lo scontro fisico in seguito. Il giudice osservò a questo riguardo che l’intervento iniziale dei poliziotti era giustificato alla vista delle consegne assegnate agli agenti destinati al controllo dell’aeroporto.
D’altra parte, la Sig.ra OMISSIS avendo dei tratti orientali, era probabile che le proteste del primo richiedente erano state motivate dai sospetti di un atteggiamento discriminatorio verso sua moglie. Anche se le difficoltà linguistiche e lo stato emozionale dei richiedenti non avevano permesso ai due cittadini francesi di esprimere correttamente il loro punto di vista, il loro atteggiamento, in un primo tempo, non poteva essere qualificato come violento o sproporzionato.
27. Inoltre, il giudice sottolineò che tanto gli agenti di polizia che i richiedenti avevano subito delle lesioni. Sostenne che la natura delle lesioni di questi ultimi era compatibile con lo scopo di immobilizzarli e confermava la versione dei fatti forniti dagli agenti di polizia, piuttosto che la tesi dei richiedenti, poco credibile, dei maltrattamenti.
28. Infine, riferendosi ai processi verbali delle dichiarazioni della Sig.ra W. raccolti dall’avvocato dei richiedenti all’epoca delle investigazioni preliminari, il giudice affermò che la testimonianza del testimone oculare dei fatti non forniva alcuna delucidazioni in quanto all’origine della disputa, la Sig.ra W. avendo assistito solamente ai tentativi degli agenti di condurre il primo richiedente nell’ufficio della polizia allo scopo di identificarlo, il che dipendeva manifestamente dall’esercizio legittimo delle loro funzioni.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
29. Ai sensi dell’articolo 11 della decreto legge no 59 del 21 marzo 1978:
“Gli ufficiali e gli agenti di polizia possono accompagnare nei loro locali chiunque neghi di dichiarare la sua identità e possono trattenerlo il tempo necessario per identificarlo ma, in ogni caso, non più delle ventiquattro.
Questa disposizione si trova ad applicare anche se esistono degli indizi sufficienti per considerare che le dichiarazioni fatte o i documenti esibiti dalla persona controllata sono falsi.”
IN DIRITTO
I. SU L’OGGETTO DELLA RICHIESTA
30. I richiedenti adducono che la loro detenzione nei locali della polizia fiscale dell’aeroporto di Fiumicino è stata arbitraria e contraria alla legge. Invocano l’articolo 5 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, si legge così:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà ed alla sicurezza. Nessuno può essere privato della sua libertà, salvo nei seguenti casi e secondo le vie legali: (…)
b) se è stato oggetto di un arresto o di una detenzione regolare in vista di garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge .”
31. Si lamentano poi di trattamenti disumani e degradanti subiti durante la loro detenzione da parte della polizia ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. Adducono anche che, decidendo di archiviare senza seguito la loro querela, le autorità giudiziali hanno rinunciato a condurre un’inchiesta giudiziale approfondita ed effettiva.
32. L’articolo 3 della Convenzione è formulato così:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
II. SULL’AMMISSIBILITÀ
33. La Corte constata che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. C’è luogo dunque di dichiararla ammissibile.
III. SUL MERITO
A. in quanto alla violazione addotta dell’articolo 5 § 1 della Convenzione
1. Tesi delle parti
34. Il Governo afferma innanzitutto che la permanenza degli interessati nei locali della polizia è durata solamente un’ora e mezza, dalle 18 h 30 alle 20 h 00, o un tempo ragionevole.
Poi, sostiene che la detenzione dei richiedenti era necessaria alla vista della legislazione in vigore. Così, in un primo tempo, gli agenti di polizia furono costretti di arrestare i richiedenti e di iniziare il procedimento di identificazione previsto dall’articolo 11 del decreto no 59 del 1978 in ragione del comportamento dubbio di questi nella zona invalicabile di un aeroporto internazionale e del loro rifiuto di farsi identificare. La resistenza opposta dai richiedenti e gli atti di violenza compiuti all’interno dei locali della polizia aveva potuto portare in seguito, solamente le forze dell’ordine ad applicare il procedimento di identificazione previsto dal codice di procedimento penale ed ad aprire una pratica giudiziale a loro carico.
35. Secondo il Governo, l’ingerenza nel diritto alla libertà dei richiedenti era conforme alle vie legali dunque, inseguiva uno scopo legittimo, ossia la protezione dell’ordine pubblico, ed era proporzionata allo scopo previsto.
36. Infine, tiene a sottolineare che i fatti controversi furono provocati da un pregiudizio dei richiedenti nei confronti degli agenti di polizia nell’esercizio legittimo delle loro funzioni, il che non potrebbe essere considerato come accettabile in uno Stato di diritto.
37. I richiedenti adducono di essere stati privati della loro libertà per due ore e mezza, senza che nessuna decisione formale venisse presa, né nessuno controllo giudiziale venisse effettuato. Fanno valere a questo proposito che nessuna pratica giudiziale fu aperta contro loro alla conclusione della loro detenzione da parte della polizia.
38. Affermano che la detenzione, che qualificano come “sequestro aggravato”, non era prevista dalla legge e non era giustificata per niente dalle circostanze dello specifico. A questo riguardo, sottolineano che il controllo di identità controverso era di natura discriminatoria e non era giustificato, poiché il famiglia OMISSIS transitava nello spazio Schengen e non si trovava in una zona vietata dell’aeroporto. Per di più, secondo la versione dei fatti forniti dagli agenti di polizia, questi avevano deciso di controllare l’identità della Sig.ra OMISSIS solo in ragione dei suoi tratti orientali.
2. Valutazione della Corte
39. La Corte ricorda che l’articolo 5 § 1 richiede da prima la “regolarità” della detenzione, ivi compresa l’osservazione delle vie legali. In materia la Convenzione rinvia essenzialmente alla legislazione nazionale ed enuncia l’obbligo di rispettarne le disposizioni normative e procedurali, ma comanda per di più la conformità di ogni privazione di libertà allo scopo dell’articolo 5: proteggere l’individuo contro l’arbitrarietà. L’articolo 5 § 1 enumera i casi in cui la Convenzione permette di privare una persona della sua libertà. Questo elenco riveste un carattere esauriente e la sola un’interpretazione stretta quadra con lo scopo di questa disposizione: garantire che nessuno sia privato arbitrariamente della sua libertà (Vasileva c. Danimarca, no 52792/99, 25 settembre 2003, §§ 32-33; K. – F. c. Germania, 27 novembre 1997, § 70, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VII).
