A.N.P.T.ES. Associazione Nazionale per la Tutela degli Espropriati. Oltre 5.000 espropri trattati in 15 anni di attività.
Qui trovi tutto cio che ti serve in tema di espropriazione per pubblica utilità.

Se desideri chiarimenti in tema di espropriazione compila il modulo cliccando qui e poi chiamaci ai seguenti numeri: 06.91.65.04.018 - 340.95.85.515

Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE RIOLO c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 29, 10
Numero: 42211/07/2008
Stato: Italia
Data: 2008-07-17 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Violazione dell’art. 10; danno materiale – risarcimento; Danno morale – constatazione di violazione sufficiente
SECONDA SEZIONE
CAUSA RIOLO C. ITALIA
( Richiesta no 42211/07)
SENTENZA
STRASBURGO
17 luglio 2008
DEFINITIVO
17/10/2008
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Riolo c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Antonella Mularoni, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 24 giugno 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 42211/07) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. C. R. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 14 settembre 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è stato rappresentato dinnanzi alla Corte da A. B. ed il Sig. V., avvocati a Genova. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, il Sig. R. Adamo, e dal suo co-agente, il Sig. F. Crisafulli.
3. Il richiedente adduceva che la sua condanna per diffamazione aveva violato il suo diritto alla libertà di espressione.
4. Il 20 novembre 2007, la presidentessa della seconda sezione della Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
5. Il richiedente è nato nel 1951; il suo luogo di residenza non è conosciuto.
A. La “strage di Capaci” ed i perseguimenti contro i presunti autori del crimine
6. Il 23 maggio 1992, una bomba esplose a Capaci, in Sicilia. La deflagrazione uccise un magistrato impegnato nella lotta contro la mafia, il Sig. Giovanni Falcone, la sua compagna e la sua scorta. Alcuni perseguimenti furono iniziati contro gli autori presunti di questa strage. Tra gli imputati raffigurava il Sig. S. S., sospettato di avere procurato agli assassini una parte del telecomando utilizzato per fare esplodere la bomba.
7. La prima udienza preliminare di questo processo ebbe luogo il 19 settembre 1994. Il Sig. S. era rappresentato da F. M, avvocato al foro di Palermo e presidente della provincia di Palermo. Intervistato da un giornalista del quotidiano La Repubblica, M dichiarò che la provincia di Palermo non si era ancora dedicata alla questione di sapere se si sarebbe costituita parte civile nel procedimento penale condotto contro i presunti assassini del Sig. Falcone. M affermò anche di essersi recato all’udienza preliminare per rinunciare al mandato conferito dal suo cliente perché, essendo il presidente della provincia, delle ragioni di opportunità gli suggerivano di astenersi.
8. Dieci giorni più tardi, il 28 settembre 1994, si tenne una nuova udienza preliminare. M che non aveva rinunciato al suo mandato, sostenne a favore del Sig. S.. Di fronte alle critiche di certi politici e dell’avvocato della famiglia Falcone, M dichiarò di non avere “niente da dire.” Una polemica esplose nei giornali locali e nazionali.
9. Nel febbraio 1995, la provincia di Palermo decise di costituirsi parte civile nel processo in questione.
B. L’articolo del richiedente
10. Il richiedente, ricercatore in scienze politiche all’università di Palermo, pubblicò nel giornale Narcomafie del novembre 1994 un articolo intitolato “Mafia e diritto. Palermo: la provincia contro lei stessa nel processo Falcone. Lo strano caso di M ed M. H..”
11. L’articolo in questione si legge come segue:
“Mentre il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, passeggia nel mondo minimizzando la gravità e la forza del fenomeno mafioso, il suo emulo locale maldestro (un suo goffo emulo local), il presidente della provincia di Palermo, lo supera per intelligenza e fantasia. Si tratta del Sig. M., vecchio socialista che si è rivolto verso Forza Italia, eletto nel giugno con il sessanta per cento delle voci alla presidenza dell’amministrazione locale.
Il Sig. M. è riuscito a dividersi in due, come il celebre personaggio di Stevenson, per non rinunciare alla difesa del costruttore S. S., imputato nel processo per la strage di Capaci. Di fronte alle pressioni dell’opposizione che mira ad ottenere che la provincia si costituisca parte civile, come hanno fatto già i municipi di Palermo e Capaci, la regione Sicilia ed il governo nazionale, nel processo contro i presunti responsabili dell’assassinio del giudice Falcone, della sua compagna Francesca Morvillo e di tre agenti della scorta, il Sig. M. ha di provato prima a prendere del tempo, poi ad incaricare l’impresa provinciale per il turismo di stabilire gli eventuali danni che le stragi mafiose hanno recato ai flussi turistici (incredibile, ma vero) e, infine, si è rassegnato alla costituzione di parte civile dell’amministrazione locale che sarà rappresentata però nelle sale di giustizia dal suo vicepresidente. Con ciò, il M.-presidente, fu rappresentato dal suo sostituto, si sdoppierà quotidianamente in M.-avvocato che continuerà a difendere il costruttore S., e tutti i due parteciperanno al processo per la strage di Capaci, ma su due lati opposti.
Di fronte ad una situazione anche grottesca ci si chiede spontaneamente perché non è stata presa in considerazione la soluzione più semplice e aspettata: cioè la rinuncia del Sig.e M. alla difesa del suo cliente. L’interessato si giustifica invocando il principio di garanzia del diritto alla difesa e denunciando il tentativo di convertire la professione di penalista in azione penale. Una risposta da vittima che fatto ingarbugliare solamente i termini della questione, dato che qui non si discute né di principi costituzionali incontestabili né della facoltà di un avvocato di scegliere liberamente i suoi propri clienti, ma solamente dell’opportunità, ed allo stesso tempo della legittimità di una scelta che, in principio, subordina gli interessi privati di un individuo che esercita una libera professione al ruolo di protezione dell’interesse collettivo, inerente al mandato di rappresentante delle istituzioni pubbliche.
Ma nel caso specifico, poiché la costituzione di parte civile dell’amministrazione locale in un processo di mafia ha un valore soprattutto simbolico, perché si analizza in un segnale culturale e politico che annulla una lunga pratica di inerzia e di connivenze, il rischio più grave è che la scelta di M. sia letta come un segnale che va nel senso opposto. E, come si sa, il potere mafioso è molto attento ai segnali che provengono dal cuore delle istituzioni.
Dunque, la conseguenza più probabile che si può derivare-fino a prova contraria-di questa storia è che il rappresentante di Forza Italia non abbia voluto, o non abbia potuto, segnare una presa di distanza chiara rispetto agli imputati nel processo ed o in qualche modo costringe a subire l’influenza di questa mescolanza di interessi economici e politici ai quali è dovuta, almeno in parte, la sua elezione alla presidenza della provincia con un’inattesa raccolta di voce. Con ciò non si intende naturalmente né affermare che ci sia stata una forma di negoziato preliminare di voti non liberi (voti inquinati) né, ancora meno, ridurre esclusivamente il successo di Forza Italia in Sicilia allo spostamento dei voti controllati dalla mafia della vecchia coalizione a cinque partiti (pentapartito) verso il nuovo polo di centro destra. Tuttavia, non è possibile negare che tale spostamento si sia effettivamente verificato.
Del resto, nella storia di quella che si chiama la “prima repubblica”, non è nuovo che la mafia si adatti all’evoluzione degli equilibri politici, cioè quel fenomeno che si verificava già tra gli anni quaranta e cinquanta, quando i gruppi mafiosi (cosche) passavano, con ondate successive, dal separatismo e dalla destra liberale (liberale-qualunquista) alla democrazia cristiana. Questo fenomeno, poi che si è verificato di nuovo, come lo dimostrano oramai le dichiarazioni dei pentiti prodotte agli atti del processo per l’omicidio di S. L., quando in 1987 Cosa Nostra hanno voluto lanciare una messaggio politico alla democrazia cristiana stessa grazie all’appoggio allo partito socialista di Claudio Martelli ed allo partito radicale, portatori di una politica imperniata sulle garanzie (di stampo “garantista”). Allo stesso modo oggi, nelle recenti consultazioni elettorali, il voto controllato dalle organizzazioni criminali sembra essere diretto-e questo è confermato dalle ultime testimonianze di certi i pentii dei clan di Catania – verso Forza Italia.
Quando questo ha luogo, anche per volontà di Cosa Nostra, è inevitabile che qualcuno rivendichi, presto o tardi, la restituzione dei favori di cui un individuo ha beneficiato. La sola cosa che si deve desiderare è che la risposta delle istituzioni e degli organismi politici sia forte e chiara, capace di chiudere senza equivoco le eventuali brecce lasciate aperte ad un attacco criminale, impegnata allo scopo di costruire un nuovo equilibrio di potere politico e mafioso che non avrebbe niente da invidiare a quello che si sostituisce. Non si può nascondere purtroppo, il fatto che i primi segnali che provengono dai nuovi governanti sono tutto tranne che rassicuranti. “
C. L’azione civile introdotta da M.
1. Il procedimento di prima istanza
12. Il 24 aprile 1995, M., adducendo di essere stato diffamato, introdusse un’azione civile per danni interessi contro il richiedente. Chiese la concessione della somma globale di 700 milioni di lire (circa 361 519 euro -EUR).
13. L’articolo del richiedente fu pubblicato una seconda volta nel giornale Narcomafie del maggio 1995 e nel quotidiano nazionale Il Manifesto del 3 maggio 1995. Fu firmato dal richiedente e da ventotto altre persone tra cui dei politici, dei rappresentanti di organizzazioni non governative, dei giuristi e dei giornalisti.
14. Con un giudizio del 19 marzo 2000 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 21 novembre 2000, il tribunale di Palermo condannò il richiedente a versare a M. 70 milioni lire (circa 36 151 EUR) per danni morali, più ogni somma dovuta a titolo di interessi legali a partire dal novembre 1994. Il richiedente fu condannato inoltre a pagare un compenso (somma a titolo di riparazione) di 10 milioni di lire (circa 5 164 EUR) ed a rimborsare gli oneri di giustizia della parte richiedente, che ammontavano a 6 390 000 lire (circa 3 300 EUR).
15. Il tribunale osservò innanzitutto che per stabilire se c’erano stati diffamazione o esercizio legittimo del diritto di critica giornalistica, bisognava prendere in considerazione l’articolo nel suo insieme, il suo scopo, il suo interesse pubblico ed il suo tenore. Esercitando il suo diritto di critica, un giornalista esponeva delle opinioni che non erano assolutamente obiettive, essendo fondate su un’interpretazione soggettiva dei fatti.
16. Nello specifico, però, il richiedente aveva superato i limiti del suo diritto, perché si era lanciato in un attacco personale contro M.. Un “lettore medio” derivava dall’articolo incriminato la convinzione che il richiedente era il garante di interessi mafiosi ed era condizionato da questi nella sua attività politica e professionale. Questa idea era stata rinforzata dalla nuova pubblicazione dell’articolo e da una questione parlamentare. Era vero che il richiedente aveva precisato che non intendeva “affermare che vi [era] stata una forma di negoziato preliminare di “voti non liberi”; non ne rimaneva meno che questa frase fosse solamente un tentativo di sottrarsi alle conseguenze derivanti dalle altre affermazioni diffamatorie. Quindi, il richiedente aveva leso la reputazione, l’immagine professionale e politica così come la vita privata di M..
2. L’appello
17. Il richiedente interpose appello. Addusse, tra l’altro, che il tribunale di Palermo non si era dedicato sulla questione di sapere se i fatti esposti nel suo articolo erano veri e non aveva tenuto debitamente conto dell’interesse pubblico del motivo affrontato che doveva prevalere sulla protezione della vita privata del richiedente nello specifico.
18. Con una sentenza del 29 novembre 2002 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 7 aprile 2003, la corte di appello di Palermo confermò il giudizio di prima istanza e condannò il richiedente a pagare gli oneri di giustizia della parte convenuta, che ammontavano a 3 700 EUR.
19. La corte di appello osservò che ai termini della giurisprudenza della Corte di cassazione, l’interesse pubblico alla diffusione delle informazione contenute in un articolo di stampa era solamente uno degli elementi da prendere in considerazione,dovendo il giudice dedicarsi anche allo scopo della pubblicazione e alle espressioni utilizzate dal suo autore. Era vero che le opinioni non suscitavano una dimostrazione di veracità e che i limiti del diritto di critica erano più ampi a riguardo delle persone che occupavano una posizione pubblica; non ne rimaneva meno, però, che gli attacchi personali che offendevano l’integrità giuridica altrui si analizzavano in una diffamazione.
