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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE RUSPOLI MORENES c. ESPAGNE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: P1-1
Numero: 28979/07/2011
Stato: Spagna
Data: 2011-06-28 00:00:00
Organo: Sezione Terza
Testo Originale

Conclusione Non –violazione di P1-1
TERZA SEZIONE
CAUSA RUSPOLI MORENES C. SPAGNA
( Richiesta no 28979/07)
SENTENZA
STRASBURGO
28 giugno 2011
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Ruspoli Morenes c. Spagna,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente, Alvina Gyulumyan, Egbert Myjer, Ineta Ziemele, Mihai Poalelungi, Kristina Pardalos, giudici, Alejandro Saiz Arnaiz, giudice ad hoc,
e da Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 31 maggio 2011,
Rende la sentenza che ha adottata in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 28979/07) diretta contro il Regno della Spagna e in cui tre cittadini di questo Stato, OMISSIS (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 2 luglio 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da OMISSIS, avvocati a Madrid.
Il governo spagnolo (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, il Sig. I. Blasco Lozano, capo del servizio giuridico dei diritti dell’uomo al ministero della Giustizia.
3. Il 13 ottobre 2010, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
4. Il Sig. L. López Guerra, giudice eletto a titolo della Spagna essendosi ritirato , il presidente della sezione riguardata ha deciso di designare il Sig. A. Saiz Arnaiz per riunirsi al suo posto in qualità di giudice ad hoc, articolo 29 § 1 b, dell’ordinamento della Corte.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti sono tre fratelli che risiedono a Madrid.
6. I richiedenti erano i proprietari del quadro La Condesa de Chinchón (La Contessa di Chinchón) di Francisco de Goya. Il 14 dicembre 1999, conformemente alla legge 16/1985 del 25 giugno sul patrimonio storico nazionale, i richiedenti notificarono all’amministrazione la loro intenzione di vendere il quadro così come le condizioni di vendita alle quali erano giunti con gli acquirenti privati, affinché esercitasse, all’occorrenza, il suo diritto di prelazione a favore dello stato. Il prezzo di vendita era stato fissato a 4 000 000 000 pesete, quattro miliardi, o 24 040 484,17 di euro (EUR), da versare in contanti entro 30 giorni a contare dalla data in cui l’amministrazione avrebbe negato di esercitare il suo diritto, o al più tardi dopo due mesi di silenzio amministrativo fin dalla notifica dell’intenzione di vendere. Di conseguenza, la data limite di pagamento era il 15 marzo 2000.
7. Con una decisione del 18 gennaio 2000, il ministro dell’educazione e della Cultura esercitò il diritto di prelazione ed acquistò il quadro.
8. Il 26 gennaio 2000, i richiedenti informarono l’amministrazione che le condizioni applicabili alla vendita erano identiche a quelle convenute con gli acquirenti privati, ossia il versamento immediato del prezzo all’epoca della restituzione del quadro o, in caso di pagamento differito, l’attualizzazione dell’importo conformemente all’indice dei prezzi al consumo aumentato dell’interesse legale.
9. La restituzione fu effettuata il 17 febbraio 2000. I richiedenti reiterarono la loro istanza tramite via amministrativa a tre riprese, il 18 febbraio, il 4 aprile e il 3 maggio 2000. In mancanza di risposta, interposero un ricorso contenzioso-amministrativo e richiesero l’importo della vendita.
10. Mentre il ricorso si trovava pendente, l’amministrazione saldò il pagamento in due scadenze, ossia un primo versamento di 2 500 000 000 pesete, due miliardi e mezzo, o 15 025 302,60 EUR il 30 gennaio 2001 ed un secondo di 1 500 000 000 pesete, un miliardo e mezzo, o 9 015 181,56 EUR il 11 luglio 2001.
11. Con un giudizio dell’ 11 ottobre 2001, l’Audiencia Nacional respinse le pretese dei richiedenti. Segnalò che l’articolo 38 § 2 della legge sul patrimonio storico nazionale autorizzava l’amministrazione a differire il pagamento dei beni ad interesse culturale acquisito in esercizio del diritto di prelazione su due periodi contabili. L’Audiencia stimò in particolare che:
“(…) l’amministrazione non è obbligata [nello specifico] a pagare degli interessi di ritardo nella misura in cui versò l’importo [convenuto] nei termini previsti [all’articolo 38 § 2] (…). contrariamente alle rivendicazioni dei richiedenti, gli elementi essenziali del contratto di vendita iniziale di cui l’amministrazione fu informata conformemente alla legge, sono stati rispettati. Difatti, l’oggetto ed il prezzo sono rimasti immutati. L’amministrazione si è limitata ad esercitare il suo diritto di prelazione, senza che né la clausola di attualizzazione del prezzo né l’esigibilità degli interessi possa essere considerata come implicita, anche se il pagamento che figura nell’offerta iniziale era stato fissato in contanti. Questa facoltà dello stato non è contraria al diritto di proprietà. “
12. I richiedenti ricorsero in cassazione. Con una sentenza del 21 novembre 2006, notificato il 2 gennaio 2007, il Tribunale supremo respinse il loro ricorso e confermò il giudizio contestato. In particolare, il Tribunale constatò che l’amministrazione aveva effettuato i pagamenti nei termini legali di due periodi contabili, senza che nessun importo a titolo di interessi potesse essere richiesto. Peraltro, ricordò che il Tribunale costituzionale aveva respinto parecchi ricorsi di incostituzionalità contro la Legge 16/1985 del 25 giugno sul patrimonio storico nazionale, al motivo che lo scopo principale del diritto di prelazione a favore dell’amministrazione era unicamente quello di facilitare l’acquisizione di questo tipo di beni. Alla fine, il Tribunale supremo segnalò che tale privilegio era contemplato anche in altri casi. Menzionò a questo motivo la legge sull’espropriazione costretta del 16 dicembre 1954 che, molto prima della legge sul patrimonio storico e nella cornice dell’espropriazione, della vendita pubblica, dell’asta o della liquidazione di beni a valore artistico, storico ed archeologico, stabilisce che lo stato poteva esercitare il suo diritto di prelazione, pagando il prezzo convenuto durante al massimo due periodi contabili, salvo accordo con l’interessato su un’altra forma di pagamento.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
13. La disposizione pertinente della Costituzione dispone come segue:
Articolo 46
“I poteri pubblici garantiranno la conservazione e promuoveranno l’arricchimento del patrimonio storico, culturale ed artistico dei popoli di Spagna e dei beni che l’integrano, qualunque sia il loro regime giuridico ed il loro titolare .”