Su questo ultimo punto, la Corte sottolinea che quando si tratta di una privazione di libertà, è particolarmente importante soddisfare il principio generale della sicurezza giuridica. Di conseguenza, è essenziale che le condizioni della privazione di libertà in virtù del diritto interno siano definite chiaramente e che la legge stessa sia prevedibile nella sua applicazione, in modo da assolvere il criterio di “legalità” fissato dalla Convenzione che esige che ogni legge sia sufficientemente precisa per evitare ogni rischio di arbitrarietà (Nasrulloyev c. Russia, no 656/06, § 71, 1 ottobre 2007; Khudoyorov c. Russia, no 6847/02, § 125, CEDH 2005-X (brani); Ječius c. Lithuanie, no 34578/97, § 56, CEDH 2000-IX; Baranowski c. Polonia, no 28358/95, §§ 50-52, CEDH 2000-III, ed Amuur c. Francia, sentenza del 25 giugno 1996, Raccolta 1996-III).
40. I richiedenti contestano che la loro detenzione sia stata coperta da uno dei motivi che figurano nel paragrafo primo dell’articolo 5.
41. La Corte osserva che il giudice delle investigazioni preliminari di Civitavecchia ha constatato che i richiedenti sono stati condotti negli uffici della polizia dell’aeroporto in ragione del loro rifiuto di sottoporsi ad un controllo di identità. A questo riguardo, si è costretti a constatare che i due richiedenti non negano di essersi opposti al controllo di identità, limitandosi a contestare la legittimità di suddetto controllo da parte della polizia, che considerano discriminatorio ed illegale.
42. La Corte osserva che la legge italiana presrive l’obbligo di dichiarare la sua identità e contempla la possibilità di considerare nei locali della polizia ogni persona che nega di liberarsi da questo obbligo, paragrafo 29 sopra. Secondo lei, la ritenzione dei richiedenti è stata quindi decisa in vista di garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge, ai sensi dell’articolo 5 § 1 b, della Convenzione (Reyntjens c. Belgio, no 16810/90, decisione della Commissione del 9 settembre 1992, Decisione e Rapporti, (DR, 73, p,). 136; Epple c. Germania, no 77909/01, § 36, 24 marzo 2005).
43. La Corte ricorda che, affinché la detenzione controversa sia giustificata allo sguardo dell’articolo 5 § 1 b) l’obbligo in questione deve essere specifico e concreto, l’interessato deve trascurare di assolverlo e l’arresto e la detenzione devono avere per scopo garantire l’esecuzione di questo. Inoltre, appena viene soddisfatto l’obbligo mirato, la base della detenzione smette di esistere. Infine, bisogna stabilire un equilibrio tra la necessità in una società democratica di garantire l’esecuzione immediata dell’obbligo di cui si tratta e l’importanza del diritto alla libertà. A questo riguardo, la Corte terrà conto della natura dell’obbligo, ivi compreso il suo oggetto e del suo scopo sottostante, della persona detenuta e delle circostanze particolari che hanno portato alla sua detenzione e, alla fine, della durata di questa (Vasileva precitata §§ 37-38; Iliya Stefanov c. Bulgaria, no 65755/01, § 71, 22 maggio 2008).
44. Ora, la Corte ha considerato già che l’obbligo di collaborare con la polizia e di fornire la sua identità, anche in mancanza di sospetti di avere commesso una violazione, costituisce un obbligo sufficientemente “concreto e specifico” per potere dipendere dall’articolo 5 § 1 b) della Convenzione (Vasileva, precitata, § 39).
45. Peraltro, osserva che i richiedenti, di rispettivamente cinquantaquattro e diciannove anni, furono considerati dalla polizia per due ore e mezzo, o dalle 18 h 30 alle 21 h 30 al più tardi (vedere sopra paragrafi 15).
46. La Corte stima che la breve durata della detenzione dei richiedenti nell’ufficio di polizia e le circostanze dello specifico permettono di concludere che un giusto equilibrio è stato rispettato tra l’importanza di garantire l’esecuzione immediata dell’obbligo in questione e quella del diritto alla libertà dei richiedenti.
47. Ne segue che non c’è stata violazione dell’articolo 5 § 1 della Convenzione nello specifico.
B. in quanto alla violazione addotta dell’articolo 3 della Convenzione
1. Tesi delle parti
48. Il Governo afferma innanzitutto che le lesioni, molto leggere, subite dai richiedenti sono state indotte dall’opposizione di questi alle operazioni di controllo condotte dai poliziotti nell’esercizio legittimo delle loro funzioni. Le lesioni non sono state inflitte quindi, intenzionalmente dagli agenti dello stato e non sono state perseguite per fini vietati dalla legge.
49. Peraltro, nessun trattamento degradante, proprio ad umiliare, avvilire o creare dei sentimenti di paura e di angoscia non è stato provato dai richiedenti. Il Governo ricorda che la durata della detenzione nei locali della polizia non potrebbe essere qualificata come eccessiva. In quanto alle affermazioni che hanno fatto riferimento agli impedimenti di utilizzare il telefono o di bere dell’acqua, osserva da prima che il diritto invocato dai richiedenti di contattare le autorità diplomatiche o un avvocato nella cornice di una breve detenzione non è garantito dalla Convenzione. Inoltre, un’attesa di un’ora e mezza, o la durata globale del mantenimento degli interessati nei locali della polizia, è una circostanza che non potrebbe raggiungere in nessun caso la soglia minima di gravità prevista all’articolo 3 della Convenzione.
50. I richiedenti sostengono di essere stati oggetto di violenze fisiche e psicologiche da parte dei poliziotti. Le lesioni subite, certificate dai differenti medici che li hanno esaminati, rappresentano la manifestazione dell’uso della forza fisica su delle persone private della libertà e vulnerabili, inaccettabile in una società democratica.
2. Valutazione della Corte
51. La Corte ricorda che l’articolo 3 consacra uno dei valori fondamentali delle società democratiche. Anche nelle circostanze più difficili, come la lotta contro il terrorismo ed il crimine organizzato, la Convenzione proibisce in termini assoluti la tortura e pene o trattamenti disumani o degradanti. L’articolo 3 non contempla restrizioni, nella qual cosa contrasta con la maggioranza delle clausole normative della Convenzione e dei Protocolli numeri 1 e 4, e secondo l’articolo 15 § 2 non soffre di nessuna deroga , anche in caso di pericolo pubblico che minaccia la vita della nazione (Selmouni c. Francia [GC], no 25803/94, § 95, CEDH 1999-V).
