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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE SABA c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 03
Numero: 36629/10/2014
Stato: Italia
Data: 2014-07-01 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusioni: Violazione dell’articolo 3 – Interdizione della tortura, Articolo 3 – Trattamento degradante, (Risvolto patrimoniale, Violazione dell’articolo 3-Interdizione della tortura, Articolo 3 – Inchiesta efficace, (Risvolto procedurale,

SECONDA SEZIONE

CAUSA SABA C. ITALIA

( Richiesta no 36629/10)

SENTENZA

STRASBURGO

1 luglio 2014

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nel causa Saba c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta di:
Işıl Karakaş, presidentessa,
Guido Raimondi,
Nebojša Vučinić,
Helen Keller,
Paul Lemmens,
Egidijus Kūris,
Robert Spano, juges,et
di Abele Campos, cancelliere aggiunge di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 3 giugno 2014,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 36629/10) diretta contro la Repubblica italiana e di cui un cittadino di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 29 giugno 2010 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è stato rappresentato da OMISSIS, avvocato a Sassari. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora.
3. Il richiedente adduce essere stato sottoposto, in prigione, ai trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione e non disporre di nessuno rimedio effettivo per fare valere i suoi diritti.
4. Il 2 gennaio 2013, la richiesta è stata comunicata al Governo. Siccome lo permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe sull’ammissibilità e sul merito allo stesso tempo. Alcuni commenti sono stati ricevuti dello Partito radicale non violento sovranazionale e trans parte , dell’associazione “Non questa è pace senza giustizia” e dei Radicali italiani, “Partito anticamente radicale italiano”) che la vicepresidentessa della sezione aveva autorizzato ad intervenire nel procedimento scritto, articoli 36 § 2 della Convenzione e 44 § 3 dell’ordinamento.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DI LO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1951 e ha risieduto a Martis (Sassari).
A. I fatti del 3 aprile 2000 e le investigazioni preliminari
6. Nel 2000, il richiedente era detenuto alla prigione di Sassari. Il richiedente e di altri detenuti portarono lamento contro certi agenti penitenziari per atti di violenza sopraggiunta il 3 aprile 2000.
7. Il 21 aprile 2000, la procura di Sassari chiese che le misure di precauzione, come un collocamento in detenzione provvisoria o una citazione a residenza, fossero adottate contro certi degli agenti implicati. Con una decisione del 2 maggio 2000, il giudice delle investigazioni preliminari (“il GIP”) di Sassari fece diritto alla domanda della procura ed ordinò il collocamento in detenzione provvisoria di 22 imputati; 60 altri furono posti in residenza vigilata.
8. Al termine delle investigazioni preliminari, la procura chiese il rinvio in giudizio di un gran numero di persone, imputate di violenza privata, articolo 610 del codice penale-“il CP”), colpi e lesioni, articoli 582 e 583 del CP, ed abuso di funzioni (articolo 323 del CP).
9. L’udienza preliminare si aprì il 22 ottobre 2001, e fu rinviata a più riprese. Il 12 novembre 2001, il richiedente si costituì partire civile nel procedimento penale. Il ministero della Giustizia fu chiamato nel procedimento in quanto partire civilmente responsabile dai maneggi criminali degli imputati (responsabile civile). Il 21 febbraio 2003, il giudice dell’udienza preliminare (“il GUP”) di Sassari rinviò nove agenti penitenziari in giudizio dinnanzi al tribunale di questa stessa città. Pronunciò un giudizio sulla fondatezza delle accuse contro 61 altri imputati che avevano scelto di essere giudicati secondo il procedimento abbreviato, paragrafo 17 qui di seguito. Un non luogo a procedere per mancanza di fatti delittuosi fu pronunciato per 20 altri imputati.
B. Il processo dinnanzi al tribunale di Sassari
10. Dinnanzi al tribunale di Sassari, gli imputati erano accusati dei differenti prendi atto di violenza, colpi e lesioni ed abusi di potere contro numerosi detenuti. In ciò che riguarda il richiedente, le guardie penitenziarie erano accusate dello avere obbligato a denudarsi, a restare dinnanzi alla sua unità la testa contro il muro ed a passare con la testa abbassata entra due file di agenti, così come a subire delle perquisizioni ingiustificate, corredate di ingiurie e di minacce. Di più, le unità erano state devastate e gli oggetti personali dei detenuti distrutti. Secondo la tesi della procura, i fatti incriminati cadevano sotto l’influenza degli articoli 610 e 323 del CP che puniscono, rispettivamente, i reati di violenza privata e di abuso di funzioni pubbliche.
11. Durante 44 udienze, il tribunale intese 103 vittime, testimoni ed imputati nei procedimenti connessi. Il 21 dicembre 2007, la procura chiese ed ottenne copia del giudizio del GUP di Sassari del 21 febbraio 2003, paragrafo 17 sopra, e della sentenza resa il 7 novembre 2005 dalla corte di appello di Cagliari, paragrafo 19 qui di seguito. Il 29 maggio, 12 e 23 giugno, 14 luglio e 29 settembre 2009, le parti presentarono le loro arringhe.
12. Con un giudizio del 29 settembre 2009 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 28 dicembre 2009, il tribunale di Sassari pronunciò un non luogo a procedere a causa di prescrizione contro sette degli imputati. Rilasciò gli altri due imputati.
13. Il tribunale osservò che risultava delle decisioni di giustizia definitiva prodotta dalla procura e delle prove raccolte che il 3 aprile 2000 degli episodi di “violenza disumana” aveva avuto luogo alla prigione di Sassari. Dei luoghi erano stati spostati durante ciò che sarebbe dovuto essere solamente una perquisizione generale ed un’operazione di trasferimento di certi detenuti, corredati della presentazione del nuovo comandante, i detenuti dove si trovavano e sottoposero agli atti di violenza gratuita. Certi detenuti erano stati costretti di denudarsi, erano stati menottés, insultati, battuti e sottoposi alle umiliazioni.
14. Secondo il tribunale, si trattava di una “galleria degli orrori”, e la prigione di Sassari, luogo di detenzione in virtù della legge, aveva conosciuto un scatenamento di rancore e di rappresaglia incompatibile con le regole dello stato di diritto.
15. Il tribunale stimò che i fatti incriminati cadevano sotto l’influenza dell’articolo 608 del CP che puniva l’abuso di autorità contro i detenuti. Però, questa violazione, punita da una pena massimale di 30 mesi, era prescritta dal 3 ottobre 2007. In quanto ai fatti di colpi e lesioni aggravate, erano prescritti dal 3 gennaio 2009.
16. Secondo le informazione fornite dal Governo il 30 aprile 2013, il giudizio del tribunale di Sassari del 29 settembre 2009 sarebbe diventato definitivo “probabilmente informato del primo semestre 2010.”
C. Il procedimento abbreviato seguito a riguardo di 61 degli imputati
17. Siccome indicato al paragrafo 9 61 agenti penitenziari furono giudicati sopra, separatamente per i fatti del 3 aprile 2000. In particolare, con un giudizio del 21 febbraio 2003 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 10 luglio 2003, il GUP di Sassari aveva condannato 12 persone alle pene che vanno di un anno e sei mesi a quattro mesi di detenzione col beneficio della condizionale per, entra altri, violenza privata aggravata, colpi e lesioni ed abusi di funzioni. Degli agenti penitenziari figuravano tra queste persone, così come il supervisore regionale dell’amministrazione penitenziaria, la direttrice della prigione di Sassari ed il comandante del dipartimento della polizia penitenziaria di Sassari. Un agente fu condannato ad una multa di 100 euros, EUR, per avere omesso di denunciare una violazione penale, articolo 361 del CP. Tutti gli altri accusati furono scarcerati. I colpevoli furono condannati anche al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili di cui l’importo doveva essere fissato nella cornice di un procedimento civile separato, ed al rimborso dei loro oneri di procedimento, per il richiedente, questi oneri ammontavano a 5 500 EUR. Il GUP accordò una scorta, provvisionale immediatamente esecutiva, sull’importo del risarcimento a venire alle vittime che, alla differenza del richiedente, avevano fornito la prova della loro sottomissione agli atti di violenza.
18. La procura e certi degli imputati interposero appello. L’agente condannato ad una multa di 100 EUR non fece appello e la sua condanna diventò definitiva.
19. Con una sentenza del 7 novembre 2005, la corte di appello confermò sei condanne, prosciolse cinque persone e ne condannò quattro altri che erano stati prosciolti in prima istanza. I colpevoli furono condannati di nuovo al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili di cui l’importo doveva essere fissato nella cornice di un procedimento civile separato, ed al rimborso dei loro oneri di procedimento, per il richiedente, gli oneri del processo di appello ammontavano a 5 355 EUR. La corte di appello precisò che i fatti incriminati cadevano sotto l’influenza dell’articolo 608 del CP, paragrafo 24 sotto.
20. Le dieci persone condannate in appello si ricorsero in cassazione.
21. Con una sentenza del 5 giugno 2007, la Corte di cassazione respinse del loro ricorso nuovo degli imputati tra che il supervisore regionale dell’amministrazione penitenziaria, la direttrice della prigione di Sassari ed il comandante del dipartimento della polizia penitenziaria di Sassari. Confermò la qualifica giuridica dei fatti sotto l’angolo dell’articolo 608 del CP. Annullò unicamente la sentenza di appello in ciò che riguardava uno dei condannati, un medico accusato di omissione di atto di ufficio e di falso.
22. Nelle sue osservazioni del 30 aprile 2013, il Governo indica che non risulta che il richiedente abbia introdotto un’azione civile in risarcimento fondato sul giudizio del GUP del 21 febbraio 2003, come confermato in appello ed in cassazione.
D. Le sanzioni disciplinari adottate contro certi dei condannati
23. Nelle sue osservazioni del 30 aprile 2013, il Governo indica che sette delle persone condannate sono stati oggetto di sanzioni disciplinari, e cioè:
-il supervisore regionale dell’amministrazione penitenziaria, condannato al penale ad un anno, quattro mesi e venti giorni di detenzione, è stato sospeso delle sue funzioni con soppressione completa dello stipendio per un periodo di un mese;
-la direttrice della prigione di Sassari, condannata al penale a dieci mesi e venti giorni di detenzione, è stata sospesa delle sue funzioni con ritenuta della metà dello stipendio per un periodo di un mese;
-il comandante del dipartimento della polizia penitenziaria di Sassari, condannato al penale ad un anno ed otto mesi di detenzione, è stato sospeso delle sue funzioni con ritenuta della metà dello stipendio per un periodo di sei mesi;
-tre agenti penitenziari, condannati al penale a quattro mesi e venti giorni di detenzione, hanno subito una ritenuta di un trentesimo del loro stipendio;
-l’agente condannato ad una multa di 100 EUR per omissione di denunciare una violazione penale è stato oggetto di un biasimo, con per conseguenza l’impossibilità di beneficiare di un aumento di stipendio durante un anno.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
24. Le disposizioni pertinenti del codice penale (CP) si leggono come segue:
Articolo 610 § 1 del CP
“Chiunque, per mezzo di violenze o di minacce, obblighi qualcuno a fare, tollerare od omettere qualche cosa, è punito di una pena di reclusione che va fino a quattro anni. “
Articolo 323 § 1 del CP
“(…) L’ufficiale pubblico o la persona incaricata di un servizio pubblico che, nel compimento delle sue funzioni o del suo servizio, in modo intenzionale ed in violazione di disposizioni legali o regolamentari, procura un vantaggio patrimoniale ingiusto o causa a sé o ad altri ad altrui un danno ingiusto, è punito di una pena di reclusione che va di sei mesi a tre anni. “
Articolo 608 § 1 del CP
“Ogni ufficiale pubblico che sottopone una persona arrestata o detenuta di una pena è punita alle misure di rigore senza essere autorizzato dalla legge di reclusione che va fino a 30 mesi. “
25. L’articolo 13 § 4 della Costituzione contemplano la punizione di ogni violenza fisica o giuridica commessa contro le persone sottoposte alle restrizioni di libertà.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
26. Il richiedente si lamenta dei trattamenti ai quali è stato sottomesso da parte degli agenti penitenziari, trattamenti che potrebbero essere qualificati a suo avviso di tortura. Sottolinea che a causa della lentezza del procedimento giudiziale che riguarda suddetti trattamenti, i responsabile hanno beneficiato della prescrizione e non possono essere puniti dunque.
Invoca l’articolo 3 della Convenzione, così formulata,:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
27. Il Governo ricusa la tesi del richiedente.
A. Sull’ammissibilità
1. L’eccezione del Governo derivato della perdita della qualità di vittima
a) L’eccezione del Governo
28. Il Governo stima che la richiesta dovrebbe essere respinta a causa di perdita della qualità di vittima. Difatti, nel suo insieme, il procedimento penale diretto contro le persone responsabili degli avvenimenti del 3 aprile 2000 ha avuto una conclusione favorevole per il richiedente. Ha sbucato sulla condanna di dieci persone difatti-ivi compreso degli alti funzionari-e sulla riconoscenza del diritto a risarcimento dell’interessato. Di più, sette dei colpevoli si sono visti infliggere delle sanzioni disciplinari, paragrafo 23 sopra. Le autorità interne hanno riconosciuto così, pienamente, esplicitamente ed in sostanza, le violazioni denunciate dal richiedente (in particolare, la violazione dell’articolo 3 della Convenzione, e hanno portato lì rimedio. Il fatto che il richiedente abbia deciso di non iniziare un procedimento civile in risarcimento non saprebbe nuocere al Governo.
29. In quanto al fatto che solamente dieci persone sono state condannate alla conclusione del procedimento penale, questa circostanza dimostrerebbe unicamente che il sistema italiano è caratterizzato da una valutazione rigorosa delle prove rispetto alla posizione individuale di ogni imputato.
b) La replica del richiedente
30. Il richiedente considera che le pene inflitte alle persone responsabili degli avvenimenti del 3 aprile 2000 sono insufficienti per ovviare alla violazione dell’articolo 3 della Convenzione. Queste pene, tutto abbinate di un rinvio alla loro esecuzione, sono stati il seguiamo: sedici mesi di detenzione per il capo regionale delle prigioni della Sardegna; dieci mesi e venti giorni per la direttrice della prigione di Sassari; venti mesi per il comandante della polizia del penitenziario di Sassari; quattro mesi e venti giorni per sei agenti penitenziari. Gli importi concessi a titolo di scorta sui risarcimenti, arzillo di 4 000 a 6 000 EUR, sarebbero irrisori e ne andrebbe parimenti in ciò che riguarda le sanzioni disciplinari. In ogni caso, queste differenti punizioni non sarebbero proporzionate alla gravità dei fatti e nessuno dei responsabile avrebbe, a questo giorno, pagato per ciò che ha fatto. Inoltre, uniche dieci persone sono state condannate al penali, mentre circa 90 agenti di polizia avevano perquisito una prigione tutta intera ed assillato la sua popolazione.
