Conclusioni: Violazione dell’articolo 3 – Interdizione della tortura, Articolo 3 – Trattamento degradante, (Risvolto patrimoniale, Violazione dell’articolo 3-Interdizione della tortura, Articolo 3 – Inchiesta efficace, (Risvolto procedurale,
SECONDA SEZIONE
CAUSA SABA C. ITALIA
( Richiesta no 36629/10)
SENTENZA
STRASBURGO
1 luglio 2014
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nel causa Saba c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta di:
Işıl Karakaş, presidentessa,
Guido Raimondi,
Nebojša Vučinić,
Helen Keller,
Paul Lemmens,
Egidijus Kūris,
Robert Spano, juges,et
di Abele Campos, cancelliere aggiunge di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 3 giugno 2014,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 36629/10) diretta contro la Repubblica italiana e di cui un cittadino di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 29 giugno 2010 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è stato rappresentato da OMISSIS, avvocato a Sassari. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora.
3. Il richiedente adduce essere stato sottoposto, in prigione, ai trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione e non disporre di nessuno rimedio effettivo per fare valere i suoi diritti.
4. Il 2 gennaio 2013, la richiesta è stata comunicata al Governo. Siccome lo permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe sull’ammissibilità e sul merito allo stesso tempo. Alcuni commenti sono stati ricevuti dello Partito radicale non violento sovranazionale e trans parte , dell’associazione “Non questa è pace senza giustizia” e dei Radicali italiani, “Partito anticamente radicale italiano”) che la vicepresidentessa della sezione aveva autorizzato ad intervenire nel procedimento scritto, articoli 36 § 2 della Convenzione e 44 § 3 dell’ordinamento.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DI LO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1951 e ha risieduto a Martis (Sassari).
A. I fatti del 3 aprile 2000 e le investigazioni preliminari
6. Nel 2000, il richiedente era detenuto alla prigione di Sassari. Il richiedente e di altri detenuti portarono lamento contro certi agenti penitenziari per atti di violenza sopraggiunta il 3 aprile 2000.
7. Il 21 aprile 2000, la procura di Sassari chiese che le misure di precauzione, come un collocamento in detenzione provvisoria o una citazione a residenza, fossero adottate contro certi degli agenti implicati. Con una decisione del 2 maggio 2000, il giudice delle investigazioni preliminari (“il GIP”) di Sassari fece diritto alla domanda della procura ed ordinò il collocamento in detenzione provvisoria di 22 imputati; 60 altri furono posti in residenza vigilata.
8. Al termine delle investigazioni preliminari, la procura chiese il rinvio in giudizio di un gran numero di persone, imputate di violenza privata, articolo 610 del codice penale-“il CP”), colpi e lesioni, articoli 582 e 583 del CP, ed abuso di funzioni (articolo 323 del CP).
9. L’udienza preliminare si aprì il 22 ottobre 2001, e fu rinviata a più riprese. Il 12 novembre 2001, il richiedente si costituì partire civile nel procedimento penale. Il ministero della Giustizia fu chiamato nel procedimento in quanto partire civilmente responsabile dai maneggi criminali degli imputati (responsabile civile). Il 21 febbraio 2003, il giudice dell’udienza preliminare (“il GUP”) di Sassari rinviò nove agenti penitenziari in giudizio dinnanzi al tribunale di questa stessa città. Pronunciò un giudizio sulla fondatezza delle accuse contro 61 altri imputati che avevano scelto di essere giudicati secondo il procedimento abbreviato, paragrafo 17 qui di seguito. Un non luogo a procedere per mancanza di fatti delittuosi fu pronunciato per 20 altri imputati.
B. Il processo dinnanzi al tribunale di Sassari
10. Dinnanzi al tribunale di Sassari, gli imputati erano accusati dei differenti prendi atto di violenza, colpi e lesioni ed abusi di potere contro numerosi detenuti. In ciò che riguarda il richiedente, le guardie penitenziarie erano accusate dello avere obbligato a denudarsi, a restare dinnanzi alla sua unità la testa contro il muro ed a passare con la testa abbassata entra due file di agenti, così come a subire delle perquisizioni ingiustificate, corredate di ingiurie e di minacce. Di più, le unità erano state devastate e gli oggetti personali dei detenuti distrutti. Secondo la tesi della procura, i fatti incriminati cadevano sotto l’influenza degli articoli 610 e 323 del CP che puniscono, rispettivamente, i reati di violenza privata e di abuso di funzioni pubbliche.
11. Durante 44 udienze, il tribunale intese 103 vittime, testimoni ed imputati nei procedimenti connessi. Il 21 dicembre 2007, la procura chiese ed ottenne copia del giudizio del GUP di Sassari del 21 febbraio 2003, paragrafo 17 sopra, e della sentenza resa il 7 novembre 2005 dalla corte di appello di Cagliari, paragrafo 19 qui di seguito. Il 29 maggio, 12 e 23 giugno, 14 luglio e 29 settembre 2009, le parti presentarono le loro arringhe.
12. Con un giudizio del 29 settembre 2009 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 28 dicembre 2009, il tribunale di Sassari pronunciò un non luogo a procedere a causa di prescrizione contro sette degli imputati. Rilasciò gli altri due imputati.
13. Il tribunale osservò che risultava delle decisioni di giustizia definitiva prodotta dalla procura e delle prove raccolte che il 3 aprile 2000 degli episodi di “violenza disumana” aveva avuto luogo alla prigione di Sassari. Dei luoghi erano stati spostati durante ciò che sarebbe dovuto essere solamente una perquisizione generale ed un’operazione di trasferimento di certi detenuti, corredati della presentazione del nuovo comandante, i detenuti dove si trovavano e sottoposero agli atti di violenza gratuita. Certi detenuti erano stati costretti di denudarsi, erano stati menottés, insultati, battuti e sottoposi alle umiliazioni.
14. Secondo il tribunale, si trattava di una “galleria degli orrori”, e la prigione di Sassari, luogo di detenzione in virtù della legge, aveva conosciuto un scatenamento di rancore e di rappresaglia incompatibile con le regole dello stato di diritto.
15. Il tribunale stimò che i fatti incriminati cadevano sotto l’influenza dell’articolo 608 del CP che puniva l’abuso di autorità contro i detenuti. Però, questa violazione, punita da una pena massimale di 30 mesi, era prescritta dal 3 ottobre 2007. In quanto ai fatti di colpi e lesioni aggravate, erano prescritti dal 3 gennaio 2009.
16. Secondo le informazione fornite dal Governo il 30 aprile 2013, il giudizio del tribunale di Sassari del 29 settembre 2009 sarebbe diventato definitivo “probabilmente informato del primo semestre 2010.”
C. Il procedimento abbreviato seguito a riguardo di 61 degli imputati
17. Siccome indicato al paragrafo 9 61 agenti penitenziari furono giudicati sopra, separatamente per i fatti del 3 aprile 2000. In particolare, con un giudizio del 21 febbraio 2003 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 10 luglio 2003, il GUP di Sassari aveva condannato 12 persone alle pene che vanno di un anno e sei mesi a quattro mesi di detenzione col beneficio della condizionale per, entra altri, violenza privata aggravata, colpi e lesioni ed abusi di funzioni. Degli agenti penitenziari figuravano tra queste persone, così come il supervisore regionale dell’amministrazione penitenziaria, la direttrice della prigione di Sassari ed il comandante del dipartimento della polizia penitenziaria di Sassari. Un agente fu condannato ad una multa di 100 euros, EUR, per avere omesso di denunciare una violazione penale, articolo 361 del CP. Tutti gli altri accusati furono scarcerati. I colpevoli furono condannati anche al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili di cui l’importo doveva essere fissato nella cornice di un procedimento civile separato, ed al rimborso dei loro oneri di procedimento, per il richiedente, questi oneri ammontavano a 5 500 EUR. Il GUP accordò una scorta, provvisionale immediatamente esecutiva, sull’importo del risarcimento a venire alle vittime che, alla differenza del richiedente, avevano fornito la prova della loro sottomissione agli atti di violenza.
