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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE PERDIGAO c. PORTUGAL

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 41, P1-1
Numero: 24768/06/2010
Stato: Portogallo
Data: 2010-11-16 00:00:00
Organo: Grande Camera
Testo Originale

Conclusione Violazione di P1-1; Danno patrimoniale e danno morale – risarcimento
GRANDE CAMERA
CAUSA PERDIGÃO C. PORTOGALLO
( Richiesta no 24768/06)
SENTENZA
STRASBURGO
16 novembre 2010
Questa sentenza è definitiva. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Perdigão c. Portogallo,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, riunendosi in una Grande Camera composta da:
Jean-Paul Costa, presidente, Christos Rozakis, Nicolas Bratza, Peer Lorenzen, Josep Casadevall, Ireneu Cabral Barreto, Karel Jungwiert, Elisabet Fura, Alvina Gyulumyan, Sverre Erik Jebens, Ján Šikuta, Ineta Ziemele, Marco Villiger, Giorgio Malinverni, George Nicolaou, Zdravka Kalaydjieva, Mihai Poalelungi, giudici
e da Johan Callewaert, cancelliere aggiunto della Grande Camera,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 17 marzo e il 6 ottobre 2010,
Rende la sentenza che ha adottata in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 24768/06) diretta contro la Repubblica portoghese e in cui due cittadini di questo Stato, OMISSIS (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 19 giugno 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da OMISSIS, avvocati a Lisbona. Il governo portoghese (“il Governo”) è stato rappresentato fino al 23 febbraio 2010 dal suo agente, la Sig. J. Miguel, procuratore generale aggiunto, ed a partire da questa data dalla Sig.ra M.F. Carvalho, anche lei procuratore generale aggiunto.
3. I richiedenti si lamentavano in particolare di una violazione del loro diritto di proprietà al motivo che un’indennità di espropriazione che era stata accordata loro era stata in definitiva totalmente assorbita dalla somma messa al loro carico a titolo degli oneri di giustizia.
4. La richiesta è stata assegnata alla seconda sezione della Corte (articolo 52 § 1 dell’ordinamento). Il 24 aprile 2008, la Corte ha deciso di comunicarla al Governo e, come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, di esaminarne congiuntamente l’ammissibilità ed il fondo.
5. Il 4 agosto 2009, deliberando al tempo stesso sull’ammissibilità ed il mondo della richiesta, una camera di suddetta sezione composta da Francesca Tulkens, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutë Jočienė, Dragoljub Popović, Andrįs Sajó ed Işıl Karakaş, giudici, e da Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione, ha, alla maggioranza, dichiarato la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello derivati dall’articolo 1 del Protocollo no 1 ed inammissibile per il surplus. Ha concluso, per cinque voci contro due, alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Il giudice Zagrebelsky ha formulato un’opinione dissidente alla quale ha aderito il giudice Sajó.
6. Il 10 dicembre 2009, facendo diritto ad un’istanza di rinvio presentata dal Governo, il collegio della Grande Camera ha deciso di rinviare la causa dinnanzi alla Grande Camera in virtù dell’articolo 43 della Convenzione.
7. La composizione della Grande Camera è stata configurata conformemente agli articoli 27 §§ 2 e 3 della Convenzione e 24 dell’ordinamento. All’epoca delle deliberazioni finali, Mihai Poalelungi, supplendo, ha sostituito Giovanni Bonnello, impossibilitato (articolo 24 § 3 dell’ordinamento).
8. Il 19 gennaio 2010, la Grande Camera ha deciso di non tenere udienze nello specifico, stimando che non ne aveva bisogno per adempiere alle funzioni che le spettavano in virtù dell’articolo 38 della Convenzione (articolo 59 § 3 in fine dell’ordinamento). Le parti sono state invitate a depositare delle memorie sul merito della causa, ma solo il Governo si è avvalso di questa facoltà.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
9. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1932 e nel 1933; risiedono a Lisbona.
A. Il procedimento di espropriazione
10. I richiedenti erano i proprietari di un terreno di una superficie totale di 128 619 m² ubicato nella regione di Évora. Con un’ordinanza del ministro dei Lavori pubblici pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 11 settembre 1995, questo terreno fu espropriato a favore della Ruppe-Automobile-Estradas del Portogallo S.p.A. (la Ruppe” qui di seguito “), società anonima a capitale esclusivamente pubblico all’epoca, in vista della costruzione di un’autostrada.
11. Nessun accordo essendo stato trovato tra i richiedenti e le amministrazioni, la pratica fu sottoposta, in virtù della legislazione applicabile, al presidente della corte di appello di Évora che designò una commissione di arbitraggio incaricata di valutare il terreno. La commissione valutò questo ultimo a 177 987,17 euro (EUR)1).
12. Con un’ordinanza del 3 marzo 1997, il giudice del tribunale di Évora fece notificare la decisione arbitrale ai richiedenti.
13. Il 21 marzo 1997, i richiedenti introdussero un ricorso contro la decisione arbitrale dinnanzi al tribunale di Évora. Consideravano che i periti avevano sottovalutato il valore delle terre agricole e che avevano omesso di assegnare un valore ad una cava situata sul terreno. Stimavano che bisognava prendere in considerazione, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, gli utili che avrebbero potuto essere tratti dallo sfruttamento della cava in causa. Valutavano così l’importo dell’indennità di espropriazione a 20 864 292 EUR.
14. La Ruppe attaccò allo stesso modo la decisione degli arbitri, stimando eccessiva la valutazione fatta da questi ultimi,: per lei, l’indennità di espropriazione non doveva superare 72 643 EUR. Il giudice del tribunale di Évora respinse questo ricorso per tardività ma l’accettò posteriormente, avendo reso la corte di appello di Évora l’ 11 dicembre 1997 una sentenza che annullava la sua decisione iniziale.
15. Il 7 aprile 1997, la cancelleria del tribunale di Évora valutò a 158 381 EUR l’importo totale degli oneri di giustizia da regolare alla conclusione del procedimento.
16. Il 24 aprile 1998, il giudice del tribunale di Évora decise che nessuna somma doveva essere versata ancora ai richiedenti a titolo di indennità di espropriazione, essendo l’importo probabile degli oneri di giustizia superiore all’importo minimo dell’indennità di espropriazione che, secondo i ricorsi depositati dalle parti, poteva essere concesso ai richiedenti: difatti, il ricorso introdotto dalla Ruppe chiedeva la determinazione dell’indennità a 72 643 EUR. Il giudice designò poi una nuova commissione di arbitraggio, costituita da tre periti nominati dal tribunale e di due periti nominati dalle parti, ciascuna avendo designato il suo. L’ 11 marzo 1999, gli arbitri fissarono, alla maggioranza, l’indennità di espropriazione a 191 116 EUR. L’arbitro designato dai richiedenti espresse il parere che l’indennità doveva ammontare a 4 040 897 EUR.
