A.N.P.T.ES. Associazione Nazionale per la Tutela degli Espropriati. Oltre 5.000 espropri trattati in 15 anni di attività.
Qui trovi tutto cio che ti serve in tema di espropriazione per pubblica utilità.

Se desideri chiarimenti in tema di espropriazione compila il modulo cliccando qui e poi chiamaci ai seguenti numeri: 06.91.65.04.018 - 340.95.85.515

Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE RICCI c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 10
Numero: 30210/06/2013
Stato: Italia
Data: 2013-10-08 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione: Violazione dell’articolo 10 – Libertà di espressione- generale, Articolo 10-1 – Libertà di espressione, Danno morale – constatazione di violazione sufficiente

SECONDA SEZIONE

CAUSA RICCI C. ITALIA

,(Richiesta no 30210/06)

SENTENZA

STRASBURGO

8 ottobre 2013

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Ricci c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Danutė Jočienė, presidentessa,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Nebojša Vučinić,
Helen Keller, giudici e
di Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 10 settembre 2013,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 30210/06) diretta contro la Repubblica italiana e di cui un cittadino di questo Stato, il Sig. A. R. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 18 luglio 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è stato rappresentato da Me S. P., avvocato a Milano. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora.
3. Il richiedente adduce che la sua condanna per divulgazione al pubblico di comunicazioni interne alla sistema telematica della RAI ha violato il suo diritto alla libertà di espressione.
4. Il 12 dicembre 2012, la richiesta è stata comunicata al Governo. Siccome lo permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si pronuncierebbe sull’ammissibilità ed il fondo allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato in 1950 e risiede ad Albenga (Savona).
6. Il richiedente è l’animatore-produttore dell’emissione di televisione satirico Striscia la notizia, diffusa sulla rete privata Canale 5.
7. Striscia la notizia è un’emissione quotidiana di critica della televisione che ha per scopo di rivelare, con ironia, dei casi delle cattive pratiche nel contesto della vita politica e della televisione.
8. Nell’ottobre 1996, la RAI (televisione pubblica) preparava un’emissione culturale denominata L’altra edicola alla quale era invitata lo scrittore A. B. che si trovava nei locali della RAI a Roma, ed il filosofo Gianni V. che si trovava nei locali della RAI a Torino. La registrazione della loro conversazione aveva luogo sulle frequenze citate all’uso interno della RAI ed era destinata a selezionare le immagini utili alla diffusione. All’epoca della registrazione, una lite esplose tra i due invitati. L’animatrice dell’emissione chiese poi ai suoi collaboratori così M. V. aveva firmato l’autorizzazione di diffusione delle immagini. Dopo avere ricevuto una risposta negativa, esclamò: “Non è possibile! (…) Si è fatto apposta a metterli insieme, questi due! .”
9. Queste immagini furono intercettate dagli apparecchi di Canale 5 nella cornice del monitoraggio dell’attività delle altre reti. Il richiedente decise poi di diffonderli all’epoca di due emissioni di Striscia la notizia, il 21 e 26 ottobre 1996, e questo per smontare la “vera natura della televisione”, dove tutto è costruito per creare dello spettacolo. Secondo il richiedente, lo scopo dell’emissione L’altra edicola non era di commentare l’ultimo libro del Sig. V., ma di fare esplodere una lite tra i due invitati, per fare montare l’udienza.
10. Il 14 maggio 1997, la RAI sporse querela contro il richiedente per intercettazione fraudolenta di comunicazioni confidenziali interni alla sistema telematica della RAI e per divulgazione del contenuto delle immagini al pubblico. Nella cornice del procedimento penale, la RAI ed il Sig. V. si costituirono parti civili. La prima sollecitò il risarcimento dei danni subiti, valutati a 500 000 euros (EUR), ed il Sig. V. chiese la concessione di 516 456,89 EUR per danno morale e per la violazione del suo diritto alla vita privata, diritto andò riservatezza, e del suo diritto all’immagine.
11. Il richiedente era accusato in particolare dei reati previsti dall’articolo 617 quater del codice penale (CP), intitolato “Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche”. Nelle sue parti pertinenti, questa disposizione si legge come segue:
“Chiunque, in modo fraudolenta, intercetta delle comunicazioni [al seno d ‘] un sistema informatico o telematica è punito dalla reclusione [per una durata] arzillo di sei mesi a quattro anni.
(…) la stessa pena si applica a chiunque rivelo, col verso di tutto medio di informazione [per lui] pubblico, tutto o partire del contenuto di comunicazioni [come descritte] al paragrafo 1.
(…).
[Il perseguimento è impegnato] di uno vai di ufficio e la pena di reclusione a cinque anni se lo fa è commesso:
1, allo scapito di un sistema informatico o telematica utilizzata dallo stato o con un altro organismo pubblico o con un’impresa che fornisce dei servizi pubblici o di necessità pubblica;
(…). “
12. Durante il processo, il richiedente addusse che Canale 5 aveva acquisito le immagini con captazione involontaria del segnale della RAI, nella cornice del monitorage del paesaggio audiovisivo praticato in modo abituale alle fini di raccogliere delle informazione e delle immagini di altre reti. Addusse anche che la divulgazione delle immagini al pubblico rilevava dell’esercizio del suo diritto di critica e del suo diritto di satira.
13. Con un giudizio del 12 aprile 2002 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 16 maggio 2002, il tribunale di Milano rilasciò il richiedente del capo di imputazione di intercettazione di comunicazioni che rilevano di una sistema telematica. Lo condannò in compenso a quattro mesi e cinque giorni di detenzione col beneficio della condizionale per divulgazione al pubblico di comunicazioni interne alla sistema telematica della RAI. Il richiedente fu condannato anche al pagamento di onere di procedimento all’altezza 6 000 EUR in favore della RAI e di 5 000 EUR in favore di M.V, così come al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili di cui l’importo doveva essere fissato dalla via di un procedimento civile separato. Il tribunale di Milano indicò mentre il richiedente era tenuto di versare immediatamente, a titolo di acconto, 10 000 EUR a ciascuna delle parti civili.
14. Il tribunale stimò innanzitutto, sulla base delle perizie e delle testimonianze fatte ai dibattimenti, che non c’era prova che l’intercettazione della registrazione dell’emissione L’altra edicola abbia avuto luogo in modo fraudolento o alla domanda del richiedente.
15. Il tribunale osservò poi che il secondo paragrafo dell’articolo 617 quater del CP, punendo la divulgazione di certe comunicazioni, miravano a proteggere la confidenzialità di queste ultime. Nello specifico, era evidente che il video diffuso dal richiedente era una comunicazione interna confidenziale della RAI. Non era pertinente di attardarsi sul contenuto del video, perché il reato descritto 617 quater all’articolo § 2 era costituito dal solo fatto della diffusione di comunicazioni confidenziali. Ne andava parimenti in ciò che riguardava lo scopo perseguito dal richiedente, dal momento che questo ultimo non poteva invocare utilmente il diritto di satira per giustificare una divulgazione vietata dalla legge.
16. Il richiedente interpose appello, adducendo che la divulgazione di comunicazioni era punibile solamente nel caso dove la loro intercettazione aveva avuto luogo in modo fraudolento. Invocò di nuovo il suo diritto di critica e di cronaca, facendo valere che la diffusione del video era necessaria per realizzare l’obiettivo del programma Striscia la notizia, a sapere dimostrare che l’oggetto reale della televisione era la speculazione della realtà. Secondo il richiedente, le immagini della disputa mettevano in evidenza che l’obiettivo del programma L’altra edicola non era di mettere a posto un dibattito culturale, ma di creare un tafferuglio su un vassoio di televisione. Chiese infine che gli siano riconosciute delle circostanze attenuanti e che la condanna al risarcimento dei danni sia annullata.
17. Con una sentenza del 23 gennaio 2004 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 24 aprile 2004, la corte di appello di Milano confermò il giudizio di prima istanza.
18. La corte di appello stimò in primo luogo che gli elementi raccolti portavano a credere che l’intercettazione era stata fraudolenta, ma che niente dimostrava solamente il richiedente era l’autore o l’accomandante. Ad ogni modo, l’articolo 617 quater dovevano essere interpretati nel senso che la divulgazione di informazione poteva essere punita anche se il reato descritto al primo paragrafo non era costituito ed anche se l’autore della divulgazione aveva avuto cognizione delle comunicazioni in modo fortuite. Nello specifico, la comunicazione della RAI aveva avuto luogo su una frequenza destinata al suo uso interno; era ci stata dunque violazione della confidenzialità delle comunicazioni di questa impresa. In questo contesto, il contenuto della comunicazione intercettata o il carattere “di interesse pubblico” della sua diffusione non era pertinente, ogni persona, fisica o giuridica, ivi compreso la RAI, gaudente di un diritto alla confidenzialità protetta dalla legge.
19. La corte di appello abbordò poi la questione del conflitto tra i diritti alla confidenzialità delle comunicazioni (articolo 15 della Costituzione) e la libertà di espressione (articolo 21 della Costituzione). Osservò che in principio, l’esercizio del diritto di critica poteva giustificare la divulgazione di una comunicazione proibita. Ciò che era a questo riguardo determinante era l’interesse sociale dell’informazione diffusa, un interesse pubblico fondamentale potendo annullare il carattere delittuoso della condotta del divulgatore. Per esempio, sarebbe stato lecito diffondere un video che mostra che la RAI manipolava la dibattito politica in favore di un certo partito. Però, tale non era il caso nello specifico, dove si era visto l’animatrice di un dibattito culturale lamentarsi di ciò che il Sig. V. non aveva autorizzato la diffusione delle immagini e che la sua lite col Sig. Busi non poteva essere mostrata al pubblico dunque. Secondo il richiedente, questo incidente aveva un interesse per il pubblico, perché mostrava la vera natura del fenomeno della televisione come strumento di mistificazione della realtà per aumentare l’udienza. Ora, questo punto di vista, per degno di rispetto che fosse, poteva essere esposto citando altri prodotti della televisione e senza violare la confidenzialità delle registrazioni della RAI. L’informazione divulgata dal richiedente, il fatto che un’animatrice di televisione era contrariata di non potere fare un “scoop”) era in realtà senza importanza, ed unica il modo di cui era stata presentata al pubblico era suscettibile di attirare l’attenzione di questo ultimo.
20. Il richiedente si ricorse in cassazione.
21. Con una sentenza del 19 maggio 2005 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 1 febbraio 2006, la Corte di cassazione annullò senza rinvio la sentenza della corte di appello, al motivo che il reato rimproverato al richiedente era prescritto dal 21 aprile 2004. Confermò la condanna dell’interessato al risarcimento delle parti civili e lo condannò al pagamento degli oneri di procedimento della RAI che ammontava a 3 000 EUR.
22. La Corte di cassazione confermò che i reati previsti dai primo e secondo paragrafi dell’articolo 617 quater del CP erano autonomi e distinte e potevano essere commesse dai motivi differenti; di più, la divulgazione di una comunicazione confidenziale era anche punibile nella mancanza di carattere fraudolento della sua intercettazione.
23. La Corte di cassazione ossevò infine che il diritto alla critica, alla cronaca e alla satira doveva essere riconosciuto nel modo più ampio possibile, essendo garantito dall’articolo 21 del Costituzione e avendo i cittadini il diritto a essere informati tramite i mezzi più incisivi. Però, nello specifico, questo diritto non poteva essere invocato, perché non si trattava di una causa di diffamazione, ma di una causa di divulgazione di informazione confidenziali non diffamatori. La confidenzialità di queste comunicazioni era garantita dall’articolo 15 della Costituzione, e l’esercizio del diritto di satira non poteva giustificare la divulgazione. In queste condizioni, non era pertinente di esaminare se le informazione diffuse erano vere, se c’era un interesse pubblico alla loro divulgazione o se la forma di espressione utilizzata fosse adeguata.
24. Il 15 novembre 2006, il Sig. V. investe il tribunale civile di Milano per ottenere il risarcimento dei danni subiti in seguito al reato commesso dal richiedente e di cui era stato vittima.
25. Con un giudizio del 4 agosto 2009 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 26 agosto 2009, il tribunale di Milano condannò il richiedente a versare al Sig. V. l’intimo di 30 000 EUR a titolo di risarcimento. Osservò che c’era stata una violazione del diritto all’immagine e del diritto alla vita privata della parte attrice che non era giustificata da nessuno interesse pubblico significativo. Il danno morale che deriva del reato considerato dalle giurisdizioni penali doveva essere valutato in equità, avendo riguardo all’udienza dell’emissione Striscia la notizia ed alle ripercussioni della diffusione controversa per il Sig. V., filosofo e professore di università. Questa decisione passò in forza di cosa giudicata ad una data che non è stata precisata.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 10 DELLA CONVENZIONE
26. Il richiedente adduce che la sua condanna per la divulgazione della registrazione dell’emissione L’altra edicola ha violato il suo diritto alla libertà di espressione. Considera che al visto dello scopo dell’emissione Striscia la notizia, aveva bene il diritto di informare il pubblico in quanto alla natura della televisione ed all’ipocrisia che la caratterizzava.
