Conclusione Violazione dell’art. 8; danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA PIAZZI C. ITALIA
( Richiesta no 36168/09)
SENTENZA
STRASBURGO
2 novembre 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma
Nella causa Piazzi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, Guido Raimondi, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 12 ottobre 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 36168/09) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. A. P. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 1 luglio 2009 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvacustodia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. È rappresentato dinnanzi alla Corte da A. F., avvocato a Venezia. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente, il Sig. N. Lettieri.
3. Il richiedente adduceva in particolare una violazione del diritto al rispetto della sua vita familiare, garantito dall’articolo 8 della Convenzione.
4. Il 22 ottobre 2009, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permette l’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1960 e risiede a Rimini.
6. Nel 1989, il richiedente sposò C. La coppia ebbe un figlio, L., nato il 13 novembre 1991.
7. Il matrimonio fu rapidamente contrassegnato da tensioni e da incomprensioni, così che il 18 maggio 1993, gli sposi investirono il presidente del tribunale di Napoli di un’istanza consensuale di separazione di corpo. La custodia del bambino fu assegnata a C. con un diritto di visita per il richiedente.
8. Nel 1999, dopo il divorzio, C. sposò un professore di università e traslocò a 250 chilometri di distanza dal richiedente.
9. Nell’aprile 2001, L. dichiarò a sua nonna materna ed allo psicologo che lo seguiva che aveva subito delle molestie sessuali da parte di suo padre. C. non depositò querela contro il richiedente ma si rivolse ad un avvocato che ingiunse al richiedente di non incontrare più suo figlio.
10. Il 12 aprile 2002, in ragione delle difficoltà incontrate nell’esercizio del suo diritto di visita, il richiedente investì il tribunale per i minori di Venezia. Faceva valere che la sua ex-moglie aveva influenzato suo figlio a questo proposito.
11. Con un decreto del 19 giugno 2002, il tribunale di Venezia affidò la custodia del bambino ai servizi sociali di Noventa Padovana, Amministrazione Sanitaria Locale – Azienda Sanitaria Locale – ASL, con mantenimento del collocamento del bambino presso il domicilio della madre ed ordinò una perizia tesa a verificare se uno dei due genitori aveva avuto un comportamento pregiudizievole al bambino e se, all’occorrenza, fosse opportuno che il bambino tenesse un contatto con suddetto genitore.
12. Nel dicembre 2003, lo psicologo depositò il suo rapporto che metteva in evidenza l’incapacità dei due genitori di esercitare “tutte le funzioni di un genitore.” In più i tentativi della madre di mettere il bambino contro suo padre potevano arrivare nello specifico ad una sindrome di alienazione parentale. Secondo lo psicologo, era poco probabile che L. avesse subito delle molestie sessuali da parte di suo padre. Questi avvenimenti erano piuttosto il frutto dell’immaginazione del bambino. Secondo lo psicologo, era opportuno che un progetto di avvicinamento tra L. ed il richiedente fosse preceduto da un procedimento di mediazione per i genitori.
13. Con un decreto del 1 dicembre 2003, il tribunale per i minori di Venezia, basandosi sulla perizia, limitò l’autorità parentale dei due genitori sul bambino e, confermando la decisione del 19 giugno 2002, autorizzò il richiedente ad incontrare il suo bambino in presenza degli assistenti sociali secondo le modalità stabilite dagli stessi servizi sociali. In particolare, il tribunale rilevò che la madre aveva avuto volontariamente un comportamento destinato ad escludere tanto il padre che le autorità competenti. Aveva di fatto interrotto ogni rapporto del bambino col padre. Il tribunale decise che era nell’interesse di L. restaurare il rapporto con suo padre per mezzo di una preparazione e di un sostegno psicologico, con la partecipazione di un psicoterapista scelto dai due genitori.
14. Gli incontri sorvegliati dovevano avere luogo ogni quindici giorni per un’ora.
15. Il 2 dicembre 2003, il richiedente contattò i servizi sociali per potere incontrare suo figlio. In mancanza di risposta, il richiedente reiterò la sua istanza il 11 febbraio 2004.
16. L’ 8 marzo 2004, l’assistente sociale l’informò che in mancanza di direttive precise del tribunale, non poteva fare diritto alla sua istanza.
17. Il 26 giugno 2004, il richiedente fu invitato a recarsi a Noventa Padovana per un incontro con l’assistente sociale. All’epoca dell’incontro, fu informato che la Sig.ra P. avrebbe seguito la pratica da quel momento in avanti.
