Conclusione: Violazione dell’articolo 10 – Libertà di espressione- generale, Articolo 10-1 – Libertà di espressione, Danno morale – constatazione di violazione sufficiente
SECONDA SEZIONE
CAUSA RICCI C. ITALIA
,(Richiesta no 30210/06)
SENTENZA
STRASBURGO
8 ottobre 2013
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Ricci c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Danutė Jočienė, presidentessa,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Nebojša Vučinić,
Helen Keller, giudici e
di Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 10 settembre 2013,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 30210/06) diretta contro la Repubblica italiana e di cui un cittadino di questo Stato, il Sig. A. R. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 18 luglio 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è stato rappresentato da Me S. P., avvocato a Milano. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora.
3. Il richiedente adduce che la sua condanna per divulgazione al pubblico di comunicazioni interne alla sistema telematica della RAI ha violato il suo diritto alla libertà di espressione.
4. Il 12 dicembre 2012, la richiesta è stata comunicata al Governo. Siccome lo permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si pronuncierebbe sull’ammissibilità ed il fondo allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato in 1950 e risiede ad Albenga (Savona).
6. Il richiedente è l’animatore-produttore dell’emissione di televisione satirico Striscia la notizia, diffusa sulla rete privata Canale 5.
7. Striscia la notizia è un’emissione quotidiana di critica della televisione che ha per scopo di rivelare, con ironia, dei casi delle cattive pratiche nel contesto della vita politica e della televisione.
8. Nell’ottobre 1996, la RAI (televisione pubblica) preparava un’emissione culturale denominata L’altra edicola alla quale era invitata lo scrittore A. B. che si trovava nei locali della RAI a Roma, ed il filosofo Gianni V. che si trovava nei locali della RAI a Torino. La registrazione della loro conversazione aveva luogo sulle frequenze citate all’uso interno della RAI ed era destinata a selezionare le immagini utili alla diffusione. All’epoca della registrazione, una lite esplose tra i due invitati. L’animatrice dell’emissione chiese poi ai suoi collaboratori così M. V. aveva firmato l’autorizzazione di diffusione delle immagini. Dopo avere ricevuto una risposta negativa, esclamò: “Non è possibile! (…) Si è fatto apposta a metterli insieme, questi due! .”
9. Queste immagini furono intercettate dagli apparecchi di Canale 5 nella cornice del monitoraggio dell’attività delle altre reti. Il richiedente decise poi di diffonderli all’epoca di due emissioni di Striscia la notizia, il 21 e 26 ottobre 1996, e questo per smontare la “vera natura della televisione”, dove tutto è costruito per creare dello spettacolo. Secondo il richiedente, lo scopo dell’emissione L’altra edicola non era di commentare l’ultimo libro del Sig. V., ma di fare esplodere una lite tra i due invitati, per fare montare l’udienza.
10. Il 14 maggio 1997, la RAI sporse querela contro il richiedente per intercettazione fraudolenta di comunicazioni confidenziali interni alla sistema telematica della RAI e per divulgazione del contenuto delle immagini al pubblico. Nella cornice del procedimento penale, la RAI ed il Sig. V. si costituirono parti civili. La prima sollecitò il risarcimento dei danni subiti, valutati a 500 000 euros (EUR), ed il Sig. V. chiese la concessione di 516 456,89 EUR per danno morale e per la violazione del suo diritto alla vita privata, diritto andò riservatezza, e del suo diritto all’immagine.
11. Il richiedente era accusato in particolare dei reati previsti dall’articolo 617 quater del codice penale (CP), intitolato “Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche”. Nelle sue parti pertinenti, questa disposizione si legge come segue:
“Chiunque, in modo fraudolenta, intercetta delle comunicazioni [al seno d ‘] un sistema informatico o telematica è punito dalla reclusione [per una durata] arzillo di sei mesi a quattro anni.
(…) la stessa pena si applica a chiunque rivelo, col verso di tutto medio di informazione [per lui] pubblico, tutto o partire del contenuto di comunicazioni [come descritte] al paragrafo 1.
(…).
[Il perseguimento è impegnato] di uno vai di ufficio e la pena di reclusione a cinque anni se lo fa è commesso:
1, allo scapito di un sistema informatico o telematica utilizzata dallo stato o con un altro organismo pubblico o con un’impresa che fornisce dei servizi pubblici o di necessità pubblica;
(…). “
12. Durante il processo, il richiedente addusse che Canale 5 aveva acquisito le immagini con captazione involontaria del segnale della RAI, nella cornice del monitorage del paesaggio audiovisivo praticato in modo abituale alle fini di raccogliere delle informazione e delle immagini di altre reti. Addusse anche che la divulgazione delle immagini al pubblico rilevava dell’esercizio del suo diritto di critica e del suo diritto di satira.
13. Con un giudizio del 12 aprile 2002 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 16 maggio 2002, il tribunale di Milano rilasciò il richiedente del capo di imputazione di intercettazione di comunicazioni che rilevano di una sistema telematica. Lo condannò in compenso a quattro mesi e cinque giorni di detenzione col beneficio della condizionale per divulgazione al pubblico di comunicazioni interne alla sistema telematica della RAI. Il richiedente fu condannato anche al pagamento di onere di procedimento all’altezza 6 000 EUR in favore della RAI e di 5 000 EUR in favore di M.V, così come al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili di cui l’importo doveva essere fissato dalla via di un procedimento civile separato. Il tribunale di Milano indicò mentre il richiedente era tenuto di versare immediatamente, a titolo di acconto, 10 000 EUR a ciascuna delle parti civili.
14. Il tribunale stimò innanzitutto, sulla base delle perizie e delle testimonianze fatte ai dibattimenti, che non c’era prova che l’intercettazione della registrazione dell’emissione L’altra edicola abbia avuto luogo in modo fraudolento o alla domanda del richiedente.
