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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE R.P. c. FRANCE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 10271/02/2010
Stato: Francia
Data: 2010-01-21 00:00:00
Organo: Sezione Quinta
Testo Originale

QUINTA SEZIONE
CAUSA R.P. c. FRANCIA
( Richiesta no 10271/02)
SENTENZA
STRASBURGO
21 gennaio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa R.P. c. Francia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, quinta sezione, riunendosi in una camera composta da:
Peer Lorenzen, presidente, Renate Jaeger, Jean-Paul Costa, Karel Jungwiert, Rait Maruste, Marco Villiger, Isabelle Berro-Lefèvre, giudici,
e da Claudia Westerdiek, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 15 dicembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 10271/02) diretta contro la Repubblica francese e in cui un cittadino di questo Stato, R.P. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 9 novembre 2000 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”). È stato fatto diritto alla richiesta di non-divulgazione di identità formulata dal richiedente (articolo 47 § 3 dell’ordinamento).
2. Il richiedente è rappresentato da A. G., avvocato a Parigi. Il governo francese (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Belliard, direttrice delle cause giuridiche al ministero delle Cause estere.
3. Il richiedente si lamentava, allo sguardo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, della perdita del suo esercizio, così come della speranza legittima di proseguire lo sviluppo agricolo e viticolo della sua tenuta. Criticava in particolare l’inoperosità dello stato che non è intervenuto per fare cessare un’occupazione illegale dal 1993 e constatata dai suoi servizi, nonostante una misura giudiziale di sfratto. Il richiedente si lamentava anche, sotto l’angolo dell’articolo 8 della Convenzione, di essere stato privato del godimento del suo domicilio in ragione dell’occupazione illegale della sua tenuta.
4. Con una decisione del 3 luglio 2007, la Corte ha dichiarato la richiesta ammissibile.
5. Tanto il richiedente che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte sul merito della causa (articolo 59 § 1 dell’ordinamento).
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
6. Il richiedente, R.P, è un cittadino francese, nato nel 1932 e residente a Perpignan.
7. Ha vissuto dal 1932 al 1962 in Algeria. In seguito agli avvenimenti sopraggiunti in questo paese, beneficiando del dispositivo previsto dalla legge del 26 dicembre 1961, relativa all’accoglimento ed alla nuova stabilizzazione dei francesi di oltremare, si stabilì in Corsica.
8. Nel marzo 1965, il richiedente acquisì delle terre di macchia, che riuscì a convertire in una tenuta agricola e viticola, nella località Albarreto, nel comune di Linguizetta. L’esercizio comprende trentasei ettari di terre irrigabili, degli edifici, una cantina viticola di 10 000 ettolitri e del materiale agricolo.
9. Nell’aprile 1993, il richiedente dovette tornare in città per ragioni familiari e l’esercizio, affidato alla custodia di un operaio agricolo, non fu più tenuto a contare da questa data.
10. Il 18 settembre 1993, degli individui, membri del Coordinamento rurale poi del Sindacato corso dell’agricoltura, occuparono illegalmente il terreno, per permettere l’insediamento di J.S.S, allevatore di bestiame della regione. Questa occupazione fu seguita da un certo numero di reati, in particolare dalla degradazione della cantina viticole, i lavori di rimessa in stato essendo stimati a più di 200 000 euro, ed il furto della totalità del materiale agricolo, di un valore di 300 000 euro. Il richiedente precisa che i suoi differenti tentativi per riprendere possesso della libera proprietà dei suoi beni hanno incontrato numerose difficoltà e minacce nel contesto insulare specifico alle rivendicazioni nazionaliste di certi militanti indipendentisti. Questa situazione fu molte volte denunciata ai poteri pubblici da associazioni (Casa degli agricoltori francesi dell’Algeria, Comitato di collegamento delle associazioni nazionali dei rimpatriati, Confederazione dell’assembramento e coordinamento unitario dei rimpatriati e spogliati).
11. Con una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno dell’ 11 ottobre 1993, il richiedente depositò querela presso il procuratore della Repubblica, presso la corte d’appello di Bastia contro il presidente del Coordinamento rurale e ogni altro occupante dei luoghi.
12. Il 18 novembre 1993, il richiedente si presentò alla squadra della polizia di Aléria per riferire i fatti relativi all’occupazione e chiedere l’evacuazione dalla sua proprietà e la rimessa in stato dei luoghi. Precisò che i passi erano stati intrapresi dagli occupanti per incontrarlo e ricomprargli la sua proprietà ad un prezzo irrisorio. Confermò la sua querela. Dopo l’ascolto dell’occupante il 13 dicembre 1993, un verbale di informazioni giudiziali ed amministrative relativo a queste dichiarazioni, a quelle dell’occupante ed alla situazione generale fu redatto dalla polizia ed indirizzato al procuratore della Repubblica di Bastia, così come al viceprefetto di Corte, il 24 dicembre 1993.
13. Il 7 aprile, 17 e il 26 maggio 1994, il richiedente scrisse al prefetto dell’Alta – Corsica per richiedere il suo aiuto in vista di fare cessare l’occupazione della sua proprietà. Nella sua lettera del 26 maggio, informò il prefetto delle minacce di cui l’operaio agricolo normalmente incaricato della custodia sarebbe stato oggetto per ottenere la sua partenza.
14. Il 30 maggio 1994, depositò denuncia a Perpignan per furto nella sua residenza situata nella tenuta corsa. Questo denuncia fu trasmessa al procuratore della Repubblica presso la corte d’appello di Perpignan.
15. In una lettera del 18 luglio 1994, il richiedente si rivolse al procuratore generale presso la corte di appello di Bastia per reiterare la sua querela formulata il 11 ottobre 1993 e confermata il 18 novembre 1993.
16. Il 9 agosto 1994, il richiedente depositò denuncia per furto con effrazione di cinque trattori ed altri materiali agricoli nella sua tenuta. Il 13 settembre e il 14 ottobre 1994, depositò denuncia per svaligiamento e furto con effrazione commessi nella sua residenza il 10 settembre 1994. Queste denuncie furono trasmesse al procuratore della Repubblica presso la corte d’appello di Perpignan, eccetto quella del 14 ottobre che fu depositata ad Aléria e trasmessa al procuratore di Bastia.