17. Con un’ordinanza del 25 marzo 1999, il giudice chiese d’ ufficio un nuovo rapporto di perizia, riguardante esclusivamente il potenziale economico della cava esistente sul terreno. Così tre geologi dell’università di Évora furono designati come periti. Il 9 febbraio 2000, depositarono il loro rapporto in cui concludevano ad un valore massimale di sfruttamento economico della cava di 9 704 113 EUR.
18. Con un giudizio del 30 giugno 2000, il giudice respinse il ricorso dei richiedenti come quello della Ruppe. Considerando che gli utili suscettibili di risultare dalla cava non dovevano essere presi in conto, fissò l’indennità di espropriazione a 197 236,25 EUR.
19. Il 14 luglio 2000, i richiedenti fecero appello contro questo giudizio dinnanzi alla corte di appello di Évora.
20. Con una sentenza del 10 luglio 2003, la corte di appello confermò il giudizio in tutte le sue disposizioni.
21. L’ 11 novembre 2003, i richiedenti ricorsero in cassazione, ma il giudice delatore alla Corte suprema, con un’ordinanza del 30 settembre 2004, dichiarò il ricorso inammissibile.
22. I richiedenti depositarono ancora, il 26 ottobre 2004, un ricorso costituzionale, che il Tribunale costituzionale dichiarò inammissibile con una decisione sommaria del 20 dicembre 2004.
23. Il 26 gennaio 2005, la pratica fu trasmessa al tribunale di Évora.
B. Gli oneri di giustizia
24. Il 4 febbraio 2005, i richiedenti ricevettero da parte del tribunale di Évora notifica del conteggio degli oneri di giustizia dovuti per il procedimento di espropriazione. Gli oneri messi a loro carico ammontavano a 489 188,42 EUR.
25. Il 22 febbraio 2005, i richiedenti depositarono un reclamo a proposito di questo conteggio, adducendo in particolare una violazione dei principi del giusto indennizzo e del diritto di accesso ad un tribunale. Stimavano che per restare proporzionata la somma da pagare non doveva superare 15 000 EUR. Menzionavano peraltro ciò che giudicavano essere delle inesattezze ed errori di calcolo nel conteggio degli oneri di giustizia. Contestavano così la base considerata per calcolare la tassa giudiziale dinnanzi al tribunale di Évora che doveva essere secondo loro quella dell’articolo 18 § 2 del codice degli oneri di giustizia, e la legittimità di una condanna a versare la minima somma a titolo degli oneri e spese (custas de parte) alla Ruppe, esonerata, in quanto organo statale, dal pagamento degli oneri di giustizia.
26. Con un’ordinanza del 1 aprile 2005, il giudice del tribunale di Évora, in seguito ad un’informazione ottenuta dalla cancelleria, riconobbe gli errori di calcolo indicati dai richiedenti ed ordinò la rettifica del conteggio. L’importo degli oneri fu dunque ridotto a 309 052,71 EUR. Dopo compenso delle somme dovute da una parte e d’ altra, i richiedenti restavano così debitori verso lo stato della somma di 111 816,46 EUR. Il giudice respinse inoltre il reclamo degli interessati in quanto alle violazioni addotte dei principi del giusto indennizzo e del diritto di accesso ad un tribunale.
27. I richiedenti fecero appello dinnanzi alla corte di appello di Évora. Con una sentenza del 13 dicembre 2005, portata a loro cognizione il 19 dicembre 2005, la corte di appello respinse il loro ricorso.
28. Il 12 maggio 2006, i richiedenti introdussero un ricorso costituzionale contro questa decisione, adducendo che l’interpretazione delle disposizioni applicabili del codice degli oneri di giustizia, in particolare del suo articolo 66 § 2, era contrario ai principi del giusto indennizzo e del diritto di accesso ad un tribunale garantito dalla Costituzione. Ai loro occhi, la somma da versare a titolo degli oneri di giustizia non doveva essere in nessun caso superiore all’importo dell’indennità di espropriazione.
29. Con una sentenza del 28 marzo 2007, il Tribunale costituzionale respinse il loro ricorso. Dopo avere osservato a titolo preliminare che non poteva esaminare la costituzionalità che l’articolo 66 § 2 del codice degli oneri di giustizia, unica norma applicata dalle giurisdizioni a quo, stimò che questa disposizione non era contraria agli articoli 20 (accesso ad un tribunale) e 62 § 2 (giusto indennizzo) della Costituzione. Trattandosi del diritto di accesso ad un tribunale, sottolineò che, se la determinazione ad un livello eccessivo dell’importo degli oneri di giustizia poteva, in certe circostanze, ostacolare il diritto di accesso ad un tribunale, tale non era il caso nello specifico, dovendo i richiedenti secondo lui pagargli solo la somma di 15 000 EUR, che considerava come essendo nei limiti del ragionevole. Concernente il giusto indennizzo, il Tribunale costituzionale stimò che la questione del risarcimento del danno che derivava dall’espropriazione era differente da quella del saldo degli oneri di giustizia e che, di conseguenza, niente si opponeva al fatto che la somma da versare a questo ultimo titolo fosse superiore all’importo dell’indennità di espropriazione.
30. Il 20 aprile 2007, i richiedenti depositarono un’istanza di rettifica di questa sentenza, sostenendo che il Tribunale costituzionale aveva commesso un errore patrimoniale. Rimproveravano all’alta giurisdizione di avere considerato, ai fini del suo ragionamento, difatti che erano debitori della somma di 15 000 EUR a titolo degli oneri di giustizia, mentre dovevano in realtà versare la somma di 111 816,46 EUR.
31. Con una sentenza del 25 settembre 2007, il Tribunale costituzionale riconobbe l’errore patrimoniale indicato e la necessità di rettificare la sentenza per quanto l’articolo 20 della Costituzione era riguardato. Considerò che la somma di 111 816,46 EUR era talmente elevata che il diritto di accesso ad un tribunale se ne trovava danneggiato. Dichiarò dunque contrario all’articolo 20 della Costituzione l’articolo 66 § 2 del codice degli oneri di giustizia come interpretato dalle giurisdizioni a quo. Sulla questione dell’articolo 62 § 2 della Costituzione, concernente il principio del giusto indennizzo, giudicò in compenso che la sua decisione anteriore non richiamava nessuna rettifica.
32. Il 6 novembre 2007, i richiedenti, desiderosi di conoscere l’importo esatto della somma che dovevano versare a titolo degli oneri di giustizia, depositarono un’istanza di delucidazione della sentenza del 25 settembre 2007.
33. Con una sentenza del 13 novembre 2007, il Tribunale costituzionale respinse l’istanza, sottolineando che incombeva sulla giurisdizione del merito determinare la somma in questione.
34. Con un’ordinanza del 4 gennaio 2008, il giudice del tribunale di Évora, investito della pratica, decise, senza precisare le sue ragioni, che l’importo degli oneri non doveva superare più di 15 000 EUR l’importo dell’indennità di espropriazione.