52. Un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravità per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3. La valutazione di questo minimo è relativa per essenza; dipende dall’insieme dei dati della causa e, in particolare, della durata del trattamento, dai suoi effetti fisici o mentali così come talvolta, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima.
53. Per valutare gli elementi che le permettono di dire se c’è stata violazione dell’articolo 3, la Corte aderisce al principio della prova “al di là di ogni ragionevole dubbio “, ma aggiunge che tale prova può risultare da un fascio di indizi, o di presunzioni non confutate, sufficientemente gravi, precise e concordanti (Jalloh c. Germania [GC], no 54810/00, § 67, CEDH 2006-IX; Ramirez Sanchez c. Francia [GC], no 59450/00, § 117, CEDH 2006-IX). Peraltro, quando un individuo si trova privato della sua libertà, l’utilizzazione a suo riguardo della forza fisica mentre non è resa rigorosamente necessaria dal suo comportamento reca offesa alla dignità umana e costituisce, in principio, una violazione del diritto garantito dall’articolo 3 (Ribitsch c. Austria, sentenza del 4 dicembre 1995, serie A no 336, § 38, e Tekin c. Turchia, sentenza del 9 giugno 1998, Raccolta 1998-IV, §§ 52-53).
54. Parimenti, l’articolo 3 non proibisce il ricorso alla forza da parte degli agenti di polizia all’epoca di un’interpellanza. Tuttavia, il ricorso alla forza deve essere proporzionato e necessario alla vista delle circostanze dello specifico (vedere, tra molte altre, Rehbock c. Slovenia, no 29462/95, § 76, CEDH 2000-XII; Altay c. Turchia, no 22279/93, § 54, 22 maggio 2001). Qualunque sia la conclusione del procedimento impegnato sul piano interno, una constatazione di colpevolezza o meno non potrebbe esentare lo stato convenuto dalla sua responsabilità allo sguardo della Convenzione; appartiene a lui fornire una spiegazione plausibile sull’origine delle lesioni in mancanza di cui l’articolo 3 si trova ad applicare (Selmouni, precitata, § 87; Ribadisti c. Francia, no 59584/00, § 38, 1 aprile 2004).
55. In caso di affermazioni sul terreno dell’articolo 3 della Convenzione, la Corte deve concedersi ad un esame particolarmente approfondito (Vladimir Romanov c. Russia, no 41461/02, § 59, 24 luglio 2008). Quando c’è stato un procedimento interno, non entra tuttavia nelle attribuzioni della Corte di sostituire la sua propria visione delle cose a quella dei corsi e dei tribunali interni ai quali appartiene in principio di soppesare i dati raccolti da loro (Jasar c. l’ex-repubblica iugoslava di Macedonia, no 69908/01, § 49, 15 febbraio 2007). Anche se le constatazioni dei tribunali interni non vincolano la Corte, le occorrono tuttavia degli elementi convincenti per potere scostarsi dalle constatazioni alle quali sono giunti.
56. Nello specifico, il Governo non contesta che la forza è stata utilizzata dai poliziotti per dominare i richiedenti. Inoltre, non è obiettato neanche che le lesioni dei richiedenti sono sopraggiunte durante la loro detenzione nei locali della polizia, mentre si trovavano interamente sotto il controllo dei funzionari di polizia. In compenso, il Governo nega che le lesioni sofferte dai richiedenti abbiano raggiunto una soglia di gravità sufficiente a ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione.
57. La Corte osserva al primo colpo che i certificati medici concernenti i richiedenti, preparati subito dopo la loro liberazione, attestano traumi cranici, delle multipli contusioni ai polsi, al viso e agli arti superiori ed inferiori. Sulla base di questi elementi di prova, che il Governo non ha contestato, la Corte stima che la gravità delle lesioni corporali constatate dimostra che i richiedenti sono stati sottomessi a trattamenti i cui effetti superano la soglia di gravità sufficiente a ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione( Afanassïev c. Ucraina, no 38722/02, § 61, 5 aprile 2005; Sashov ed altri c. Bulgaria, no 14383/03, § 49, 7 gennaio 2010).
58. Quindi, appartiene alla Corte di ricercare se la forza utilizzata era, nello specifico, proporzionata.
La Corte rileva innanzitutto che i richiedenti erano sconosciuti alle forze di polizia. Inoltre, secondo la ricostruzione dei fatti effettuati dal giudice delle investigazioni preliminari sulla base delle dichiarazioni di un testimone, il comportamento del primo richiedente, sebbene poco collaborativo, non era né violento né sproporzionato all’epoca della sua interpellanza (vedere paragrafo 26 sopra).
59. Le violenze furono scatenate dal tentativo dei poliziotti di condurre il primo richiedente nell’ufficio di polizia per effettuare il controllo di identità al quale aveva negato di sottoporsi e di cui contestava la legittimità. Il secondo richiedente, appena maggiorenne all’epoca dei fatti, intervenne a favore di suo padre.
60. Il Governo sostiene che il ricorso alla forza era necessario per fare fronte all’aggressione fisica perpetrata dai richiedenti verso i poliziotti.
Ora, se le versioni delle parti divergono in quanto allo svolgimento dei fatti dentro ai locali di polizia, la Corte non potrebbe ignorare che anche i quattro agenti sono stati feriti all’epoca degli avvenimenti, paragrafo 22 sopra. Peraltro, i richiedenti non hanno negato di avere opposto una certa resistenza ai poliziotti.
61. In queste condizioni, la Corte è pronta ad ammettere la necessità di esercitare una forma di costrizione per evitare degli eventuali eccessi ed impedire che i richiedenti diventassero violenti ( a contrario, Darraj c. Francia, no 34588/07, § 43, 4 novembre 2010). Però, anche supponendo che la costrizione sia stata, in una certa misura, “necessaria” a causa del comportamento aggressivo dei richiedenti, la Corte non è convinta che sia stata “proporzionale.”