18. In una data non precisata, il richiedente contattò per telefono la Sig.ra P. che l’informò sui risultati scolastici di L.
19. Durante l’estate 2004, non ebbe nessuno contatto con suo figlio.
20. Il 25 ottobre 2004, il richiedente incontrò di nuovo la Sig.ra P. ed i suoi collaboratori. Afferma che questi ultimi l’avrebbero informato che l’impossibilità di incontrare suo figlio era dovuta all’intervento del marito di sua ex-moglie che era un professore di un’università rinominata.
21. Con parecchie lettere datate 5 ottobre, 20 ottobre e 22 dicembre 2005, il richiedente sollecitò i servizi sociali affinché organizzassero un incontro con suo figlio conformemente alla decisione del tribunale.
22. Il 30 gennaio 2006, fu invitato ad andare presso la Sig.ra P. Una volta arrivato, fu informato che la Sig.ra P. era malata e che la psicologa che seguiva suo figlio non era disponibile per un incontro.
23. Il 19 aprile 2006, il richiedente si rivolse una nuova volta al tribunale per i minori di Venezia per chiedere il collocamento in opera degli incontri con L. fece valere che non aveva potuto incontrare suo figlio e chiese al tribunale la custodia del bambino in ragione dell’influenza negativa della madre.
24. Il 20 settembre 2006, il richiedente non si presentò ad un incontro coi servizi sociali.
25. Lo stesso giorno, il servizio di neuropsichiatria dell’ospedale di Padova depositò il suo primo rapporto sulla situazione del bambino. I due psicologi avevano redatto questo rapporto dopo avere incontrato la madre, il suocero del bambino ed il richiedente. In compenso nessun incontro col bambino
aveva avuto luogo. Il rapporto faceva stato del fatto che il bambino era seguito da un psicoterapista e che per il momento a causa della fragilità emotiva del bambino, un avvicinamento col padre non era considerabile. Peraltro, era opportuno continuare questa psicoterapia.
26. Il 2 ottobre 2006, il richiedente informò i servizi sociali che non avrebbe potuto partecipare all’incontro del 4 ottobre 2006.
27. Il 22 novembre 2006, il bambino dichiarò al tribunale di non volere incontrare suo padre e minacciò di suicidarsi se il tribunale l’avesse obbligato.
28. Con un decreto del 13 giugno 2008, il tribunale constatò che il richiedente non aveva incontrato suo figlio dal 2001 e che il decreto del 1 dicembre 2003 non era stato eseguito. Tenuto conto del rifiuto di L. di vedere il richiedente, della necessità per il bambino di proseguire il suo sostegno psicologico per comprendere e canalizzare la sua rabbia verso suo padre così come delle osservazioni dei servizi sociali che avevano sottolineato che una ripresa dei rapporti col richiedente poteva essere estremamente traumatizzante per L., il tribunale confermò il decreto del 1 dicembre 2003. Tuttavia, il tribunale rilevò anche che i servizi sociali avevano delegato alla madre del bambino la gestione del seguito psicologico di L., ed ordinò che i servizi sociali tramite le loro strutture pubbliche seguissero il percorso psicologico di L. e controllassero il comportamento della madre allo stesso tempo. Il tribunale ordinò ai servizi sociali di proseguire il sostegno psicologico per L. così come il procedimento di mediazione per i due genitori.
29. Il 6 novembre 2008 e il 21 gennaio 2009, il richiedente fu convocato dai servizi sociali. In queste occasioni, il richiedente chiese a questi ultimi se avevano incontrato il bambino. La risposta fu negativa. Si basavano sui rapporti depositati dallo psicoterapista di L.
30. L’ 11 marzo 2009, il richiedente chiese ai servizi sociali di fare pervenire una lettera a suo figlio.
31. In una data non precisata, il richiedente interpose appello al decreto del 13 giugno 2008. Faceva valere che non incontrava più suo figlio da più di sette anni e chiese che il seguito di L. fosse affidato ai servizi sociali di un altro comune.
32. Con un decreto del 5 gennaio 2009, la corte di appello di Venezia constatò che il decreto del 1 dicembre 2003 non era stato eseguito e che ciò era dovuto al rifiuto di L. di incontrare suo padre biologico. La corte di appello sottolineò che nessun incontro tra il richiedente e suo figlio aveva avuto luogo dal 2001 ma che tuttavia, tenuto conto dell’età, 17 anni, di L. e del suo rifiuto di vedere suo padre, era impossibile fare diritto all’istanza del richiedente. Di conseguenza, respinse il ricorso e confermò il decreto del 13 giugno 2008.