31. Il fatto che il richiedente non abbia subito nessuna lesione non notifica, siccome lo vorrebbe il Governo, che non è stato vittima di una violazione dell’articolo 3 della Convenzione, ma piuttosto che il sistema morale italiano è incapace di risanare le trasgressioni più sottili a questa disposizione che hanno luogo quando c’è violenza giuridica, e non violenza fisica diretta.
c) Valutazione della Corte
32. La Corte ricorda che sono alle autorità nazionali che appartiene di risanare una violazione addotta della Convenzione in primo luogo. A questo riguardo, la questione di sapere se un richiedente può definirsi vittima della violazione addotta si posa a tutti gli stadi del procedimento sul terreno della Convenzione (vedere, entra altri, Siliadin c. Francia, no 73316/01, § 61, CEDH 2005-VII, e Scordino c. Italia (no 1) [GC], no 36813/97, § 179, CEDH 2006-V. Una decisione o una misura favorevole al richiedente non basta in principio a privarlo della sua qualità di “vittima” alle fini dell’articolo 34 la Convenzione salvo se le autorità nazionali riconoscono, esplicitamente o in sostanza, riparano la violazione della Convenzione poi (vedere, entra altri, Eckle c. Germania, 15 luglio 1982, § 66, serie Ha no 51; Dalban c. Romania [GC], no 28114/95, § 44, CEDH 1999-VI; Siliadin, precitata, § 62; e Gäfgen c. Germania [GC], no 22978/05, § 115, CEDH 2010.
33. In ciò che riguarda il risarcimento adeguato e sufficiente per ovviare al livello interno alla violazione del diritto garantito dalla Convenzione, la Corte considera generalmente che dipende dall’insieme delle circostanze della causa, avuto in particolare riguardo alla natura della violazione della Convenzione che si trova in gioco (Gäfgen, precitata, § 116.
34. La Corte nota che in seguito al lamento portato dal richiedente ed i suoi compagni di detenzione, un’inchiesta è stata aperta per stabilire delle eventuali responsabilità negli avvenimenti del 3 aprile 2000. Nella misura in cui ha sbucato su un procedimento abbreviato, questa inchiesta si è chiusa dalla condanna delle nove persone tra che degli alti funzionari, per il reato descritto 608 § 1 all’articolo del CP che punisce la sottomissione dei detenuti alle misure di rigore non autorizzate, paragrafi 17-21 e 24 sopra.
35. Anche supponendo che questa condanna possa analizzarsi, in sostanza, nella riconoscenza della violazione dell’articolo 3 della Convenzione, la Corte rileva che nessuna di compenso pecuniario non ha accordato delle decisioni rese nella cornice del procedimento penale suddetto al richiedente. Segue che lo stato convenuto non ha risanato sufficientemente il trattamento contrario all’articolo 3 che il richiedente denuncia e che questo ultimo può sempre definirsi vittima di una violazione del risvolto sostanziale di questa disposizione al senso dell’articolo 34 della Convenzione. L’eccezione del Governo su questo punto non può essere considerata dunque.
36. Per ciò che è sopra del fatto, notato dal Governo, paragrafo 28, che il richiedente ha deciso di non iniziare un procedimento civile in risarcimento, la Corte considera che questa circostanza suscita essere esaminata nella cornice dell’eccezione del Governo derivato della no-esaurimento delle vie di ricorso interni, paragrafi 42-48 qui di seguito.
37. Infine, nella misura in cui le affermazioni del richiedente cadono sulla mancanza di un’inchiesta effettiva potendo condurre all’identificazione ed alla punizione delle persone responsabili dei trattamenti che denuncia, c’è luogo di unire l’eccezione del Governo derivato della perdita della qualità di vittima in fondo al motivo di appello.
2. L’eccezione del Governo derivato dal non-esaurimento delle vie di ricorso interne
a) L’eccezione del Governo
38. Il Governo eccepisce della no-esaurimento delle vie di ricorso interni al motivo che il richiedente non ha iniziato di procedimento civile in risarcimento contro le persone responsabili dei trattamenti che gli sono stati inflitti, paragrafo 22 sopra. Questo procedimento sarebbe potuto essere iniziata in contrario tanti le persone di cui la condanna era diventata definitiva in seguito alla sentenza della Corte di cassazione del 5 giugno 2007, paragrafo 21 sopra che i sette imputati avendo beneficiato di un non luogo a procedere a causa di prescrizione nel giudizio del tribunale di Sassari del 29 settembre 2009, paragrafo 12 sopra. Un tale rimedio era non solo accessibile, ma anche effettivo, perché era suscettibile di permettere al richiedente di ottenere un compenso finanziario ed offriva delle probabilità ragionevoli di successo.
39. Una nessuno che, come il richiedente, si è costituita parte civile in un procedimento penale avrebbe non solo il diritto, ma anche l’obbligo di introdurre un’azione civile per la determinazione dell’importo del risarcimento che gli è dovuto. Le ragioni avanzate dal richiedente per giustificare la sua omissione di rivolgersi alle giurisdizioni civili non saprebbero essere ammesse. Così nessuna scorta non è stata accordata dal GUP al richiedente, questo è perché questo non aveva prodotto nessuna prova del danno fisico o patrimoniale che avrebbe subito. In quanto ai timori di rappresaglia, il Governo nota che non sono state supportate, che sono state invocate per la prima volta nelle osservazioni in risposta, e che il richiedente dispone di dieci anni a partire dal 17 settembre 2007 per introdurre la sua azione. Ora, il richiedente non è più detenuto dal 2006 e, contrariamente a ciò che afferma, entra 2000 e 2006 è stato liberato a due riprese, in particolare del 30 giugno 2000 al 12 ottobre 2002 e del 26 settembre 2003 al 20 agosto 2004. Di più, il richiedente non è stato detenuto al penitenziario di Sassari che il 3 aprile al 30 giugno 2000 e del 12 ottobre al 30 dicembre 2002, non ha denunciato essere stato mai intimidito, ed egli ha firmato il 6 maggio 2003 una dichiarazione secondo la quale non aveva nessuna ragione di temere per la sua integrità fisico e nessuno problema di incompatibilità con gli altri detenuti.
b) La replica del richiedente
40. Il richiedente ammette che in teoria avrebbe potuto introdurre dinnanzi al giudice civile un’azione che mira ad ottenere un risarcimento per i trattamenti subiti il 3 aprile 2000. Però, sarebbe corrente in Italia di non iniziare di azione civile prima del pronunziata dell’ultimo giudizio del processo penale che potrebbe essere differente dei giudizi precedenti. Di più, un processo civile avrebbe avuto una durata significativa e dei costi ai quali il richiedente non avrebbe potuto fare a fronte, conto tenuto anche degli importi poco elevati che il GUP aveva concesso a 14 delle 118 vittime, importi che vanno di 4 000 a 6 000 EUR. Infine, il richiedente era detenuto durante il processo, almeno fino nel 2006, e temeva della rappresaglia degli agenti penitenziari o dei loro colleghi nel caso dove avrebbe agito in giustizia contro essi.
41. Peraltro, l’Italia non ha introdotto nel CP di disposizione specifica che punisce il crimine di tortura e di trattamenti disumani e degradanti. I reati rimproverati agli imputati erano puniti dagli articoli 608, 582 e 583 del CP che contemplano delle pene leggere. Un tale dato non mancherebbe di pesare sull’eventuale determinazione col giudice dell’importo di un risarcimento al civile. Nessuna scorta sul risarcimento a venire è stata non accordata dal giudice penale al richiedente, al motivo-in particolare-che non aveva subito nessuna lesione.
c) Valutazione della Corte
42. La Corte ricorda che ai termini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, non può essere investita che dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interni. La finalità di questa regola è di predisporre agli Stati contraenti l’occasione di prevenire o di risanare le violazioni addotte contro essi prima che la Corte ne non sia investito (vedere, tra altri, Mifsud c. Francia, déc.) [GC], no 57220/00, § 15, CEDH 2002-VIII.
43. I principi generali relativi alla regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interni si trovano esposizioni nella sentenza Vučković ed altri c. Serbia ([GC], numeri 17153/11 ed altri, §§ 69-77, 25 marzo 2014. La Corte ricorda che l’articolo 35 § 1 della Convenzione prescrivono solamente al tempo stesso l’esaurimento dei ricorsi relativi alle violazioni incriminate, disponibili ed adeguati. Un ricorso è effettivo quando è tanto disponibile in teoria che in pratica all’epoca dei fatti, questo cioè quando è accessibile, suscettibile di offrire al richiedente la correzione dei suoi motivi di appello e presente delle prospettive ragionevoli di successi, Akdivar ed altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 68, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-IV, e Demopoulos ed altri c. Turchia, déc.) [GC], nostri 46113/99, 3843/02, 13751/02, 13466/03, 10200/04, 14163/04, 19993/04 e 21819/04, § 70, CEDH 2010,.
44. Nello specifico, era lecito al richiedente di iniziare un procedimento civile in risarcimento contro le persone condannate al penale per i fatti del 3 aprile 2000, ciò che l’interessato non ha fatto. Nella cornice di questo procedimento, il richiedente avrebbe potuto ottenere un compenso finanziario per il danno subito, e dunque un risarcimento per il suo motivo di appello tirato del risvolto sostanziale dell’articolo 3 della Convenzione. Resta a determinare se, nelle circostanze particolari dello specifico, il richiedente può essere dispensato del suo obbligo di esaurire questo rimedio.
45. Come la Corte l’ha sottolineato più alto, paragrafo 34 sopra, un’inchiesta è stata aperta per stabilire delle eventuali responsabilità negli avvenimenti del 3 aprile 2000. Il 2 maggio 2000, il GIP di Sassari ha posto 22 imputati in detenzione provvisoria e ne ha citato 60 altri a residenza, paragrafo 7 sopra. Il 12 novembre 2001, il richiedente si è costituito parte civile nel procedimento penale, paragrafo 9 sopra. Il 21 febbraio 2003, o meno di tre anni dopo i fatti, il GUP di Sassari ha pronunciato un giudizio sulla fondatezza delle accuse contro i 61 imputati che avevano scelto di essere giudicati secondo il procedimento abbreviato, e nove agenti penitenziari sono stati rinviati in giudizio dinnanzi al tribunale di Sassari, paragrafi 9 e 17 sopra.
46. Se questa risposta può passare per sufficientemente pronta e può sollecitare per soddisfare alle norme della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Gäfgen, precitata, § 122, ne va diversamente per il seguito del procedimento. Difatti, il processo dinnanzi al tribunale di Sassari si è steso su 44 udienze di cui l’ultima ha avuto luogo il 29 settembre 2009, paragrafo 11 sopra, o più di sei anni e sette mesi dopo il rinvio in giudizio. Questa lunghezza del procedimento ha condotto al pronunziata di un non luogo a procedere a causa di prescrizione contro sette degli imputati, paragrafi 12 e 15 sopra. Alcuno importa ritardi hanno leso dunque il processo dinnanzi al tribunale di Sassari.
47. La Corte ricorda che le lentezze eccessive di un’azione indennizzante possono privare il ricorso di carattere effettivo (Gäfgen, precitata, § 127, e considera che visto la lentezza dei procedimenti alle quali era stato partire dal 12 novembre 2001, il richiedente può essere dispensato dell’obbligo di iniziare dei notizie procedimenti per soddisfare alle esigenze dell’articolo 35 § 1 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Guillemin c. Francia, 21 febbraio 1997, § 50, Raccolta 1997-I. A questo riguardo, la Corte rileva che difficilmente il richiedente avrebbe potuto iniziare un’azione civile in risarcimento prima del pronunziato di un giudizio penale definitivo.
48. Segue che l’eccezione del Governo derivato della no-esaurimento delle vie di ricorso interni deve essere respinta.
3. L’eccezione del Governo derivato della natura abusiva della richiesta
a) L’eccezione del Governo
49. Il Governo sostiene anche che la richiesta dovrebbe essere dichiarata inammissibile come essendo abusiva. A questo riguardo, adduce che il richiedente ha omesso volontariamente di fornire delle informazione concernente il procedimento abbreviato seguito al riguardo di 61 degli imputati, paragrafi 17-21 sopra nella quale si era costituito parte civile ed alla conclusione della quale dieci condanne sono state pronunciate ed il suo diritto a risarcimento così come au rimborso degli oneri di procedimento riconosciuto. Si tratterebbe di elementi essenziali per l’esame della causa e l’omissione del richiedente mirerebbe ad indurre la Corte in errore. Di più, nelle sue osservazioni in risposta, il richiedente avrebbe provato a minimizzare la gravità delle sue omissioni.
b) La replica del richiedente
50. Il richiedente risponde che la sua richiesta riguarda, in primo luogo, il fatto che lo stato convenuto non ha rispettato il suo obbligo positivo di impedire che sia sottoposto ai trattamenti disumani e degradanti. In questa ottica, la sua omissione di menzionare nel formulario di richiesta la conclusione del procedimento contro gli imputati avendo scelto il procedimento abbreviato sarebbe senza importanza, concernente un dettaglio che, agli occhi del richiedente, non era essenziale. Peraltro, per valutare il rispetto del termine di sei mesi fissati all’articolo 35 § 1 della Convenzione, solo contava l’ultimo giudizio reso nel dicembre 2009 che, essendo stato pronunciato alla conclusione di un procedimento ordinario, aveva più di probabilità di chiarire i fatti rimproverati ai nove imputati. Le informazione sul procedimento contro gli altri accusati risultavano comunque dei documenti uniti al formulario di richiesta, erano buone conosciute del Governo ed il richiedente non aveva nessuno interesse a nasconderli.
c) Valutazione della Corte
51. La Corte osserva che ai termini dell’articolo 47 § 6 del suo ordinamento, i richiedenti devono informarlo di ogni fatto pertinente per l’esame della loro richiesta. Ricorda che una richiesta può essere respinta come essendo abusiva se è stata fondata volontariamente su dei fatti inventati, Řehŕk c. Repubblica ceca, déc.), no 67208/01, 18 maggio 2004, e Keretchachvili c. Georgia, déc.), no 5667/02, 2 maggio 2006, o se il richiedente è passato sotto silenzio delle informazione essenziali concernente i fatti della causa per indurre la Corte in errore (vedere, entra altri, Hüttner c. Germania, déc.), no 23130/04, 19 giugno 2006, e Basileo ed altri c. Italia, déc.), no 11303/02, 23 agosto 2011.
52. La Corte ha affermato già, inoltre, che “ogni comportamento del richiedente manifestamente contrario alla vocazione del diritto di ricorso ed ostacolando il buono funzionamento della Corte o il buono svolgimento del procedimento dinnanzi a lei, può [in principio] essere qualificato di abusivo”, Miroļubovs ed altri c. Lettonia, no 798/05, § 65, 15 settembre 2009, la nozione di abuso, ai termini dell’articolo 35 § 3 hanno, della Convenzione, dinnanzi ad essere compresa nel suo senso ordinario-a sapere lo fa, col titolare di un diritto, di metterlo in œuvre all’infuori della sua finalità di un modo pregiudizievole, Miroļubovs ed altri, precitata, § 62, e Petrović c. Serbia, déc.), i nostri 56551/11 e dieci altri, 18 ottobre 2011.
53. Nello specifico, il Governo rimprovera al richiedente di non avere menzionato, nel formulario di richiesta, il procedimento abbreviato seguito al riguardo di 61 degli imputati e che si è chiusa dal pronunziato di dieci condanne.
54. La Corte osserva che ha appena concluso che le condanne in questione non hanno private il richiedente della qualità di “vittima” per il suo motivo di appello tirato del risvolto sostanziale dell’articolo 3 della Convenzione, paragrafo 35 sopra. Sebbene fosse stato augurabile che l’interessato menzionasse espressamente il procedimento abbreviato nel formulario di richiesta, la Corte saprebbe concludere solamente questa omissione è di natura tale da rendere abusiva la richiesta o che questa si basava volontariamente su dei fatti inventati. Nota che i riferimenti al procedimento abbreviato erano contenuti nei documenti annessi al formulario di richiesta, ciò che conduce a pensare che il richiedente non ha avuto l’intenzione di nascondere dei fatti pertinenti per l’esame della sua causa.