62. Nota che i quattro poliziotti erano presenti per dominare i due richiedenti. Peraltro, se una parte delle lesioni subite dagli interessati, in particolare a livello delle braccia e delle gambe, sembrano compatibili con lo scopo di immobilizzarli e di mettere loro le manette, paragrafo 27 sopra, né le autorità nazionali né il Governo hanno spiegato l’origine delle numerose lesioni a livello della testa e del viso dei richiedenti.
63. Inoltre, i richiedenti che erano stranieri ed avevano delle difficoltà linguistiche, furono posti in due locali separati durante la loro detenzione. Durante questo tempo, la Sig.ra OMISSIS e sua figlia minorenne a cui era stato impedito di entrare nell’ufficio, si trovavano in un stato di inquietudine comprensibile e restarono senza nuove dei loro prossimi.
64. La Corte considera che questa situazione era di natura tale da generare presso i richiedenti delle sofferenze fisiche e mentali e, tenuto conto delle circostanze dello specifico, creare anche dei sentimenti di paura, di angoscia e di inferiorità propri ad umiliare, avvilire e rompere eventualmente la loro resistenza fisica e mentale. Sono questi elementi che portano la Corte a considerare che i trattamenti inflitti ai richiedenti hanno rivestito un carattere disumano e degradante.
65. In conclusione, stima che il Governo non ha dimostrato, nelle circostanze dello specifico, che l’uso della forza contro i richiedenti era proporzionato (vedere, a contrario, sentenze Caloc c. Francia, no 33951/96, §§ 100-101, CEDH 2000-IX; Milano c. Francia, no 7549/03, § 65, 24 gennaio 2008).
66. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
67. Peraltro, tenuto conto dell’insieme dei fatti della causa e degli argomenti delle parti, la Corte considera che non c’è luogo, nelle circostanze dello specifico, di deliberare separatamente sul motivo di appello derivato dall’aspetto rigorosamente procedurale dell’articolo 3.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
68. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
69. I richiedenti non hanno fatto richiesta di soddisfazione equa. Pertanto, la Corte stima che non c’è luogo di concedere loro nessuna somma a questo titolo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 5 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione;
4. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare il restante della richiesta.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 5 aprile 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Francesca Tulkens
Cancelliere Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusion Non-violation de l’art. 5-1; Violation de l’art. 3.
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE SARIGIANNIS c. ITALIE
(Requête no 14569/05)
ARRÊT
STRASBOURG
5 avril 2011
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Sarigiannis c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Danutė Jočienė,
Ireneu Cabral Barreto,
Dragoljub Popović,
Giorgio Malinverni,
Işıl Karakaş,
Guido Raimondi, juges,
David Thór Björgvinsson,
András Sajó, juges suppléants,
et de Stanley Naismith, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 15 mars 2011,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 14569/05) dirigée contre la République italienne et dont deux ressortissants français, MM. OMISSIS (« les requérants »), respectivement père et fils, ont saisi la Cour le 11 avril 2005 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »). Le 5 septembre 2007, le deuxième requérant a informé la Cour du décès du premier requérant et a manifesté le souhait de continuer dans la procédure en son nom propre et au nom de son père. La veuve et la fille de M. OMISSIS ont également manifesté leur intérêt à poursuivre la procédure. Pour des raisons d’ordre pratique, la Cour continuera d’appeler MM. OMISSIS respectivement « le premier requérant » et « le deuxième requérant ».
2. Les requérants sont représentés par Me M. N., avocat à Paris. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Mme E. Spatafora, et par son coagent, M. N. Lettieri.
3. Les requérants alléguaient en particulier une violation des articles 3 et 5 de la Convention pour mauvais traitements et détention irrégulière lors d’un contrôle d’identité à l’aéroport de Rome.
4. Le 15 juin 2006, la Cour a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Se prévalant des dispositions de l’article 29 § 3 de la Convention, elle a décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le bien-fondé de l’affaire.
5. Informé de la requête, le gouvernement français n’a pas souhaité exercer le droit que lui reconnaît l’article 36 § 1 de la Convention.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
6. Les requérants sont nés respectivement en 1948 et 1983. Lors de l’introduction de la requête, ils résidaient à Franconville.
7. Le 30 juin 2002, à 18 h 30 environ, le premier requérant arriva à l’aéroport « Leonardo da Vinci » de Fiumicino par un vol en provenance de Paris. Il était accompagné de son fils aîné, le deuxième requérant, ainsi que de son épouse, Mme Sarigiannis, et de sa fille.
8. Quelques minutes plus tard, alors que le premier requérant venait de quitter la salle de livraison des bagages, il s’aperçut que deux agents de la police fiscale (« Guardia di Finanza ») avaient interpellé son épouse, qui se trouvait encore dans ladite salle, pour un contrôle des passeports.
9. Le premier requérant, revenant sur ses pas, s’approcha des agents de police en demandant des explications et ceux-ci lui intimèrent l’ordre de montrer à son tour son passeport. Le requérant réitérant sa demande d’explications, les deux policiers, ainsi que deux autres qui étaient entre-temps arrivés sur les lieux, le poussèrent violemment en direction d’un bureau. Le deuxième requérant, intervenu au secours de son père, fut lui-aussi poussé dans la pièce dont la porte fut aussitôt fermée.
Mme OMISSIS essaya de rejoindre les deux requérants à l’intérieur de la pièce mais fut repoussée vers l’extérieur par les policiers.
10. Selon les requérants, une fois à l’intérieur du bureau, ils furent immédiatement menottés et frappés au visage et à la tête par les quatre agents.
11. Par la suite, le premier requérant fut transporté dans une pièce contiguë où il fut jeté à terre et frappé à nouveau. Il affirme que les agents l’empêchèrent d’utiliser le téléphone pour appeler l’ambassade de France ou son avocat et ne lui donnèrent à boire un verre d’eau qu’après une heure et demie d’attente.
12. Au bout de deux heures, les agents invitèrent les requérants à se faire examiner par les médecins du service médical de l’aéroport. Le premier requérant s’y opposa et refusa également de signer un document attestant son opposition. Cette réticence aurait engendré d’autres menaces de la part des agents.
13. En revanche, le deuxième requérant, toujours placé à l’écart de son père dans le premier bureau, accepta d’être examiné. Dans un rapport établi à 20 heures, le médecin de l’aéroport certifia la présence de contusions dans la région frontale et à la nuque.