Invoca l’articolo 10 della Convenzione, così formulato:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare delle informazione o delle idee senza che possa esserci ingerenza di autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il presente articolo non impedisce gli Stati di sottoporre le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione ad un regime di autorizzazioni.
2. L’esercizio di queste libertà che comprendono dei doveri e delle responsabilità può essere sottomesso a certe formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge che costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla sicurezza pubblica, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione del crimine, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazione confidenziali o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziale. “
27. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
1. L’eccezione del Governo derivata dalla tardività della richiesta
28. Il Governo eccepisce innanzitutto della tardività della richiesta. Osserva che la decisione interna definitiva concernente la condanna del richiedente, a sapere la sentenza della Corte di cassazione del 19 maggio 2005, è stata depositata alla cancelleria il 1 febbraio 2006, paragrafo 21 sopra. Ora, il formulario di richiesta è datato del 12 settembre 2006 e è stato ricevuto dalla cancelleria della Corte il 19 settembre 2006. Ci sarebbe stato dunque superamento del termine di sei mesi contemplati 35 § 1 all’articolo della Convenzione.
29. Il richiedente rileva che la sua prima comunicazione alla Corte che espone il contenuto della sua motivi di appello data di luglio 2006.
30. La Corte ricorda che conformemente alla pratica stabilita degli organi della Convenzione ed all’articolo 47 § 5 del suo ordinamento, considera normalmente che la richiesta è reputata introdotta alla data della prima comunicazione del richiedente che indica l’intenzione dell’interessato del sequestro ed esponendo, anche sommariamente, la natura della richiesta. Questa prima comunicazione interrompe il corso del termine di sei mesi, Kemevuako c. Paesi Bassi, déc.), no 65938/09, § 19, 1 giugno 2010, e Yartsev c. Russia, déc.), no 13776/11, § 21, 26 marzo 2013.
31. La regola dei sei mesi ha per oggetto, da una parte, di garantire la sicurezza giuridica e di badare a ciò che le cause controverse allo sguardo della Convenzione siano esaminate in un termine ragionevole e, altro parte, di proteggere le autorità ed altre persone riguardate dell’incertezza dove li lascerebbe lo scorrimento prolungato del tempo. Siccome la Corte ha avuto già l’occasione dell’argomento, sarebbe contrario allo spirito ed alla finalità di questa regola di considerare che, col verso di qualsiasi comunicazione iniziale, un richiedente potrebbe sretere il procedimento stabilito con la Convenzione restare inattivo durante una durata inspiegata ed indeterminata poi. I richiedenti devono dare seguito alla loro richiesta con un zelo ragionevole dopo il primo contatto dunque, qualunque sia, P.M. c. Regno Unito, déc.), no 6638/03, 24 agosto 2004. A difetto, la Corte considera generalmente che l’interruzione del termine di sei mesi è nulla e che è la data di sottomissione del formulario di richiesta completa che deve essere considerata come data di introduzione della richiesta (Kemevuako, decisione precitata, § 20.
32. Nello specifico, la prima comunicazione del richiedente è stata mandata il 18 luglio 2006 e è stata ricevuta dalla cancelleria della Corte il 24 luglio 2006. Con una lettera del 31 luglio 2006, la cancelleria ha invitato il richiedente a mandare, entro sei settimane, il formulario di richiesta, debitamente pieno ed accompagnato dei documenti pertinenti per l’esame della sua causa. Il formulario ed i documenti sono stati mandati il 12 settembre 2006 e sono stati ricevuti dalla cancelleria il 19 settembre 2006, dunque in un termine ragionevole. In queste circostanze, la Corte considera che la richiesta è stata introdotta il 18 luglio 2006, dunque meno di sei mesi dopo la data del deposito alla cancelleria della decisione interna definitiva, 1 febbraio 2006-paragrafo 21 sopra.
33. Segue che l’eccezione del Governo derivato della tardività della richiesta non saprebbe essere considerata.
2. Altri motivi di inammissibilità
34. La Corte constata che la richiesta non è manifestamente male fondata al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione, e che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararla ammissibile dunque.
B. Sul fondo
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
35. Il richiedente stima che le giurisdizioni italiane hanno dato al diritto di critica e di satira un’interpretazione troppo stretta che non saprebbe quadrare con l’articolo 10 della Convenzione. Tanto in dritto interno che allo sguardo della Convenzione, l’esercizio di questo diritto può costituire una giustificazione alla diffusione di comunicazioni confidenziali, tutto siccome costituisce una giustificazione agli attentati potenziali alla reputazione di altrui o alla diffusione di dati a carattere personale. Sarebbe eccessivo di stimare che una comunicazione confidenziale non può essere diffusa mai, qualunque ne sia il contenuto. A questo riguardo, il richiedente sostiene che, per esempio, la pubblicazione nella stampa del contenuto di ascolti telefonici coperti col segreto dell’istruzione è diventata in Italia una pratica corrente, non contestata dalle autorità.
36. Nello specifico, il richiedente era accusato di avere diffuso dei suoni e delle immagini che circolavano con via hertziana, ed erano stati captati senza frode qualsiasi. Tutto come i suoi omologhi, Striscia la notizia stava semplicemente controllando ciò che accadeva in altre emissioni; ora, questo comportamento non saprebbe essere paragonato ad altre forme più intrusive di intercettazione, come l’apertura della corrispondenza o la registrazione di conversazioni telefoniche.
37. Il richiedente considera che non c’era nessuno “bisogno imperioso” di proteggere l’immagine e la reputazione del Sig. V.. Questo ultimo non ha introdotto nessuna azione in giustizia difatti prima che la RAI non lo faccia lei stessa. Le immagini diffuse da Striscia la notizia mostravano l’utilizzazione indiretta ed ipocrita della televisione, di tanto più sorprendente nella cornice di un’emissione culturale della rete pubblica RAI come L’altra edicola. Il fatto che una tale utilizzazione poteva essere conosciuta o sospettato del pubblico non cambiava niente all’interesse l’informazione, conto tenuto in particolare dell’influenza e del potere mediatico della televisione nelle società moderne. Concludere equivarrebbe diversamente a vietare i servizi concernente i crimini sotto pretesto che i cittadini sanno che la criminalità esiste. Il richiedente desiderava ammontare in modo tangibile, una volta di più, l’impoverimento della qualità delle emissioni teletrasmesse finanziate dallo stato. Questo scopo legittimo e veramente di interesse generale avrebbe dovuto prevalere sull’interesse della RAI alla confidenzialità delle sue comunicazioni.
b) Il Governo
38. Il Governo afferma che non c’è stata ingerenza nei diritti garantiti dall’articolo 10 della Convenzione, dato che la condanna del richiedente è senza rapporto con la libertà di espressione dell’interessato. Questo ultimo non è stato condannato per avere espresso un’opinione, ma per avere diffuso deliberatamente delle comunicazioni confidenziali. A questo riguardo, il Governo ricorda che la Corte di cassazione ha precisato che l’esercizio del diritto di critica e di satira non poteva essere invocato nello specifico, perché non saprebbe giustificare la registrazione e la diffusione illecita di comunicazioni protette con l’articolo 15 della Costituzione. La libertà di espressione può in compenso, in certi casi, giustificare degli attentati all’onore ed alla reputazione di altrui. Il Governo ricorda anche che l’articolo 10 non accorda all’individuo il diritto di aderire ad un registro dove figurano delle informazioni sulla sua propria situazione, né non obbligare il governo a comunicarglieli, Leander c. Svezia, 26 marzo 1987, § 74, serie Ha no 116.
39. A supporre anche che ci sia stata ingerenza, il Governo considera che questa era previsto dalla legge-a sapere, con l’articolo 617 quater del CP-e che inseguiva gli scopi legittimi di proteggere la reputazione o i diritti di altrui- nell’occorrenza, del Sig. V.-e di impedire la divulgazione di informazione confidenziali.
40. Per ciò che è della proporzionalità dell’ingerenza, il Governo osserva che due interessi entravano in conflitto nello specifico: da un lato, l’interesse di un giornalista, il richiedente, a diffondere col verso di un programma teletrasmesso delle immagini e dei suoni illegalmente ottenute concernente un incidente sopraggiunto entri gli individui; dell’altro, l’interesse dei proprietari legittimi di queste immagini e di questi suoni, il Sig. V. e la RAI. Le autorità giudiziali nazionali hanno cercato di predisporre un giusto equilibro tra questi due interessi, mettendo in bilancia il diritto alla libertà di espressione invocata dal richiedente ed il diritto al segreto delle comunicazioni, garantiti con l’articolo 15 della Costituzione e con l’articolo 8 della Convenzione. Hanno concluso che questo ultimo diritto doveva prevalere nello specifico e hanno escluso l’esistenza di interessi pubblici importanti che giustificano una violazione della confidenzialità. Come la corte di appello l’ha indicato, paragrafo 19 sopra, l’informazione divulgata dal richiedente era in realtà senza importanza, gli spettatori che sono buoni coscienti per il fatto che gli animatori di televisione cercano di creare dei “scoop”; peraltro, il richiedente avrebbe potuto esporre le sue opinioni sulla natura della televisione senza violare la confidenzialità delle registrazioni della RAI.
41. Gli argomenti del richiedente sono stati esaminati in dettaglio e sono stati respinti dalle giurisdizioni interne; queste hanno, in sostanza, fatto applicazione dei criteri che risultano della giurisprudenza della Corte in materia di “necessità” e di “bisogno sociale imperioso”, e hanno stimato che la protezione della confidenzialità dei dati doveva prevalere sul diritto alla libertà di espressione invocata dal richiedente. Nei cause Guja c. Moldova, no 14277/04, §§ 69-78, 12 febbraio 2008, e Stoll c. Svizzera ([GC] no 69698/01, §§ 102-112, ECHR 2007-V, la Corte ha affermato che solo un interesse pubblico fondamentale può giustificare la divulgazione di informazione confidenziali, quando nessuno altro mezzo non permette di raggiungere l’obiettivo previsto dal giornalista. Ora, queste due condizioni mancavano nello specifico ed il richiedente non poteva pretendere ignorare che la divulgazione era vietata con l’articolo 617 quater del CP. Bisognerebbe tenere anche conto per il fatto che il video diffuso dal richiedente riguardava un’emissione che era ancora in preparazione e che non era certo che la RAI avrebbe desiderato mostrare al pubblico la sgrido sopraggiunta entro Sigg. V. e Busi. Infine, la condanna del richiedente al risarcimento dei danni non potrebbe passare per una sanzione eccessiva o sproporzionata, e la Corte non sarebbe competente per conoscere di errori di fatto o di diritto presumibilmente commesso da una giurisdizione interna.
2. Valutazione della Corte
a), Sull’esistenza di un’ingerenza
42. La Corte osserva che il richiedente è stato condannato per avere diffuso delle comunicazioni confidenziali e che l’interessato ha affermato, tanto dinnanzi alle giurisdizioni nazionali che dinnanzi alla Corte, che aveva proceduto ad una tale divulgazione per rivelare al pubblico un caso di utilizzazione indiretta ed ipocrita della televisione e per mostrare in modo tangibile l’impoverimento della qualità delle emissioni teletrasmesse finanziate dallo stato. In queste circostanze, la Corte considera che l’interessato mirava a comunicare delle informazione o delle idee e che la sua condanna ha costituito un’ingerenza nel suo diritto alla libertà di espressione, come garantito con l’articolo 10 § 1 della Convenzione.
b) Sulla giustificazione dell’ingerenza,: la previsione da parte della legge ed il perseguimento di un scopo legittimo
43. Un’ingerenza è contraria alla Convenzione se non rispetta le esigenze contemplate al paragrafo 2 dell’articolo 10. C’è luogo dunque di determinare se era “prevista dalla legge”, se prevedeva uno o parecchi degli scopi legittimi enunciati in questo paragrafo e se fosse “necessaria in una società democratica” per raggiungere questo o questi scopi, Pedersen e Baadsgaard c. Danimarca, no 49017/99, § 67, CEDH 2004-XI.
44. Non è contestato che l’ingerenza era prevista sopra dalla legge, a sapere con l’articolo 617 quater del CP, paragrafo 11. La Corte ammette che l’ingerenza prevedeva gli scopi legittimi di proteggere la reputazione o i diritti di altrui -nell’occorrenza, del Sig. V.-e di impedire la divulgazione di informazione confidenziali.
45. Resta a verificare se l’ingerenza era “necessaria in una società democratica.”
c, Sulla necessità dell’ingerenza in una società democratica
i. Principi generali
46. La stampa gioca un ruolo eminente in una società democratica: se non deve superare certi limiti, tenendo in particolare alla protezione della reputazione ed ai diritti di altrui, gli spetta tuttavia di comunicare, nel rispetto dei suoi doveri e delle sue responsabilità, delle informazione e delle idee su tutte le questioni di interesse generale, Di Haes e Gijsels c. Belgio, 24 febbraio 1997, § 37, Raccolta 1997-I. Alla sua funzione che consiste in diffondere ne si aggiunge il diritto, per il pubblico, di ricevere ne. Se ne andasse diversamente, la stampa non potrebbe sostenere il suo ruolo indispensabile di “cane da guardia”, Thorgeir Thorgeirson c. Islanda, 25 giugno 1992, § 63, serie Ha no 239, e Bladet Tromsø e Stensaas c. Norvegia [GC], no 21980/93, § 62, CEDH 1999-III. Oltre la sostanza delle idee ed informazione espresse, l’articolo 10 protegge il loro modo di espressione, Oberschlick c. Austria (no1), 23 maggio 1991, § 57, serie Ha no 204. La libertà giornalistica comprende anche il ricorso possibile ad una certa dose di esagerazione, o addirittura di provocazione, Prager ed Oberschlick c. Austria, 26 aprile 1995, § 38, serie Ha no 313; Thoma c. Lussemburgo, no 38432/97, §§ 45 e 46, CEDH 2001-III; Perna c. Italia [GC], no 48898/99, § 39, CEDH 2003-V.