17. Il 6 febbraio 1996, il richiedente scrisse al procuratore della Repubblica di Bastia per sollecitare il suo intervento e depositare denuncia contro X per furto di un contenitore di vino e contro J.S.S. per attentato alla sua proprietà immobiliare, pascolo indebito sul suo terreno e violazione del suo diritto di proprietà.
18. Con atto di ufficiale giudiziario del 30 gennaio 1997, il richiedente fece citare J.S.S. per sfratto.
19. Il 19 febbraio 1997, il giudice del consiglio della corte d’appello di Bastia ordinò lo sgombero della tenuta del richiedente da parte J.S.S. nei seguenti termini:
“Ordiniamo lo sgombero da parte di [J.S.S] degli appezzamenti di terre ubicati sul territorio del comune di Linguizetta (Alta – Corsica), denominate Tenuta di Albaretto e di cui [il richiedente] è proprietario, nel termine di un mese a contare dalla notifica della presente ordinanza e sotto penale di Mille Franchi (1 000 F) al giorno di ritardo, passato questo termine, “
20. L’occupante, J.S.S, interpose appello, menzionando un accordo verbale col richiedente e, sussidiariamente, chiedendo la riduzione della penale tenuto conto della sua buona fede, pure invocando dei passi presso la Società di pianificazione fondiaria e di determinazione rurale (Safer) ed un procedimento teso a fare riconoscere lo stato di mancanza di coltura degli appezzamenti. Il richiedente, in un appello incidentale, chiese che lo sfratto venisse ordinato col concorso della forza pubblica, così come il mantenimento della penale, oltre una somma mensile di quindicimila franchi a titolo di indennità di occupazione a contare dalla sentenza d’intervento.
21. Il richiedente depositò di nuovo denuncia per furto il 9 agosto 1997.
22. Il 7 aprile 1998, il prefetto dell’Alta – Corsica prese un’ordinanza riguardante la carenza del proprietario a sfruttare un fondo agricolo e l’ attribuzione del fondo a J.S.S.
23. Il 9 aprile 1998, la corte di appello di Bastia confermò la decisione del 19 febbraio 1997, ordinando il concorso della forza pubblica. Giudicò che J.S.S. era un occupante senza né diritto né titolo e che c’era luogo di confermare la decisione intrapresa ordinando tuttavia il concorso della forza pubblica e ricordando che le decisioni in materia di camera di consiglio sono esecutive di pieno diritto e a titolo provvisorio “.
24. Con un giudizio dell’ 8 ottobre 1998, dopo immissione nel processo del 20 maggio 1998, il tribunale amministrativo di Bastia annullò l’ordinanza prefettizia del 7 aprile 1998 per eccesso di potere.
25. Il 24 maggio 2000, il richiedente depositò denuncia per furto. Il 21 giugno 2000, depositò denuncia per distruzione con incendio di un locale agricolo intervenuto la vigilia. Queste denuncie, trasmesse al procuratore della Repubblica presso la corte d’appello di Perpignan, non ebbero seguito.
26. Un verbale della polizia fu preparato il 19 settembre 2007. Ne risulta che il sindaco del comune sul quale si trovano i terreni del richiedente ha confermato l’occupazione illegale del terreno, pure precisando che non è durata molto tempo e che i terreni erano da molto incolti. Peraltro, ne risulta che l’ufficiale di polizia giudiziale constatò da solo che nessuna coltura né manutenzione sono state effettuati sugli appezzamenti del richiedente.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
27. La Corte rinvia su questi punti alla causa Matheus c. Francia (no 62740/00, §§ 36-40, 31 marzo 2005).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
28. Il richiedente che si lamenta della perdita del suo esercizio e della speranza legittima di proseguire lo sviluppo agricolo e viticolo della sua tenuta, critica l’inoperosità dello stato che non è intervenuto per fare cessare un’occupazione illegale dal 1993 e constatata dai suoi servizi, nonostante una misura giudiziale di sfratto. Invoca l’articolo 1 del Protocollo no 1 che si legge come segue:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Tesi delle parti
1. Il Governo
29. Il Governo riconosce che le terre del richiedente erano occupate illegalmente, che i poteri pubblici non hanno messo fine a questa occupazione e che questa ha potuto causare dei dispiaceri al richiedente. Nota però che questa occupazione è intervenuta solamente dopo la partenza del richiedente verso la città nell’aprile 1993, e che le terre non erano sfruttate più al momento dell’insediamento degli occupanti nel settembre 1993. Il Governo rinvia anche al verbale della polizia di Aleria, datato 19 settembre 2007 e che ha prodotto dinnanzi alla Corte il 31 gennaio 2008 che dimostra che le terre del richiedente non sono più occupate da alcuni anni e che sono incolte.
30. Sottolinea che il richiedente disponeva di una decisione giudiziale che ordinava l’evacuazione della sua tenuta e che non ha sollecitato il concorso della forza pubblica. Non ha investito neanche le giurisdizioni amministrative per lamentarsi di un eventuale rifiuto ed ottenere un indennizzo. Il Governo ne conclude che il richiedente non può in queste condizioni avvalersi di una carenza o di una mancanza dell’amministrazione suscettibile di costituire una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
31. Il Governo aggiunge che se la giurisprudenza della Corte sui giudizi di sfratto riconosce la necessità di un’esecuzione veloce delle decisioni e del collocamento in opera del concorso della forza pubblica quando viene chiesto, non vieta ai poteri pubblici di tenere conto delle necessità dell’ordine pubblico per prestare o non il concorso della forza pubblica, purché dimostrino che questo rinvio dell’esecuzione è durato solamente il tempo necessario (Lunari c. Italia, no 21463/93, 11 gennaio 2001). Le autorità francesi hanno potuto differire alcuni sfratti per i motivi di ordine pubblico evidente, non superando il loro margine di valutazione, dunque come nello specifico, dal momento che dei rischi di scontri armati non erano ad escludere.