14. Par la suite, les policiers remirent aux requérants leurs passeports et les invitèrent à quitter l’aéroport.
15. Les requérants se rendirent aussitôt aux urgences de l’hôpital « San Carlo di Nancy » de Rome, où ils furent examinés à 21 h 30 environ. Les médecins de l’hôpital constatèrent chez le premier requérant un traumatisme crânien, des excoriations multiples au dos, aux poignets, dans la zone arrière auriculaire gauche, dans la zone latéro-cervicale droite et une possible lésion à l’épiphyse distale du radius droit.
16. Pour ce qui était du deuxième requérant, les médecins firent état d’une torsion des deux poignets, d’une contusion du tibia gauche avec excoriations, d’un traumatisme crânien, d’un hématome dans la région frontale, de la présence d’ecchymoses sur la partie gauche du visage, dans la zone arrière auriculaire gauche et sur la partie antérieure de la jambe gauche.
La plainte des requérants pour mauvais traitements et la procédure ouverte à leur encontre
17. Le 2 juillet 2002, les requérants déposèrent plainte contre trois agents de police non identifiés pour les délits de lésions, séquestration de personnes et abus de pouvoir.
18. Le 4 juillet 2002, Mme W., une ressortissante américaine qui avait transité à l’aéroport de Fiumicino le 30 juin, déposa un témoignage auprès du cabinet de l’avocat des requérants. Elle affirma avoir assisté aux faits litigieux et confirma la version fournie par les requérants.
19. En particulier, elle témoigna avoir vu le premier requérant en train de parler avec trois agents de police, dont l’un, très agité, le poussait vers une porte. Le requérant, qui n’était pas agressif, se bornait à réclamer en anglais aux policiers de ne pas le toucher et essayait de résister aux tentatives de ceux-ci de le faire entrer dans le bureau. Le premier requérant et le deuxième, qui était intervenu au secours de son père, furent enfin tirés à l’intérieur et, une fois la porte fermée, le témoin put entendre des hurlements en provenance de la pièce.
Mme OMISSIS et sa fille, très inquiètes, furent empêchées par les agents d’entrer dans le bureau.
20. Le 8 juillet 2002, quatre agents de police informèrent le procureur de la République de ce que, le 30 juin 2002, les requérants avaient commis les délits de violence et résistance envers des fonctionnaires publics, prévus aux articles 336 et 337 du code pénal.
21. D’après leur exposé des faits, à la suite d’un contrôle de passeport d’une femme adulte d’origine orientale effectué par l’un d’entre eux, chargé du service d’antiterrorisme de l’aéroport, les requérants, respectivement époux et fils de la femme, s’étaient introduits de force dans la salle de livraison des bagages dont l’entrée est interdite aux personnes non autorisées. Le premier requérant avait d’abord demandé, en anglais et de façon agitée, des explications au policier et ensuite, face aux invitations de celui-ci à garder son calme et à le suivre dans le bureau de la police pour un contrôle d’identité, les deux requérants l’avaient agressé physiquement. L’intervention des autres policiers s’était avérée nécessaire pour faire face à la violence des requérants et parvenir à les conduire dans le bureau afin de pouvoir les identifier. A l’intérieur du bureau, les deux requérants avaient été menottés le temps nécessaire pour rétablir l’ordre. Enfin, après l’examen médical accompli sur le deuxième requérant par les médecins des urgences de l’aéroport qui avaient été appelés par les policiers, ces derniers avaient rédigé un procès verbal et invité les requérants à quitter les lieux.
22. Les quatre agents auraient subi des contusions multiples aux bras et aux jambes, certifiées le jour même par les médecins des urgences de l’aéroport et confirmées par la suite par le service médical de la police fiscale.
23. Les deux procédures pénales furent réunies par le procureur de la République près le tribunal de Civitavecchia.
24. Le 31 octobre 2003, le ministère public demanda le classement sans suite des plaintes. Le 12 décembre 2003, les requérants s’y opposèrent et demandèrent l’audition de Mme W. ainsi que de leur épouse et mère, Mme OMISSIS.
25. Par une décision du 13 octobre 2004, le juge des investigations préliminaires de Civitavecchia ordonna le classement sans suite des plaintes réunies. Il affirma que, eu égard aux différentes versions des faits fournies par les parties, il était impossible d’établir si l’intervention des policiers avait été légitime et si leur conduite avait été proportionnée au comportement des requérants.
26. Selon le juge, d’une part, l’intervention des agents de police chargés de la sécurité de l’aéroport avait été justifiée par le comportement incorrect du premier requérant, qui s’était introduit dans la salle de livraison des bagages en dépit de l’interdiction en vigueur, rendant ainsi nécessaire le contrôle d’identité qui avait par la suite engendré l’affrontement physique. Le juge observa à cet égard que l’intervention initiale des policiers était justifiée au vu des consignes imparties aux agents affectés au contrôle de l’aéroport.
D’autre part, Mme OMISSIS ayant des traits orientaux, il était probable que les protestations du premier requérant avaient été motivées par les soupçons d’une attitude discriminatoire envers sa conjointe. Même si les difficultés linguistiques et l’état émotionnel des requérants n’avaient pas permis aux deux ressortissants français d’exprimer correctement leur point de vue, leur attitude, dans un premier temps, ne pouvait pas être qualifiée de violente ou disproportionnée.
27. En outre, le juge souligna que tant les agents de police que les requérants avaient subi des lésions. Il soutint que la nature des blessures de ces derniers était compatible avec le but de les immobiliser et confirmait la version des faits fournie par les agents de police, plutôt que la thèse des requérants, peu crédible, de mauvais traitements.
28. Enfin, se référant aux procès verbaux des déclarations de Mme Wilkes recueillies par l’avocat des requérants lors des investigations préliminaires, le juge affirma que le témoignage du témoin oculaire des faits ne fournissait pas d’éclaircissements quant à l’origine de la dispute, Mme Wilkes ayant assisté seulement aux tentatives des agents de conduire le premier requérant dans le bureau de la police dans le but de l’identifier, ce qui relevait manifestement de l’exercice légitime de leurs fonctions.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
29. Au sens de l’article 11 du décret loi no 59 du 21 mars 1978 :
« Les officiers et les agents de police peuvent accompagner dans leurs locaux quiconque refuse de déclarer son identité et peuvent le retenir le temps nécessaire pour l’identifier mais, en tout cas, pas plus de vingt-quatre heures.
Cette disposition trouve à s’appliquer également s’il existe des indices suffisants pour considérer que les déclarations faites ou les documents exhibés par la personne contrôlée sont faux ».