18. La procura e certi degli imputati interposero appello. L’agente condannato ad una multa di 100 EUR non fece appello e la sua condanna diventò definitiva.
19. Con una sentenza del 7 novembre 2005, la corte di appello confermò sei condanne, prosciolse cinque persone e ne condannò quattro altri che erano stati prosciolti in prima istanza. I colpevoli furono condannati di nuovo al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili di cui l’importo doveva essere fissato nella cornice di un procedimento civile separato, ed al rimborso dei loro oneri di procedimento, per il richiedente, gli oneri del processo di appello ammontavano a 5 355 EUR. La corte di appello precisò che i fatti incriminati cadevano sotto l’influenza dell’articolo 608 del CP, paragrafo 24 sotto.
20. Le dieci persone condannate in appello si ricorsero in cassazione.
21. Con una sentenza del 5 giugno 2007, la Corte di cassazione respinse del loro ricorso nuovo degli imputati tra che il supervisore regionale dell’amministrazione penitenziaria, la direttrice della prigione di Sassari ed il comandante del dipartimento della polizia penitenziaria di Sassari. Confermò la qualifica giuridica dei fatti sotto l’angolo dell’articolo 608 del CP. Annullò unicamente la sentenza di appello in ciò che riguardava uno dei condannati, un medico accusato di omissione di atto di ufficio e di falso.
22. Nelle sue osservazioni del 30 aprile 2013, il Governo indica che non risulta che il richiedente abbia introdotto un’azione civile in risarcimento fondato sul giudizio del GUP del 21 febbraio 2003, come confermato in appello ed in cassazione.
D. Le sanzioni disciplinari adottate contro certi dei condannati
23. Nelle sue osservazioni del 30 aprile 2013, il Governo indica che sette delle persone condannate sono stati oggetto di sanzioni disciplinari, e cioè:
-il supervisore regionale dell’amministrazione penitenziaria, condannato al penale ad un anno, quattro mesi e venti giorni di detenzione, è stato sospeso delle sue funzioni con soppressione completa dello stipendio per un periodo di un mese;
-la direttrice della prigione di Sassari, condannata al penale a dieci mesi e venti giorni di detenzione, è stata sospesa delle sue funzioni con ritenuta della metà dello stipendio per un periodo di un mese;
-il comandante del dipartimento della polizia penitenziaria di Sassari, condannato al penale ad un anno ed otto mesi di detenzione, è stato sospeso delle sue funzioni con ritenuta della metà dello stipendio per un periodo di sei mesi;
-tre agenti penitenziari, condannati al penale a quattro mesi e venti giorni di detenzione, hanno subito una ritenuta di un trentesimo del loro stipendio;
-l’agente condannato ad una multa di 100 EUR per omissione di denunciare una violazione penale è stato oggetto di un biasimo, con per conseguenza l’impossibilità di beneficiare di un aumento di stipendio durante un anno.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
24. Le disposizioni pertinenti del codice penale (CP) si leggono come segue:
Articolo 610 § 1 del CP
“Chiunque, per mezzo di violenze o di minacce, obblighi qualcuno a fare, tollerare od omettere qualche cosa, è punito di una pena di reclusione che va fino a quattro anni. “
Articolo 323 § 1 del CP
“(…) L’ufficiale pubblico o la persona incaricata di un servizio pubblico che, nel compimento delle sue funzioni o del suo servizio, in modo intenzionale ed in violazione di disposizioni legali o regolamentari, procura un vantaggio patrimoniale ingiusto o causa a sé o ad altri ad altrui un danno ingiusto, è punito di una pena di reclusione che va di sei mesi a tre anni. “
Articolo 608 § 1 del CP
“Ogni ufficiale pubblico che sottopone una persona arrestata o detenuta di una pena è punita alle misure di rigore senza essere autorizzato dalla legge di reclusione che va fino a 30 mesi. “
25. L’articolo 13 § 4 della Costituzione contemplano la punizione di ogni violenza fisica o giuridica commessa contro le persone sottoposte alle restrizioni di libertà.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
26. Il richiedente si lamenta dei trattamenti ai quali è stato sottomesso da parte degli agenti penitenziari, trattamenti che potrebbero essere qualificati a suo avviso di tortura. Sottolinea che a causa della lentezza del procedimento giudiziale che riguarda suddetti trattamenti, i responsabile hanno beneficiato della prescrizione e non possono essere puniti dunque.
Invoca l’articolo 3 della Convenzione, così formulata,:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
27. Il Governo ricusa la tesi del richiedente.
A. Sull’ammissibilità
1. L’eccezione del Governo derivato della perdita della qualità di vittima
a) L’eccezione del Governo
28. Il Governo stima che la richiesta dovrebbe essere respinta a causa di perdita della qualità di vittima. Difatti, nel suo insieme, il procedimento penale diretto contro le persone responsabili degli avvenimenti del 3 aprile 2000 ha avuto una conclusione favorevole per il richiedente. Ha sbucato sulla condanna di dieci persone difatti-ivi compreso degli alti funzionari-e sulla riconoscenza del diritto a risarcimento dell’interessato. Di più, sette dei colpevoli si sono visti infliggere delle sanzioni disciplinari, paragrafo 23 sopra. Le autorità interne hanno riconosciuto così, pienamente, esplicitamente ed in sostanza, le violazioni denunciate dal richiedente (in particolare, la violazione dell’articolo 3 della Convenzione, e hanno portato lì rimedio. Il fatto che il richiedente abbia deciso di non iniziare un procedimento civile in risarcimento non saprebbe nuocere al Governo.
29. In quanto al fatto che solamente dieci persone sono state condannate alla conclusione del procedimento penale, questa circostanza dimostrerebbe unicamente che il sistema italiano è caratterizzato da una valutazione rigorosa delle prove rispetto alla posizione individuale di ogni imputato.
b) La replica del richiedente
30. Il richiedente considera che le pene inflitte alle persone responsabili degli avvenimenti del 3 aprile 2000 sono insufficienti per ovviare alla violazione dell’articolo 3 della Convenzione. Queste pene, tutto abbinate di un rinvio alla loro esecuzione, sono stati il seguiamo: sedici mesi di detenzione per il capo regionale delle prigioni della Sardegna; dieci mesi e venti giorni per la direttrice della prigione di Sassari; venti mesi per il comandante della polizia del penitenziario di Sassari; quattro mesi e venti giorni per sei agenti penitenziari. Gli importi concessi a titolo di scorta sui risarcimenti, arzillo di 4 000 a 6 000 EUR, sarebbero irrisori e ne andrebbe parimenti in ciò che riguarda le sanzioni disciplinari. In ogni caso, queste differenti punizioni non sarebbero proporzionate alla gravità dei fatti e nessuno dei responsabile avrebbe, a questo giorno, pagato per ciò che ha fatto. Inoltre, uniche dieci persone sono state condannate al penali, mentre circa 90 agenti di polizia avevano perquisito una prigione tutta intera ed assillato la sua popolazione.