15. Il tribunale osservò poi che il secondo paragrafo dell’articolo 617 quater del CP, punendo la divulgazione di certe comunicazioni, miravano a proteggere la confidenzialità di queste ultime. Nello specifico, era evidente che il video diffuso dal richiedente era una comunicazione interna confidenziale della RAI. Non era pertinente di attardarsi sul contenuto del video, perché il reato descritto 617 quater all’articolo § 2 era costituito dal solo fatto della diffusione di comunicazioni confidenziali. Ne andava parimenti in ciò che riguardava lo scopo perseguito dal richiedente, dal momento che questo ultimo non poteva invocare utilmente il diritto di satira per giustificare una divulgazione vietata dalla legge.
16. Il richiedente interpose appello, adducendo che la divulgazione di comunicazioni era punibile solamente nel caso dove la loro intercettazione aveva avuto luogo in modo fraudolento. Invocò di nuovo il suo diritto di critica e di cronaca, facendo valere che la diffusione del video era necessaria per realizzare l’obiettivo del programma Striscia la notizia, a sapere dimostrare che l’oggetto reale della televisione era la speculazione della realtà. Secondo il richiedente, le immagini della disputa mettevano in evidenza che l’obiettivo del programma L’altra edicola non era di mettere a posto un dibattito culturale, ma di creare un tafferuglio su un vassoio di televisione. Chiese infine che gli siano riconosciute delle circostanze attenuanti e che la condanna al risarcimento dei danni sia annullata.
17. Con una sentenza del 23 gennaio 2004 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 24 aprile 2004, la corte di appello di Milano confermò il giudizio di prima istanza.
18. La corte di appello stimò in primo luogo che gli elementi raccolti portavano a credere che l’intercettazione era stata fraudolenta, ma che niente dimostrava solamente il richiedente era l’autore o l’accomandante. Ad ogni modo, l’articolo 617 quater dovevano essere interpretati nel senso che la divulgazione di informazione poteva essere punita anche se il reato descritto al primo paragrafo non era costituito ed anche se l’autore della divulgazione aveva avuto cognizione delle comunicazioni in modo fortuite. Nello specifico, la comunicazione della RAI aveva avuto luogo su una frequenza destinata al suo uso interno; era ci stata dunque violazione della confidenzialità delle comunicazioni di questa impresa. In questo contesto, il contenuto della comunicazione intercettata o il carattere “di interesse pubblico” della sua diffusione non era pertinente, ogni persona, fisica o giuridica, ivi compreso la RAI, gaudente di un diritto alla confidenzialità protetta dalla legge.
19. La corte di appello abbordò poi la questione del conflitto tra i diritti alla confidenzialità delle comunicazioni (articolo 15 della Costituzione) e la libertà di espressione (articolo 21 della Costituzione). Osservò che in principio, l’esercizio del diritto di critica poteva giustificare la divulgazione di una comunicazione proibita. Ciò che era a questo riguardo determinante era l’interesse sociale dell’informazione diffusa, un interesse pubblico fondamentale potendo annullare il carattere delittuoso della condotta del divulgatore. Per esempio, sarebbe stato lecito diffondere un video che mostra che la RAI manipolava la dibattito politica in favore di un certo partito. Però, tale non era il caso nello specifico, dove si era visto l’animatrice di un dibattito culturale lamentarsi di ciò che il Sig. V. non aveva autorizzato la diffusione delle immagini e che la sua lite col Sig. Busi non poteva essere mostrata al pubblico dunque. Secondo il richiedente, questo incidente aveva un interesse per il pubblico, perché mostrava la vera natura del fenomeno della televisione come strumento di mistificazione della realtà per aumentare l’udienza. Ora, questo punto di vista, per degno di rispetto che fosse, poteva essere esposto citando altri prodotti della televisione e senza violare la confidenzialità delle registrazioni della RAI. L’informazione divulgata dal richiedente, il fatto che un’animatrice di televisione era contrariata di non potere fare un “scoop”) era in realtà senza importanza, ed unica il modo di cui era stata presentata al pubblico era suscettibile di attirare l’attenzione di questo ultimo.
20. Il richiedente si ricorse in cassazione.
21. Con una sentenza del 19 maggio 2005 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 1 febbraio 2006, la Corte di cassazione annullò senza rinvio la sentenza della corte di appello, al motivo che il reato rimproverato al richiedente era prescritto dal 21 aprile 2004. Confermò la condanna dell’interessato al risarcimento delle parti civili e lo condannò al pagamento degli oneri di procedimento della RAI che ammontava a 3 000 EUR.
22. La Corte di cassazione confermò che i reati previsti dai primo e secondo paragrafi dell’articolo 617 quater del CP erano autonomi e distinte e potevano essere commesse dai motivi differenti; di più, la divulgazione di una comunicazione confidenziale era anche punibile nella mancanza di carattere fraudolento della sua intercettazione.
23. La Corte di cassazione ossevò infine che il diritto alla critica, alla cronaca e alla satira doveva essere riconosciuto nel modo più ampio possibile, essendo garantito dall’articolo 21 del Costituzione e avendo i cittadini il diritto a essere informati tramite i mezzi più incisivi. Però, nello specifico, questo diritto non poteva essere invocato, perché non si trattava di una causa di diffamazione, ma di una causa di divulgazione di informazione confidenziali non diffamatori. La confidenzialità di queste comunicazioni era garantita dall’articolo 15 della Costituzione, e l’esercizio del diritto di satira non poteva giustificare la divulgazione. In queste condizioni, non era pertinente di esaminare se le informazione diffuse erano vere, se c’era un interesse pubblico alla loro divulgazione o se la forma di espressione utilizzata fosse adeguata.