EN DROIT
I. SUR L’OBJET DE LA REQUÊTE
30. Les requérants allèguent que leur détention dans les locaux de la police fiscale de l’aéroport de Fiumicino a été arbitraire et contraire à la loi. Ils invoquent l’article 5 § 1 de la Convention qui, dans ses parties pertinentes, se lit ainsi :
« 1. Toute personne a droit à la liberté et à la sûreté. Nul ne peut être privé de sa liberté, sauf dans les cas suivants et selon les voies légales : (…)
b) s’il a fait l’objet d’une arrestation ou d’une détention régulières (…) en vue de garantir l’exécution d’une obligation prescrite par la loi (…) ».
31. Ils se plaignent ensuite de traitements inhumains et dégradants subis pendant leur détention policière au sens de l’article 3 de la Convention. Ils allèguent également que, en décidant de classer sans suite leur plainte, les autorités judiciaires ont renoncé à mener une enquête judiciaire approfondie et effective.
32. L’article 3 de la Convention est ainsi libellé :
« Nul ne peut être soumis à la torture ni à des peines ou traitements inhumains ou dégradants. »
II. SUR LA RECEVABILITÉ
33. La Cour constate que la requête n’est pas manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 de la Convention et ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il y a donc lieu de la déclarer recevable.
III. SUR LE FOND
A. Quant à la violation alléguée de l’article 5 § 1 de la Convention
1. Thèses des parties
34. Le Gouvernement affirme tout d’abord que la permanence des intéressés dans les locaux de la police n’a duré qu’une heure et demie, de 18 h 30 à 20 h 00, soit un temps raisonnable.
Ensuite, il soutient que la rétention des requérants était nécessaire au vu de la législation en vigueur. Ainsi, dans un premier temps, les agents de police furent contraints d’arrêter les requérants et d’entamer la procédure d’indentification prévue par l’article 11 du décret no 59 de 1978 en raison du comportement douteux de ceux-ci dans la zone infranchissable d’un aéroport international et de leur refus de se faire identifier. Par la suite, la résistance opposée par les requérants et les actes de violence accomplis dans l’enceinte des locaux de la police n’avaient pu qu’amener les forces de l’ordre à appliquer la procédure d’identification prévue par le code de procédure pénale et à ouvrir un dossier judiciaire à leur encontre.
35. Selon le Gouvernement, l’ingérence dans le droit à la liberté des requérants était donc conforme aux voies légales, poursuivait un but légitime, à savoir la protection de l’ordre public, et était proportionnée au but visé.
36. Enfin, il tient à souligner que les faits litigieux furent provoqués par un préjugé des requérants vis-à-vis d’agents de police dans l’exercice légitime de leurs fonctions, ce qui ne saurait être considéré comme acceptable dans un Etat de droit.
37. Les requérants allèguent avoir été privés de leur liberté pendant deux heures et demie, sans qu’aucune décision formelle n’ait été prise, ni aucun contrôle judiciaire effectué. Ils font valoir à ce propos qu’aucun dossier judiciaire ne fut ouvert contre eux à l’issue de leur détention policière.
38. Ils affirment que la détention, qu’ils qualifient de « séquestration aggravée », n’était pas prévue par la loi et n’était nullement justifiée par les circonstances de l’espèce. A cet égard, ils soulignent que le contrôle d’identité litigieux était de nature discriminatoire et n’était pas justifié, puisque la famille Sarigiannis transitait dans l’espace Schengen et ne se trouvait point dans une zone interdite de l’aéroport. De surcroît, d’après la version des faits fournie par les agents de police, ceux-ci n’avaient décidé de contrôler l’identité de Mme Sarigiannis qu’en raison de ses traits orientaux.
2. Appréciation de la Cour
39. La Cour rappelle que l’article 5 § 1 requiert d’abord la « régularité » de la détention, y compris l’observation des voies légales. En la matière la Convention renvoie pour l’essentiel à la législation nationale et énonce l’obligation d’en respecter les dispositions normatives et procédurales, mais elle commande de surcroît la conformité de toute privation de liberté au but de l’article 5 : protéger l’individu contre l’arbitraire. L’article 5 § 1 énumère les cas dans lesquels la Convention permet de priver une personne de sa liberté. Cette liste revêt un caractère exhaustif et seule une interprétation étroite cadre avec le but de cette disposition : assurer que nul ne soit arbitrairement privé de sa liberté (Vasileva c. Danemark, no 52792/99, 25 septembre 2003, §§ 32-33 ; K.-F. c. Allemagne, 27 novembre 1997, § 70, Recueil des arrêts et décisions 1997-VII).
Sur ce dernier point, la Cour souligne que lorsqu’il s’agit d’une privation de liberté, il est particulièrement important de satisfaire au principe général de la sécurité juridique. Par conséquent, il est essentiel que les conditions de la privation de liberté en vertu du droit interne soient clairement définies et que la loi elle-même soit prévisible dans son application, de façon à remplir le critère de « légalité » fixé par la Convention, qui exige que toute loi soit suffisamment précise pour éviter tout risque d’arbitraire (Nasrulloyev c. Russie, no 656/06, § 71, 1er octobre 2007 ; Khudoyorov c. Russie, no 6847/02, § 125, CEDH 2005-X (extraits) ; Ječius c. Lithuanie, no 34578/97, § 56, CEDH 2000-IX ; Baranowski c. Pologne, no 28358/95, §§ 50-52, CEDH 2000-III, et Amuur c. France, arrêt du 25 juin 1996, Recueil 1996-III).
40. Les requérants contestent que leur rétention ait été couverte par l’un des motifs figurant dans le paragraphe premier de l’article 5.
41. La Cour observe que le juge des investigations préliminaires de Civitavecchia a constaté que les requérants ont été conduits dans les bureaux de la police de l’aéroport en raison de leur refus de se soumettre à un contrôle d’identité. A cet égard, force est de constater que les deux requérants ne nient pas s’être opposés au contrôle d’identité, se bornant à contester la légitimité dudit contrôle policier, qu’ils considèrent discriminatoire et illégal.
42. La Cour observe que la loi italienne prescrit l’obligation de déclarer son identité et prévoit la possibilité de retenir dans les locaux de la police toute personne refusant de s’acquitter de cette obligation (paragraphe 29 ci-dessus). Selon elle, la rétention des requérants a été dès lors décidée en vue de garantir l’exécution d’une obligation prescrite par la loi, au sens de l’article 5 § 1 b) de la Convention (Reyntjens c. Belgique, no 16810/90, décision de la Commission du 9 septembre 1992, Décision et Rapports (DR) 73, p. 136 ; Epple c. Allemagne, no 77909/01, § 36, 24 mars 2005).