31. Il fatto che il richiedente non abbia subito nessuna lesione non notifica, siccome lo vorrebbe il Governo, che non è stato vittima di una violazione dell’articolo 3 della Convenzione, ma piuttosto che il sistema morale italiano è incapace di risanare le trasgressioni più sottili a questa disposizione che hanno luogo quando c’è violenza giuridica, e non violenza fisica diretta.
c) Valutazione della Corte
32. La Corte ricorda che sono alle autorità nazionali che appartiene di risanare una violazione addotta della Convenzione in primo luogo. A questo riguardo, la questione di sapere se un richiedente può definirsi vittima della violazione addotta si posa a tutti gli stadi del procedimento sul terreno della Convenzione (vedere, entra altri, Siliadin c. Francia, no 73316/01, § 61, CEDH 2005-VII, e Scordino c. Italia (no 1) [GC], no 36813/97, § 179, CEDH 2006-V. Una decisione o una misura favorevole al richiedente non basta in principio a privarlo della sua qualità di “vittima” alle fini dell’articolo 34 la Convenzione salvo se le autorità nazionali riconoscono, esplicitamente o in sostanza, riparano la violazione della Convenzione poi (vedere, entra altri, Eckle c. Germania, 15 luglio 1982, § 66, serie Ha no 51; Dalban c. Romania [GC], no 28114/95, § 44, CEDH 1999-VI; Siliadin, precitata, § 62; e Gäfgen c. Germania [GC], no 22978/05, § 115, CEDH 2010.
33. In ciò che riguarda il risarcimento adeguato e sufficiente per ovviare al livello interno alla violazione del diritto garantito dalla Convenzione, la Corte considera generalmente che dipende dall’insieme delle circostanze della causa, avuto in particolare riguardo alla natura della violazione della Convenzione che si trova in gioco (Gäfgen, precitata, § 116.
34. La Corte nota che in seguito al lamento portato dal richiedente ed i suoi compagni di detenzione, un’inchiesta è stata aperta per stabilire delle eventuali responsabilità negli avvenimenti del 3 aprile 2000. Nella misura in cui ha sbucato su un procedimento abbreviato, questa inchiesta si è chiusa dalla condanna delle nove persone tra che degli alti funzionari, per il reato descritto 608 § 1 all’articolo del CP che punisce la sottomissione dei detenuti alle misure di rigore non autorizzate, paragrafi 17-21 e 24 sopra.
35. Anche supponendo che questa condanna possa analizzarsi, in sostanza, nella riconoscenza della violazione dell’articolo 3 della Convenzione, la Corte rileva che nessuna di compenso pecuniario non ha accordato delle decisioni rese nella cornice del procedimento penale suddetto al richiedente. Segue che lo stato convenuto non ha risanato sufficientemente il trattamento contrario all’articolo 3 che il richiedente denuncia e che questo ultimo può sempre definirsi vittima di una violazione del risvolto sostanziale di questa disposizione al senso dell’articolo 34 della Convenzione. L’eccezione del Governo su questo punto non può essere considerata dunque.
36. Per ciò che è sopra del fatto, notato dal Governo, paragrafo 28, che il richiedente ha deciso di non iniziare un procedimento civile in risarcimento, la Corte considera che questa circostanza suscita essere esaminata nella cornice dell’eccezione del Governo derivato della no-esaurimento delle vie di ricorso interni, paragrafi 42-48 qui di seguito.
37. Infine, nella misura in cui le affermazioni del richiedente cadono sulla mancanza di un’inchiesta effettiva potendo condurre all’identificazione ed alla punizione delle persone responsabili dei trattamenti che denuncia, c’è luogo di unire l’eccezione del Governo derivato della perdita della qualità di vittima in fondo al motivo di appello.
2. L’eccezione del Governo derivato dal non-esaurimento delle vie di ricorso interne
a) L’eccezione del Governo
38. Il Governo eccepisce della no-esaurimento delle vie di ricorso interni al motivo che il richiedente non ha iniziato di procedimento civile in risarcimento contro le persone responsabili dei trattamenti che gli sono stati inflitti, paragrafo 22 sopra. Questo procedimento sarebbe potuto essere iniziata in contrario tanti le persone di cui la condanna era diventata definitiva in seguito alla sentenza della Corte di cassazione del 5 giugno 2007, paragrafo 21 sopra che i sette imputati avendo beneficiato di un non luogo a procedere a causa di prescrizione nel giudizio del tribunale di Sassari del 29 settembre 2009, paragrafo 12 sopra. Un tale rimedio era non solo accessibile, ma anche effettivo, perché era suscettibile di permettere al richiedente di ottenere un compenso finanziario ed offriva delle probabilità ragionevoli di successo.
39. Una nessuno che, come il richiedente, si è costituita parte civile in un procedimento penale avrebbe non solo il diritto, ma anche l’obbligo di introdurre un’azione civile per la determinazione dell’importo del risarcimento che gli è dovuto. Le ragioni avanzate dal richiedente per giustificare la sua omissione di rivolgersi alle giurisdizioni civili non saprebbero essere ammesse. Così nessuna scorta non è stata accordata dal GUP al richiedente, questo è perché questo non aveva prodotto nessuna prova del danno fisico o patrimoniale che avrebbe subito. In quanto ai timori di rappresaglia, il Governo nota che non sono state supportate, che sono state invocate per la prima volta nelle osservazioni in risposta, e che il richiedente dispone di dieci anni a partire dal 17 settembre 2007 per introdurre la sua azione. Ora, il richiedente non è più detenuto dal 2006 e, contrariamente a ciò che afferma, entra 2000 e 2006 è stato liberato a due riprese, in particolare del 30 giugno 2000 al 12 ottobre 2002 e del 26 settembre 2003 al 20 agosto 2004. Di più, il richiedente non è stato detenuto al penitenziario di Sassari che il 3 aprile al 30 giugno 2000 e del 12 ottobre al 30 dicembre 2002, non ha denunciato essere stato mai intimidito, ed egli ha firmato il 6 maggio 2003 una dichiarazione secondo la quale non aveva nessuna ragione di temere per la sua integrità fisico e nessuno problema di incompatibilità con gli altri detenuti.
b) La replica del richiedente
40. Il richiedente ammette che in teoria avrebbe potuto introdurre dinnanzi al giudice civile un’azione che mira ad ottenere un risarcimento per i trattamenti subiti il 3 aprile 2000. Però, sarebbe corrente in Italia di non iniziare di azione civile prima del pronunziata dell’ultimo giudizio del processo penale che potrebbe essere differente dei giudizi precedenti. Di più, un processo civile avrebbe avuto una durata significativa e dei costi ai quali il richiedente non avrebbe potuto fare a fronte, conto tenuto anche degli importi poco elevati che il GUP aveva concesso a 14 delle 118 vittime, importi che vanno di 4 000 a 6 000 EUR. Infine, il richiedente era detenuto durante il processo, almeno fino nel 2006, e temeva della rappresaglia degli agenti penitenziari o dei loro colleghi nel caso dove avrebbe agito in giustizia contro essi.
41. Peraltro, l’Italia non ha introdotto nel CP di disposizione specifica che punisce il crimine di tortura e di trattamenti disumani e degradanti. I reati rimproverati agli imputati erano puniti dagli articoli 608, 582 e 583 del CP che contemplano delle pene leggere. Un tale dato non mancherebbe di pesare sull’eventuale determinazione col giudice dell’importo di un risarcimento al civile. Nessuna scorta sul risarcimento a venire è stata non accordata dal giudice penale al richiedente, al motivo-in particolare-che non aveva subito nessuna lesione.
c) Valutazione della Corte
42. La Corte ricorda che ai termini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, non può essere investita che dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interni. La finalità di questa regola è di predisporre agli Stati contraenti l’occasione di prevenire o di risanare le violazioni addotte contro essi prima che la Corte ne non sia investito (vedere, tra altri, Mifsud c. Francia, déc.) [GC], no 57220/00, § 15, CEDH 2002-VIII.