33. Il 12 marzo 2009, il richiedente si rivolse di nuovo al tribunale per i minori di Venezia chiedendogli di dare esecuzione al decreto del 1 dicembre 2003. Con una decisione del 1 aprile 2009, il tribunale respinse il ricorso del richiedente al motivo che il procedimento era archiviato e che sarebbe occorso introdurre un nuovo ricorso.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
34. Il richiedente adduce una violazione del suo diritto al rispetto della sua vita di famiglia che deriva dal fatto che, malgrado l’esistenza di una decisione del tribunale per i minori che fissava le condizioni di esercizio del suo diritto di visita, non ha potuto esercitare questo diritto dal 2001. Stima che i servizi sociali hanno sostenuto un ruolo troppo autonomo nel collocamento in opera delle decisioni del tribunale per i minori e che questo ultimo non ha esercitato il suo dovere di vigilanza costante sul lavoro dei servizi sociali affinché il comportamento di questi non ponesse in fallimento alle decisioni del tribunale.
L’articolo 8 della Convenzione è formulato così:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
35. Il Governo si oppone alla tesi del richiedente.
A. Sull’ammissibilità
36. La Corte constata che il motivo di appello derivato dall’articolo 8 non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
a) Argomenti delle parti
1. Il richiedente
37. Il richiedente fa valere che i servizi sociali hanno sostenuto un ruolo troppo autonomo nel collocamento in opera delle decisioni del tribunale per i minori e che questo ultimo non ha esercitato il suo dovere di vigilanza costante sul lavoro dei servizi sociali. Secondo il richiedente, i servizi sociali hanno lasciato alla madre del bambino il tempo di cancellare la sua presenza dalla vita di L.
38. Fa valere che fino al 2001, le relazioni col suo bambino erano normali, malgrado la distanza dovuta al trasloco della sua ex-moglie.
39. Il richiedente nota che il primo rapporto dei servizi sociali è stato depositato tre anni dopo il decreto del tribunale senza che mai i due psicologi avessero incontrato il bambino. In più, la psicoterapista che seguiva il bambino e che doveva essere scelta dai genitori, era stata scelta esclusivamente dalla sua ex-moglie.
40. Il richiedente afferma, inoltre che i due psicologi avendo redatto suddetto rapporto avrebbero subito l’influenza del suocero del bambino dato che era il direttore di un servizio dell’amministrazione Sanitaria Locale, Azienda Sanitaria Locale – ASL da cui dipendevano. In più, fa valere che né l’assistente sociale, né l’agente del servizio di neuropsichiatria infantile non hanno né mai visto né mai incontrato suo figlio.
41. Il richiedente afferma che il decreto del tribunale che gli concede un diritto di visita ogni quindici giorni non è stato rispettato. Il tribunale investito una seconda volta nel 2006 aveva rilevato che il suo decreto del 2003 non era stato eseguito e che i servizi sociali avevano delegato alla madre il seguito del percorso terapeutico del bambino; e questo mentre il tribunale aveva dichiarato che era nell’interesse di un buono sviluppo psichico del minore di ristabilire delle relazioni con suo padre. L’interessato adduce che, nell’occorrenza, è stato stabilito chiaramente che la mancata realizzazione del suo diritto di visita era imputabile alla madre del bambino.
42. Il richiedente afferma che i servizi sociali ed il tribunale non hanno preso le misure più dirette e più specifiche necessarie al ristabilimento del contatto tra il richiedente e suoi figli e per questo fatto l’ha privato del suo ruolo di padre. Si tratta oramai secondo il richiedente di una situazione irreversibile, tenuto conto anche dell’età di suo figlio.
43. Il richiedente è del parere che l’interesse superiore del bambino avrebbe richiesto che L. avesse avuto entrambi i suoi genitori al posto di essere privato di suo padre.
44. Ricorda che malgrado la decisione del 1 dicembre 2003, restata non eseguita, che gli concedeva un diritto di visita, i servizi sociali non gli hanno permesso mai né di vedere suo figlio, né di chiamarlo al telefono, né di spedirgli una lettera.