43. La Cour rappelle que, pour que la détention litigieuse soit justifiée au regard de l’article 5 § 1 b), l’obligation en question doit être spécifique et concrète, l’intéressé doit négliger de la remplir et l’arrestation et la détention doivent avoir pour but de garantir l’exécution de celle-ci. En outre, dès qu’il est satisfait à l’obligation visée, la base de la détention cesse d’exister. Enfin, il faut établir un équilibre entre la nécessité dans une société démocratique de garantir l’exécution immédiate de l’obligation dont il s’agit et l’importance du droit à la liberté. A cet égard, la Cour tiendra compte de la nature de l’obligation, y compris son objet et son but sous-jacents, la personne détenue et les circonstances particulières ayant abouti à sa détention et, finalement, la durée de celle-ci (Vasileva précité, §§ 37-38 ; Iliya Stefanov c. Bulgarie, no 65755/01, § 71, 22 mai 2008).
44. Or, la Cour a déjà considéré que l’obligation de collaborer avec la police et de fournir son identité, même en l’absence de soupçons d’avoir commis une infraction, constitue une obligation suffisamment « concrète et spécifique » pour pouvoir relever de l’article 5 § 1 b) de la Convention (Vasileva, précité, § 39).
45. Par ailleurs, elle observe que les requérants, âgés respectivement de cinquante-quatre et de dix-neuf ans, furent retenus par la police pendant deux heures et demie, soit de 18 h 30 à 21 h 30 au plus tard (voir paragraphes 15 ci-dessus).
46. La Cour estime que la courte durée de la rétention des requérants dans le bureau de police et les circonstances de l’espèce permettent de conclure qu’un juste équilibre a été respecté entre l’importance d’assurer l’exécution immédiate de l’obligation en question et celle du droit à la liberté des requérants.
47. Il s’ensuit qu’il n’y a pas eu violation de l’article 5 § 1 de la Convention en l’espèce.
B. Quant à la violation alléguée de l’article 3 de la Convention
1. Thèses des parties
48. Le Gouvernement affirme tout d’abord que les lésions, très légères, subies par les requérants ont été provoquées par l’opposition de ceux-ci aux opérations de contrôle menées par les policiers dans l’exercice légitime de leurs fonctions. Dès lors, les lésions n’ont pas été infligées intentionnellement par les agents de l’Etat et ne poursuivaient pas des fins interdites par la loi.
49. Par ailleurs, aucun traitement dégradant, propre à humilier, avilir ou créer des sentiments de peur et d’angoisse n’a été prouvé par les requérants. Le Gouvernement rappelle que la durée de la détention dans les locaux de la police ne saurait être qualifiée d’excessive. Quant aux allégations ayant trait aux empêchements d’utiliser le téléphone ou de boire de l’eau, il observe d’abord que le droit invoqué par les requérants de contacter les autorités diplomatiques ou un avocat dans le cadre d’une courte détention n’est pas garanti par la Convention. En outre, une attente d’une heure et demie, soit la durée globale du maintien des intéressés dans les locaux de la police, est une circonstance qui ne saurait en aucun cas atteindre le seuil minimum de gravité prévu à l’article 3 de la Convention.
50. Les requérants soutiennent avoir fait l’objet de violences physiques et psychologiques de la part des policiers. Les lésions subies, certifiées par les différents médecins qui les ont examinés, représentent la manifestation de l’usage de la force physique sur des personnes privées de liberté et vulnérables, inacceptable dans une société démocratique.
2. Appréciation de la Cour
51. La Cour rappelle que l’article 3 consacre l’une des valeurs fondamentales des sociétés démocratiques. Même dans les circonstances les plus difficiles, telle la lutte contre le terrorisme et le crime organisé, la Convention prohibe en termes absolus la torture et les peines ou traitements inhumains ou dégradants. L’article 3 ne prévoit pas de restrictions, en quoi il contraste avec la majorité des clauses normatives de la Convention et des Protocoles nos 1 et 4, et d’après l’article 15 § 2 il ne souffre nulle dérogation, même en cas de danger public menaçant la vie de la nation (Selmouni c. France [GC], no 25803/94, § 95, CEDH 1999-V).
52. Un mauvais traitement doit atteindre un minimum de gravité pour tomber sous le coup de l’article 3. L’appréciation de ce minimum est relative par essence ; elle dépend de l’ensemble des données de la cause et, notamment, de la durée du traitement, de ses effets physiques ou mentaux ainsi que parfois, du sexe, de l’âge et de l’état de santé de la victime.
53. Pour apprécier les éléments qui lui permettent de dire s’il y a eu violation de l’article 3, la Cour se rallie au principe de la preuve « au-delà de tout doute raisonnable », mais ajoute qu’une telle preuve peut résulter d’un faisceau d’indices, ou de présomptions non réfutées, suffisamment graves, précis et concordants (Jalloh c. Allemagne [GC], no 54810/00, § 67, CEDH 2006-IX ; Ramirez Sanchez c. France [GC], no 59450/00, § 117, CEDH 2006-IX). Par ailleurs, lorsqu’un individu se trouve privé de sa liberté, l’utilisation à son égard de la force physique alors qu’elle n’est pas rendue strictement nécessaire par son comportement porte atteinte à la dignité humaine et constitue, en principe, une violation du droit garanti par l’article 3 (Ribitsch c. Autriche, arrêt du 4 décembre 1995, série A no 336, § 38, et Tekin c. Turquie, arrêt du 9 juin 1998, Recueil 1998-IV, §§ 52-53).
54. De même, l’article 3 ne prohibe pas le recours à la force par les agents de police lors d’une interpellation. Néanmoins, le recours à la force doit être proportionné et nécessaire au vu des circonstances de l’espèce (voir, parmi beaucoup d’autres, Rehbock c. Slovénie, no 29462/95, § 76, CEDH 2000-XII ; Altay c. Turquie, no 22279/93, § 54, 22 mai 2001). Quelle que soit l’issue de la procédure engagée au plan interne, un constat de culpabilité ou non ne saurait dégager l’Etat défendeur de sa responsabilité au regard de la Convention ; c’est à lui qu’il appartient de fournir une explication plausible sur l’origine des blessures, à défaut de quoi l’article 3 trouve à s’appliquer (Selmouni, précité, § 87 ; Rivas c. France, no 59584/00, § 38, 1er avril 2004).