43. I principi generali relativi alla regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interni si trovano esposizioni nella sentenza Vučković ed altri c. Serbia ([GC], numeri 17153/11 ed altri, §§ 69-77, 25 marzo 2014. La Corte ricorda che l’articolo 35 § 1 della Convenzione prescrivono solamente al tempo stesso l’esaurimento dei ricorsi relativi alle violazioni incriminate, disponibili ed adeguati. Un ricorso è effettivo quando è tanto disponibile in teoria che in pratica all’epoca dei fatti, questo cioè quando è accessibile, suscettibile di offrire al richiedente la correzione dei suoi motivi di appello e presente delle prospettive ragionevoli di successi, Akdivar ed altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 68, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-IV, e Demopoulos ed altri c. Turchia, déc.) [GC], nostri 46113/99, 3843/02, 13751/02, 13466/03, 10200/04, 14163/04, 19993/04 e 21819/04, § 70, CEDH 2010,.
44. Nello specifico, era lecito al richiedente di iniziare un procedimento civile in risarcimento contro le persone condannate al penale per i fatti del 3 aprile 2000, ciò che l’interessato non ha fatto. Nella cornice di questo procedimento, il richiedente avrebbe potuto ottenere un compenso finanziario per il danno subito, e dunque un risarcimento per il suo motivo di appello tirato del risvolto sostanziale dell’articolo 3 della Convenzione. Resta a determinare se, nelle circostanze particolari dello specifico, il richiedente può essere dispensato del suo obbligo di esaurire questo rimedio.
45. Come la Corte l’ha sottolineato più alto, paragrafo 34 sopra, un’inchiesta è stata aperta per stabilire delle eventuali responsabilità negli avvenimenti del 3 aprile 2000. Il 2 maggio 2000, il GIP di Sassari ha posto 22 imputati in detenzione provvisoria e ne ha citato 60 altri a residenza, paragrafo 7 sopra. Il 12 novembre 2001, il richiedente si è costituito parte civile nel procedimento penale, paragrafo 9 sopra. Il 21 febbraio 2003, o meno di tre anni dopo i fatti, il GUP di Sassari ha pronunciato un giudizio sulla fondatezza delle accuse contro i 61 imputati che avevano scelto di essere giudicati secondo il procedimento abbreviato, e nove agenti penitenziari sono stati rinviati in giudizio dinnanzi al tribunale di Sassari, paragrafi 9 e 17 sopra.
46. Se questa risposta può passare per sufficientemente pronta e può sollecitare per soddisfare alle norme della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Gäfgen, precitata, § 122, ne va diversamente per il seguito del procedimento. Difatti, il processo dinnanzi al tribunale di Sassari si è steso su 44 udienze di cui l’ultima ha avuto luogo il 29 settembre 2009, paragrafo 11 sopra, o più di sei anni e sette mesi dopo il rinvio in giudizio. Questa lunghezza del procedimento ha condotto al pronunziata di un non luogo a procedere a causa di prescrizione contro sette degli imputati, paragrafi 12 e 15 sopra. Alcuno importa ritardi hanno leso dunque il processo dinnanzi al tribunale di Sassari.
47. La Corte ricorda che le lentezze eccessive di un’azione indennizzante possono privare il ricorso di carattere effettivo (Gäfgen, precitata, § 127, e considera che visto la lentezza dei procedimenti alle quali era stato partire dal 12 novembre 2001, il richiedente può essere dispensato dell’obbligo di iniziare dei notizie procedimenti per soddisfare alle esigenze dell’articolo 35 § 1 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Guillemin c. Francia, 21 febbraio 1997, § 50, Raccolta 1997-I. A questo riguardo, la Corte rileva che difficilmente il richiedente avrebbe potuto iniziare un’azione civile in risarcimento prima del pronunziato di un giudizio penale definitivo.
48. Segue che l’eccezione del Governo derivato della no-esaurimento delle vie di ricorso interni deve essere respinta.
3. L’eccezione del Governo derivato della natura abusiva della richiesta
a) L’eccezione del Governo
49. Il Governo sostiene anche che la richiesta dovrebbe essere dichiarata inammissibile come essendo abusiva. A questo riguardo, adduce che il richiedente ha omesso volontariamente di fornire delle informazione concernente il procedimento abbreviato seguito al riguardo di 61 degli imputati, paragrafi 17-21 sopra nella quale si era costituito parte civile ed alla conclusione della quale dieci condanne sono state pronunciate ed il suo diritto a risarcimento così come au rimborso degli oneri di procedimento riconosciuto. Si tratterebbe di elementi essenziali per l’esame della causa e l’omissione del richiedente mirerebbe ad indurre la Corte in errore. Di più, nelle sue osservazioni in risposta, il richiedente avrebbe provato a minimizzare la gravità delle sue omissioni.
b) La replica del richiedente
50. Il richiedente risponde che la sua richiesta riguarda, in primo luogo, il fatto che lo stato convenuto non ha rispettato il suo obbligo positivo di impedire che sia sottoposto ai trattamenti disumani e degradanti. In questa ottica, la sua omissione di menzionare nel formulario di richiesta la conclusione del procedimento contro gli imputati avendo scelto il procedimento abbreviato sarebbe senza importanza, concernente un dettaglio che, agli occhi del richiedente, non era essenziale. Peraltro, per valutare il rispetto del termine di sei mesi fissati all’articolo 35 § 1 della Convenzione, solo contava l’ultimo giudizio reso nel dicembre 2009 che, essendo stato pronunciato alla conclusione di un procedimento ordinario, aveva più di probabilità di chiarire i fatti rimproverati ai nove imputati. Le informazione sul procedimento contro gli altri accusati risultavano comunque dei documenti uniti al formulario di richiesta, erano buone conosciute del Governo ed il richiedente non aveva nessuno interesse a nasconderli.
c) Valutazione della Corte
51. La Corte osserva che ai termini dell’articolo 47 § 6 del suo ordinamento, i richiedenti devono informarlo di ogni fatto pertinente per l’esame della loro richiesta. Ricorda che una richiesta può essere respinta come essendo abusiva se è stata fondata volontariamente su dei fatti inventati, Řehŕk c. Repubblica ceca, déc.), no 67208/01, 18 maggio 2004, e Keretchachvili c. Georgia, déc.), no 5667/02, 2 maggio 2006, o se il richiedente è passato sotto silenzio delle informazione essenziali concernente i fatti della causa per indurre la Corte in errore (vedere, entra altri, Hüttner c. Germania, déc.), no 23130/04, 19 giugno 2006, e Basileo ed altri c. Italia, déc.), no 11303/02, 23 agosto 2011.
52. La Corte ha affermato già, inoltre, che “ogni comportamento del richiedente manifestamente contrario alla vocazione del diritto di ricorso ed ostacolando il buono funzionamento della Corte o il buono svolgimento del procedimento dinnanzi a lei, può [in principio] essere qualificato di abusivo”, Miroļubovs ed altri c. Lettonia, no 798/05, § 65, 15 settembre 2009, la nozione di abuso, ai termini dell’articolo 35 § 3 hanno, della Convenzione, dinnanzi ad essere compresa nel suo senso ordinario-a sapere lo fa, col titolare di un diritto, di metterlo in œuvre all’infuori della sua finalità di un modo pregiudizievole, Miroļubovs ed altri, precitata, § 62, e Petrović c. Serbia, déc.), i nostri 56551/11 e dieci altri, 18 ottobre 2011.
53. Nello specifico, il Governo rimprovera al richiedente di non avere menzionato, nel formulario di richiesta, il procedimento abbreviato seguito al riguardo di 61 degli imputati e che si è chiusa dal pronunziato di dieci condanne.
54. La Corte osserva che ha appena concluso che le condanne in questione non hanno private il richiedente della qualità di “vittima” per il suo motivo di appello tirato del risvolto sostanziale dell’articolo 3 della Convenzione, paragrafo 35 sopra. Sebbene fosse stato augurabile che l’interessato menzionasse espressamente il procedimento abbreviato nel formulario di richiesta, la Corte saprebbe concludere solamente questa omissione è di natura tale da rendere abusiva la richiesta o che questa si basava volontariamente su dei fatti inventati. Nota che i riferimenti al procedimento abbreviato erano contenuti nei documenti annessi al formulario di richiesta, ciò che conduce a pensare che il richiedente non ha avuto l’intenzione di nascondere dei fatti pertinenti per l’esame della sua causa.
55. Segue che l’eccezione del Governo derivato del carattere abusivo della richiesta deve essere respinta.
4. Altri motivi di inammissibilità
56. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
57. Il richiedente osserva che nella sua testimonianza del 9 giugno 2006 dinnanzi al GIP, aveva sottolineato la condizione di sottomissione e di prostrazione nella quale era stato immerso all’epoca degli avvenimenti controversi. Adduce che non è potuto sfuggire ai trattamenti più violenti che perché un’udienza del suo processo era fissata due giorni più tardi, il 5 aprile 2000, e che ogni ferita sarebbe potuta essere notata dal giudice. È stato costretto tuttavia di passare, gli occhi reclinati, tra gli agenti penitenziari armati di manganelli che lo minacciavano e lo è stato insultato, e questo senza altro scopo che umiliarlo e di fargli provare la sua condizione di subordinazione al potere poliziesco. Ciò gli ha causato una forte sofferenza psicologica e dei sentimenti di inferiorità soci al timore di subire, nei seguenti giorni, della notizie rappresaglia. Questo basterebbe per concludere alla violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
58. Il richiedente fa valere che la prescrizione constatata dal tribunale di Sassari deve molto al fatto che i reati in causa avevano un carattere “minorenne” ed erano punite dalle pene leggere. Se il diritto italiano avesse contemplato un crimine di tortura punita dalle sanzioni più pesanti, il termine di prescrizione sarebbe stato più lungo ed il tribunale avrebbe avuto il tempo di esaminare la causa anteriore la sua scadenza.
b) Il Governo,
59. Il Governo precisa innanzitutto che non sottovaluta la gravità degli avvenimenti del 3 aprile 2000 ai quali lo stato italiano ha risposto per ristabilire la preminenza del diritto. Il Governo divide le considerazioni fatte a questo riguardo dal GUP ed il tribunale di Sassari che ha condannato a buon diritto severamente questi avvenimenti. Però, questi ultimi sono stati un episodio isolato che non saprebbe riflettere l’atteggiamento generale della polizia italiana. Di più, nella cornice della presente richiesta bisognerebbe avere riguardo ai trattamenti specificamente inflitti al richiedente.
60. Ora, l’interessato è stato uno dei prigionieri meno assegnati con la condotta degli agenti penitenziari. Difatti, quando è stato sentito come testimone al processo, udienza del 9 giugno 2006, il richiedente ha affermato non essere stato picchiato dagli agenti e nessuna traccia di lesioni non è stata rilevata sul suo corpo. In compenso, è stato obbligato a passare tra due file di agenti che abbassano la testa e è stato insultato; quando è tornato nella sua unità, i suoi oggetti personali erano stati perquisiti e sparpagliati. Senza che ci sia luogo di negare che il richiedente abbia potuto provare paura ed ansietà, non è stato dimostrato che questi sentimenti erano di natura tale da provocare una sofferenza fisica e morale prolungata ed intensa. Quindi, il trattamento al quale il richiedente è stato sottoposto non avrebbe raggiunto il minimo di gravità necessaria per cadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione.
61. Il Governo osserva anche che gli interventi di terza partiti devono mirare ad aumentare la cognizione della Corte portando delle notizie informazione o degli argomenti giuridici supplementari al riguardo dei principi generali pertinenti per la conclusione della causa. Ora, i terzo intervenienti si sono limitati a proporre delle riforme legislative in Italia ed a stigmatizzare la no-incriminazione, con la legge italiana, della tortura come crimine specifico, ciò che va al di là del ruolo aspettato di un amicus curiae dinnanzi alla Corte. Pertanto, le osservazioni dei terzo intervenuti non dovrebbero essere versate alla pratica o, in ogni caso, dovrebbero essere ignorate dalla Corte. Ad ogni modo, queste osservazioni non sarebbero pertinenti per deliberare sulla richiesta del Sig. Saba, dato che la mancanza di un crimine di tortura in dritto italiano non ha impedito l’identificazione e la punizione delle persone implicate negli avvenimenti del 3 aprile 2000. Di più, il richiedente non è stato sottomesso alla tortura, ma, tutto a di più, ai trattamenti degradanti, che l’Italia non era tenuta di erigere in reato penale autonomo. Il riferimento al problema della sovrappopolazione carceraria sarebbe, in quanto a lei, senza pertinenza rispetto alle circostanze dello specifico.
62. A titolo che sovrabbonda, il Governo osserva che se non ha introdotto ancora in quanto tale un crimine di tortura, l’Italia ha avanzato tuttavia in questa direzione, ed otto progetti di legge sono stati presentati dinnanzi al Parlamento costituito nel marzo 2013. Gli atti di violenza commisero sui detenuti sono puniti in virtù della disposizione specifica contenuta nell’articolo 608 del CP o, se ci sono state delle lesioni, in virtù degli articoli 582 e 583 del CP.
63. Infine, il Governo espone che l’introduzione di un crimine di tortura costituirebbe certo un sviluppo sociale e morale ma che nessuno obbligo in questo senso non esiste ai termini della Convenzione del 1984 delle Nazioni unite contro la tortura attualmente. Difatti, gli articoli 4 e 5 di questa Convenzione si limitano, secondo lui, a chiedere agli Stati firmatari di assicurarsi che gli atti di tortura sono eretti in reato penale con la legge, ciò che sarebbe già il caso in Italia.
c) I terzi intervenuti,
i. Lo Partito radicale non violento sovranazionale e transparti
64. Lo Partito radicale non violento sovranazionale e transparti (lo Partito “radicale sovranazionale”) ricordo che anche se l’articolo 13 § 4 della Costituzione contemplano la punizione di ogni violenza fisica o giuridica commessa contro le persone sottoposte alle restrizioni di libertà, paragrafo 25 sopra, l’Italia non ha introdotto nel suo sistema morale il crimine di tortura e di trattamenti disumani e degradanti, e questo malgrado la ratifica di numerosi strumenti internazionali in questo senso. Le lacune del diritto italiano sono state sottolineate a questo riguardo dalla commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani, nel suo rapporto del 6 marzo 2012. L’introduzione del crimine di tortura è stata sollecitata dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT) e col Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni unite. Un progetto di legge presentata al Senato il 26 novembre 2008 con un’eletta dello Partito radicale italiano non è stato approvato, e questo in dispetto dell’insufficienza e della mancanza di specificità delle disposizioni legislative reali per combattere la pratica della tortura. Era sottolineato nel rapporto introduttivo che gli atti di tortura che non provoca di lesioni gravi erano perseguiti solamente su lamento della vittima e che le sottili torture psicologiche non erano considerate come le “lesioni” e restavano senza punizione dunque.