2. Il Governo
45. Il Governo sostiene che tutte le misure prese dalle autorità italiane miravano alla salva custodia delle condizioni psichiche e fisiche del bambino. Ogni suddetta misura è stata presa nell’interesse superiore del bambino.
46. Nota che durante l’anno 2003, i servizi sociali hanno preso in carico il bambino e hanno incontrato parecchie volte i genitori del bambino. L., reso molto fragile, necessitava un sostegno psicologico a causa della sua difficoltà a mettersi in relazione con suo padre, la sua famiglia paterna e gli altri. In più, i due psichiatri incaricati dal tribunale avevano fatto appello ad un altro specialista in psicoterapia affinché seguisse il bambino.
47. Il Governo nota anche che il richiedente non ha partecipato a parecchi incontri coi servizi sociali.
48. Il Governo ricorda che nel rapporto depositato il 7 giugno 2006, i servizi sociali avevano espresso la loro incredulità di fronte ai passi intrapresi dal richiedente dinnanzi al tribunale per vedersi affidare la custodia del bambino. Affermavano che questi passi potevano avere una conseguenza negativa per L.
49. Il Governo afferma che dopo le giurisdizioni interne, la mancata realizzazione dell’obiettivo della riunione tra il richiedente ed il bambino era dovuta alla posizione del ragazzo che aveva sempre negato di vedere suo padre.
50. Le autorità competenti hanno agito nell’interesse del bambino; tenuto conto del rifiuto di questo ultimo di incontrare suo padre, i servizi sociali hanno agito e hanno continuato ad agire per migliorare lo stato psicologico del minore e per riannodare i legami col richiedente. I servizi sociali hanno sempre tenuto informato il tribunale di Venezia della conclusione del procedimento.
51. In conclusione, il Governo, riferendosi alla giurisprudenza della Corte, Johansen c. Norvegia, 7 agosto 1996, § 64 Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-III, ricorda che non appartiene alla Corte sostituirsi alle autorità interne per regolamentare la situazione dei bambini ma di valutare, sotto l’angolo della Convenzione, le misure prese da queste autorità nell’esercizio del loro potere di valutazione per permettere la riunione dei genitori e del loro bambino. Le autorità italiane hanno agito nell’interesse di L., per proteggere la sua salute, conformemente al paragrafo 2 dell’articolo 8 della Convenzione. Chiede quindi alla Corte di dichiarare la richiesta inammissibile.
B. Valutazione della Corte
52. Come la Corte ha ricordato a più riprese, se l’articolo 8 ha essenzialmente per oggetto di salvaguardare l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici, non si accontenta di comandare allo stato di astenersi da simili ingerenze: degli obblighi positivi inerenti possono aggiungersi a questo impegno piuttosto negativo ad un rispetto effettivo della vita privata o familiare. Possono implicare l’adozione di misure tese al rispetto della vita familiare fino nelle relazioni degli individui tra essi tra cui il collocamento in posto di un arsenale morale adeguato e sufficiente per garantire i diritti legittimi degli interessati così come il rispetto delle decisioni giudiziali, o delle misure specifiche adeguate (vedere, mutatis mutandis, Zawadka c. Polonia, nº 48542/99, § 53, 23 giugno 2005).
53. Dedicandosi alla presente causa, la Corte nota da prima che al momento della loro separazione di corpo nel 1993, il richiedente e la sua ex-moglie erano giunti ad un accordo sulle modalità del diritto di visita dell’interessato. Tuttavia, dopo il trasloco ed il nuovo matrimonio della sua ex-moglie (C.), questa ha cominciato molto presto ad opporvisi, ed il richiedente depositò nel 2002 un ricorso dinnanzi al tribunale per i minori(“tribunale”) per chiedere il rispetto del diritto di visita. Sua moglie fece valere che L. aveva rivelato di avere subito delle molestie sessuali da parte di suo padre e della sua famiglia. In queste condizioni, il tribunale, il 19 giugno 2002, ordinò una perizia a proposito del bambino (paragrafo 11 sopra). Il rapporto depositato dal perito ha messo in evidenza l’incapacità dei due genitori ad esercitare “tutte le funzioni di un genitore.” In più i tentativi della madre di mettere il bambino contro suo padre potevano arrivare nello specifico ad una sindrome di alienazione parentale. Secondo lo psicologo, era poco probabile che L. avesse subito delle molestie sessuali da parte di suo padre.
In queste circostanze, il tribunale limitò l’autorità parentale dei due genitori sul bambino ed autorizzò il richiedente ad incontrare il suo bambino in presenza degli assistenti sociali secondo le modalità stabilite dagli stessi servizi sociali. Gli incontri dovevano avere luogo ogni quindici giorni per un’ora. Le autorità avevano dunque l’obbligo di prendere delle misure tese a riunirlo al suo bambino. Non è soggetto a controversia che i passi intrapresi da esse nello specifico non hanno portato il risultato auspicato e che il richiedente non vede suo figlio dal 2001.
54. Il fatto che gli sforzi delle autorità sono stati vani non conduce però, automaticamente alla conclusione che lo stato ha mancato agli obblighi positivi derivanti per lui dall’articolo 8 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Mihailova c. Bulgaria, no 35978/02, § 82, 12 gennaio 2006). L’obbligo per le autorità nazionali di prendere delle misure per riunire il genitore ed il bambino che non vivono insieme non è difatti assoluto, e la comprensione e la cooperazione dell’insieme delle persone riguardate costituiscono sempre un fattore importante. Se le autorità nazionali devono sforzarsi di facilitare simile collaborazione, un obbligo per esse di ricorrere alla coercizione in materia potrebbe essere solamente limitato: occorre loro tenere conto degli interessi e dei diritti e delle libertà di queste stesse persone, ed in particolare degli interessi superiori del bambino e dei diritti che gli riconosce l’articolo 8 della Convenzione (Voleský c. Repubblica ceca, no 63267/00, § 118, 29 giugno 2004). Come la giurisprudenza della Corte riconosce in modo costante, la più grande prudenza si impone quando si tratta di ricorrere alla coercizione in questo ambito delicata (Reigado Ramos c. Portogallo, no 73229/01, § 53, 22 novembre 2005) e l’articolo 8 della Convenzione non potrebbe autorizzare il genitore a fare prendere delle misure pregiudizievoli alla salute ed allo sviluppo del bambino (Elsholz c. Germania [GC], nº 25735/94, §§ 49-50, CEDH 2000-VIII). Il punto decisivo consiste nel sapere dunque se le autorità nazionali hanno preso, per facilitare il raggruppamento, tutte le misure necessarie che si poteva esigere ragionevolmente da loro nell’occorrenza (Nuutinen c. Finlandia, nº 32842/96, § 128, CEDH 2000-VIII).
55. Nello specifico, di fronte all’impossibilità di mettere in opera il suo diritto di visita determinato col decreto del 1 dicembre 2003, il richiedente ha cercato da prima l’assistenza dei servizi sociali per fare rispettare questa decisione. Si è costretti a constatare che nessun seguito è stato dato a suddette istanze. Questa trasgressione sembra tanto più grave poichè, tenuto conto dell’età del bambino, undici anni nel 2003, e del contesto familiare perturbato, lo scorrimento del tempo aveva degli effetti negativi sulla possibilità per il richiedente di riannodare una relazione con suo figlio.
56. Nel 2006, il richiedente chiese al tribunale la messa in opera della sua decisione del 1 dicembre 2003. Nel frattempo, e precisamente tre anni dopo il primo decreto del tribunale, i servizi sociali depositarono il loro primo rapporto sulla situazione del bambino e della famiglia. La Corte nota che i due psichiatri che avevano redatto il rapporto non avevano mai incontrato il bambino che era seguito in compenso da uno psicoterapista scelto dalla madre del bambino. La soluzione prevista nel rapporto era di aspettare una maturazione del bambino che rifiutava di vedere suo padre per il momento.
57. Con un decreto del 13 maggio 2008, il tribunale constatò la non-esecuzione della sua decisione del 1 dicembre 2003 ed il fatto che i servizi sociali avevano delegato alla madre la gestione del seguito psicologico di suo figlio. Tuttavia, tenuto conto del rifiuto del bambino di vedere il richiedente, il tribunale ordinò che il bambino proseguisse il suo sostegno psicologico per comprendere e canalizzare la sua rabbia verso suo padre. Il tribunale ordinò ai servizi sociali di controllare anche il comportamento della madre e di utilizzare nel percorso di seguito del bambino le strutture pubbliche.
58. Conviene ricordare che in una causa di questo genere, il carattere adeguato di una misura si giudica in base alla rapidità del suo collocamento in opera (Maire c. Portogallo, nº 48206/99, § 74, CEDH 2003-VII). Nell’occorrenza, il governo convenuto spiega il comportamento dei servizi sociali e del tribunale con la volontà di non traumatizzare di più il bambino. La Corte osserva però che il 19 aprile 2006, il richiedente aveva chiesto al tribunale la messa in opera della sua decisione del 2003. Ora, il tribunale constatò solamente l’inadempienza della misura nel 2008. La Corte rileva anche che non era stato depositato nessuno rapporto dai servizi sociali sulla situazione psicologica del bambino da 2003. Del parere della Corte, tali ritardi non potrebbero essere giustificati perché appartiene ad ogni Stato contraente organizzare il suo sistema giudiziale in modo da garantire il rispetto degli obblighi positivi che gli toccano in virtù dell’articolo 8 della Convenzione.
59. Così, al posto di prendere delle misure proprie a permetter l’esecuzione del diritto di visita, il tribunale ha preso solamente nota della situazione del bambino, e ha ordinato ai servizi sociali di proseguire il percorso terapeutico del bambino che rilevava che questo si sentiva minacciato in presenza di suo padre e non voleva incontrarlo. La Corte ricorda a questo riguardo che non le spetta sostituire la sua valutazione a quella delle autorità nazionali competenti in quanto alle misure che avrebbero dovuto essere prese perché queste autorità sono in principio meglio poste per procedere a tale valutazione, in particolare perché sono in contatto diretto col contesto della causa e le parti implicate (Reigado Ramos c. Portogallo, precitata, § 53). Nello specifico, non avrebbe potuto trascurare però il parere dello psicologo citato nel decreto del 1 dicembre 2003 secondo cui i tentativi della madre di mettere il bambino contro suo padre potevano arrivare nello specifico ad una sindrome di alienazione parentale. Non si sarebbe neanche potuto passare oltre al fatto che, il 16 maggio 2008, il tribunale aveva rilevato che benché la mancata realizzazione del diritto di visita del richiedente non fosse imputabile a nessuno, i servizi sociali avevano delegato alla madre il seguito del percorso terapeutico del bambino. Nonostante il fatto che una valutazione psicologica fu condotta in quanto alla famiglia, la Corte constata che questa si limitò a constatare lo stato delle cose ed a fare delle raccomandazioni di carattere generale.
60. La Corte riconosce che le autorità erano nella specifico di fronte ad una situazione molto difficile che era dovuta in particolare alle tensioni tra i genitori. Però, una mancanza di cooperazione tra i genitori separati non potrebbe dispensare le autorità competenti nel mettere in opera tutti i mezzi suscettibili di permettere il mantenimento del legame familiare (vedere, mutatis mutandis, Reigado Ramos, precitata, § 55). Ora, nell’occorrenza le autorità nazionali sono restate al di qua di ciò che ci si poteva aspettare ragionevolmente da loro: il tribunale ha delegato la gestione degli incontri ai servizi sociali che hanno da parte loro delegato alla madre la gestione del percorso terapeutico del bambino. Poi, sebbene il bambino avesse dichiarato di non volere vedere suo padre, la Corte rileva che secondo il rapporto di perizia città nel decreto del 1 dicembre 2003, era nell’interesse del bambino incontrarlo. Le autorità sono mancate così al loro dovere di prendere delle misure pratiche in vista di incitare gli interessati ad una migliore cooperazione, pure avendo in mente l’interesse superiore del bambino (vedere Zawadka precitata, § 67,).
61. La Corte nota che lo svolgimento del procedimento dinnanzi al tribunale fa apparire piuttosto una serie di misure automatiche e stereotipate, come delle richieste successive di informazioni ed una delegazione del seguito ai servizi sociali che ordinano loro di fare rispettare il diritto di visita del richiedente. Le autorità hanno lasciato consolidarsi così una situazione di fatto compiuto a disprezzo delle decisioni giudiziali, anche se il semplice passaggio del tempo aveva delle conseguenze sempre più gravi per il richiedente, privato di contatti con suo figlio. A questo riguardo, non si potrebbe trascurare neanche che al momento della sua udienza in tribunale, il minore si trovava da un certo tempo sotto l’influenza esclusiva di sua madre, in un ambiente ostile all’interessato e che più di 4 anni erano trascorsi senza un solo contatto tra il richiedente e suo figlio. Per di più, la Corte nota che i due psicologi che avevano redatto il rapporto sulla situazione del bambino lavoravano nella stessa ASL del il suocero del bambino, professore universitario e capo del servizio. Non sembra neanche che le autorità abbiano previsto, avuto riguardo delle difficoltà per i genitori di accordarsi sulla scelta dello psicologo, che questi si vedessero ingiungere l’obbligo di seguire una terapia familiare (vedere Pedovič c. Repubblica ceca, no 27145/03, § 34, 18 luglio 2006) o che gli incontri si svolgessero in seno ad una struttura specializzata (vedere, per esempio, Mezl c. Repubblica ceca, no 27726/03, § 17, 9 gennaio 2007; Zavřel c. Repubblica ceca, no 14044/05, § 24, 18 gennaio 2007).