20. Nello specifico, non suscitava discussione che il pubblico aveva interesse a conoscere i fatti esposti nell’articolo del richiedente e la loro valutazione storica e politica. Tuttavia, alcune delle espressioni utilizzate avevano superato i limiti di una critica legittima della situazione in cui si trovava M. nella cornice del procedimento penale concernente la strage di Capaci. Ne andava così per il titolo dell’articolo che menzionava la dicotomia esistente tra la “trasparenza” dell’avvocato M. e la “mostruosa, negativa personalità” del Sig. Hyde. L’espressione “emulo maldestro” (goffo emulo) offendeva la reputazione del richiedente quando era letta alla luce dell’accusa di minimizzare “la gravità e la forza del fenomeno mafioso.”
21. Inoltre, risultava dall’insieme dell’articolo che il richiedente mirava a mostrare M. come il responsabile del fatto che la provincia di Palermo aveva tardato a costituirsi parte civile. Il richiedente aveva espresso un giudizio in quanto alle ragioni del comportamento del richiedente, accusandolo di essere condizionato da interessi economici e politici ai quali la sua elezione era dovuta. Aveva presentato questa conclusione come un fatto certo, perché suscettibile di essere annullato solamente dalla “prova del contrario.” La pretesa connessione del richiedente con la mafia risultava anche dalla circostanza che sarebbe “inevitabile che qualcuno rivendichi, presto o tardi, la restituzione dei favori di cui un individuo ha beneficiato.” Queste gravi insinuazioni non si basavano su nessun elemento obiettivo.
22. In queste circostanze, il richiedente avrebbe dovuto sapere che le sue affermazioni potevano essere offensive.
23. Il richiedente aveva prodotto un giudizio reso contro M. in un procedimento penale distinto, dove i giudici, pure prosciogliendo l’imputato, avevano menzionato la possibilità che il partito al quale l’interessato apparteneva avesse beneficiato dei voti dei membri della mafia ed il fatto che l’interessato intratteneva delle relazioni personali con uno degli imputati del processo per la strage di Capaci. Però, la corte di appello osservò che questo giudizio era stato reso dopo la pubblicazione dell’articolo e non poteva essere preso in considerazione. Ad ogni modo, il suo contenuto non giustificava le insinuazioni del richiedente.
24. Infine, la circostanza che l’articolo, firmato tra altri dal richiedente stesso, era stato pubblicato di nuovo su un quotidiano a diffusione nazionale (Il Manifesto) aveva recato un danno ancora più importante alla parte lesa.
3. Il ricorso in cassazione del richiedente
25. Il richiedente ricorse in cassazione.
26. Con una sentenza del 30 gennaio 2007 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 19 marzo 2007, la Corte di cassazione, stimando che la corte di appello aveva motivato in modo logico e corretto tutti i punti controversi, respinse il richiedente del suo ricorso.
D. Le vicissitudini giudiziali di M.
27. Nel novembre 1995, M., imputato di avere appoggiato dall’esterno la mafia (concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso) fu arrestato. Fu liberato nel marzo 1996, e rinviato in giudizio dinnanzi al tribunale di Palermo. Con un giudizio reso nel 1998, questo ultimo rilasciò M.. Il richiedente sottolineò che questa decisione di giustizia conteneva le seguente affermazioni:
a) la villa del famiglia M. era frequentata, tra il 1993 e il 1994, dai membri della mafia ed utilizzata per nascondere delle armi;
b) la probabile semplice passività di M. di fronte alle compagnie mafiose di suo fratello non costituiva una violazione penale;
c) era verosimile che M. avesse beneficiato dei voti di persone “implicate in un contesto criminale”, ma non c’era nessuna prova che l’interessato avesse concluso un accordo coi membri della mafia;
d) era “deontologicamente riprovevole” (deontologicamente censurabile) a M. di avere incontrato uno dei suoi clienti quando questo era in fuga; in più, sembrava che intrattenesse delle relazioni di carattere privato col Sig. S.. Questo, però, non giustificava che si pronunciasse un verdetto di condanna.
28. Il richiedente sottolinea anche i seguenti passaggi del giudizio del tribunale di Palermo:
“(…) Si deve mettere in evidenza le discussioni che hanno avuto luogo tra il Sig. C., il Sig. B. ed il Sig. C. Antonio all’epoca delle polemiche giornalistiche apparse a proposito della costituzione di parte civile della provincia di Palermo nel procedimento in corso dinnanzi all’autorità giudiziale di Caltanissetta in seguito alla strage di Capaci che è accaduta nei pressi del mese di settembre 1994. In realtà, risulta dalle allusioni [fatte da] il Sig. C. ed il Sig. C. che il capo mafioso di Corleone seguiva suddetta polemica ed aveva commentato la decisione di M. di costituirsi in suddetto procedimento, precisando, di fronte alle critiche fatte dal Sig. C. in quanto alla mancanza consolidata di affidabilità di M. che questo ultimo non avrebbe potuto ammettere pubblicamente il suo rapporto di amicizia coi membri di un’associazione mafiosa. “
“Apparve che il rapporto tra M. e gli S., padre e figlio, era caratterizzato da una solidità assoluta, con una frequentazione ricorrente del tutto particolare e con contatti telefonici, ed anche con la loro frequentazione all’infuori dell’ambiente del processo, se è vero che le suddette dichiarazioni, congiuntamente alle dichiarazioni dell’imputato stesso ed alla documentazione fotografica [versata] agli atti, hanno dimostrato la partecipazione di M. al matrimonio di S. F. ed al battesimo del figlio di questo. “
“(…) Questa cornice di riferimento relativo all’appoggio elettorale sostanziale a tutta la formazione politica di Forza Italia da parte di differenti componenti di associazioni mafiose è confermata anche dalla testimonianza di L. S. che ha indicato precisamente che di fronte al sostegno di numerosi rappresentanti mafiosi in favore del Polo della Libertà, c’era un’evidente mancanza di cognizione da parte del Sig. M. F.. Questo non escluse che l’appoggio al Sig. M. avrebbe potuto provenire anche da una larga cricca di motivi sicuramente implicati in un contesto criminale che, dopo la scomparsa dei referenti politici collocati nei parti tradizionali del governo, decisero di dare tutta la loro attenzione a questo movimento politico di recente formazione. “
29. Questo giudizio, confermato in appello nel 1999, diventò definitivo nell’aprile 2001. Il fratello di M. (paragrafo 27 b) sopra) fu condannato ad una pesante pena privativa di libertà.
30. Nel giugno 2000, un procedimento fu aperto contro M. per “avere acquistato” dei voti. La conclusione di questo procedimento non è conosciuta.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 10 DELLA CONVENZIONE
31. Il richiedente si lamenta della sua condanna per diffamazione. Stima di avere subito un’ingerenza ingiustificata nel suo diritto a libertà di espressione, come garantito dall’articolo 10 della Convenzione.
Nelle sue parti pertinenti, questa disposizione è formulata così:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare delle informazioni o delle idee senza che vi possa essere un’ ingerenza di autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. (…).
2. L’esercizio di queste libertà che comprendono dei doveri e delle responsabilità può essere sottomesso a certe formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge che costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, (…) alla protezione della reputazione o dei diritti altrui o a garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziale. “
32. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
33. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul fondo
1. Argomenti delle parti
a) Il Governo
34. Il Governo nota al primo colpo che i fatti relativi alle vicissitudini giudiziali di M. non sono pertinenti per la soluzione della controversia e prega la Corte di cancellarli, tenuto conto anche che sarebbero suscettibili di nuocere alla reputazione di una persona estranea al procedimento dinnanzi a lei.
35. Il Governo stima che la natura, il contenuto e la portata ingiuriosa delle espressioni utilizzate dal richiedente risultano chiaramente dai giudizi resi dalle giurisdizioni interne. L’ingerenza nella libertà di espressione del richiedente, prevista dalla legge, inseguiva lo scopo legittimo della protezione dei diritti altrui, ossia, il diritto all’onore ed alla reputazione di M.. Questo ultimo è stato attaccato personalmente, ma anche in quanto presidente della provincia e difensore di un imputato. L’attacco toccava dunque anche la funzione dell’avvocato in quanto ausiliare della giustizia. La protezione della sua dignità proteggeva allo stesso tempo il prestigio della funzione giudiziale nel suo insieme.
36. L’articolo incriminato contiene delle affermazioni in cui è difficile distinguere la parte “relative ai fatti” dai giudizi di valore. La situazione obiettivamente delicata in cui si trovava M. era una semplice scusa od occasione per accusarlo di essere legato ad interessi mafiosi, o almeno di esserne l’ostaggio, di essere debitore della mafia per una parte dei voti che avevano portato alla sua elezione e di essere responsabile dell’esitazione della provincia a costituirsi parte civile.
37. In realtà, nel settembre 1994, o due mesi prima dell’uscita dell’articolo controverso, M. aveva rinunciato al suo mandato di difensore di tutti gli imputati, ivi compreso del Sig. S.. L’articolo partiva da elementi di fatto il cui autore non poteva dunque ignorare l’inesattezza. I giudizi di valore espresso dal richiedente, l’espressione “emulo maldestro”, il riferimento a “M. Hyde” di Stevenson, avevano per scopo solo screditare ed insultare la persona riguardata, senza nessun riferimento ai fatti specifici accertati e senza nessuna argomentazione in appoggio.
38. I problemi provocati dalla doppio funzione di M. erano già stati, dal settembre 1994, oggetto di numerose informazione date dalla stampa. Di conseguenza, il richiedente non potrebbe avvalersi del diritto di comunicare delle informazione, perché il pubblico disponeva già di tutte le informazioni necessarie a questo motivo. Non risulta, peraltro che gli altri commenti, anche polemici, concernenti M. abbiano portato a delle condanne, il che dimostra che, quando è esercitata nei limiti di una critica civile, la libertà della stampa riceve una protezione aumentata in Italia.
39. Era, certo, lecito al richiedente criticare il cumulo delle funzioni di M. o le sue posizioni politiche. Non avrebbe dovuto, però, fare gratuitamente uso di espressioni ingiuriose, tacere delle circostanze pertinenti ed accusare M. di proteggere gli interessi della mafia. Nello specifico, il richiedente non era un giornalista, ma un professore di politologia all’università. In quanto tale, avrebbe dovuto esprimere a maggior ragione le sue tesi con l’obiettività ed il distacco proprio di uno scienziato.
40. Il Governo fa valere anche che M. era, all’epoca dei fatti, il presidente della provincia di Palermo. Era un politico dunque; a questo titolo, si espose volontariamente alla critica, anche severa, dei suoi avversari e della stampa. Però, bisognerebbe tenere conto della circostanza che, a differenza di altre cause giudicate dalla Corte, l’articolo incriminato non è stato pubblicato in un periodo di dibattito politico elevato, come la campagna elettorale o la formazione di un nuovo governo.
41. Il Governo considera infine che il risarcimento concesso non fosse eccessivo. Ad ogni modo, questo aspetto non potrebbe essere decisivo. Difatti, nelle cause di diffamazione, o si considera che i limiti della libertà di espressione non sono stati superati, il che rende ogni sanzione ed ogni risarcimento contrario alla Convenzione, o si stima che è il diritto altrui alla dignità ed all’onore che coinvolge in quel caso il risarcimento non deve essere inferiore al danno realmente subito, come stabilito dal giudice del merito nell’esercizio del suo potere di valutazione.
b) Il richiedente
42. Il richiedente considera che è indispensabile citare i procedimenti giudiziali in cui il Sig. M. è stato implicato che riguardano dei fatti concomitanti alla pubblicazione dell’articolo controverso e dimostrano che questo ultimo conteneva delle opinioni fondate su una base dei fatti autentica. In particolare, il contenuto del giudizio del tribunale di Palermo del 1998 confermerebbe che i rischi menzionati dal richiedente erano reali, che avevano fatto riferimento ad una materia di interesse pubblico e che lo scopo dell’autore era di stimolare un dibattito per analizzare le modalità con cui delle organizzazioni mafiose, anche in modo unilaterale, provavano ad influenzare il mondo politico ed istituzionale. L’articolo riguardava dei fatti noti ed incontestabili, che riguardavano una personaggio politico. Del resto, i giudizi di valore che conteneva non suscitavano una dimostrazione di veracità.
43. Il richiedente contesta l’affermazione del Governo (paragrafo 37 sopra) secondo cui nel settembre 1994, M. aveva rinunciato al suo mandato di difensore di tutti gli imputati, ivi compreso del Sig. S.. Fa valere che M. era presente all’udienza preliminare del 28 settembre 1994, dove aveva difeso a favore del Sig. S.. Il 30 settembre, M. aveva dichiarato al Consiglio provinciale che rinunciava alla difesa di quattro imputati e che si manteneva unicamente quella dal Sig. S.. Questa scelta fu confermata in un’intervista alla stampa del 18 ottobre 1994. Il richiedente indica che poteva basarsi solamente sulle dichiarazioni pubbliche di M..
44. L’espressione “emulo locale maldestro” ed il riferimento ironico al romanzo di Stevenson si riferivano al comportamento indiscutibilmente indeciso di M. all’epoca della costituzione di parte civile della provincia di Palermo ed ai rischi che ne derivavano dal sottovalutare il fenomeno mafioso. Nessuno insulto gratuito o intenzione diffamatoria potrebbero essere imputate al richiedente.
45. Delle critiche bene più severe contro M., formulate da altri politici, non sono stati oggetto di nessuno procedimento giudiziale. Ne va parimenti per il ripubblicazione dell’articolo sul quotidiano Il Manifesto. Nel 2001, numerose associazioni hanno lanciato una campagna per la libertà di stampa nella campo della lotta contro la mafia, denunciando gli attacchi giudiziali condotti contro i giornalisti ed il clima di intimidazione che ne era derivato.
46. Il richiedente, ricercatore universitario e politologo, è stato contattato dalla redazione di Narcomafie per scrivere un articolo che commentasse la situazione di M.. Ha compiuto questo compito nella cornice delle sue competenze scientifiche e della sua libera attività professionale. Sulla base di considerazioni sociopolitiche, ha formulato le seguenti ipotesi che gli sono sembrate plausibili:
– che c’era un rischio serio ed accertato che la scelta di M. venisse percepita come un “segnale di segno contrario” rispetto all’azione dello stato nei processi di mafia e che questo segnale fosse destinato al potere mafioso, attento agli atti simbolici;
– che M. non si era distanziato nettamente dagli imputati del processo e che era, in qualche modo ed anche in modo non intenzionale, costretto a subire il condizionamento di una parte dell’elettorato;
– che, senza anche un accordo preliminare, all’epoca delle elezioni di 1994 dei voti controllati dalla mafia erano passati del vecchio sistema a cinque partiti al polo di destra, ed in particolare a Forza Italia.
47. Queste ipotesi sono state formulate sulla base di un’interpretazione, certo soggettiva, dei legami logici esistenti tra certi fatti accertati. Costituiscono un esercizio del diritto di critica nel campo politico. Questo diritto non potrebbe essere limitato ai periodi di campagna elettorale; ad ogni modo, l’articolo incriminato era stato ispirato da fatti gravi, come le stragi degli anni 1992-1993 e lo sconvolgimento della vita democratica che ne era derivato.
48. M. è un avvocato che ha scelto liberamente i suoi clienti, così come un politico. Non potrebbe essere paragonato ad un giudice. Quindi, i commenti del richiedente non erano di natura tale da offendere la funzione giudiziale nel suo insieme.
49. Il richiedente adduce infine che la sanzione che gli è stata imposta fosse eccessiva. Osserva a questo riguardo che il giudizio di prima istanza era esecutivo e che non possedeva la somma che è stato condannato a pagare. Quindi, dal 2001, M. ha ottenuto il sequestro di un quinto dello stipendio versato dall’università di Palermo. Questo non ha esposto solamente il richiedente a delle difficoltà finanziarie ma ha portato anche i suoi guai giudiziali a cognizione del suo datore di lavoro.
2. Valutazione della Corte
h) Sull’esistenza di un’ingerenza
50. Non suscita controversia tra le parti che la condanna del richiedente abbia costituito un’ingerenza nel diritto di questo ultimo alla libertà di espressione, come garantito dall’articolo 10 § 1 della Convenzione.
b) Sulla giustificazione dell’ingerenza: la previsione per legge ed il perseguimento di un scopo legittimo
51. Un’ingerenza è contraria alla Convenzione se non rispetta le esigenze contemplate al paragrafo 2 dell’articolo 10. C’è luogo dunque di determinare se fosse “prevista dalla legge”, se prevedesse uno o parecchi scopi legittimi enunciati in questo paragrafo e se fosse “necessaria in una società democratica” per raggiungere questo o quegli scopi (Pedersen e Baadsgaard c. Danimarca [GC], no 49017/99, § 67, CEDH 2004-XI).
52. Non è contestato che l’ingerenza fosse prevista dalla legge.
53. La Corte ammette che l’ingerenza prevedeva un scopo legittimo, ossia la protezione della reputazione o dei diritti altrui, nell’occorrenza di M. (vedere, mutatis mutandis, Perna c. Italia [GC], no 48898/99, § 42, CEDH 2003-V, e Nikula c. Finlandia, no 31611/96, § 38, CEDH 2002-II).
54. Resta da verificare se l’ingerenza fosse “necessaria in una società democratica.”
c) Sulla necessità dell’ingerenza in una società democratica
α. Principi generali
55. La stampa gioca un ruolo eminente in una società democratica: se non deve superare certi limiti, tenendo in particolare alla protezione della reputazione ed ai diritti altrui, gli spetta tuttavia di comunicare, nel rispetto dei suoi doveri e delle sue responsabilità, delle informazione e delle idee su tutte le questioni di interesse generale, ivi compreso quelle della giustizia (Di Haes e Gijsels c. Belgio, sentenza del 24 febbraio 1997, Raccolta delle sentenze e decisione 1997-I, § 37). Alla sua funzione che consiste nel diffondere informazioni si aggiunge il diritto, per il pubblico, di riceverne. Se ne andasse diversamente, la stampa non potrebbe sostenere il suo ruolo indispensabile di “cane da guardia” (Thorgeir Thorgeirson c. Islanda, sentenza del 25 giugno 1992, serie A no 239, § 63, e Bladet Tromsø e Stensaas c. Norvegia [GC], no 21980/93, § 62, CEDH 1999-III). Oltre la sostanza delle idee e delle informazione espresse, l’articolo 10 protegge il loro modo di espressione (Oberschlick c. Austria (no1), sentenza del 23 maggio 1991, serie A no 204, § 57). La libertà giornalistica comprende anche il ricorso possibile ad una certa dose di esagerazione, o addirittura di provocazione (Prager ed Oberschlick c. Austria, sentenza del 26 aprile 1995, serie A no 313, § 38; Thoma c. Lussemburgo, no 38432/97, §§ 45 e 46, CEDH 2001-III; Perna precitata, § 39).
56. In quanto ai limiti della critica ammissibili, sono più ampi a riguardo di un politico, agente nella sua qualità di personaggio pubblico che di un semplice individuo. Il politico si espone inevitabilmente e consapevolmente ad un controllo attento dei suoi fatti e gesti, tanto da parte dei giornalisti che dalla massa dei cittadini, e deve mostrare una più grande tolleranza, soprattutto quando si concede a dichiarazioni pubbliche che possono prestarsi a critica. Ha certo dritto a vedersi proteggere la sua reputazione, anche all’infuori della cornice della sua vita privata, ma gli imperativi di questa protezione devono essere messi sulla bilancia con gli interessi della libera discussione di questioni politiche, chiamando le eccezioni alla libertà di espressione una stretta interpretazione (Oberschlick c. Austria (no 2), sentenza del 1 luglio 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-IV, § 29).
57. L’aggettivo “necessario”, ai sensi dell’articolo 10 § 2, implica l’esistenza di un “bisogno sociale imperioso.” Gli Stati contraenti godono di un certo margine di valutazione per giudicare l’esistenza di tale bisogno, ma questo margine va di pari passo con un controllo europeo che ricade al tempo stesso sulla legge e sulle decisioni che applicano questa, anche quando provengono da una giurisdizione indipendente. La Corte ha competenza per deliberare sul punto di sapere da ultimo dunque se una “restrizione” si concilia con la libertà di espressione salvaguardata dall’articolo 10 (Janowski c. Polonia [GC], no 25716/94, § 30, CEDH 1999-I, ed Associazione Ekin c. Francia, no 39288/98, § 56, CEDH 2001-VIII).
58. Nell’esercizio del suo potere di controllo, la Corte non ha per compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne competenti, ma di verificare sotto l’angolo dell’articolo 10 le decisioni che hanno reso in virtù del loro potere di valutazione (Fressoz e Roire c. Francia [GC], no 29183/95, § 45, CEDH 1999-I). Non ne segue che debba limitarsi a ricercare se lo stato convenuto si è avvalso di questo potere di buona fede, con cura ed in modo ragionevole; le occorre considerare l’ingerenza controversa alla luce dell’insieme della causa, ivi compreso il tenore dei propositi rimproverati al richiedente ed il contesto in cui questo li ha tenuti (News Verlags GmbH & Co. Kg c. Austria, no 31457/96, § 52, CEDH 2000-I).
59. In particolare, incombe sulla Corte di determinare se i motivi invocati dalle autorità nazionali per giustificare l’ingerenza appaiono “pertinenti e sufficienti” e se la misura incriminata era “proporzionata agli scopi legittimi perseguiti” (Chauvy ed altri c. Francia, no 64915/01, § 70, CEDH 2004-VI). Ciò facendo, la Corte deve convincersi che le autorità nazionali hanno, basandosi su una valutazione accettabile dei fatti pertinenti, applicato delle regole conformi ai principi consacrati dall’articolo 10 (vedere, tra molte altre, Zana c. Turchia, sentenza del 25 novembre 1997, Raccolta 1997-VII, § 51; Di Diego Nafría c. Spagna, no 46833/99, § 34, 14 marzo 2002; Pedersen e Baadsgaard precitata, § 70).
60. Per valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata, c’è luogo di distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore. Se la fisicità dei fatti può essere dimostrata, i secondi non implicano una dimostrazione della loro esattezza (Oberschlick no 2, precitata, § 33). La qualifica di una dichiarazione di fatti o di un giudizio di valore dipende in primo luogo dal margine di valutazione delle autorità nazionali, in particolare delle giurisdizioni interne (Prager ed Oberschlick precitata, § 36). Tuttavia, anche quando una dichiarazione equivale ad un giudizio di valore, deve basarsi su una base di fatti sufficiente, poiché anche un giudizio di valore totalmente privo di base di fatti può rivelarsi eccessivo (Gerusalemme c. Austria, no 26958/95, § 43, CEDH 2001-II).
61. Non ne rimane meno che il diritto dei giornalisti di comunicare delle informazione su delle questioni di interesse generale è protetto purché agiscano di buona fede, sulla base di fatti esatti, e forniscano delle informazione “affidabili e precise” nel rispetto dell’etica giornalistica (vedere, per esempio, le sentenze precitate Fressoz e Roire, § 54, Bladet Tromsø e Stensaas, § 58, e Prager ed Oberschlick, § 37). Il paragrafo 2 dell’articolo 10 della Convenzione sottolinea che l’esercizio della libertà di espressione comprende dei “doveri e responsabilità” che valgono anche per i media trattandosi di questioni di un grande interesse generale. In più, questi doveri e responsabilità possono rivestire dell’importanza quando si rischia di recare offesa alla reputazione di una persona in particolare citata e di nuocere ai “diritti altrui.” Così, devono esistere dei motivi specifici per potere sollevare i media dall’obbligo che tocca loro d’abitudine di verificare delle dichiarazioni di fatto diffamatorie contro individui. A questo riguardo, entrano specialmente in gioco la natura ed il grado della diffamazione in causa e la questione di sapere a che punto il media può considerare ragionevolmente le sue sorgenti come credibili per ciò che riguarda delle affermazioni (vedere, tra altre, McVicar c. Regno Unito, no 46311/99, § 84, CEDH 2002-III, e Standard Verlagsgesellschaft MBH, (no 2, c,). Austria, no 37464/02, § 38, 22 febbraio 2007).
62. La natura e la pesantezza delle pene inflitte sono anche degli elementi da prendere in considerazione quando si tratta di misurare la proporzionalità dell’ingerenza (vedere, per esempio, Ceylon c. Turchia [GC], no 23556/94, § 37, CEDH 1999-IV, e Tammer c. Estonia, no 41205/98, § 69, CEDH 2001-I). Se gli Stati contraenti hanno la facoltà, addirittura il dovere, in virtù dei loro obblighi positivi a titolo dell’articolo 8 della Convenzione, di regolamentare l’esercizio della libertà di espressione in modo da garantire una protezione adeguata tramite la legge della reputazione degli individui, devono evitare ciò facendo di adottare delle misure proprie a dissuadere i media ad assolvere il loro ruolo di allarme del pubblico in caso di abusi apparenti o supposti del potere pubblico (Cumpănă e Mazăre c. Romania [GC], no 33348/96, § 113, CEDH 2004-XI).