47. L’aggettivo “necessario”, al senso dell’articolo 10 § 2, implica l’esistenza di un “bisogno sociale imperioso.” Gli Stati contraenti godono di un certo margine di valutazione per giudicare dell’esistenza di un tale bisogno, ma questo margine va di pari in passo con un controllo europeo che cade al tempo stesso sulla legge e sulle decisioni che applicano questa, anche quando provengono di una giurisdizione indipendente. La Corte ha competenza per deliberare sul punto di sapere da ultimo dunque se una “restrizione” si concilia con la libertà di espressione salvaguardata dall’articolo 10, Janowski c. Polonia [GC], no 25716/94, § 30, CEDH 1999-I, ed Associazione Ekin c. Francia, no 39288/98, § 56, CEDH 2001-VIII.
48. Nell’esercizio del suo potere di controllo, la Corte non ha per compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne competenti, ma di verificare sotto l’angolo dell’articolo 10 le decisioni che hanno reso in virtù del loro potere di valutazione, Fressoz e Roire c. Francia [GC], no 29183/95, § 45, CEDH 1999-I. Non segue che debba limitarsi a ricercare se lo stato convenuto si è avvalso di questo potere di buona fede, con cura ed in modo ragionevole; gli occorre considerare l’ingerenza controversa alla luce dell’insieme della causa, ivi compreso il tenore dei propositi rimproverati al richiedente ed il contesto in che questo li ha tenuti, News Verlags GmbH & Co. Kg c. Austria, no 31457/96, § 52, CEDH 2000-I.
49. In particolare, incombe sulla Corte di determinare se i motivi invocati dalle autorità nazionali per giustificare l’ingerenza appaiono “pertinenti e sufficienti” e se la misura incriminata era “proporzionata agli scopi legittimi perseguiti”, Chauvy ed altri c. Francia, no 64915/01, § 70, CEDH 2004-VI. Ciò che fa, la Corte deve convincersi che le autorità nazionali hanno, basandosi su una valutazione accettabile dei fatti pertinenti, applicato delle regole conformi ai principi consacrati dall’articolo 10 (vedere, tra molto altri, Zana c. Turchia, 25 novembre 1997, § 51, Raccolta 1997-VII; Di Diego Nafría c. Spagna, no 46833/99, § 34, 14 marzo 2002; Pedersen e Baadsgaard, precitata, § 70.
50. Il diritto dei giornalisti di comunicare delle informazione su delle questioni di interesse generale è protetto purché agiscono di buona fede, sulla base di fatti esatti, e forniscono delle informazione “affidabili e precise” nel rispetto dell’etica giornalistica (vedere, per esempio, le sentenze precitati Fressoz e Roire, § 54; Bladet Tromsø e Stensaas, § 58; e Prager ed Oberschlick, § 37. Il paragrafo 2 dell’articolo 10 della Convenzione sottolinea che l’esercizio della libertà di espressione comprende dei “doveri e responsabilità” che valgono anche per i media, anche trattandosi di questioni di un grande interesse generale. Di più, questi doveri e responsabilità possono rivestire dell’importanza quando si rischia di recare per nome offesa alla reputazione di una persona citata e di nuocere ai “diritti di altrui.” Per potere rilevare i media dell’obbligo che tocca loro normalmente di verificare potenzialmente i dichiarazioni dei fatti diffamatori contro individui, devono esistere dei motivi specifici. A questo riguardo entrano specialmente in gioco la natura ed il grado della diffamazione potenziale e la questione di sapere a che punto il media può considerare ragionevolmente le sue sorgenti come credibili per ciò che è delle affermazioni in causa (vedere, entri altri, McVicar c. Regno Unito, no 46311/99, § 84, CEDH 2002-III, e Standard Verlagsgesellschaft MBH, (no 2, c,). Austria, no 37464/02, § 38, 22 febbraio 2007.
51. Nei casi dove si trovava in causa la diffusione di informazione di natura confidenziale, la Corte ha ricordato che la condanna di un giornalista per divulgazione delle tali informazione può dissuadere i professionisti dei media di informare il pubblico su delle questioni di interesse generale. In simile caso, la stampa potrebbe essere non più in grado di sostenere il suo ruolo indispensabile di “cane da guardia” e la sua attitudine a fornire delle informazione precise ed affidabili potrebbe trovare ridotta si. Per determinare se la misura controversa era tuttavia necessaria nello specifico, parecchi aspetti distinti sono ad esaminare: gli interessi in presenza; il controllo esercitato dalle giurisdizioni interne; il comportamento del richiedente così come la proporzionalità della sanzione pronunziata (Stoll, precitata, §§ 109-112.
52. Difatti, la natura e la pesantezza delle pene inflitte sono anche degli elementi a prendere in considerazione quando si tratta di misurare la proporzionalità dell’ingerenza (vedere, per esempio, Ceylon c. Turchia [GC], no 23556/94, § 37, CEDH 1999-IV, e Tammer c. Estonia, no 41205/98, § 69, CEDH 2001-I. In particolare, nel causa Cumpănă e Mazăre c. Romania ([GC], no 33348/96, §§ 113-115, CEDH 2004-XI, la Corte ha affermato i seguenti principi:
“113. Se gli Stati contraenti hanno la facoltà, addirittura il dovere, in virtù dei loro obblighi positivi a titolo dell’articolo 8 della Convenzione, di regolamentare l’esercizio della libertà di espressione in modo da garantire una protezione adeguata con la legge della reputazione degli individui, devono evitare ciò che fa di adottare delle misure proprie a dissuadere i media di assolvere il loro ruolo di allerta del pubblico in caso di abusi apparenti o supposti del potere pubblico. I giornalisti di investigazione rischiano di essere reticenti ad esprimersi su delle questioni che presentano un interesse generale se inseguono il pericolo di essere condannati, quando la legislazione contempla delle tali sanzioni per gli attacchi ingiustificati contro la reputazione di altrui, alle pene di prigione o di interdizione di esercizio della professione.
114. L’effetto dissuasivo che il timore delle uguali sanzioni porta per l’esercizio con questi giornalisti della loro libertà di espressione è manifesto. Nocivo per la società nel suo insieme, gli fa anche partire degli elementi a prendere in conto nella cornice della valutazione della proporzionalità-e dunque della giustificazione- delle sanzioni inflitte.
115. Se la determinazione delle pene è in principio l’appannaggio delle giurisdizioni nazionali, la Corte considera che una pena di prigione inflitta per una violazione commessa nella tenuta della stampa non è compatibile con la libertà di espressione giornalistica garantita dall’articolo 10 della Convenzione che nelle circostanze eccezionali, in particolare quando di altri diritti fondamentali sono stati raggiunti gravemente come nell’ipotesi, per esempio, della diffusione di un discorso di odio o di incitamento alla violenza. “
53. Conviene ricordare, infine che nelle cause siccome la presente che necessitano un collocamento in bilancia del diritto al rispetto della vita privata e del diritto alla libertà di espressione, la Corte considera che la conclusione della richiesta non saprebbe in principio variare a seconda che è stata portata dinnanzi a lei, sotto l’angolo dell’articolo 8 della Convenzione, con la persona che è oggetto del servizio o, sotto l’angolo dell’articolo 10, con l’editore che l’ha pubblicato. Difatti, questi diritti meritano ha a priori un uguale rispetto. Quindi, il margine di valutazione dovrebbe in principio essere lo stesso nei due casi. Se il collocamento in bilancia con le autorità nazionali si è fatto nel rispetto dei criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte, occorre delle ragioni serie affinché questa sostituisce il suo parere a quello delle giurisdizioni interne, MGN Limited c. Regno Unito, no 39401/04, §§ 150 e 155, 8 gennaio 2011, e Palomo Sánchez ed altri c. Spagna [GC], nostri 28955/06, 28957/06, 28959/06 e 28964/06, § 57, ECHR 2011 -.. ).
ii. Applicazione di questi principi al caso di specie
54. La Corte rileva innanzitutto che non saprebbe accettare l’argomento del tribunale di Milano, paragrafo 15 sopra, e della Corte di cassazione, paragrafo 23 sopra secondo che la protezione delle comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematica escludono in principio ogni possibilità di collocamento in bilancia con l’esercizio della libertà di espressione. Difatti, della giurisprudenza citata sopra al paragrafo 51, risulta che anche quando delle informazione confidenziali sono diffuse, parecchi aspetti distinti sono ad esaminare, a sapere gli interessi in presenza, il controllo esercitato dalle giurisdizioni interne, il comportamento del richiedente e la proporzionalità della sanzione pronunziata.
55. In quanto al primo punto, il richiedente afferma che la registrazione diffusa dell’emissione L’altra edicola riguardava un motivo di interesse generale, a sapere la funzione e la “vera natura” della televisione nella società moderna. La Corte osserva che il ruolo giocato dalla televisione pubblica in una società democratica è un motivo di interesse generale. È prestato dunque ad ammettere che la collettività poteva avere un certo interesse ad essere informata di ciò che l’animatrice di un programma teletrasmesso pubblico rimpiangeva di non potere diffondere una lite tra i suoi invitati e poteva dire avere scelto questi ultimi rispetto alla probabilità che una tale lite esplode. Effettivamente, era possibile vedere il sintomo di una volontà di impressionare e divertire il pubblico piuttosto che di fornirgli delle informazione a contenuto culturale. Non ne rimane meno che, per il richiedente, si trattava soprattutto, agli occhi della Corte, di stigmatizzare e di ridicolizzare un comportamento individuale. Se il richiedente desiderava aprire un dibattito su un motivo di interesse fondamentale per la società, come il ruolo dei media teletrasmessi, altri vie che non comprendevano nessuna violazione della confidenzialità delle comunicazioni telematiche, si aprivano a lui. La corte di appello di Milano l’ha sottolineato a buon diritto, paragrafo 19 sopra. La Corte ne terrà conto nel collocamento in bilancia del diritto del richiedente alla libertà di espressione rispetto agli scopi legittimi perseguiti dallo stato.
56. Per ciò che è del controllo esercitato dalle giurisdizioni interne, la Corte nota che unica la corte di appello di Milano ha abbordato la questione del conflitto tra i diritti alla confidenzialità delle comunicazioni e la libertà di espressione. Ha legato un’importanza particolare all’interesse sociale dell’informazione diffusa, concludente che nello specifico non poteva passare per “fondamentale”, paragrafo 19 sopra. La Corte stima che una tale analisi non è inficiata di arbitrarietà e che è stata fatta nel rispetto dei criteri stabiliti dalla sua giurisprudenza.
57. Per ciò che è del comportamento del richiedente, la Corte rileva che la registrazione controversa aveva avuto luogo su una frequenza riservata all’uso interno della RAI, paragrafi 8 e 18 sopra. Questo non poteva essere ignorato dal richiedente, professionale dell’informazione che era o sarebbe dovuto essere dunque cosciente per il fatto che la diffusione della registrazione ignorava la confidenzialità delle comunicazioni della rete di televisione pubblica. Segue che il richiedente non ha agito nel rispetto dell’etica giornalistica (vedere i principi enunciati sopra al paragrafo 50).
58. Alla luce di ciò che precede, la Corte saprebbe concludere solamente una condanna contro il richiedente era in si contrario all’articolo 10 della Convenzione.
59. Non ne rimane meno che, come ricordato sopra al paragrafo 52, la natura e la pesantezza delle pene inflitte sono anche degli elementi a prendere in considerazione quando si tratta di misurare la proporzionalità dell’ingerenza. Ora, nello specifico, ne più del risarcimento dei danni, il richiedente è stato condannato a quattro mesi e cinque giorni di detenzione, paragrafo 13 sopra. Sebbene ci sia stato sospesi all’esecuzione di questa sanzione e bene che la Corte di cassazione abbia dichiarato il reato prescritto, paragrafo 21 sopra, la Corte considera che l’infliction in particolare di una pena di prigione ha potuto avere un effetto dissuasivo significativo. Peraltro, il caso di specifico che cadeva sulla diffusione di un video di cui il contenuto non era di natura tale da provocare un danno importante, non era segnato da nessuna circostanza eccezionale che giustifica anche il ricorso ad una sanzione severa.
60. La Corte stima che, per la natura ed il quanto della sanzione imposta al richiedente, l’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione di questo ultimo non è restata proporzionata agli scopi legittimi perseguiti.
61. C’è stata dunque violazione dell’articolo 10 della Convenzione.
II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
62. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
63. Il richiedente richiede 50 000 euro (EUR) a titolo del danno morale che avrebbe subito.
64. Il Governo osserva che il richiedente non ha fornito nessuna prova in quanto all’esistenza, alla natura ed all’intensità del danno morale che adduce. Di più, non ha dimostrato l’esistenza di un legame di causalità tra le pretese violazioni dei suoi diritti e questo danno. Quindi, la sua domanda non sarebbe supportata.
65. La Corte stima che la sua constatazione di violazione dell’articolo 10 costituisce a questo riguardo una soddisfazione equa sufficiente e di non accordare dunque nessuna somma a questo capo.
B. Oneri e spese
66. Il richiedente non ha fatto domanda per gli oneri e le spese impegnate dinnanzi alle giurisdizioni interne o dinnanzi alla Corte. Pertanto, la Corte stima che non c’è luogo di concedere egli di somma a questo titolo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile,;