35. Il 20 febbraio 2008, i richiedenti versarono la somma di 15 000 EUR.
C. La richiesta no 12849/05 dinnanzi alla Corte europea
36. Il 7 aprile 2005, i richiedenti introdussero dinnanzi alla Corte una richiesta (no 12849/05) per lamentarsi della mancanza di indennizzo per quanto la cava era riguardata. Questa richiesta fu respinta per tardività da un comitato il 30 agosto 2005.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
A. La Costituzione
37. L’articolo 20 della Costituzione garantisce il diritto di accesso ad un tribunale. L’articolo 62 della Costituzione garantisce il diritto di proprietà così come il diritto ad un giusto indennizzo in caso di espropriazione.
B. Il Codice di Procedura civile
38. La regola generale in materia di oneri di giustizia è stabilita all’articolo 446 del codice di procedura civile. Ai termini di questa disposizione, è in principio la parte che perde che deve regolare gli oneri di procedimento.
C. Il Codice delle espropriazioni
39. Al momento dell’espropriazione controversa, il codice delle espropriazioni applicabile era quello adottato dal decreto-legge no 438/91, del 9 novembre 1991.
40. La procedura di espropriazione prevista all’epoca si svolgeva nel seguente modo: in mancanza di accordo tra l’ entità espropriante e l’espropriato, il presidente della corte di appello avente giurisdizione sul luogo dove si trovava il bene da espropriare designava una commissione di arbitraggio incaricata di valutare il valore di questo ultimo. L’espropriato poteva investire il tribunale di prima istanza di un ricorso contro la decisione arbitrale, avendo così luogo una nuova stima del bene se necessario. Poteva fare appello contro la decisione del tribunale di prima istanza, fissando la corte di appello che deliberava in modo definitivo (sentenza di ordinamento (assento) della Corte suprema del 30 maggio 1995) una giurisprudenza obbligatoria per tutte le giurisdizioni e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 15 maggio 1997.
D. Gli oneri di giustizia
41. In Portogallo, l’obbligo di pagare degli oneri di giustizia riveste una natura fiscale. La Corte suprema stima difatti che questo obbligo per i giudicabili equivale a quello per i contribuenti di pagare delle tasse. Lo stato è così in diritto di percepire queste somme in quanto “motivo attivo” dell’obbligo fiscale in causa: deve fornire in compenso agli individui-i “soggetti passivi” dell’obbligo fiscale – l’accesso ai servizi di giustizia (sentenza della Corte suprema del 5 febbraio 2004 resa nel procedimento no 03B3809).
42. All’epoca dei fatti, questa materia era regolata dal codice degli oneri di giustizia, adottato dal decreto-legge no 224-A/96, del 26 novembre 1996, nella sua redazione applicabile prima degli emendamenti portati a questo testo dal decreto-legge no 324/2003, del 27 dicembre 2003.
43. Le disposizioni pertinenti di questo codice si leggevano come segue:
Articolo 1 (Nozione di onere di giustizia)
“1. Gli oneri di giustizia comprendono la tassa giudiziale (taxa de justiça), e gli altri oneri (encargos).
2. Salvo disposizione contraria della legge, tutti i procedimenti sono assoggettati agli oneri di giustizia. “
Articolo 2 (Esenzioni soggettive)
“1. Senza danno alle disposizioni di leggi speciali, sono solo esonerati dal pagamento degli oneri di giustizia:
a) lo stato e tutti i suoi servizi ed organi, anche se disponessero di una personalità giuridica propria;
(…) “
Articolo 6 (Regole particolari)
“1. Nei casi menzionati qui di seguito, il valore della controversia, ai fini del calcolo degli oneri di giustizia, è la seguente:
(…)
s) nei ricorsi che riguardano delle espropriazioni, la differenza tra l’ indennità di espropriazione, come fissata dalla commissione di arbitraggio, e l’importo chiesto dall’ [espropriato] (…)
(…) “
Articolo 13 (Base di calcolo della tassa giudiziale)
“1. Senza danno delle seguenti disposizioni, gli oneri di procedimento sono fissati sulla base del riquadro sotto e calcolati sul valore delle azioni, delle misure incidentali e dei ricorsi.
(…)
Valore fino a.. euro Importo della tassa giudiziale, in euro,
149,64 29,93
299,28 39,90
498,80 49,88
784,20 59,86
997,60 69,83
1 246,99 79,81
1 496,39 89,78
1 745,79 99,76
1 995,19 109,74
2 244,59 119,71
2 493,99 129,69
2 743,39 139,66
2 992,79 149,64
3 242,19 159,62
3 491,59 169,59
3 740, 98, 179,57
3 990,38 189,54
4 239,78 199,52
4 489,18 209,50
4 738,58 219,47
4 987,98 229,45
5 985,57 239,42
6 983,17 249,40
7 980,77 259,37
8 978,36 269,35
9 975,96 279,33
11 472,35 299,28
12 968,75 319,23
14 465,14 339,18
15 961,53 359,13
17 457,93 379,09
18 954,32 399,04
20 450,71 418,99
21 947,11 438,14
23 443,50 458,89
24 939,89 478,85
27 433,88 498,80
29 927,87 518,75
32 421,86 538,70
34 915,85 558,65
37 409,84 578,61
39 903,83 598,56
42 397,82 618,51
44 891,81 638,46
47 385,80 658,41
49 879,79 678,37
al di là di 49 879,79 49,88 per ogni tranche di 4987,98 euro
Articolo 18 (Tassa giudiziale dinnanzi alle giurisdizioni di ricorso)
“(…)
2. Nei ricorsi, perseguimenti ed appelli contro le decisioni rese in ogni azione o misura incidentale la tassa giudiziale corrisponde alla metà dei valori del riquadro [dell’articolo 13].
(…) “
Articolo 29 (Dispensa dal pagamento dell’anticipo sugli oneri e dei pagamenti susseguenti)
“(…)
2. Non c’è luogo di avanzare degli onere nei procedimenti di espropriazione “
Articolo 66 (Pagamento degli oneri su delle somme da versare al
debitore su ordine del tribunale)
“1. Il debitore degli onere di giustizia beneficiario di una decisione del tribunale che gli concede una somma di denaro può chiedere, nel termine contemplato per il pagamento volontario, che si deduca da questa somma l’importo degli oneri a pagare.
2. Gli oneri di giustizia dovuti da un espropriato sono sa dedurre dall’importo dell’indennità di espropriazione. “
44. I custas de parta (oneri e spese) sono delle somme alle quali la parte che vince ha diritto alla conclusione del processo. Ai termini dell’articolo 33 del codice degli oneri di giustizia come era applicabile all’epoca pertinente, comprendevano le somme che la parte in questione era obbligata a spendere a ragione della condotta del procedimento.