β. Applicazione di questi principi al caso specifico
63. La Corte nota al primo colpo che il richiedente non esercita regolarmente la professione di giornalista, ma è un ricercatore di scienze politiche all’università di Palermo. Però, poiché l’interessato ha scritto un articolo destinato ad essere pubblicato nel giornale Narcomafie, e che, in più, è stato ripreso dal quotidiano nazionale Il Manifesto( paragrafo 13 sopra) i suoi propositi, come quelli di ogni altra persona che si trova in una situazione comparabile, devono essere assimilati a quelli di un giornalista e devono godere della stessa protezione sotto l’angolo dell’articolo 10 della Convenzione.
64. La Corte osserva per di più che l’articolo incriminato è stato ispirato dalla situazione in cui si trovava, all’epoca dei fatti, il presidente della provincia di Palermo, M.. Mentre si pone la questione di sapere se suddetta provincia si sarebbe costituita in un procedimento giudiziale riguardante l’assassinio di un magistrato, M. difendeva, in qualità d’ avvocato, uno degli imputati di questo procedimento. Non appartiene alla Corte di dedicarsi sull’esistenza di un’incompatibilità tra i ruoli giocati dall’interessato; non viene meno tuttavia che si trattasse, probabilmente, di una situazione che poteva dare adito a dubbi in quanto all’opportunità delle scelte operate da un alto rappresentante dell’amministrazione locale di fronte ad un processo concernente i fatti di una gravità estrema. Il Governo ammette peraltro che M. si trovava obiettivamente in una “situazione delicata” (paragrafo 36 sopra). L’articolo del richiedente si inseriva dunque in un dibattito di interesse pubblico, riguardante una questione di interesse generale.
65. Questo è confermato anche dalla circostanza che, dal settembre 1994, la doppia funzione di M. era stato oggetto di numerose informazione date dalla stampa. La Corte non potrebbe aderire però alla tesi del Governo secondo cui l’esistenza di queste informazione implicherebbe l’impossibilità, per il richiedente, di avvalersi del diritto di informare il pubblico (paragrafo 38 sopra). Agli occhi della Corte, l’esistenza di un ampio dibattito sulla questione abbordata dal richiedente non esclude che questo ultimo abbia potuto provare l’esigenza di esprimere e comunicare in materia il suo parere, per stimolare delle riflessioni più approfondite.
66. Conviene sottolineare che M. era un politico che occupava, all’epoca dei fatti, una posizione-chiave nell’amministrazione locale. Doveva aspettarsi dunque per questo che i suoi atti venissero sottoposti ad un esame scrupoloso da parte della stampa. In più, sapeva o avrebbe dovuto sapere che continuando a difendere uno degli imputati in un importante processo di mafia in cui l’amministrazione di cui era il presidente avrebbe potuto intervenire, si sarebbe esposto a critiche severe. Allo stesso tempo, questa circostanza non potrebbe privare M. del diritto alla presunzione di innocenza ed a non essere oggetto di accuse prive di ogni base di fatto.
67. La Corte ha esaminato l’articolo incriminato senza trovare espressioni che implicano apertamente che M. avesse commesso delle violazioni o che egli proteggesse gli interessi della mafia. È vero che il richiedente ha affermato che era “probabile che [ M.] non abbia voluto, o non abbia potuto, segnare una presa di distanza chiara rispetto agli imputati nel processo e è costretto in qualche modo a subire l’influenza di questa mescolanza di interessi economici e politici ai quali sono dovuti, almeno in parte, la sua elezione alla presidenza della provincia con un inattesa raccolta di voti” (paragrafo 11 sopra). Però, agli occhi della Corte, queste affermazioni non potrebbero essere lette nel senso che M. si sarebbe legato volontariamente agli ambienti mafiosi. Il richiedente ha espresso piuttosto la tesi che un eletto locale potrebbe essere influenzato, almeno in parte, con gli interessi di cui i suoi elettori sono portatori. Si tratta di un’opinione che non supera i limiti della libertà di espressione in una società democratica. A questo riguardo, la Corte nota che il richiedente ha preso la cura di precisare che non intendeva affermare che c’era stata “una forma di negoziato preliminare di voti non liberi” e che il controllo dei voti poteva essere deciso in modo unilaterale dalle organizzazioni criminali. Ciò facendo, ha precisato chiaramente ai lettori che, supponendo anche che M. abbia beneficiato di certi voti provenienti da ambienti mafiosi, questo non era necessariamente imputabile all’interessato.
68. È vero che certe delle espressioni utilizzate dal richiedente possono, a prima vista, sembrare mirate a suscitare una derisione contro M.. Ne va così per la locuzione “emulo locale maldestro” e per il paragone coi personaggi del romanzo di Stevenson “Lo strano caso del dottore Jekill e del Sig. Hyde.” Tuttavia, siccome la Corte ha appena ricordarlo (paragrafo 55 sopra) la libertà giornalistica può comprendere il ricorso possibile ad una certa dose di provocazione. Peraltro, nel presente caso, le espressioni ironiche utilizzate dal richiedente non sono arrivate a degli insulti e non sono state giudicate gratuitamente offensive; avevano difatti una connessione con la situazione che l’interessato commentava.
69. La Corte osserva anche che nessuno contesta la veracità delle principali informazione di fatto contenute nell’articolo incriminato. In quanto alla circostanza, menzionata dal Governo che nel settembre 1994 M. aveva rinunciato al suo mandato di difensore del Sig. S. (paragrafo 37 sopra) la Corte osserva che era contraddetta da due dichiarazioni pubbliche di M., datate rispettivamente 30 settembre e 18 ottobre 1994 (paragrafo 43 sopra). Quindi, all’epoca della pubblicazione del suo articolo (novembre 1994), il richiedente poteva credere ragionevolmente che l’interessato persisteva nel mantenere la sua “doppia funzione.”
70. In queste condizioni, la Corte stima che, pure contenente una certa dose di provocazione, l’articolo del richiedente non potrebbe analizzarsi in un attacco personale gratuito contro M. (vedere, mutatis mutandis, Kwiecień c. Polonia, no 51744/99, § 54, 9 gennaio 2007, ed Ormanni c. Italia, no 30278/04, § 73, 17 luglio 2007) e che le espressioni utilizzate dall’interessato presentavano un legame sufficientemente stretto coi fatti dello specifico (vedere, mutatis mutandis, Feldek c. Slovacchia, no 29032/95, § 86, CEDH 2001-VIII). Questo dispensa la Corte dall’ esaminare, come vorrebbe il richiedente (paragrafo 42 sopra) se le sue opinioni sono state confermate da vicissitudini giudiziali di M. in seguito (paragrafi 27-30 sopra) e se questa circostanza potrebbe essere pertinente sotto l’angolo dell’articolo 10 della Convenzione.
71. Le considerazioni che precedono bastano per condurre la Corte a concludere che l’ingerenza nella libertà di espressione del richiedente non è stata conforme alla Convenzione. Del resto, considera che anche l’importo dei danni morali e del compenso che il richiedente è stato condannato a pagare, al totale, circa 41 315 EUR, più ogni somma dovuta a titolo di interessi legali sull’importo di 36 151 EUR a partire dal novembre 1994-vedere sopra paragrafo 14, è di natura tale da alterare il giusto equilibrio richiesto in materia (vedere, mutatis mutandis, Steel e Morris c. Regno Unito, no 68416/01, §§ 96-97, CEDH 2005-II, ed Ormanni precitata, § 76). A questo si sono aggiunti gli oneri di giustizia della parte convenuta che, per il primo e il secondo grado di giurisdizione, sono stati valutati a circa 7 000 EUR (paragrafi 14 e 18 sopra). Tenuto conto della situazione finanziaria del richiedente (paragrafo 49 sopra) la condanna al pagamento di queste somme era suscettibile di dissuaderlo dal continuare ad informare il pubblico su dei motivi di interesse generale.
72. Alla luce di ciò che precede, i motivi avanzati a sostegno della condanna del richiedente non bastano per convincere la Corte che l’ingerenza nell’esercizio del diritto dell’interessato alla libertà di espressione fosse “necessaria in una società democratica”; in particolare, i mezzi adoperati erano sproporzionati rispetto allo scopo previsto, ossia “la protezione della reputazione o dei diritti altrui”.
73. Perciò, suddetta condanna ha infranto l’articolo 10 della Convenzione.
II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
74. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
75. Il richiedente richiede 20 000 EUR a titolo del danno morale che avrebbe subito. In quanto al danno materiale, ammonterebbe a 70 000 EUR di cui 29 658 EUR a titolo della somma già versata a M. e 40 342 EUR per il restante dei danno-interessi ancora da pagare.
76. Il Governo contesta il diritto del richiedente ad un risarcimento per danno materiale. A titolo accessorio, adduce che le somme ad prendere in conto per il calcolo di questo tipo di danno sono solamente quelle contenute nella sentenza di condanna del tribunale di Palermo. Queste somme sono poi aumentate a causa dell’atteggiamento del richiedente che non ha desiderato conformarsi a questa decisione di giustizia.
77. Per ciò che riguarda il danno morale, il Governo considera che la constatazione di violazione costituisce una soddisfazione equa sufficiente. Ad ogni modo, le somme richieste sotto questo capo sono esorbitanti.
78. Nelle circostanze dello specifico, la Corte stima che la constatazione di violazione costituisce in sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale sofferto dal richiedente.
79. Considera in compenso che c’è un legame di causalità tra la violazione constatata nella presente causa e le sanzioni, penalità ed oneri di giustizia della parte civile che il richiedente è stato condannato a pagare (vedere, mutatis mutandis, Tønsbergs Blad Asso and Haukom c. Norvegia, no 510/04, § 107, 1 marzo 2007, ed Ormanni precitata, § 83). In particolare, il tribunale di Palermo ha condannato il richiedente a versare a M. circa 36 151 EUR per danni morali, più ogni somma dovuta a titolo di interessi legali a partire dal novembre 1994, così come circa 5 164 EUR a titolo di compenso. Per il primo e secondo grado di giurisdizione, il richiedente è stato condannato a rimborsare gli oneri di giustizia della parte civile per un totale di 7 000 EUR. La Corte sottolinea a questo riguardo che non si potrebbe rimproverare al richiedente di non avere accettato il giudizio di prima istanza,dipendendo l’ammissibilità della sua richiesta dall’esaurimento delle vie di ricorso interne.
80. Alla luce di ciò che precede, la Corte concede al richiedente la somma totale di 60 000 EUR per danno materiale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta.
B. Oneri e spese
81. Basandosi su delle note di parcella dei suoi avvocati, il richiedente chiede anche 7 943,03 EUR per oneri e spese incorsi dinnanzi alle giurisdizioni interne e 13 172,65 EUR per quelli incorsi dinnanzi alla Corte.
82. Il Governo reitera la sua osservazione secondo la quale certe somme richieste dal richiedente dipendono dell’atteggiamento dell’interessato a livello interno (paragrafo 76 sopra). Tenuto conto della “semplicità e della brevità del procedimento”, gli oneri indicati per il procedimento dinnanzi alla Corte sarebbero manifestamente eccessivi.
83. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. La Corte rileva che il richiedente, prima di rivolgersi a lei, ha dovuto fare fronte ad un procedimento civile per diffamazione nella cornice del quale ha dovuto garantire la sua difesa attraverso tre gradi di giurisdizione, invocando degli argomenti similari a quelli che ha utilizzato per supportare il suo motivo di appello tratto dall’articolo 10 della Convenzione. La Corte ammette di conseguenza che l’interessato ha sostenuto delle spese per prevenire la violazione della Convenzione nell’ordine giuridico interno (vedere, mutatis mutandis, Rojas Giuridici c. Italia, no 39676/98, § 42, 16 novembre 2000; Sannino c. Italia, no 30961/03, § 75, 27 aprile 2006; Ormanni precitata, § 88) Tenuto conto degli elementi in suo possesso, così come della sua pratica in materia considera, come equo accordare al richiedente a questo titolo la somma forfetaria di 7 000 EUR.
84. La Corte giudica eccessivo l’importo sollecitato per gli oneri e le spese afferenti al procedimento dinnanzi a lei (13 172,65 EUR) e decide di concedere 5 000 EUR sotto questo capo.
85. Alla luce di ciò che precede, la Corte concede al richiedente la somma totale di 12 000 EUR per oneri e spese.
C. Interessi moratori
86. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 60 000 EUR (sessantamila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno materiale;
ii. 12 000 EUR (dodicimila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 17 luglio 2008, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusion Violation de l’art. 10 ; Dommage matériel – réparation ; Préjudice moral – constat de violation suffisant
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE RIOLO c. ITALIE
(Requête no 42211/07)
ARRÊT
STRASBOURG
17 juillet 2008
DÉFINITIF
17/10/2008
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Riolo c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Antonella Mularoni,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó, juges,
et de Sally Dollé, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 24 juin 2008,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 42211/07) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, M. C. R. (« le requérant »), a saisi la Cour le 14 septembre 2007 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des Libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant a été représenté devant la Cour par Mes A. B. et M. V., avocats à Gênes. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, M. R. Adam, et par son co-agent, M. F. Crisafulli.
3. Le requérant alléguait que sa condamnation pour diffamation avait violé son droit à la liberté d’expression.
4. Le 20 novembre 2007, la présidente de la deuxième section de la Cour a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Se prévalant des dispositions de l’article 29 § 3 de la Convention, elle a décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le bien-fondé de l’affaire.
EN FAIT
5. Le requérant est né en 1951 ; son lieu de résidence n’est pas connu.
A. La « tuerie de Capaci » et les poursuites contre les auteurs présumés du crime
6. Le 23 mai 1992, une bombe explosa à Capaci, en Sicile. La déflagration tua un magistrat engagé dans la lutte contre la mafia (M. Giovanni Falcone), sa compagne et son escorte. Des poursuites furent entamées contre les auteurs présumés de cette tuerie. Parmi les accusés figurait M. S. S., soupçonné d’avoir procuré aux assassins une partie de la télécommande utilisée pour faire éclater la bombe.
7. La première audience préliminaire de ce procès eut lieu le 19 septembre 1994. M. S. était représenté par Me F. M, avocat au barreau de Palerme et président de la province de Palerme. Interviewé par un journaliste du quotidien La Repubblica, Me M déclara que la province de Palerme ne s’était pas encore penchée sur la question de savoir si elle allait se constituer partie civile dans la procédure pénale menée à l’encontre des assassins présumés de M. Falcone. Me M affirma également s’être rendu à l’audience préliminaire pour renoncer au mandat conféré par son client car, étant le président de la province, des raisons d’opportunité lui suggéraient de s’abstenir.
8. Dix jours plus tard, le 28 septembre 1994, se tint une nouvelle audience préliminaire. Me M, qui n’avait pas renoncé à son mandat, plaida en faveur de M. S.. Face aux critiques de certains hommes politiques et de l’avocat de la famille Falcone, Me M déclara de n’avoir « rien à dire ». Une polémique éclata dans les journaux locaux et nationaux.
9. En février 1995, la province de Palerme décida de se constituer partie civile dans le procès en question.
B. L’article du requérant
10. Le requérant, chercheur en sciences politiques à l’université de Palerme, publia dans le journal Narcomafie de novembre 1994 un article intitulé « Mafia et droit. Palerme : la province contre elle-même dans le procès Falcone. L’étrange affaire de Me M et M. H. ».
11. L’article en question se lit comme suit :
« Alors que le Président du Conseil, Silvio Berlusconi, se promène dans le monde en minimisant la gravité et la force du phénomène mafieux, son émule local maladroit (un suo goffo emulo locale), le président de la province de Palerme, le dépasse en intelligence et fantaisie. Il s’agit de Me M., ancien socialiste qui s’est tourné vers Forza Italia, élu en juin avec soixante pour cent des voix à la présidence de l’administration locale.
Me M. a réussi à se partager en deux, à l’instar du célèbre personnage de Stevenson, afin de ne pas renoncer à la défense du constructeur S. S.a, accusé dans le procès pour la tuerie de Capaci. Face aux pressions de l’opposition visant à obtenir que la province se constitue partie civile (comme l’ont déjà fait les mairies de Palerme et Capaci, la région Sicile et le gouvernement national) dans le procès contre les responsables présumés de l’assassinat du juge Falcone, de sa compagne Francesca Morvillo et de trois agents de l’escorte, Me M. a d’abord essayé de prendre du temps, puis à chargé l’entreprise provinciale pour le tourisme d’établir les éventuels préjudices que les tueries mafieuses ont portés aux flux touristiques (incroyable, mais vrai) et, enfin, s’est résigné à la constitution de partie civile de l’administration locale, qui sera cependant représentée dans les salles de justice par son vice-président. Par cela, le M.-président, fût-il représenté par son substitut, se dédoublera quotidiennement en M.-avocat, qui continuera à défendre le constructeur S., et tous les deux participeront au procès pour la tuerie de Capaci, mais sur deux côtés opposés.
Face à une situation aussi grotesque on se demande spontanément pourquoi on n’a pas pris en considération la solution la plus simple et escomptée : c’est-à-dire la renonciation de Me M. à la défense de son client. L’intéressé se justifie en invoquant le principe de garantie du droit à la défense et en dénonçant la tentative de criminaliser la profession de pénaliste. Une réponse de victime qui ne fait qu’embrouiller les termes de la question, étant donné qu’ici on ne discute ni de principes constitutionnels incontestables ni de la faculté d’un avocat de choisir librement ses propres clients, mais seulement de l’opportunité, et en même temps de la légitimité d’un choix qui, en principe, subordonne les intérêts privés d’un individu exerçant une profession libérale au rôle de protection de l’intérêt collectif, inhérent au mandat de représentant des institutions publiques.
Mais dans le cas d’espèce, puisque la constitution de partie civile de l’administration locale dans un procès de mafia a une valeur surtout symbolique, car elle s’analyse en un signal culturel et politique qui casse une longue pratique d’inertie et de connivences, le risque le plus grave est que le choix de M. soit lu comme un signal allant dans le sens opposé. Et, comme on le sait, le pouvoir mafieux est très attentif aux signaux provenant du sein des institutions.
Donc, la conséquence la plus probable qu’on peut tirer – jusqu’à la preuve du contraire – de cette histoire est que le représentant de Forza Italia n’ait pas voulu, ou n’ait pas pu, marquer une prise de distance claire par rapport aux accusés dans le procès et soit d’une quelque manière contraint de subir l’influence de ce mélange d’intérêts économiques et politiques auquel est due, au moins en partie, son élection à la présidence de la province avec une inattendue récolte de voix. Naturellement par cela on n’entend ni affirmer qu’il y ait eu une forme de négociation préalable de votes non libres (voti inquinati) ni, encore moins, réduire le succès de Forza Italia en Sicile exclusivement au déplacement des votes contrôlées par la mafia de l’ancienne coalition à cinq partis (pentapartito) vers le nouveau pôle de centre droite. Toutefois, il n’est pas possible de nier qu’un tel déplacement s’est effectivement vérifié.
Du reste, dans l’histoire de celle qu’on appelle la « première république », il n’est pas nouveau que la mafia s’adapte à l’évolution des équilibres politiques, c’est-à-dire ce phénomène qui se vérifiait déjà entre les années quarante et cinquante, lorsque les groupes mafieux (cosche) passaient, par vagues successives, du séparatisme et de la droite libérale (liberal-qualunquista) à la démocratie chrétienne. Ce phénomène, ensuite, qui s’est à nouveau vérifié, comme désormais le démontrent les déclarations des repentis produites aux actes du procès pour l’homicide de Salvo Lima, lorsqu’en 1987 Cosa Nostra a voulu lancer un message politique à la démocratie chrétienne elle-même grâce à l’appui au parti socialiste de Claudio Martelli et au parti radical, porteurs d’une politique axée sur les garanties (di stampo « garantista »). De la même manière aujourd’hui, dans les récentes consultations électorales, le vote contrôlé par les organisations criminelles semble être dirigé – et ceci est confirmé par les derniers témoignages de certains repentis des clans de Catane – vers Forza Italia.
Lorsque ceci a lieu, même par la volonté de Cosa Nostra, il est inévitable que quelqu’un revendique, tôt ou tard, la restitution des faveurs dont un individu a bénéficié. La seule chose qu’on doit souhaiter est que la réponse des institutions et des organismes politiques soit forte et claire, capable de fermer sans équivoque les éventuelles brèches laissées ouvertes à une attaque criminelle, engagée dans le but de construire un nouvel équilibre de pouvoir politique et mafieux, qui n’aurait rien à envier à celui qu’on remplace. Malheureusement, on ne peut pas cacher le fait que les premiers signaux provenant des nouveaux gouvernants sont tout sauf rassurants. »
C. L’action civile introduite par Me M.
1. La procédure de première instance
12. Le 24 avril 1995, Me M., alléguant avoir été diffamé, introduisit une action civile en dommages intérêts à l’encontre du requérant. Il demanda l’octroi de la somme globale de 700 millions de lires (environ 361 519 euros – EUR).
13. L’article du requérant fut publié une deuxième fois dans le journal Narcomafie de mai 1995 et dans le quotidien national Il Manifesto du 3 mai 1995. Il fut signé par le requérant et par vingt-huit autres personnes, parmi lesquelles des hommes politiques, des représentants d’organisations non gouvernementales, des juristes et des journalistes.
14. Par un jugement du 19 mars 2000, dont le texte fut déposé au greffe le 21 novembre 2000, le tribunal de Palerme condamna le requérant à verser à Me M. 70 millions lires (environ 36 151 EUR) pour dommages moraux, plus toute somme due à titre d’intérêts légaux à partir de novembre 1994. Le requérant fut en outre condamné à payer une compensation (somma a titolo di riparazione) de 10 millions de lires (environ 5 164 EUR) et à rembourser les frais de justice de la partie demanderesse, s’élevant à 6 390 000 lires (environ 3 300 EUR).
15. Le tribunal observa tout d’abord qu’afin d’établir s’il y avait eu diffamation ou bien exercice légitime du droit de critique journalistique, il fallait prendre en considération l’article dans son ensemble, son but, son intérêt public et sa teneur. En exerçant son droit de critique, un journaliste exposait des opinions qui n’étaient pas rigoureusement objectives, étant fondées sur une interprétation subjective des faits.
16. En l’espèce, cependant, le requérant avait dépassé les limites de son droit, car il s’était lancé dans une attaque personnelle contre Me M.. Un « lecteur moyen » tirait de l’article incriminé la conviction que le demandeur était le garant d’intérêts mafieux et était conditionné par ceux-ci dans son activité politique et professionnelle. Cette idée avait été renforcée par la nouvelle publication de l’article et par une question parlementaire. Il était vrai que le requérant avait précisé qu’il n’entendait pas « affirmer qu’il y [avait] eu une forme de négociation préalable de voix non libres » ; il n’en demeurait pas moins que cette phrase n’était qu’une tentative de se soustraire aux conséquences découlant des autres affirmations diffamatoires. Dès lors, le requérant avait lésé la réputation, l’image professionnelle et politique ainsi que la vie privée de Me M..
2. L’appel
17. Le requérant interjeta appel. Il allégua, entre autres, que le tribunal de Palerme ne s’était pas penché sur la question de savoir si les faits exposés dans son article étaient vrais et n’avait pas dûment tenu compte de l’intérêt public du sujet abordé, qui en l’espèce devait primer sur la protection de la vie privée du demandeur.
18. Par un arrêt du 29 novembre 2002, dont le texte fut déposé au greffe le 7 avril 2003, la cour d’appel de Palerme confirma le jugement de première instance et condamna le requérant à payer les frais de justice de la partie défenderesse, s’élevant à 3 700 EUR.
19. La cour d’appel observa qu’aux termes de la jurisprudence de la Cour de cassation, l’intérêt public à la diffusion des informations contenues dans un article de presse n’était que l’un des éléments à prendre en considération, le juge devant se pencher également sur le but de la publication et sur les expressions utilisées par son auteur. Il était vrai que les opinions ne se prêtaient pas à une démonstration de véracité et que les limites du droit de critique étaient plus larges à l’égard des personnes occupant un poste public ; il n’en demeurait pas moins, cependant, que les attaques personnelles offensant l’intégrité morale d’autrui s’analysaient en une diffamation.
20. En l’espèce, il ne prêtait pas à discussion que le public avait intérêt à connaître les faits exposés dans l’article du requérant et leur évaluation historique et politique. Toutefois, certaines des expressions utilisées avaient dépassé les limites d’une critique légitime de la situation dans laquelle se trouvait Me M. dans le cadre de la procédure pénale concernant la tuerie de Capaci. Il en allait ainsi pour le titre de l’article, qui évoquait la dichotomie existant entre la « transparence » de l’avocat M. et la « monstrueuse, négative personnalité » de M. Hyde. L’expression « émule maladroit » (goffo emulo) offensait la réputation du demandeur lorsqu’elle était lue à la lumière de l’accusation de minimiser « la gravité et la force du phénomène mafieux ».
21. En outre, il ressortait de l’ensemble de l’article que le requérant visait à montrer Me M. comme étant le responsable du fait que la province de Palerme avait tardé à se constituer partie civile. Le requérant avait exprimé un jugement quant aux raisons du comportement du demandeur, l’accusant d’être conditionné par les intérêts économiques et politiques auxquels son élection était due. Il avait présenté cette conclusion comme étant un fait certain, car susceptible d’être infirmé seulement par la « preuve du contraire ». La prétendue connexion du demandeur avec la mafia résultait également de la circonstance qu’il serait « inévitable que quelqu’un revendique, tôt ou tard, la restitution des faveurs dont un individu a bénéficié ». Ces graves insinuations ne se fondaient sur aucun élément objectif.
22. Dans ces circonstances, le requérant aurait dû savoir que ses affirmations pouvaient être offensantes.
23. Le requérant avait produit un jugement rendu à l’encontre de Me M. dans une procédure pénale distincte, où les juges, tout en relaxant le prévenu, avaient mentionné la possibilité que le parti auquel l’intéressé appartenait eût bénéficié des votes des membres de la mafia et le fait que l’intéressé entretenait des relations personnelles avec l’un des accusés du procès pour la tuerie de Capaci. Cependant, la cour d’appel observa que ce jugement avait été rendu après la publication de l’article et ne pouvait être pris en considération. En tout état de cause, son contenu ne justifiait pas les insinuations du requérant.
24. Enfin, la circonstance que l’article, signé entre autres par le requérant lui-même, avait été à nouveau publié dans un quotidien à diffusion nationale (Il Manifesto) avait porté un préjudice encore plus important à la partie lésée.
3. Le pourvoi en cassation du requérant
25. Le requérant se pourvut en cassation.
26. Par un arrêt du 30 janvier 2007, dont le texte fut déposé au greffe le 19 mars 2007, la Cour de cassation, estimant que la cour d’appel avait motivé de façon logique et correcte tous les points controversés, débouta le requérant de son pourvoi.
D. Les vicissitudes judiciaires de Me M.
27. En novembre 1995, Me M., accusé d’avoir appuyé depuis l’extérieur la mafia (concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso), fut arrêté. Il fut libéré en mars 1996, et renvoyé en jugement devant le tribunal de Palerme. Par un jugement rendu en 1998, ce dernier relaxa Me M.. Le requérant souligne que cette décision de justice contient les affirmations suivantes :
a) la villa de la famille M. était fréquentée, entre 1993 et 1994, par des membres de la mafia et utilisée pour cacher des armes ;
b) la probable simple passivité de Me M. face aux fréquentations mafieuses de son frère ne constituait pas une infraction pénale ;
c) il était vraisemblable que Me M. eût bénéficié des votes de personnes « impliquées dans un contexte criminel », mais il n’y avait aucune preuve que l’intéressé avait conclu un accord avec des membres de la mafia ;
d) il était « déontologiquement reprochable » (deontologicamente censurabile) à Me M. d’avoir rencontré l’un de ses clients lorsque celui-ci était en fuite ; de plus, il apparaissait qu’il entretenait des relations de caractère privé avec M. S.. Ceci, cependant, ne justifiait pas le prononcé d’un verdict de condamnation.
28. Le requérant souligne également les passages suivants du jugement du tribunal de Palerme :
« (…) On doit mettre en évidence les discussions ayant eu lieu entre M. C.a, M. B. et M. C. A. lors des polémiques journalistiques apparues au sujet de la constitution de partie civile de la province de Palerme dans la procédure en cours devant l’autorité judiciaire de Caltanissetta à la suite de la tuerie de Capaci, qui s’est passée aux alentours du mois de septembre 1994. En réalité, il ressort des allusions [faites par] M. C. et M. C. que le chef mafieux de Corleone suivait ladite polémique et avait commenté la décision de Me M. de se constituer dans ladite procédure, précisant, face aux critiques faites (…) par M. C. quant au manque constant de fiabilité de Me M., que ce dernier n’aurait pas pu admettre publiquement son rapport d’amitié avec des membres d’une association mafieuse. »
« Il apparut que le rapport entre Me M. et les S., père et fils, était caractérisé par une solidité absolue, par une fréquentation récurrente tout-à-fait particulière et par des contacts téléphoniques, et aussi par leur fréquentation en dehors du milieu du procès, s’il est vrai que les déclarations susmentionnées, conjointement aux déclarations de l’accusé lui-même et à la documentation photographique [versée] aux actes, ont démontré la participation de Me M. au mariage de S. F. et au baptême du fils de celui-ci. »
« (…) Ce cadre de référence relatif à l’appui électoral substantiel à toute la formation politique de Forza Italia de la part de différentes composantes d’associations mafieuses est confirmé aussi par le témoignage de L. S. (…), qui a précisément indiqué que face à l’appui de nombreux représentants mafieux en faveur du Polo della Libertà, il y avait un évident manque de connaissance de la part de M. M. F.. Ceci n’exclue pas que l’appui à M. M. aurait pu venir aussi d’une large crique de sujets sûrement impliqués dans un contexte criminel (…), qui, après la disparation des référents politiques placés dans les partis traditionnels de gouvernement, décidèrent de donner toute leur attention à ce mouvement politique de formation récente. »
29. Ce jugement, confirmé en appel en 1999, devint définitif en avril 2001. Le frère de Me M. (paragraphe 27 b) ci-dessus) fut condamné à une lourde peine privative de liberté.
30. En juin 2000, une procédure fut ouverte à l’encontre de Me M. pour avoir « acheté » des votes. L’issue de cette procédure n’est pas connue.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 10 DE LA CONVENTION
31. Le requérant se plaint de sa condamnation pour diffamation. Il estime avoir subi une ingérence injustifiée dans son droit à liberté d’expression, tel que garanti par l’article 10 de la Convention.
Dans ses parties pertinentes, cette disposition est ainsi libellée :
« 1. Toute personne a droit à la liberté d’expression. Ce droit comprend la liberté d’opinion et la liberté de recevoir ou de communiquer des informations ou des idées sans qu’il puisse y avoir ingérence d’autorités publiques et sans considération de frontière. (…).
2. L’exercice de ces libertés comportant des devoirs et des responsabilités peut être soumis à certaines formalités, conditions, restrictions ou sanctions prévues par la loi, qui constituent des mesures nécessaires, dans une société démocratique, (…) à la protection de la réputation ou des droits d’autrui (…) ou pour garantir l’autorité et l’impartialité du pouvoir judiciaire. »
32. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
33. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
a) Le Gouvernement
34. Le Gouvernement note d’emblée que les faits relatifs aux vicissitudes judiciaires de Me M. ne sont point pertinents pour la solution du litige et prie la Cour de les effacer, compte tenu aussi qu’ils seraient susceptibles de nuire à la réputation d’une personne étrangère à la procédure devant elle.
35. Le Gouvernement estime que la nature, le contenu et la portée injurieuse des expressions utilisées par le requérant ressortent clairement des jugements rendus par les juridictions internes. L’ingérence dans la liberté d’expression du requérant, prévue par loi, poursuivait le but légitime de la protection des droits d’autrui, à savoir, le droit à l’honneur et à la réputation de Me M.. Ce dernier a été attaqué personnellement, mais aussi en tant que président de la province et défenseur d’un accusé. L’attaque touchait donc également la fonction de l’avocat en tant qu’auxiliaire de la justice. La protection de sa dignité protégeait en même temps le prestige de la fonction judiciaire dans son ensemble.
36. L’article incriminé contient des affirmations dans lesquelles il est difficile de démêler la partie « factuelle » des jugements de valeur. La situation objectivement délicate dans laquelle se trouvait Me M. était une simple excuse ou occasion pour l’accuser d’être lié à des intérêts mafieux, ou du moins d’en être l’otage, d’être débiteur de la mafia pour une partie des voix qui avaient amené à son élection et d’être responsable de l’hésitation de la province à se constituer partie civile.
37. En réalité, en septembre 1994, soit deux mois avant la parution de l’article litigieux, Me M. avait renoncé à son mandat de défenseur de tous les accusés, y compris de M. S.. L’article partait donc d’éléments factuels dont l’auteur ne pouvait ignorer l’inexactitude. Les jugements de valeur exprimés par le requérant (l’expression « émule maladroit », la référence au « M. Hyde » de Stevenson) n’avaient pour but que de discréditer et insulter la personne visée, sans aucune référence à des faits spécifiques avérés et sans aucune argumentation à l’appui.
38. Les problèmes occasionnés par la double fonction de Me M. avaient déjà fait, depuis septembre 1994, l’objet de nombreuses informations données par la presse. Par conséquent, le requérant ne saurait se prévaloir du droit de communiquer des informations, car le public disposait déjà de toutes les informations nécessaires à ce sujet. Il ne résulte pas, par ailleurs, que les autres commentaires, même polémiques, concernant Me M. aient débouché sur des condamnations, ce qui démontre que, lorsqu’elle est exercée dans les limites d’une critique civile, la liberté de la presse reçoit une protection accrue en Italie.
39. Il était, certes, loisible au requérant de critiquer le cumul des fonctions de Me M. ou ses positions politiques. Il n’aurait pas dû, cependant, faire usage d’expressions gratuitement injurieuses, taire des circonstances pertinentes et accuser Me M. de protéger les intérêts de la mafia. En l’espèce, le requérant n’était pas un journaliste, mais un professeur de politologie à l’université. En tant que tel, il aurait à plus forte raison dû exprimer ses thèses avec l’objectivité et le recul propres d’un scientifique.
40. Le Gouvernement fait également valoir que Me M. était, à l’époque des faits, le président de la province de Palerme. C’était donc un homme politique ; à ce titre, il s’exposait sciemment à la critique, même sévère, de ses adversaires et de la presse. Cependant, il faudrait tenir compte de la circonstance que, à la différence d’autres affaires jugées par la Cour, l’article incriminé n’a pas été publié dans une période de combat politique accru, tel que la campagne électorale ou la formation d’un nouveau gouvernement.
41. Le Gouvernement considère enfin que le dédommagement octroyé n’était pas excessif. En tout état de cause, cet aspect ne saurait être décisif. En effet, dans les affaires de diffamation, soit on considère que les limites de la liberté d’expression n’ont pas été dépassées, ce qui rend toute sanction et tout dédommagement contraire à la Convention, soit on estime que c’est le droit d’autrui à la dignité et à l’honneur qui l’importe, dans lequel cas le dédommagement ne doit pas être inférieur au préjudice réellement subi, tel que chiffré par le juge du fond dans l’exercice de son pouvoir d’appréciation.
b) Le requérant
42. Le requérant considère qu’il est indispensable de citer les procédures judiciaires dans lesquelles M. M. a été impliqué, qui concernent des faits concomitants à la publication de l’article litigieux et démontrent que ce dernier contenait des opinions fondées sur une base factuelle authentique. En particulier, le contenu du jugement du tribunal de Palerme de 1998 confirmerait que les risques évoqués par le requérant étaient réels, qu’ils avaient trait à une matière d’intérêt public et que le but de l’auteur était de stimuler un débat pour analyser les modalités par lesquelles des organisations mafieuses, même de manière unilatérale, essayaient d’influencer le monde politique et institutionnel. L’article concernait des faits notoires et incontestables, touchant un personnage politique. Au demeurant, les jugements de valeur qu’il contenait ne se prêtent pas à une démonstration de véracité.
43. Le requérant conteste l’affirmation du Gouvernement (paragraphe 37 ci-dessus), selon laquelle en septembre 1994, Me M. avait renoncé à son mandat de défenseur de tous les accusés, y compris de M. S.. Il fait valoir que Me M. était présent à l’audience préliminaire du 28 septembre 1994, où il avait plaidé en faveur de M. S.. Le 30 septembre, Me M. avait déclaré au Conseil provincial qu’il renonçait à la défense de quatre accusés et qu’il gardait uniquement celle de M. S.. Ce choix fut confirmé dans une interview à la presse du 18 octobre 1994. Le requérant indique qu’il ne pouvait que se baser sur les déclarations publiques de Me M..
44. L’expression « émule local maladroit » et la référence ironique au roman de Stevenson se référaient au comportement indiscutablement indécis de Me M. lors de la constitution de partie civile de la province de Palerme et aux risques qui en découlaient de sous-évaluer le phénomène mafieux. Aucune insulte gratuite ou intention diffamatoire ne sauraient être imputées au requérant.
45. Des critiques bien plus sévères à l’encontre de Me M., formulées par d’autres hommes politiques, n’ont fait l’objet d’aucune procédure judiciaire. Il en va de même pour la republication de l’article sur le quotidien Il Manifesto. En 2001, de nombreuses associations ont lancé une campagne pour la liberté de la presse dans le domaine de la lutte contre la mafia, dénonçant les attaques judiciaires menées à l’encontre des journalistes et le climat d’intimidation qui en a découlé.
46. Le requérant, chercheur universitaire et politologue, a été contacté par la rédaction de Narcomafie afin d’écrire un article commentant la situation de Me M.. Il a accompli cette tâche dans le cadre de ses compétences scientifiques et de sa libre activité professionnelle. Sur la base de considérations sociopolitiques, il a formulé les hypothèses suivantes, qui lui ont paru plausibles :
– qu’il y avait un risque sérieux et avéré que le choix de Me M. soit perçu comme un « signal de signe contraire » par rapport à l’action de l’Etat dans des procès de mafia et que ce signal soit destiné au pouvoir mafieux, attentif aux actes symboliques ;
– que Me M. ne s’était pas nettement distancé des accusés du procès et qu’il était, en quelque sorte et même de façon non intentionnelle, contraint de subir le conditionnement d’une partie de l’électorat ;
– que, sans même un accord préalable, lors des élections de 1994 des votes contrôlés par la mafia étaient passé de l’ancien système à cinq partis au pôle de droite, et en particulier à Forza Italia.
47. Ces hypothèses ont été formulées sur la base d’une interprétation, certes subjective, des liens logiques existants entre certains faits avérés. Elles constituent un exercice du droit de critique dans le domaine politique. Ce droit ne saurait être limité aux périodes de campagne électorale ; en tout état de cause, l’article incriminé avait été inspiré par de faits graves, tels que les tueries des années 1992-1993 et le bouleversement de la vie démocratique qui en a découlé.
48. Me M. est un avocat qui a librement choisi ses clients, ainsi qu’un homme politique. Il ne saurait être comparé à un juge. Dès lors, les commentaires du requérant n’étaient pas de nature à offenser la fonction judiciaire dans son ensemble.
49. Le requérant allègue enfin que la sanction qui lui a été imposée était excessive. Il observe à cet égard que le jugement de première instance était exécutoire et qu’il ne possédait pas la somme qu’il a été condamné à payer. Dès lors, depuis 2001, Me M. a obtenu la saisie d’un cinquième du salaire versé par l’université de Palerme. Ceci n’a pas seulement exposé le requérant à des difficultés financières mais a également porté ses démêlés judiciaires à la connaissance de son employeur.
2. Appréciation de la Cour
a) Sur l’existence d’une ingérence
50. Il ne prête pas à controverse entre les parties que la condamnation du requérant a constitué une ingérence dans le droit de ce dernier à la liberté d’expression, tel que garanti par l’article 10 § 1 de la Convention.
b) Sur la justification de l’ingérence : la prévision par la loi et la poursuite d’un but légitime
51. Une ingérence est contraire à la Convention si elle ne respecte pas les exigences prévues au paragraphe 2 de l’article 10. Il y a donc lieu de déterminer si elle était « prévue par la loi », si elle visait un ou plusieurs des buts légitimes énoncés dans ce paragraphe et si elle était « nécessaire dans une société démocratique » pour atteindre ce ou ces buts (Pedersen et Baadsgaard c. Danemark [GC], no 49017/99, § 67, CEDH 2004-XI).
52. Il n’est pas contesté que l’ingérence était prévue par la loi.
53. La Cour admet que l’ingérence visait un but légitime, à savoir la protection de la réputation ou des droits d’autrui, en l’occurrence de Me M. (voir, mutatis mutandis, Perna c. Italie [GC], no 48898/99, § 42, CEDH 2003-V, et Nikula c. Finlande, no 31611/96, § 38, CEDH 2002-II).
54. Il reste à vérifier si l’ingérence était « nécessaire dans une société démocratique ».
c) Sur la nécessité de l’ingérence dans une société démocratique
α. Principes généraux
55. La presse joue un rôle éminent dans une société démocratique : si elle ne doit pas franchir certaines limites, tenant notamment à la protection de la réputation et aux droits d’autrui, il lui incombe néanmoins de communiquer, dans le respect de ses devoirs et de ses responsabilités, des informations et des idées sur toutes les questions d’intérêt général, y compris celles de la justice (De Haes et Gijsels c. Belgique, arrêt du 24 février 1997, Recueil des arrêts et décision 1997-I, § 37). A sa fonction qui consiste à en diffuser s’ajoute le droit, pour le public, d’en recevoir. S’il en allait autrement, la presse ne pourrait jouer son rôle indispensable de « chien de garde » (Thorgeir Thorgeirson c. Islande, arrêt du 25 juin 1992, série A no 239, § 63, et Bladet Tromsø et Stensaas c. Norvège [GC], no 21980/93, § 62, CEDH 1999-III). Outre la substance des idées et informations exprimées, l’article 10 protège leur mode d’expression (Oberschlick c. Autriche (no1), arrêt du 23 mai 1991, série A no 204, § 57). La liberté journalistique comprend aussi le recours possible à une certaine dose d’exagération, voire même de provocation (Prager et Oberschlick c. Autriche, arrêt du 26 avril 1995, série A no 313, § 38 ; Thoma c. Luxembourg, no 38432/97, §§ 45 et 46, CEDH 2001-III ; Perna précité, § 39).
56. Quant aux limites de la critique admissible, elles sont plus larges à l’égard d’un homme politique, agissant en sa qualité de personnage public, que d’un simple particulier. L’homme politique s’expose inévitablement et consciemment à un contrôle attentif de ses faits et gestes, tant par les journalistes que par la masse des citoyens, et doit montrer une plus grande tolérance, surtout lorsqu’il se livre lui-même à des déclarations publiques pouvant prêter à critique. Il a certes droit à voir protéger sa réputation, même en dehors du cadre de sa vie privée, mais les impératifs de cette protection doivent être mis en balance avec les intérêts de la libre discussion des questions politiques, les exceptions à la liberté d’expression appelant une interprétation étroite (Oberschlick c. Autriche (no 2), arrêt du 1er juillet 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-IV, § 29).
57. L’adjectif « nécessaire », au sens de l’article 10 § 2, implique l’existence d’un « besoin social impérieux ». Les Etats contractants jouissent d’une certaine marge d’appréciation pour juger de l’existence d’un tel besoin, mais cette marge va de pair avec un contrôle européen portant à la fois sur la loi et sur les décisions appliquant celle-ci, même quand elles émanent d’une juridiction indépendante. La Cour a donc compétence pour statuer en dernier lieu sur le point de savoir si une « restriction » se concilie avec la liberté d’expression sauvegardée par l’article 10 (Janowski c. Pologne [GC], no 25716/94, § 30, CEDH 1999-I, et Association Ekin c. France, no 39288/98, § 56, CEDH 2001-VIII).
58. Dans l’exercice de son pouvoir de contrôle, la Cour n’a point pour tâche de se substituer aux juridictions internes compétentes, mais de vérifier sous l’angle de l’article 10 les décisions qu’elles ont rendues en vertu de leur pouvoir d’appréciation (Fressoz et Roire c. France [GC], no 29183/95, § 45, CEDH 1999-I). Il ne s’ensuit pas qu’elle doive se borner à rechercher si l’Etat défendeur a usé de ce pouvoir de bonne foi, avec soin et de façon raisonnable ; il lui faut considérer l’ingérence litigieuse à la lumière de l’ensemble de l’affaire, y compris la teneur des propos reprochés au requérant et le contexte dans lequel celui-ci les a tenus (News Verlags GmbH & Co. KG c. Autriche, no 31457/96, § 52, CEDH 2000-I).
59. En particulier, il incombe à la Cour de déterminer si les motifs invoqués par les autorités nationales pour justifier l’ingérence apparaissent « pertinents et suffisants » et si la mesure incriminée était « proportionnée aux buts légitimes poursuivis » (Chauvy et autres c. France, no 64915/01, § 70, CEDH 2004-VI). Ce faisant, la Cour doit se convaincre que les autorités nationales ont, en se fondant sur une appréciation acceptable des faits pertinents, appliqué des règles conformes aux principes consacrés par l’article 10 (voir, parmi beaucoup d’autres, Zana c. Turquie, arrêt du 25 novembre 1997, Recueil 1997-VII, § 51 ; De Diego Nafría c. Espagne, no 46833/99, § 34, 14 mars 2002 ; Pedersen et Baadsgaard précité, § 70).
60. Afin d’évaluer la justification d’une déclaration contestée, il y a lieu de distinguer entre déclarations factuelles et jugements de valeur. Si la matérialité des faits peut se prouver, les seconds ne se prêtent pas à une démonstration de leur exactitude (Oberschlick (no 2) précité, § 33). La qualification d’une déclaration en fait ou en jugement de valeur relève en premier lieu de la marge d’appréciation des autorités nationales, notamment des juridictions internes (Prager et Oberschlick précité, § 36). Toutefois, même lorsqu’une déclaration équivaut à un jugement de valeur, elle doit se fonder sur une base factuelle suffisante, puisque même un jugement de valeur totalement dépourvu de base factuelle peut se révéler excessif (Jerusalem c. Autriche, no 26958/95, § 43, CEDH 2001-II).
61. Il n’en demeure pas moins que le droit des journalistes de communiquer des informations sur des questions d’intérêt général est protégé à condition qu’ils agissent de bonne foi, sur la base de faits exacts, et fournissent des informations « fiables et précises » dans le respect de l’éthique journalistique (voir, par exemple, les arrêts précités Fressoz et Roire, § 54, Bladet Tromsø et Stensaas, § 58, et Prager et Oberschlick, § 37). Le paragraphe 2 de l’article 10 de la Convention souligne que l’exercice de la liberté d’expression comporte des « devoirs et responsabilités », qui valent aussi pour les médias même s’agissant de questions d’un grand intérêt général. De plus, ces devoirs et responsabilités peuvent revêtir de l’importance lorsque l’on risque de porter atteinte à la réputation d’une personne nommément citée et de nuire aux « droits d’autrui ». Ainsi, il doit exister des motifs spécifiques pour pouvoir relever les médias de l’obligation qui leur incombe d’habitude de vérifier des déclarations factuelles diffamatoires à l’encontre de particuliers. A cet égard, entrent spécialement en jeu la nature et le degré de la diffamation en cause et la question de savoir à quel point le média peut raisonnablement considérer ses sources comme crédibles pour ce qui est des allégations (voir, entres autres, McVicar c. Royaume-Uni, no 46311/99, § 84, CEDH 2002-III, et Standard Verlagsgesellschaft MBH (no 2) c. Autriche, no 37464/02, § 38, 22 février 2007).
62. La nature et la lourdeur des peines infligées sont aussi des éléments à prendre en considération lorsqu’il s’agit de mesurer la proportionnalité de l’ingérence (voir, par exemple, Ceylan c. Turquie [GC], no 23556/94, § 37, CEDH 1999-IV, et Tammer c. Estonie, no 41205/98, § 69, CEDH 2001-I). Si les Etats contractants ont la faculté, voire le devoir, en vertu de leurs obligations positives au titre de l’article 8 de la Convention, de réglementer l’exercice de la liberté d’expression de manière à assurer une protection adéquate par la loi de la réputation des individus, ils doivent éviter ce faisant d’adopter des mesures propres à dissuader les médias de remplir leur rôle d’alerte du public en cas d’abus apparents ou supposés de la puissance publique (Cumpănă et Mazăre c. Roumanie [GC], no 33348/96, § 113, CEDH 2004-XI).
β. Application de ces principes au cas d’espèce
63. La Cour note d’emblée que le requérant n’exerce pas régulièrement la profession de journaliste, mais est un chercheur en sciences politiques à l’université de Palerme. Cependant, puisque l’intéressé a écrit un article destiné à être publié dans le journal Narcomafie, et qui, de plus, a été repris par le quotidien national Il Manifesto (paragraphe 13 ci-dessus), ses propos, à l’instar de ceux de toute autre personne se trouvant dans une situation comparable, doivent être assimilés à ceux d’un journaliste et jouir de la même protection sous l’angle de l’article 10 de la Convention.
64. La Cour observe de surcroît que l’article incriminé a été inspiré par la situation dans laquelle se trouvait, à l’époque des faits, le président de la province de Palerme, Me M.. Alors qu’il se posait la question de savoir si ladite province allait se constituer dans une procédure judiciaire portant sur l’assassinat d’un magistrat, Me M. défendait, un tant qu’avocat, l’un des accusés dans cette procédure. Il n’appartient pas à la Cour de se pencher sur l’existence d’une incompatibilité entre les rôles joués par l’intéressé ; il n’en demeure pas moins qu’il s’agissait, sans doute, d’une situation qui pouvait donner lieu à des doutes quant à l’opportunité des choix opérés par un haut représentant de l’administration locale face à un procès concernant des faits d’une gravité extrême. Le Gouvernement admet par ailleurs que Me M. se trouvait dans une « situation objectivement délicate » (paragraphe 36 ci-dessus). L’article du requérant s’inscrivait donc dans un débat d’intérêt public, touchant à une question d’intérêt général.
65. Ceci est confirmé aussi par la circonstance que, depuis septembre 1994, la double fonction de Me M. avait fait l’objet de nombreuses informations données par la presse. La Cour ne saurait cependant souscrire à la thèse du Gouvernement selon laquelle l’existence de ces informations impliquerait l’impossibilité, pour le requérant, de se prévaloir du droit d’informer le public (paragraphe 38 ci-dessus). Aux yeux de la Cour, l’existence d’un ample débat sur la question abordée par le requérant n’exclut point que ce dernier ait pu ressentir l’exigence d’exprimer et communiquer son avis en la matière, afin de stimuler des réflexions plus approfondies.
66. Il convient de souligner que Me M. était un homme politique occupant, à l’époque des faits, un poste-clé dans l’administration locale. Il devait donc s’attendre à ce que ses actes soient soumis à un examen scrupuleux de la part de la presse. De plus, il savait ou aurait dû savoir qu’en continuant à défendre l’un des accusés dans un important procès de mafia dans lequel l’administration dont il était le président aurait pu intervenir, il s’exposait à des critiques sévères. En même temps, cette circonstance ne saurait priver Me M. du droit à la présomption d’innocence et à ne pas faire l’objet d’accusations dépourvues de toute base factuelle.
67. La Cour a examiné l’article incriminé sans y trouver d’expressions impliquant ouvertement que Me M. eût commis des infractions ou qu’il protégeât les intérêts de la mafia. Il est vrai que le requérant a affirmé qu’il était « probable (…) que [Me M.] n’ait pas voulu, ou n’ait pas pu, marquer une prise de distance claire par rapport aux accusés dans le procès et soit en quelque sorte contraint de subir l’influence de ce mélange d’intérêts économiques et politiques auquel est due, au moins en partie, son élection à la présidence de la province avec une inattendue récolte de voix » (paragraphe 11 ci-dessus). Cependant, aux yeux de la Cour, ces affirmations ne sauraient être lues dans le sens que Me M. se serait volontairement lié à des milieux mafieux. Le requérant a plutôt exprimé la thèse qu’un élu local pourrait être influencé, au moins en partie, par les intérêts dont ses électeurs sont porteurs. Il s’agit d’une opinion qui ne dépasse pas les limites de la liberté d’expression dans une société démocratique. A cet égard, la Cour note que le requérant a pris le soin de préciser qu’il n’entendait pas affirmer qu’il y avait eu « une forme de négociation préalable de votes non libres » et que le contrôle des votes pouvait être décidé de manière unilatérale par des organisations criminelles. Ce faisant, il a clairement précisé aux lecteurs que, à supposer même que Me M. ait bénéficié de certains votes provenant de milieux mafieux, ceci n’était pas nécessairement imputable à l’intéressé.
68. Il est vrai que certaines des expressions utilisées par le requérant peuvent, à première vue, paraître visées à susciter de la dérision à l’encontre de Me M.. Il en va ainsi pour la locution « émule local maladroit » et par la comparaison avec les personnages du roman de Stevenson « L’étrange cas du docteur Jekill et de M. Hyde ». Toutefois, comme la Cour vient de le rappeler (paragraphe 55 ci-dessus), la liberté journalistique peut comprendre le recours possible à une certaine dose de provocation. Par ailleurs, dans la présente espèce, les expressions ironiques utilisées par le requérant n’ont pas débouché sur des insultes et ne sauraient être jugées gratuitement offensantes ; elles avaient en effet une connexion avec la situation que l’intéressé commentait.
69. La Cour observe également que nul ne conteste la véracité des principales informations factuelles contenues dans l’article incriminé. Quant à la circonstance, évoquée par le Gouvernement, qu’en septembre 1994 Me M. avait renoncé à son mandat de défenseur de M. S. (paragraphe 37 ci-dessus), la Cour observe qu’elle était contredite par deux déclarations publiques de Me M., datant, respectivement, du 30 septembre et 18 octobre 1994 (paragraphe 43 ci-dessus). Dès lors, à l’époque de la publication de son article (novembre 1994), le requérant pouvait raisonnablement croire que l’intéressé persistait à garder sa « double fonction ».
70. Dans ces conditions, la Cour estime que, tout en contenant une certaine dose de provocation, l’article du requérant ne saurait s’analyser en une attaque personnelle gratuite à l’encontre de Me M. (voir, mutatis mutandis, Kwiecień c. Pologne, no 51744/99, § 54, 9 janvier 2007, et Ormanni c. Italie, no 30278/04, § 73, 17 juillet 2007), et que les expressions utilisées par l’intéressé présentaient un lien suffisamment étroit avec les faits de l’espèce (voir, mutatis mutandis, Feldek c. Slovaquie, no 29032/95, § 86, CEDH 2001-VIII). Ceci dispense la Cour d’examiner, comme le voudrait le requérant (paragraphe 42 ci-dessus), si ses opinions ont été par la suite confirmées par les vicissitudes judiciaires de Me M. (paragraphes 27-30 ci-dessus), et si cette circonstance pourrait être pertinente sous l’angle de l’article 10 de la Convention.
71. Les considérations qui précèdent suffisent pour conduire la Cour à conclure que l’ingérence dans la liberté d’expression du requérant n’a pas été conforme à la Convention. Au demeurant, elle considère que également le montant des dommages moraux et de la compensation que le requérant a été condamné à payer (au total, environ 41 315 EUR, plus toute somme due à titre d’intérêts légaux sur le montant de 36 151 EUR à partir de novembre 1994 – voir paragraphe 14 ci-dessus) est de nature à altérer le juste équilibre requis en la matière (voir, mutatis mutandis, Steel et Morris c. Royaume-Uni, no 68416/01, §§ 96-97, CEDH 2005-II, et Ormanni précité, § 76). A ceci se sont ajoutés les frais de justice de la partie défenderesse, qui, pour les premier et deuxième degrés de juridiction, ont été chiffrés à environ 7 000 EUR (paragraphes 14 et 18 ci-dessus). Compte tenu de la situation financière du requérant (paragraphe 49 ci-dessus), la condamnation au paiement de ces sommes était susceptible de le dissuader de continuer à informer le public sur des sujets d’intérêt général.
72. A la lumière de ce qui précède, les motifs avancés à l’appui de la condamnation du requérant ne suffisent pas pour convaincre la Cour que l’ingérence dans l’exercice du droit de l’intéressé à la liberté d’expression était « nécessaire dans une société démocratique » ; en particulier, les moyens employés étaient disproportionnés par rapport au but visé, à savoir « la protection de la réputation ou des droits d’autrui ».
73. En conséquence, ladite condamnation a enfreint l’article 10 de la Convention.
II. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
74. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
75. Le requérant réclame 20 000 EUR au titre du préjudice moral qu’il aurait subi. Quant au préjudice matériel, il s’élèverait à 70 000 EUR, dont 29 658 EUR au titre de la somme déjà versée à Me M. et 40 342 EUR pour le restant des dommages-intérêts encore à payer.
76. Le Gouvernement conteste le droit du requérant à une réparation pour dommage matériel. A titre subsidiaire, il allègue que les sommes à prendre en compte pour le calcul de ce type de préjudice sont seulement celles contenues dans l’arrêt de condamnation du tribunal de Palerme. Ces sommes ont ensuite augmenté à cause de l’attitude du requérant, qui n’a pas souhaité se conformer à cette décision de justice.
77. Pour ce qui est du dommage moral, le Gouvernement considère que le constat de violation constitue une satisfaction équitable suffisante. En tout état de cause, les sommes réclamées de ce chef sont exorbitantes.
78. Dans les circonstances de l’espèce, la Cour estime que le constat de violation constitue en soi une satisfaction équitable suffisante pour le préjudice moral souffert par le requérant.
79. Elle considère en revanche qu’il y a un lien de causalité entre la violation constatée en la présente affaire et les sanctions, pénalités et frais de justice de la partie civile que le requérant a été condamné à payer (voir, mutatis mutandis, Tønsbergs Blad AS and Haukom c. Norvège, no 510/04, § 107, 1er mars 2007, et Ormanni précité, § 83). En particulier, le tribunal de Palerme a condamné le requérant à verser à Me M. environ 36 151 EUR pour dommages moraux, plus toute somme due à titre d’intérêts légaux à partir de novembre 1994, ainsi qu’environ 5 164 EUR à titre de compensation. Pour les premier et deuxième degrés de juridiction, le requérant a été condamné à rembourser les frais de justice de la partie civile pour un total de 7 000 EUR. La Cour souligne à cet égard qu’on ne saurait reprocher au requérant de ne pas avoir accepté le jugement de première instance, la recevabilité de sa requête dépendant de l’épuisement des voies de recours internes.
80. A la lumière de ce qui précède, la Cour octroie au requérant la somme totale de 60 000 EUR pour préjudice matériel, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt.
B. Frais et dépens
81. Se fondant sur des notes d’honoraires de ses avocats, le requérant demande également 7 943,03 EUR pour les frais et dépens encourus devant les juridictions internes et 13 172,65 EUR pour ceux encourus devant la Cour.
82. Le Gouvernement réitère son observation selon laquelle certaines sommes réclamées par le requérant dépendent de l’attitude de l’intéressé au niveau interne (paragraphe 76 ci-dessus). Compte tenu de la « simplicité et de la brièveté de la procédure », les frais indiqués pour la procédure devant la Cour seraient manifestement excessifs.
83. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. La Cour relève que le requérant, avant de s’adresser à elle, a dû faire face à une procédure civile en diffamation dans le cadre de laquelle il a dû assurer sa défense à travers trois degrés de juridiction, invoquant des arguments similaires à ceux qu’il a utilisés pour étayer son grief tiré de l’article 10 de la Convention. La Cour admet par conséquent que l’intéressé a encouru des dépens pour prévenir la violation de la Convention dans l’ordre juridique interne (voir, mutatis mutandis, Rojas Morales c. Italie, no 39676/98, § 42, 16 novembre 2000 ; Sannino c. Italie, no 30961/03, § 75, 27 avril 2006 ; Ormanni précité, § 88). Compte tenu des éléments en sa possession, ainsi que de sa pratique en la matière, elle considère comme équitable d’accorder au requérant à ce titre la somme forfaitaire de 7 000 EUR.
84. La Cour juge excessif le montant sollicité pour les frais et dépens afférents à la procédure devant elle (13 172,65 EUR) et décide d’octroyer 5 000 EUR de ce chef.
85. A la lumière de ce qui précède, la Cour octroie au requérant la somme totale de 12 000 EUR pour frais et dépens.
C. Intérêts moratoires
86. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 10 de la Convention ;
3. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes :
i. 60 000 EUR (soixante mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour dommage matériel ;
ii. 12 000 EUR (douze mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par le requérant, pour frais et dépens ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 17 juillet 2008, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Sally Dollé Françoise Tulkens
Greffière Présidente

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

Se l'espropriato ha già un Professionista di sua fiducia, può comunicagli che sul nostro sito trova strumenti utili per il suo lavoro.
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 - Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.

  • La consulenza iniziale, con esame di atti e consigli, è sempre gratuita
    - Per richiederla cliccate qui: Colloquio telefonico gratuito
  • Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
    - Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
    - Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI

Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 19/09/2024