55. En cas d’allégations sur le terrain de l’article 3 de la Convention, la Cour doit se livrer à un examen particulièrement approfondi (Vladimir Romanov c. Russie, no 41461/02, § 59, 24 juillet 2008). Lorsqu’il y a eu une procédure interne, il n’entre toutefois pas dans les attributions de la Cour de substituer sa propre vision des choses à celle des cours et tribunaux internes, auxquels il appartient en principe de peser les données recueillies par eux (Jasar c. l’ex-République yougoslave de Macédoine, no 69908/01, § 49, 15 février 2007). Même si les constatations des tribunaux internes ne lient pas la Cour, il lui faut néanmoins des éléments convaincants pour pouvoir s’écarter des constatations auxquelles ils sont parvenus.
56. En l’espèce, le Gouvernement ne conteste pas que la force a été utilisée par les policiers pour maîtriser les requérants. En outre, il n’est pas objecté non plus que les blessures des requérants sont survenues au cours de leur rétention dans les locaux de la police, alors qu’ils se trouvaient entièrement sous le contrôle des fonctionnaires de police. En revanche, le Gouvernement nie que les lésions souffertes par les requérants ont atteint un seuil de gravité suffisant pour tomber sous le coup de l’article 3 de la Convention.
57. La Cour observe d’emblée que les certificats médicaux concernant les requérants, dressés aussitôt après leur libération, attestent de traumatismes crâniens, de multiples contusions aux poignets, au visage et aux membres supérieurs et inférieurs. Sur la base de ces éléments de preuve, que le Gouvernement n’a pas contestés, la Cour estime que la gravité des lésions corporelles constatées démontre que les requérants ont été soumis à des traitements dont les effets dépassent le seuil de gravité suffisant pour tomber sous le coup de l’article 3 de la Convention (Afanassïev c. Ukraine, no 38722/02, § 61, 5 avril 2005 ; Sashov et autres c. Bulgarie, no 14383/03, § 49, 7 janvier 2010).
58. Dès lors, il appartient à la Cour de rechercher si la force utilisée était, en l’espèce, proportionnée.
La Cour relève tout d’abord que les requérants étaient inconnus des forces de police. En outre, selon la reconstruction des faits effectuée par le juge des investigations préliminaires sur la base des déclarations d’un témoin, le comportement du premier requérant, bien que peu collaboratif, n’était ni violent ni disproportionné lors de son interpellation (voir paragraphe 26 ci-dessus).
59. Les violences furent déclenchées par la tentative des policiers de conduire le premier requérant dans le bureau de police afin d’effectuer le contrôle d’identité auquel il avait refusé de se soumettre et dont il contestait la légitimité. Le deuxième requérant, à peine majeur à l’époque des faits, intervint auprès de son père.
60. Le Gouvernement maintient que le recours à la force était nécessaire pour faire face à l’agression physique perpétrée par les requérants envers les policiers.
Or, si les versions des parties divergent quant au déroulement des faits à l’intérieur des locaux de police, la Cour ne saurait ignorer que les quatre agents ont également été blessés lors des événements (paragraphe 22 ci-dessus). Par ailleurs, les requérants n’ont pas nié avoir opposé une certaine résistance aux policiers.
61. Dans ces conditions, la Cour est prête à admettre la nécessité d’exercer une forme de contrainte pour éviter d’éventuels débordements et empêcher que les requérants soient violents (a contrario, Darraj c. France, no 34588/07, § 43, 4 novembre 2010). Cependant, même à supposer que la contrainte ait été, dans une certaine mesure, « nécessaire » du fait du comportement agressif des requérants, la Cour n’est pas convaincue qu’elle ait été « proportionnelle ».
62. Elle note que quatre policiers étaient présents pour maîtriser les deux requérants. Par ailleurs, si une partie des lésions subies par les intéressés, notamment au niveau des bras et des jambes, paraissent compatibles avec le but de les immobiliser et de leur passer les menottes (paragraphe 27 ci-dessus), ni les autorités nationales ni le Gouvernement n’ont expliqué l’origine des nombreuses blessures au niveau de la tête et du visage des requérants.
63. En outre, les requérants, qui étaient étrangers et avaient des difficultés linguistiques, furent placés dans deux pièces séparées au cours de leur rétention. Pendant ce temps, Mme OMISSIS et sa fille mineure, qui avaient été empêchées d’entrer dans le bureau, se trouvaient dans un état d’inquiétude compréhensible et restèrent sans nouvelles de leurs proches.
64. La Cour considère que cette situation était de nature à engendrer chez les requérants des souffrances physiques et mentales et, compte tenu des circonstances de l’espèce, à créer également des sentiments de peur, d’angoisse et d’infériorité propres à humilier, avilir et briser éventuellement leur résistance physique et mentale. Ce sont ces éléments qui amènent la Cour à considérer que les traitements infligés aux requérants ont revêtu un caractère inhumain et dégradant.
65. En conclusion, elle estime que le Gouvernement n’a pas démontré, dans les circonstances de l’espèce, que l’usage de la force contre les requérants était proportionnée (voir, a contrario, arrêts Caloc c. France, no 33951/96, §§ 100-101, CEDH 2000-IX ; Milan c. France, no 7549/03, § 65, 24 janvier 2008).
66. Partant, il y a eu violation de l’article 3 de la Convention.
67. Par ailleurs, compte tenu de l’ensemble des faits de la cause et des arguments des parties, la Cour considère qu’il n’y a pas lieu, dans les circonstances de l’espèce, de statuer séparément sur le grief tiré de l’aspect strictement procédural de l’article 3.
IV. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
68. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
69. Les requérants n’ont présenté aucune demande de satisfaction équitable. Partant, la Cour estime qu’il n’y a pas lieu de leur octroyer de somme à ce titre.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable ;
2. Dit qu’il n’y a pas eu violation de l’article 5 § 1 de la Convention ;
3. Dit qu’il y a eu violation de l’article 3 de la Convention ;
4. Dit qu’il n’y a pas lieu d’examiner le restant de la requête.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 5 avril 2011, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Stanley Naismith Françoise Tulkens
Greffier Présidente

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