2. Il richiedente
32. Il richiedente rileva che il Governo non contesta i fatti ed i dispiaceri che hanno potuto causare l’occupazione illegale della sua proprietà. Afferma di avere chiesto il concorso della forza pubblica. Nota che il Governo limita, nelle sue osservazioni, la sua pretesa inoperosità alle sole inchieste che hanno seguito le azioni di distruzione, senza rispondere ai mezzi derivati dalla mancanza concreta e patrimoniale di protezione della sua proprietà.
33. Trattandosi della sentenza Lunari c. Italia, precitata, il richiedente stima che il Governo si accontenta di riferirsi alla nozione di ordine pubblico in modo declaratorio, senza precisare in che cosa le misure di protezione del suo diritto di proprietà avrebbero potuto recare offesa all’ordine pubblico, e senza principio di prova relativa ai “rischi di scontri armati” alla vista diversamente di “situazioni più gravi.” Aggiunge che a differenza della causa Lunari, non vi è nello specifico un rinvio all’esecuzione, ma un rifiuto totale di esecuzione. In quanto al tempo “rigorosamente necessario” affinché le autorità trovino una soluzione al problema, il richiedente rileva che è indeterminato e può durare parecchi anni in Corsica, oltre il fatto che il Governo è nell’impossibilità di rispondere alla condizione di “soluzione soddisfacente”.
34. Il richiedente invoca il beneficio della sentenza Matheus c. Francia, precitata, concernente il rifiuto di concorso della forza pubblica in un clima particolare di animosità a riguardo di certi proprietari cittadini. Stima infine che l’impatto della carenza dello stato sul godimento dei suoi beni gli ha fatto sopportare un carico sproporzionato ed eccessivo.
35. Concernente il verbale della polizia prodotto dal Governo, il richiedente avanza che questo documento non menziona nessuna data precisa di occupazione e che, spossessato materialmente della sua proprietà ed esposto all’azione militante dei nazionalisti corsi, è nell’impossibilità di inseguire una qualsiasi attività sulla sua proprietà.
B. Valutazione della Corte
36. Come nel causa Matheus, precitata, la Corte considera che il rifiuto di concorso della forza pubblica nello specifico non deriva dall’applicazione di una legge che dipende da una politica sociale ed economica nel campo, per esempio, dell’alloggio o dell’ accompagnamento sociale di inquilini in difficoltà, ma di una carenza delle autorità locali, ed in particolare del prefetto, addirittura di un rifiuto deliberato da parte di queste, nelle circostanze locali particolari e durante un lungo periodo, di prestare man-forte al richiedente per fare liberare le sue terre. Il difetto di esecuzione della sentenza del 9 aprile 1998 deve essere esaminato quindi alla luce della norma generale contenuta nella prima frase del primo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che enuncia il diritto al rispetto della sua proprietà.
37. La Corte ricorda, a questo riguardo, che l’esercizio reale ed efficace del diritto che questa disposizione garantisce non potrebbe difatti dipendere unicamente dal dovere dello stato di astenersi da ogni ingerenza e può esigere delle misure positive di protezione, particolarmente là dove esiste un legame diretto tra le misure che un richiedente potrebbe aspettarsi legittimamente delle autorità ed il godimento effettivo da parte di questo ultimo dei suoi beni (Öneryıldız c. Turchia [GC], no 48939/99, § 134, CEDH 2004-XII, e Matheus precitata, § 68).
38. Peraltro, composto con la prima frase dell’articolo 1 del Protocollo no 1, la preminenza del diritto, uno del principio fondamentali di una società democratica, inerente all’insieme degli articoli della Convenzione, giustifica la sanzione di un Stato in ragione del rifiuto di questo di eseguire o di fare eseguire una decisione di giustizia (Katsaros c. Grecia, no 51473/99, § 43, 6 giugno 2002, e Georgiadis c. Grecia, no 41209/98, § 31, 28 marzo 2000).
39. La Corte prende nota delle osservazioni del Governo e rileva che dal 9 aprile 1998, data della misura giudiziale di sfratto, le autorità non hanno intrapreso niente per fare liberare le terre illegalmente occupate. Constata che il Governo non giustifica l’inoperosità delle autorità e si accontenta di fare riferimento, in modo generale e non sufficientemente circostanziale, a necessità di ordine pubblico ed ad un rischio di scontri armati.
40. Sebbene cosciente delle difficoltà incontrate dalle autorità francesi per rinforzare lo stato di diritto in Corsica, la Corte stima che gli argomenti avanzati nello specifico non potrebbero costituire un motivo legittimo serio e sufficiente per giustificare la carenza delle autorità che avevano l’obbligo di proteggere gli interessi patrimoniali del richiedente. Così, la Corte constata, contrariamente a ciò che il Governo sembra sostenere facendo riferimento alla causa Lunari, precitata, che le autorità non hanno soprasseduto all’esecuzione della misura giudiziale, né cercato un’altra soluzione per ovviare alla situazione, ma che hanno negato semplicemente di eseguirla. Il fatto che la durata dell’occupazione illegale non possa essere determinato con esattezza non è di natura tale da giustificare questo rifiuto. La Corte rileva del resto che non solo l’occupante illegale non è stato espulso, ma che ha beneficiato al contrario di un aiuto attivo del prefetto per spossessare il richiedente dei suoi terreni tramite un’ordinanza alla fine annullata dal giudice amministrativo (paragrafo 24 sopra).
41. Secondo la Corte, apparteneva alle autorità, non appena informate della situazione del richiedente, di prendere, in un termine ragionevole, tutte le misure necessarie affinché la decisione di giustizia venisse rispettata e che il richiedente ritrovasse il pieno godimento dei suoi beni. Stima che l’inoperosità delle autorità nello specifico ha avuto per conseguenza, in mancanza di ogni giustificazione di interesse generale, di arrivare ad un tipo di espropriazione privata di cui l’occupante illegale si è ritrovato beneficiario (Matheus precitata, § 71,). Lasciando perdurare tale situazione, le autorità hanno incoraggiato non solo certi individui a degradare in ogni impunità i beni del richiedente, ma ha lasciato anche installare un clima di timore e di insicurezza non propizio al ritorno del richiedente sulle sue terre.