14. La disposizione pertinente della Legge 16/1985 sul patrimonio storico nazionale, del 25 giugno 1985 dispone come segue:
Articolo 38
“1. Ogni persona che vuole alienare un bene dichiarato di interesse culturale o archiviato nel Repertorio generale dell’articolo 26 deve notificarlo agli organismi [competenti] menzionati all’articolo 6 e dichiarare il prezzo e le condizioni previste per l’alienazione.
2. Durante i due seguenti mesi la notifica menzionata al capoverso precedente, l’amministrazione dello stato potrà utilizzare il diritto di prelazione per lei stessa, per un’entità di beneficenza o per ogni altra entità di diritto pubblico, dovendopagare il prezzo convenuto o, all’occorrenza, il prezzo di aggiudicazione, durante al massimo due periodi contabili, salvo accordo con l’interessato su un’altra forma di pagamento.
(…). “
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 ALLA CONVENZIONE
15. I richiedenti stimano che le condizioni di vendita applicabili all’amministrazione avrebbero dovute essere le stesse di quelle convenute con gli acquirenti privati in caso di pagamento differito, ossia la rivalutazione dell’importo conformemente all’indice dei prezzi al consumo aumentato dell’interesse legale. Considerano che la mancata osservanza di questa esigenza ha indotto un attentato al loro diritto di proprietà come previsto dall’ l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, così formulato:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
16. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
17. La Corte constata che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararla ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Tesi delle parti
a) Il Governo
18. Il Governo segnala al primo colpo che la legge non esige l’attualizzazione dell’importo da pagare in caso di ordinamento differito. Contempla solamente l’obbligo di effettuare il pagamento in un termine massimo di due periodi contabili, senza nessun riferimento alle eventuali clausole convenute con gli acquirenti privati. Del parere del Governo, la clausola relativa alla rivalutazione non può essere considerata come implicita in tutti gli atti di vendita. Così, nella misura in cui nello specifico l’amministrazione ha rispettato l’esigenza legale, non può essere considerata come in ritardo nel compimento del suo obbligo.
19. Inoltre, il Governo ricorda che in ragione della sua funzione sociale, il diritto di proprietà non è assoluto e può essere oggetto di limitazioni legali che hanno una conseguenza economica. Segnala che queste possono essere tanto più rigorose trattandosi di un bene di interesse culturale. Difatti, questo tipo di beni possiede un regime giuridico speciale, stabilito dal legislatore per proteggere l’interesse generale e senza scopo confiscatorio.
20. Il Governo stima che le limitazioni, contemplate nell’articolo 38 della Legge sul patrimonio storico nazionale, non portano attentato all’essenza del diritto di proprietà e ricorda a questo motivo la giurisprudenza della Corte relativa al margine di valutazione di cui beneficiano in materia gli Stati, in particolare le sentenze Chassagnou ed altri c. Francia [GC], nostri 25088/94, 28331/95 e 28443/95, CEDH 1999-III, Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, CEDH 2000-I ed Aka c. Turchia, sentenza del 23 settembre 1998, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-VI.
21. Del suo parere, il margine di valutazione non sarebbe stato superato nello specifico.
b) I richiedenti
22. Da parte loro, i richiedenti considerano che l’interpretazione dell’articolo 38 della Legge sul patrimonio storico nazionale deve superare la lettura alla lettera del testo e inquadrarsi nella protezione più generale del diritto di proprietà. A questo riguardo, segnalano che il modo in cui lo stato ha esercitato il suo diritto di prelazione nello specifico supera il margine di valutazione di cui dispone e ha portato esattamente attentato all’equilibrio che deve esistere tra la protezione del diritto di proprietà e l’interesse generale. Per i richiedenti, il diritto di prelazione permette all’amministrazione di acquisire il bene alle stesse condizioni di quelle convenute con l’acquirente privato e, di conseguenza, non le accorda il diritto di passare oltre la clausola di attualizzazione del prezzo.
23. Nello specifico, l’amministrazione si è liberata dall’importo totale in due volte senza attualizzazione del prezzo conformemente all’indice dei prezzi al consumo. Hanno ricevuto così una somma inferiore a quella di cui avrebbero beneficiato se l’acquirente fosse stato un individuo, inducendo loro un danno economico quantificabile a 1 386 378,65 EUR. Stimano di non avere nessun obbligo legale di sopportare questo danno che sarebbe contrario alla legge. Difatti, il diritto di prelazione di cui non beneficia lo stato non deve comprendere nessun danno per i venditori. Il contrario implicherebbe che il sistema legale permette le requisizioni o le confische.
24. Alla fine, i richiedenti considerano che le loro pretese non recano offesa alla funzione sociale del diritto di proprietà e stimano che la loro istanza non può essere considerata come abusiva.
2. Valutazione della Corte
A. Sull’applicabilità dell’articolo 1 del Protocollo no 1
25. La Corte ha per primo compito di pronunciarsi sulla norma dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che conviene applicare ai fatti dello specifico. Difatti, la Corte ricorda che l’articolo 1 del Protocollo no 1 contiene tre norme distinte: la prima che si esprime nella prima frase del primo capoverso e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso capoverso, prevede la privazione di proprietà e la sottopone a certe condizioni; in quanto alla terza, registrata nel secondo capoverso, riconosce agli Stati il potere, tra altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale. Non si tratta per tanto di regole prive di rapporto tra loro. La seconda e la terza hanno fatto riferimento agli esempi particolari di attentati al diritto di proprietà; quindi, si devono interpretare alla luce del principio consacrato dalla prima (vedere, per esempio, Scordino c. Italia (no 1) [GC], no 36813/97, § 78, CEDH 2006-V, e Kozacıoğlu c. Turchia [GC], no 2334/03, § 48, CEDH 2009 -…).
26. Per ciò che riguarda in particolare le ingerenze che dipendono dal secondo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che contempla specialmente il “diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale “, deve esistere per di più un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto. A questo riguardo, gli Stati dispongono di un grande margine di valutazione tanto per scegliere le modalità di collocamento in opera che per giudicare se le loro conseguenze si trovano legittimate, nell’interesse generale, dalla preoccupazione di raggiungere l’obiettivo della legge in causa (AGOSI c. Regno Unito, sentenza del 24 ottobre 1986, § 52, serie Ha no 108).
27. Trattandosi dei fatti dello specifico, la Corte nota che a differenza della causa Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, § 106, CEDH 2000-I, non è contestato che i richiedenti erano i proprietari legittimi del quadro.
28. La Corte constata inoltre, che le disposizioni legali che sono state applicate alla vendita del quadro controverso avevano per vocazione di regolamentare, tra l’altro, il mercato dei beni che fanno parte del patrimonio storico nazionale fissando le condizioni della loro alienazione e fissando in particolare un diritto di prelazione a favore dello stato su questo tipo di beni.
29. Nella misura in cui i richiedenti hanno deciso liberamente di mettere in vendita il loro quadro, non sono stati oggetto di una “privazione di bene” ai sensi della seconda frase del primo capoverso dell’articolo 1, ma di una misura tesa a “regolamentare l’uso” del quadro ai sensi del secondo capoverso di questo articolo (vedere J.A). Pye, Oxford, Ltd e J.A. Pye (Oxford, Land Ltd c,). Regno Unito [GC], no 44302/02, § 66, CEDH 2007-X).
30. La Corte si metterà sotto l’angolo di questa disposizione per esaminare l’ingerenza nel diritto di proprietà dei richiedenti dunque.
B. Sull’osservazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1
1. Sull’esistenza di un’ingerenza
31. Alla vista delle conclusioni che precedono, la Corte considera che il collocamento in opera del diritto di prelazione ha costituito un’ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni. Per essere compatibile con la norma generale enunciata alla prima frase dell’articolo 1, tale ingerenza deve predisporre un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, sentenza Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, § 107, CEDH 2000-I. Inoltre, la necessità di esaminare la questione del giusto equilibrio può farsi non “sentire solo quando è accertato che l’ingerenza controversa ha rispettato il principio della legalità e non era arbitraria”, sentenza Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 58 CEDH 1999-II.
2. “Nelle condizioni previste dalla legge”
32. La Corte ricorda che la legalità costituisce una condizione fondamentale della compatibilità di una misura di ingerenza con l’articolo 1 del Protocollo no 1. Difatti, “l’articolo 1 del Protocollo no 1 esige, innanzitutto e soprattutto, che un’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto di beni sia legale”, sentenza Iatridis precitata, § 58. La Corte gode però di una competenza limitata per verificare il rispetto del diritto interno, sentenza Håkansson e Sturesson c. Svezia del 21 febbraio 1990, § 47, serie A no 171-A, e ricorda a questo riguardo che appartiene al primo capo alle autorità nazionali, e singolarmente ai corsi e tribunali, interpretare ed applicare il diritto interno (vedere Brualla Gómez del Torre c. Spagna, sentenza del 19 dicembre 1997, § 31, Raccolta delle sentenze e decisioni, 1997-VIII, e Glässner c. Germania, (dec.), no 46362/99, CEDH 2001-VII,). Nello specifico, l’ingerenza controversa era prevista dall’articolo 38 della legge sul patrimonio storico nazionale. Peraltro, nessun elemento della pratica permette alla Corte di concludere che le autorità spagnole abbiano fatto un’applicazione manifestamente erronea, o sia giunta aconclusioni arbitrarie, di questa disposizione legale (vedere, mutatis mutandis, sentenza Tre Traktörer AB c. Svezia del 7 luglio 1989, § 58, serie A no 159).
33. Niente nella pratica indica inoltre, che la disposizione applicabile non era sufficientemente accessibile, precisa e prevedibile. Difatti, l’articolo 38 § 2 non fanno nessun riferimento ad un qualsiasi obbligo dell’amministrazione di attualizzare il prezzo in caso di pagamento differito (vedere, mutatis mutandis, O.B. Heller, a.s. e Československá obchodní banka c. Repubblica ceca, (dec.), no 55631/00 e 55728/00, 9 novembre 2004,).
3. Sullo scopo dell’ingerenza
34. Ogni ingerenza nel godimento di un diritto o di una libertà riconosciuti dalla Convenzione deve, come deriva dall’articolo 18 della Convenzione, inseguire uno scopo legittimo. Il principio del “giusto equilibrio” inerente all’articolo 1 del Protocollo no 1 stesso suppone l’esistenza di un interesse generale della comunità. Per di più, conviene ricordare che le differenti regole incorporate nell’articolo 1 non sono prive di rapporto tra esse e che la seconda e la terza sono solamente dei casi particolari, paragrafi 25-26 sopra. Ne deriva, in particolare, che l’esistenza di una “causa di utilità pubblica” richiesta in virtù della seconda frase, o ancora “l’interesse generale” menzionato nel secondo capoverso, costituiscono in fatto dei corollari del principio enunciato alla prima frase. Perciò, un’ingerenza nell’esercizio del diritto al rispetto dei beni, ai sensi della prima frase dell’articolo 1, deve inseguire anche uno scopo di utilità pubblica.
35. Nello specifico, la Corte non mette per niente in causa il diritto di prelazione sulle opere di arte in quanto tale. Difatti, considera che il controllo del mercato delle opere d’ arte presenta un interesse per il patrimonio dello stato e costituisce uno scopo legittimo nella cornice della protezione del patrimonio culturale ed artistico di un paese (Buonomo Gärber ed altri c. Italia, (dec.), no 63783/00, del 20 maggio 2003 e Beyeler c. Svizzera suddetta, § 117). Il suo compito consisterà nell’ esaminare le modalità di applicazione di questo diritto allo specifico. Simili modalità entrano nella cornice del margine di valutazione dello stato, salvo se arrivano a risultati così anormali che la legislazione ne diventa inaccettabile.
4. Sull’esistenza di un giusto equilibrio
36. La preoccupazione di garantire un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo si riflette nella struttura dell’articolo 1 tutto intero e si traduce con la necessità di un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto (vedere, tra altre, le sentenze Sporrong e Lönnroth precitata, § 69, Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri c. Belgio del 20 novembre 1995, § 38, serie A no 332, e da ultimo Chassagnou ed altri c. Francia [GC] precitato, § 75, CEDH 1999-III).
37. Per determinare se la misura controversa rispetta il giusto equilibrio voluto, la Corte deve ricercare in particolare se non fa pesare sui richiedenti un carico sproporzionato che rompe il giusto l’equilibrio che deve esistere tra gli interessi in gioco.
38. La Corte nota che le condizioni convenute con gli acquirenti privati contemplavano che in caso di pagamento differito, l’importo della vendita, ossia 24 040 484,17 EUR, doveva essere attualizzato conformemente all’indice dei prezzi al consumo aumentato dell’interesse legale. Esercitando il diritto di prelazione legale, lo stato ha pagato il prezzo del quadro su un periodo che si stende su circa un anno e mezzo. Secondo i richiedenti, il mancato pagamento dell’attualizzazione del prezzo aumentato dell’interesse legale avrebbe provocato un danno che ammonta a 1 386 378,65 EUR.
39. La Corte ricorda al primo colpo che gli Stati godono di un largo margine di valutazione quando si tratta, come nello specifico, di decidere le misure da mettere in opera per regolamentare l’uso di un bene (vedere sopra paragrafi 28-29), così come per giudicare se le loro conseguenze si trovano legittimate, nell’interesse generale, dalla preoccupazione di raggiungere l’obiettivo della legge in causa (cf). particolarmente Chassagnou ed altri precitata, § 75 ed Immobiliare Saffi c. Italia [GC], no 22774/93, § 49, CEDH 1999-V.
40. Questo margine è ancora più largo quando che si tratta bene di un dichiarato di interesse culturale o archiviato come patrimonio storico. Così, la Corte considera che i proprietari di opere d’ arte che hanno un interesse per il patrimonio artistico della nazione si devono aspettare di subire delle restrizioni al loro diritto a causa della protezione dell’interesse generale e della natura particolare di questi beni. Nonostante, ogni attentato al diritto al rispetto dei beni deve predisporre un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della collettività e quelle della protezione dei diritti fondamentali dell’individuo (J.A . Pye, precitata, § 53).
41. Nello specifico, queste limitazioni si concretano con certe condizioni alle quali sono sottoposte le alienazioni, ossia l’obbligo di notificare all’amministrazione l’intenzione di vendere il quadro affinché possa esercitare il suo diritto di prelazione. Una volta che l’amministrazione ha espresso il suo interesse per il bene, lo svolgimento della transazione deve effettuarsi conformemente alla regolamentazione applicabile in materia non potendo fissare il venditore, unilateralmente le condizioni. Del parere della Corte, queste restrizioni si spiegano con la preoccupazione dell’amministrazione di centralizzare, tanto quanto si può fare, la conservazione e promozione delle opere d’ arte per conformarsi all’obbligo che deriva dall’articolo 46 della Costituzione (vedere sopra paragrafo 13) e di facilitarne l’accesso all’insieme della popolazione. Il quadro è esposto nella più importante pinacoteca spagnola, ossia il Museo del Prado a Madrid, ora.
42. Nessun dubbio a questo riguardo che l’acquisizione da parte dello stato delle opere d’ arte in modo preferenziale facilita in grande misura l’esposizione pubblica e permette di farne beneficiare un più largo pubblico. L’interesse generale della collettività si vede così privilegiato.
43. Essendo così, conviene ad ogni modo valutare se il danno patrimoniale addotto dai richiedenti ha costituito un carico sproporzionato (vedere in particolare la causa J.A. Pye precitata, § 79 e Depalle c. Francia, [GC], no 34044/02, § 91, CEDH 2010 -…).
44. Nella presente causa, la legge 16/1985 sul patrimonio storico nazionale, del 25 giugno, contemplava che in caso di utilizzazione del diritto di prelazione, l’amministrazione avrebbe dovuto pagare il prezzo convenuto durante al massimo due periodi contabili, salvo accordo con l’interessato su un’altra forma di pagamento. La Corte constata a questo motivo che i richiedenti hanno ricevuto la totalità del prezzo di vendita del quadro, o 24 040 484,17 EUR, essendo stato versato il prezzo prima della fine del termine di due periodi contabili previsti dalla legge.
45. L’articolo 38 di questa legge non contiene previsioni espresse in quanto ad un’eventuale attualizzazione del prezzo in caso di pagamento differito. I richiedenti non potevano aspettarsi quindi, ragionevolmente di un’attualizzazione del prezzo. Difatti, l’articolo 38 § 2 della legge non lasciava nessun margine di valutazione all’amministrazione, poiché disponeva esclusivamente che questa ultima era tenuta a versare al proprietario del bene il prezzo convenuto nell’atto di alienazione. In più, le autorità non potrebbero passare per avere contribuito ad intrattenere l’incertezza sulla possibilità di applicare di tale attualizzazione, a contrario, Beyeler precitata § 119.
46. Avuto riguardo a ciò che precede, la Corte conclude che i richiedenti non hanno sopportato un carico sproporzionato ed eccessivo, il giusto equilibrio richiesti dall’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione non essendo stato rotto di conseguenza nello specifico. Quindi, non c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 28 giugno 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Cancelliere Presidente

Testo Tradotto

Conclusion Non-violation de P1-1
TROISIÈME SECTION
AFFAIRE RUSPOLI MORENES c. ESPAGNE
(Requête no 28979/07)
ARRÊT
STRASBOURG
28 juin 2011
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Ruspoli Morenes c. Espagne,
La Cour européenne des droits de l’homme (troisième section), siégeant en une chambre composée de :
Josep Casadevall, président,
Alvina Gyulumyan,
Egbert Myjer,
Ineta Ziemele,
Mihai Poalelungi,
Kristina Pardalos, juges,
Alejandro Saiz Arnaiz, juge ad hoc,
et de Santiago Quesada, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 31 mai 2011,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 28979/07) dirigée contre le Royaume d’Espagne et dont trois ressortissants de cet État, OMISSIS (« les requérants »), ont saisi la Cour le 2 juillet 2007 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par OMISSIS, avocats à Madrid.
Le gouvernement espagnol (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, M. I. Blasco Lozano, chef du service juridique des droits de l’homme au ministère de la Justice.
3. Le 13 octobre 2010, la Cour a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
4. M. L. López Guerra, juge élu au titre de l’Espagne s’étant déporté, le président de la section concernée a décidé de désigner M. A. Saiz Arnaiz pour siéger à sa place en qualité de juge ad hoc (article 29 § 1 b) du règlement de la Cour).
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Les requérants sont trois frères résidant à Madrid.
6. Les requérants étaient les propriétaires du tableau La Condesa de Chinchón (La Comtesse de Chinchón), de Francisco de Goya. Le 14 décembre 1999, conformément à la loi 16/1985 du 25 juin sur le patrimoine historique national, les requérants notifièrent à l’Administration leur intention de vendre le tableau ainsi que les conditions de vente auxquelles ils étaient parvenus avec des acquéreurs privés, afin qu’elle exerce, le cas échéant, son droit de préemption en faveur de l’État. Le prix de vente avait été fixé à 4 000 000 000 pesetas (quatre milliards), soit 24 040 484,17 d’euros (EUR), à verser en espèces dans un délai de 30 jours à compter de la date où l’Administration aurait refusé d’exercer son droit, soit au plus tard après deux mois de silence administratif dès la notification de l’intention de vendre. Par conséquent, la date limite de paiement était le 15 mars 2000.
7. Par une décision du 18 janvier 2000, le ministre de l’Éducation et la Culture exerça le droit de préemption et acheta le tableau.
8. Le 26 janvier 2000, les requérants informèrent l’Administration que les conditions applicables à la vente étaient identiques à celles convenues avec les acquéreurs privés, à savoir le versement immédiat du prix lors de la remise du tableau ou, en cas de paiement différé, l’actualisation du montant conformément à l’index des prix à la consommation augmenté de l’intérêt légal.
9. La remise s’effectua le 17 février 2000. Les requérants réitérèrent leur demande par voie administrative à trois reprises (18 février, 4 avril et 3 mai 2000). Faute de réponse, ils interjetèrent un recours contentieux-administratif et réclamèrent le montant de la vente.
10. Alors que le recours se trouvait pendant, l’Administration s’acquitta du paiement en deux échéances, à savoir un premier versement de 2 500 000 000 pesetas (deux milliards et demi), soit 15 025 302,60 EUR le 30 janvier 2001 et un deuxième de 1 500 000 000 pesetas (un milliard et demi), soit 9 015 181,56 EUR le 11 juillet 2001.
11. Par un jugement du 11 octobre 2001, l’Audiencia Nacional rejeta les prétentions des requérants. Elle signala que l’article 38 § 2 de la loi sur le patrimoine historique national autorisait l’Administration à différer le paiement des biens à intérêt culturel acquis en exercice du droit de préemption sur deux périodes comptables. L’Audiencia estima notamment que :
« (…) l’Administration n’est pas obligée [en l’espèce] de payer des intérêts de retard dans la mesure où elle versa le montant [convenu] dans les délais prévus [à l’article 38 § 2] (…).Contrairement aux revendications des requérants, les éléments essentiels du contrat de vente initial, dont l’Administration fut informée conformément à la loi, ont été respectés. En effet, l’objet et le prix sont demeurés inchangés. L’Administration s’est limitée à exercer son droit de préemption, sans que (…) ni la clause d’actualisation du prix ni l’exigibilité des intérêts puissent être considérés comme implicites, même si le paiement figurant dans l’offre initiale avait été fixé en espèces (…). Cette faculté de l’État n’est pas contraire au droit de propriété. »
12. Les requérants se pourvurent en cassation. Par un arrêt du 21 novembre 2006, notifié le 2 janvier 2007, le Tribunal suprême rejeta leur pourvoi et confirma le jugement contesté. En particulier, le Tribunal constata que l’Administration avait effectué les paiements dans les délais légaux de deux périodes comptables, sans qu’aucun montant à titre d’intérêts ne puisse être réclamé. Par ailleurs, il rappela que le Tribunal constitutionnel avait rejeté plusieurs recours d’inconstitutionnalité contre la Loi 16/1985 du 25 juin sur le patrimoine historique national, au motif que le but principal du droit de préemption en faveur de l’Administration était uniquement celui de faciliter l’acquisition de ce type de biens. Finalement, le Tribunal suprême signala qu’un tel privilège était également prévu dans d’autres cas. Il mentionna à ce sujet la loi sur l’expropriation forcée du 16 décembre 1954, qui, bien avant la loi sur le patrimoine historique et dans le cadre de l’expropriation, vente publique, enchère ou liquidation de biens à valeur artistique, historique et archéologique, établit que l’État pouvait exercer son droit de préemption, payant le prix convenu au cours d’au maximum deux périodes comptables, sauf accord avec l’intéressé sur une autre forme de paiement.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
13. La disposition pertinente de la Constitution dispose comme suit :
Article 46
« Les pouvoirs publics garantiront la conservation et promouvront l’enrichissement du patrimoine historique, culturel et artistique des peuples d’Espagne et des biens qui l’intègrent, quel que soit leur régime juridique et leur titulaire (…) ».
14. La disposition pertinente de la Loi 16/1985 sur le patrimoine historique national, du 25 juin 1985 dispose comme suit :
Article 38
« 1. Toute personne voulant aliéner un bien déclaré d’intérêt culturel ou classé dans le Répertoire général de l’article 26 doit le notifier aux organismes [compétents] mentionnés à l’article 6 et déclarer le prix et conditions envisagées pour l’aliénation (…).
2. Au cours des deux mois suivant la notification mentionnée à l’alinéa précédent, l’Administration de l’État pourra utiliser le droit de préemption pour elle-même, pour une entité de bienfaisance ou pour toute autre entité de droit public, devant payer le prix convenu ou, le cas échéant, le prix d’adjudication, au cours d’au maximum deux périodes comptables, sauf accord avec l’intéressé sur une autre forme de paiement.
(…). »
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1 À LA CONVENTION
15. Les requérants estiment que les conditions de vente applicables à l’Administration auraient dû être les mêmes que celles convenues avec les acquéreurs privés en cas de paiement différé, à savoir la revalorisation du montant conformément à l’index des prix à la consommation augmenté de l’intérêt légal. Ils considèrent que le non-respect de cette exigence a provoqué une atteinte à leur droit de propriété tel que prévu par l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention, ainsi libellé :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les États de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
16. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
17. La Cour constate que la requête n’est pas manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’elle ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de la déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Thèses des parties
a) Le Gouvernement
18. Le Gouvernement signale d’emblée que la loi n’exige pas l’actualisation du montant à payer en cas de règlement différé. Elle prévoit seulement l’obligation d’effectuer le paiement dans un délai maximal de deux périodes comptables, sans aucune référence aux éventuelles clauses convenues avec les acquéreurs privés. De l’avis du Gouvernement, la clause relative à la revalorisation ne peut être considérée comme implicite dans tous les actes de vente. Ainsi, dans la mesure où en l’espèce l’Administration a respecté l’exigence légale, elle ne peut être considérée comme étant en retard dans l’accomplissement de son obligation.
19. En outre, le Gouvernement rappelle qu’en raison de sa fonction sociale, le droit de propriété n’est point absolu et peut faire l’objet de limitations légales ayant une conséquence économique. Il signale que celles-ci peuvent être d’autant plus rigoureuses s’agissant d’un bien d’intérêt culturel. En effet, ce type de biens possède un régime juridique spécial, établi par le législateur pour protéger l’intérêt général et sans but confiscatoire.
20. Le Gouvernement estime que les limitations, prévues dans l’article 38 de la Loi sur le patrimoine historique national, ne portent pas atteinte à l’essence du droit de propriété et rappelle à ce sujet la jurisprudence de la Cour relative à la marge d’appréciation dont bénéficient les États en la matière, en particulier les arrêts Chassagnou et autres c. France [GC], nos 25088/94, 28331/95 et 28443/95, CEDH 1999-III, Beyeler c. Italie [GC], no 33202/96, CEDH 2000-I et Aka c. Turquie, arrêt du 23 septembre 1998, Recueil des arrêts et décisions 1998-VI.
21. De son avis, la marge d’appréciation n’aurait pas été dépassée en l’espèce.
b) Les requérants
22. De leur côté, les requérants considèrent que l’interprétation de l’article 38 de la Loi sur le patrimoine historique national doit dépasser la littéralité du texte et s’encadrer dans la protection plus générale du droit de propriété. A cet égard, ils signalent que la façon dont l’État a exercé son droit de préemption en l’espèce excède la marge d’appréciation dont il dispose et a porté atteinte au juste équilibre devant exister entre la protection du droit de propriété et l’intérêt général. Pour les requérants, le droit de préemption permet à l’Administration d’acquérir le bien dans les mêmes conditions que celles convenues avec l’acquéreur privé et, par conséquent, ne lui accorde pas le droit de passer outre la clause d’actualisation du prix.
23. En l’espèce, l’Administration s’est acquittée du montant total en deux fois sans actualisation du prix conformément à l’index des prix à la consommation. Ils ont ainsi reçu une somme inférieure à celle dont ils auraient bénéficié si l’acquéreur avait été un particulier, leur provoquant un préjudice économique chiffrable à 1 386 378,65 EUR. Ils estiment n’avoir aucune obligation légale d’endurer ce préjudice, qui serait contraire à la loi. En effet, le droit de préemption dont bénéficie l’État ne doit comporter aucun préjudice pour les vendeurs. Le contraire impliquerait que le système légal permet les réquisitions ou confiscations.
24. Finalement, les requérants considèrent que leurs prétentions ne portent pas atteinte à la fonction sociale du droit de propriété et estiment que leur demande ne peut être considérée comme abusive.
2. Appréciation de la Cour
A. Sur l’applicabilité de l’article 1 du Protocole no 1
25. La Cour a pour première tâche de se prononcer sur la norme de l’article 1 du Protocole no 1 qu’il convient d’appliquer aux faits de l’espèce. En effet, la Cour rappelle que l’article 1 du Protocole no 1 contient trois normes distinctes : la première, qui s’exprime dans la première phrase du premier alinéa et revêt un caractère général, énonce le principe du respect de la propriété ; la deuxième, figurant dans la seconde phrase du même alinéa, vise la privation de propriété et la soumet à certaines conditions ; quant à la troisième, consignée dans le second alinéa, elle reconnaît aux États le pouvoir, entre autres, de réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général. Il ne s’agit pas pour autant de règles dépourvues de rapport entre elles. La deuxième et la troisième ont trait à des exemples particuliers d’atteintes au droit de propriété ; dès lors, elles doivent s’interpréter à la lumière du principe consacré par la première (voir, par exemple, Scordino c. Italie (no 1) [GC], no 36813/97, § 78, CEDH 2006-V, et Kozacıoğlu c. Turquie [GC], no 2334/03, § 48, CEDH 2009-…).
26. Pour ce qui est en particulier des ingérences relevant du second alinéa de l’article 1 du Protocole no 1, lequel prévoit spécialement le « droit que possèdent les États de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général (…) », il doit exister de surcroît un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé. A cet égard, les États disposent d’une grande marge d’appréciation tant pour choisir les modalités de mise en œuvre que pour juger si leurs conséquences se trouvent légitimées, dans l’intérêt général, par le souci d’atteindre l’objectif de la loi en cause (AGOSI c. Royaume-Uni, arrêt du 24 octobre 1986, § 52, série A no 108).
27. S’agissant des faits de l’espèce, la Cour note qu’à la différence de l’affaire Beyeler c. Italie [GC], no 33202/96, § 106, CEDH 2000-I, il n’est pas contesté que les requérants étaient les propriétaires légitimes du tableau.
28. La Cour constate en outre, que les dispositions légales qui ont été appliquées à la vente du tableau litigieux avaient pour vocation de réglementer, entre autres, le marché des biens faisant partie du patrimoine historique national en fixant les conditions de leur aliénation et en fixant notamment un droit de préemption en faveur de l’État sur ce type de biens.
29. Dans la mesure où les requérants ont décidé librement de mettre leur tableau en vente, ils n’ont pas fait l’objet d’une « privation de bien » au sens de la seconde phrase du premier alinéa de l’article 1, mais d’une mesure visant à « réglementer l’usage » du tableau au sens du second alinéa de cet article (voir J.A. Pye (Oxford) Ltd et J.A. Pye (Oxford) Land Ltd c. Royaume-Uni [GC], no 44302/02, § 66, CEDH 2007-X).
30. La Cour se placera donc sous l’angle de cette disposition pour examiner l’ingérence dans le droit de propriété des requérants.
B. Sur l’observation de l’article 1 du Protocole no 1
1. Sur l’existence d’une ingérence
31. Au vu des conclusions qui précèdent, la Cour considère que la mise en œuvre du droit de préemption a constitué une ingérence dans le droit des requérants au respect de leurs biens. Pour être compatible avec la norme générale énoncée à la première phrase de l’article 1, une telle ingérence doit ménager un « juste équilibre » entre les exigences de l’intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu (arrêt Beyeler c. Italie [GC], no 33202/96, § 107, CEDH 2000-I). En outre, la nécessité d’examiner la question du juste équilibre « ne peut se faire sentir que lorsqu’il est avéré que l’ingérence litigieuse a respecté le principe de la légalité et n’était pas arbitraire » (arrêt Iatridis c. Grèce [GC], no 31107/96, § 58 CEDH 1999-II).
2. « Dans les conditions prévues par la loi »
32. La Cour rappelle que la légalité constitue une condition primordiale de la compatibilité d’une mesure d’ingérence avec l’article 1 du Protocole no 1. En effet, « l’article 1 du Protocole no 1 exige, avant tout et surtout, qu’une ingérence de l’autorité publique dans la jouissance du droit au respect de biens soit légale » (arrêt Iatridis précité, § 58). La Cour jouit cependant d’une compétence limitée pour vérifier le respect du droit interne (arrêt Håkansson et Sturesson c. Suède du 21 février 1990, § 47, série A no 171-A), et rappelle à cet égard qu’il appartient au premier chef aux autorités nationales, et singulièrement aux cours et tribunaux, d’interpréter et appliquer le droit interne (voir Brualla Gómez de la Torre c. Espagne, arrêt du 19 décembre 1997, § 31, Recueil des arrêts et décisions, 1997-VIII,, et Glässner c. Allemagne (déc.), no 46362/99, CEDH 2001-VII,). En l’espèce, l’ingérence litigieuse était prévue par l’article 38 de la loi sur le patrimoine historique national. Par ailleurs, aucun élément du dossier ne permet à la Cour de conclure que les autorités espagnoles aient fait une application manifestement erronée, ou aboutissant à des conclusions arbitraires, de cette disposition légale (voir, mutatis mutandis, arrêt Tre Traktörer AB c. Suède du 7 juillet 1989, § 58, série A no 159).
33. En outre, rien dans le dossier n’indique que la disposition applicable n’était pas suffisamment accessible, précise et prévisible. En effet, l’article 38 § 2 ne fait aucune référence à une quelconque obligation de l’Administration d’actualiser le prix en cas de paiement différé (voir, mutatis mutandis, O.B. Heller, a.s. et Československá obchodní banka c. République tchèque, (déc.), no 55631/00 et 55728/00, 9 novembre 2004,).
3. Sur le but de l’ingérence
34. Toute ingérence dans la jouissance d’un droit ou d’une liberté reconnus par la Convention doit, comme cela découle de l’article 18 de la Convention, poursuivre un but légitime. Le principe du « juste équilibre » inhérent à l’article 1 du Protocole no 1 lui-même suppose l’existence d’un intérêt général de la communauté. De surcroît, il convient de rappeler que les différentes règles incorporées dans l’article 1 ne sont pas dépourvues de rapport entre elles et que la deuxième et la troisième ne sont que des cas particuliers (paragraphes 25-26 ci-dessus). Il en découle, notamment, que l’existence d’une « cause d’utilité publique » exigée en vertu de la deuxième phrase, ou encore « l’intérêt général » mentionné dans le deuxième alinéa, constituent en fait des corollaires du principe énoncé à la première phrase. En conséquence, une ingérence dans l’exercice du droit au respect des biens, au sens de la première phrase de l’article 1, doit également poursuivre un but d’utilité publique.
35. En l’espèce, la Cour ne met nullement en cause le droit de préemption sur les œuvres d’art en tant que tel. En effet, elle considère que le contrôle du marché des œuvres d’art présente un intérêt pour le patrimoine de l’État et constitue un but légitime dans le cadre de la protection du patrimoine culturel et artistique d’un pays (Buonomo Gärber et autres c. Italie (déc.), no 63783/00, du 20 mai 2003 et Beyeler c. Suisse susmentionné, § 117). Sa tâche consistera à examiner les modalités d’application de ce droit à l’espèce. Pareilles modalités entrent dans le cadre de la marge d’appréciation de l’État, sauf si elles aboutissent à des résultats si anormaux que la législation en devient inacceptable.
4. Sur l’existence d’un juste équilibre
36. Le souci d’assurer un « juste équilibre » entre les exigences de l’intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu se reflète dans la structure de l’article 1 tout entier et se traduit par la nécessité d’un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé (voir, entre autres, les arrêts Sporrong et Lönnroth précité, § 69, Pressos Compania Naviera S.A. et autres c. Belgique du 20 novembre 1995, § 38, série A no 332, et en dernier lieu Chassagnou et autres c. France [GC] précité, § 75, CEDH 1999-III).
37. Afin de déterminer si la mesure litigieuse respecte le juste équilibre voulu, la Cour doit notamment rechercher si elle ne fait pas peser sur les requérants une charge disproportionnée qui rompt le juste équilibre devant exister entre les intérêts en jeu.
38. La Cour note que les conditions convenues avec les acquéreurs privés prévoyaient qu’en cas de paiement différé, le montant de la vente, à savoir 24 040 484,17 EUR, devait être actualisé conformément à l’index des prix à la consommation augmenté de l’intérêt légal. En exerçant le droit de préemption légale, l’Etat a payé le prix du tableau sur une période s’étalant sur environ un an et demi. D’après les requérants, le non-paiement de l’actualisation du prix augmenté de l’intérêt légal aurait entrainé un préjudice s’élevant à 1 386 378,65 EUR.
39. La Cour rappelle d’emblée que les États jouissent d’une large marge d’appréciation lors qu’il s’agit, comme en l’espèce, de décider les mesures à mettre en œuvre pour réglementer l’usage d’un bien (voir paragraphes 28-29 ci-dessus), ainsi que pour juger si leurs conséquences se trouvent légitimées, dans l’intérêt général, par le souci d’atteindre l’objectif de la loi en cause (cf. notamment Chassagnou et autres précité, § 75 et Immobiliare Saffi c. Italie [GC], no 22774/93, § 49, CEDH 1999-V).
40. Cette marge est encore plus large lors qu’il s’agit d’un bien déclaré d’intérêt culturel ou classé patrimoine historique. Ainsi, la Cour considère que les propriétaires d’œuvres d’art qui ont un intérêt pour le patrimoine artistique de la nation doivent s’attendre à subir des restrictions à leur droit du fait de la protection de l’intérêt général et de la nature particulière de ces biens. Nonobstant, toute atteinte au droit au respect des biens doit ménager un « juste équilibre » entre les exigences de l’intérêt général de la collectivité et celles de la protection des droits fondamentaux de l’individu (J.A. Pye, précité, § 53).
41. En l’espèce, ces limitations se concrétisent par certaines conditions auxquelles sont soumises les aliénations, à savoir l’obligation de notifier à l’Administration l’intention de vendre le tableau afin qu’elle puisse exercer son droit de préemption. Une fois que l’Administration a manifesté son intérêt pour le bien, le déroulement de la transaction doit s’effectuer conformément à la réglementation applicable en la matière, le vendeur ne pouvant en fixer les conditions unilatéralement. De l’avis de la Cour, ces restrictions s’expliquent par le souci de l’Administration de centraliser, autant que faire se peut, la conservation et promotion des œuvres d’art afin de se conformer à l’obligation découlant de l’article 46 de la Constitution (voir paragraphe 13 ci-dessus) et d’en faciliter l’accès à l’ensemble de la population. Le tableau est à présent exposé dans la plus importante pinacothèque espagnole, à savoir le Musée du Prado à Madrid.
42. Nul doute à cet égard que l’acquisition par l’État des œuvres d’art de façon préférentielle facilite en grande mesure l’exposition publique et permet d’en faire bénéficier un plus large public. L’intérêt général de la collectivité se voit ainsi privilégié.
43. Ceci étant, il convient en tout état de cause d’évaluer si le dommage patrimonial allégué par les requérants a constitué une charge disproportionnée (voir notamment l’affaire J.A. Pye précitée, § 79 et Depalle c. France, [GC], no 34044/02, § 91, CEDH 2010-…).
44. Dans la présente affaire, la loi 16/1985 sur le patrimoine historique national, du 25 juin, prévoyait qu’en cas d’utilisation du droit de préemption, l’Administration devrait payer le prix convenu au cours d’au maximum deux périodes comptables, sauf accord avec l’intéressé sur une autre forme de paiement. La Cour constate à ce sujet que les requérants ont reçu la totalité du prix de vente du tableau, soit 24 040 484,17 EUR, le prix ayant été versé avant la fin du délai de deux périodes comptables prévu par la loi.
45. L’article 38 de cette loi ne contient pas de prévisions expresses quant à une éventuelle actualisation du prix en cas de paiement différé. Dès lors, les requérants ne pouvaient raisonnablement s’attendre à une actualisation du prix. En effet, l’article 38 § 2 de la loi ne laissait aucune marge d’appréciation à l’Administration, puisqu’il disposait exclusivement que cette dernière était tenue de verser au propriétaire du bien le prix convenu dans l’acte d’aliénation. De plus, les autorités ne sauraient passer pour avoir contribué à entretenir l’incertitude sur la possibilité d’appliquer d’une telle actualisation (a contrario, Beyeler précité § 119).
46. Eu égard à ce qui précède, la Cour conclut que les requérants n’ont pas supporté une charge disproportionnée et excessive, le juste équilibre requis par l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention n’ayant par conséquent pas été rompu en l’espèce. Dès lors, il n’y a pas eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable ;
2. Dit qu’il n’y a pas eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 28 juin 2011, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Greffier Président

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