65. Alla luce di ciò che precede, il terzo che interviene stima che l’introduzione del crimine di tortura nel sistema morale italiano deve essere una precedenza. La mancanza di una tale previsione legislativa è particolarmente imbarazzante nei settori dell’ordine pubblico e del sistema carcerario. A questo riguardo, lo Partito radicale sovranazionale, ricordo che i perseguimenti contro gli atti di tortura perpetrata in 2001 all’epoca del G8 di Genova si sono chiusi da un non luogo a procedere a causa di prescrizione. Ora, la prescrizione non si applicherebbe ai “crimini internazionali.” Di più, nella causa detta “Asti”, degli agenti penitenziari responsabili di tortura contro i detenuti erano stati prosciolti.
ii. L’associazione “Non questa è pace senza giustizia”
66. L’associazione intervenuta ricorda che nel causa Alikaj ed altri c. Italia, no 47357/08, § 99, 29 marzo 2011, la Corte ha stimato che quando un agente dello stato è accusato di atti contrari agli articoli 2 e 3 della Convenzione, il procedimento o la condanna non saprebbero essere rese nulle con una prescrizione. Peraltro, sebbene l’Italia abbia ratificato, con la legge no 489 del 3 novembre 1998, la Convenzione dell’ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti, il crimine specifico di tortura o di trattamenti disumani o degradanti non è codificato nel sistema morale italiano. Gli Stati essendo tenuti di contemplare una cornice legislativa ed amministrativa per scoraggiare la commissione di reati contro la persona (vedere, in particolare, Beganoviæ c. Croazia, no 46423/06, § 70, 25 giugno 2009, e D.J. c. Croazia, no 42418/10, § 86, 24 luglio 2012, ci sarebbe, in Italia, una violazione sistematica dell’articolo 3 della Convenzione, in particolare in ciò che riguarda la situazione dei detenuti.
67. Il terzo che interviene ricorda le sentenze della Corte in materia di sovrappopolazione carceraria, Sulejmanovic c. Italia, no 22635/03, 16 luglio 2009, e Torreggiani ed altri c. Italia, nostri 43517/09 ed altri, 8 gennaio 2013 che, a suo avviso, spiegherebbero perché l’Italia persiste a non codificare questo crimine. Per evitare delle severe condanne verso gli alti funzionari, l’Italia preferirebbe mantenere relativamente una “apparenza di complicità o di tolleranza agli atti illegali”, ciò che non è ammesso tuttavia in un Stato di diritto.
iii. I Radicali italiani, “Partito anticamente radicale italiano”)
68. Lo partito interveniente osservo che in dispetto della ratifica della Convenzione delle Nazioni unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti, non esiste di incriminazione specifica della tortura nel sistema morale italiano. L’interveniente ricorda che la Corte ha affermato che lo stato deve adottare delle regole per garantire il rispetto dei suoi impegni allo sguardo degli articoli 3 e 8 della Convenzione e che ha concluso alla violazione dell’articolo 3 a causa della sovrappopolazione carceraria in Italia recentemente, Torreggiani ed altri, precitata).
2. Valutazione della Corte
a) Sul risvolto sostanziale dell’articolo 3 della Convenzione
69. La Corte ricorda che in caso di affermazioni sul terreno dell’articolo 3 della Convenzione, deve concedersi ad un esame particolarmente approfondito, Matko c. Slovenia, no 43393/98, § 100, 2 novembre 2006, e Vladimir Romanov c. Russia, no 41461/02, § 59, 24 luglio 2008. Quando c’è stato un procedimento interno, non entra tuttavia nelle attribuzioni della Corte di sostituire la sua propria visione delle cose a quella dei corsi e tribunali nazionali ai quali appartiene in principio di pesare i dati raccolti da essi, Klaas c. Germania, 22 settembre 1993, § 29, serie Ha no 269; Jasar c. “l’ex-repubblica iugoslava del Macedonia”, no 69908/01, § 49, 15 febbraio 2007; ed Eski c. Turchia, no 8354/04, § 28, 5 giugno 2012. Anche se le constatazioni dei tribunali interni non legano la Corte, gli occorre tuttavia di abitudine degli elementi convincenti per potere scostarsi delle constatazioni alle quali sono giunti (Gäfgen, precitata, § 93.
70. Nello specifico, non è discusso entra le parti, vedere sopra 57 e 60 i paragrafi che, siccome l’hanno riconosciuto le giurisdizioni interne e siccome l’aveva denunciato l’interessato sé all’epoca della sua testimonianza del 9 giugno 2006, il richiedente è stato obbligato a passare tra due file di agenti armati di manganelli abbassando la testa e che è stato insultato e è stato minacciato.
71. In quanto alla qualifica giuridica di questo trattamento, la Corte ricorda che per cadere sotto l’influenza dell’articolo 3, un cattivo trattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo dipende dall’insieme dei dati della causa, in particolare della durata del trattamento e dei suoi effetti fisici o mentali, così come, talvolta, del sesso, dell’età, dello stato di salute della vittima, Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, § 162, serie Ha no 25, e Jalloh c. Germania [GC], no 54810/00, § 67, CEDH 2006-IX. Tra gli altri fattori a considerare raffigurano lo scopo in che il trattamento è stato inflitto così come l’intenzione o la motivazione che l’hanno ispirato, Aksoy c. Turchia, 18 dicembre 1996, § 64, Raccolta 1996-VI; Egmez c. Cipro, no 30873/96, § 78, CEDH 2000-XII; e Krastanov c. Bulgaria, no 50222/99, § 53, 30 settembre 2004, o ancora il suo contesto, tale un’atmosfera di viva tensione ed a forte carico emozionale, Selmouni c. Francia [GC], no 25803/94, § 104, CEDH 1999-V, ed Egmez, precitata, § 78.
72. La Corte ha giudicato già in particolare un trattamento “disumano” al motivo che era stato applicato con premeditazione per ore e che aveva causato o delle lesioni corporali o del viva sofferenze fisiche e mentali, Labita c. Italia ([GC], no 26772/95, § 120, CEDH 2000-IV, e Ramirez Sanchez c. Francia [GC], no 59450/00, § 118, CEDH 2006-IX. Ha definito un trattamento “degradante” come essendo di natura tale da creare dei sentimenti di paura, di angoscia e di inferiorità proprio ad umiliare ed avvilire ed a rompere eventualmente la resistenza fisica o giuridica del nessuno che ne è vittima, o a condurrla ad agire contro la sua volontà o la sua coscienza (vedere, entra altri, Keenan c. Regno Unito, no 27229/95, § 110, CEDH 2001-III, e Jalloh, precitata, § 68.
73. Per determinare se una forma di cattivo trattamento deve essere qualificata di tortura, bisogna avere riguardo alla distinzione che comprende l’articolo 3, tra queste nozioni e quella di trattamento disumano o degradante. Così come la Corte l’ha rilevato precedentemente, questa distinzione sembra essere stata consacrata dalla Convenzione per segnare di una speciale infamia dei trattamenti disumani deliberati che provocano di molto gravi e crudeli sofferenze, Irlanda c. Regno Unito, precitata, § 167; Aksoy, precitata, § 63; e Selmouni, precitata, § 96. Esagera un elemento di gravità, la tortura implica una volontà deliberata, così come lo riconosce la Convenzione delle Nazioni unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti: nel suo articolo 1, questa definisce la tortura come tutto atto con che un dolore o dei sofferenze aigües sono inflitti intenzionalmente in particolare ad una persona alle fini di ottenere di lei delle informazioni, di punirla o di intimidirlo, Akkoç c. Turchia, i nostri 22947/93 e 22948/93, § 115, CEDH 2000-X, e Gäfgen, precitata, § 90.
74. Nello specifico, il richiedente non è stato sottomesso agli atti di violenza e non ha subito nessuna lesione corporale. Ha sé affermato non essere stato picchiato. Sebbene il trattamento che gli è stato inflitto sia stato deliberato, la Corte stima che, tenuto conto della sua brevità, non si saprebbe qualificarlo di tortura psicologica. In compenso, conviene rilevare che questo trattamento mirava ad avvilire ed umiliare l’interessato in un contesto di forte tensione emozionale dove i detenuti potevano temere legittimamente per essi estrae. Il richiedente ha dovuto provare dei sentimenti di paura, di angoscia e di inferiorità, ciò che permette alla Corte di qualificare l’incidente in questione di trattamento degradante, proibito come tale con l’articolo 3 della Convenzione.