42. La Corte nota che questo tipo di situazione manifesta l’inefficacia del sistema di esecuzione e rinvia al rischio di deriva-ricordato nella Raccomandazione del Comitato dei Ministri in materia di esecuzione delle decisioni di giustizia-di arrivare ad una forma di “giustizia privata” che può avere delle conseguenze negative sulla fiducia e la credibilità del pubblico nel sistema giuridico (ibid.).
43. Alla vista di ciò che precede, la Corte considera che il rifiuto continuo delle autorità di prestare man-forte al richiedente per mettere fine all’occupazione illegale dei suoi terreni ha recato offesa al suo diritto al rispetto dei suoi beni. C’è stata dunque violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
44. Il richiedente dice di essere stato privato del godimento del suo domicilio in ragione dell’occupazione illegale della sua tenuta dal 1993. Invoca l’articolo 8 che si legge come segue:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
45. Tanto il richiedente che il Governo invocano degli argomenti comuni ai motivi di appello derivati degli articoli 8 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1.
46. Tenuto conto della constatazione di violazione al quale è giunta (paragrafo 43 sopra) la Corte non stima necessario esaminare separatamente il motivo di appello derivato dall’articolo 8.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
47. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
1. Danno patrimoniale
48. Il 18 settembre 2007, il richiedente ha chiesto il versamento di una somma di 2 772 858 euro (EUR) a titolo del danno patrimoniale (1 803 470 EUR) per la perdita dei beni fondiari, 759 388 EUR per i beni mobiliari -valore della cantina e del patrimonio viticolo -e 210 000 EUR corrispondenti alla perdita di godimento in ragione degli affitti che avrebbe potuto percepire durante quattordici anni. Il 3 giugno 2008, il richiedente ha depositato una nota complementare del perito commesso da lui e ha modificato la sua richiesta a titolo del danno patrimoniale, sollecitando un importo totale di 2 428 528 EUR, o 759 388 EUR per i beni mobiliari e 1 669 140 EUR per la perdita di godimento, precisando che questa nuova richiesta non comprendeva più la perdita dei beni fondiari che restavano di sua proprietà, ma che aveva aggiunto 1 459 140 EUR per la perdita di godimento in ragione degli affitti che avrebbe potuto percepire se avesse potuto concludere un affitto enfiteutico per una durata di ventidue anni.
49. Il Governo contesta queste domande che giudica eccessive e che non possono essere connesse alle violazioni addotte della Convenzione. Considera in particolare che il richiedente ha subito effettivamente un problema di godimento a causa dell’occupazione prolungata dei suoi beni, ma che non è autorizzato a chiedere un indennizzo corrispondente al valore della proprietà fondiaria, nella misura in cui rimane il proprietario titolare del terreno e che non ha subito spodestamento. Non fa nessuna osservazione a proposito della perizia complementare del 3 giugno 2008.
50. La Corte rileva che l’unica base da considerare per la concessione di una soddisfazione equa risiede nello specifico nella constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 in ragione del rifiuto di concorso della forza pubblica in esecuzione di una decisione di giustizia. Stima che se il richiedente ha insindacabilmente e necessariamente subito un danno patrimoniale in ragione del rifiuto di concorso della forza pubblica, le sue pretese sono tuttavia manifestamente, o ipotetiche, o eccessive, e le perizie sollecitate su sua richiesta, secondo i metodi di valutazione la cui pertinenza non è sufficientemente stabilita, non permettono di più di calcolare questo danno in modo preciso. In queste condizioni, non sarà fatto diritto a questo capo di richiesta. La Corte nota del resto, a titolo che ulteriore che se, come ha giudicato nella cornice dell’esame dell’ammissibilità della presente richiesta, un collocamento in causa della responsabilità dello stato sarebbe stato inefficace per arrivare all’esecuzione della decisione di giustizia ed alla liberazione dei luoghi (vedere anche Barret e Sirjean c. Francia, (dec.), no 13829/03, 3 luglio 2007) tale azione dinnanzi alle giurisdizioni interne è invece suscettibile di offrire un ricorso adeguato per ottenere l’indennizzo del danno subito in ragione dell’occupazione lei stessa (vedere Barret e Sirjean c. Francia, no 13829/03, § 55, 21 gennaio 2010).
2. Danno morale
51. Il richiedente chiede almeno 50 000 EUR.
52. Il Governo non si pronuncia.
53. La Corte stima che il richiedente ha subito un danno morale certo, che la semplice constatazione di violazione non potrebbe compensare. Deliberando in equità come vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte gli assegna la somma di 8 000 EUR.
B. Oneri e spese
54. Il richiedente richiede 36 688, 39 EUR a titolo degli oneri e delle spese, corrispondenti alla parcella degli avvocati che l’hanno rappresentato dinnanzi alle giurisdizioni interne e dinnanzi alla Corte, così come all’onere di ufficiale giudiziario e di perizia. Produce un certo numero di fatture a sostegno di questa richiesta.
55. Il Governo considera che soli gli oneri di giustizia realmente e necessariamente impegnati devono essere presi in conto.
56. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Inoltre, quando la Corte constata una violazione della Convenzione, accorda al richiedente il pagamento degli oneri e spese che ha esposto dinnanzi alle giurisdizioni nazionali solo nella misura in cui sono stati impegnati per prevenire o fare correggere da queste suddetta violazione: tale è stato benché parzialmente il caso nello specifico. Perciò, deliberando in equità, come vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte giudica ragionevole assegnare all’interessato, a titolo degli oneri e delle spese, la somma di 5 000 EUR.