55. Segue che l’eccezione del Governo derivato del carattere abusivo della richiesta deve essere respinta.
4. Altri motivi di inammissibilità
56. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
57. Il richiedente osserva che nella sua testimonianza del 9 giugno 2006 dinnanzi al GIP, aveva sottolineato la condizione di sottomissione e di prostrazione nella quale era stato immerso all’epoca degli avvenimenti controversi. Adduce che non è potuto sfuggire ai trattamenti più violenti che perché un’udienza del suo processo era fissata due giorni più tardi, il 5 aprile 2000, e che ogni ferita sarebbe potuta essere notata dal giudice. È stato costretto tuttavia di passare, gli occhi reclinati, tra gli agenti penitenziari armati di manganelli che lo minacciavano e lo è stato insultato, e questo senza altro scopo che umiliarlo e di fargli provare la sua condizione di subordinazione al potere poliziesco. Ciò gli ha causato una forte sofferenza psicologica e dei sentimenti di inferiorità soci al timore di subire, nei seguenti giorni, della notizie rappresaglia. Questo basterebbe per concludere alla violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
58. Il richiedente fa valere che la prescrizione constatata dal tribunale di Sassari deve molto al fatto che i reati in causa avevano un carattere “minorenne” ed erano punite dalle pene leggere. Se il diritto italiano avesse contemplato un crimine di tortura punita dalle sanzioni più pesanti, il termine di prescrizione sarebbe stato più lungo ed il tribunale avrebbe avuto il tempo di esaminare la causa anteriore la sua scadenza.
b) Il Governo,
59. Il Governo precisa innanzitutto che non sottovaluta la gravità degli avvenimenti del 3 aprile 2000 ai quali lo stato italiano ha risposto per ristabilire la preminenza del diritto. Il Governo divide le considerazioni fatte a questo riguardo dal GUP ed il tribunale di Sassari che ha condannato a buon diritto severamente questi avvenimenti. Però, questi ultimi sono stati un episodio isolato che non saprebbe riflettere l’atteggiamento generale della polizia italiana. Di più, nella cornice della presente richiesta bisognerebbe avere riguardo ai trattamenti specificamente inflitti al richiedente.
60. Ora, l’interessato è stato uno dei prigionieri meno assegnati con la condotta degli agenti penitenziari. Difatti, quando è stato sentito come testimone al processo, udienza del 9 giugno 2006, il richiedente ha affermato non essere stato picchiato dagli agenti e nessuna traccia di lesioni non è stata rilevata sul suo corpo. In compenso, è stato obbligato a passare tra due file di agenti che abbassano la testa e è stato insultato; quando è tornato nella sua unità, i suoi oggetti personali erano stati perquisiti e sparpagliati. Senza che ci sia luogo di negare che il richiedente abbia potuto provare paura ed ansietà, non è stato dimostrato che questi sentimenti erano di natura tale da provocare una sofferenza fisica e morale prolungata ed intensa. Quindi, il trattamento al quale il richiedente è stato sottoposto non avrebbe raggiunto il minimo di gravità necessaria per cadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione.
61. Il Governo osserva anche che gli interventi di terza partiti devono mirare ad aumentare la cognizione della Corte portando delle notizie informazione o degli argomenti giuridici supplementari al riguardo dei principi generali pertinenti per la conclusione della causa. Ora, i terzo intervenienti si sono limitati a proporre delle riforme legislative in Italia ed a stigmatizzare la no-incriminazione, con la legge italiana, della tortura come crimine specifico, ciò che va al di là del ruolo aspettato di un amicus curiae dinnanzi alla Corte. Pertanto, le osservazioni dei terzo intervenuti non dovrebbero essere versate alla pratica o, in ogni caso, dovrebbero essere ignorate dalla Corte. Ad ogni modo, queste osservazioni non sarebbero pertinenti per deliberare sulla richiesta del Sig. Saba, dato che la mancanza di un crimine di tortura in dritto italiano non ha impedito l’identificazione e la punizione delle persone implicate negli avvenimenti del 3 aprile 2000. Di più, il richiedente non è stato sottomesso alla tortura, ma, tutto a di più, ai trattamenti degradanti, che l’Italia non era tenuta di erigere in reato penale autonomo. Il riferimento al problema della sovrappopolazione carceraria sarebbe, in quanto a lei, senza pertinenza rispetto alle circostanze dello specifico.
62. A titolo che sovrabbonda, il Governo osserva che se non ha introdotto ancora in quanto tale un crimine di tortura, l’Italia ha avanzato tuttavia in questa direzione, ed otto progetti di legge sono stati presentati dinnanzi al Parlamento costituito nel marzo 2013. Gli atti di violenza commisero sui detenuti sono puniti in virtù della disposizione specifica contenuta nell’articolo 608 del CP o, se ci sono state delle lesioni, in virtù degli articoli 582 e 583 del CP.
63. Infine, il Governo espone che l’introduzione di un crimine di tortura costituirebbe certo un sviluppo sociale e morale ma che nessuno obbligo in questo senso non esiste ai termini della Convenzione del 1984 delle Nazioni unite contro la tortura attualmente. Difatti, gli articoli 4 e 5 di questa Convenzione si limitano, secondo lui, a chiedere agli Stati firmatari di assicurarsi che gli atti di tortura sono eretti in reato penale con la legge, ciò che sarebbe già il caso in Italia.
c) I terzi intervenuti,
i. Lo Partito radicale non violento sovranazionale e transparti
64. Lo Partito radicale non violento sovranazionale e transparti (lo Partito “radicale sovranazionale”) ricordo che anche se l’articolo 13 § 4 della Costituzione contemplano la punizione di ogni violenza fisica o giuridica commessa contro le persone sottoposte alle restrizioni di libertà, paragrafo 25 sopra, l’Italia non ha introdotto nel suo sistema morale il crimine di tortura e di trattamenti disumani e degradanti, e questo malgrado la ratifica di numerosi strumenti internazionali in questo senso. Le lacune del diritto italiano sono state sottolineate a questo riguardo dalla commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani, nel suo rapporto del 6 marzo 2012. L’introduzione del crimine di tortura è stata sollecitata dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT) e col Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni unite. Un progetto di legge presentata al Senato il 26 novembre 2008 con un’eletta dello Partito radicale italiano non è stato approvato, e questo in dispetto dell’insufficienza e della mancanza di specificità delle disposizioni legislative reali per combattere la pratica della tortura. Era sottolineato nel rapporto introduttivo che gli atti di tortura che non provoca di lesioni gravi erano perseguiti solamente su lamento della vittima e che le sottili torture psicologiche non erano considerate come le “lesioni” e restavano senza punizione dunque.
65. Alla luce di ciò che precede, il terzo che interviene stima che l’introduzione del crimine di tortura nel sistema morale italiano deve essere una precedenza. La mancanza di una tale previsione legislativa è particolarmente imbarazzante nei settori dell’ordine pubblico e del sistema carcerario. A questo riguardo, lo Partito radicale sovranazionale, ricordo che i perseguimenti contro gli atti di tortura perpetrata in 2001 all’epoca del G8 di Genova si sono chiusi da un non luogo a procedere a causa di prescrizione. Ora, la prescrizione non si applicherebbe ai “crimini internazionali.” Di più, nella causa detta “Asti”, degli agenti penitenziari responsabili di tortura contro i detenuti erano stati prosciolti.
ii. L’associazione “Non questa è pace senza giustizia”
66. L’associazione intervenuta ricorda che nel causa Alikaj ed altri c. Italia, no 47357/08, § 99, 29 marzo 2011, la Corte ha stimato che quando un agente dello stato è accusato di atti contrari agli articoli 2 e 3 della Convenzione, il procedimento o la condanna non saprebbero essere rese nulle con una prescrizione. Peraltro, sebbene l’Italia abbia ratificato, con la legge no 489 del 3 novembre 1998, la Convenzione dell’ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti, il crimine specifico di tortura o di trattamenti disumani o degradanti non è codificato nel sistema morale italiano. Gli Stati essendo tenuti di contemplare una cornice legislativa ed amministrativa per scoraggiare la commissione di reati contro la persona (vedere, in particolare, Beganoviæ c. Croazia, no 46423/06, § 70, 25 giugno 2009, e D.J. c. Croazia, no 42418/10, § 86, 24 luglio 2012, ci sarebbe, in Italia, una violazione sistematica dell’articolo 3 della Convenzione, in particolare in ciò che riguarda la situazione dei detenuti.
67. Il terzo che interviene ricorda le sentenze della Corte in materia di sovrappopolazione carceraria, Sulejmanovic c. Italia, no 22635/03, 16 luglio 2009, e Torreggiani ed altri c. Italia, nostri 43517/09 ed altri, 8 gennaio 2013 che, a suo avviso, spiegherebbero perché l’Italia persiste a non codificare questo crimine. Per evitare delle severe condanne verso gli alti funzionari, l’Italia preferirebbe mantenere relativamente una “apparenza di complicità o di tolleranza agli atti illegali”, ciò che non è ammesso tuttavia in un Stato di diritto.
iii. I Radicali italiani, “Partito anticamente radicale italiano”)
68. Lo partito interveniente osservo che in dispetto della ratifica della Convenzione delle Nazioni unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti, non esiste di incriminazione specifica della tortura nel sistema morale italiano. L’interveniente ricorda che la Corte ha affermato che lo stato deve adottare delle regole per garantire il rispetto dei suoi impegni allo sguardo degli articoli 3 e 8 della Convenzione e che ha concluso alla violazione dell’articolo 3 a causa della sovrappopolazione carceraria in Italia recentemente, Torreggiani ed altri, precitata).
2. Valutazione della Corte
a) Sul risvolto sostanziale dell’articolo 3 della Convenzione
69. La Corte ricorda che in caso di affermazioni sul terreno dell’articolo 3 della Convenzione, deve concedersi ad un esame particolarmente approfondito, Matko c. Slovenia, no 43393/98, § 100, 2 novembre 2006, e Vladimir Romanov c. Russia, no 41461/02, § 59, 24 luglio 2008. Quando c’è stato un procedimento interno, non entra tuttavia nelle attribuzioni della Corte di sostituire la sua propria visione delle cose a quella dei corsi e tribunali nazionali ai quali appartiene in principio di pesare i dati raccolti da essi, Klaas c. Germania, 22 settembre 1993, § 29, serie Ha no 269; Jasar c. “l’ex-repubblica iugoslava del Macedonia”, no 69908/01, § 49, 15 febbraio 2007; ed Eski c. Turchia, no 8354/04, § 28, 5 giugno 2012. Anche se le constatazioni dei tribunali interni non legano la Corte, gli occorre tuttavia di abitudine degli elementi convincenti per potere scostarsi delle constatazioni alle quali sono giunti (Gäfgen, precitata, § 93.
70. Nello specifico, non è discusso entra le parti, vedere sopra 57 e 60 i paragrafi che, siccome l’hanno riconosciuto le giurisdizioni interne e siccome l’aveva denunciato l’interessato sé all’epoca della sua testimonianza del 9 giugno 2006, il richiedente è stato obbligato a passare tra due file di agenti armati di manganelli abbassando la testa e che è stato insultato e è stato minacciato.
71. In quanto alla qualifica giuridica di questo trattamento, la Corte ricorda che per cadere sotto l’influenza dell’articolo 3, un cattivo trattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo dipende dall’insieme dei dati della causa, in particolare della durata del trattamento e dei suoi effetti fisici o mentali, così come, talvolta, del sesso, dell’età, dello stato di salute della vittima, Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, § 162, serie Ha no 25, e Jalloh c. Germania [GC], no 54810/00, § 67, CEDH 2006-IX. Tra gli altri fattori a considerare raffigurano lo scopo in che il trattamento è stato inflitto così come l’intenzione o la motivazione che l’hanno ispirato, Aksoy c. Turchia, 18 dicembre 1996, § 64, Raccolta 1996-VI; Egmez c. Cipro, no 30873/96, § 78, CEDH 2000-XII; e Krastanov c. Bulgaria, no 50222/99, § 53, 30 settembre 2004, o ancora il suo contesto, tale un’atmosfera di viva tensione ed a forte carico emozionale, Selmouni c. Francia [GC], no 25803/94, § 104, CEDH 1999-V, ed Egmez, precitata, § 78.
72. La Corte ha giudicato già in particolare un trattamento “disumano” al motivo che era stato applicato con premeditazione per ore e che aveva causato o delle lesioni corporali o del viva sofferenze fisiche e mentali, Labita c. Italia ([GC], no 26772/95, § 120, CEDH 2000-IV, e Ramirez Sanchez c. Francia [GC], no 59450/00, § 118, CEDH 2006-IX. Ha definito un trattamento “degradante” come essendo di natura tale da creare dei sentimenti di paura, di angoscia e di inferiorità proprio ad umiliare ed avvilire ed a rompere eventualmente la resistenza fisica o giuridica del nessuno che ne è vittima, o a condurrla ad agire contro la sua volontà o la sua coscienza (vedere, entra altri, Keenan c. Regno Unito, no 27229/95, § 110, CEDH 2001-III, e Jalloh, precitata, § 68.
73. Per determinare se una forma di cattivo trattamento deve essere qualificata di tortura, bisogna avere riguardo alla distinzione che comprende l’articolo 3, tra queste nozioni e quella di trattamento disumano o degradante. Così come la Corte l’ha rilevato precedentemente, questa distinzione sembra essere stata consacrata dalla Convenzione per segnare di una speciale infamia dei trattamenti disumani deliberati che provocano di molto gravi e crudeli sofferenze, Irlanda c. Regno Unito, precitata, § 167; Aksoy, precitata, § 63; e Selmouni, precitata, § 96. Esagera un elemento di gravità, la tortura implica una volontà deliberata, così come lo riconosce la Convenzione delle Nazioni unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti: nel suo articolo 1, questa definisce la tortura come tutto atto con che un dolore o dei sofferenze aigües sono inflitti intenzionalmente in particolare ad una persona alle fini di ottenere di lei delle informazioni, di punirla o di intimidirlo, Akkoç c. Turchia, i nostri 22947/93 e 22948/93, § 115, CEDH 2000-X, e Gäfgen, precitata, § 90.
74. Nello specifico, il richiedente non è stato sottomesso agli atti di violenza e non ha subito nessuna lesione corporale. Ha sé affermato non essere stato picchiato. Sebbene il trattamento che gli è stato inflitto sia stato deliberato, la Corte stima che, tenuto conto della sua brevità, non si saprebbe qualificarlo di tortura psicologica. In compenso, conviene rilevare che questo trattamento mirava ad avvilire ed umiliare l’interessato in un contesto di forte tensione emozionale dove i detenuti potevano temere legittimamente per essi estrae. Il richiedente ha dovuto provare dei sentimenti di paura, di angoscia e di inferiorità, ciò che permette alla Corte di qualificare l’incidente in questione di trattamento degradante, proibito come tale con l’articolo 3 della Convenzione.
75. Questa constatazione basta alla Corte per concludere alla violazione del risvolto sostanziale di questa disposizione.
b, Sul risvolto procedurale dell’articolo 3 della Convenzione
i. Principi generali