E. Il nuovo Codice degli oneri di giustizia
45. Il 24 febbraio 2008, il Governo ha adottato un nuovo codice degli oneri di giustizia (decreto-legge no 34/2008). L’esposizione dei motivi di questo testo comprende in particolare il seguente passaggio:
Secondo le nuove tabelle, l’importo della tassa giudiziale non è fissato sulla base di una semplice corrispondenza col valore della controversia. Si è constatato che il valore della controversia non è un elemento decisivo nella valutazione della complessità del procedimento e nella generazione di oneri che gravano i sistemi giudiziali. E’ così che la ricerca di un miglioramento nella determinazione della tassa giudiziale è arrivata alla determinazione di un sistema misto fondato sul valore della controversia fino ad un certo limite, con possibilità di correzione dell’importo nel caso di procedimenti complessi, a prescindere dal valore economico dato alla controversia. “
46. Nel nuovo sistema introdotto da questa legislazione, c’è dunque un importo massimo che può essere richiesto a titolo degli oneri di giustizia. Trattandosi dei procedimenti che si svolgono dinnanzi ai tribunali di prima istanza, gli importi corrispondono, al momento, a 60 unità di conto2 per i procedimenti normali ed a 90 unità di conto per i procedimenti particolarmente complessi. I ricorsi ed appelli sono tacciati a 20 unità di conto. Beninteso, le misure incidentali continuano ad essere tassate, potendo andare l’importo degli oneri di procedimento fino a 20 unità di conto in funzione della misura incidentale in causa (vedere i riquadri annessi al decreto-legge no 34/2008 e gli articoli 6, 7, 8, 11, 12, 13 e 17 di questo testo).
III. IL DIRITTO COMPARATO
47. La Corte ha proceduto ad un studio di diritto comparato concernente il pagamento degli oneri di giustizia in un certo numero di stati membri del Consiglio dell’Europa.
48. Risulta da questo studio che, in modo generale, l’importo degli oneri di giustizia varia in funzione del valore della controversia, salvo negli Stati dove l’importo degli oneri da saldare non è in funzione alla somma in gioco. Gli oneri possono rappresentare una percentuale di questo valore, una somma fissa o una combinazione dei due metodi. Le leggi di numerosi Stati dove l’ampiezza degli oneri è legata al valore della pretesa plafonano l’importo delle spese che possono essere messe a carico di una parte; tuttavia, in altri Stati non è fissato nessun massimale.
49. In modo generale spetta alla parte che perde pagare gli oneri della parte che vince. Per i casi in cui una pretesa è accolta solamente in parte, la maggior parte degli Stati oggetto dello studio lascia al potere di valutazione discrezionale del tribunale la decisione in quanto agli oneri. In certi Stati, delle regole particolari si applicano alle cause di espropriazione. In uno degli Stati riguardati, per esempio, quando gli oneri sono calcolati sotto forma di una percentuale dell’indennità offerta, il principio è che l’individuo espropriato deve tuttavia essere rimborsato integralmente, cioè di tutti gli oneri realmente impegnati da lui, poiché ha normalmente diritto ad un risarcimento integrale del suo danno.
50. In numerosi Stati, non è escluso che un richiedente rischia di dover pagare a titolo delle spese e di altri oneri una somma superiore a quella suscettibile di essere accordatagli a titolo della sua pretesa, in particolare quando una piccola parte solamente di questa viene accolta. Tale rischio non esiste negli Stati dove gli oneri sono calcolati solamente alla conclusione del procedimento e sulla base della somma effettivamente assegnata dal tribunale.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
51. I richiedenti si lamentano del fatto che l’indennità di espropriazione che era stata accordata loro è stata assorbita in definitiva totalmente dalla somma che hanno dovuto versare allo stato a titolo degli oneri di giustizia. Vedono una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1, così formulato:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. La sentenza della Camera
52. Nella sua sentenza, la Camera ha indicato che la mancanza di indennizzo denunciato dai richiedenti era il risultato dell’applicazione della regolamentazione relativa agli oneri di giustizia che questi erano dei “contributi”, ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, e che questa disposizione prevedeva dei casi particolari di attentato al diritto al rispetto dei beni. Nello specifico tuttavia, la Camera ha considerato che la situazione incriminata doveva essere esaminata alla luce della norma che figura nella prima frase del primo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che riveste un carattere generale ed enuncia il principio del rispetto dei beni. Ha rilevato che i richiedenti non contestavano la legalità dell’espropriazione in quanto tale, né quella della regolamentazione riguardante gli oneri di giustizia che era stata applicata loro, precisando che niente indicava peraltro che l’ingerenza controversa avesse rivestito un carattere arbitrario, quindi in particolare che i richiedenti avevano potuto sottoporre i loro argomenti alle giurisdizioni nazionali. A differenza del Governo, la Camera ha stimato che non si poteva fare motivo di appello ai richiedenti di avere provato con i mezzi procedurali a loro disposizione di convincere il tribunale di includere nell’indennità di espropriazione degli elementi che erano a loro avviso essenziali. Ha giudicato che non le apparteneva esaminare in modo generale il sistema portoghese relativo alla determinazione ed alla determinazione degli oneri di giustizia, ma ha constatato che nello specifico l’applicazione concreta di questo sistema aveva condotto ad una mancanza totale di risarcimento dei richiedenti per l’espropriazione dei loro beni. Ha concluso quindi che le condizioni di indennizzo-o più precisamente la mancanza di indennizzo-avevano imposto ai richiedenti un carico eccessivo, proprio a rompere il giusto equilibrio che deve regnare tra gli interessi generali della comunità ed i diritti fondamentali dell’individuo.
B. Tesi del Governo dinnanzi alla Grande Camera
53. Il Governo fa notare, a proposito dell’oggetto della richiesta, che l’espropriazione in quanto tale non è sottoposta all’esame della Corte. Sottolinea che i richiedenti hanno introdotto a questo riguardo una richiesta, ma che la Corte l’ha respinta per tardività. Qui sarebbe in causa solo la compatibilità con l’articolo 1 del Protocollo dunque no 1 dell’importo richiesto ai richiedenti a titolo degli oneri di giustizia.
54. Esaminando poi il sistema portoghese di pagamento degli oneri di giustizia che era applicabile all’epoca e quello in vigore dal 2008, il Governo fa osservare che la Convenzione non impone la gratuità dei servizi di giustizia. Contempla in compenso il diritto per gli Stati di mettere in vigore, nell’esercizio del loro margine di valutazione, delle leggi che mirano a garantire il pagamento delle “imposte” e di altri “contributi” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1, che è sentito che in virtù di una giurisprudenza vecchia e bene consolidata della Commissione europea dei diritti dell’uomo, gli oneri di giustizia si analizzerebbero in simili “contributi” (Agisci Antoniades c. Regno Unito, no 15434/89, decisione della Commissione del 15 febbraio 1990, Decisioni e rapporti, (DR, 64, p. 237)).
55. Il Governo critica la sentenza della Camera, stimando che è metodologicamente inadatto e giuridicamente scorretto confondere l’indennità di espropriazione e la somma da pagare in seguito ad una condanna agli oneri di giustizia. Riferendosi all’opinione dissidente unita alla sentenza (vedere sopra paragrafo 5), il Governo considera che le conclusioni della camera sono il frutto di un “amalgama fallace” tra due situazioni distinte dal punto di vista giuridico che arriva a mescolare “due titoli, uno di credito e l’altro di addebito che sono indipendenti uno dall’altro.” Il Governo dà come esempio la situazione nella quale un creditore investe un tribunale al fine di ottenere il recupero di una certa somma, opponendogli il debitore un’istanza riconvenzionale superiore all’importo della pretesa del creditore; se il tribunale fa diritto all’istanza riconvenzionale, il creditore non riceve nessuna somma e deve pagare per di più degli oneri, senza che si possa vedere, secondo il Governo, un qualsiasi attentato al diritto al rispetto dei beni.
56. Per il Governo, l’attentato addotto ai diritti dei richiedenti deriverebbe unicamente della condanna degli interessati al pagamento degli oneri di giustizia. Ora questi ultimi sarebbero stati fissati nel rispetto delle disposizioni applicabili dal codice di procedura civile e dal codice degli oneri di giustizia, da una parte, e del principio di proporzionalità, dall’altra parte. La somma totale pagata dai richiedenti-che corrisponderebbe al 1,02% dell’importo della loro pretesa-sarebbe stata fissata difatti tenuto conto dell’intensa attività procedurale di cui avrebbero fatto prova e anche dell’importo a cui pretendevano che si scostava manifestamente dalla realtà.
C. Valutazione della Corte
1. Sull’applicabilità dell’articolo 1 del Protocollo no 1
57. La Corte ricorda che l’articolo 1 del Protocollo no 1 contiene tre norme distinte: la prima che si esprime nella prima frase del primo capoverso e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso capoverso, prevedi la privazione di proprietà e la sottopone a certe condizioni; in quanto alla terza, registrata nel secondo capoverso, riconosce agli Stati il potere, tra altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale. Non si tratta per tanto di regole prive di rapporto tra esse. La seconda e la terza hanno fatto riferimento agli esempi particolari di attentato al diritto di proprietà; quindi, si devono interpretare alla luce del principio consacrato dalla prima (vedere, tra altre, James ed altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 37, serie A no 98 che riprende in parte i termini dall’analisi sviluppata dalla Corte nella sua sentenza Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 61, serie A no 52, e Depalle c. Francia [GC], no 34044/02, § 77, 29 marzo 2010).
58. Nello specifico, le parti non contestano che la situazione controversa dipende dal campo di applicazione di questa disposizione. In compenso, il Governo è in disaccordo con la conclusione della camera secondo la quale bisognava esaminare il motivo di appello dei richiedenti alla luce della norma generale enunciata nella prima frase. Sottolineando che l’espropriazione in quanto tale non fa parte dell’oggetto della controversia, stima che qui è solo in causa la questione della compatibilità con l’articolo 1 del Protocollo no 1 dell’importo richiesto ai richiedenti a titolo degli oneri di giustizia.
59. Nell’occorrenza, se è vero che la Corte non deve esaminare l’espropriazione in quanto tale (paragrafi 36 e 53 sopra) non ne rimane meno che è la privazione di proprietà subita dai richiedenti a favore dello stato che ha dato adito a controversia sugli oneri di giustizia e che si trova così all’origine della presente richiesta. Questa constatazione ha un’incidenza certa sul modo in cui l’attentato addotto al diritto dei richiedenti deve essere analizzato, esigendo la giurisprudenza della Corte, nei casi di privazione di proprietà a causa di utilità pubblica, il versamento di una somma ragionevolmente in rapporto col valore del bene in questione (Papachelas c. Grecia [GC], no 31423/96, § 48, CEDH 1999-II). La Corte ricorda a questo riguardo che quando esamina se c’è stato o meno attentato al diritto al rispetto dei beni protetto dall’articolo 1 del Protocollo no 1, le occorre guardare al di là delle apparenze ed analizzare la realtà della situazione controversa, mirando la Convenzione a proteggere dei diritti “concreti ed effettivi” (Depalle, precitata, § 78).
60. Essendo così, è innegabile che il motivo di appello dei richiedenti riguarda l’applicazione fatta alla loro loro della regolamentazione relativa agli oneri di giustizia. Il Governo sottolinea a questo riguardo che il secondo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 contempla il diritto per gli Stati di mettere in vigore, nell’esercizio del loro margine di valutazione, delle leggi che mirano a garantire il pagamento delle “imposte” e di altri “contributi”. Si riferisce alla giurisprudenza tradizionale della Commissione europea dei diritti dell’uomo secondo la quale gli oneri di giustizia da versare nella cornice di un procedimento giudiziale sono dei “contributi” ai sensi di questa disposizione (vedere Agis Antoniades, precitata; vedere anche Aires c. Portogallo, no 21775/93, decisione della Commissione del 25 maggio 1995, DR 81, p. 48, citata nella sentenza della camera; X. e Y. c. Austria, no 7909/74, decisione della Commissione del 12 dicembre 1978, DR 15, p. 160; X. c. R.F.A., no 7544/76, decisione della Commissione del 12 luglio 1978, DR 14, p. 60).
61. La Grande Camera stima, come la Camera, che c’è luogo di confermare le decisioni della Commissione in quanto alla natura di “contributi”, ai sensi del secondo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che deve essere riconosciuto agli oneri di giustizia. Difatti, l’imposta di onere di giustizia ai giudicabili persegue, tra altri, lo scopo di garantire il finanziamento del sistema giudiziale e l’alimentazione del Tesoro pubblico. Del resto, si in Portogallo il recupero di questi oneri non incombe sulle autorità fiscali, è chiaro che l’obbligo di pagarli riveste tuttavia una natura fiscale (paragrafo 41 sopra). Secondo le informazione di cui la Corte dispone, ciò sembra essere il caso in altri Stati membri del Consiglio dell’Europa del resto. In breve, l’obbligo di pagare degli oneri di giustizia-e la regolamentazione ivi relativa -dipende dal secondo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1, essendo questi oneri dei “contributi” ai sensi di questa disposizione. Nelle circostanze dello specifico, i pone la questione di sapere dunque se ed in quale misura la condanna dei richiedenti al pagamento degli oneri di giustizia in questione si può analizzare in un’ingerenza nel diritto di questi ultimi al rispetto dei loro beni (vedere, mutatis mutandis, Aires precitata). La somma di denaro che i richiedenti hanno dovuto versare a titolo degli oneri di giustizia ha assorbito difatti, totalmente l’indennità di espropriazione che si analizza in un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
62. Tenuto conto di ciò che precede, la Grande Camera stima indicato esaminare il motivo di appello dei richiedenti sul terreno dell’articolo 1 del Protocollo no 1 preso nel suo insieme e questo tanto più che le situazioni previste nella seconda frase del primo capoverso e nel secondo capoverso non costituiscono solamente dei casi particolari di attentato al diritto al rispetto dei beni garantiti dalla norma generale enunciata nella prima frase (Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, § 106, CEDH 2000-I). Dettato dalle circostanze particolari del caso di specie, questo approccio non mette però in causa il fatto che gli oneri di giustizia sono dei “contributi” ai sensi del secondo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (paragrafo 61 sopra).
2. Sull’osservazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1
63. La Corte ricorda che, per essere compatibile con l’articolo 1 del Protocollo no 1, un attentato al diritto di una persona al rispetto dei suoi beni ha il dovere di rispettare prima il principio della legalità e non rivestire un carattere arbitrario (Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 58, CEDH 1999-II). Deve predisporre anche un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (Sporrong e Lönnroth, precitata, § 69).
64. Tale “giusto equilibrio” deve esistere anche quando si tratta del diritto che hanno gli Stati di “mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi.” Difatti, siccome il secondo capoverso si deve interpretare alla luce del principio generale enunciato all’inizio dell’articolo 1 del Protocollo no 1, deve esistere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto; in altri termini, incombe sulla Corte di ricercare se è stato mantenuto l’equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e l’interesse degli individui riguardati (Gasus Dosier – und Fördertechnik GmbH c. Paesi Bassi, 23 febbraio 1995, § 60, serie A no 306-B; vedere anche AGOSI c. Regno Unito, 24 ottobre 1986, § 52, serie A no 108).
a) Principio di legalità
65. La Grande Camera osserva che i richiedenti non contestano né la legalità dell’espropriazione in quanto tale né quella della regolamentazione riguardanti gli oneri di giustizia che è stata applicata loro. La Camera non ha, in quanto a lei, scoperto nessuno indizio di arbitrarietà, avuto in particolare riguardo al fatto che i richiedenti hanno potuto sottoporre i loro argomenti alle giurisdizioni nazionali.
66. Anche se non si conoscono le ragioni per cui il giudice del tribunale di Évora ha fissato, in data 4 gennaio 2008, gli oneri di giustizia ad un importo che supera di 15 000 EUR al massimo quello dell’indennità di espropriazione, la Corte si stima dispensata dall’ esaminare ulteriormente questa questione, tenuto conto in particolare delle considerazioni formulate qui di seguito sulla questione del rispetto o meno del “giusto equilibrio.”
b,) Giusto equilibrio
67. La Corte ricorda che la ricerca di questo equilibrio si riflette nella struttura dell’articolo 1 del Protocollo no 1 tutto intero, a prescindere dai capoversi in gioco in ogni causa; deve sempre esistere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto. Controllando il rispetto di questa esigenza, la Corte riconosce allo stato un largo margine di valutazione tanto per scegliere le modalità di collocamento in opera delle misure in causa che per giudicare se le loro conseguenze si trovano legittimate, nell’interesse generale, dalla preoccupazione di raggiungere l’obiettivo dell’ingerenza denunciata. Questo equilibrio è rotto se la persona riguardata ha dovuto a subire un carico speciale ed esorbitante (Depalle, precitata, § 83).
68. La verifica dell’esistenza di tale equilibrio esige un esame globale dei differenti interessi in causa. La Corte stima che conviene procedere ad un tale esame avendo riguardo a due elementi importanti. Da prima, come la Corte ha già ricordato, all’origine della situazione controversa si trova la privazione di proprietà dei richiedenti. In tali situazioni, il “giusto equilibrio” esige il versamento di una somma ragionevolmente in rapporto col valore del bene, ci sarebbe altrimenti un attentato eccessivo ai diritti degli individui. Poi, la Corte ricorda che la Convenzione mira a proteggere dei diritti non teorici ed illusori ma “concreti ed effettivi” (paragrafo 59 sopra). La Corte deve esaminare peraltro, anche il comportamento delle parti alla controversia, ivi compreso i mezzi adoperati dallo stato ed il loro collocamento in opea (Beyeler, precitata, § 114).
69. Nello specifico, i richiedenti si sono visti assegnare un’indennità di espropriazione, di un importo di 197 236,25 EUR. Tuttavia, in seguito alla determinazione della somma che dovevano versare a titolo degli oneri di giustizia, non hanno in realtà percepito niente. In più, hanno dovuto versare allo stato un saldo di 15 000 EUR, anche dopo che l’importo fissato fu inizialmente ridotto sensibilmente.
70. La Grande Camera osserva che non deve esaminare in astratto il sistema portoghese relativo alla determinazione degli oneri di giustizia. Come la Camera ha rilevato, gli Stati devono potere prendere le misure che stimano necessarie per proteggere l’interesse generale di un finanziamento equilibrato dei sistemi di giustizia. In questo ambito, gli Stati contraenti godono di un largo margine di valutazione.
71. La Corte deve così esaminare l’applicazione che è stata fatta di questo sistema al caso concreto di cui si trova investita. A questo riguardo, è costretta a constatare che il risultato al quale tende l’articolo 1 del Protocollo no 1 non è stato raggiunto: non solo i richiedenti sono stati spossessati del loro terreno, ma hanno dovuto versare inoltre 15 000 EUR allo stato.
72. Il Governo insiste sulla differenza di natura giuridica che c’è secondo lui tra gli obblighi per lo stato di versare un’indennità di espropriazione e l’obbligo per il giudicabile di saldare degli oneri di giustizia. Quest’ ultimo non dipenderebbe dal campo dell’espropriazione propriamente detta e, quindi, non avrebbe nessuna incidenza sulla questione del rispetto dell’articolo 1 del Protocollo no 1. La Corte ammette che le finalità giuridiche perseguite da ciascuno di questi obblighi non sono identiche difatti; tiene conto di questa differenza del resto quando qualifica gli oneri di giustizia come “contributi” ai sensi del secondo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (paragrafo 61 sopra). Constata tuttavia nello specifico, che i richiedenti erano parti ad una controversia giudiziale che li opponeva allo stato e che riguardava la determinazione dell’importo di un’indennità di espropriazione, in seguito ad un atto compiuto dallo stato nell’esercizio dei suoi poteri di potere pubblico. Agli occhi della Corte, questo caso è da distinguere, al fine di un esame di proporzionalità, da quelli in cui degli oneri di giustizia sono imposti nella cornice di una controversia di diritto privato. Nelle circostanze particolari dello specifico, può sembrare paradossale difatti che lo stato riprenda con una mano sola -per mezzo degli oneri di giustizia -più di ciò che ha accordato da lui con l’altra. Inoltre, in tale situazione la differenza di natura giuridica tra gli obblighi per lo stato di versare un’indennità di espropriazione e l’obbligo per il giudicabile di saldare degli oneri di giustizia non ostacola un esame globale della proporzionalità dell’ingerenza denunciata.
73. Il Governo sottolinea anche, sotto l’angolo della proporzionalità dell’ingerenza, il comportamento, che qualifica come temerario, adottato dai richiedenti durante il procedimento. L’ampiezza della somma totale pagata con gli interessati è secondo lui, manifestamente la conseguenza del reclamo da parte loro di un importo non conforme alla realtà così come dell’intensa attività procedurale che hanno esposto.
74. La Corte constata che i richiedenti hanno chiesto difatti un importo ben superiore a tutti quelli che sono stati indicati nei differenti rapporti di perizia prodotti durante tutto il procedimento. Tenuto conto della legislazione portoghese in materia che era conosciuta dai richiedenti, la determinazione a questo livello della somma chiesta ha avuto un’influenza sull’importo finale degli oneri di giustizia. Tuttavia, la Corte ricorda che si trattava in particolare di sapere se gli utili suscettibili di essere derivati da un eventuale sfruttamento economico della cava ubicata sul terreno dovevano o meno essere inclusi nell’indennità di espropriazione. Investite della questione dai richiedenti, le giurisdizioni interne l’hanno discussa in modo approfondito, arrivando anche fino a chiedere d’ufficio il tribunale di Évora una terza perizia, mentre quelle richieste dalla legge erano già state effettuate. Il comportamento dei richiedenti, se ha contribuito certamente all’importo elevato degli oneri di giustizia, non è in sé una ragione sufficiente tale da poter giustificare che la somma da saldare a titolo degli oneri di giustizia sia stata fissata ad un livello tale che ne è risultato una mancanza totale da risarcimento, mentre un’espropriazione era in causa.
75. In quanto al comportamento, criticato dal Governo, che i richiedenti hanno adottato, la Corte constata che l’azione controversa ha conosciuto difatti un numero elevato di ricorsi e di incidenti di procedura. Osserva però, al di là del fatto che questi incidenti di procedura non sono stati tutti provocati dai richiedenti, che il comportamento in causa riguardava soprattutto delle questioni legate alla determinazione dell’importo degli oneri di giustizia. Difatti, la questione della privazione di proprietà in quanto tale è stato decisa dal tribunale e la corte di appello di Évora, anche se la Corte suprema ed il Tribunale costituzionale, investiti dai richiedenti, dovettero anche rendere delle decisioni di inammissibilità. È in realtà la contestazione da parte dei richiedenti dell’importo chiesto a titolo degli oneri di giustizia dalle giurisdizioni interne che ha dato adito a decisioni susseguenti del tribunale e della corte di appello di Évora così come, a tre riprese, del Tribunale costituzionale.
76. La Corte ne conclude che né il comportamento dei richiedenti né l’attività procedurale esposta nello specifico possono giustificare una somma elevata a titolo degli oneri di giustizia anche se si tiene conto dell’importo fissato a titolo dell’indennità di espropriazione.
77. Infine, la Corte nota l’adozione, il 24 febbraio 2008, del nuovo codice degli oneri di giustizia che ha plafonato gli importi che possono essere richiesti a titolo di questi oneri. Se la nuova regolamentazione fosse stata applicata al caso di specie, gli oneri di giustizia imposti sarebbero stati di un importo considerevolmente inferiore (paragrafi 45 e 46 sopra). La regolamentazione reale sembra così meno suscettibile di dare adito a situazioni come quella del caso di specie.
78. Alla vista di ciò che precede, la Corte stima che i richiedenti hanno dovuto a sopportare un carico esorbitante che ha rotto il giusto equilibrio che deve regnare tra gli interessi generali della comunità ed i diritti fondamentali dell’individuo.
79. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
80. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
1. La sentenza della Camera
81. La Camera ha tenuto conto, per fissare il livello del risarcimento per il danno patrimoniale, dell’obbligo per i richiedenti di saldare degli oneri di giustizia. Ha giudicato così equo accordare loro la somma di 190 000 EUR a questo titolo.
2. Le posizioni delle parti
82. Dinnanzi alla Camera, i richiedenti avevano chiesto per danno patrimoniale la somma di 197 236,25 EUR, corrispondenti all’importo dell’indennità di espropriazione fissata dalle giurisdizioni portoghesi. Avevano chiesto peraltro 100 EUR per danno morale.
83. Il Governo aveva stimato che la somma sollecitata dai richiedenti per danno patrimoniale non presentava nessun legame con l’oggetto della richiesta. Aveva fatto valere che la concessione di una tale somma lascerebbe senza rimborso il sistema di giustizia nazionale, allorché la causa dei richiedenti aveva dato adito ad attività procedurale intensa. In quanto alla somma chiesta per danno morale, si era rimesso per questo alla saggezza della Corte.
3. Valutazione della Corte
84. I richiedenti non avendo fatto richiesta supplementare, la Grande Camera esaminerà le pretese formulate da loro dinnanzi alla Camera.
85. Ricorda a questo riguardo che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto si può fare la situazione anteriore a questa (Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI). Se il diritto nazionale non permette o permette solamente imperfettamente di cancellare le conseguenze della violazione, l’articolo 41 abilita la Corte ad accordare, se c’è luogo, alla parte lesa la soddisfazione che le sembra appropriata. Nell’esercizio di questo potere, dispone di una certa latitudine; l’aggettivo “equo” ed il membro della frase “se c’è luogo” lo testimoniano. Tra gli elementi presi in considerazione dalla Corte, quando delibera in materia, figurano il danno patrimoniale, cioè le perdite effettivamente subite per conseguenza diretta della violazione addotta, ed il danno morale, cioè il risarcimento dello stato dell’angoscia, dei dispiaceri e delle incertezze che risultano da questa violazione. Inoltre, là dove i diversi elementi che costituiscono il danno non suscitano un calcolo esatto o là dove la distinzione tra danno patrimoniale e danno morale si rivelano difficili, la Corte può essere portata ad esaminarli globalmente (Comingersoll S.p.A. c. Portogallo [GC], no 35382/97, § 29, CEDH 2000-IV).
86. La situazione controversa richiama, secondo la Corte, la determinazione di un importo in equità, come permette l’articolo 41. A questo riguardo, la Corte tiene conto del fatto che i richiedenti hanno già dovuto saldare gli oneri di giustizia, una somma di 15 000 EUR essendo stata già versata a questo titolo. Giudica ragionevole assegnare ai richiedenti la somma di 190 000 EUR, ogni danno compreso.
B. Oneri e spese
87. I richiedenti non avendo chiesto il rimborso dei loro oneri e spese, non c’è luogo di accordare loro una somma a questo titolo.
C. Interessi moratori
88. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Stabilisce, per quattordici voci contro tre, che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
2. Stabilisce, per quattordici voci contro tre,
a) che lo stato convenuto deve versare ai richiedenti, entro tre mesi, la somma di 190 000 EUR (cento novantamila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, ogni danno compreso;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
3. Respinge, all’unanimità, la richiesta di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese ed in inglese, poi pronunziato in udienza pubblica al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 16 novembre 2010.
Johan Callewaert Jean-Paul Costa
Cancelliere aggiunto Presidente
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, la seguente esposizione delle opinioni separate:
-opinione concordante comune ai giudici Ziemele e Villiger;
-opinione dissidente comune ai giudici Lorenzen, Casadevall e Fura.
J. – P.C.
J.C.

OPINIONE CONCORDANTE COMUNE AI GIUDICI ZIEMELE E VILLIGER
(Traduzione)
1. Abbiamo votato con la maggioranza per la constatazione nello specifico di una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1, essendo sentito, da una parte, che gli Stati continuano a godere di un ampio margine di valutazione per definire i loro sistemi di oneri di giustizia e, dall’altra parte, che la causa riveste un carattere piuttosto eccezionale.