C. Interessi moratori
57. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
2. Stabilisce che non è necessario esaminare separatamente il motivo di appello derivato dall’articolo 8 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme di 8 000 EUR (ottomila euro) per danno morale e 5 000 EUR (cinquemila euro) a titolo degli oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente;
b che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 21 gennaio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Claudia Westerdiek Peer Lorenzen
Cancelliera Presidente

Testo Tradotto

CINQUIÈME SECTION
AFFAIRE R.P. c. FRANCE
(Requête no 10271/02)
ARRÊT
STRASBOURG
21 janvier 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire R.P. c. France,
La Cour européenne des droits de l’homme (cinquième section), siégeant en une chambre composée de :
Peer Lorenzen, président,
Renate Jaeger,
Jean-Paul Costa,
Karel Jungwiert,
Rait Maruste,
Mark Villiger,
Isabelle Berro-Lefèvre, juges,
et de Claudia Westerdiek, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 15 décembre 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 10271/02) dirigée contre la République française et dont un ressortissant de cet Etat, R.P. (« le requérant »), a saisi la Cour le 9 novembre 2000 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »). Il a été fait droit à la demande de non-divulgation d’identité formulée par le requérant (article 47 § 3 du règlement).
2. Le requérant est représenté par Me A. G., avocat à Paris. Le gouvernement français (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Mme E. Belliard, directrice des affaires juridiques au ministère des Affaires étrangères.
3. Le requérant se plaignait, au regard de l’article 1 du Protocole no 1, de la perte de son exploitation, ainsi que de l’espérance légitime de poursuivre le développement agricole et viticole de son domaine. Il critiquait en particulier l’inaction de l’Etat, qui n’est pas intervenu pour faire cesser une occupation illégale depuis 1993 et constatée par ses services, nonobstant une mesure judiciaire d’expulsion. Le requérant se plaignait également, sous l’angle de l’article 8 de la Convention, d’avoir été privé de la jouissance de son domicile en raison de l’occupation illégale de son domaine.
4. Par une décision du 3 juillet 2007, la Cour a déclaré la requête recevable.
5. Tant le requérant que le Gouvernement ont déposé des observations écrites sur le fond de l’affaire (article 59 § 1 du règlement).
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
6. Le requérant, R.P., est un ressortissant français, né en 1932 et résidant à Perpignan.
7. Il a vécu de 1932 à 1962 en Algérie. Suite aux événements survenus dans ce pays, bénéficiant du dispositif prévu par la loi du 26 décembre 1961, relatif à l’accueil et à la réinstallation des Français d’outre-mer, il s’installa en Corse.
8. En mars 1965, le requérant acquit des terres de maquis, qu’il réussit à convertir en un domaine agricole et viticole, au lieu-dit Albarreto, sur la commune de Linguizetta. L’exploitation comprend trente-six hectares de terres irrigables, des bâtiments, une cave viticole de 10 000 hectolitres et du matériel agricole.
9. En avril 1993, le requérant dut retourner en métropole pour raisons familiales et l’exploitation, confiée à la garde d’un ouvrier agricole, ne fut plus entretenue à compter de cette date.
10. Le 18 septembre 1993, des individus, membres de la Coordination rurale puis du Syndicat corse de l’agriculture, occupèrent le terrain illégalement, pour y permettre l’installation de J.S.S., éleveur de bétail de la région. Cette occupation fut suivie d’un certain nombre de délits, notamment de la dégradation de la cave viticole (les travaux de remise en état étant estimés à plus de 200 000 euros) et le vol de la totalité du matériel agricole (d’une valeur de 300 000 euros). Le requérant précise que ses différentes tentatives pour reprendre possession de la libre propriété de ses biens se sont heurtées à de nombreuses difficultés et menaces dans le contexte insulaire spécifique aux revendications nationalistes de certains militants indépendantistes. Cette situation fut maintes fois dénoncée aux pouvoirs publics par des associations (Maison des agriculteurs français d’Algérie, Comité de liaison des associations nationales de rapatriés, Confédération du rassemblement et coordination unitaire des rapatriés et spoliés).
11. Par une lettre recommandée avec accusé de réception du 11 octobre 1993, le requérant déposa plainte auprès du procureur de la République près le tribunal de grande instance de Bastia contre le président de la Coordination rurale et tout autre occupant des lieux.
12. Le 18 novembre 1993, le requérant se présenta à la brigade de gendarmerie d’Aléria pour relater les faits relatifs à l’occupation et demander l’évacuation de sa propriété et la remise en état des lieux. Il précisa que des démarches avaient été entreprises par les occupants pour le rencontrer et lui racheter sa propriété à un prix dérisoire. Il confirma sa plainte. Après audition de l’occupant le 13 décembre 1993, un procès-verbal de renseignement judiciaire et administratif relatif à ces déclarations, à celles de l’occupant et à la situation générale fut rédigé par la gendarmerie et adressé au procureur de la République de Bastia, ainsi qu’au sous-préfet de Corte, le 24 décembre 1993.
13. Les 7 avril, 17 et 26 mai 1994, le requérant écrivit au préfet de Haute-Corse pour requérir son aide en vue de faire cesser l’occupation de sa propriété. Dans sa lettre du 26 mai, il informa le préfet des menaces dont l’ouvrier agricole normalement en charge de la garde aurait fait l’objet pour obtenir son départ.
14. Le 30 mai 1994, il déposa plainte à Perpignan pour vol dans sa résidence située dans le domaine corse. Cette plainte fut transmise au procureur de la République près le tribunal de grande instance de Perpignan.
15. Dans une lettre du 18 juillet 1994, le requérant s’adressa au procureur général près la cour d’appel de Bastia afin de réitérer sa plainte formulée le 11 octobre 1993 et confirmée le 18 novembre 1993.
16. Le 9 août 1994, le requérant déposa plainte pour vol avec effraction de cinq tracteurs et autres matériels agricoles dans son domaine. Les 13 septembre et 14 octobre 1994, il déposa plainte pour cambriolage et vol par effraction commis dans sa résidence le 10 septembre 1994. Ces plaintes furent transmises au procureur de la République près le tribunal de grande instance de Perpignan, à l’exception de celle du 14 octobre qui fut déposée à Aléria et transmise au procureur de Bastia.
17. Le 6 février 1996, le requérant écrivit au procureur de la République de Bastia pour solliciter son intervention et déposer plainte contre X pour vol d’un garde-vin et contre J.S.S. pour atteinte à sa propriété immobilière, pacage indu sur son terrain et violation de son droit de propriété.
18. Par acte d’huissier du 30 janvier 1997, le requérant fit assigner J.S.S. en expulsion.
19. Le 19 février 1997, le juge des référés du tribunal de grande instance de Bastia ordonna la libération du domaine du requérant par J.S.S. dans les termes suivants :
« Ordonnons la libération par [J.S.S.] des parcelles de terres sises sur le territoire de la commune de Linguizetta (Haute-Corse), dénommées Domaine d’Albaretto et dont [le requérant] est propriétaire, dans le délai d’un mois à compter de la signification de la présente ordonnance et sous astreinte de MILLE FRANCS (1 000 F) par jour de retard, passé ce délai (…) »
20. L’occupant, J.S.S., interjeta appel, évoquant un accord verbal avec le requérant et, subsidiairement, demandant la réduction de l’astreinte compte tenu de sa bonne foi, tout en invoquant des démarches auprès de la Société d’aménagement foncier et d’établissement rural (Safer) et une procédure tendant à faire reconnaître l’état d’inculture des parcelles. Le requérant, dans un appel incident, demanda que l’expulsion soit ordonnée avec le concours de la force publique, ainsi que le maintien de l’astreinte, outre une somme mensuelle de quinze mille francs à titre d’indemnité d’occupation à compter de l’arrêt à intervenir.
21. Le requérant déposa à nouveau plainte pour vol le 9 août 1997.
22. Le 7 avril 1998, le préfet de Haute-Corse prit un arrêté portant carence du propriétaire à exploiter un fonds agricole et attribution du fonds à J.S.S.
23. Le 9 avril 1998, la cour d’appel de Bastia confirma la décision du 19 février 1997, en ordonnant le concours de la force publique. Elle jugea que J.S.S. était bien un occupant sans droit ni titre et qu’il y avait lieu de confirmer la décision entreprise « en ordonnant toutefois le concours de la force publique et en rappelant que les décisions en matière de référé sont exécutoires de plein droit à titre provisoire ».
24. Par un jugement du 8 octobre 1998, après saisine du 20 mai 1998, le tribunal administratif de Bastia annula l’arrêté préfectoral du 7 avril 1998 pour excès de pouvoir.
25. Le 24 mai 2000, le requérant déposa plainte pour vol. Le 21 juin 2000, il déposa plainte pour destruction par incendie d’un local agricole intervenu la veille. Ces plaintes, transmises au procureur de la République près le tribunal de grande instance de Perpignan, n’eurent pas de suite.
26. Un procès-verbal de gendarmerie fut dressé le 19 septembre 2007. Il en ressort que le maire de la commune sur laquelle se situent les terrains du requérant a confirmé l’occupation illégale du terrain, tout en précisant qu’elle n’a pas duré longtemps et que les terrains étaient en friche depuis longtemps. Par ailleurs, il en ressort que l’officier de police judiciaire constata par lui-même qu’aucune culture ni entretien ne sont effectués sur les parcelles du requérant.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
27. La Cour renvoie sur ces points à l’affaire Matheus c. France (no 62740/00, §§ 36-40, 31 mars 2005).
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
28. Le requérant, qui se plaint de la perte de son exploitation et de l’espérance légitime de poursuivre le développement agricole et viticole de son domaine, critique l’inaction de l’Etat qui n’est pas intervenu pour faire cesser une occupation illégale depuis 1993 et constatée par ses services, nonobstant une mesure judiciaire d’expulsion. Il invoque l’article 1 du Protocole no 1, qui se lit comme suit :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Thèses des parties
1. Le Gouvernement
29. Le Gouvernement reconnaît que les terres du requérant étaient illégalement occupées, que les pouvoirs publics n’ont pas mis fin à cette occupation et que celle-ci a pu causer des désagréments au requérant. Il remarque cependant que cette occupation n’est intervenue qu’après le départ du requérant vers la métropole en avril 1993, et que les terres n’étaient plus exploitées au moment de l’installation des occupants en septembre 1993. Le Gouvernement renvoie également au procès-verbal de la gendarmerie d’Aleria, daté du 19 septembre 2007 et qu’il a produit devant la Cour 31 janvier 2008, qui démontre que les terres du requérant ne sont plus occupées depuis quelques années et qu’elles sont en friche.
30. Il souligne que le requérant disposait d’une décision judiciaire ordonnant l’évacuation de son domaine et qu’il n’a pas sollicité le concours de la force publique. Il n’a pas non plus saisi les juridictions administratives pour se plaindre d’un éventuel refus et obtenir une indemnisation. Le Gouvernement en conclut que le requérant ne peut dans ces conditions se prévaloir d’une carence ou d’une faute de l’administration susceptible de constituer une violation de l’article 1 du Protocole no 1.
31. Le Gouvernement ajoute que si la jurisprudence de la Cour sur les jugements d’expulsion reconnaît la nécessité d’une exécution rapide des décisions et de la mise en œuvre du concours de la force publique lorsqu’elle est demandée, elle n’interdit pas aux pouvoirs publics de tenir compte des nécessités de l’ordre public pour prêter ou non le concours de la force publique, pourvu qu’ils démontrent que ce sursis à exécution n’a duré que le temps nécessaire (Lunari c. Italie, no 21463/93, 11 janvier 2001). Les autorités françaises ont donc pu différer quelques expulsions pour des motifs d’ordre public évidents, n’excédant pas leur marge d’appréciation, comme en l’espèce, dès lors que des risques d’affrontements armés n’étaient pas à exclure.