24. Il 15 novembre 2006, il Sig. V. investe il tribunale civile di Milano per ottenere il risarcimento dei danni subiti in seguito al reato commesso dal richiedente e di cui era stato vittima.
25. Con un giudizio del 4 agosto 2009 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 26 agosto 2009, il tribunale di Milano condannò il richiedente a versare al Sig. V. l’intimo di 30 000 EUR a titolo di risarcimento. Osservò che c’era stata una violazione del diritto all’immagine e del diritto alla vita privata della parte attrice che non era giustificata da nessuno interesse pubblico significativo. Il danno morale che deriva del reato considerato dalle giurisdizioni penali doveva essere valutato in equità, avendo riguardo all’udienza dell’emissione Striscia la notizia ed alle ripercussioni della diffusione controversa per il Sig. V., filosofo e professore di università. Questa decisione passò in forza di cosa giudicata ad una data che non è stata precisata.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 10 DELLA CONVENZIONE
26. Il richiedente adduce che la sua condanna per la divulgazione della registrazione dell’emissione L’altra edicola ha violato il suo diritto alla libertà di espressione. Considera che al visto dello scopo dell’emissione Striscia la notizia, aveva bene il diritto di informare il pubblico in quanto alla natura della televisione ed all’ipocrisia che la caratterizzava.
Invoca l’articolo 10 della Convenzione, così formulato:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare delle informazione o delle idee senza che possa esserci ingerenza di autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il presente articolo non impedisce gli Stati di sottoporre le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione ad un regime di autorizzazioni.
2. L’esercizio di queste libertà che comprendono dei doveri e delle responsabilità può essere sottomesso a certe formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge che costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla sicurezza pubblica, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione del crimine, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazione confidenziali o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziale. “
27. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
1. L’eccezione del Governo derivata dalla tardività della richiesta
28. Il Governo eccepisce innanzitutto della tardività della richiesta. Osserva che la decisione interna definitiva concernente la condanna del richiedente, a sapere la sentenza della Corte di cassazione del 19 maggio 2005, è stata depositata alla cancelleria il 1 febbraio 2006, paragrafo 21 sopra. Ora, il formulario di richiesta è datato del 12 settembre 2006 e è stato ricevuto dalla cancelleria della Corte il 19 settembre 2006. Ci sarebbe stato dunque superamento del termine di sei mesi contemplati 35 § 1 all’articolo della Convenzione.
29. Il richiedente rileva che la sua prima comunicazione alla Corte che espone il contenuto della sua motivi di appello data di luglio 2006.
30. La Corte ricorda che conformemente alla pratica stabilita degli organi della Convenzione ed all’articolo 47 § 5 del suo ordinamento, considera normalmente che la richiesta è reputata introdotta alla data della prima comunicazione del richiedente che indica l’intenzione dell’interessato del sequestro ed esponendo, anche sommariamente, la natura della richiesta. Questa prima comunicazione interrompe il corso del termine di sei mesi, Kemevuako c. Paesi Bassi, déc.), no 65938/09, § 19, 1 giugno 2010, e Yartsev c. Russia, déc.), no 13776/11, § 21, 26 marzo 2013.
31. La regola dei sei mesi ha per oggetto, da una parte, di garantire la sicurezza giuridica e di badare a ciò che le cause controverse allo sguardo della Convenzione siano esaminate in un termine ragionevole e, altro parte, di proteggere le autorità ed altre persone riguardate dell’incertezza dove li lascerebbe lo scorrimento prolungato del tempo. Siccome la Corte ha avuto già l’occasione dell’argomento, sarebbe contrario allo spirito ed alla finalità di questa regola di considerare che, col verso di qualsiasi comunicazione iniziale, un richiedente potrebbe sretere il procedimento stabilito con la Convenzione restare inattivo durante una durata inspiegata ed indeterminata poi. I richiedenti devono dare seguito alla loro richiesta con un zelo ragionevole dopo il primo contatto dunque, qualunque sia, P.M. c. Regno Unito, déc.), no 6638/03, 24 agosto 2004. A difetto, la Corte considera generalmente che l’interruzione del termine di sei mesi è nulla e che è la data di sottomissione del formulario di richiesta completa che deve essere considerata come data di introduzione della richiesta (Kemevuako, decisione precitata, § 20.
32. Nello specifico, la prima comunicazione del richiedente è stata mandata il 18 luglio 2006 e è stata ricevuta dalla cancelleria della Corte il 24 luglio 2006. Con una lettera del 31 luglio 2006, la cancelleria ha invitato il richiedente a mandare, entro sei settimane, il formulario di richiesta, debitamente pieno ed accompagnato dei documenti pertinenti per l’esame della sua causa. Il formulario ed i documenti sono stati mandati il 12 settembre 2006 e sono stati ricevuti dalla cancelleria il 19 settembre 2006, dunque in un termine ragionevole. In queste circostanze, la Corte considera che la richiesta è stata introdotta il 18 luglio 2006, dunque meno di sei mesi dopo la data del deposito alla cancelleria della decisione interna definitiva, 1 febbraio 2006-paragrafo 21 sopra.
33. Segue che l’eccezione del Governo derivato della tardività della richiesta non saprebbe essere considerata.
2. Altri motivi di inammissibilità
34. La Corte constata che la richiesta non è manifestamente male fondata al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione, e che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararla ammissibile dunque.
B. Sul fondo
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
35. Il richiedente stima che le giurisdizioni italiane hanno dato al diritto di critica e di satira un’interpretazione troppo stretta che non saprebbe quadrare con l’articolo 10 della Convenzione. Tanto in dritto interno che allo sguardo della Convenzione, l’esercizio di questo diritto può costituire una giustificazione alla diffusione di comunicazioni confidenziali, tutto siccome costituisce una giustificazione agli attentati potenziali alla reputazione di altrui o alla diffusione di dati a carattere personale. Sarebbe eccessivo di stimare che una comunicazione confidenziale non può essere diffusa mai, qualunque ne sia il contenuto. A questo riguardo, il richiedente sostiene che, per esempio, la pubblicazione nella stampa del contenuto di ascolti telefonici coperti col segreto dell’istruzione è diventata in Italia una pratica corrente, non contestata dalle autorità.
36. Nello specifico, il richiedente era accusato di avere diffuso dei suoni e delle immagini che circolavano con via hertziana, ed erano stati captati senza frode qualsiasi. Tutto come i suoi omologhi, Striscia la notizia stava semplicemente controllando ciò che accadeva in altre emissioni; ora, questo comportamento non saprebbe essere paragonato ad altre forme più intrusive di intercettazione, come l’apertura della corrispondenza o la registrazione di conversazioni telefoniche.
37. Il richiedente considera che non c’era nessuno “bisogno imperioso” di proteggere l’immagine e la reputazione del Sig. V.. Questo ultimo non ha introdotto nessuna azione in giustizia difatti prima che la RAI non lo faccia lei stessa. Le immagini diffuse da Striscia la notizia mostravano l’utilizzazione indiretta ed ipocrita della televisione, di tanto più sorprendente nella cornice di un’emissione culturale della rete pubblica RAI come L’altra edicola. Il fatto che una tale utilizzazione poteva essere conosciuta o sospettato del pubblico non cambiava niente all’interesse l’informazione, conto tenuto in particolare dell’influenza e del potere mediatico della televisione nelle società moderne. Concludere equivarrebbe diversamente a vietare i servizi concernente i crimini sotto pretesto che i cittadini sanno che la criminalità esiste. Il richiedente desiderava ammontare in modo tangibile, una volta di più, l’impoverimento della qualità delle emissioni teletrasmesse finanziate dallo stato. Questo scopo legittimo e veramente di interesse generale avrebbe dovuto prevalere sull’interesse della RAI alla confidenzialità delle sue comunicazioni.
b) Il Governo
38. Il Governo afferma che non c’è stata ingerenza nei diritti garantiti dall’articolo 10 della Convenzione, dato che la condanna del richiedente è senza rapporto con la libertà di espressione dell’interessato. Questo ultimo non è stato condannato per avere espresso un’opinione, ma per avere diffuso deliberatamente delle comunicazioni confidenziali. A questo riguardo, il Governo ricorda che la Corte di cassazione ha precisato che l’esercizio del diritto di critica e di satira non poteva essere invocato nello specifico, perché non saprebbe giustificare la registrazione e la diffusione illecita di comunicazioni protette con l’articolo 15 della Costituzione. La libertà di espressione può in compenso, in certi casi, giustificare degli attentati all’onore ed alla reputazione di altrui. Il Governo ricorda anche che l’articolo 10 non accorda all’individuo il diritto di aderire ad un registro dove figurano delle informazioni sulla sua propria situazione, né non obbligare il governo a comunicarglieli, Leander c. Svezia, 26 marzo 1987, § 74, serie Ha no 116.
39. A supporre anche che ci sia stata ingerenza, il Governo considera che questa era previsto dalla legge-a sapere, con l’articolo 617 quater del CP-e che inseguiva gli scopi legittimi di proteggere la reputazione o i diritti di altrui- nell’occorrenza, del Sig. V.-e di impedire la divulgazione di informazione confidenziali.
40. Per ciò che è della proporzionalità dell’ingerenza, il Governo osserva che due interessi entravano in conflitto nello specifico: da un lato, l’interesse di un giornalista, il richiedente, a diffondere col verso di un programma teletrasmesso delle immagini e dei suoni illegalmente ottenute concernente un incidente sopraggiunto entri gli individui; dell’altro, l’interesse dei proprietari legittimi di queste immagini e di questi suoni, il Sig. V. e la RAI. Le autorità giudiziali nazionali hanno cercato di predisporre un giusto equilibro tra questi due interessi, mettendo in bilancia il diritto alla libertà di espressione invocata dal richiedente ed il diritto al segreto delle comunicazioni, garantiti con l’articolo 15 della Costituzione e con l’articolo 8 della Convenzione. Hanno concluso che questo ultimo diritto doveva prevalere nello specifico e hanno escluso l’esistenza di interessi pubblici importanti che giustificano una violazione della confidenzialità. Come la corte di appello l’ha indicato, paragrafo 19 sopra, l’informazione divulgata dal richiedente era in realtà senza importanza, gli spettatori che sono buoni coscienti per il fatto che gli animatori di televisione cercano di creare dei “scoop”; peraltro, il richiedente avrebbe potuto esporre le sue opinioni sulla natura della televisione senza violare la confidenzialità delle registrazioni della RAI.
41. Gli argomenti del richiedente sono stati esaminati in dettaglio e sono stati respinti dalle giurisdizioni interne; queste hanno, in sostanza, fatto applicazione dei criteri che risultano della giurisprudenza della Corte in materia di “necessità” e di “bisogno sociale imperioso”, e hanno stimato che la protezione della confidenzialità dei dati doveva prevalere sul diritto alla libertà di espressione invocata dal richiedente. Nei cause Guja c. Moldova, no 14277/04, §§ 69-78, 12 febbraio 2008, e Stoll c. Svizzera ([GC] no 69698/01, §§ 102-112, ECHR 2007-V, la Corte ha affermato che solo un interesse pubblico fondamentale può giustificare la divulgazione di informazione confidenziali, quando nessuno altro mezzo non permette di raggiungere l’obiettivo previsto dal giornalista. Ora, queste due condizioni mancavano nello specifico ed il richiedente non poteva pretendere ignorare che la divulgazione era vietata con l’articolo 617 quater del CP. Bisognerebbe tenere anche conto per il fatto che il video diffuso dal richiedente riguardava un’emissione che era ancora in preparazione e che non era certo che la RAI avrebbe desiderato mostrare al pubblico la sgrido sopraggiunta entro Sigg. V. e Busi. Infine, la condanna del richiedente al risarcimento dei danni non potrebbe passare per una sanzione eccessiva o sproporzionata, e la Corte non sarebbe competente per conoscere di errori di fatto o di diritto presumibilmente commesso da una giurisdizione interna.
2. Valutazione della Corte
a), Sull’esistenza di un’ingerenza
42. La Corte osserva che il richiedente è stato condannato per avere diffuso delle comunicazioni confidenziali e che l’interessato ha affermato, tanto dinnanzi alle giurisdizioni nazionali che dinnanzi alla Corte, che aveva proceduto ad una tale divulgazione per rivelare al pubblico un caso di utilizzazione indiretta ed ipocrita della televisione e per mostrare in modo tangibile l’impoverimento della qualità delle emissioni teletrasmesse finanziate dallo stato. In queste circostanze, la Corte considera che l’interessato mirava a comunicare delle informazione o delle idee e che la sua condanna ha costituito un’ingerenza nel suo diritto alla libertà di espressione, come garantito con l’articolo 10 § 1 della Convenzione.
b) Sulla giustificazione dell’ingerenza,: la previsione da parte della legge ed il perseguimento di un scopo legittimo
43. Un’ingerenza è contraria alla Convenzione se non rispetta le esigenze contemplate al paragrafo 2 dell’articolo 10. C’è luogo dunque di determinare se era “prevista dalla legge”, se prevedeva uno o parecchi degli scopi legittimi enunciati in questo paragrafo e se fosse “necessaria in una società democratica” per raggiungere questo o questi scopi, Pedersen e Baadsgaard c. Danimarca, no 49017/99, § 67, CEDH 2004-XI.
44. Non è contestato che l’ingerenza era prevista sopra dalla legge, a sapere con l’articolo 617 quater del CP, paragrafo 11. La Corte ammette che l’ingerenza prevedeva gli scopi legittimi di proteggere la reputazione o i diritti di altrui -nell’occorrenza, del Sig. V.-e di impedire la divulgazione di informazione confidenziali.
45. Resta a verificare se l’ingerenza era “necessaria in una società democratica.”
c, Sulla necessità dell’ingerenza in una società democratica
i. Principi generali
46. La stampa gioca un ruolo eminente in una società democratica: se non deve superare certi limiti, tenendo in particolare alla protezione della reputazione ed ai diritti di altrui, gli spetta tuttavia di comunicare, nel rispetto dei suoi doveri e delle sue responsabilità, delle informazione e delle idee su tutte le questioni di interesse generale, Di Haes e Gijsels c. Belgio, 24 febbraio 1997, § 37, Raccolta 1997-I. Alla sua funzione che consiste in diffondere ne si aggiunge il diritto, per il pubblico, di ricevere ne. Se ne andasse diversamente, la stampa non potrebbe sostenere il suo ruolo indispensabile di “cane da guardia”, Thorgeir Thorgeirson c. Islanda, 25 giugno 1992, § 63, serie Ha no 239, e Bladet Tromsø e Stensaas c. Norvegia [GC], no 21980/93, § 62, CEDH 1999-III. Oltre la sostanza delle idee ed informazione espresse, l’articolo 10 protegge il loro modo di espressione, Oberschlick c. Austria (no1), 23 maggio 1991, § 57, serie Ha no 204. La libertà giornalistica comprende anche il ricorso possibile ad una certa dose di esagerazione, o addirittura di provocazione, Prager ed Oberschlick c. Austria, 26 aprile 1995, § 38, serie Ha no 313; Thoma c. Lussemburgo, no 38432/97, §§ 45 e 46, CEDH 2001-III; Perna c. Italia [GC], no 48898/99, § 39, CEDH 2003-V.
47. L’aggettivo “necessario”, al senso dell’articolo 10 § 2, implica l’esistenza di un “bisogno sociale imperioso.” Gli Stati contraenti godono di un certo margine di valutazione per giudicare dell’esistenza di un tale bisogno, ma questo margine va di pari in passo con un controllo europeo che cade al tempo stesso sulla legge e sulle decisioni che applicano questa, anche quando provengono di una giurisdizione indipendente. La Corte ha competenza per deliberare sul punto di sapere da ultimo dunque se una “restrizione” si concilia con la libertà di espressione salvaguardata dall’articolo 10, Janowski c. Polonia [GC], no 25716/94, § 30, CEDH 1999-I, ed Associazione Ekin c. Francia, no 39288/98, § 56, CEDH 2001-VIII.
48. Nell’esercizio del suo potere di controllo, la Corte non ha per compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne competenti, ma di verificare sotto l’angolo dell’articolo 10 le decisioni che hanno reso in virtù del loro potere di valutazione, Fressoz e Roire c. Francia [GC], no 29183/95, § 45, CEDH 1999-I. Non segue che debba limitarsi a ricercare se lo stato convenuto si è avvalso di questo potere di buona fede, con cura ed in modo ragionevole; gli occorre considerare l’ingerenza controversa alla luce dell’insieme della causa, ivi compreso il tenore dei propositi rimproverati al richiedente ed il contesto in che questo li ha tenuti, News Verlags GmbH & Co. Kg c. Austria, no 31457/96, § 52, CEDH 2000-I.
49. In particolare, incombe sulla Corte di determinare se i motivi invocati dalle autorità nazionali per giustificare l’ingerenza appaiono “pertinenti e sufficienti” e se la misura incriminata era “proporzionata agli scopi legittimi perseguiti”, Chauvy ed altri c. Francia, no 64915/01, § 70, CEDH 2004-VI. Ciò che fa, la Corte deve convincersi che le autorità nazionali hanno, basandosi su una valutazione accettabile dei fatti pertinenti, applicato delle regole conformi ai principi consacrati dall’articolo 10 (vedere, tra molto altri, Zana c. Turchia, 25 novembre 1997, § 51, Raccolta 1997-VII; Di Diego Nafría c. Spagna, no 46833/99, § 34, 14 marzo 2002; Pedersen e Baadsgaard, precitata, § 70.
50. Il diritto dei giornalisti di comunicare delle informazione su delle questioni di interesse generale è protetto purché agiscono di buona fede, sulla base di fatti esatti, e forniscono delle informazione “affidabili e precise” nel rispetto dell’etica giornalistica (vedere, per esempio, le sentenze precitati Fressoz e Roire, § 54; Bladet Tromsø e Stensaas, § 58; e Prager ed Oberschlick, § 37. Il paragrafo 2 dell’articolo 10 della Convenzione sottolinea che l’esercizio della libertà di espressione comprende dei “doveri e responsabilità” che valgono anche per i media, anche trattandosi di questioni di un grande interesse generale. Di più, questi doveri e responsabilità possono rivestire dell’importanza quando si rischia di recare per nome offesa alla reputazione di una persona citata e di nuocere ai “diritti di altrui.” Per potere rilevare i media dell’obbligo che tocca loro normalmente di verificare potenzialmente i dichiarazioni dei fatti diffamatori contro individui, devono esistere dei motivi specifici. A questo riguardo entrano specialmente in gioco la natura ed il grado della diffamazione potenziale e la questione di sapere a che punto il media può considerare ragionevolmente le sue sorgenti come credibili per ciò che è delle affermazioni in causa (vedere, entri altri, McVicar c. Regno Unito, no 46311/99, § 84, CEDH 2002-III, e Standard Verlagsgesellschaft MBH, (no 2, c,). Austria, no 37464/02, § 38, 22 febbraio 2007.
51. Nei casi dove si trovava in causa la diffusione di informazione di natura confidenziale, la Corte ha ricordato che la condanna di un giornalista per divulgazione delle tali informazione può dissuadere i professionisti dei media di informare il pubblico su delle questioni di interesse generale. In simile caso, la stampa potrebbe essere non più in grado di sostenere il suo ruolo indispensabile di “cane da guardia” e la sua attitudine a fornire delle informazione precise ed affidabili potrebbe trovare ridotta si. Per determinare se la misura controversa era tuttavia necessaria nello specifico, parecchi aspetti distinti sono ad esaminare: gli interessi in presenza; il controllo esercitato dalle giurisdizioni interne; il comportamento del richiedente così come la proporzionalità della sanzione pronunziata (Stoll, precitata, §§ 109-112.
52. Difatti, la natura e la pesantezza delle pene inflitte sono anche degli elementi a prendere in considerazione quando si tratta di misurare la proporzionalità dell’ingerenza (vedere, per esempio, Ceylon c. Turchia [GC], no 23556/94, § 37, CEDH 1999-IV, e Tammer c. Estonia, no 41205/98, § 69, CEDH 2001-I. In particolare, nel causa Cumpănă e Mazăre c. Romania ([GC], no 33348/96, §§ 113-115, CEDH 2004-XI, la Corte ha affermato i seguenti principi:
“113. Se gli Stati contraenti hanno la facoltà, addirittura il dovere, in virtù dei loro obblighi positivi a titolo dell’articolo 8 della Convenzione, di regolamentare l’esercizio della libertà di espressione in modo da garantire una protezione adeguata con la legge della reputazione degli individui, devono evitare ciò che fa di adottare delle misure proprie a dissuadere i media di assolvere il loro ruolo di allerta del pubblico in caso di abusi apparenti o supposti del potere pubblico. I giornalisti di investigazione rischiano di essere reticenti ad esprimersi su delle questioni che presentano un interesse generale se inseguono il pericolo di essere condannati, quando la legislazione contempla delle tali sanzioni per gli attacchi ingiustificati contro la reputazione di altrui, alle pene di prigione o di interdizione di esercizio della professione.
114. L’effetto dissuasivo che il timore delle uguali sanzioni porta per l’esercizio con questi giornalisti della loro libertà di espressione è manifesto. Nocivo per la società nel suo insieme, gli fa anche partire degli elementi a prendere in conto nella cornice della valutazione della proporzionalità-e dunque della giustificazione- delle sanzioni inflitte.
115. Se la determinazione delle pene è in principio l’appannaggio delle giurisdizioni nazionali, la Corte considera che una pena di prigione inflitta per una violazione commessa nella tenuta della stampa non è compatibile con la libertà di espressione giornalistica garantita dall’articolo 10 della Convenzione che nelle circostanze eccezionali, in particolare quando di altri diritti fondamentali sono stati raggiunti gravemente come nell’ipotesi, per esempio, della diffusione di un discorso di odio o di incitamento alla violenza. “
53. Conviene ricordare, infine che nelle cause siccome la presente che necessitano un collocamento in bilancia del diritto al rispetto della vita privata e del diritto alla libertà di espressione, la Corte considera che la conclusione della richiesta non saprebbe in principio variare a seconda che è stata portata dinnanzi a lei, sotto l’angolo dell’articolo 8 della Convenzione, con la persona che è oggetto del servizio o, sotto l’angolo dell’articolo 10, con l’editore che l’ha pubblicato. Difatti, questi diritti meritano ha a priori un uguale rispetto. Quindi, il margine di valutazione dovrebbe in principio essere lo stesso nei due casi. Se il collocamento in bilancia con le autorità nazionali si è fatto nel rispetto dei criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte, occorre delle ragioni serie affinché questa sostituisce il suo parere a quello delle giurisdizioni interne, MGN Limited c. Regno Unito, no 39401/04, §§ 150 e 155, 8 gennaio 2011, e Palomo Sánchez ed altri c. Spagna [GC], nostri 28955/06, 28957/06, 28959/06 e 28964/06, § 57, ECHR 2011 -.. ).
ii. Applicazione di questi principi al caso di specie
54. La Corte rileva innanzitutto che non saprebbe accettare l’argomento del tribunale di Milano, paragrafo 15 sopra, e della Corte di cassazione, paragrafo 23 sopra secondo che la protezione delle comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematica escludono in principio ogni possibilità di collocamento in bilancia con l’esercizio della libertà di espressione. Difatti, della giurisprudenza citata sopra al paragrafo 51, risulta che anche quando delle informazione confidenziali sono diffuse, parecchi aspetti distinti sono ad esaminare, a sapere gli interessi in presenza, il controllo esercitato dalle giurisdizioni interne, il comportamento del richiedente e la proporzionalità della sanzione pronunziata.
55. In quanto al primo punto, il richiedente afferma che la registrazione diffusa dell’emissione L’altra edicola riguardava un motivo di interesse generale, a sapere la funzione e la “vera natura” della televisione nella società moderna. La Corte osserva che il ruolo giocato dalla televisione pubblica in una società democratica è un motivo di interesse generale. È prestato dunque ad ammettere che la collettività poteva avere un certo interesse ad essere informata di ciò che l’animatrice di un programma teletrasmesso pubblico rimpiangeva di non potere diffondere una lite tra i suoi invitati e poteva dire avere scelto questi ultimi rispetto alla probabilità che una tale lite esplode. Effettivamente, era possibile vedere il sintomo di una volontà di impressionare e divertire il pubblico piuttosto che di fornirgli delle informazione a contenuto culturale. Non ne rimane meno che, per il richiedente, si trattava soprattutto, agli occhi della Corte, di stigmatizzare e di ridicolizzare un comportamento individuale. Se il richiedente desiderava aprire un dibattito su un motivo di interesse fondamentale per la società, come il ruolo dei media teletrasmessi, altri vie che non comprendevano nessuna violazione della confidenzialità delle comunicazioni telematiche, si aprivano a lui. La corte di appello di Milano l’ha sottolineato a buon diritto, paragrafo 19 sopra. La Corte ne terrà conto nel collocamento in bilancia del diritto del richiedente alla libertà di espressione rispetto agli scopi legittimi perseguiti dallo stato.
56. Per ciò che è del controllo esercitato dalle giurisdizioni interne, la Corte nota che unica la corte di appello di Milano ha abbordato la questione del conflitto tra i diritti alla confidenzialità delle comunicazioni e la libertà di espressione. Ha legato un’importanza particolare all’interesse sociale dell’informazione diffusa, concludente che nello specifico non poteva passare per “fondamentale”, paragrafo 19 sopra. La Corte stima che una tale analisi non è inficiata di arbitrarietà e che è stata fatta nel rispetto dei criteri stabiliti dalla sua giurisprudenza.
57. Per ciò che è del comportamento del richiedente, la Corte rileva che la registrazione controversa aveva avuto luogo su una frequenza riservata all’uso interno della RAI, paragrafi 8 e 18 sopra. Questo non poteva essere ignorato dal richiedente, professionale dell’informazione che era o sarebbe dovuto essere dunque cosciente per il fatto che la diffusione della registrazione ignorava la confidenzialità delle comunicazioni della rete di televisione pubblica. Segue che il richiedente non ha agito nel rispetto dell’etica giornalistica (vedere i principi enunciati sopra al paragrafo 50).
58. Alla luce di ciò che precede, la Corte saprebbe concludere solamente una condanna contro il richiedente era in si contrario all’articolo 10 della Convenzione.
59. Non ne rimane meno che, come ricordato sopra al paragrafo 52, la natura e la pesantezza delle pene inflitte sono anche degli elementi a prendere in considerazione quando si tratta di misurare la proporzionalità dell’ingerenza. Ora, nello specifico, ne più del risarcimento dei danni, il richiedente è stato condannato a quattro mesi e cinque giorni di detenzione, paragrafo 13 sopra. Sebbene ci sia stato sospesi all’esecuzione di questa sanzione e bene che la Corte di cassazione abbia dichiarato il reato prescritto, paragrafo 21 sopra, la Corte considera che l’infliction in particolare di una pena di prigione ha potuto avere un effetto dissuasivo significativo. Peraltro, il caso di specifico che cadeva sulla diffusione di un video di cui il contenuto non era di natura tale da provocare un danno importante, non era segnato da nessuna circostanza eccezionale che giustifica anche il ricorso ad una sanzione severa.
60. La Corte stima che, per la natura ed il quanto della sanzione imposta al richiedente, l’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione di questo ultimo non è restata proporzionata agli scopi legittimi perseguiti.
61. C’è stata dunque violazione dell’articolo 10 della Convenzione.
II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
62. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
63. Il richiedente richiede 50 000 euro (EUR) a titolo del danno morale che avrebbe subito.
64. Il Governo osserva che il richiedente non ha fornito nessuna prova in quanto all’esistenza, alla natura ed all’intensità del danno morale che adduce. Di più, non ha dimostrato l’esistenza di un legame di causalità tra le pretese violazioni dei suoi diritti e questo danno. Quindi, la sua domanda non sarebbe supportata.
65. La Corte stima che la sua constatazione di violazione dell’articolo 10 costituisce a questo riguardo una soddisfazione equa sufficiente e di non accordare dunque nessuna somma a questo capo.
B. Oneri e spese
66. Il richiedente non ha fatto domanda per gli oneri e le spese impegnate dinnanzi alle giurisdizioni interne o dinnanzi alla Corte. Pertanto, la Corte stima che non c’è luogo di concedere egli di somma a questo titolo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile,;
2. Stabilisce, per sei voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione;
3. Stabilisce, per sei voci contro una, che la constatazione di una violazione rappresenta in sé una soddisfazione equa sufficiente per ogni danno morale potuto essere subito dal richiedente;
4. Respinge, all’unanimità, la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto l’ 8 ottobre 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Danutė Jočienė
Cancelliere Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione separata dal giudice I. Karakaş.
D.J.
S.H.N.
OPINIONE DISSIDENTE DEL GIUDICE KARAKAŞ
Non posso aderire al ragionamento ed alla conclusione adottato dalla maggioranza nella presente causa.
Il diritto di critica e di satira deve essere riconosciuto certo e deve essere protetto sul terreno dell’articolo 10 ma il caso di specifico, come la Corte di cassazione italiana l’ha sottolineato proprio, riguardava la divulgazione di informazione confidenziali non diffamatori. Si trattava di una causa dunque dove doveva essere predisposto un giusto equilibrio tra le libertà di espressione ed il diritto alla confidenzialità delle comunicazioni.
La diffusione di informazione di natura confidenziale è una tenuta dove la Corte e la Commissione hanno avuto già l’occasione di pronunciarsi (vedere Z. c). Svizzera, no 10343/83, decisione della Commissione del 6 ottobre 1983, Decisioni e rapporti 35, p. 229; Weber c. Svizzera, no 11034/84, 22 maggio 1990, serie Ha no 177; Osservare e Guardian c. Regno Unito, no 13585/88, 26 novembre 1991, serie Ha no 216; Hadjianastassiou c. Grecia, no 12945/87, 16 dicembre 1992, serie Ha no 252; Fressoz e Roire c. Francia [GC], no 29183/95, 21 gennaio 1999, Edizioni Plon c. Francia, no 58148/00, 18 maggio 2004, Tourancheau e July c. Francia, no 53886/00, 24 novembre 2005, e Stoll c. Svizzera [GC], no 69698/01, 10 dicembre 2007.
La libertà della stampa si rivela di tanto più importante nelle circostanze dove le attività e decisioni statali, in ragione della loro natura confidenziale o segreta, sfuggono al controllo democratico o giudiziale. Ora la condanna di un giornalista per divulgazione di informazione considerate come confidenziali o segrete può dissuadere i professionisti dei media di informare il pubblico su delle questioni di interesse generale. In simile caso, la stampa potrebbe essere non più in grado di sostenere il suo ruolo indispensabile di “cane da guardia” e la sua attitudine a fornire delle informazione precise ed affidabili potrebbe trovare ridotta si (vedere Goodwin c). Regno Unito [GC], no 17488/90, 27 marzo 1996, § 39, Raccolta 1996 II.
Per determinare se la misura controversa era tuttavia necessaria nello specifico, parecchi aspetti distinti sono ad esaminare: gli interessi in presenza; il controllo esercitato dalle giurisdizioni interne; il comportamento del richiedente così come la proporzionalità della sanzione pronunziata (Stoll, precitata, § 112.
Nello specifico, innanzitutto, le giurisdizioni interne hanno predisposto un giusto equilibro tra le libertà di espressione del richiedente ed il diritto alla confidenzialità delle informazione che, sulla base dell’articolo 617 quater del codice penale, era stato accusato di avere divulgato.
La corte di appello di Milano ha osservato che in principio, l’esercizio del diritto di critica e di satira poteva giustificare la divulgazione di una comunicazione proibita.
Ha stabilito che, le informazione divulgate essendo state raccolte in violazione del diritto di altrui al segreto, la loro utilizzazione non poteva essere ammessa e giustificata che nella presenza di un “interesse pubblico fondamentale” alla loro diffusione. Il punto essenziale è di sapere se le informazione confidenziali in questione rivestivano allo stesso modo interesse.
Le giurisdizioni interne hanno escluso che il materiali video ed audio concernente la lite tra i due invitati del programma della RAI avessero un tale interesse pubblico fondamentale.
Secondo il giudice interno, la lite era lei stessa “insignificante” e senza importanza per la società.
La corte di appello non ha escluso l’applicazione nello specifico del diritto di satira ma ha giudicato che uno dei suoi elementi essenziali, a sapere un interesse pubblico fondamentale, faceva difetto.
La corte di appello ha detto a questo riguardo, come esempio che “se l’intercettazione e la diffusione delle telecomunicazioni della RAI avevano rivelato che la rete pubblica RAI aveva manipolato una dibattito politica in favore di un partito allo scapito di un altro, questa informazione sarebbe stata manifestamente importante per la società e la sua rivelazione non sarebbe stata punibile”, sentenza della corte di appello del 23 gennaio 2004, p. 21.
L’applicazione nello specifico dei criteri della sentenza precitata Stoll c. Svizzera (§ 112) mi condurrebbe innanzitutto ad ammettere che gli interessi in gioco sono stati messi in bilancia e che le giurisdizioni interne hanno operato un controllo effettivo. In quanto al terzo criterio, a sapere il comportamento del richiedente, come la maggioranza lo riconosce, non ha agito nel rispetto dell’etica giornalistica.
Certamente, la natura e la pesantezza delle pene inflitte sono anche degli elementi a prendere in considerazione quando si tratta di valutare la proporzionalità dell’ingerenza (vedere, a titolo di paragone, le cause dove la condanna al penale del richiedente per avere espresso delle idee aveva portato violazione dell’articolo 10, per esempio Surek c.Turquie no 4 [GC], no 24762/94, 8 luglio 1999, ed Onal c. Turchia, i nostri 41445/04 e 41453/04, 2 ottobre 2012. Ora, nella presente causa, alla luce di tutti gli elementi pertinenti, e visto soprattutto gli interessi in gioco, la sanzione imposta al richiedente era una misura proporzionata allo scopo legittimo previsto.
Dunque, ai miei occhi, non c’è stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione.