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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE PIAZZI c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 08
Numero: 36168/09/2010
Stato: Italia
Data: 2010-11-02 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Violazione dell’art. 8; danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA PIAZZI C. ITALIA
( Richiesta no 36168/09)
SENTENZA
STRASBURGO
2 novembre 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma

Nella causa Piazzi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, Guido Raimondi, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 12 ottobre 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 36168/09) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. A. P. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 1 luglio 2009 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvacustodia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. È rappresentato dinnanzi alla Corte da A. F., avvocato a Venezia. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente, il Sig. N. Lettieri.
3. Il richiedente adduceva in particolare una violazione del diritto al rispetto della sua vita familiare, garantito dall’articolo 8 della Convenzione.
4. Il 22 ottobre 2009, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permette l’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1960 e risiede a Rimini.
6. Nel 1989, il richiedente sposò C. La coppia ebbe un figlio, L., nato il 13 novembre 1991.
7. Il matrimonio fu rapidamente contrassegnato da tensioni e da incomprensioni, così che il 18 maggio 1993, gli sposi investirono il presidente del tribunale di Napoli di un’istanza consensuale di separazione di corpo. La custodia del bambino fu assegnata a C. con un diritto di visita per il richiedente.
8. Nel 1999, dopo il divorzio, C. sposò un professore di università e traslocò a 250 chilometri di distanza dal richiedente.
9. Nell’aprile 2001, L. dichiarò a sua nonna materna ed allo psicologo che lo seguiva che aveva subito delle molestie sessuali da parte di suo padre. C. non depositò querela contro il richiedente ma si rivolse ad un avvocato che ingiunse al richiedente di non incontrare più suo figlio.
10. Il 12 aprile 2002, in ragione delle difficoltà incontrate nell’esercizio del suo diritto di visita, il richiedente investì il tribunale per i minori di Venezia. Faceva valere che la sua ex-moglie aveva influenzato suo figlio a questo proposito.
11. Con un decreto del 19 giugno 2002, il tribunale di Venezia affidò la custodia del bambino ai servizi sociali di Noventa Padovana, Amministrazione Sanitaria Locale – Azienda Sanitaria Locale – ASL, con mantenimento del collocamento del bambino presso il domicilio della madre ed ordinò una perizia tesa a verificare se uno dei due genitori aveva avuto un comportamento pregiudizievole al bambino e se, all’occorrenza, fosse opportuno che il bambino tenesse un contatto con suddetto genitore.
12. Nel dicembre 2003, lo psicologo depositò il suo rapporto che metteva in evidenza l’incapacità dei due genitori di esercitare “tutte le funzioni di un genitore.” In più i tentativi della madre di mettere il bambino contro suo padre potevano arrivare nello specifico ad una sindrome di alienazione parentale. Secondo lo psicologo, era poco probabile che L. avesse subito delle molestie sessuali da parte di suo padre. Questi avvenimenti erano piuttosto il frutto dell’immaginazione del bambino. Secondo lo psicologo, era opportuno che un progetto di avvicinamento tra L. ed il richiedente fosse preceduto da un procedimento di mediazione per i genitori.
13. Con un decreto del 1 dicembre 2003, il tribunale per i minori di Venezia, basandosi sulla perizia, limitò l’autorità parentale dei due genitori sul bambino e, confermando la decisione del 19 giugno 2002, autorizzò il richiedente ad incontrare il suo bambino in presenza degli assistenti sociali secondo le modalità stabilite dagli stessi servizi sociali. In particolare, il tribunale rilevò che la madre aveva avuto volontariamente un comportamento destinato ad escludere tanto il padre che le autorità competenti. Aveva di fatto interrotto ogni rapporto del bambino col padre. Il tribunale decise che era nell’interesse di L. restaurare il rapporto con suo padre per mezzo di una preparazione e di un sostegno psicologico, con la partecipazione di un psicoterapista scelto dai due genitori.
14. Gli incontri sorvegliati dovevano avere luogo ogni quindici giorni per un’ora.
15. Il 2 dicembre 2003, il richiedente contattò i servizi sociali per potere incontrare suo figlio. In mancanza di risposta, il richiedente reiterò la sua istanza il 11 febbraio 2004.
16. L’ 8 marzo 2004, l’assistente sociale l’informò che in mancanza di direttive precise del tribunale, non poteva fare diritto alla sua istanza.
17. Il 26 giugno 2004, il richiedente fu invitato a recarsi a Noventa Padovana per un incontro con l’assistente sociale. All’epoca dell’incontro, fu informato che la Sig.ra P. avrebbe seguito la pratica da quel momento in avanti.
18. In una data non precisata, il richiedente contattò per telefono la Sig.ra P. che l’informò sui risultati scolastici di L.
19. Durante l’estate 2004, non ebbe nessuno contatto con suo figlio.
20. Il 25 ottobre 2004, il richiedente incontrò di nuovo la Sig.ra P. ed i suoi collaboratori. Afferma che questi ultimi l’avrebbero informato che l’impossibilità di incontrare suo figlio era dovuta all’intervento del marito di sua ex-moglie che era un professore di un’università rinominata.
21. Con parecchie lettere datate 5 ottobre, 20 ottobre e 22 dicembre 2005, il richiedente sollecitò i servizi sociali affinché organizzassero un incontro con suo figlio conformemente alla decisione del tribunale.
22. Il 30 gennaio 2006, fu invitato ad andare presso la Sig.ra P. Una volta arrivato, fu informato che la Sig.ra P. era malata e che la psicologa che seguiva suo figlio non era disponibile per un incontro.
23. Il 19 aprile 2006, il richiedente si rivolse una nuova volta al tribunale per i minori di Venezia per chiedere il collocamento in opera degli incontri con L. fece valere che non aveva potuto incontrare suo figlio e chiese al tribunale la custodia del bambino in ragione dell’influenza negativa della madre.
24. Il 20 settembre 2006, il richiedente non si presentò ad un incontro coi servizi sociali.
25. Lo stesso giorno, il servizio di neuropsichiatria dell’ospedale di Padova depositò il suo primo rapporto sulla situazione del bambino. I due psicologi avevano redatto questo rapporto dopo avere incontrato la madre, il suocero del bambino ed il richiedente. In compenso nessun incontro col bambino
aveva avuto luogo. Il rapporto faceva stato del fatto che il bambino era seguito da un psicoterapista e che per il momento a causa della fragilità emotiva del bambino, un avvicinamento col padre non era considerabile. Peraltro, era opportuno continuare questa psicoterapia.
26. Il 2 ottobre 2006, il richiedente informò i servizi sociali che non avrebbe potuto partecipare all’incontro del 4 ottobre 2006.
27. Il 22 novembre 2006, il bambino dichiarò al tribunale di non volere incontrare suo padre e minacciò di suicidarsi se il tribunale l’avesse obbligato.
28. Con un decreto del 13 giugno 2008, il tribunale constatò che il richiedente non aveva incontrato suo figlio dal 2001 e che il decreto del 1 dicembre 2003 non era stato eseguito. Tenuto conto del rifiuto di L. di vedere il richiedente, della necessità per il bambino di proseguire il suo sostegno psicologico per comprendere e canalizzare la sua rabbia verso suo padre così come delle osservazioni dei servizi sociali che avevano sottolineato che una ripresa dei rapporti col richiedente poteva essere estremamente traumatizzante per L., il tribunale confermò il decreto del 1 dicembre 2003. Tuttavia, il tribunale rilevò anche che i servizi sociali avevano delegato alla madre del bambino la gestione del seguito psicologico di L., ed ordinò che i servizi sociali tramite le loro strutture pubbliche seguissero il percorso psicologico di L. e controllassero il comportamento della madre allo stesso tempo. Il tribunale ordinò ai servizi sociali di proseguire il sostegno psicologico per L. così come il procedimento di mediazione per i due genitori.
29. Il 6 novembre 2008 e il 21 gennaio 2009, il richiedente fu convocato dai servizi sociali. In queste occasioni, il richiedente chiese a questi ultimi se avevano incontrato il bambino. La risposta fu negativa. Si basavano sui rapporti depositati dallo psicoterapista di L.
30. L’ 11 marzo 2009, il richiedente chiese ai servizi sociali di fare pervenire una lettera a suo figlio.
31. In una data non precisata, il richiedente interpose appello al decreto del 13 giugno 2008. Faceva valere che non incontrava più suo figlio da più di sette anni e chiese che il seguito di L. fosse affidato ai servizi sociali di un altro comune.
32. Con un decreto del 5 gennaio 2009, la corte di appello di Venezia constatò che il decreto del 1 dicembre 2003 non era stato eseguito e che ciò era dovuto al rifiuto di L. di incontrare suo padre biologico. La corte di appello sottolineò che nessun incontro tra il richiedente e suo figlio aveva avuto luogo dal 2001 ma che tuttavia, tenuto conto dell’età, 17 anni, di L. e del suo rifiuto di vedere suo padre, era impossibile fare diritto all’istanza del richiedente. Di conseguenza, respinse il ricorso e confermò il decreto del 13 giugno 2008.
33. Il 12 marzo 2009, il richiedente si rivolse di nuovo al tribunale per i minori di Venezia chiedendogli di dare esecuzione al decreto del 1 dicembre 2003. Con una decisione del 1 aprile 2009, il tribunale respinse il ricorso del richiedente al motivo che il procedimento era archiviato e che sarebbe occorso introdurre un nuovo ricorso.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
34. Il richiedente adduce una violazione del suo diritto al rispetto della sua vita di famiglia che deriva dal fatto che, malgrado l’esistenza di una decisione del tribunale per i minori che fissava le condizioni di esercizio del suo diritto di visita, non ha potuto esercitare questo diritto dal 2001. Stima che i servizi sociali hanno sostenuto un ruolo troppo autonomo nel collocamento in opera delle decisioni del tribunale per i minori e che questo ultimo non ha esercitato il suo dovere di vigilanza costante sul lavoro dei servizi sociali affinché il comportamento di questi non ponesse in fallimento alle decisioni del tribunale.
L’articolo 8 della Convenzione è formulato così:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
35. Il Governo si oppone alla tesi del richiedente.
A. Sull’ammissibilità
36. La Corte constata che il motivo di appello derivato dall’articolo 8 non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
a) Argomenti delle parti
1. Il richiedente
37. Il richiedente fa valere che i servizi sociali hanno sostenuto un ruolo troppo autonomo nel collocamento in opera delle decisioni del tribunale per i minori e che questo ultimo non ha esercitato il suo dovere di vigilanza costante sul lavoro dei servizi sociali. Secondo il richiedente, i servizi sociali hanno lasciato alla madre del bambino il tempo di cancellare la sua presenza dalla vita di L.
38. Fa valere che fino al 2001, le relazioni col suo bambino erano normali, malgrado la distanza dovuta al trasloco della sua ex-moglie.
39. Il richiedente nota che il primo rapporto dei servizi sociali è stato depositato tre anni dopo il decreto del tribunale senza che mai i due psicologi avessero incontrato il bambino. In più, la psicoterapista che seguiva il bambino e che doveva essere scelta dai genitori, era stata scelta esclusivamente dalla sua ex-moglie.
40. Il richiedente afferma, inoltre che i due psicologi avendo redatto suddetto rapporto avrebbero subito l’influenza del suocero del bambino dato che era il direttore di un servizio dell’amministrazione Sanitaria Locale, Azienda Sanitaria Locale – ASL da cui dipendevano. In più, fa valere che né l’assistente sociale, né l’agente del servizio di neuropsichiatria infantile non hanno né mai visto né mai incontrato suo figlio.
41. Il richiedente afferma che il decreto del tribunale che gli concede un diritto di visita ogni quindici giorni non è stato rispettato. Il tribunale investito una seconda volta nel 2006 aveva rilevato che il suo decreto del 2003 non era stato eseguito e che i servizi sociali avevano delegato alla madre il seguito del percorso terapeutico del bambino; e questo mentre il tribunale aveva dichiarato che era nell’interesse di un buono sviluppo psichico del minore di ristabilire delle relazioni con suo padre. L’interessato adduce che, nell’occorrenza, è stato stabilito chiaramente che la mancata realizzazione del suo diritto di visita era imputabile alla madre del bambino.
42. Il richiedente afferma che i servizi sociali ed il tribunale non hanno preso le misure più dirette e più specifiche necessarie al ristabilimento del contatto tra il richiedente e suoi figli e per questo fatto l’ha privato del suo ruolo di padre. Si tratta oramai secondo il richiedente di una situazione irreversibile, tenuto conto anche dell’età di suo figlio.
43. Il richiedente è del parere che l’interesse superiore del bambino avrebbe richiesto che L. avesse avuto entrambi i suoi genitori al posto di essere privato di suo padre.
44. Ricorda che malgrado la decisione del 1 dicembre 2003, restata non eseguita, che gli concedeva un diritto di visita, i servizi sociali non gli hanno permesso mai né di vedere suo figlio, né di chiamarlo al telefono, né di spedirgli una lettera.
2. Il Governo
45. Il Governo sostiene che tutte le misure prese dalle autorità italiane miravano alla salva custodia delle condizioni psichiche e fisiche del bambino. Ogni suddetta misura è stata presa nell’interesse superiore del bambino.
46. Nota che durante l’anno 2003, i servizi sociali hanno preso in carico il bambino e hanno incontrato parecchie volte i genitori del bambino. L., reso molto fragile, necessitava un sostegno psicologico a causa della sua difficoltà a mettersi in relazione con suo padre, la sua famiglia paterna e gli altri. In più, i due psichiatri incaricati dal tribunale avevano fatto appello ad un altro specialista in psicoterapia affinché seguisse il bambino.
47. Il Governo nota anche che il richiedente non ha partecipato a parecchi incontri coi servizi sociali.
48. Il Governo ricorda che nel rapporto depositato il 7 giugno 2006, i servizi sociali avevano espresso la loro incredulità di fronte ai passi intrapresi dal richiedente dinnanzi al tribunale per vedersi affidare la custodia del bambino. Affermavano che questi passi potevano avere una conseguenza negativa per L.
49. Il Governo afferma che dopo le giurisdizioni interne, la mancata realizzazione dell’obiettivo della riunione tra il richiedente ed il bambino era dovuta alla posizione del ragazzo che aveva sempre negato di vedere suo padre.
50. Le autorità competenti hanno agito nell’interesse del bambino; tenuto conto del rifiuto di questo ultimo di incontrare suo padre, i servizi sociali hanno agito e hanno continuato ad agire per migliorare lo stato psicologico del minore e per riannodare i legami col richiedente. I servizi sociali hanno sempre tenuto informato il tribunale di Venezia della conclusione del procedimento.
51. In conclusione, il Governo, riferendosi alla giurisprudenza della Corte, Johansen c. Norvegia, 7 agosto 1996, § 64 Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-III, ricorda che non appartiene alla Corte sostituirsi alle autorità interne per regolamentare la situazione dei bambini ma di valutare, sotto l’angolo della Convenzione, le misure prese da queste autorità nell’esercizio del loro potere di valutazione per permettere la riunione dei genitori e del loro bambino. Le autorità italiane hanno agito nell’interesse di L., per proteggere la sua salute, conformemente al paragrafo 2 dell’articolo 8 della Convenzione. Chiede quindi alla Corte di dichiarare la richiesta inammissibile.
B. Valutazione della Corte
52. Come la Corte ha ricordato a più riprese, se l’articolo 8 ha essenzialmente per oggetto di salvaguardare l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici, non si accontenta di comandare allo stato di astenersi da simili ingerenze: degli obblighi positivi inerenti possono aggiungersi a questo impegno piuttosto negativo ad un rispetto effettivo della vita privata o familiare. Possono implicare l’adozione di misure tese al rispetto della vita familiare fino nelle relazioni degli individui tra essi tra cui il collocamento in posto di un arsenale morale adeguato e sufficiente per garantire i diritti legittimi degli interessati così come il rispetto delle decisioni giudiziali, o delle misure specifiche adeguate (vedere, mutatis mutandis, Zawadka c. Polonia, nº 48542/99, § 53, 23 giugno 2005).
53. Dedicandosi alla presente causa, la Corte nota da prima che al momento della loro separazione di corpo nel 1993, il richiedente e la sua ex-moglie erano giunti ad un accordo sulle modalità del diritto di visita dell’interessato. Tuttavia, dopo il trasloco ed il nuovo matrimonio della sua ex-moglie (C.), questa ha cominciato molto presto ad opporvisi, ed il richiedente depositò nel 2002 un ricorso dinnanzi al tribunale per i minori(“tribunale”) per chiedere il rispetto del diritto di visita. Sua moglie fece valere che L. aveva rivelato di avere subito delle molestie sessuali da parte di suo padre e della sua famiglia. In queste condizioni, il tribunale, il 19 giugno 2002, ordinò una perizia a proposito del bambino (paragrafo 11 sopra). Il rapporto depositato dal perito ha messo in evidenza l’incapacità dei due genitori ad esercitare “tutte le funzioni di un genitore.” In più i tentativi della madre di mettere il bambino contro suo padre potevano arrivare nello specifico ad una sindrome di alienazione parentale. Secondo lo psicologo, era poco probabile che L. avesse subito delle molestie sessuali da parte di suo padre.
In queste circostanze, il tribunale limitò l’autorità parentale dei due genitori sul bambino ed autorizzò il richiedente ad incontrare il suo bambino in presenza degli assistenti sociali secondo le modalità stabilite dagli stessi servizi sociali. Gli incontri dovevano avere luogo ogni quindici giorni per un’ora. Le autorità avevano dunque l’obbligo di prendere delle misure tese a riunirlo al suo bambino. Non è soggetto a controversia che i passi intrapresi da esse nello specifico non hanno portato il risultato auspicato e che il richiedente non vede suo figlio dal 2001.
54. Il fatto che gli sforzi delle autorità sono stati vani non conduce però, automaticamente alla conclusione che lo stato ha mancato agli obblighi positivi derivanti per lui dall’articolo 8 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Mihailova c. Bulgaria, no 35978/02, § 82, 12 gennaio 2006). L’obbligo per le autorità nazionali di prendere delle misure per riunire il genitore ed il bambino che non vivono insieme non è difatti assoluto, e la comprensione e la cooperazione dell’insieme delle persone riguardate costituiscono sempre un fattore importante. Se le autorità nazionali devono sforzarsi di facilitare simile collaborazione, un obbligo per esse di ricorrere alla coercizione in materia potrebbe essere solamente limitato: occorre loro tenere conto degli interessi e dei diritti e delle libertà di queste stesse persone, ed in particolare degli interessi superiori del bambino e dei diritti che gli riconosce l’articolo 8 della Convenzione (Voleský c. Repubblica ceca, no 63267/00, § 118, 29 giugno 2004). Come la giurisprudenza della Corte riconosce in modo costante, la più grande prudenza si impone quando si tratta di ricorrere alla coercizione in questo ambito delicata (Reigado Ramos c. Portogallo, no 73229/01, § 53, 22 novembre 2005) e l’articolo 8 della Convenzione non potrebbe autorizzare il genitore a fare prendere delle misure pregiudizievoli alla salute ed allo sviluppo del bambino (Elsholz c. Germania [GC], nº 25735/94, §§ 49-50, CEDH 2000-VIII). Il punto decisivo consiste nel sapere dunque se le autorità nazionali hanno preso, per facilitare il raggruppamento, tutte le misure necessarie che si poteva esigere ragionevolmente da loro nell’occorrenza (Nuutinen c. Finlandia, nº 32842/96, § 128, CEDH 2000-VIII).
55. Nello specifico, di fronte all’impossibilità di mettere in opera il suo diritto di visita determinato col decreto del 1 dicembre 2003, il richiedente ha cercato da prima l’assistenza dei servizi sociali per fare rispettare questa decisione. Si è costretti a constatare che nessun seguito è stato dato a suddette istanze. Questa trasgressione sembra tanto più grave poichè, tenuto conto dell’età del bambino, undici anni nel 2003, e del contesto familiare perturbato, lo scorrimento del tempo aveva degli effetti negativi sulla possibilità per il richiedente di riannodare una relazione con suo figlio.
56. Nel 2006, il richiedente chiese al tribunale la messa in opera della sua decisione del 1 dicembre 2003. Nel frattempo, e precisamente tre anni dopo il primo decreto del tribunale, i servizi sociali depositarono il loro primo rapporto sulla situazione del bambino e della famiglia. La Corte nota che i due psichiatri che avevano redatto il rapporto non avevano mai incontrato il bambino che era seguito in compenso da uno psicoterapista scelto dalla madre del bambino. La soluzione prevista nel rapporto era di aspettare una maturazione del bambino che rifiutava di vedere suo padre per il momento.
57. Con un decreto del 13 maggio 2008, il tribunale constatò la non-esecuzione della sua decisione del 1 dicembre 2003 ed il fatto che i servizi sociali avevano delegato alla madre la gestione del seguito psicologico di suo figlio. Tuttavia, tenuto conto del rifiuto del bambino di vedere il richiedente, il tribunale ordinò che il bambino proseguisse il suo sostegno psicologico per comprendere e canalizzare la sua rabbia verso suo padre. Il tribunale ordinò ai servizi sociali di controllare anche il comportamento della madre e di utilizzare nel percorso di seguito del bambino le strutture pubbliche.
58. Conviene ricordare che in una causa di questo genere, il carattere adeguato di una misura si giudica in base alla rapidità del suo collocamento in opera (Maire c. Portogallo, nº 48206/99, § 74, CEDH 2003-VII). Nell’occorrenza, il governo convenuto spiega il comportamento dei servizi sociali e del tribunale con la volontà di non traumatizzare di più il bambino. La Corte osserva però che il 19 aprile 2006, il richiedente aveva chiesto al tribunale la messa in opera della sua decisione del 2003. Ora, il tribunale constatò solamente l’inadempienza della misura nel 2008. La Corte rileva anche che non era stato depositato nessuno rapporto dai servizi sociali sulla situazione psicologica del bambino da 2003. Del parere della Corte, tali ritardi non potrebbero essere giustificati perché appartiene ad ogni Stato contraente organizzare il suo sistema giudiziale in modo da garantire il rispetto degli obblighi positivi che gli toccano in virtù dell’articolo 8 della Convenzione.
59. Così, al posto di prendere delle misure proprie a permetter l’esecuzione del diritto di visita, il tribunale ha preso solamente nota della situazione del bambino, e ha ordinato ai servizi sociali di proseguire il percorso terapeutico del bambino che rilevava che questo si sentiva minacciato in presenza di suo padre e non voleva incontrarlo. La Corte ricorda a questo riguardo che non le spetta sostituire la sua valutazione a quella delle autorità nazionali competenti in quanto alle misure che avrebbero dovuto essere prese perché queste autorità sono in principio meglio poste per procedere a tale valutazione, in particolare perché sono in contatto diretto col contesto della causa e le parti implicate (Reigado Ramos c. Portogallo, precitata, § 53). Nello specifico, non avrebbe potuto trascurare però il parere dello psicologo citato nel decreto del 1 dicembre 2003 secondo cui i tentativi della madre di mettere il bambino contro suo padre potevano arrivare nello specifico ad una sindrome di alienazione parentale. Non si sarebbe neanche potuto passare oltre al fatto che, il 16 maggio 2008, il tribunale aveva rilevato che benché la mancata realizzazione del diritto di visita del richiedente non fosse imputabile a nessuno, i servizi sociali avevano delegato alla madre il seguito del percorso terapeutico del bambino. Nonostante il fatto che una valutazione psicologica fu condotta in quanto alla famiglia, la Corte constata che questa si limitò a constatare lo stato delle cose ed a fare delle raccomandazioni di carattere generale.
60. La Corte riconosce che le autorità erano nella specifico di fronte ad una situazione molto difficile che era dovuta in particolare alle tensioni tra i genitori. Però, una mancanza di cooperazione tra i genitori separati non potrebbe dispensare le autorità competenti nel mettere in opera tutti i mezzi suscettibili di permettere il mantenimento del legame familiare (vedere, mutatis mutandis, Reigado Ramos, precitata, § 55). Ora, nell’occorrenza le autorità nazionali sono restate al di qua di ciò che ci si poteva aspettare ragionevolmente da loro: il tribunale ha delegato la gestione degli incontri ai servizi sociali che hanno da parte loro delegato alla madre la gestione del percorso terapeutico del bambino. Poi, sebbene il bambino avesse dichiarato di non volere vedere suo padre, la Corte rileva che secondo il rapporto di perizia città nel decreto del 1 dicembre 2003, era nell’interesse del bambino incontrarlo. Le autorità sono mancate così al loro dovere di prendere delle misure pratiche in vista di incitare gli interessati ad una migliore cooperazione, pure avendo in mente l’interesse superiore del bambino (vedere Zawadka precitata, § 67,).
61. La Corte nota che lo svolgimento del procedimento dinnanzi al tribunale fa apparire piuttosto una serie di misure automatiche e stereotipate, come delle richieste successive di informazioni ed una delegazione del seguito ai servizi sociali che ordinano loro di fare rispettare il diritto di visita del richiedente. Le autorità hanno lasciato consolidarsi così una situazione di fatto compiuto a disprezzo delle decisioni giudiziali, anche se il semplice passaggio del tempo aveva delle conseguenze sempre più gravi per il richiedente, privato di contatti con suo figlio. A questo riguardo, non si potrebbe trascurare neanche che al momento della sua udienza in tribunale, il minore si trovava da un certo tempo sotto l’influenza esclusiva di sua madre, in un ambiente ostile all’interessato e che più di 4 anni erano trascorsi senza un solo contatto tra il richiedente e suo figlio. Per di più, la Corte nota che i due psicologi che avevano redatto il rapporto sulla situazione del bambino lavoravano nella stessa ASL del il suocero del bambino, professore universitario e capo del servizio. Non sembra neanche che le autorità abbiano previsto, avuto riguardo delle difficoltà per i genitori di accordarsi sulla scelta dello psicologo, che questi si vedessero ingiungere l’obbligo di seguire una terapia familiare (vedere Pedovič c. Repubblica ceca, no 27145/03, § 34, 18 luglio 2006) o che gli incontri si svolgessero in seno ad una struttura specializzata (vedere, per esempio, Mezl c. Repubblica ceca, no 27726/03, § 17, 9 gennaio 2007; Zavřel c. Repubblica ceca, no 14044/05, § 24, 18 gennaio 2007).
In queste circostanze, Corte stima che di fronte a simile situazione le autorità avrebbero dovuto prendere delle misure più dirette e più specifiche tese al ristabilimento del contatto tra il richiedente e suo figlio. In particolare, la mediazione dei servizi sociali avrebbe dovuto essere utilizzata per rendere le parti più cooperative ed essi avrebbero dovuto, conformemente al decreto del 1 dicembre 2003, organizzare gli incontri tra il richiedente e suo figlio. Ora, le giurisdizioni interne non hanno preso nessuna misura adeguata per creare pro futuro le condizioni necessarie alla realizzazione di suddetto diritto di visita del richiedente (Macready c. Repubblica ceca, numeri 4824/06 e 15512/08, § 66, 22 aprile 2010).
Del resto, la Corte nota che ad oggi, L. è diventato maggiore.
62. Avuto riguardo a ciò che precede e nonostante il margine di valutazione dello stato convenuto in materia, la Corte considera che le autorità nazionali hanno omesso di esporre degli sforzi adeguati e sufficienti per fare rispettare il diritto di visita del richiedente o per permettergli, almeno, di ristabilire il contatto con suo figlio, e che hanno ignorato così il suo diritto al rispetto della sua vita familiare garantito dall’articolo 8 della Convenzione.
63. Pertanto, c’è stata violazione di questa disposizione.
II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
64. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
65. Il richiedente richiede il risarcimento di un danno morale a causa della lunga separazione da suo figlio, e dell’angoscia provata. Chiede 240 000 EUR.
66. Il Governo stima che questa somma è eccessiva e ricorda la giurisprudenza della Corte nelle cause Bove c. Italia, (no 30595/02, § 61, 30 giugno 2005) ed Andělová c. Repubblica ceca, (no 995/06, § 113, 28 febbraio 2008).
67. Tenendo conto delle circostanze dello specifico e della constatazione della rottura delle relazioni tra il richiedente e suo figlio, la Corte considera che l’interessato ha subito un danno morale che non potrebbe essere riparato dalla sola constatazione di violazione dell’articolo 8 della Convenzione. La somma richiesta a questo titolo è, tuttavia, esagerata. Avuto riguardo all’insieme degli elementi che si trovano in suo possesso e deliberando in equità, come vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte assegna all’interessato 15 000 EUR per questo capo.
B. Oneri e spese
68. Il richiedente chiede le somme di 33 742,79 a titolo del rimborso degli oneri incorsi dinnanzi alle giurisdizioni nazionali e di 27 131,44 a titolo del rimborso degli oneri incorsi dinnanzi alla Corte.
69. Il Governo nota che se il richiedente ha sottoposto due fatture, concernenti gli oneri incorsi dinnanzi alle giurisdizioni nazionali, queste non contengono nessuno elenco dettagliato degli atti che sono supposte di coprire. Stima, inoltre, che le somme richieste sono eccessive e si rimette alla saggezza della Corte.
70. In quanto agli oneri impegnati dinnanzi alle giurisdizioni interne, la Corte rileva che, sebbene almeno una parte di questi oneri sia stata esposta per fare correggere la violazione dell’articolo 8 della Convenzione, le fatture prodotte non indicano in dettaglio la natura delle prestazioni dell’avvocato del richiedente.
71. Per ciò che riguarda gli oneri incorsi dinnanzi a lei, la Corte giudica eccessiva la somma chiesta dal richiedente.
72. In queste condizioni la Corte, deliberando in equità ed avuto riguardo alla pratica degli organi della Convenzione in materia, stima ragionevole assegnare al richiedente la somma di 5 000 EUR.
C. Interessi moratori
73. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
ii. 15 000 EUR (quindicimila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
iii. 5 000 EUR (cinquemila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 2 novembre 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Francesca Tulkens
Cancelliere Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusion Violation de l’art. 8 ; Préjudice moral – réparation
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE PIAZZI c. ITALIE
(Requête no 36168/09)
ARRÊT
STRASBOURG
2 novembre 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme

En l’affaire Piazzi c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Guido Raimondi, juges,
et de Stanley Naismith, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 12 octobre 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 36168/09) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, M. A. P. (« le requérant »), a saisi la Cour le 1erjuillet 2009 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Il est représenté devant la Cour par Me A. F., avocat à Venise. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, MmeE. Spatafora, et par son coagent, M. N. Lettieri.
3. Le requérant alléguait en particulier une violation du droit au respect de sa vie familiale, garanti par l’article 8 de la Convention.
4. Le 22 octobre 2009, la présidente de la deuxième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le requérant est né en 1960 et réside à Rimini.
6. En 1989, le requérant épousa C. Le couple eut un fils, L., né le 13 novembre 1991.
7. Le mariage fut très vite marqué par des tensions et des incompréhensions, si bien que le 18 mai 1993, les époux saisirent le président du tribunal de Naples d’une demande consensuelle de séparation de corps. La garde de l’enfant fut attribuée à C. avec un droit de visite pour le requérant.
8. En 1999, après le divorce, C. épousa un professeur d’université et déménagea à 250 kilomètres de distance du requérant.
9. En avril 2001, L. affirma à sa grand-mère maternelle et au psychologue qui le suivait qu’il avait subi des attouchements sexuels de la part de son père. C. ne déposa pas plainte à l’encontre du requérant mais s’adressa à un avocat qui enjoignit au requérant de ne plus rencontrer son fils.
10. Le 12 avril 2002, en raison des difficultés rencontrées dans l’exercice de son droit de visite, le requérant saisit le tribunal pour enfants de Venise. Il faisait valoir que son ex-épouse avait influencé son fils à son sujet.
11. Par un décret du 19 juin 2002, le tribunal de Venise confia la garde de l’enfant aux services sociaux de Noventa Padovana (Administration Sanitaire Locale – Azienda Sanitaria Locale – ASL) avec maintien du placement de l’enfant au domicile de la mère et ordonna une expertise visant à vérifier si un des deux parents avait eu un comportement préjudiciable à l’enfant et si, le cas échéant, il était opportun que l’enfant garde un contact avec ledit parent.
12. En décembre 2003, le psychologue déposa son rapport qui mettait en évidence l’incapacité des deux parents à exercer « toutes les fonctions d’un parent ». De plus les tentatives de la mère de dresser l’enfant contre son père pouvaient aboutir en l’espèce à un syndrome d’aliénation parentale. Selon le psychologue, il était peu probable que L. ait subi des attouchements sexuels de la part de son père. Ces événements étaient plutôt le fruit de l’imagination de l’enfant. Selon le psychologue, il était opportun qu’un projet de rapprochement entre L. et le requérant fût précédé d’une procédure de médiation pour les parents.
13. Par un décret du 1er décembre 2003, le tribunal pour enfants de Venise, se basant sur l’expertise, limita l’autorité parentale des deux parents sur l’enfant et, en confirmant la décision du 19 juin 2002, autorisa le requérant à rencontrer son enfant en présence des assistants sociaux selon des modalités établies par les mêmes services sociaux. En particulier, le tribunal releva que la mère avait eu un comportement sciemment destiné à exclure tant le père que les autorités compétentes. Elle avait de fait interrompu tout rapport de l’enfant avec le père. Le tribunal décida qu’il était dans l’intérêt de L. de restaurer le rapport avec son père au moyen d’une préparation et d’un soutien psychologiques, avec la participation d’un psychothérapeute choisi par les deux parents.
14. Les rencontres surveillées devaient avoir lieu tous les quinze jours pendant une heure.
15. Le 2 décembre 2003, le requérant contacta les services sociaux afin de pouvoir rencontrer son fils. En l’absence de réponse, le requérant réitéra sa demande le 11 février 2004.
16. Le 8 mars 2004, l’assistante sociale l’informa qu’en l’absence de directives précises du tribunal, elle ne pouvait pas faire droit à sa demande.
17. Le 26 juin 2004, le requérant fut invité à se rendre à Noventa Padovana pour un entretien avec l’assistante sociale. Lors de l’entretien, il fut informé que Mme P. suivrait dorénavant le dossier.
18. A une date non précisée, le requérant contacta par téléphone Mme P. qui le renseigna sur les résultats scolaires de L.
19. Pendant l’été 2004, il n’eut aucun contact avec son fils.
20. Le 25 octobre 2004, le requérant rencontra à nouveau Mme P. et ses collaborateurs. Il affirme que ces derniers l’auraient informé que l’impossibilité de rencontrer son fils était due à l’intervention du mari de son ex-épouse, qui était un professeur d’université renommé.
21. Par plusieurs lettres datées des 5 octobre, 20 octobre et 22 décembre 2005, le requérant sollicita les services sociaux afin qu’ils organisent une rencontre avec son fils conformément à la décision du tribunal.
22. Le 30 janvier 2006, il fut invité à se rendre chez Mme P. Une fois arrivé, il fut informé que Mme P. était malade et que la psychologue qui suivait son fils n’était pas disponible pour une rencontre.
23. Le 19 avril 2006, le requérant s’adressa une nouvelle fois au tribunal pour enfants de Venise afin de demander la mise en œuvre des rencontres avec L. Il fit valoir qu’il n’avait pas pu rencontrer son fils et demanda au tribunal la garde de l’enfant en raison de l’influence négative de la mère.
24. Le 20 septembre 2006, le requérant ne se présenta pas à un entretien avec les services sociaux.
25. Le même jour, le service de neuropsychiatrie de l’hôpital de Padoue déposa son premier rapport sur la situation de l’enfant. Les deux psychologues avaient rédigé ce rapport après avoir rencontré la mère, le beau-père de l’enfant et le requérant. En revanche aucun entretien avec l’enfant n’avait eu lieu. Le rapport faisait état de ce que l’enfant était suivi par une psychothérapeute et que pour le moment à cause de la fragilité émotive de l’enfant, un rapprochement avec le père n’était pas envisageable. Par ailleurs, il était opportun de continuer cette psychothérapie.
26. Le 2 octobre 2006, le requérant informa les services sociaux qu’il ne pourrait pas participer à l’entretien du 4 octobre 2006.
27. Le 22 novembre 2006, l’enfant déclara au tribunal de ne pas vouloir rencontrer son père et menaça de se suicider si le tribunal l’obligeait.
28. Par un décret du 13 juin 2008, le tribunal constata que le requérant n’avait pas rencontré son fils depuis 2001 et que le décret du 1er décembre 2003 n’avait pas été exécuté. Compte tenu du refus de L. de voir le requérant, de la nécessité pour l’enfant de poursuivre son soutien psychologique afin de comprendre et de canaliser sa rage envers son père ainsi que des observations des services sociaux qui avaient souligné qu’une reprise des rapports avec le requérant pouvait être extrêmement traumatisante pour L., le tribunal confirma le décret du 1er décembre 2003. Toutefois, le tribunal releva également que les services sociaux avaient délégué à la mère de l’enfant la gestion du suivi psychologique de L., et ordonna que les services sociaux par le biais de leurs structures publiques suivent le parcours psychologique de L. et contrôlent en même temps le comportement de la mère. Le tribunal ordonna aux services sociaux de poursuivre le soutien psychologique pour L. ainsi que la procédure de médiation pour les deux parents.
29. Les 6 novembre 2008 et 21 janvier 2009, le requérant fut convoqué par les services sociaux. A ces occasions, le requérant demanda à ces derniers s’ils avaient rencontré l’enfant. La réponse fut négative. Ils se basaient sur les rapports déposés par la psychothérapeute de L.
30. Le 11 mars 2009, le requérant demanda aux services sociaux de faire parvenir une lettre à son fils.
31. A une date non précisée, le requérant interjeta appel du décret du 13 juin 2008. Il faisait valoir qu’il ne rencontrait plus son fils depuis plus de sept ans et demanda que le suivi de L. fût confié aux services sociaux d’une autre commune.
32. Par un décret du 5 janvier 2009, la cour d’appel de Venise constata que le décret du 1er décembre 2003 n’avait pas été exécuté et que cela était dû au refus de L. de rencontrer son père biologique. La cour d’appel souligna qu’aucune rencontre entre le requérant et son fils n’avait eu lieu depuis 2001 mais que toutefois, compte tenu de l’âge (17 ans) de L. et de son refus de voir son père, il était impossible de faire droit à la demande du requérant. Par conséquent, il rejeta le recours et confirma le décret du 13 juin 2008.
33. Le 12 mars 2009, le requérant s’adressa à nouveau au tribunal pour enfants de Venise en lui demandant de donner exécution au décret du 1er décembre 2003. Par une décision du 1eravril 2009, le tribunal rejeta le recours du requérant au motif que la procédure était classée et qu’il aurait fallu introduire un nouveau recours.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 DE LA CONVENTION
34. Le requérant allègue une violation de son droit au respect de sa vie de famille découlant du fait que, malgré l’existence d’une décision du tribunal pour enfants fixant les conditions d’exercice de son droit de visite, il n’a pas pu exercer ce droit depuis 2001. Il estime que les services sociaux ont joué un rôle trop autonome dans la mise en œuvre des décisions du tribunal pour enfants et que ce dernier n’a pas exercé son devoir de vigilance constante sur le travail des services sociaux afin que le comportement de ceux-ci ne fasse pas échec aux décisions du tribunal.
L’article 8 de la Convention est libellé ainsi :
« 1. Toute personne a droit au respect de sa vie (…) familiale (…).
2. Il ne peut y avoir ingérence d’une autorité publique dans l’exercice de ce droit que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu’elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire (…) à la protection de la santé ou de la morale, ou à la protection des droits et libertés d ‘autrui. »
35. Le Gouvernement s’oppose à la thèse du requérant.
A. Sur la recevabilité
36. La Cour constate que le grief tiré de l’article 8 n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
a) Arguments des parties
1. Le requérant
37. Le requérant fait valoir que les services sociaux ont joué un rôle trop autonome dans la mise en œuvre des décisions du tribunal pour enfants et que ce dernier n’a pas exercé son devoir de vigilance constante sur le travail des services sociaux. Selon le requérant, les services sociaux ont laissé à la mère de l’enfant le temps d’effacer sa présence de la vie de L.
38. Il fait valoir que jusqu’à 2001, les relations avec son enfant étaient normales, malgré la distance due au déménagement de son ex-épouse.
39. Le requérant note que le premier rapport des services sociaux a été déposé trois ans après le décret du tribunal sans que jamais les deux psychologues n’aient rencontré l’enfant. De plus, la psychothérapeute qui suivait l’enfant et qui devait être choisie par les parents, avait été choisie exclusivement par son ex-épouse.
40. Le requérant affirme, en outre, que les deux psychologues ayant rédigé ledit rapport auraient subi l’influence du beau-père de l’enfant étant donné qu’il était le directeur d’un service de l’Administration Sanitaire Locale (Azienda Sanitaria Locale – ASL) dont elles dépendaient. De plus, il fait valoir que ni l’assistante sociale, ni l’agent du service de neuropsychiatrie infantile n’ont jamais vu ni rencontré son fils.
41. Le requérant affirme que le décret du tribunal lui octroyant un droit de visite tous les quinze jours n’a pas été respecté. Le tribunal saisi une deuxième fois en 2006 avait relevé que son décret de 2003 n’avait pas été exécuté et que les services sociaux avaient délégué à la mère le suivi du parcours thérapeutique de l’enfant ; et ce alors que le tribunal avait déclaré qu’il était dans l’intérêt d’un bon développement psychique du mineur de rétablir des relations avec son père. L’intéressé allègue que, en l’occurrence, il a été clairement établi que la non-réalisation de son droit de visite était imputable à la mère de l’enfant.
42. Le requérant affirme que les services sociaux et le tribunal n’ont pas pris les mesures plus directes et plus spécifiques nécessaires au rétablissement du contact entre le requérant et son fils et de ce fait l’ont privé de son rôle de père. Il s’agit selon le requérant d’une situation désormais irréversible, compte tenu aussi de l’âge de son fils.
43. Le requérant est d’avis que l’intérêt supérieur de l’enfant aurait exigé que L. ait ses deux parents au lieu d’être privé de son père.
44. Il rappelle que malgré la décision du 1er décembre 2003, restée non exécutée, lui octroyant un droit de visite, les services sociaux ne lui ont jamais permis ni de voir son fils, ni de l’appeler par téléphone, ni de lui remettre une lettre.
2. Le Gouvernement
45. Le Gouvernement soutient que toutes les mesures prises par les autorités italiennes visaient à la sauvegarde des conditions psychiques et physiques de l’enfant. Toutes lesdites mesures ont été prises dans l’intérêt supérieur de l’enfant.
46. Il note que pendant l’année 2003, les services sociaux ont pris en charge l’enfant et ont rencontré plusieurs fois les parents de l’enfant. L., très fragilisé, nécessitait un soutient psychologique à cause de sa difficulté à se mettre en relation avec son père, sa famille paternelle et les autres. De plus, les deux psychiatres mandatés par le tribunal avaient fait appel à une autre spécialiste en psychothérapie afin qu’elle suive l’enfant.
47. Le Gouvernement note également que le requérant n’a pas participé à plusieurs entretiens avec les services sociaux.
48. Le Gouvernement rappelle que dans le rapport déposé le 7 juin 2006, les services sociaux avaient manifesté leur incrédulité face aux démarches entreprises par le requérant devant le tribunal afin de se voir confier la garde de l’enfant. Ils affirmaient que ces démarches pouvaient avoir une conséquence négative pour L.
49. Le Gouvernement affirme que d’après les juridictions internes, la non-réalisation de l’objectif de la réunion entre le requérant et l’enfant était due à la position du garçon, qui avait toujours refusé de voir son père.
50. Les autorités compétentes ont agi dans l’intérêt de l’enfant ; compte tenu du refus de ce dernier de rencontrer son père, les services sociaux ont agi et continuent à agir afin d’améliorer l’état psychologique du mineur et afin de renouer les liens avec le requérant. Les services sociaux ont toujours tenu informé le tribunal de Venise de l’issue de la procédure.
51. En conclusion, le Gouvernement, se référant à la jurisprudence de la Cour (Johansen c. Norvège, 7 août 1996, § 64 Recueil des arrêts et décisions 1996-III), rappelle qu’il n’appartient pas à la Cour de se substituer aux autorités internes pour réglementer la situation des enfants mais d’apprécier, sous l’angle de la Convention, les mesures prises par ces autorités dans l’exercice de leur pouvoir d’appréciation pour permettre la réunion des parents et de leur enfant. Les autorités italiennes ont agi dans l’intérêt de L., afin de protéger sa santé, conformément au paragraphe 2 de l’article 8 de la Convention. Il demande dès lors à la Cour de déclarer la requête irrecevable.
B. Appréciation de la Cour
52. Comme la Cour l’a rappelé à maintes reprises, si l’article 8 a essentiellement pour objet de prémunir l’individu contre les ingérences arbitraires des pouvoirs publics, il ne se contente pas de commander à l’Etat de s’abstenir de pareilles ingérences : à cet engagement plutôt négatif peuvent s’ajouter des obligations positives inhérentes à un respect effectif de la vie privée ou familiale. Elles peuvent impliquer l’adoption de mesures visant au respect de la vie familiale jusque dans les relations des individus entre eux, dont la mise en place d’un arsenal juridique adéquat et suffisant pour assurer les droits légitimes des intéressés ainsi que le respect des décisions judiciaires, ou des mesures spécifiques appropriées (voir, mutatis mutandis, Zawadka c. Pologne, nº 48542/99, § 53, 23 juin 2005).
53. Se penchant sur la présente affaire, la Cour note d’abord qu’au moment de leur séparation de corps en 1993, le requérant et son ex-épouse étaient parvenus à un accord sur les modalités du droit de visite de l’intéressé. Toutefois, après le déménagement et le nouveau mariage de son ex-épouse (C.), celle-ci a très tôt commencé à s’y opposer, et le requérant déposa en 2002 un recours devant le tribunal pour enfants (« tribunal ») pour demander le respect du droit de visite. Son épouse fit valoir que L. avait révélé avoir subi des attouchements sexuels de la part de son père et de sa famille. Dans ces conditions, le tribunal, le 19 juin 2002, ordonna une expertise au sujet de l’enfant (paragraphe 11 ci-dessus). Le rapport déposé par l’expert a mis en évidence l’incapacité des deux parents à exercer « toutes les fonctions d’un parent ». De plus les tentatives de la mère de dresser l’enfant contre son père pouvaient aboutir en l’espèce à un syndrome d’aliénation parentale. Selon le psychologue, il était peu probable que L. ait subi des attouchements sexuels de la part de son père.
Dans ces circonstances, le tribunal limita l’autorité parentale des deux parents sur l’enfant et autorisa le requérant à rencontrer son enfant en présence des assistants sociaux selon des modalités établies par les mêmes services sociaux. Les rencontres devaient avoir lieu tous les quinze jours pendant une heure. Les autorités avaient donc l’obligation de prendre des mesures visant à le réunir à son enfant. Il n’est pas sujet à controverse que les démarches entreprises par elles en l’espèce n’ont pas apporté le résultat souhaité et que le requérant ne voit pas son fils depuis 2001.
54. Cependant, le fait que les efforts des autorités ont été vains ne mène pas automatiquement à la conclusion que l’Etat a manqué aux obligations positives qui découlent pour lui de l’article 8 de la Convention (voir, mutatis mutandis, Mihailova c. Bulgarie, no 35978/02, § 82, 12 janvier 2006). En effet, l’obligation pour les autorités nationales de prendre des mesures afin de réunir le parent et l’enfant qui ne vivent pas ensemble n’est pas absolue, et la compréhension et la coopération de l’ensemble des personnes concernées constituent toujours un facteur important. Si les autorités nationales doivent s’efforcer de faciliter pareille collaboration, une obligation pour elles de recourir à la coercition en la matière ne saurait être que limitée : il leur faut tenir compte des intérêts et des droits et libertés de ces mêmes personnes, et notamment des intérêts supérieurs de l’enfant et des droits que lui reconnaît l’article 8 de la Convention (Voleský c. République tchèque, no 63267/00, § 118, 29 juin 2004). Comme la jurisprudence de la Cour le reconnaît de manière constante, la plus grande prudence s’impose lorsqu’il s’agit de recourir à la coercition en ce domaine délicat (Reigado Ramos c. Portugal, no 73229/01, § 53, 22 novembre 2005), et l’article 8 de la Convention ne saurait autoriser le parent à faire prendre des mesures préjudiciables à la santé et au développement de l’enfant (Elsholz c. Allemagne [GC], nº 25735/94, §§ 49-50, CEDH 2000-VIII). Le point décisif consiste donc à savoir si les autorités nationales ont pris, pour faciliter le regroupement, toutes les mesures nécessaires que l’on pouvait raisonnablement exiger d’elles en l’occurrence (Nuutinen c. Finlande, nº 32842/96, § 128, CEDH 2000-VIII).
55. En l’espèce, confronté à l’impossibilité de mettre en œuvre son droit de visite déterminé par le décret du 1er décembre 2003, le requérant a cherché d’abord l’assistance des services sociaux afin de faire respecter cette décision. Force est de constater qu’aucune suite n’a été donnée auxdites demandes. Ce manquement semble d’autant plus grave que, compte tenu de l’âge de l’enfant (onze ans en 2003) et du contexte familial perturbé, l’écoulement du temps avait des effets négatifs sur la possibilité pour le requérant de renouer une relation avec son fils.
56. En 2006, le requérant demanda au tribunal la mise en œuvre de sa décision du 1er décembre 2003. Entre temps, et précisément trois ans après le premier décret du tribunal, les services sociaux déposèrent leur premier rapport sur la situation de l’enfant et de la famille. La Cour note que les deux psychiatres ayant rédigé le rapport n’avaient jamais rencontré l’enfant, qui en revanche était suivi par un psychothérapeute choisi par la mère de l’enfant. La solution envisagée dans le rapport était d’attendre une maturation de l’enfant, qui pour le moment refusait de voir son père.
57. Par un décret du 13 mai 2008, le tribunal constata la non-éxecution de sa décision du 1er décembre 2003 et le fait que les services sociaux avaient délégué à la mère la gestion du suivi psychologique de son fils. Toutefois, compte tenu du refus de l’enfant de voir le requérant, le tribunal ordonna que l’enfant poursuive son soutien psychologique afin de comprendre et de canaliser sa rage envers son père. Le tribunal ordonna aux services sociaux de contrôler également le comportement de la mère et d’utiliser dans le parcours de suivi de l’enfant les structures publiques.
58. Il convient de rappeler que dans une affaire de ce genre, le caractère adéquat d’une mesure se juge à la rapidité de sa mise en œuvre (Maire c. Portugal, nº 48206/99, § 74, CEDH 2003-VII). En l’occurrence, le gouvernement défendeur explique le comportement des services sociaux et du tribunal par la volonté de ne pas traumatiser l’enfant davantage. La Cour observe cependant que le 19 avril 2006, le requérant avait demandé au tribunal la mise en œuvre de sa décision de 2003. Or, le tribunal constata l’inexécution de la mesure seulement en 2008. La Cour relève également que depuis 2003 aucun rapport n’avait été déposé par les services sociaux sur la situation psychologique de l’enfant. De l’avis de la Cour, de tels retards ne sauraient être justifiés car il appartient à chaque Etat contractant d’organiser son système judiciaire de sorte à assurer le respect des obligations positives qui lui incombent en vertu de l’article 8 de la Convention.
59. Ainsi, au lieu de prendre des mesures propres à permettre l’exécution du droit de visite, le tribunal a seulement pris note de la situation de l’enfant, et ordonné aux services sociaux de poursuivre le parcours thérapeutique de l’enfant en relevant que celui-ci se sentait menacé en présence de son père et ne voulait pas le rencontrer. La Cour rappelle à cet égard qu’il ne lui revient pas de substituer son appréciation à celle des autorités nationales compétentes quant aux mesures qui auraient dû être prises car ces autorités sont en principe mieux placées pour procéder à une telle évaluation, en particulier parce qu’elles sont en contact direct avec le contexte de l’affaire et les parties impliquées (Reigado Ramos c. Portugal, précité, § 53). En l’espèce, elle ne saurait pour autant négliger l’avis du psychologue cité dans le décret du 1er décembre 2003, selon lequel les tentatives de la mère de dresser l’enfant contre son père pouvaient aboutir en l’espèce à un syndrome d’aliénation parentale. L’on ne saurait non plus passer outre au fait que, le 16 mai 2008, le tribunal a relevé que bien que la non-réalisation du droit de visite du requérant ne fût imputable à personne, les services sociaux avaient délégué à la mère le suivi du parcours thérapeutique de l’enfant. Nonobstant le fait qu’une évaluation psychologique fut conduite quant à la famille, la Cour constate que celle-ci se limita à constater l’état des choses et à faire des recommandations de caractère général.
60. La Cour reconnaît que les autorités faisaient en l’espèce face à une situation très difficile qui était due notamment aux tensions entre les parents. Cependant, un manque de coopération entre les parents séparés ne saurait dispenser les autorités compétentes de mettre en œuvre tous les moyens susceptibles de permettre le maintien du lien familial (voir, mutatis mutandis, Reigado Ramos, précité, § 55). Or, en l’occurrence les autorités nationales sont restées en deçà de ce qu’on pouvait raisonnablement attendre d’elles : le tribunal a délégué la gestion des rencontres aux services sociaux, qui de leur côté ont délégué à la mère la gestion du parcours thérapeutique de l’enfant. Puis, bien que l’enfant ait déclaré ne pas vouloir voir son père, la Cour relève que selon le rapport d’expertise cité dans le décret du 1er décembre 2003, il était dans l’intérêt de l’enfant de le rencontrer. Les autorités ont ainsi failli à leur devoir de prendre des mesures pratiques en vue d’inciter les intéressés à une meilleure coopération, tout en ayant à l’esprit l’intérêt supérieur de l’enfant (voir Zawadka précité, § 67).
61. La Cour note que le déroulement de la procédure devant le tribunal fait plutôt apparaître une série de mesures automatiques et stéréotypées, telles que des demandes successives de renseignements et une délégation du suivi aux services sociaux leur ordonnant de faire respecter le droit de visite du requérant. Les autorités ont ainsi laissé se consolider une situation de fait accompli au mépris des décisions judiciaires, alors même que le simple passage du temps avait des conséquences de plus en plus graves pour le requérant, privé de contacts avec son fils. A cet égard, l’on ne saurait non plus négliger qu’au moment de son audition par le tribunal, le mineur se trouvait depuis un certains temps sous l’influence exclusive de sa mère, dans un milieu hostile à l’intéressé et que plus de 4 ans s’étaient écoulés sans un seul contact entre le requérant et son fils. De surcroît, la Cour note que les deux psychologues ayant rédigé le rapport sur la situation de l’enfant travaillaient dans la même ASL que le beau-père de l’enfant, professeur universitaire et chef de service. Il ne semble pas non plus que les autorités aient envisagé, eu égard aux difficultés pour les parents de s’accorder sur le choix du psychologue, que ceux-ci se voient enjoindre l’obligation de suivre une thérapie familiale (voir Pedovič c. République tchèque, no 27145/03, § 34, 18 juillet 2006) ou que les rencontres se déroulent au sein d’une structure spécialisée (voir, par exemple, Mezl c. République tchèque, no 27726/03, § 17, 9 janvier 2007 ; Zavřel c. République tchèque, no 14044/05, § 24, 18 janvier 2007).
Dans ces circonstances, Cour estime que face à pareille situation les autorités auraient dû prendre des mesures plus directes et plus spécifiques visant au rétablissement du contact entre le requérant et son fils. En particulier, la médiation des services sociaux aurait dû être utilisée pour rendre les parties plus coopératives et ils auraient dû, conformément au décret du 1er décembre 2003, organiser les rencontres entre le requérant et son fils. Or, les juridictions internes n’ont pris aucune mesure appropriée pour créer pro futuro les conditions nécessaires à la réalisation dudit droit de visite du requérant (Macready c. République tchèque, nos 4824/06 et 15512/08, § 66, 22 avril 2010).
Au demeurant, la Cour note qu’à ce jour, L. est devenu majeur.
62. Eu égard à ce qui précède et nonobstant la marge d’appréciation de l’État défendeur en la matière, la Cour considère que les autorités nationales ont omis de déployer des efforts adéquats et suffisants pour faire respecter le droit de visite du requérant ou lui permettre, à tout le moins, de rétablir le contact avec son enfant, et qu’elles ont ainsi méconnu son droit au respect de sa vie familiale garanti par l’article 8 de la Convention.
63. Partant, il y a eu violation de cette disposition.
II. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
64. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
65. Le requérant réclame la réparation d’un préjudice moral du fait de la longue séparation d’avec son fils, et de l’angoisse éprouvée. Il demande 240 000 EUR.
66. Le Gouvernement estime que cette somme est excessive et rappelle la jurisprudence de la Cour dans les affaires Bove c. Italie, (no 30595/02, § 61, 30 juin 2005) et Andělová c. République tchèque, (no 995/06, § 113, 28 février 2008).
67. En tenant compte des circonstances de l’espèce et du constat de la rupture des relations entre le requérant et son enfant, la Cour considère que l’intéressé a subi un préjudice moral qui ne saurait être réparé par le seul constat de violation de l’article 8 de la Convention. La somme réclamée à ce titre est, toutefois, exagérée. Eu égard à l’ensemble des éléments se trouvant en sa possession et statuant en équité, comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour alloue à l’intéressé 15 000 EUR de ce chef.
B. Frais et dépens
68. Le requérant demande les sommes de 33 742,79 au titre du remboursement des frais encourus devant les juridictions nationales et de 27 131,44 au titre du remboursement des frais encourus devant la Cour.
69. Le Gouvernement note que si le requérant a soumis deux factures, concernant les frais encourus devant les juridictions nationales, celles-ci ne contiennent aucune liste détaillée des actes qu’elles sont censées couvrir. Il estime, en outre, que les sommes réclamées sont excessives et s’en remet à la sagesse de la Cour.
70. Quant aux frais engagés devant les juridictions internes, la Cour relève que, bien qu’au moins une partie de ces frais ait été exposée pour faire corriger la violation de l’article 8 de la Convention, les factures produites n’indiquent pas en détail la nature des prestations de l’avocat du requérant.
71. En ce qui concerne les frais encourus devant elle, la Cour juge excessive la somme demandée par le requérant.
72. Dans ces conditions la Cour, statuant en équité et eu égard à la pratique des organes de la Convention en la matière, estime raisonnable d’allouer au requérant la somme de 5 000 EUR.
C. Intérêts moratoires
73. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 8 de la Convention ;
3. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes:
ii. 15 000 EUR (quinze mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour dommage moral;
iii. 5 000 EUR (cinq mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par le requérant, pour frais et dépens ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 2 novembre 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Stanley Naismith Françoise Tulkens
Greffier Président

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