2. Stabilisce, per sei voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione;

3. Stabilisce, per sei voci contro una, che la constatazione di una violazione rappresenta in sé una soddisfazione equa sufficiente per ogni danno morale potuto essere subito dal richiedente;

4. Respinge, all’unanimità, la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto l’ 8 ottobre 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Danutė Jočienė
Cancelliere Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione separata dal giudice I. Karakaş.
D.J.
S.H.N.

OPINIONE DISSIDENTE DEL GIUDICE KARAKAŞ

Non posso aderire al ragionamento ed alla conclusione adottato dalla maggioranza nella presente causa.

Il diritto di critica e di satira deve essere riconosciuto certo e deve essere protetto sul terreno dell’articolo 10 ma il caso di specifico, come la Corte di cassazione italiana l’ha sottolineato proprio, riguardava la divulgazione di informazione confidenziali non diffamatori. Si trattava di una causa dunque dove doveva essere predisposto un giusto equilibrio tra le libertà di espressione ed il diritto alla confidenzialità delle comunicazioni.

La diffusione di informazione di natura confidenziale è una tenuta dove la Corte e la Commissione hanno avuto già l’occasione di pronunciarsi (vedere Z. c). Svizzera, no 10343/83, decisione della Commissione del 6 ottobre 1983, Decisioni e rapporti 35, p. 229; Weber c. Svizzera, no 11034/84, 22 maggio 1990, serie Ha no 177; Osservare e Guardian c. Regno Unito, no 13585/88, 26 novembre 1991, serie Ha no 216; Hadjianastassiou c. Grecia, no 12945/87, 16 dicembre 1992, serie Ha no 252; Fressoz e Roire c. Francia [GC], no 29183/95, 21 gennaio 1999, Edizioni Plon c. Francia, no 58148/00, 18 maggio 2004, Tourancheau e July c. Francia, no 53886/00, 24 novembre 2005, e Stoll c. Svizzera [GC], no 69698/01, 10 dicembre 2007.

La libertà della stampa si rivela di tanto più importante nelle circostanze dove le attività e decisioni statali, in ragione della loro natura confidenziale o segreta, sfuggono al controllo democratico o giudiziale. Ora la condanna di un giornalista per divulgazione di informazione considerate come confidenziali o segrete può dissuadere i professionisti dei media di informare il pubblico su delle questioni di interesse generale. In simile caso, la stampa potrebbe essere non più in grado di sostenere il suo ruolo indispensabile di “cane da guardia” e la sua attitudine a fornire delle informazione precise ed affidabili potrebbe trovare ridotta si (vedere Goodwin c). Regno Unito [GC], no 17488/90, 27 marzo 1996, § 39, Raccolta 1996 II.

Per determinare se la misura controversa era tuttavia necessaria nello specifico, parecchi aspetti distinti sono ad esaminare: gli interessi in presenza; il controllo esercitato dalle giurisdizioni interne; il comportamento del richiedente così come la proporzionalità della sanzione pronunziata (Stoll, precitata, § 112.

Nello specifico, innanzitutto, le giurisdizioni interne hanno predisposto un giusto equilibro tra le libertà di espressione del richiedente ed il diritto alla confidenzialità delle informazione che, sulla base dell’articolo 617 quater del codice penale, era stato accusato di avere divulgato.

La corte di appello di Milano ha osservato che in principio, l’esercizio del diritto di critica e di satira poteva giustificare la divulgazione di una comunicazione proibita.

Ha stabilito che, le informazione divulgate essendo state raccolte in violazione del diritto di altrui al segreto, la loro utilizzazione non poteva essere ammessa e giustificata che nella presenza di un “interesse pubblico fondamentale” alla loro diffusione. Il punto essenziale è di sapere se le informazione confidenziali in questione rivestivano allo stesso modo interesse.

Le giurisdizioni interne hanno escluso che il materiali video ed audio concernente la lite tra i due invitati del programma della RAI avessero un tale interesse pubblico fondamentale.

Secondo il giudice interno, la lite era lei stessa “insignificante” e senza importanza per la società.

La corte di appello non ha escluso l’applicazione nello specifico del diritto di satira ma ha giudicato che uno dei suoi elementi essenziali, a sapere un interesse pubblico fondamentale, faceva difetto.

La corte di appello ha detto a questo riguardo, come esempio che “se l’intercettazione e la diffusione delle telecomunicazioni della RAI avevano rivelato che la rete pubblica RAI aveva manipolato una dibattito politica in favore di un partito allo scapito di un altro, questa informazione sarebbe stata manifestamente importante per la società e la sua rivelazione non sarebbe stata punibile”, sentenza della corte di appello del 23 gennaio 2004, p. 21.

L’applicazione nello specifico dei criteri della sentenza precitata Stoll c. Svizzera (§ 112) mi condurrebbe innanzitutto ad ammettere che gli interessi in gioco sono stati messi in bilancia e che le giurisdizioni interne hanno operato un controllo effettivo. In quanto al terzo criterio, a sapere il comportamento del richiedente, come la maggioranza lo riconosce, non ha agito nel rispetto dell’etica giornalistica.

Certamente, la natura e la pesantezza delle pene inflitte sono anche degli elementi a prendere in considerazione quando si tratta di valutare la proporzionalità dell’ingerenza (vedere, a titolo di paragone, le cause dove la condanna al penale del richiedente per avere espresso delle idee aveva portato violazione dell’articolo 10, per esempio Surek c.Turquie no 4 [GC], no 24762/94, 8 luglio 1999, ed Onal c. Turchia, i nostri 41445/04 e 41453/04, 2 ottobre 2012. Ora, nella presente causa, alla luce di tutti gli elementi pertinenti, e visto soprattutto gli interessi in gioco, la sanzione imposta al richiedente era una misura proporzionata allo scopo legittimo previsto.

Dunque, ai miei occhi, non c’è stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione.

Testo Tradotto

Conclusion: Violation de l’article 10 – Liberté d’expression-{Générale} (Article 10-1 – Liberté d’expression) Préjudice moral – constat de violation suffisant

DEUXIÈME SECTION

AFFAIRE RICCI c. ITALIE

(Requête no 30210/06)

ARRÊT

STRASBOURG

8 octobre 2013

Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Ricci c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Danutė Jočienė, présidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Nebojša Vučinić,
Helen Keller, juges,
et de Stanley Naismith, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 10 septembre 2013,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 30210/06) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, M. A. R. (« le requérant »), a saisi la Cour le 18 juillet 2006 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant a été représenté par Me S. P., avocat à Milan. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, Mme E. Spatafora.
3. Le requérant allègue que sa condamnation pour divulgation au public de communications internes au système télématique de la RAI a violé son droit à la liberté d’expression.
4. Le 12 décembre 2012, la requête a été communiquée au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le requérant est né en 1950 et réside à Albenga (Savone).
6. Le requérant est l’animateur-producteur de l’émission de télévision satirique Striscia la notizia, diffusée sur la chaîne privée Canale 5.
7. Striscia la notizia est une émission quotidienne de critique de la télévision, qui a pour but de révéler, avec ironie, des cas de mauvaises pratiques dans le contexte de la vie politique et de la télévision.
8. En octobre 1996, la RAI (télévision publique) préparait une émission culturelle dénommée L’altra edicola, à laquelle étaient invités l’écrivain Aldo Busi (qui se trouvait dans les locaux de la RAI à Rome) et le philosophe Gianni V. (qui se trouvait dans les locaux de la RAI à Turin). L’enregistrement de leur conversation avait lieu sur les fréquences assignées à l’usage interne de la RAI et était destiné à sélectionner les images utiles à la diffusion. Lors de l’enregistrement, une querelle éclata entre les deux invités. L’animatrice de l’émission demanda ensuite à ses collaborateurs si M. V. avait signé l’autorisation de diffusion des images. Après avoir reçu une réponse négative, elle s’écria : « Ce n’est pas possible ! (…) On avait fait exprès de les mettre ensemble, ces deux-là ! ».
9. Ces images furent interceptées par les appareils de Canale 5 dans le cadre du monitorage de l’activité des autres chaînes. Le requérant décida ensuite de les diffuser lors de deux émissions de Striscia la notizia (les 21 et 26 octobre 1996), et ce afin de démonter la « vraie nature de la télévision », où tout est construit pour créer du spectacle. Selon le requérant, le but de l’émission L’altra edicola n’était pas de commenter le dernier livre de M. V., mais de faire éclater une querelle entre les deux invités, afin de faire monter l’audience.
10. Le 14 mai 1997, la RAI porta plainte contre le requérant pour interception frauduleuse de communications confidentielles internes au système télématique de la RAI et pour divulgation du contenu des images au public. Dans le cadre de la procédure pénale, la RAI et M. V. se constituèrent parties civiles. La première sollicita la réparation des dommages subis, chiffrés à 500 000 euros (EUR), et M. V. demanda l’octroi de 516 456,89 EUR pour dommage moral et pour la violation de son droit à la vie privée (diritto alla riservatezza) et de son droit à l’image.
11. Le requérant était notamment accusé des infractions prévues par l’article 617 quater du code pénal (CP), intitulé « Interception, empêchement ou interruption illicite de communications informatiques ou télématiques ». Dans ses parties pertinentes, cette disposition se lit comme suit :
« Quiconque, de manière frauduleuse, intercepte des communications [au sein d’] un système informatique ou télématique (…) est puni par la réclusion [pour une durée] allant de six mois à quatre ans.
(…) la même peine s’applique à quiconque révèle, par le biais de tout moyen d’information [à destination du] public, tout ou partie du contenu de communications [telles que décrites] au paragraphe 1.
(…).
[La poursuite est engagée] d’office et la peine de réclusion va de un à cinq ans si le fait est commis :
1) au détriment d’un système informatique ou télématique utilisé par l’Etat ou par un autre organisme public ou par une entreprise fournissant des services publics ou de nécessité publique ;
(…). »
12. Au cours du procès, le requérant allégua que Canale 5 avait acquis les images par captage involontaire du signal de la RAI, dans le cadre du monitorage du paysage audiovisuel pratiqué de manière habituelle aux fins de recueillir des informations et des images d’autres chaînes. Il allégua aussi que la divulgation des images au public relevait de l’exercice de son droit de critique et de son droit de satire.
13. Par un jugement du 12 avril 2002, dont le texte fut déposé au greffe le 16 mai 2002, le tribunal de Milan relaxa le requérant du chef d’inculpation d’interception de communications relevant d’un système télématique. Il le condamna en revanche à quatre mois et cinq jours d’emprisonnement avec sursis pour divulgation au public de communications internes au système télématique de la RAI. Le requérant fut également condamné au paiement de frais de procédure à hauteur de 6 000 EUR en faveur de la RAI et de 5 000 EUR en faveur de M.V., ainsi qu’à la réparation des dommages subis par les parties civiles, dont le montant devait être fixé par la voie d’une procédure civile séparée. Le tribunal de Milan indiqua cependant que le requérant était tenu de verser immédiatement, à titre d’acompte, 10 000 EUR à chacune des parties civiles.
14. Le tribunal estima tout d’abord, sur la base des expertises et des témoignages faits aux débats, qu’il n’y avait pas de preuve que l’interception de l’enregistrement de l’émission L’altra edicola ait eu lieu de manière frauduleuse ou à la demande du requérant.
15. Le tribunal observa ensuite que le deuxième paragraphe de l’article 617 quater du CP, en punissant la divulgation de certaines communications, visait à protéger la confidentialité de ces dernières. En l’espèce, il était évident que la vidéo diffusée par le requérant était une communication interne confidentielle de la RAI. Il n’était pas pertinent de s’attarder sur le contenu de la vidéo, car l’infraction décrite à l’article 617 quater § 2 était constituée par le seul fait de la diffusion de communications confidentielles. Il en allait de même en ce qui concernait le but poursuivi par le requérant, dès lors que ce dernier ne pouvait utilement invoquer le droit de satire pour justifier une divulgation interdite par la loi.
16. Le requérant interjeta appel, alléguant que la divulgation de communications n’était punissable que dans le cas où leur interception avait eu lieu de manière frauduleuse. Il invoqua à nouveau son droit de critique et de chronique, en faisant valoir que la diffusion de la vidéo était nécessaire pour réaliser l’objectif du programme Striscia la notizia, à savoir démontrer que l’objet réel de la télévision était la spectacularisation de la réalité. Selon le requérant, les images de la dispute mettaient en évidence que l’objectif du programme L’altra edicola n’était pas de mettre en place un débat culturel, mais de créer une bagarre sur un plateau de télévision. Il demanda enfin que lui soient reconnues des circonstances atténuantes et que la condamnation à la réparation des dommages soit supprimée.
17. Par un arrêt du 23 janvier 2004, dont le texte fut déposé au greffe le 24 avril 2004, la cour d’appel de Milan confirma le jugement de première instance.
18. La cour d’appel estima en premier lieu que les éléments recueillis amenaient à croire que l’interception avait été frauduleuse, mais que rien ne démontrait que le requérant en était l’auteur ou le commanditaire. En tout état de cause, l’article 617 quater devait être interprété dans le sens que la divulgation d’informations pouvait être punie même si l’infraction décrite au premier paragraphe n’était pas constituée et même si l’auteur de la divulgation avait eu connaissance des communications de manière fortuite. En l’espèce, la communication de la RAI avait eu lieu sur une fréquence destinée à son usage interne ; il y avait donc eu violation de la confidentialité des communications de cette entreprise. Dans ce contexte, le contenu de la communication interceptée ou le caractère « d’intérêt public » de sa diffusion n’étaient pas pertinents, toute personne (physique ou morale), y compris la RAI, jouissant d’un droit à la confidentialité protégé par la loi.
19. La cour d’appel aborda ensuite la question du conflit entre le droit à la confidentialité des communications (article 15 de la Constitution) et la liberté d’expression (article 21 de la Constitution). Elle observa qu’en principe, l’exercice du droit de critique pouvait justifier la divulgation d’une communication prohibée. Ce qui était déterminant à cet égard était l’intérêt social de l’information diffusée, un intérêt public primordial pouvant supprimer le caractère délictueux de la conduite du divulgateur. Par exemple, il aurait été licite de diffuser une vidéo montrant que la RAI manipulait le débat politique en faveur d’un certain parti. Cependant, tel n’était pas le cas en l’espèce, où l’on avait vu l’animatrice d’un débat culturel se plaindre de ce que M. V. n’avait pas autorisé la diffusion des images et que sa querelle avec M. Busi ne pouvait donc pas être montrée au public. Selon le requérant, cet incident avait un intérêt pour le public, car il montrait la vraie nature du phénomène de la télévision comme instrument de mystification de la réalité afin d’accroître l’audience. Or, ce point de vue, pour digne de respect qu’il fût, pouvait être exposé en citant d’autres produits de la télévision et sans violer la confidentialité des enregistrements de la RAI. L’information divulguée par le requérant (le fait qu’une animatrice de télévision était contrariée de ne pas pouvoir faire un « scoop ») était en réalité sans importance, et seule la manière dont elle avait été présentée au public était susceptible d’attirer l’attention de ce dernier.
20. Le requérant se pourvut en cassation.
21. Par un arrêt du 19 mai 2005, dont le texte fut déposé au greffe le 1er février 2006, la Cour de cassation cassa sans renvoi l’arrêt de la cour d’appel, au motif que l’infraction reprochée au requérant était prescrite depuis le 21 avril 2004. Elle confirma la condamnation de l’intéressé au dédommagement des parties civiles et le condamna au paiement des frais de procédure de la RAI, qui s’élevaient à 3 000 EUR.
22. La Cour de cassation confirma que les infractions prévues par les premier et deuxième paragraphes de l’article 617 quater du CP étaient autonomes et distinctes et pouvaient être commises par des sujets différents ; de plus, la divulgation d’une communication confidentielle était punissable même en l’absence de caractère frauduleux de son interception.
23. La Cour de cassation observa enfin que le droit de critique, de chronique et de satire devait être reconnu de la manière la plus ample possible, celui-ci étant garanti par l’article 21 de la Constitution et les citoyens ayant le droit d’être informés par les moyens les plus incisifs. Cependant, en l’espèce, ce droit ne pouvait pas être invoqué, car il ne s’agissait pas d’une affaire de diffamation, mais d’une affaire de divulgation d’informations confidentielles non diffamatoires. La confidentialité de ces communications était garantie par l’article 15 de la Constitution, et l’exercice du droit de satire ne pouvait en justifier la divulgation. Dans ces conditions, il n’était pas pertinent d’examiner si les informations diffusées étaient vraies, s’il y avait un intérêt public à leur divulgation ou si la forme d’expression utilisée était appropriée.
24. Le 15 novembre 2006, M. V. saisit le tribunal civil de Milan afin d’obtenir la réparation des dommages subis à la suite de l’infraction commise par le requérant et dont il avait été victime.
25. Par un jugement du 4 août 2009, dont le texte fut déposé au greffe le 26 août 2009, le tribunal de Milan condamna le requérant à verser à M. V. la somme de 30 000 EUR à titre de dédommagement. Il observa qu’il y avait eu une violation du droit à l’image et du droit à la vie privée de la partie demanderesse, qui n’était justifiée par aucun intérêt public significatif. Le préjudice moral découlant de l’infraction retenue par les juridictions pénales devait être évalué en équité, en ayant égard à l’audience de l’émission Striscia la notizia et aux répercussions de la diffusion litigieuse pour M. V., philosophe et professeur d’université. Cette décision passa en force de chose jugée à une date qui n’a pas été précisée.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 10 DE LA CONVENTION
26. Le requérant allègue que sa condamnation pour la divulgation de l’enregistrement de l’émission L’altra edicola a violé son droit à la liberté d’expression. Il considère qu’au vu du but de l’émission Striscia la notizia, il avait bien le droit d’informer le public quant à la nature de la télévision et à l’hypocrisie qui la caractérisait.
Il invoque l’article 10 de la Convention, ainsi libellé :
« 1. Toute personne a droit à la liberté d’expression. Ce droit comprend la liberté d’opinion et la liberté de recevoir ou de communiquer des informations ou des idées sans qu’il puisse y avoir ingérence d’autorités publiques et sans considération de frontière. Le présent article n’empêche pas les Etats de soumettre les entreprises de radiodiffusion, de cinéma ou de télévision à un régime d’autorisations.
2. L’exercice de ces libertés comportant des devoirs et des responsabilités peut être soumis à certaines formalités, conditions, restrictions ou sanctions prévues par la loi, qui constituent des mesures nécessaires, dans une société démocratique, à la sécurité nationale, à l’intégrité territoriale ou à la sûreté publique, à la défense de l’ordre et à la prévention du crime, à la protection de la santé ou de la morale, à la protection de la réputation ou des droits d’autrui, pour empêcher la divulgation d’informations confidentielles ou pour garantir l’autorité et l’impartialité du pouvoir judiciaire. »
27. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
1. L’exception du Gouvernement tirée de la tardiveté de la requête
28. Le Gouvernement excipe tout d’abord de la tardiveté de la requête. Il observe que la décision interne définitive concernant la condamnation du requérant, à savoir l’arrêt de la Cour de cassation du 19 mai 2005, a été déposée au greffe le 1er février 2006 (paragraphe 21 ci-dessus). Or, le formulaire de requête est daté du 12 septembre 2006 et a été reçu par le greffe de la Cour le 19 septembre 2006. Il y aurait donc eu dépassement du délai de six mois prévu à l’article 35 § 1 de la Convention.
29. Le requérant relève que sa première communication à la Cour exposant le contenu de ses griefs date de juillet 2006.
30. La Cour rappelle que conformément à la pratique établie des organes de la Convention et à l’article 47 § 5 de son règlement, elle considère normalement que la requête est réputée introduite à la date de la première communication du requérant indiquant l’intention de l’intéressé de la saisir et exposant, même sommairement, la nature de la requête. Cette première communication interrompt le cours du délai de six mois (Kemevuako c. Pays-Bas (déc.), no 65938/09, § 19, 1er juin 2010, et Yartsev c. Russie (déc.), no 13776/11, § 21, 26 mars 2013).
31. La règle des six mois a pour objet, d’une part, d’assurer la sécurité juridique et de veiller à ce que les affaires litigieuses au regard de la Convention soient examinées dans un délai raisonnable et, d’autre part, de protéger les autorités et autres personnes concernées de l’incertitude où les laisserait l’écoulement prolongé du temps. Comme la Cour a déjà eu l’occasion de le dire, il serait contraire à l’esprit et à la finalité de cette règle de considérer que, par le biais de n’importe quelle communication initiale, un requérant pourrait déclencher la procédure établie par la Convention puis rester inactif pendant une durée inexpliquée et indéterminée. Les requérants doivent donc donner suite à leur requête avec une diligence raisonnable après le premier contact, quel qu’il soit (P.M. c. Royaume-Uni (déc.), no 6638/03, 24 août 2004). A défaut, la Cour considère généralement que l’interruption du délai de six mois est caduque et que c’est la date de soumission du formulaire de requête complet qui doit être retenue comme date d’introduction de la requête (Kemevuako, décision précitée, § 20).
32. En l’espèce, la première communication du requérant a été envoyée le 18 juillet 2006 et a été reçue par le greffe de la Cour le 24 juillet 2006. Par une lettre du 31 juillet 2006, le greffe a invité le requérant à envoyer, dans un délai de six semaines, le formulaire de requête, dûment rempli et accompagné des documents pertinents pour l’examen de son affaire. Le formulaire et les documents ont été envoyés le 12 septembre 2006 et ont été reçus par le greffe le 19 septembre 2006, donc dans un délai raisonnable. Dans ces circonstances, la Cour considère que la requête a été introduite le 18 juillet 2006, donc moins de six mois après la date du dépôt au greffe de la décision interne définitive (1er février 2006 – paragraphe 21 ci-dessus).
33. Il s’ensuit que l’exception du Gouvernement tirée de la tardiveté de la requête ne saurait être retenue.
2. Autres motifs d’irrecevabilité
34. La Cour constate que la requête n’est pas manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 a) de la Convention, et qu’elle ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de la déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
a) Le requérant
35. Le requérant estime que les juridictions italiennes ont donné au droit de critique et de satire une interprétation trop étroite, qui ne saurait cadrer avec l’article 10 de la Convention. Tant en droit interne qu’au regard de la Convention, l’exercice de ce droit peut constituer une justification à la diffusion de communications confidentielles, tout comme il constitue une justification aux atteintes potentielles à la réputation d’autrui ou à la diffusion de données à caractère personnel. Il serait excessif d’estimer qu’une communication confidentielle ne peut jamais être diffusée, quel qu’en soit le contenu. A cet égard, le requérant soutient que, par exemple, la publication dans la presse du contenu d’écoutes téléphoniques couvertes par le secret de l’instruction est devenue en Italie une pratique courante, non contestée par les autorités.
36. En l’espèce, le requérant était accusé d’avoir diffusé des sons et des images qui circulaient par voie hertzienne, et avaient été captés sans fraude quelconque. Tout comme ses homologues, Striscia la notizia était simplement en train de contrôler ce qui se passait dans d’autres émissions ; or, ce comportement ne saurait être comparé à d’autres formes plus intrusives d’interception, telles que l’ouverture du courrier ou l’enregistrement de conversations téléphoniques.
37. Le requérant considère qu’il n’y avait aucun « besoin impérieux » de protéger l’image et la réputation de M. V.. Ce dernier n’a en effet introduit aucune action en justice avant que la RAI ne le fasse elle-même. Les images diffusées par Striscia la notizia montraient l’utilisation détournée et hypocrite de la télévision, d’autant plus frappante dans le cadre d’une émission culturelle de la chaîne publique RAI telle que L’altra edicola. Le fait qu’une telle utilisation pouvait être connue ou soupçonnée du public ne changeait rien à l’intérêt de l’information, compte tenu notamment de l’influence et du pouvoir médiatique de la télévision dans les sociétés modernes. Conclure autrement équivaudrait à interdire les reportages concernant des crimes sous prétexte que les citoyens savent que la criminalité existe. Le requérant souhaitait monter de manière tangible, une fois de plus, l’appauvrissement de la qualité des émissions télévisées financées par l’Etat. Ce but légitime et véritablement d’intérêt général aurait dû prévaloir sur l’intérêt de la RAI à la confidentialité de ses communications.
b) Le Gouvernement
38. Le Gouvernement affirme qu’il n’y a pas eu d’ingérence dans les droits garantis par l’article 10 de la Convention, étant donné que la condamnation du requérant est sans rapport avec la liberté d’expression de l’intéressé. Ce dernier n’a pas été condamné pour avoir exprimé une opinion, mais pour avoir délibérément diffusé des communications confidentielles. A cet égard, le Gouvernement rappelle que la Cour de cassation a précisé que l’exercice du droit de critique et de satire ne pouvait pas être invoqué en l’espèce, car il ne saurait justifier l’enregistrement et la diffusion illicites de communications protégées par l’article 15 de la Constitution. La liberté d’expression peut en revanche, dans certains cas, justifier des atteintes à l’honneur et à la réputation d’autrui. Le Gouvernement rappelle également que l’article 10 n’accorde pas à l’individu le droit d’accéder à un registre où figurent des renseignements sur sa propre situation, ni n’oblige le gouvernement à les lui communiquer (Leander c. Suède, 26 mars 1987, § 74, série A no 116).
39. A supposer même qu’il y ait eu ingérence, le Gouvernement considère que celle-ci était prévue par la loi – à savoir, par l’article 617 quater du CP – et qu’elle poursuivait les buts légitimes de protéger la réputation ou les droits d’autrui – en l’occurrence, de M. V. – et d’empêcher la divulgation d’informations confidentielles.
40. Pour ce qui est de la proportionnalité de l’ingérence, le Gouvernement observe que deux intérêts entraient en conflit en l’espèce : d’un côté, l’intérêt d’un journaliste (le requérant) à diffuser par le biais d’un programme télévisé des images et des sons illégalement obtenus concernant un incident survenu entre des particuliers ; de l’autre, l’intérêt des propriétaires légitimes de ces images et de ces sons (M. V. et la RAI). Les autorités judiciaires nationales ont cherché à ménager un juste équilibre entre ces deux intérêts, en mettant en balance le droit à la liberté d’expression invoqué par le requérant et le droit au secret des communications, garanti par l’article 15 de la Constitution et par l’article 8 de la Convention. Elles ont conclu que ce dernier droit devait prévaloir en l’espèce et ont exclu l’existence d’intérêts publics importants justifiant une violation de la confidentialité. Comme la cour d’appel l’a indiqué (paragraphe 19 ci-dessus), l’information divulguée par le requérant était en réalité sans importance, les spectateurs étant bien conscients du fait que les animateurs de télévision cherchent à créer des « scoops » ; par ailleurs, le requérant aurait pu exposer ses opinions sur la nature de la télévision sans violer la confidentialité des enregistrements de la RAI.
41. Les arguments du requérant ont été examinés en détail et rejetés par les juridictions internes ; celles-ci ont, en substance, fait application des critères ressortant de la jurisprudence de la Cour en matière de « nécessité » et de « besoin social impérieux », et ont estimé que la protection de la confidentialité des données devait prévaloir sur le droit à la liberté d’expression invoqué par le requérant. Dans les affaires Guja c. Moldova (no 14277/04, §§ 69-78, 12 février 2008) et Stoll c. Suisse ([GC] no 69698/01, §§ 102-112, ECHR 2007-V), la Cour a affirmé que seul un intérêt public primordial peut justifier la divulgation d’informations confidentielles, lorsqu’aucun autre moyen ne permet d’atteindre l’objectif visé par le journaliste. Or, ces deux conditions manquaient en l’espèce et le requérant ne pouvait pas prétendre ignorer que la divulgation était interdite par l’article 617 quater du CP. Il faudrait également tenir compte du fait que la vidéo diffusée par le requérant concernait une émission qui était encore en préparation et qu’il n’était pas certain que la RAI aurait souhaité montrer au public la querelle survenue entre MM. V. et Busi. Enfin, la condamnation du requérant à la réparation des dommages ne pourrait passer pour une sanction excessive ou disproportionnée, et la Cour ne serait pas compétente pour connaître d’erreurs de fait ou de droit prétendument commises par une juridiction interne.
2. Appréciation de la Cour
a) Sur l’existence d’une ingérence
42. La Cour observe que le requérant a été condamné pour avoir diffusé des communications confidentielles et que l’intéressé a affirmé, tant devant les juridictions nationales que devant la Cour, qu’il avait procédé à une telle divulgation afin de révéler au public un cas d’utilisation détournée et hypocrite de la télévision et afin de montrer de manière tangible l’appauvrissement de la qualité des émissions télévisées financées par l’Etat. Dans ces circonstances, la Cour considère que l’intéressé visait à communiquer des informations ou des idées et que sa condamnation a constitué une ingérence dans son droit à la liberté d’expression, tel que garanti par l’article 10 § 1 de la Convention.
b) Sur la justification de l’ingérence : la prévision par la loi et la poursuite d’un but légitime
43. Une ingérence est contraire à la Convention si elle ne respecte pas les exigences prévues au paragraphe 2 de l’article 10. Il y a donc lieu de déterminer si elle était « prévue par la loi », si elle visait un ou plusieurs des buts légitimes énoncés dans ce paragraphe et si elle était « nécessaire dans une société démocratique » pour atteindre ce ou ces buts (Pedersen et Baadsgaard c. Danemark, no 49017/99, § 67, CEDH 2004-XI).
44. Il n’est pas contesté que l’ingérence était prévue par la loi, à savoir par l’article 617 quater du CP (paragraphe 11 ci-dessus). La Cour admet que l’ingérence visait les buts légitimes de protéger la réputation ou les droits d’autrui – en l’occurrence, de M. V. – et d’empêcher la divulgation d’informations confidentielles.
45. Il reste à vérifier si l’ingérence était « nécessaire dans une société démocratique ».
c) Sur la nécessité de l’ingérence dans une société démocratique
i. Principes généraux
46. La presse joue un rôle éminent dans une société démocratique : si elle ne doit pas franchir certaines limites, tenant notamment à la protection de la réputation et aux droits d’autrui, il lui incombe néanmoins de communiquer, dans le respect de ses devoirs et de ses responsabilités, des informations et des idées sur toutes les questions d’intérêt général (De Haes et Gijsels c. Belgique, 24 février 1997, § 37, Recueil 1997-I). A sa fonction qui consiste à en diffuser s’ajoute le droit, pour le public, d’en recevoir. S’il en allait autrement, la presse ne pourrait jouer son rôle indispensable de « chien de garde » (Thorgeir Thorgeirson c. Islande, 25 juin 1992, § 63, série A no 239, et Bladet Tromsø et Stensaas c. Norvège [GC], no 21980/93, § 62, CEDH 1999-III). Outre la substance des idées et informations exprimées, l’article 10 protège leur mode d’expression (Oberschlick c. Autriche (no1), 23 mai 1991, § 57, série A no 204). La liberté journalistique comprend aussi le recours possible à une certaine dose d’exagération, voire même de provocation (Prager et Oberschlick c. Autriche, 26 avril 1995, § 38, série A no 313 ; Thoma c. Luxembourg, no 38432/97, §§ 45 et 46, CEDH 2001-III ; Perna c. Italie [GC], no 48898/99, § 39, CEDH 2003-V).
47. L’adjectif « nécessaire », au sens de l’article 10 § 2, implique l’existence d’un « besoin social impérieux ». Les Etats contractants jouissent d’une certaine marge d’appréciation pour juger de l’existence d’un tel besoin, mais cette marge va de pair avec un contrôle européen portant à la fois sur la loi et sur les décisions appliquant celle-ci, même quand elles émanent d’une juridiction indépendante. La Cour a donc compétence pour statuer en dernier lieu sur le point de savoir si une « restriction » se concilie avec la liberté d’expression sauvegardée par l’article 10 (Janowski c. Pologne [GC], no 25716/94, § 30, CEDH 1999-I, et Association Ekin c. France, no 39288/98, § 56, CEDH 2001-VIII).
48. Dans l’exercice de son pouvoir de contrôle, la Cour n’a point pour tâche de se substituer aux juridictions internes compétentes, mais de vérifier sous l’angle de l’article 10 les décisions qu’elles ont rendues en vertu de leur pouvoir d’appréciation (Fressoz et Roire c. France [GC], no 29183/95, § 45, CEDH 1999-I). Il ne s’ensuit pas qu’elle doive se borner à rechercher si l’Etat défendeur a usé de ce pouvoir de bonne foi, avec soin et de façon raisonnable ; il lui faut considérer l’ingérence litigieuse à la lumière de l’ensemble de l’affaire, y compris la teneur des propos reprochés au requérant et le contexte dans lequel celui-ci les a tenus (News Verlags GmbH & Co. KG c. Autriche, no 31457/96, § 52, CEDH 2000-I).
49. En particulier, il incombe à la Cour de déterminer si les motifs invoqués par les autorités nationales pour justifier l’ingérence apparaissent « pertinents et suffisants » et si la mesure incriminée était « proportionnée aux buts légitimes poursuivis » (Chauvy et autres c. France, no 64915/01, § 70, CEDH 2004-VI). Ce faisant, la Cour doit se convaincre que les autorités nationales ont, en se fondant sur une appréciation acceptable des faits pertinents, appliqué des règles conformes aux principes consacrés par l’article 10 (voir, parmi beaucoup d’autres, Zana c. Turquie, 25 novembre 1997, § 51, Recueil 1997-VII ; De Diego Nafría c. Espagne, no 46833/99, § 34, 14 mars 2002 ; Pedersen et Baadsgaard, précité, § 70).
50. Le droit des journalistes de communiquer des informations sur des questions d’intérêt général est protégé à condition qu’ils agissent de bonne foi, sur la base de faits exacts, et fournissent des informations « fiables et précises » dans le respect de l’éthique journalistique (voir, par exemple, les arrêts précités Fressoz et Roire, § 54 ; Bladet Tromsø et Stensaas, § 58 ; et Prager et Oberschlick, § 37). Le paragraphe 2 de l’article 10 de la Convention souligne que l’exercice de la liberté d’expression comporte des « devoirs et responsabilités », qui valent aussi pour les médias, même s’agissant de questions d’un grand intérêt général. De plus, ces devoirs et responsabilités peuvent revêtir de l’importance lorsque l’on risque de porter atteinte à la réputation d’une personne nommément citée et de nuire aux « droits d’autrui ». Pour pouvoir relever les médias de l’obligation qui leur incombe normalement de vérifier les déclarations factuelles potentiellement diffamatoires à l’encontre de particuliers, il doit exister des motifs spécifiques. A cet égard entrent spécialement en jeu la nature et le degré de la diffamation potentielle et la question de savoir à quel point le média peut raisonnablement considérer ses sources comme crédibles pour ce qui est des allégations en cause (voir, entres autres, McVicar c. Royaume-Uni, no 46311/99, § 84, CEDH 2002-III, et Standard Verlagsgesellschaft MBH (no 2) c. Autriche, no 37464/02, § 38, 22 février 2007).
51. Dans des cas où se trouvait en cause la diffusion d’informations de nature confidentielle, la Cour a rappelé que la condamnation d’un journaliste pour divulgation de telles informations peut dissuader les professionnels des médias d’informer le public sur des questions d’intérêt général. En pareil cas, la presse pourrait ne plus être à même de jouer son rôle indispensable de « chien de garde » et son aptitude à fournir des informations précises et fiables pourrait s’en trouver amoindrie. Pour déterminer si la mesure litigieuse était néanmoins nécessaire en l’espèce, plusieurs aspects distincts sont à examiner : les intérêts en présence ; le contrôle exercé par les juridictions internes ; le comportement du requérant ainsi que la proportionnalité de la sanction prononcée (Stoll, précité, §§ 109-112).
52. En effet, la nature et la lourdeur des peines infligées sont aussi des éléments à prendre en considération lorsqu’il s’agit de mesurer la proportionnalité de l’ingérence (voir, par exemple, Ceylan c. Turquie [GC], no 23556/94, § 37, CEDH 1999-IV, et Tammer c. Estonie, no 41205/98, § 69, CEDH 2001-I). En particulier, dans l’affaire Cumpănă et Mazăre c. Roumanie ([GC], no 33348/96, §§ 113-115, CEDH 2004-XI), la Cour a affirmé les principes suivants :
« 113. Si les Etats contractants ont la faculté, voire le devoir, en vertu de leurs obligations positives au titre de l’article 8 de la Convention, de réglementer l’exercice de la liberté d’expression de manière à assurer une protection adéquate par la loi de la réputation des individus, ils doivent éviter ce faisant d’adopter des mesures propres à dissuader les médias de remplir leur rôle d’alerte du public en cas d’abus apparents ou supposés de la puissance publique. Les journalistes d’investigation risquent d’être réticents à s’exprimer sur des questions présentant un intérêt général (…) s’ils courent le danger d’être condamnés, lorsque la législation prévoit de telles sanctions pour les attaques injustifiées contre la réputation d’autrui, à des peines de prison ou d’interdiction d’exercice de la profession.
114. L’effet dissuasif que la crainte de pareilles sanctions emporte pour l’exercice par ces journalistes de leur liberté d’expression est manifeste (…). Nocif pour la société dans son ensemble, il fait lui aussi partie des éléments à prendre en compte dans le cadre de l’appréciation de la proportionnalité – et donc de la justification – des sanctions infligées (…).
115. Si la fixation des peines est en principe l’apanage des juridictions nationales, la Cour considère qu’une peine de prison infligée pour une infraction commise dans le domaine de la presse n’est compatible avec la liberté d’expression journalistique garantie par l’article 10 de la Convention que dans des circonstances exceptionnelles, notamment lorsque d’autres droits fondamentaux ont été gravement atteints, comme dans l’hypothèse, par exemple, de la diffusion d’un discours de haine ou d’incitation à la violence (…). »
53. Il convient de rappeler, enfin, que dans des affaires comme la présente, qui nécessitent une mise en balance du droit au respect de la vie privée et du droit à la liberté d’expression, la Cour considère que l’issue de la requête ne saurait en principe varier selon qu’elle a été portée devant elle, sous l’angle de l’article 8 de la Convention, par la personne faisant l’objet du reportage ou, sous l’angle de l’article 10, par l’éditeur qui l’a publié. En effet, ces droits méritent a priori un égal respect. Dès lors, la marge d’appréciation devrait en principe être la même dans les deux cas. Si la mise en balance par les autorités nationales s’est faite dans le respect des critères établis par la jurisprudence de la Cour, il faut des raisons sérieuses pour que celle-ci substitue son avis à celui des juridictions internes (MGN Limited c. Royaume-Uni, no 39401/04, §§ 150 et 155, 8 janvier 2011, et Palomo Sánchez et autres c. Espagne [GC], nos 28955/06, 28957/06, 28959/06 et 28964/06, § 57, ECHR 2011-.. ).
ii. Application de ces principes au cas d’espèce
54. La Cour relève tout d’abord qu’elle ne saurait accepter l’argument du tribunal de Milan (paragraphe 15 ci-dessus) et de la Cour de cassation (paragraphe 23 ci-dessus) selon lequel la protection des communications relatives à un système informatique ou télématique exclut en principe toute possibilité de mise en balance avec l’exercice de la liberté d’expression. En effet, de la jurisprudence citée au paragraphe 51 ci-dessus, il résulte que même lorsque des informations confidentielles sont diffusées, plusieurs aspects distincts sont à examiner, à savoir les intérêts en présence, le contrôle exercé par les juridictions internes, le comportement du requérant et la proportionnalité de la sanction prononcée.
55. Quant au premier point, le requérant affirme que l’enregistrement diffusé de l’émission L’altra edicola concernait un sujet d’intérêt général, à savoir la fonction et la « vraie nature » de la télévision dans la société moderne. La Cour observe que le rôle joué par la télévision publique dans une société démocratique est un sujet d’intérêt général. Elle est donc prête à admettre que la collectivité pouvait avoir un certain intérêt à être informée de ce que l’animatrice d’un programme télévisé public regrettait de ne pas pouvoir diffuser une querelle entre ses invités et disait avoir choisi ces derniers par rapport à la probabilité qu’une telle querelle éclate. Effectivement, il était possible d’y voir le symptôme d’une volonté d’impressionner et divertir le public plutôt que de lui fournir des informations à contenu culturel. Il n’en demeure pas moins que, pour le requérant, il s’agissait surtout, aux yeux de la Cour, de stigmatiser et de ridiculiser un comportement individuel. Si le requérant souhaitait ouvrir un débat sur un sujet d’intérêt primordial pour la société, tel que le rôle des médias télévisés, d’autres voies, qui ne comportaient aucune violation de la confidentialité des communications télématiques, s’ouvraient à lui. La cour d’appel de Milan l’a souligné à juste titre (paragraphe 19 ci-dessus). La Cour en tiendra compte dans la mise en balance du droit du requérant à la liberté d’expression par rapport aux buts légitimes poursuivis par l’Etat.
56. Pour ce qui est du contrôle exercé par les juridictions internes, la Cour note que seule la cour d’appel de Milan a abordé la question du conflit entre le droit à la confidentialité des communications et la liberté d’expression. Elle a attaché une importance particulière à l’intérêt social de l’information diffusée, concluant qu’en l’espèce il ne pouvait passer pour « primordial » (paragraphe 19 ci-dessus). La Cour estime qu’une telle analyse n’est pas entachée d’arbitraire et qu’elle a été faite dans le respect des critères établis par sa jurisprudence.
57. Pour ce qui est du comportement du requérant, la Cour relève que l’enregistrement litigieux avait eu lieu sur une fréquence réservée à l’usage interne de la RAI (paragraphes 8 et 18 ci-dessus). Ceci ne pouvait pas être ignoré par le requérant, professionnel de l’information, qui était ou aurait donc dû être conscient du fait que la diffusion de l’enregistrement méconnaissait la confidentialité des communications de la chaîne de télévision publique. Il s’ensuit que le requérant n’a pas agi dans le respect de l’éthique journalistique (voir les principes énoncés au paragraphe 50 ci-dessus).
58. A la lumière de ce qui précède, la Cour ne saurait conclure qu’une condamnation à l’encontre du requérant était en soi contraire à l’article 10 de la Convention.
59. Il n’en demeure pas moins que, comme rappelé au paragraphe 52 ci-dessus, la nature et la lourdeur des peines infligées sont aussi des éléments à prendre en considération lorsqu’il s’agit de mesurer la proportionnalité de l’ingérence. Or, en l’espèce, en plus de la réparation des dommages, le requérant a été condamné à quatre mois et cinq jours d’emprisonnement (paragraphe 13 ci-dessus). Bien qu’il y ait eu sursis à l’exécution de cette sanction et bien que la Cour de cassation ait déclaré l’infraction prescrite (paragraphe 21 ci-dessus), la Cour considère que l’infliction en particulier d’une peine de prison a pu avoir un effet dissuasif significatif. Par ailleurs, le cas d’espèce, qui portait sur la diffusion d’une vidéo dont le contenu n’était pas de nature à provoquer un préjudice important, n’était marqué par aucune circonstance exceptionnelle justifiant le recours à une sanction aussi sévère.
60. La Cour estime que, de par la nature et le quantum de la sanction imposée au requérant, l’ingérence dans le droit à la liberté d’expression de ce dernier n’est pas restée proportionnée aux buts légitimes poursuivis.
61. Il y a donc eu violation de l’article 10 de la Convention.
II. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
62. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
63. Le requérant réclame 50 000 euros (EUR) au titre du préjudice moral qu’il aurait subi.
64. Le Gouvernement observe que le requérant n’a fourni aucune preuve quant à l’existence, à la nature et à l’intensité du préjudice moral qu’il allègue. De plus, il n’a pas démontré l’existence d’un lien de causalité entre la prétendue violation de ses droits et ce préjudice. Dès lors, sa demande ne serait pas étayée.
65. La Cour estime que son constat de violation de l’article 10 constitue à cet égard une satisfaction équitable suffisante et n’accorde donc aucune somme de ce chef.
B. Frais et dépens
66. Le requérant n’a présenté aucune demande pour les frais et dépens engagés devant les juridictions internes ou devant la Cour. Partant, la Cour estime qu’il n’y a pas lieu de lui octroyer de somme à ce titre.
PAR CES MOTIFS, LA COUR
1. Déclare, à l’unanimité, la requête recevable ;

2. Dit, par six voix contre une, qu’il y a eu violation de l’article 10 de la Convention ;

3. Dit, par six voix contre une, que le constat d’une violation représente en soi une satisfaction équitable suffisante pour tout dommage moral pouvant avoir été subi par le requérant ;

4. Rejette, à l’unanimité, la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 8 octobre 2013, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Stanley Naismith Danutė Jočienė
Greffier Présidente
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé de l’opinion séparée de la juge I. Karakaş.
D.J.
S.H.N.

OPINION DISSIDENTE DE LA JUGE KARAKAŞ

Je ne puis souscrire au raisonnement et à la conclusion adoptés par la majorité dans la présente affaire.

Le droit de critique et de satire doit certes être reconnu et protégé sur le terrain de l’article 10 mais le cas d’espèce, comme la Cour de cassation italienne l’a justement souligné, concernait la divulgation d’informations confidentielles non diffamatoires. Il s’agissait donc d’une affaire où devait être ménagé un juste équilibre entre la liberté d’expression et le droit à la confidentialité des communications.

La diffusion d’informations de nature confidentielle est un domaine où la Cour et la Commission ont déjà eu l’occasion de se prononcer (voir Z. c. Suisse, no 10343/83, décision de la Commission du 6 octobre 1983, Décisions et rapports 35, p. 229 ; Weber c. Suisse, no 11034/84, 22 mai 1990, série A no 177 ; Observer et Guardian c. Royaume-Uni, no 13585/88, 26 novembre 1991, série A no 216 ; Hadjianastassiou c. Grèce, no 12945/87, 16 décembre 1992, série A no 252 ; Fressoz et Roire c. France [GC], no 29183/95, 21 janvier 1999, Editions Plon c. France, no 58148/00, 18 mai 2004, Tourancheau et July c. France, no 53886/00, 24 novembre 2005, et Stoll c. Suisse [GC], no 69698/01, 10 décembre 2007).

La liberté de la presse s’avère d’autant plus importante dans des circonstances où les activités et décisions étatiques, en raison de leur nature confidentielle ou secrète, échappent au contrôle démocratique ou judiciaire. Or la condamnation d’un journaliste pour divulgation d’informations considérées comme confidentielles ou secrètes peut dissuader les professionnels des médias d’informer le public sur des questions d’intérêt général. En pareil cas, la presse pourrait ne plus être à même de jouer son rôle indispensable de « chien de garde » et son aptitude à fournir des informations précises et fiables pourrait s’en trouver amoindrie (voir Goodwin c. Royaume-Uni [GC], no 17488/90, 27 mars 1996, § 39, Recueil 1996 II).

Pour déterminer si la mesure litigieuse était néanmoins nécessaire en l’espèce, plusieurs aspects distincts sont à examiner : les intérêts en présence ; le contrôle exercé par les juridictions internes ; le comportement du requérant ainsi que la proportionnalité de la sanction prononcée (Stoll, précité, § 112).

En l’espèce, tout d’abord, les juridictions internes ont ménagé un juste équilibre entre la liberté d’expression du requérant et le droit à la confidentialité des informations que, sur la base de l’article 617 quater du code pénal, il avait été accusé d’avoir divulguées.

La cour d’appel de Milan a observé qu’en principe, l’exercice du droit de critique et de satire pouvait justifier la divulgation d’une communication prohibée.

Elle a établi que, les informations divulguées ayant été recueillies en violation du droit d’autrui au secret, leur utilisation ne pouvait être admise et justifiée qu’en la présence d’un « intérêt public primordial » à leur diffusion. Le point essentiel est de savoir si les informations confidentielles en question revêtaient pareil intérêt.

Les juridictions internes ont exclu que les matériaux vidéo et audio concernant la querelle entre les deux invités du programme de la RAI eussent un tel intérêt public primordial.

Selon le juge interne, la querelle était elle-même « insignifiante » et sans importance pour la société.

La cour d’appel n’a pas exclu l’application en l’espèce du droit de satire mais elle a jugé que l’un de ses éléments essentiels, à savoir un intérêt public primordial, faisait défaut.

À cet égard, la cour d’appel a dit à titre d’exemple que « si l’interception et la diffusion des télécommunications de la RAI avaient révélé que la chaîne publique RAI avait manipulé un débat politique en faveur d’un parti au détriment d’un autre, cette information aurait manifestement été importante pour la société et sa révélation n’aurait pas été punissable » (arrêt de la cour d’appel du 23 janvier 2004, p. 21).

L’application en l’espèce des critères de l’arrêt précité Stoll c. Suisse (§ 112) me conduirait tout d’abord à admettre que les intérêts en jeu ont été mis en balance et que les juridictions internes ont opéré un contrôle effectif. Quant au troisième critère, à savoir le comportement du requérant, comme la majorité le reconnaît, il n’a pas agi dans le respect de l’éthique journalistique.

Bien sûr, la nature et la lourdeur des peines infligées sont aussi des éléments à prendre en considération lorsqu’il s’agit d’apprécier la proportionnalité de l’ingérence (voir, à titre de comparaison, les affaires où la condamnation au pénal du requérant pour avoir exprimé des idées avait emporté violation de l’article 10, par exemple Surek c.Turquie no 4 [GC], no 24762/94, 8 juillet 1999, et Onal c. Turquie, nos 41445/04 et 41453/04, 2 octobre 2012). Or, dans la présente affaire, à la lumière de tous les éléments pertinents, et surtout vu les intérêts en jeu, la sanction imposée au requérant était une mesure proportionnée au but légitime visé.

Donc, à mes yeux, il n’y a pas eu de violation de l’article 10 de la Convention.

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

Se l'espropriato ha già un Professionista di sua fiducia, può comunicagli che sul nostro sito trova strumenti utili per il suo lavoro.
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 - Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.

  • La consulenza iniziale, con esame di atti e consigli, è sempre gratuita
    - Per richiederla cliccate qui: Colloquio telefonico gratuito
  • Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
    - Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
    - Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI

Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 14/09/2024