76. In caso, siccome nello specifico, di cattivo trattamento deliberato inflitto dagli agenti dello stato al disprezzo dell’articolo 3, la Corte stima in modo costante che le autorità interne devono condurre un’inchiesta approfondita ed effettiva potendo condurre all’identificazione ed alla punizione dei responsabile (vedere, entra altri, Çamdereli c. Turchia, no 28433/02, §§ 28-29, 17 luglio 2008; e Gäfgen, precitata, § 116. A questo riguardo, la Corte ha preso in conto parecchi criteri. Di prima, dell’importa fattori affinché l’inchiesta sia effettiva, e che permettono di verificare se le autorità avevano la volontà di identificare e di inseguire i responsabile, sono la celerità con la quale è aperta (Selmouni, precitata, §§ 78-79; Nikolova e Velitchkova c. Bulgaria, no 7888/03, § 59, 20 dicembre 2007; e Vladimir Romanov, precitata §§ 85 e suiv.) e la celerità con la quale è condotta, Mikheïev c. Russia, no 77617/01, § 109, 26 gennaio 2006, e Dedovski ed altri c. Russia, no 7178/03, § 89, CEDH 2008. Inoltre, la conclusione dell’inchiesta e dei perseguimenti penali che scatena, ivi compreso la sanzione pronunziata così come le misure disciplinari preso, ha un carattere determinante. Questi elementi sono essenziali se si vuole preservare l’effetto dissuasivo del sistema giudiziale in posto ed il ruolo che è tenuto di esercitare nella prevenzione degli attentati all’interdizione dei cattivi trattamenti, Ali ed Ayşe Duran c. Turchia, no 42942/02, § 62, 8 aprile 2008; Çamdereli, precitata, § 38; Nikolova e Velitchkova, precitata, §§ 60 e suiv. ; e Gäfgen, precitata, § 121.
77. La Corte ricorda a questo proposito che non gli appartiene di pronunciarsi sul grado di colpevolezza della persone causa, Öneryıldız c. Turchia [GC], no 48939/99, § 116, CEDH 2004-XII, o di determinare la pena ad infliggere, queste materie che rilevano della competenza esclusiva dei tribunali repressivi internano. Tuttavia, in virtù dell’articolo 19 della Convenzione e conformemente al principio che vuole che la Convenzione garantisse dei diritti non teorici o illusori, ma concreti ed effettivi, la Corte deve assicurarsi che lo stato si sdebita siccome si deve dell’obbligo che gli è fatto di proteggere i diritti delle persone che rilevano della sua giurisdizione, Nikolova e Velitchkova, precitata, § 61. Quindi, se la Corte riconosce il ruolo dei corsi e tribunali nazionali nella scelta delle sanzioni ad infliggere agli agenti dello stato in caso dei cattivi trattamenti inflitti da essi, deve conservare la sua funzione di controllo ed intervenire nei casi dove esiste una sproporzione manifesta tra le gravità dell’atto e la sanzione inflitta. Se no, il dovere che ha gli Stati di condurre un’inchiesta effettiva perderebbe molto il suo senso, Nikolova e Velitchkova, precitata, § 62; Ali ed Ayşe Duran, precitata, § 66; e Gäfgen, precitata, § 123.
78. La Corte ricorda ugualmente che dal momento che degli agenti dello Stato vengono incolpati di infrazioni che implicano dei maltrattamenti , è importante che i perseguimenti no incontrino la prescrizione e che gli interessati siano sospesi dalle loro funzioni durante l’istruzione o il processo e ne siano dimessi in caso di condanna (Abdülsamet Yaman, c. Turchia, no 32446/96, § 55, 2 novembre 2004; vedere anche § 63 Nikolova e Velitchkova, precitata,; Ali ed Ayşe Duran, precitata, § 64; Çamdereli, precitata, § 38; e Gäfgen, precitata, § 125.
ii. Applicazione di questi principi nello specifico
79. La Corte si riferisce innanzitutto alla sua constatazione che gli importanti ritardi hanno leso il processo dinnanzi al tribunale di Sassari e che questa lunghezza del procedimento ha condotto al pronunziata di un non luogo a procedere a causa di prescrizione contro sette degli imputati, paragrafo 46 sopra, ciò che non saprebbe conciliarsi con l’obbligo delle autorità di condurre l’inchiesta con celerità, paragrafo 76 sopra.
80. In quanto alla conclusione dell’inchiesta, è vero che nella cornice del procedimento abbreviato, dieci condanne sono state pronunciate. Però, un agente penitenziario riconosciuto colpevole di avere omesso di denunciare i reati non si è visto infliggere che una multa di 100 EUR, paragrafi 17 e 18 sopra,; e si delle pene di detenzione, arzillo di quattro mesi ad un anno ed otto mesi, sono state pronunciate verso otto altre persone, erano abbinate di un rinvio all’esecuzione, paragrafo 17 sopra. In queste circostanze, la Corte non è convinta che le giurisdizioni interne abbiano misurato la gravità dei fatti rimproverati agli imputati nel loro requisito di funzionari dello stato (vedere, mutatis mutandis, Zeynep Özcan c. Turchia, no 45906/99, § 43, 20 febbraio 2007.
81. La Corte nota anche che il Governo non ha indicato si durante l’istruzione o il processo gli agenti accusati sono stati sospesi bene delle loro funzioni, siccome esigilo normalmente la sua giurisprudenza, paragrafo 35 sopra,: risulta solamente della pratica che, dopo la loro condanna, sette persone sono state oggetto di sanzioni disciplinari. Per di più, contro gli alti funzionari implicati, le sanzioni disciplinari in questione che comprendevano una sospensione delle funzioni, hanno avuto una durata che va solamente di uno a sei mesi; in quanto a queste inflitto agli agenti penitenziari condannati, sono state molto leggere, a sapere una riduzione di un trentesimo del loro stipendio ed un semplice biasimo, paragrafo 23 sopra. In nessuno caso gli interessati non sono stati dimessi delle loro funzioni in seguito alla loro condanna.
82. Avuto riguardo alle constatazioni che precedono, la Corte stima che le differenti misure prese pienamente dalle autorità interne non hanno soddisfatto alla condizione di un’inchiesta approfondita ed effettiva, come stabilita nella sua giurisprudenza. In queste circostanze, c’è luogo di respingere l’eccezione preliminare del Governo derivato della perdita della qualità di vittima, paragrafo 37 sopra, e di concludere che c’è stata violazione del risvolto procedurale dell’articolo 3 della Convenzione.
c) Le altre affermazioni delle parti
83. Con là, la Corte stima avere esaminato le questioni giuridiche principali poste dal motivo di appello derivato dell’articolo 3. Tenuto conto dell’insieme dei fatti della causa e degli argomenti delle parti, considera di conseguenza che non c’è luogo di esaminare la questione di sapere se la mancanza, in dritto italiano, di una violazione specifica che si riferisce alla nozione di tortura o ai trattamenti disumana o degradante porta in si attentato a questa stessa disposizione (vedere, mutatis mutandis, Kamil Uzun c. Turchia, no 37410/97, § 64, 10 maggio 2007; Demirel ed altri c. Turchia, no 75512/01, § 29, 24 luglio 2007; Mehmet e Suna Yiğit c. Turchia, no 52658/99, § 43, 17 luglio 2007; ed Abdullah Yılmaz c. Turchia, no 21899/02, § 77, 17 giugno 2008.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 5 DELLA CONVENZIONE
84. Il richiedente considera che omettendo di proteggerlo contro le violenze degli agenti penitenziari, le autorità hanno ignorato il loro dovere di garantire la sua libertà e la sua sicurezza.
Invoca l’articolo 5 della Convenzione di cui il primo paragrafo si legge come segue:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà ed alla sicurezza. Nessuno può essere privato della sua libertà, salvo nei seguenti casi e secondo le vie legali:
a) se è detenuto regolarmente dopo condanna di un tribunale competente;
b) se è stato oggetto di un arresto o di una detenzione regolare per renitenza ad un’ordinanza resa, conformemente alla legge, con un tribunale o in vista di garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge;
c) se è stato arrestato e è stato detenuto vista di essere condotto dinnanzi all’autorità giudiziale competente, quando ci sono delle ragioni plausibili di sospettare che ha commesso una violazione o che ci sono dei motivi ragionevoli di credere alla necessità di impedirlo di commettere una violazione o di fuggire dopo il compimento di questa;
d) se si tratta della detenzione regolare di un minore, decisa per la sua educazione vigilata o della sua detenzione regolare, per tradurlo dinnanzi all’autorità competente,;
e) se si tratta della detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa, di un alienato, di un’alcolista, di un tossicodipendente o di un vagabondo,;
f) se si tratta dell’arresto o della detenzione regolare di una persona per impedirlo di penetrare irregolarmente nel territorio, o contro la quale un procedimento di sfratto o di estradizione è in corso. “
85. Il Governo combatte questa tesi e sottolinei che il richiedente non contesta la legalità della sua privazione di libertà, ma le sue condizioni di detenzione ed i trattamenti ai quali è stato sottoposto.
86. La Corte osserva che il richiedente non contesta la legalità della sua detenzione. Rileva anche che niente nella pratica permette di pensare che la privazione di libertà controversa era arbitraria o diversamente contrario all’articolo 5 della Convenzione.
87. Segue che questo motivo di appello è manifestamente male fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 ha, e 4 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
88. Il richiedente si lamenta di un attentato illegittimo al suo diritto alla vita privata. Ricorda le violenze di cui è stato vittima e sottolinei che gli agenti penitenziari hanno distrutto volontariamente i suoi oggetti personali.
Invoca l’articolo 8 della Convenzione, così formulata,:
1. “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza .
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
89. Il Governo respinge questa tesi. Osserva che dinnanzi alle giurisdizioni nazionali il richiedente non ha affermato mai che i suoi oggetti personali erano stati distrutti, ma solamente che erano stati sparpagliati nella sua unità.
90. Il richiedente afferma che tutto era stato spostato nella sua unità, che il cibo era stato mescolato al bucato e che i suoi effetti personali erano stati sciupati. Stima che questi fatti costituiscono bene un’ingerenza illegittima nella sua vita privata, tenuto conto della cornice limitata dove viveva all’epoca dei fatti.
91. La Corte rileva che, nella misura in cui cade sulle violenze di cui il richiedente ha fatto l’oggetto, questo motivo di appello è legato a quell’esaminato sopra sotto l’angolo dell’articolo 3 e deve essere dichiarato dunque anche ammissibile.
92. Avuto riguardo alle sue constatazioni relative all’articolo 3 della Convenzione, paragrafi 75 e 82 sopra, la Corte stima che non c’è luogo di esaminare se c’è stato anche, nello specifico, violazione dell’articolo 8.
93. Per ciò che è, in compenso, della pretesa degradazione degli oggetti personali del richiedente, la Corte stima che le affermazioni dell’interessato non sono supportate sufficientemente.
94. Segue che questa parte del motivo di appello è manifestamente male fondata e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 ha, e 4 della Convenzione.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE, COMPOSTO CON L’ARTICOLO 3
95. Il richiedente si lamenta di non disporre, in dritto italiano, del nessuno ricorso efficace per fare valere il suo motivo di appello tirato dell’articolo 3. Osserva che il sistema morale italiano non contempla il crimine di tortura; gli atti in causa non sono potuti essere perseguii dunque che sotto le qualifiche minorenne per che il termine di prescrizione era corto.
Invoca l’articolo 13 della Convenzione, così formulata,:
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
96. Il Governo contesta questa tesi. Reitera le sue osservazioni in quanto all’omissione, col richiedente, di esaurire le vie di ricorso che gli era aperte in dritto italiano, paragrafi 38-39 sopra, ed in quanto all’efficacia dell’inchiesta interna, paragrafi 28-29 sopra. Il Governo ricorda in particolare che meno del 10% degli imputati hanno beneficiato di un non luogo a procedere e che i trattamenti denunciati dal richiedente cadevano sotto l’influenza di una disposizione specifica della legge penale nazionale, l’articolo 608 del CP che offre una protezione alle persone private della loro libertà in considerazione del loro stato di vulnerabilità.
97. Il richiedente osserva che solamente il 10% delle persone accusate dei fatti del 3 aprile 2000 sono stati condannati, e stima che non è verosimile che nove persone abbiano potuto maltrattare 118 vittime.
98. La Corte rileva che questo motivo di appello è legato a quell’esaminato sopra sotto l’angolo dell’articolo 3 e deve essere dichiarato dunque anche ammissibile.
99. Avuto riguardo alle sue constatazioni relative all’articolo 3 della Convenzione, paragrafi 75 e 82 sopra, la Corte stima che non c’è luogo di esaminare se c’è stato anche, nello specifico, violazione dell’articolo 13.
V. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
100. Il richiedente si lamenta della durata del procedimento penale diretto contro gli agenti penitenziari nella quale si era costituito parte civile.
Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, è formulato così:
“Ogni persona ha diritto a ciò che la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, con un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile. “
101. Il Governo espone che la durata del procedimento dinnanzi al tribunale di Sassari si spiega con la complessità della causa. Ad ogni modo, il richiedente avrebbe potuto introdurre un ricorso in risarcimento sul fondamento del legge Pinto, ciò che non ha fatto.
102. La Corte rileva che il richiedente non ha indicato avere introdotto un ricorso sul fondamento del legge “Pinto”, legge no 89 di 2001, per ottenere presumibilmente risarcimento per la durata eccessiva del procedimento in questione. Ora, un tale ricorso è stato considerato dalla Corte come essendo accessibile ed in principio efficace per denunciare, al livello interno, la lentezza della giustizia (vedere, tra molto altri, Brusco c. Italia, déc.), no 69789/01, CEDH 2001-IX, e Pacifico c. Italia, déc.), no 17995/08, § 67, 20 novembre 2012.
103. Segue che questo motivo di appello deve essere respinto per no-esaurimento delle vie di ricorso interni, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
VI. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
104. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
105. Il richiedente richiede 100 000 EUR a titolo del danno morale che avrebbe subito.
106. Il Governo stima questa somma eccessiva e noti che il richiedente non ha specificato ne che cosa consisteva la sofferenza giuridica che avrebbe patito. Non avrebbe supportato la sua domanda dunque e non avrebbe dimostrato l’esistenza di un legame di causalità tra le violazioni constatata ed il danno addotto.
107. La Corte considera che il richiedente ha subito un torto morale certo e decidi di concedere egli 15 000 EUR a questo titolo.
B. Oneri e spese
108. Producendo una nota del suo consiglio, il richiedente chiede anche 8 000 EUR per gli oneri e spese impegnate dinnanzi alla Corte.
109. Il Governo stima questa somma eccessiva tenuto conto della prestazione effettivamente compiuta dal consiglio del richiedente e delle tabelle applicabili nel sistema italiano.
110. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente non può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese che nella misura in cui si trovano stabilisco la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevoli del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto dei documenti nel suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte stima ragionevole l’intimo di 5 000 EUR per il procedimento dinnanzi a lei e l’accordo al richiedente.
C. Interessi moratori
111. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito

Testo Tradotto

Conclusions: Violation de l’article 3 – Interdiction de la torture (Article 3 – Traitement dégradant) (Volet matériel) Violation de l’article 3 – Interdiction de la torture (Article 3 – Enquête efficace) (Volet procédural)

DEUXIÈME SECTION

AFFAIRE SABA c. ITALIE

(Requête no 36629/10)

ARRÊT

STRASBOURG

1er juillet 2014

Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Saba c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Işıl Karakaş, présidente,
Guido Raimondi,
Nebojša Vučinić,
Helen Keller,
Paul Lemmens,
Egidijus Kūris,
Robert Spano, juges,
et de Abel Campos, greffier adjoint de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 3 juin 2014,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 36629/10) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, OMISSIS (« le requérant »), a saisi la Cour le 29 juin 2010 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant a été représenté par OMISSIS, avocat à Sassari. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agente, Mme E. Spatafora.
3. Le requérant allègue avoir été soumis, en prison, à des traitements contraires à l’article 3 de la Convention et ne disposer d’aucun remède effectif pour faire valoir ses droits.
4. Le 2 janvier 2013, la requête a été communiquée au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond. Des commentaires ont été reçus du Parti radical non violent transnational et transparti, de l’association « Non c’è pace senza giustizia » et des Radicaux italiens (anciennement « Parti radical italien ») que la vice-présidente de la section avait autorisés à intervenir dans la procédure écrite (articles 36 § 2 de la Convention et 44 § 3 du règlement).
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le requérant est né en 1951 et réside à Martis (Sassari).
A. Les faits du 3 avril 2000 et les investigations préliminaires
6. En 2000, le requérant était détenu à la prison de Sassari. Le requérant et d’autres détenus portèrent plainte à l’encontre de certains agents pénitentiaires pour actes de violence survenus le 3 avril 2000.
7. Le 21 avril 2000, le parquet de Sassari demanda que des mesures de précaution (telles qu’un placement en détention provisoire ou une assignation à résidence) fussent adoptées à l’encontre de certains des agents impliqués. Par une décision du 2 mai 2000, le juge des investigations préliminaires (« le GIP ») de Sassari fit droit à la demande du parquet et ordonna le placement en détention provisoire de 22 accusés ; 60 autres furent placés en résidence surveillée.
8. A l’issue des investigations préliminaires, le parquet demanda le renvoi en jugement d’un grand nombre de personnes, accusées de violence privée (article 610 du code pénal – « le CP »), coups et blessures (articles 582 et 583 du CP) et abus de fonctions (article 323 du CP).
9. L’audience préliminaire s’ouvrit le 22 octobre 2001, et fut ajournée à plusieurs reprises. Le 12 novembre 2001, le requérant se constitua partie civile dans la procédure pénale. Le ministère de la Justice fut appelé dans la procédure en tant que partie civilement responsable des agissements criminels des accusés (responsabile civile). Le 21 février 2003, le juge de l’audience préliminaire (« le GUP ») de Sassari renvoya neuf agents pénitentiaires en jugement devant le tribunal de cette même ville. Il prononça un jugement sur le bien-fondé des accusations à l’encontre de 61 autres accusés, qui avaient choisi d’être jugés selon la procédure abrégée (paragraphe 17 ci-après). Un non-lieu pour absence de faits délictueux fut prononcé pour 20 autres accusés.
B. Le procès devant le tribunal de Sassari
10. Devant le tribunal de Sassari, les prévenus étaient accusés de différents actes de violence, coups et blessures et abus de pouvoir à l’encontre de nombreux détenus. En ce qui concerne le requérant, les gardes pénitentiaires étaient accusés de l’avoir obligé à se dénuder, à rester devant sa cellule la tête contre le mur et à passer avec la tête baissée entre deux files d’agents, ainsi qu’à subir des perquisitions injustifiées, accompagnées d’injures et de menaces. De plus, les cellules avaient été dévastées et les objets personnels des détenus détruits. Selon la thèse du parquet, les faits incriminés tombaient sous le coup des articles 610 et 323 du CP, qui punissent, respectivement, les infractions de violence privée et d’abus de fonctions publiques.
11. Au cours de 44 audiences, le tribunal entendit 103 victimes, témoins et accusés dans des procédures connexes. Le 21 décembre 2007, le parquet demanda et obtint copie du jugement du GUP de Sassari du 21 février 2003 (paragraphe 17 ci-dessus) et de l’arrêt rendu le 7 novembre 2005 par la cour d’appel de Cagliari (paragraphe 19 ci-après). Les 29 mai, 12 et 23 juin, 14 juillet et 29 septembre 2009, les parties présentèrent leurs plaidoiries.
12. Par un jugement du 29 septembre 2009, dont le texte fut déposé au greffe le 28 décembre 2009, le tribunal de Sassari prononça un non-lieu pour cause de prescription à l’encontre de sept des accusés. Il relaxa les deux autres accusés.
13. Le tribunal observa qu’il ressortait des décisions de justice définitives produites par le parquet et des preuves recueillies que le 3 avril 2000 des épisodes de « violence inhumaine » avaient eu lieu à la prison de Sassari. Au cours de ce qui aurait dû n’être qu’une perquisition générale et une opération de transfert de certains détenus, accompagnées de la présentation du nouveau commandant, les détenus avaient été déplacés des lieux où ils se trouvaient et soumis à des actes de violence gratuite. Certains détenus avaient été contraints de se dénuder, avaient été menottés, insultés, battus et soumis à des humiliations.
14. Selon le tribunal, il s’agissait d’un « tunnel des horreurs », et la prison de Sassari, lieu de détention en vertu de la loi, avait connu un déchaînement de rancune et de représailles incompatible avec les règles de l’Etat de droit.
15. Le tribunal estima que les faits incriminés tombaient sous le coup de l’article 608 du CP, qui punissait l’abus d’autorité à l’encontre des détenus. Cependant, cette infraction, punie par une peine maximale de 30 mois, était prescrite depuis le 3 octobre 2007. Quant aux faits de coups et blessures aggravés, ils étaient prescrits depuis le 3 janvier 2009.
16. Selon les informations fournies par le Gouvernement le 30 avril 2013, le jugement du tribunal de Sassari du 29 septembre 2009 serait devenu définitif « probablement au courant du premier semestre 2010 ».
C. La procédure abrégée suivie à l’égard de 61 des accusés
17. Comme indiqué au paragraphe 9 ci-dessus, 61 agents pénitentiaires furent jugés séparément pour les faits du 3 avril 2000. En particulier, par un jugement du 21 février 2003, dont le texte fut déposé au greffe le 10 juillet 2003, le GUP de Sassari avait condamné 12 personnes à des peines allant d’un an et six mois à quatre mois d’emprisonnement avec sursis pour, entre autres, violence privée aggravée, coups et blessures et abus de fonctions. Parmi ces personnes figuraient des agents pénitentiaires, ainsi que le superviseur régional de l’administration pénitentiaire, la directrice de la prison de Sassari et le commandant du département de la police pénitentiaire de Sassari. Un agent fut condamné à une amende de 100 euros (EUR) pour avoir omis de dénoncer une infraction pénale (article 361 du CP). Tous les autres accusés furent relaxés. Les coupables furent également condamnés à la réparation des dommages subis par les parties civiles (dont le montant devait être fixé dans le cadre d’une procédure civile séparée) et au remboursement de leurs frais de procédure (pour le requérant, ces frais s’élevaient à 5 500 EUR). Le GUP accorda une provision (provvisionale immediatamente esecutiva) sur le montant du dédommagement à venir aux victimes qui, à la différence du requérant, avaient fourni la preuve de leur soumission à des actes de violence.
18. Le parquet et certains des accusés interjetèrent appel. L’agent condamné à une amende de 100 EUR ne fit pas appel et sa condamnation devint définitive.
19. Par un arrêt du 7 novembre 2005, la cour d’appel confirma six condamnations, acquitta cinq personnes et en condamna quatre autres, qui avaient été acquittées en première instance. Les coupables furent à nouveau condamnés à la réparation des dommages subis par les parties civiles (dont le montant devait être fixé dans le cadre d’une procédure civile séparée) et au remboursement de leurs frais de procédure (pour le requérant, les frais du procès d’appel s’élevaient à 5 355 EUR). La cour d’appel précisa que les faits incriminés tombaient sous le coup de l’article 608 du CP (paragraphe 24 ci-dessous).
20. Les dix personnes condamnées en appel se pourvurent en cassation.
21. Par un arrêt du 5 juin 2007, la Cour de cassation débouta de leur pourvoi neuf des prévenus (parmi lesquels le superviseur régional de l’administration pénitentiaire, la directrice de la prison de Sassari et le commandant du département de la police pénitentiaire de Sassari). Elle confirma la qualification juridique des faits sous l’angle de l’article 608 du CP. Elle cassa l’arrêt d’appel uniquement en ce qui concernait l’un des condamnés, un médecin accusé d’omission d’acte d’office et de faux.
22. Dans ses observations du 30 avril 2013, le Gouvernement indique qu’il ne ressort pas que le requérant ait introduit une action civile en dédommagement fondée sur le jugement du GUP du 21 février 2003, tel que confirmé en appel et en cassation.
D. Les sanctions disciplinaires adoptées à l’encontre de certains des condamnés
23. Dans ses observations du 30 avril 2013, le Gouvernement indique que sept des personnes condamnées ont fait l’objet de sanctions disciplinaires, à savoir :
– le superviseur régional de l’administration pénitentiaire (condamné au pénal à un an, quatre mois et vingt jours d’emprisonnement) a été suspendu de ses fonctions avec suppression complète du salaire pour une période d’un mois ;
– la directrice de la prison de Sassari (condamnée au pénal à dix mois et vingt jours d’emprisonnement) a été suspendue de ses fonctions avec retenue de la moitié du salaire pour une période d’un mois ;
– le commandant du département de la police pénitentiaire de Sassari (condamné au pénal à un an et huit mois d’emprisonnement) a été suspendu de ses fonctions avec retenue de la moitié du salaire pour une période de six mois ;
– trois agents pénitentiaires (condamnés au pénal à quatre mois et vingt jours d’emprisonnement) ont subi une retenue d’un trentième de leur salaire ;
– l’agent condamné à une amende de 100 EUR pour omission de dénoncer une infraction pénale a fait l’objet d’un blâme, avec pour conséquence l’impossibilité de bénéficier d’une augmentation de salaire pendant un an.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
24. Les dispositions pertinentes du code pénal (CP) se lisent comme suit :
Article 610 § 1 du CP
« Quiconque, au moyen de violences ou de menaces, oblige quelqu’un à faire, tolérer ou omettre quelque chose, est puni d’une peine de réclusion allant jusqu’à quatre ans. »
Article 323 § 1 du CP
« (…) L’officier public ou la personne chargée d’un service public, qui, dans l’accomplissement de ses fonctions ou de son service, de manière intentionnelle et en violation de dispositions légales ou réglementaires (…), procure à lui-même ou à d’autres un avantage patrimonial injuste ou cause à autrui un préjudice injuste, est puni d’une peine de réclusion allant de six mois à trois ans. »
Article 608 § 1 du CP
« Tout officier public qui soumet une personne arrêtée ou détenue (…) à des mesures de rigueur sans y être autorisé par la loi est puni d’une peine de réclusion allant jusqu’à 30 mois. »
25. L’article 13 § 4 de la Constitution prévoit la punition de toute violence physique ou morale commise à l’encontre des personnes soumises à des restrictions de liberté.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 3 DE LA CONVENTION
26. Le requérant se plaint des traitements auxquels il a été soumis de la part des agents pénitentiaires, traitements qui à son avis pourraient être qualifiés de torture. Il souligne qu’à cause de la lenteur de la procédure judiciaire concernant lesdits traitements, les responsables ont bénéficié de la prescription et ne peuvent donc pas être punis.
Il invoque l’article 3 de la Convention, ainsi libellé :
« Nul ne peut être soumis à la torture ni à des peines ou traitements inhumains ou dégradants. »
27. Le Gouvernement récuse la thèse du requérant.
A. Sur la recevabilité
1. L’exception du Gouvernement tirée de la perte de la qualité de victime
a) L’exception du Gouvernement
28. Le Gouvernement estime que la requête devrait être rejetée pour cause de perte de la qualité de victime. En effet, dans son ensemble, la procédure pénale dirigée contre les personnes responsables des événements du 3 avril 2000 a eu une issue favorable pour le requérant. Elle a en effet débouché sur la condamnation de dix personnes – y compris des hauts fonctionnaires – et sur la reconnaissance du droit à dédommagement de l’intéressé. De plus, sept des coupables se sont vu infliger des sanctions disciplinaires (paragraphe 23 ci-dessus). Ainsi, les autorités internes ont pleinement reconnu, explicitement et en substance, les violations dénoncées par le requérant (en particulier, la violation de l’article 3 de la Convention) et y ont porté remède. Le fait que le requérant ait décidé de ne pas entamer une procédure civile en dédommagement ne saurait nuire au Gouvernement.
29. Quant au fait que seulement dix personnes ont été condamnées à l’issue de la procédure pénale, cette circonstance démontrerait uniquement que le système italien est caractérisé par une évaluation rigoureuse des preuves par rapport à la position individuelle de chaque accusé.
b) La réplique du requérant
30. Le requérant considère que les peines infligées aux personnes responsables des événements du 3 avril 2000 sont insuffisantes pour remédier à la violation de l’article 3 de la Convention. Ces peines, toutes assorties d’un sursis à leur exécution, ont été les suivantes : seize mois d’emprisonnement pour le chef régional des prisons de la Sardaigne ; dix mois et vingt jours pour la directrice de la prison de Sassari ; vingt mois pour le commandant de la police du pénitencier de Sassari ; quatre mois et vingt jours pour six agents pénitentiaires. Les montants octroyés à titre de provision sur les dédommagements (allant de 4 000 à 6 000 EUR) seraient dérisoires et il en irait de même en ce qui concerne les sanctions disciplinaires. En tout cas, ces différentes punitions ne seraient pas proportionnées à la gravité des faits et aucun des responsables n’aurait, à ce jour, payé pour ce qu’il a fait. En outre, seules dix personnes ont été condamnées au pénal, alors qu’environ 90 agents de police avaient perquisitionné une prison tout entière et harcelé sa population.
31. Le fait que le requérant n’ait subi aucune blessure ne signifie pas, comme le voudrait le Gouvernement, qu’il n’a pas été victime d’une violation de l’article 3 de la Convention, mais plutôt que le système juridique italien est incapable de redresser les manquements plus subtils à cette disposition qui ont lieu lorsqu’il y a violence morale, et non violence physique directe.