75. Questa constatazione basta alla Corte per concludere alla violazione del risvolto sostanziale di questa disposizione.
b, Sul risvolto procedurale dell’articolo 3 della Convenzione
i. Principi generali
76. In caso, siccome nello specifico, di cattivo trattamento deliberato inflitto dagli agenti dello stato al disprezzo dell’articolo 3, la Corte stima in modo costante che le autorità interne devono condurre un’inchiesta approfondita ed effettiva potendo condurre all’identificazione ed alla punizione dei responsabile (vedere, entra altri, Çamdereli c. Turchia, no 28433/02, §§ 28-29, 17 luglio 2008; e Gäfgen, precitata, § 116. A questo riguardo, la Corte ha preso in conto parecchi criteri. Di prima, dell’importa fattori affinché l’inchiesta sia effettiva, e che permettono di verificare se le autorità avevano la volontà di identificare e di inseguire i responsabile, sono la celerità con la quale è aperta (Selmouni, precitata, §§ 78-79; Nikolova e Velitchkova c. Bulgaria, no 7888/03, § 59, 20 dicembre 2007; e Vladimir Romanov, precitata §§ 85 e suiv.) e la celerità con la quale è condotta, Mikheïev c. Russia, no 77617/01, § 109, 26 gennaio 2006, e Dedovski ed altri c. Russia, no 7178/03, § 89, CEDH 2008. Inoltre, la conclusione dell’inchiesta e dei perseguimenti penali che scatena, ivi compreso la sanzione pronunziata così come le misure disciplinari preso, ha un carattere determinante. Questi elementi sono essenziali se si vuole preservare l’effetto dissuasivo del sistema giudiziale in posto ed il ruolo che è tenuto di esercitare nella prevenzione degli attentati all’interdizione dei cattivi trattamenti, Ali ed Ayşe Duran c. Turchia, no 42942/02, § 62, 8 aprile 2008; Çamdereli, precitata, § 38; Nikolova e Velitchkova, precitata, §§ 60 e suiv. ; e Gäfgen, precitata, § 121.
77. La Corte ricorda a questo proposito che non gli appartiene di pronunciarsi sul grado di colpevolezza della persone causa, Öneryıldız c. Turchia [GC], no 48939/99, § 116, CEDH 2004-XII, o di determinare la pena ad infliggere, queste materie che rilevano della competenza esclusiva dei tribunali repressivi internano. Tuttavia, in virtù dell’articolo 19 della Convenzione e conformemente al principio che vuole che la Convenzione garantisse dei diritti non teorici o illusori, ma concreti ed effettivi, la Corte deve assicurarsi che lo stato si sdebita siccome si deve dell’obbligo che gli è fatto di proteggere i diritti delle persone che rilevano della sua giurisdizione, Nikolova e Velitchkova, precitata, § 61. Quindi, se la Corte riconosce il ruolo dei corsi e tribunali nazionali nella scelta delle sanzioni ad infliggere agli agenti dello stato in caso dei cattivi trattamenti inflitti da essi, deve conservare la sua funzione di controllo ed intervenire nei casi dove esiste una sproporzione manifesta tra le gravità dell’atto e la sanzione inflitta. Se no, il dovere che ha gli Stati di condurre un’inchiesta effettiva perderebbe molto il suo senso, Nikolova e Velitchkova, precitata, § 62; Ali ed Ayşe Duran, precitata, § 66; e Gäfgen, precitata, § 123.
78. La Corte ricorda ugualmente che dal momento che degli agenti dello Stato vengono incolpati di infrazioni che implicano dei maltrattamenti , è importante che i perseguimenti no incontrino la prescrizione e che gli interessati siano sospesi dalle loro funzioni durante l’istruzione o il processo e ne siano dimessi in caso di condanna (Abdülsamet Yaman, c. Turchia, no 32446/96, § 55, 2 novembre 2004; vedere anche § 63 Nikolova e Velitchkova, precitata,; Ali ed Ayşe Duran, precitata, § 64; Çamdereli, precitata, § 38; e Gäfgen, precitata, § 125.
ii. Applicazione di questi principi nello specifico
79. La Corte si riferisce innanzitutto alla sua constatazione che gli importanti ritardi hanno leso il processo dinnanzi al tribunale di Sassari e che questa lunghezza del procedimento ha condotto al pronunziata di un non luogo a procedere a causa di prescrizione contro sette degli imputati, paragrafo 46 sopra, ciò che non saprebbe conciliarsi con l’obbligo delle autorità di condurre l’inchiesta con celerità, paragrafo 76 sopra.
80. In quanto alla conclusione dell’inchiesta, è vero che nella cornice del procedimento abbreviato, dieci condanne sono state pronunciate. Però, un agente penitenziario riconosciuto colpevole di avere omesso di denunciare i reati non si è visto infliggere che una multa di 100 EUR, paragrafi 17 e 18 sopra,; e si delle pene di detenzione, arzillo di quattro mesi ad un anno ed otto mesi, sono state pronunciate verso otto altre persone, erano abbinate di un rinvio all’esecuzione, paragrafo 17 sopra. In queste circostanze, la Corte non è convinta che le giurisdizioni interne abbiano misurato la gravità dei fatti rimproverati agli imputati nel loro requisito di funzionari dello stato (vedere, mutatis mutandis, Zeynep Özcan c. Turchia, no 45906/99, § 43, 20 febbraio 2007.
81. La Corte nota anche che il Governo non ha indicato si durante l’istruzione o il processo gli agenti accusati sono stati sospesi bene delle loro funzioni, siccome esigilo normalmente la sua giurisprudenza, paragrafo 35 sopra,: risulta solamente della pratica che, dopo la loro condanna, sette persone sono state oggetto di sanzioni disciplinari. Per di più, contro gli alti funzionari implicati, le sanzioni disciplinari in questione che comprendevano una sospensione delle funzioni, hanno avuto una durata che va solamente di uno a sei mesi; in quanto a queste inflitto agli agenti penitenziari condannati, sono state molto leggere, a sapere una riduzione di un trentesimo del loro stipendio ed un semplice biasimo, paragrafo 23 sopra. In nessuno caso gli interessati non sono stati dimessi delle loro funzioni in seguito alla loro condanna.
82. Avuto riguardo alle constatazioni che precedono, la Corte stima che le differenti misure prese pienamente dalle autorità interne non hanno soddisfatto alla condizione di un’inchiesta approfondita ed effettiva, come stabilita nella sua giurisprudenza. In queste circostanze, c’è luogo di respingere l’eccezione preliminare del Governo derivato della perdita della qualità di vittima, paragrafo 37 sopra, e di concludere che c’è stata violazione del risvolto procedurale dell’articolo 3 della Convenzione.
c) Le altre affermazioni delle parti
83. Con là, la Corte stima avere esaminato le questioni giuridiche principali poste dal motivo di appello derivato dell’articolo 3. Tenuto conto dell’insieme dei fatti della causa e degli argomenti delle parti, considera di conseguenza che non c’è luogo di esaminare la questione di sapere se la mancanza, in dritto italiano, di una violazione specifica che si riferisce alla nozione di tortura o ai trattamenti disumana o degradante porta in si attentato a questa stessa disposizione (vedere, mutatis mutandis, Kamil Uzun c. Turchia, no 37410/97, § 64, 10 maggio 2007; Demirel ed altri c. Turchia, no 75512/01, § 29, 24 luglio 2007; Mehmet e Suna Yiğit c. Turchia, no 52658/99, § 43, 17 luglio 2007; ed Abdullah Yılmaz c. Turchia, no 21899/02, § 77, 17 giugno 2008.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 5 DELLA CONVENZIONE
84. Il richiedente considera che omettendo di proteggerlo contro le violenze degli agenti penitenziari, le autorità hanno ignorato il loro dovere di garantire la sua libertà e la sua sicurezza.