2. Le requérant
32. Le requérant relève que le Gouvernement ne conteste pas les faits et les désagréments qu’a pu causer l’occupation illégale de sa propriété. Il affirme avoir demandé le concours de la force publique. Il note que le Gouvernement limite, dans ses observations, sa prétendue inaction aux seules enquêtes qui ont suivi les actions de destruction, sans répondre aux moyens tirés de l’absence concrète et matérielle de protection de sa propriété.
33. S’agissant de l’arrêt Lunari c. Italie (précité), le requérant estime que le Gouvernement se contente de se référer à la notion d’ordre public de façon déclaratoire, sans préciser en quoi les mesures de protection de son droit de propriété pourraient porter atteinte à l’ordre public, et sans commencement de preuve relatif à des « risques d’affrontements armés » au vu de « situations autrement plus graves ». Il ajoute qu’à la différence de l’affaire Lunari, il n’y a en l’espèce non pas un sursis à exécution, mais un refus total d’exécution. Quant au temps « strictement nécessaire » pour que les autorités trouvent une solution au problème, le requérant relève qu’il est indéterminé et peut durer plusieurs années en Corse, outre le fait que le Gouvernement est dans l’impossibilité de répondre à la condition de « solution satisfaisante ».
34. Le requérant invoque le bénéfice de l’arrêt Matheus c. France (précité) concernant le refus de concours de la force publique dans un climat particulier d’animosité à l’égard de certains propriétaires métropolitains. Il estime enfin que l’impact de la carence de l’Etat sur la jouissance de ses biens lui a fait supporter une charge disproportionnée et excessive.
35. Concernant le procès-verbal de gendarmerie produit par le Gouvernement, le requérant avance que cette pièce ne mentionne aucune date précise d’occupation et que, dépossédé matériellement de sa propriété et exposé à l’action militante des nationalistes corses, il est dans l’impossibilité de poursuivre une quelconque activité sur sa propriété.
B. Appréciation de la Cour
36. Comme dans l’affaire Matheus (précitée), la Cour considère que le refus de concours de la force publique en l’espèce ne découle pas de l’application d’une loi relevant d’une politique sociale et économique dans le domaine, par exemple, du logement ou d’accompagnement social de locataires en difficulté, mais d’une carence des autorités locales, et notamment du préfet, voire d’un refus délibéré de la part de celles-ci, dans des circonstances locales particulières et pendant une longue période, de prêter main-forte au requérant pour faire libérer ses terres. Le défaut d’exécution de l’arrêt du 9 avril 1998 doit dès lors être examiné à la lumière de la norme générale contenue dans la première phrase du premier paragraphe de l’article 1 du Protocole no 1 qui énonce le droit au respect de sa propriété.
37. La Cour rappelle, à cet égard, que l’exercice réel et efficace du droit que cette disposition garantit ne saurait en effet dépendre uniquement du devoir de l’Etat de s’abstenir de toute ingérence et peut exiger des mesures positives de protection, notamment là où il existe un lien direct entre les mesures qu’un requérant pourrait légitimement attendre des autorités et la jouissance effective par ce dernier de ses biens (Öneryıldız c. Turquie [GC], no 48939/99, § 134, CEDH 2004-XII, et Matheus précité, § 68).
38. Par ailleurs, combiné avec la première phrase de l’article 1 du Protocole no 1, la prééminence du droit, l’un des principe fondamentaux d’une société démocratique, inhérente à l’ensemble des articles de la Convention, justifie la sanction d’un Etat en raison du refus de celui-ci d’exécuter ou de faire exécuter une décision de justice (Katsaros c. Grèce, no 51473/99, § 43, 6 juin 2002, et Georgiadis c. Grèce, no 41209/98, § 31, 28 mars 2000).
39. La Cour prend note des observations du Gouvernement et relève que depuis le 9 avril 1998, date de la mesure judiciaire d’expulsion, les autorités n’ont rien entrepris pour faire libérer les terres illégalement occupées. Elle constate que le Gouvernement ne justifie pas l’inaction des autorités et se contente de faire référence, d’une façon générale et non suffisamment circonstanciée, aux nécessités de l’ordre public et à un risque d’affrontements armés.
40. Bien que consciente des difficultés rencontrées par les autorités françaises pour renforcer l’Etat de droit en Corse, la Cour estime que les arguments avancés en l’espèce ne sauraient constituer un motif légitime sérieux et suffisant pour justifier la carence des autorités, qui avaient l’obligation de protéger les intérêts patrimoniaux du requérant. Ainsi, la Cour constate, contrairement à ce que le Gouvernement semble soutenir en faisant référence à l’affaire Lunari (précité), que les autorités n’ont pas sursis à l’exécution de la mesure judiciaire, ni cherché une autre solution pour remédier à la situation, mais qu’elles ont simplement refusé de l’exécuter. Le fait que la durée de l’occupation illégale ne puisse être déterminée avec exactitude n’est pas de nature à justifier ce refus. La Cour relève d’ailleurs que non seulement l’occupant illégal n’a pas été expulsé, mais qu’il a au contraire bénéficié d’une aide active du préfet pour déposséder le requérant de ses terrains par le biais d’un arrêté finalement annulé par le juge administratif (paragraphe 24 ci-dessus).
41. De l’avis de la Cour, il appartenait aux autorités, dès qu’elles furent informées de la situation du requérant, de prendre, dans un délai raisonnable, toutes les mesures nécessaires afin que la décision de justice soit respectée et que le requérant retrouve la pleine jouissance de ses biens. Elle estime que l’inaction des autorités en l’espèce a eu pour conséquence, en l’absence de toute justification d’intérêt général, d’aboutir à une sorte d’expropriation privée dont l’occupant illégal s’est retrouvé bénéficiaire (Matheus précité, § 71). En laissant perdurer une telle situation, les autorités ont non seulement encouragé certains individus à dégrader en toute impunité les biens du requérant, mais également laissé s’installer un climat de crainte et d’insécurité non propice au retour du requérant sur ses terres.
42. La Cour remarque que ce type de situation témoigne de l’inefficacité du système d’exécution et renvoie au risque de dérive – rappelé dans la Recommandation du Comité des Ministres en matière d’exécution des décisions de justice – d’aboutir à une forme de « justice privée » qui peut avoir des conséquences négatives sur la confiance et la crédibilité du public dans le système juridique (ibid.).