c) Appréciation de la Cour
32. La Cour rappelle que c’est en premier lieu aux autorités nationales qu’il appartient de redresser une violation alléguée de la Convention. A cet égard, la question de savoir si un requérant peut se prétendre victime de la violation alléguée se pose à tous les stades de la procédure sur le terrain de la Convention (voir, entre autres, Siliadin c. France, no 73316/01, § 61, CEDH 2005 VII, et Scordino c. Italie (no 1) [GC], no 36813/97, § 179, CEDH 2006 V). Une décision ou une mesure favorable au requérant ne suffit pas en principe à le priver de sa qualité de « victime » aux fins de l’article 34 de la Convention sauf si les autorités nationales reconnaissent, explicitement ou en substance, puis réparent la violation de la Convention (voir, entre autres, Eckle c. Allemagne, 15 juillet 1982, § 66, série A no 51 ; Dalban c. Roumanie [GC], no 28114/95, § 44, CEDH 1999 VI ; Siliadin, précité, § 62 ; et Gäfgen c. Allemagne [GC], no 22978/05, § 115, CEDH 2010).
33. En ce qui concerne la réparation adéquate et suffisante pour remédier au niveau interne à la violation du droit garanti par la Convention, la Cour considère généralement qu’elle dépend de l’ensemble des circonstances de la cause, eu égard en particulier à la nature de la violation de la Convention qui se trouve en jeu (Gäfgen, précité, § 116).
34. La Cour note qu’à la suite de la plainte portée par le requérant et ses codétenus, une enquête a été ouverte pour établir d’éventuelles responsabilités dans les événements du 3 avril 2000. Dans la mesure où elle a débouché sur une procédure abrégée, cette enquête s’est soldée par la condamnation de neuf personnes, parmi lesquelles des hauts fonctionnaires, pour l’infraction décrite à l’article 608 § 1 du CP, qui punit la soumission des détenus à des mesures de rigueur non autorisées (paragraphes 17-21 et 24 ci-dessus).
35. Même à supposer que cette condamnation puisse s’analyser, en substance, en la reconnaissance de la violation de l’article 3 de la Convention, la Cour relève qu’aucune des décisions rendues dans le cadre de la procédure pénale susmentionnée n’a accordé de compensation pécuniaire au requérant. Il s’ensuit que l’État défendeur n’a pas suffisamment redressé le traitement contraire à l’article 3 que le requérant dénonce et que ce dernier peut toujours se prétendre victime d’une violation du volet substantiel de cette disposition au sens de l’article 34 de la Convention. L’exception du Gouvernement sur ce point ne peut donc être retenue.
36. Pour ce qui est du fait, noté par le Gouvernement (paragraphe 28 ci-dessus), que le requérant a décidé de ne pas entamer une procédure civile en dédommagement, la Cour considère que cette circonstance se prête à être examinée dans le cadre de l’exception du Gouvernement tirée du non-épuisement des voies de recours internes (paragraphes 42-48 ci-après).
37. Enfin, dans la mesure où les allégations du requérant portent sur l’absence d’une enquête effective pouvant conduire à l’identification et à la punition des personnes responsables des traitements qu’il dénonce, il y a lieu de joindre l’exception du Gouvernement tirée de la perte de la qualité de victime au fond du grief.
2. L’exception du Gouvernement tirée du non-épuisement des voies de recours internes
a) L’exception du Gouvernement
38. Le Gouvernement excipe du non-épuisement des voies de recours internes au motif que le requérant n’a pas entamé de procédure civile en dédommagement à l’encontre des personnes responsables des traitements qui lui ont été infligés (paragraphe 22 ci-dessus). Cette procédure aurait pu être initiée à l’encontre tant des personnes dont la condamnation était devenue définitive à la suite de l’arrêt de la Cour de cassation du 5 juin 2007 (paragraphe 21 ci-dessus) que des sept accusés ayant bénéficié d’un non-lieu pour cause de prescription dans le jugement du tribunal de Sassari du 29 septembre 2009 (paragraphe 12 ci-dessus). Un tel remède était non seulement accessible, mais également effectif, car il était susceptible de permettre au requérant d’obtenir une compensation financière et offrait des chances raisonnables de succès.
39. Une personne qui, comme le requérant, s’est constituée partie civile dans une procédure pénale aurait non seulement le droit, mais aussi l’obligation d’introduire une action civile pour la fixation du montant du dédommagement qui lui est dû. Les raisons avancées par le requérant pour justifier son omission de s’adresser aux juridictions civiles ne sauraient être admises. Si aucune provision n’a été accordée par le GUP au requérant, c’est parce que celui-ci n’avait produit aucune preuve du préjudice physique ou matériel qu’il aurait subi. Quant aux craintes de représailles, le Gouvernement note qu’elles ne sont pas été étayées, qu’elles ont été invoquées pour la première fois dans les observations en réponse, et que le requérant dispose de dix ans à partir du 17 septembre 2007 pour introduire son action. Or, le requérant n’est plus détenu depuis 2006 et, contrairement à ce qu’il affirme, entre 2000 et 2006 il a été libéré à deux reprises (notamment du 30 juin 2000 au 12 octobre 2002 et du 26 septembre 2003 au 20 août 2004). De plus, le requérant n’a été détenu au pénitencier de Sassari que du 3 avril au 30 juin 2000 et du 12 octobre au 30 décembre 2002, il n’a jamais dénoncé avoir été intimidé, et il a signé le 6 mai 2003 une déclaration selon laquelle il n’avait aucune raison de craindre pour son intégrité physique et aucun problème d’incompatibilité avec les autres détenus.
b) La réplique du requérant
40. Le requérant admet qu’en théorie il aurait pu introduire devant le juge civil une action visant à obtenir un dédommagement pour les traitements subis le 3 avril 2000. Cependant, il serait courant en Italie de ne pas entamer d’action civile avant le prononcé du dernier jugement du procès pénal, qui pourrait être différent des jugements précédents. De plus, un procès civil aurait eu une durée significative et des coûts auxquels le requérant n’aurait pas pu faire face, compte tenu aussi des montants peu élevés que le GUP avait octroyés à 14 des 118 victimes, montants allant de 4 000 à 6 000 EUR. Enfin, le requérant était détenu pendant le procès, au moins jusqu’en 2006, et craignait des représailles des agents pénitentiaires ou de leurs collègues dans le cas où il aurait agi en justice contre eux.
41. Par ailleurs, l’Italie n’a pas introduit dans le CP de disposition spécifique punissant le crime de torture et de traitements inhumains et dégradants. Les infractions reprochées aux accusés étaient punies par les articles 608, 582 et 583 du CP, qui prévoient des peines légères. Une telle donnée ne manquerait pas de peser sur l’éventuelle fixation par le juge du montant d’un dédommagement au civil. Aucune provision sur le dédommagement à venir n’a été accordée par le juge pénal au requérant, au motif – notamment – qu’il n’avait subi aucune blessure.
c) Appréciation de la Cour
42. La Cour rappelle qu’aux termes de l’article 35 § 1 de la Convention, elle ne peut être saisie qu’après l’épuisement des voies de recours internes. La finalité de cette règle est de ménager aux États contractants l’occasion de prévenir ou de redresser les violations alléguées contre eux avant que la Cour n’en soit saisie (voir, parmi d’autres, Mifsud c. France (déc.) [GC], no 57220/00, § 15, CEDH 2002 VIII).
43. Les principes généraux relatifs à la règle de l’épuisement des voies de recours internes se trouvent exposés dans l’arrêt Vučković et autres c. Serbie ([GC], nos 17153/11 et autres, §§ 69-77, 25 mars 2014). La Cour rappelle que l’article 35 § 1 de la Convention ne prescrit que l’épuisement des recours à la fois relatifs aux violations incriminées, disponibles et adéquats. Un recours est effectif lorsqu’il est disponible tant en théorie qu’en pratique à l’époque des faits, c’est-à-dire lorsqu’il est accessible, susceptible d’offrir au requérant le redressement de ses griefs et présente des perspectives raisonnables de succès (Akdivar et autres c. Turquie, 16 septembre 1996, § 68, Recueil des arrêts et décisions 1996 IV, et Demopoulos et autres c. Turquie (déc.) [GC], nos 46113/99, 3843/02, 13751/02, 13466/03, 10200/04, 14163/04, 19993/04 et 21819/04, § 70, CEDH 2010).
44. En l’espèce, il était loisible au requérant d’entamer une procédure civile en dédommagement contre les personnes condamnées au pénal pour les faits du 3 avril 2000, ce que l’intéressé n’a pas fait. Dans le cadre de cette procédure, le requérant aurait pu obtenir une compensation financière pour le préjudice subi, et donc une réparation pour son grief tiré du volet substantiel de l’article 3 de la Convention. Il reste à déterminer si, dans les circonstances particulières de l’espèce, le requérant peut être dispensé de son obligation d’épuiser ce remède.
45. Comme la Cour l’a souligné plus haut (paragraphe 34 ci-dessus), une enquête a été ouverte pour établir d’éventuelles responsabilités dans les événements du 3 avril 2000. Le 2 mai 2000, le GIP de Sassari a placé 22 accusés en détention provisoire et en a assigné 60 autres à résidence (paragraphe 7 ci-dessus). Le 12 novembre 2001, le requérant s’est constitué partie civile dans la procédure pénale (paragraphe 9 ci-dessus). Le 21 février 2003, soit moins de trois ans après les faits, le GUP de Sassari a prononcé un jugement sur le bien-fondé des accusations à l’encontre des 61 accusés qui avaient choisi d’être jugés selon la procédure abrégée, et neuf agents pénitentiaires ont été renvoyés en jugement devant le tribunal de Sassari (paragraphes 9 et 17 ci-dessus).
46. Si cette réponse peut passer pour suffisamment prompte et diligente pour satisfaire aux normes de la Convention (voir, mutatis mutandis, Gäfgen, précité, § 122), il en va autrement pour la suite de la procédure. En effet, le procès devant le tribunal de Sassari s’est étalé sur 44 audiences, dont la dernière a eu lieu le 29 septembre 2009 (paragraphe 11 ci-dessus), soit plus de six ans et sept mois après le renvoi en jugement. Cette longueur de la procédure a conduit au prononcé d’un non-lieu pour cause de prescription à l’encontre de sept des accusés (paragraphes 12 et 15 ci-dessus). Des importants retards ont donc affecté le procès devant le tribunal de Sassari.
47. La Cour rappelle que les lenteurs excessives d’une action indemnitaire peuvent priver le recours de caractère effectif (Gäfgen, précité, § 127) et considère que vu la lenteur des procédures auxquelles il avait été partie depuis le 12 novembre 2001, le requérant peut être dispensé de l’obligation d’entamer de nouvelles procédures pour satisfaire aux exigences de l’article 35 § 1 de la Convention (voir, mutatis mutandis, Guillemin c. France, 21 février 1997, § 50, Recueil 1997-I). À cet égard, la Cour relève que difficilement le requérant aurait pu entamer une action civile en dédommagement avant le prononcé d’un jugement pénal définitif.
48. Il s’ensuit que l’exception du Gouvernement tirée du non-épuisement des voies de recours internes doit être rejetée.
3. L’exception du Gouvernement tirée de la nature abusive de la requête
a) L’exception du Gouvernement
49. Le Gouvernement soutient également que la requête devrait être déclarée irrecevable comme étant abusive. À cet égard, il allègue que le requérant a volontairement omis de fournir des informations concernant la procédure abrégée suivie à l’égard de 61 des accusés (paragraphes 17-21 ci-dessus), dans laquelle il s’était constitué partie civile et à l’issue de laquelle dix condamnations ont été prononcées et son droit à réparation ainsi qu’au remboursement des frais de procédure reconnu. Il s’agirait d’éléments essentiels pour l’examen de l’affaire et l’omission du requérant viserait à induire la Cour en erreur. De plus, dans ses observations en réponse, le requérant aurait essayé de minimiser la gravité de ses omissions.
b) La réplique du requérant
50. Le requérant répond que sa requête concerne, en premier lieu, le fait que l’Etat défendeur n’a pas respecté son obligation positive d’empêcher qu’il soit soumis à des traitements inhumains et dégradants. Dans cette optique, son omission de mentionner dans le formulaire de requête l’issue de la procédure à l’encontre des accusés ayant choisi la procédure abrégée serait sans importance, concernant un détail qui, aux yeux du requérant, n’était pas essentiel. Par ailleurs, afin d’apprécier le respect du délai de six mois fixé à l’article 35 § 1 de la Convention, seul comptait le dernier jugement rendu en décembre 2009, qui, ayant été prononcé à l’issue d’une procédure ordinaire, avait plus de chances d’éclaircir les faits reprochés aux neuf accusés. Les informations sur la procédure contre les autres accusés ressortaient de toute manière des pièces jointes au formulaire de requête, elles étaient bien connues du Gouvernement et le requérant n’avait aucun intérêt à les cacher.
c) Appréciation de la Cour
51. La Cour observe qu’aux termes de l’article 47 § 6 de son règlement, les requérants doivent l’informer de tout fait pertinent pour l’examen de leur requête. Elle rappelle qu’une requête peut être rejetée comme étant abusive si elle a été fondée sciemment sur des faits controuvés (Řehàk c. République tchèque (déc.), no 67208/01, 18 mai 2004, et Keretchachvili c. Géorgie (déc.), no 5667/02, 2 mai 2006) ou si le requérant a passé sous silence des informations essentielles concernant les faits de l’affaire afin d’induire la Cour en erreur (voir, entre autres, Hüttner c. Allemagne (déc.), no 23130/04, 19 juin 2006, et Basileo et autres c. Italie (déc.), no 11303/02, 23 août 2011).
52. La Cour a déjà affirmé, en outre, que « tout comportement du requérant manifestement contraire à la vocation du droit de recours et entravant le bon fonctionnement de la Cour ou le bon déroulement de la procédure devant elle, peut [en principe] être qualifié d’abusif » (Miroļubovs et autres c. Lettonie, no 798/05, § 65, 15 septembre 2009), la notion d’abus, aux termes de l’article 35 § 3 a) de la Convention, devant être comprise dans son sens ordinaire – à savoir le fait, par le titulaire d’un droit, de le mettre en œuvre en dehors de sa finalité d’une manière préjudiciable (Miroļubovs et autres, précité, § 62, et Petrović c. Serbie (déc.), nos 56551/11 et dix autres, 18 octobre 2011).
53. En l’espèce, le Gouvernement reproche au requérant de ne pas avoir mentionné, dans le formulaire de requête, la procédure abrégée suivie à l’égard de 61 des accusés et qui s’est soldée par le prononcé de dix condamnations.
54. La Cour observe qu’elle vient de conclure que les condamnations en question n’ont pas privé le requérant de la qualité de « victime » pour son grief tiré du volet substantiel de l’article 3 de la Convention (paragraphe 35 ci-dessus). Bien qu’il eût été souhaitable que l’intéressé mentionnât expressément la procédure abrégée dans le formulaire de requête, la Cour ne saurait conclure que cette omission est de nature à rendre abusive la requête ou que celle-ci se fondait sciemment sur des faits controuvés. Elle note que des références à la procédure abrégée étaient contenues dans les documents annexés au formulaire de requête, ce qui conduit à penser que le requérant n’a pas eu l’intention de cacher des faits pertinents pour l’examen de son affaire.
55. Il s’ensuit que l’exception du Gouvernement tirée du caractère abusif de la requête doit être rejetée.
4. Autres motifs d’irrecevabilité
56. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 a) de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
a) Le requérant
57. Le requérant observe que dans son témoignage du 9 juin 2006 devant le GIP, il avait souligné la condition de soumission et de prostration dans laquelle il avait été plongé lors des événements litigieux. Il allègue qu’il n’a pu échapper à des traitements plus violents que parce qu’une audience de son procès était fixée deux jours plus tard, le 5 avril 2000, et que toute blessure aurait pu être remarquée par le juge. Il a néanmoins été contraint de passer, les yeux baissés, entre des agents pénitentiaires armés de matraques qui le menaçaient et l’insultaient, et ce sans autre but que de l’humilier et de lui faire ressentir sa condition de subordination au pouvoir policier. Cela lui a causé une forte souffrance psychologique et des sentiments d’infériorité associés à la crainte de subir, dans les jours suivants, de nouvelles représailles. Ceci suffirait pour conclure à la violation de l’article 3 de la Convention.
58. Le requérant fait valoir que la prescription constatée par le tribunal de Sassari doit beaucoup au fait que les infractions en cause avaient un caractère « mineur » et étaient punies par des peines légères. Si le droit italien avait prévu un crime de torture puni par des sanctions plus lourdes, le délai de prescription aurait été plus long et le tribunal aurait eu le temps d’examiner l’affaire avant son expiration.
b) Le Gouvernement
59. Le Gouvernement précise tout d’abord qu’il ne sous-estime pas la gravité des événements du 3 avril 2000, auxquels l’Etat italien a répondu afin de rétablir la prééminence du droit. Le Gouvernement partage les considérations faites à cet égard par le GUP et le tribunal de Sassari, qui ont à juste titre sévèrement condamné ces événements. Cependant, ces derniers ont été un épisode isolé, qui ne saurait refléter l’attitude générale de la police italienne. De plus, dans le cadre de la présente requête il faudrait avoir égard aux traitements spécifiquement infligés au requérant.
60. Or, l’intéressé a été l’un des prisonniers les moins affectés par la conduite des agents pénitentiaires. En effet, lorsqu’il a été entendu comme témoin au procès (audience du 9 juin 2006), le requérant a affirmé ne pas avoir été battu par les agents et aucune trace de blessures n’a été relevée sur son corps. En revanche, il a été obligé de passer entre deux files d’agents en baissant la tête et a été insulté ; lorsqu’il est retourné dans sa cellule, ses objets personnels avaient été fouillés et éparpillés. Sans qu’il y ait lieu de nier que le requérant ait pu éprouver peur et anxiété, il n’a pas été démontré que ces sentiments étaient de nature à provoquer une souffrance physique et morale prolongée et intense. Dès lors, le traitement auquel le requérant a été soumis n’aurait pas atteint le minimum de gravité nécessaire pour tomber sous le coup de l’article 3 de la Convention.
61. Le Gouvernement observe également que les interventions de tierces parties doivent viser à accroître la connaissance de la Cour en apportant de nouvelles informations ou des arguments juridiques supplémentaires à l’égard des principes généraux pertinents pour l’issue de l’affaire. Or, les tiers intervenants se sont bornés à proposer des réformes législatives en Italie et à stigmatiser la non-incrimination, par la loi italienne, de la torture comme crime spécifique, ce qui va au-delà du rôle attendu d’un amicus curiae devant la Cour. Partant, les observations des tiers intervenants ne devraient pas être versées au dossier ou, en tout cas, devraient être ignorées par la Cour. En tout état de cause, ces observations ne seraient pas pertinentes pour statuer sur la requête de M. Saba, étant donné que l’absence d’un crime de torture en droit italien n’a pas empêché l’identification et la punition des personnes impliquées dans les événements du 3 avril 2000. De plus, le requérant n’a pas été soumis à la torture, mais, tout au plus, à des traitements dégradants, que l’Italie n’était pas tenue d’ériger en infraction pénale autonome. La référence au problème du surpeuplement carcéral serait, quant à elle, sans pertinence par rapport aux circonstances de l’espèce.
62. À titre surabondant, le Gouvernement observe que si elle n’a pas encore introduit en tant que tel un crime de torture, l’Italie a néanmoins avancé dans cette direction, et huit projets de loi ont été présentés devant le Parlement constitué en mars 2013. Les actes de violence commis sur les détenus sont punis en vertu de la disposition spécifique contenue dans l’article 608 du CP ou, s’il y a eu des blessures, en vertu des articles 582 et 583 du CP.
63. Enfin, le Gouvernement expose que l’introduction d’un crime de torture constituerait certes un développement social et juridique mais qu’aucune obligation en ce sens n’existe actuellement aux termes de la Convention de 1984 des Nations unies contre la torture. En effet, les articles 4 et 5 de cette Convention se bornent, selon lui, à demander aux Etats signataires de s’assurer que les actes de torture sont érigés en infraction pénale par la loi, ce qui serait déjà le cas en Italie.
c) Les tiers intervenants
i. Le Parti radical non violent transnational et transparti
64. Le Parti radical non violent transnational et transparti (« le Parti radical transnational ») rappelle que même si l’article 13 § 4 de la Constitution prévoit la punition de toute violence physique ou morale commise à l’encontre des personnes soumises à des restrictions de liberté (paragraphe 25 ci-dessus), l’Italie n’a pas introduit dans son système juridique le crime de torture et de traitements inhumains et dégradants, et ce malgré la ratification de nombreux instruments internationaux dans ce sens. Les lacunes du droit italien à cet égard ont été soulignées par la commission extraordinaire du Sénat pour la tutelle et la promotion des droits humains, dans son rapport du 6 mars 2012. L’introduction du crime de torture a été sollicitée par le Comité européen pour la prévention de la torture (CPT) et par le Comité des droits de l’homme des Nations unies. Un projet de loi présenté au Sénat le 26 novembre 2008 par une élue du Parti radical italien n’a pas été approuvé, et ce en dépit de l’insuffisance et du manque de spécificité des dispositions législatives actuelles pour combattre la pratique de la torture. Il était souligné dans le rapport introductif que les actes de torture ne provoquant pas de lésions graves n’étaient poursuivis que sur plainte de la victime et que les subtiles tortures psychologiques n’étaient pas considérées comme des « blessures » et restaient donc sans punition.
65. A la lumière de ce qui précède, le tiers intervenant estime que l’introduction du crime de torture dans le système juridique italien doit être une priorité. L’absence d’une telle prévision législative est particulièrement gênante dans les secteurs de l’ordre public et du système carcéral. A cet égard, le Parti radical transnational rappelle que les poursuites contre les actes de torture perpétrés en 2001 lors du G8 de Gênes se sont soldées par un non-lieu pour cause de prescription. Or, la prescription ne s’appliquerait pas aux « crimes internationaux ». De plus, dans l’affaire dite « Asti », des agents pénitentiaires responsables de torture à l’encontre des détenus avaient été acquittés.
ii. L’association « Non c’è pace senza giustizia »
66. L’association intervenante rappelle que dans l’affaire Alikaj et autres c. Italie (no 47357/08, § 99, 29 mars 2011), la Cour a estimé que lorsqu’un agent de l’Etat est accusé d’actes contraires aux articles 2 et 3 de la Convention, la procédure ou la condamnation ne sauraient être rendues caduques par une prescription. Par ailleurs, bien que l’Italie ait ratifié, par la loi no 489 du 3 novembre 1998, la Convention de l’ONU contre la torture et autres peines ou traitements cruels, inhumains et dégradants, le crime spécifique de torture ou de traitements inhumains ou dégradants n’est pas codifié dans le système juridique italien. Les Etats étant tenus de prévoir un cadre législatif et administratif pour décourager la commission d’infractions contre la personne (voir, notamment, Beganović c. Croatie, no 46423/06, § 70, 25 juin 2009, et D.J. c. Croatie, no 42418/10, § 86, 24 juillet 2012), il y aurait, en Italie, une violation systématique de l’article 3 de la Convention, en particulier en ce qui concerne la situation des détenus.
67. Le tiers intervenant rappelle les arrêts de la Cour en matière de surpeuplement carcéral (Sulejmanovic c. Italie, no 22635/03, 16 juillet 2009, et Torreggiani et autres c. Italie, nos 43517/09 et autres, 8 janvier 2013) qui, à son avis, expliqueraient pourquoi l’Italie persiste à ne pas codifier ce crime. Afin d’éviter de sévères condamnations envers les hauts fonctionnaires, l’Italie préférerait maintenir une « apparence de complicité ou de tolérance relativement à des actes illégaux », ce qui n’est pourtant pas admis dans un Etat de droit.
iii. Les Radicaux italiens (anciennement « Parti radical italien »)
68. Le parti intervenant observe qu’en dépit de la ratification de la Convention des Nations unies contre la torture et autres peines ou traitements cruels, inhumains et dégradants, il n’existe pas d’incrimination spécifique de la torture dans le système juridique italien. L’intervenant rappelle que la Cour a affirmé que l’État doit adopter des règles pour garantir le respect de ses engagements au regard des articles 3 et 8 de la Convention et qu’elle a récemment conclu à la violation de l’article 3 à cause du surpeuplement carcéral en Italie (Torreggiani et autres, précité).
2. Appréciation de la Cour
a) Sur le volet substantiel de l’article 3 de la Convention
69. La Cour rappelle qu’en cas d’allégations sur le terrain de l’article 3 de la Convention, elle doit se livrer à un examen particulièrement approfondi (Matko c. Slovénie, no 43393/98, § 100, 2 novembre 2006, et Vladimir Romanov c. Russie, no 41461/02, § 59, 24 juillet 2008). Lorsqu’il y a eu une procédure interne, il n’entre toutefois pas dans les attributions de la Cour de substituer sa propre vision des choses à celle des cours et tribunaux nationaux, auxquels il appartient en principe de peser les données recueillies par eux (Klaas c. Allemagne, 22 septembre 1993, § 29, série A no 269 ; Jasar c. « l’ex République yougoslave de Macédoine », no 69908/01, § 49, 15 février 2007 ; et Eski c. Turquie, no 8354/04, § 28, 5 juin 2012). Même si les constatations des tribunaux internes ne lient pas la Cour, il lui faut néanmoins d’habitude des éléments convaincants pour pouvoir s’écarter des constatations auxquelles ils sont parvenus (Gäfgen, précité, § 93).
70. En l’espèce, il n’est pas discuté entre les parties (voir les paragraphes 57 et 60 ci-dessus) que, comme l’ont reconnu les juridictions internes et comme l’avait dénoncé l’intéressé lui-même lors de son témoignage du 9 juin 2006, le requérant a été obligé de passer entre deux files d’agents armés de matraques en baissant la tête et qu’il a été insulté et menacé.
71. Quant à la qualification juridique de ce traitement, la Cour rappelle que pour tomber sous le coup de l’article 3, un mauvais traitement doit atteindre un minimum de gravité. L’appréciation de ce minimum dépend de l’ensemble des données de la cause, notamment de la durée du traitement et de ses effets physiques ou mentaux, ainsi que, parfois, du sexe, de l’âge, de l’état de santé de la victime (Irlande c. Royaume-Uni, 18 janvier 1978, § 162, série A no 25, et Jalloh c. Allemagne [GC], no 54810/00, § 67, CEDH 2006 IX). Parmi les autres facteurs à considérer figurent le but dans lequel le traitement a été infligé ainsi que l’intention ou la motivation qui l’ont inspiré (Aksoy c. Turquie, 18 décembre 1996, § 64, Recueil 1996-VI ; Egmez c. Chypre, no 30873/96, § 78, CEDH 2000 XII ; et Krastanov c. Bulgarie, no 50222/99, § 53, 30 septembre 2004), ou encore son contexte, telle une atmosphère de vive tension et à forte charge émotionnelle (Selmouni c. France [GC], no 25803/94, § 104, CEDH 1999-V, et Egmez, précité, § 78).
72. La Cour a déjà jugé un traitement « inhumain » au motif notamment qu’il avait été appliqué avec préméditation pendant des heures et qu’il avait causé soit des lésions corporelles soit de vives souffrances physiques et mentales (Labita c. Italie ([GC], no 26772/95, § 120, CEDH 2000-IV, et Ramirez Sanchez c. France [GC], no 59450/00, § 118, CEDH 2006-IX). Elle a défini un traitement « dégradant » comme étant de nature à créer des sentiments de peur, d’angoisse et d’infériorité propres à humilier et avilir et à briser éventuellement la résistance physique ou morale de la personne qui en est victime, ou à la conduire à agir contre sa volonté ou sa conscience (voir, entre autres, Keenan c. Royaume-Uni, no 27229/95, § 110, CEDH 2001-III, et Jalloh, précité, § 68).
73. Pour déterminer si une forme de mauvais traitement doit être qualifiée de torture, il faut avoir égard à la distinction, que comporte l’article 3, entre cette notion et celle de traitement inhumain ou dégradant. Ainsi que la Cour l’a relevé précédemment, cette distinction paraît avoir été consacrée par la Convention pour marquer d’une spéciale infamie des traitements inhumains délibérés provoquant de fort graves et cruelles souffrances (Irlande c. Royaume-Uni, précité, § 167 ; Aksoy, précité, § 63 ; et Selmouni, précité, § 96). Outre un élément de gravité, la torture implique une volonté délibérée, ainsi que le reconnaît la Convention des Nations unies contre la torture et autres peines ou traitements cruels, inhumains ou dégradants : en son article 1, celle-ci définit la torture comme tout acte par lequel une douleur ou des souffrances aigües sont intentionnellement infligées à une personne aux fins notamment d’obtenir d’elle des renseignements, de la punir ou de l’intimider (Akkoç c. Turquie, nos 22947/93 et 22948/93, § 115, CEDH 2000-X, et Gäfgen, précité, § 90).
74. En l’espèce, le requérant n’a pas été soumis à des actes de violence et il n’a subi aucune lésion corporelle. Il a lui-même affirmé ne pas avoir été battu. Bien que le traitement qui lui a été infligé ait été délibéré, la Cour estime que, compte tenu de sa brièveté, on ne saurait le qualifier de torture psychologique. En revanche, il convient de relever que ce traitement visait à avilir et humilier l’intéressé dans un contexte de forte tension émotionnelle où les détenus pouvaient légitimement craindre pour leur sort. Le requérant a dû éprouver des sentiments de peur, d’angoisse et d’infériorité, ce qui permet à la Cour de qualifier l’incident en question de traitement dégradant, prohibé comme tel par l’article 3 de la Convention.
75. Ce constat suffit à la Cour pour conclure à la violation du volet substantiel de cette disposition.
b) Sur le volet procédural de l’article 3 de la Convention
i. Principes généraux
76. En cas, comme en l’espèce, de mauvais traitement délibéré infligé par des agents de l’État au mépris de l’article 3, la Cour estime de manière constante que les autorités internes doivent mener une enquête approfondie et effective pouvant conduire à l’identification et à la punition des responsables (voir, entre autres, Çamdereli c. Turquie, no 28433/02, §§ 28-29, 17 juillet 2008 ; et Gäfgen, précité, § 116). A cet égard, la Cour a pris en compte plusieurs critères. D’abord, d’importants facteurs pour que l’enquête soit effective, et qui permettent de vérifier si les autorités avaient la volonté d’identifier et de poursuivre les responsables, sont la célérité avec laquelle elle est ouverte (Selmouni, précité, §§ 78-79 ; Nikolova et Velitchkova c. Bulgarie, no 7888/03, § 59, 20 décembre 2007 ; et Vladimir Romanov, précité §§ 85 et suiv.) et la célérité avec laquelle elle est conduite (Mikheïev c. Russie, no 77617/01, § 109, 26 janvier 2006, et Dedovski et autres c. Russie, no 7178/03, § 89, CEDH 2008). En outre, l’issue de l’enquête et des poursuites pénales qu’elle déclenche, y compris la sanction prononcée ainsi que les mesures disciplinaires prises, a un caractère déterminant. Ces éléments sont essentiels si l’on veut préserver l’effet dissuasif du système judiciaire en place et le rôle qu’il est tenu d’exercer dans la prévention des atteintes à l’interdiction des mauvais traitements (Ali et Ayşe Duran c. Turquie, no 42942/02, § 62, 8 avril 2008 ; Çamdereli, précité, § 38 ; Nikolova et Velitchkova, précité, §§ 60 et suiv. ; et Gäfgen, précité, § 121).
77. La Cour rappelle à ce propos qu’il ne lui appartient pas de se prononcer sur le degré de culpabilité des personnes en cause (Öneryıldız c. Turquie [GC], no 48939/99, § 116, CEDH 2004 XII), ou de déterminer la peine à infliger, ces matières relevant de la compétence exclusive des tribunaux répressifs internes. Toutefois, en vertu de l’article 19 de la Convention et conformément au principe voulant que la Convention garantisse des droits non pas théoriques ou illusoires, mais concrets et effectifs, la Cour doit s’assurer que l’État s’acquitte comme il se doit de l’obligation qui lui est faite de protéger les droits des personnes relevant de sa juridiction (Nikolova et Velitchkova, précité, § 61). Dès lors, si la Cour reconnaît le rôle des cours et tribunaux nationaux dans le choix des sanctions à infliger à des agents de l’État en cas de mauvais traitements infligés par eux, elle doit conserver sa fonction de contrôle et intervenir dans les cas où il existe une disproportion manifeste entre la gravité de l’acte et la sanction infligée. Sinon, le devoir qu’ont les Etats de mener une enquête effective perdrait beaucoup de son sens (Nikolova et Velitchkova, précité, § 62 ; Ali et Ayşe Duran, précité, § 66 ; et Gäfgen, précité, § 123).
78. La Cour rappelle également que lorsque des agents de l’État sont inculpés d’infractions impliquant des mauvais traitements, il importe que les poursuites ne se heurtent pas à la prescription et que les intéressés soient suspendus de leurs fonctions pendant l’instruction ou le procès et en soient démis en cas de condamnation (Abdülsamet Yaman, c. Turquie, no 32446/96, § 55, 2 novembre 2004 ; voir également Nikolova et Velitchkova, précité, § 63 ; Ali et Ayşe Duran, précité, § 64 ; Çamdereli, précité, § 38 ; et Gäfgen, précité, § 125).
ii. Application de ces principes en l’espèce
79. La Cour se réfère tout d’abord à son constat que des importants retards ont affecté le procès devant le tribunal de Sassari et que cette longueur de la procédure a conduit au prononcé d’un non-lieu pour cause de prescription à l’encontre de sept des accusés (paragraphe 46 ci-dessus), ce qui ne saurait se concilier avec l’obligation des autorités de conduire l’enquête avec célérité (paragraphe 76 ci-dessus).
80. Quant à l’issue de l’enquête, il est vrai que dans le cadre de la procédure abrégée, dix condamnations ont été prononcées. Cependant, un agent pénitentiaire reconnu coupable d’avoir omis de dénoncer les infractions ne s’est vu infliger qu’une amende de 100 EUR (paragraphes 17 et 18 ci-dessus) ; et si des peines d’emprisonnement (allant de quatre mois à un an et huit mois) ont été prononcées envers huit autres personnes, elles étaient assorties d’un sursis à l’exécution (paragraphe 17 ci-dessus). Dans ces circonstances, la Cour n’est pas convaincue que les juridictions internes aient mesuré la gravité des faits reprochés aux accusés en leur qualité de fonctionnaires de l’Etat (voir, mutatis mutandis, Zeynep Özcan c. Turquie, no 45906/99, § 43, 20 février 2007).
81. La Cour note également que le Gouvernement n’a pas indiqué si pendant l’instruction ou le procès les agents inculpés ont bien été suspendus de leurs fonctions, comme l’exige normalement sa jurisprudence (paragraphe 35 ci-dessus) : il ressort seulement du dossier que, après leur condamnation, sept personnes ont fait l’objet de sanctions disciplinaires. De surcroît, à l’encontre des hauts fonctionnaires impliqués, les sanctions disciplinaires en question, qui comprenaient une suspension des fonctions, ont eu une durée allant de un à six mois seulement ; quant à celles infligées aux agents pénitentiaires condamnés, elles ont été très légères, à savoir une réduction d’un trentième de leur salaire et un simple blâme (paragraphe 23 ci-dessus). Dans aucun cas les intéressés n’ont été démis de leurs fonctions à la suite de leur condamnation.
82. Eu égard aux constats qui précèdent, la Cour estime que les différentes mesures prises par les autorités internes n’ont pas pleinement satisfait à la condition d’une enquête approfondie et effective, telle qu’établie dans sa jurisprudence. Dans ces circonstances, il y a lieu de rejeter l’exception préliminaire du Gouvernement tirée de la perte de la qualité de victime (paragraphe 37 ci-dessus) et de conclure qu’il y a eu violation du volet procédural de l’article 3 de la Convention.
c) Les autres allégations des parties
83. Par là, la Cour estime avoir examiné les questions juridiques principales posée par le grief tiré de l’article 3. Compte tenu de l’ensemble des faits de la cause et des arguments des parties, elle considère par conséquent qu’il n’y a pas lieu d’examiner la question de savoir si l’absence, en droit italien, d’une infraction spécifique se rapportant à la notion de torture ou à des traitements inhumains ou dégradants porte en soi atteinte à cette même disposition (voir, mutatis mutandis, Kamil Uzun c. Turquie, no 37410/97, § 64, 10 mai 2007 ; Demirel et autres c. Turquie, no 75512/01, § 29, 24 juillet 2007 ; Mehmet et Suna Yiğit c. Turquie, no 52658/99, § 43, 17 juillet 2007 ; et Abdullah Yılmaz c. Turquie, no 21899/02, § 77, 17 juin 2008).
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 5 DE LA CONVENTION
84. Le requérant considère qu’en omettant de le protéger contre les violences des agents pénitentiaires, les autorités ont méconnu leur devoir de garantir sa liberté et sa sûreté.
Il invoque l’article 5 de la Convention, dont le premier paragraphe se lit comme suit :
« 1. Toute personne a droit à la liberté et à la sûreté. Nul ne peut être privé de sa liberté, sauf dans les cas suivants et selon les voies légales :
a) s’il est détenu régulièrement après condamnation par un tribunal compétent ;
b) s’il a fait l’objet d’une arrestation ou d’une détention régulières pour insoumission à une ordonnance rendue, conformément à la loi, par un tribunal ou en vue de garantir l’exécution d’une obligation prescrite par la loi ;
c) s’il a été arrêté et détenu en vue d’être conduit devant l’autorité judiciaire compétente, lorsqu’il y a des raisons plausibles de soupçonner qu’il a commis une infraction ou qu’il y a des motifs raisonnables de croire à la nécessité de l’empêcher de commettre une infraction ou de s’enfuir après l’accomplissement de celle-ci ;
d) s’il s’agit de la détention régulière d’un mineur, décidée pour son éducation surveillée ou de sa détention régulière, afin de le traduire devant l’autorité compétente ;
e) s’il s’agit de la détention régulière d’une personne susceptible de propager une maladie contagieuse, d’un aliéné, d’un alcoolique, d’un toxicomane ou d’un vagabond ;
f) s’il s’agit de l’arrestation ou de la détention régulières d’une personne pour l’empêcher de pénétrer irrégulièrement dans le territoire, ou contre laquelle une procédure d’expulsion ou d’extradition est en cours. »
85. Le Gouvernement combat cette thèse et souligne que le requérant ne conteste pas la légalité de sa privation de liberté, mais ses conditions de détention et les traitements auxquels il a été soumis.
86. La Cour observe que le requérant ne conteste pas la légalité de sa détention. Elle relève également que rien dans le dossier ne permet de penser que la privation de liberté litigieuse était arbitraire ou autrement contraire à l’article 5 de la Convention.
87. Il s’ensuit que ce grief est manifestement mal fondé et doit être rejeté en application de l’article 35 §§ 3 a) et 4 de la Convention.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 DE LA CONVENTION
88. Le requérant se plaint d’une atteinte illégitime à son droit à la vie privée. Il rappelle les violences dont il a été victime et souligne que les agents pénitentiaires ont volontairement détruit ses objets personnels.
Il invoque l’article 8 de la Convention, ainsi libellé :
« 1. Toute personne a droit au respect de sa vie privée et familiale, de son domicile et de sa correspondance.
2. Il ne peut y avoir ingérence d’une autorité publique dans l’exercice de ce droit que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu’elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire à la sécurité nationale, à la sûreté publique, au bien être économique du pays, à la défense de l’ordre et à la prévention des infractions pénales, à la protection de la santé ou de la morale, ou à la protection des droits et libertés d’autrui. »
89. Le Gouvernement rejette cette thèse. Il observe que devant les juridictions nationales le requérant n’a jamais affirmé que ses objets personnels avaient été détruits, mais seulement qu’ils avaient été éparpillés dans sa cellule.
90. Le requérant affirme que tout avait été déplacé dans sa cellule, que la nourriture avait été mélangée à la lessive et que ses effets personnels avaient été abîmés. Il estime que ces faits constituent bien une ingérence illégitime dans sa vie privée, compte tenu du cadre limité où il vivait à l’époque des faits.
91. La Cour relève que, dans la mesure où il porte sur les violences dont le requérant a fait l’objet, ce grief est lié à celui examiné ci-dessus sous l’angle de l’article 3 et doit donc aussi être déclaré recevable.
92. Eu égard à ses constats relatifs à l’article 3 de la Convention (paragraphes 75 et 82 ci-dessus), la Cour estime qu’il n’y a pas lieu d’examiner s’il y a eu également, en l’espèce, violation de l’article 8.
93. Pour ce qui est, en revanche, de la prétendue dégradation des objets personnels du requérant, la Cour estime que les allégations de l’intéressé ne sont pas suffisamment étayées.
94. Il s’ensuit que cette partie du grief est manifestement mal fondée et doit être rejetée en application de l’article 35 §§ 3 a) et 4 de la Convention.
IV. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 13 DE LA CONVENTION, COMBINÉ AVEC L’ARTICLE 3
95. Le requérant se plaint de ne disposer, en droit italien, d’aucun recours efficace pour faire valoir son grief tiré de l’article 3. Il observe que le système juridique italien ne prévoit pas le crime de torture ; les actes en cause n’ont donc pu être poursuivis que sous des qualifications mineures, pour lesquelles le délai de prescription était court.
Il invoque l’article 13 de la Convention, ainsi libellé :
« Toute personne dont les droits et libertés reconnus dans la (…) Convention ont été violés, a droit à l’octroi d’un recours effectif devant une instance nationale, alors même que la violation aurait été commise par des personnes agissant dans l’exercice de leurs fonctions officielles. »
96. Le Gouvernement conteste cette thèse. Il réitère ses observations quant à l’omission, par le requérant, d’épuiser les voies de recours qui lui étaient ouvertes en droit italien (paragraphes 38-39 ci-dessus) et quant à l’efficacité de l’enquête interne (paragraphes 28-29 ci-dessus). Le Gouvernement rappelle en particulier que moins de 10 % des accusés ont bénéficié d’un non-lieu et que les traitements dénoncés par le requérant tombaient sous le coup d’une disposition spécifique de la loi pénale nationale (l’article 608 du CP), qui offre une protection aux personnes privées de leur liberté en considération de leur état de vulnérabilité.
97. Le requérant observe que seulement 10 % des personnes accusées des faits du 3 avril 2000 ont été condamnés, et estime qu’il n’est pas vraisemblable que neuf personnes aient pu maltraiter 118 victimes.
98. La Cour relève que ce grief est lié à celui examiné ci-dessus sous l’angle de l’article 3 et doit donc aussi être déclaré recevable.
99. Eu égard à ses constats relatifs à l’article 3 de la Convention (paragraphes 75 et 82 ci-dessus), la Cour estime qu’il n’y a pas lieu d’examiner s’il y a eu également, en l’espèce, violation de l’article 13.
V. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
100. Le requérant se plaint de la durée de la procédure pénale dirigée contre les agents pénitentiaires dans laquelle il s’était constitué partie civile.
Il invoque l’article 6 § 1 de la Convention, qui, en ses parties pertinentes, est ainsi libellé :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (…) dans un délai raisonnable, par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…). »
101. Le Gouvernement expose que la durée de la procédure devant le tribunal de Sassari s’explique par la complexité de l’affaire. En tout état de cause, le requérant aurait pu introduire un recours en dédommagement sur le fondement de la loi Pinto, ce qu’il n’a pas fait.
102. La Cour relève que le requérant n’a pas indiqué avoir introduit un recours sur le fondement de la loi « Pinto » (loi no 89 de 2001) afin d’obtenir réparation pour la durée prétendument excessive de la procédure en question. Or, un tel recours a été considéré par la Cour comme étant accessible et en principe efficace pour dénoncer, au niveau interne, la lenteur de la justice (voir, parmi beaucoup d’autres, Brusco c. Italie (déc.), no 69789/01, CEDH 2001-IX, et Pacifico c. Italie (déc.), no 17995/08, § 67, 20 novembre 2012).
103. Il s’ensuit que ce grief doit être rejeté pour non-épuisement des voies de recours internes, en application de l’article 35 §§ 1 et 4 de la Convention.
VI. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
104. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les

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