Invoca l’articolo 5 della Convenzione di cui il primo paragrafo si legge come segue:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà ed alla sicurezza. Nessuno può essere privato della sua libertà, salvo nei seguenti casi e secondo le vie legali:
a) se è detenuto regolarmente dopo condanna di un tribunale competente;
b) se è stato oggetto di un arresto o di una detenzione regolare per renitenza ad un’ordinanza resa, conformemente alla legge, con un tribunale o in vista di garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge;
c) se è stato arrestato e è stato detenuto vista di essere condotto dinnanzi all’autorità giudiziale competente, quando ci sono delle ragioni plausibili di sospettare che ha commesso una violazione o che ci sono dei motivi ragionevoli di credere alla necessità di impedirlo di commettere una violazione o di fuggire dopo il compimento di questa;
d) se si tratta della detenzione regolare di un minore, decisa per la sua educazione vigilata o della sua detenzione regolare, per tradurlo dinnanzi all’autorità competente,;
e) se si tratta della detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa, di un alienato, di un’alcolista, di un tossicodipendente o di un vagabondo,;
f) se si tratta dell’arresto o della detenzione regolare di una persona per impedirlo di penetrare irregolarmente nel territorio, o contro la quale un procedimento di sfratto o di estradizione è in corso. “
85. Il Governo combatte questa tesi e sottolinei che il richiedente non contesta la legalità della sua privazione di libertà, ma le sue condizioni di detenzione ed i trattamenti ai quali è stato sottoposto.
86. La Corte osserva che il richiedente non contesta la legalità della sua detenzione. Rileva anche che niente nella pratica permette di pensare che la privazione di libertà controversa era arbitraria o diversamente contrario all’articolo 5 della Convenzione.
87. Segue che questo motivo di appello è manifestamente male fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 ha, e 4 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
88. Il richiedente si lamenta di un attentato illegittimo al suo diritto alla vita privata. Ricorda le violenze di cui è stato vittima e sottolinei che gli agenti penitenziari hanno distrutto volontariamente i suoi oggetti personali.
Invoca l’articolo 8 della Convenzione, così formulata,:
1. “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza .
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
89. Il Governo respinge questa tesi. Osserva che dinnanzi alle giurisdizioni nazionali il richiedente non ha affermato mai che i suoi oggetti personali erano stati distrutti, ma solamente che erano stati sparpagliati nella sua unità.
90. Il richiedente afferma che tutto era stato spostato nella sua unità, che il cibo era stato mescolato al bucato e che i suoi effetti personali erano stati sciupati. Stima che questi fatti costituiscono bene un’ingerenza illegittima nella sua vita privata, tenuto conto della cornice limitata dove viveva all’epoca dei fatti.
91. La Corte rileva che, nella misura in cui cade sulle violenze di cui il richiedente ha fatto l’oggetto, questo motivo di appello è legato a quell’esaminato sopra sotto l’angolo dell’articolo 3 e deve essere dichiarato dunque anche ammissibile.
92. Avuto riguardo alle sue constatazioni relative all’articolo 3 della Convenzione, paragrafi 75 e 82 sopra, la Corte stima che non c’è luogo di esaminare se c’è stato anche, nello specifico, violazione dell’articolo 8.
93. Per ciò che è, in compenso, della pretesa degradazione degli oggetti personali del richiedente, la Corte stima che le affermazioni dell’interessato non sono supportate sufficientemente.
94. Segue che questa parte del motivo di appello è manifestamente male fondata e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 ha, e 4 della Convenzione.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE, COMPOSTO CON L’ARTICOLO 3
95. Il richiedente si lamenta di non disporre, in dritto italiano, del nessuno ricorso efficace per fare valere il suo motivo di appello tirato dell’articolo 3. Osserva che il sistema morale italiano non contempla il crimine di tortura; gli atti in causa non sono potuti essere perseguii dunque che sotto le qualifiche minorenne per che il termine di prescrizione era corto.
Invoca l’articolo 13 della Convenzione, così formulata,:
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
96. Il Governo contesta questa tesi. Reitera le sue osservazioni in quanto all’omissione, col richiedente, di esaurire le vie di ricorso che gli era aperte in dritto italiano, paragrafi 38-39 sopra, ed in quanto all’efficacia dell’inchiesta interna, paragrafi 28-29 sopra. Il Governo ricorda in particolare che meno del 10% degli imputati hanno beneficiato di un non luogo a procedere e che i trattamenti denunciati dal richiedente cadevano sotto l’influenza di una disposizione specifica della legge penale nazionale, l’articolo 608 del CP che offre una protezione alle persone private della loro libertà in considerazione del loro stato di vulnerabilità.
97. Il richiedente osserva che solamente il 10% delle persone accusate dei fatti del 3 aprile 2000 sono stati condannati, e stima che non è verosimile che nove persone abbiano potuto maltrattare 118 vittime.
98. La Corte rileva che questo motivo di appello è legato a quell’esaminato sopra sotto l’angolo dell’articolo 3 e deve essere dichiarato dunque anche ammissibile.
99. Avuto riguardo alle sue constatazioni relative all’articolo 3 della Convenzione, paragrafi 75 e 82 sopra, la Corte stima che non c’è luogo di esaminare se c’è stato anche, nello specifico, violazione dell’articolo 13.
V. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
100. Il richiedente si lamenta della durata del procedimento penale diretto contro gli agenti penitenziari nella quale si era costituito parte civile.
Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, è formulato così:
“Ogni persona ha diritto a ciò che la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, con un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile. “
101. Il Governo espone che la durata del procedimento dinnanzi al tribunale di Sassari si spiega con la complessità della causa. Ad ogni modo, il richiedente avrebbe potuto introdurre un ricorso in risarcimento sul fondamento del legge Pinto, ciò che non ha fatto.
102. La Corte rileva che il richiedente non ha indicato avere introdotto un ricorso sul fondamento del legge “Pinto”, legge no 89 di 2001, per ottenere presumibilmente risarcimento per la durata eccessiva del procedimento in questione. Ora, un tale ricorso è stato considerato dalla Corte come essendo accessibile ed in principio efficace per denunciare, al livello interno, la lentezza della giustizia (vedere, tra molto altri, Brusco c. Italia, déc.), no 69789/01, CEDH 2001-IX, e Pacifico c. Italia, déc.), no 17995/08, § 67, 20 novembre 2012.
103. Segue che questo motivo di appello deve essere respinto per no-esaurimento delle vie di ricorso interni, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
VI. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
104. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
105. Il richiedente richiede 100 000 EUR a titolo del danno morale che avrebbe subito.
106. Il Governo stima questa somma eccessiva e noti che il richiedente non ha specificato ne che cosa consisteva la sofferenza giuridica che avrebbe patito. Non avrebbe supportato la sua domanda dunque e non avrebbe dimostrato l’esistenza di un legame di causalità tra le violazioni constatata ed il danno addotto.
107. La Corte considera che il richiedente ha subito un torto morale certo e decidi di concedere egli 15 000 EUR a questo titolo.
B. Oneri e spese
108. Producendo una nota del suo consiglio, il richiedente chiede anche 8 000 EUR per gli oneri e spese impegnate dinnanzi alla Corte.
109. Il Governo stima questa somma eccessiva tenuto conto della prestazione effettivamente compiuta dal consiglio del richiedente e delle tabelle applicabili nel sistema italiano.
110. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente non può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese che nella misura in cui si trovano stabilisco la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevoli del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto dei documenti nel suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte stima ragionevole l’intimo di 5 000 EUR per il procedimento dinnanzi a lei e l’accordo al richiedente.
C. Interessi moratori
111. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito