SECONDA SEZIONE
CAUSA ROCCO DI MARIA C. ITALIA
(Richiesta no 32750/02)
SENTENZA
STRASBURGO
13 novembre 2008
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Rocco di Maria c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e di Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 14 ottobre 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 32750/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, Sig. R. d. M (“il richiedente”), ha investito la Corte il 24 novembre 1998 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da A. N. e T. V., avvocati a Benevento. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, Sigg. I.M. Braguglia e R. Adamo e Sig.ra E. Spatafora, e dai suoi coagenti, i Sigg. V. Esposito e F. Crisafulli, così come dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 24 maggio 2004, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel1946 e ha risieduto a Circello (Benevento).
A. Il procedimento principale
5. Il 24 giugno 1992, il richiedente investe il giudice di istanza di Benevento (RG no 3326/1992) facente funzione di giudice del lavoro, per ottenere la riconoscenza del suo diritto al versamento di una rendita in ragione di un incidente del lavoro.
6. Delle otto udienze fissate tra il 22 novembre 1993 ed il 10 aprile 1998, una fu rinviata su richiesta delle parti, una in ragione del fatto che il perito non aveva depositato il suo rapporto, tre d’ufficio e tre riguardavano l’effettuazione della perizia.
7. Il collocamento in deliberazione in camera del consiglio ebbe luogo il 17 aprile 1998. Con una decisione dello stesso giorno il cui il testo fu depositato alla cancelleria il 18 maggio 1998, il giudice respinse l’istanza del richiedente.
8. Il 18 novembre 1998, questo ultimo interpose appello dinnanzi al tribunale di Benevento, facente funzione di giudice del lavoro (RG no 170/1998). Delle cinque udienze fissate tra il 20 gennaio 1999 ed il 22 novembre 2000, una fu rinviata su richiesta del richiedente, una a causa di uno sciopero degli avvocati, una riguardava la perizia e due la presentazione delle arringhe. Con un giudizio del 22 novembre 2000 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 5 gennaio 2001, il tribunale respinse l’appello.
B. Il procedimento “Pinto”
9. Il 6 settembre 2001, il richiedente investì la corte di appello di Roma ai sensi della legge “Pinto” e chiese la constatazione di una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (durata eccessiva del procedimento) ed in particolare 12 394,96 euro (EUR) a titolo di danno morale.
10. Con una decisione del 10 dicembre 2001 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 19 dicembre 2001, la corte di appello constatò il superamento di una durata ragionevole. Accordò 1 807,60 EUR in equità come risarcimento del danno morale e 568,10 EUR per oneri e spese di cui 516,45 EUR per oneri e 51,65 EUR per spese. Notificata al ministero della Giustizia il 26 febbraio 2002, questa decisione acquisì l’autorità della cosa giudicata il 27 aprile 2002.
11. Le somme accordate in esecuzione della decisione “Pinto” furono pagate il 12 giugno 2003, in seguito ad un sequestro.
II. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNA PERTINENTI
12. Il diritto e la pratica interna pertinenti figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006 -…).
IN DIRITTO
I. SULLE VIOLAZIONI ADDOTTE DEGLI ARTICOLI 6 § 1 E 13 DELLA CONVENZIONE
13. Il richiedente si lamenta della durata del procedimento civile. Dopo avere tentato il procedimento “Pinto”, considera che l’importo accordato dalla corte di appello a titolo di danno morale non sia sufficiente per riparare il danno causato dalla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. Inoltre, afferma che il procedimento “Pinto” non sia un rimedio effettivo, come esige l’articolo 13 della Convenzione.
14. Il Governo si oppone a questa tesi.
15. Gli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione sono formulati così:
Articolo 6 § 1
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa venga sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
Articolo 13
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
A. Sull’ammissibilità
1. Non – esaurimento delle vie di ricorso interne
16. Il Governo eccepisce del non-esaurimento delle vie di ricorso interne per il fatto che il richiedente non è ricorso in cassazione e ha omesso di iniziare un procedimento di esecuzione.
17. La Corte ricorda che ha respinto delle eccezioni simili nella causa Delle Cave e Corrado c. Italia (no 14626/03, §§ 17-24, 5 giugno 2007,). Non vede nessuno motivo di deroga alle sue precedenti conclusioni e respinge dunque l’eccezione del Governo.
2. Requisito di “vittima”
18. Per sapere se un richiedente può definirsi “vittima” ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, c’è luogo di esaminare se le autorità nazionali hanno riconosciuto e poi riparato in modo adeguato e sufficiente la violazione controversa (vedere, tra altre, Delle Cave e Corrado c. Italia, precitata, §§ 25-31; Cocchiarella c. Italia, precitata, §§ 69-98).
19. Dopo avere esaminato l’insieme dei fatti della causa e gli argomenti delle parti, la Corte considera che la correzione si è rivelata insufficiente e che il pagamento della somma “Pinto” si è rivelato tardivo. Pertanto, il richiedente può sempre definirsi “vittima” ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
3. Conclusione
20. La Corte constata che questi motivi di appello non sono manifestamente mal fondati ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incontrano nessun altro motivo di inammissibilità.
B. Sul merito
21. La Corte ricorda di avere esaminato dei motivi di appello identici a quelli presentati dal richiedente e di avere concluso, da una parte, alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione ma, dall’altro parte, alla no-violazione dell’articolo 13 (vedere Delle Cave e Corrado c. Italia, precitata, §§ 35-39 e §§ 43-46).
22. In quanto alla durata del procedimento, la Corte stima che il periodo da considerare è cominciato il 24 giugno 1992, investendo ill giudice di istanza di Benevento, per concludersi il 5 gennaio 2001, data del deposito alla cancelleria del giudizio del tribunale di Benevento, deliberando in quanto giudice di appello. È durata dunque più di otto anni e sei mesi per due gradi di giurisdizione.
23. La Corte nota anche che la somma concessa dalla giurisdizione “Pinto” è stata versata solamente il 12 giugno 2003, o più di diciassette mesi dopo il deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello “Pinto”: questo pagamento ha superato dunque largamente i sei mesi a contare dal momento in cui la decisione di indennizzo diventa esecutiva. La Corte sarà portata a ritornare su questa questione sotto l’angolo dall’articolo 41 della Convenzione (vedere Cocchiarella c. Italia, precitata, § 120).
24. Dopo avere esaminato i fatti alla luce delle informazione fornite dalle parti e tenuto conto della sua giurisprudenza in materia la Corte stima, che nello specifico, la durata del procedimento controverso sia eccessiva e non soddisfi l’esigenza del “termine ragionevole.” Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1.
25. Invece, il richiedente ha disposto di un ricorso effettivo per esporre le violazioni della Convenzione che adduceva, Delle Cave e Corrado c. Italia, precitata). Di conseguenza, non c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
26. Il richiedente si lamenta anche della violazione degli articoli 14, 17 e 34 della Convenzione, al motivo che sarebbe stato vittima di una discriminazione fondata sulla ricchezza, tenuto conto degli oneri avanzati per intentare il procedimento “Pinto” così come del rischio di essere condannato a pagare gli oneri di procedimento in caso di rigetto del suo ricorso.
27. La Corte stima che c’è luogo di esaminare questi motivi di appello sotto l’angolo del diritto di accesso ad un tribunale allo sguardo dell’articolo 6 della Convenzione. Osserva che benché un individuo possa essere ammesso, secondo la legge italiana, a favore dell’assistenza giudiziale gratuita in materia civile, il richiedente non ha chiesto l’aiuto giudiziale. Rileva, inoltre, che ha potuto investire le giurisdizioni competenti ai termini della legge “Pinto” e che la corte di appello ha fatto diritto alla sua istanza, accordandogli una somma a titolo degli oneri di procedimento. Ora, non si potrebbe parlare di ostacoli all’accesso ad un tribunale quando una parte, rappresentata da un avvocato, investe liberamente la giurisdizione competente e presenta dinnanzi a lei i suoi argomenti. Pertanto, non potendo scoprire nessuna apparenza di violazione, la Corte respinge i motivi di appello che riguardano gli oneri di procedimento perché manifestamente mal fondati ai sensi dell’articolo 35 § § 3 e 4 della Convenzione (Nicoletti c. Italia, (déc.), no 31332/96, 10 aprile 1997).
28. Il richiedente denuncia inoltre la violazione degli articoli 14, 17 e 34 della Convenzione, al motivo che la somma accordata dalla corte di appello nel procedimento “Pinto” a titolo di spese (51,65 EUR) è inferiore a più della metà degli sborsi reali (163,20 EUR).
29. La Corte stima che questo motivo di appello porta in sostanza sull’effettività del ricorso “Pinto” e che deve essere analizzato sotto l’angolo dell’articolo 13 della Convenzione. Alla luce delle conclusioni esposte sopra al paragrafo 25, la Corte respinge questo motivo di appello.
30. Il richiedente si lamenta infine della mancanza di equità del procedimento “Pinto.” Le giurisdizioni “Pinto” non sarebbero imparziali al motivo che i giudici esercitano un controllo sulla condotta di altri colleghi e che la Corte dei conti è tenuta ad iniziare un procedimento per responsabilità contro questi ultimi, nel caso in cui la lunghezza di un procedimento interna fosse imputabile a loro.
31. Nello specifico, il timore di un difetto di imparzialità era legato al fatto che la corte di appello avrebbe potuto respingere il richiedente a nome di uno “spirito di corpo” che avrebbe portato i giudici “Pinto” a respingere sistematicamente le domande di soddisfazione equa per difendere la condotta di altri giudici. Ora, da una parte, la Corte constata che la corte di appello di Roma ha fatto diritto all’istanza del richiedente. Dall’altra parte, le affermazioni del richiedente sono vaghe e non supportate. La Corte respinge dunque questo motivo di appello perché globalmente manifestamente mal fondato, anche ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione (Padovani c. Italia, sentenza del 26 febbraio 1993, serie A no 257-B, §§ 25-28).
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
32. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
33. Il richiedente richiede a titolo di danno morale 12 394,97 EUR, meno 1 807,60 EUR accordati dalla corte di appello “Pinto.”
34. Il Governo si rimette alla saggezza della Corte.
35. La Corte stima che avrebbe potuto accordare al richiedente, in mancanza di vie di ricorso interne e tenuto conto del fatto che la causa riguardava una pensione di invalidità, così come dei ritardi imputabili al richiedente, la somma di 8 000 EUR. Il fatto che la corte di appello di Roma abbia concesso al richiedente il 22,6% di questa somma arriva ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che sia giunta però ad una constatazione di violazione, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (precitata, §§ 139-142 e 146) e deliberando in equità, assegna al richiedente 1 792 EUR così come 1 100 EUR a titolo della frustrazione supplementare derivante dal ritardo nel versamento dei 1 807,60 EUR, intervenuto solamente il 12 giugno 2003, o più di diciassette mesi dopo il deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello.
B. Oneri e spese
36. Il richiedente chiede il rimborso di 163,20 EUR per oneri e spese relative al procedimento “Pinto” e lascia alla Corte la cura di fissare quelli incorsi dinnanzi a lei.
37. Il Governo si rimette alla saggezza della Corte.
38. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, il sussidio di oneri e spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che vengano stabiliti la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Inoltre, gli oneri di giustizia sono recuperabili solamente nella misura in cui si riferiscono alla violazione constatata (vedere, per esempio, Beyeler c. Italia (soddisfazione equa) [GC], no 33202/96, § 27, 28 maggio 2002; Sahin c. Germania [GC], no 30943/96, § 105, CEDH 2003-VIII).
39. In quanto a oneri e spese dinnanzi alla corte di appello di Roma, la Corte stima ragionevole la somma assegnata dall’istanza interna, tenuto conto della durata e della complessità del procedimento “Pinto”. Respinge dunque la domanda. In quanto a oneri e spese incorsi dinnanzi a lei, la Corte constata a questo riguardo la mancanza di giustificativi e decide, pertanto, di non accordare niente.
C. Interessi moratori
40. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello derivati dalla durata eccessiva del procedimento e dall’effettività del rimedio “Pinto” ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 2 892 EUR (duemila otto cento novantadue euro) per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su suddetta somma;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 13 novembre 2008, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice di sezione Presidentessa