In queste circostanze, Corte stima che di fronte a simile situazione le autorità avrebbero dovuto prendere delle misure più dirette e più specifiche tese al ristabilimento del contatto tra il richiedente e suo figlio. In particolare, la mediazione dei servizi sociali avrebbe dovuto essere utilizzata per rendere le parti più cooperative ed essi avrebbero dovuto, conformemente al decreto del 1 dicembre 2003, organizzare gli incontri tra il richiedente e suo figlio. Ora, le giurisdizioni interne non hanno preso nessuna misura adeguata per creare pro futuro le condizioni necessarie alla realizzazione di suddetto diritto di visita del richiedente (Macready c. Repubblica ceca, numeri 4824/06 e 15512/08, § 66, 22 aprile 2010).
Del resto, la Corte nota che ad oggi, L. è diventato maggiore.
62. Avuto riguardo a ciò che precede e nonostante il margine di valutazione dello stato convenuto in materia, la Corte considera che le autorità nazionali hanno omesso di esporre degli sforzi adeguati e sufficienti per fare rispettare il diritto di visita del richiedente o per permettergli, almeno, di ristabilire il contatto con suo figlio, e che hanno ignorato così il suo diritto al rispetto della sua vita familiare garantito dall’articolo 8 della Convenzione.
63. Pertanto, c’è stata violazione di questa disposizione.
II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
64. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
65. Il richiedente richiede il risarcimento di un danno morale a causa della lunga separazione da suo figlio, e dell’angoscia provata. Chiede 240 000 EUR.
66. Il Governo stima che questa somma è eccessiva e ricorda la giurisprudenza della Corte nelle cause Bove c. Italia, (no 30595/02, § 61, 30 giugno 2005) ed Andělová c. Repubblica ceca, (no 995/06, § 113, 28 febbraio 2008).
67. Tenendo conto delle circostanze dello specifico e della constatazione della rottura delle relazioni tra il richiedente e suo figlio, la Corte considera che l’interessato ha subito un danno morale che non potrebbe essere riparato dalla sola constatazione di violazione dell’articolo 8 della Convenzione. La somma richiesta a questo titolo è, tuttavia, esagerata. Avuto riguardo all’insieme degli elementi che si trovano in suo possesso e deliberando in equità, come vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte assegna all’interessato 15 000 EUR per questo capo.
B. Oneri e spese
68. Il richiedente chiede le somme di 33 742,79 a titolo del rimborso degli oneri incorsi dinnanzi alle giurisdizioni nazionali e di 27 131,44 a titolo del rimborso degli oneri incorsi dinnanzi alla Corte.
69. Il Governo nota che se il richiedente ha sottoposto due fatture, concernenti gli oneri incorsi dinnanzi alle giurisdizioni nazionali, queste non contengono nessuno elenco dettagliato degli atti che sono supposte di coprire. Stima, inoltre, che le somme richieste sono eccessive e si rimette alla saggezza della Corte.
70. In quanto agli oneri impegnati dinnanzi alle giurisdizioni interne, la Corte rileva che, sebbene almeno una parte di questi oneri sia stata esposta per fare correggere la violazione dell’articolo 8 della Convenzione, le fatture prodotte non indicano in dettaglio la natura delle prestazioni dell’avvocato del richiedente.
71. Per ciò che riguarda gli oneri incorsi dinnanzi a lei, la Corte giudica eccessiva la somma chiesta dal richiedente.
72. In queste condizioni la Corte, deliberando in equità ed avuto riguardo alla pratica degli organi della Convenzione in materia, stima ragionevole assegnare al richiedente la somma di 5 000 EUR.
C. Interessi moratori
73. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
ii. 15 000 EUR (quindicimila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
iii. 5 000 EUR (cinquemila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 2 novembre 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Francesca Tulkens
Cancelliere Presidentessa