43. Au vu de ce qui précède, la Cour considère que le refus continu des autorités de prêter main-forte au requérant pour mettre fin à l’occupation illégale de ses terrains a porté atteinte à son droit au respect de ses biens. Il y a donc eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 DE LA CONVENTION
44. Le requérant dit avoir été privé de la jouissance de son domicile en raison de l’occupation illégale de son domaine depuis 1993. Il invoque l’article 8, qui se lit comme suit :
« 1. Toute personne a droit au respect de sa vie privée et familiale, de son domicile et de sa correspondance.
2. Il ne peut y avoir ingérence d’une autorité publique dans l’exercice de ce droit que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu’elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire à la sécurité nationale, à la sûreté publique, au bien-être économique du pays, à la défense de l’ordre et à la prévention des infractions pénales, à la protection de la santé ou de la morale, ou à la protection des droits et libertés d’autrui. »
45. Tant le requérant que le Gouvernement invoquent des arguments communs aux griefs tirés des articles 8 de la Convention et 1 du Protocole no 1.
46. Compte tenu du constat de violation auquel elle est parvenue (paragraphe 43 ci-dessus), la Cour n’estime pas nécessaire d’examiner séparément le grief tiré de l’article 8.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
47. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
1. Dommage matériel
48. Le 18 septembre 2007, le requérant a demandé le versement d’une somme de 2 772 858 euros (EUR) au titre du préjudice matériel (1 803 470 EUR pour la perte des biens fonciers, 759 388 EUR pour les biens mobiliers – valeur de la cave et du matériel viticole – et 210 000 EUR correspondant à la perte de jouissance en raison des loyers qu’il aurait pu percevoir pendant quatorze ans). Le 3 juin 2008, le requérant a déposé une note complémentaire de l’expert commis par lui et a modifié sa demande au titre du préjudice matériel, sollicitant un montant total de 2 428 528 EUR (soit 759 388 EUR pour les biens mobiliers et 1 669 140 EUR pour la perte de jouissance), précisant que cette nouvelle demande ne comprenait plus la perte des biens fonciers (qui restaient sa propriété), mais qu’il avait rajouté 1 459 140 EUR pour la perte de jouissance en raison des loyers qu’il aurait pu percevoir s’il avait pu conclure un bail emphytéotique pour une durée de vingt-deux ans.
49. Le Gouvernement conteste ces demandes qu’il juge excessives et ne pouvant être rattachées aux violations alléguées de la Convention. Il considère notamment que le requérant a effectivement subi un trouble de jouissance du fait de l’occupation prolongée de ses biens, mais qu’il n’est pas fondé à demander une indemnisation correspondant à la valeur de la propriété foncière, dans la mesure où il demeure le propriétaire en titre du terrain et qu’il n’a pas subi de dépossession. Il ne fait aucune observation au sujet de l’expertise complémentaire du 3 juin 2008.
50. La Cour relève que la seule base à retenir pour l’octroi d’une satisfaction équitable réside en l’espèce dans le constat de violation de l’article 1 du Protocole no 1 en raison du refus de concours de la force publique en exécution d’une décision de justice. Elle estime que si le requérant a incontestablement et nécessairement subi un préjudice matériel en raison du refus de concours de la force publique, ses prétentions sont néanmoins manifestement, soit hypothétiques, soit excessives, et les expertises diligentées à sa demande, selon des méthodes d’évaluation dont la pertinence n’est pas suffisamment établie, ne permettent pas davantage de calculer ce préjudice de manière précise. Dans ces conditions, il ne sera pas fait droit à ce chef de demande. La Cour note d’ailleurs, à titre surabondant, que si, comme elle a jugé dans le cadre de l’examen de la recevabilité de la présente requête, une mise en cause de la responsabilité de l’Etat aurait été inefficace pour aboutir à l’exécution de la décision de justice et à la libération des lieux (voir également Barret et Sirjean c. France (déc.), no 13829/03, 3 juillet 2007), une telle action devant les juridictions internes est par contre susceptible d’offrir un recours adéquat pour obtenir l’indemnisation du préjudice subi en raison de l’occupation elle-même (voir Barret et Sirjean c. France, no 13829/03, § 55, 21 janvier 2010).
2. Dommage moral
51. Le requérant demande au moins 50 000 EUR.
52. Le Gouvernement ne se prononce pas.
53. La Cour estime que le requérant a subi un préjudice moral certain, que la simple constatation de violation ne saurait compenser. Statuant en équité comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour lui alloue la somme de 8 000 EUR.
B. Frais et dépens
54. Le requérant réclame 36 688, 39 EUR au titre des frais et dépens, correspondant aux honoraires des avocats qui l’ont représenté devant les juridictions internes et devant la Cour, ainsi qu’aux frais d’huissier et d’expertise. Il produit un certain nombre de factures à l’appui de cette demande.
55. Le Gouvernement considère que seuls les frais de justice réellement et nécessairement engagés doivent être pris en compte.
56. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. En outre, lorsque la Cour constate une violation de la Convention, elle n’accorde au requérant le paiement des frais et dépens qu’il a exposés devant les juridictions nationales que dans la mesure où ils ont été engagés pour prévenir ou faire corriger par celles-ci ladite violation : tel a bien été partiellement le cas en l’espèce. En conséquence, statuant en équité, comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour juge raisonnable d’allouer à l’intéressé, au titre des frais et dépens, la somme de 5 000 EUR.
C. Intérêts moratoires
57. La Cour juge approprié de baser le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
2. Dit qu’il n’est pas nécessaire d’examiner séparément le grief tiré de l’article 8 de la Convention ;
3. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes de 8 000 EUR (huit mille euros) pour dommage moral et 5 000 EUR (cinq mille euros) au titre des frais et dépens, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par le requérant ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 21 janvier 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Claudia Westerdiek Peer Lorenzen
Greffière Président

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