2. Di fatto, come la sentenza precisa, la Commissione europea dei diritti dell’uomo aveva già stimato nella causa Aires c. Portogallo (no 21775/93, decisione della Commissione del 25 maggio 1995, Decisioni e rapporti 81, p. 48) che gli oneri da saldare nella cornice dei procedimenti giudiziali erano dei “contributi” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1, e si potrebbe porre la questione di sapere “se ed in quale misura la condanna dei richiedenti al pagamento degli oneri di giustizia in questione può analizzarsi in un’ingerenza nel diritto di questi ultimi al rispetto dei loro beni” (paragrafi 60–61 della sentenza). Dal momento che il secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 non può applicarsi isolatamente dall’articolo nella sua globalità, ed avuto in particolare riguardo al principio generale del rispetto dei beni enunciato nella prima frase del primo paragrafo, non si può rispondere alla domanda di sapere se l’importo degli oneri di giustizia imposti nello specifico era o meno sproporzionato tenendo conto dell’insieme delle circostanze della causa. Per noi, è determinante che la controversia relativa alla somma richiesta a titolo degli oneri di giustizia nello specifico trae la sua origine da un procedimento di espropriazione tra lo stato ed i richiedenti, nella cornice della quale lo stato ha privato questi ultimi di un bene senza dovere versare loro in definitiva il minimo compenso, gli interessati essendo stati costretti a saldare a titolo degli oneri di giustizia una somma che corrisponde alla totalità dell’indennità che era stata accordata loro più 15 000 EUR. Ciò non significa che sia vietato oramai agli Stati dotarsi di sistemi in cui gli oneri di giustizia potrebbero superare l’importo dei danno-interessi richiesti. Secondo noi, la presente sentenza non tratta questa questione. È tuttavia per giurisprudenza consolidata che un’espropriazione richiede un indennizzo adeguato (Ex-re di Grecia ed altri c. Grecia [GC], no 25701/94, § 89, CEDH 2000-XII; Platakou c. Grecia, no 38460/97, § 55, CEDH 2001-I) e si tratta di un elemento che la struttura dell’articolo 1 del Protocollo no 1 obbliga la Corte a prendere anche in conto quando è investita di lamentele che riguardano gli oneri di giustizia.
3. Infine, rileviamo che la Corte ha sempre fino qui esaminato le questioni relative all’ampiezza degli oneri di giustizia nel contesto dell’articolo 6, vedendovi un aspetto dell’accesso ad un tribunale. È interessante constatare che nello specifico il Tribunale costituzionale portoghese ha considerato che l’importo degli oneri di giustizia era talmente elevato che il diritto di accesso ad un tribunale se ne trovava danneggiato (paragrafo 31 della sentenza). Ciò mostra anche, secondo noi, il carattere sproporzionato dell’importo degli oneri di giustizia richiesti ai richiedenti nello specifico.

OPINIONE DISSIDENTE COMUNE AI GIUDICI LORENZEN, CASADEVALL E FURA
(Traduzione)
Nello specifico, la maggioranza ha concluso alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Per le ragioni enunciate sotto, non possiamo aderire a questa conclusione.
Può essere utile ricordare da prima che il contesto dei fatti della causa è l’espropriazione di un terreno che apparteneva ai richiedenti. Il valore di questo fu stimato da una commissione di arbitraggio a circa 178 000 EUR. Non soddisfatti dell’importo in questione -al motivo che non teneva conto dell’utile che avrebbe potuto essere ricavato dallo sfruttamento di una cava situata sul terreno-, i richiedenti intentarono un’azione di giustizia, richiedendo un importo di praticamente 21 milioni EUR. Poco dopo l’impegno del procedimento, furono avvisati dal tribunale che gli oneri di giustizia sarebbero ammontati ad un poco più di 158 000 EUR. Durante il procedimento, furono ordinate diverse perizie. La più favorevole ai richiedenti concludeva che, nell’ipotesi in cui la cava avrebbe dovuto essere presa in considerazione, l’importo massimo che il suo sfruttamento avrebbe potuto riportare doveva essere valutato a circa 9,7 milioni EUR. Il perito designato dai richiedenti espresse il parere che l’indennità doveva essere fissata a circa 4 milioni EUR. I tribunali portoghesi considerarono tutti che il guadagno suscettibile di risultare da uno sfruttamento della cava non doveva essere preso in conto e fissarono l’indennità ad poco più di 197 000 EUR.
La causa di cui la Corte si trova investita non riguarda la questione di sapere se l’indennità è stata fissata in modo scorretto al motivo che non ha tenuto conto del guadagno che avrebbe potuto risultare da uno sfruttamento della cava, essendo stato respinto un motivo di appello della violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 a questo riguardo come tardivo (vedere il paragrafo 35 della sentenza). Si tratta unicamente nello specifico di determinare se gli oneri di giustizia richiesti ai richiedenti-circa 212 000 EUR- erano eccessivi al punto di violare la Convenzione.
La Corte ha già spesso dichiarato che gli oneri di giustizia elevati possono, in circostanze particolari di una causa, analizzarsi in una restrizione al “diritto di accesso ad un tribunale” contrario all’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere la sentenza di principio Kreuz c. Polonia, no 28249/95, CEDH 2001-VI, e le numerose sentenze rese sullo stesso modello in seguito). È anche per questo motivo che il Tribunale costituzionale portoghese ha giudicato necessario ridurre l’importo che i richiedenti si sono visti ingiungere di pagare a titolo degli oneri di giustizia (vedere il paragrafo 16 della sentenza). I richiedenti non si sono tuttavia mai lamentati dinnanzi alla Corte che il loro diritto di accesso ad un tribunale derivante dall’articolo 6 § 1 fosse stato violato, e noi possiamo aderire al punto di vista secondo cui la Corte non doveva esaminare d’ ufficio la questione di una possibile violazione di questo articolo.
La questione di sapere se degli oneri di giustizia avrebbero potuti essere fissati ad un importo a questo punto elevato che portava violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 non è stata ancora esaminata mai dalla Corte (vedere 60 e 61 i paragrafi della sentenza). La maggioranza, facendo suo la dottrina della Commissione, ha giudicato che l’articolo 1 del Protocollo no 1 si applica agli oneri di giustizia e che questi devono essere considerati come i contributi ai sensi della seconda frase del paragrafo 1 dell’articolo in questione. Ci sembra che questa conclusione non è evidente, almeno che passi su un piano generale. Si può così sostenere che l’obbligo di saldare degli oneri di giustizia è legato all’utilizzazione volontaria di un servizio pubblico – il sistema giudiziale – e che ciò lo distingue dall’obbligo di pagare delle imposte o tasse diverse. Rileviamo che in diritto portoghese gli oneri di giustizia rivestono una natura fiscale (vedere il paragrafo 41 della sentenza), ma la maggioranza sembra non avere limitato l’applicabilità dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alle situazioni in cui tale è il caso. La sentenza lascia aperta la questione di sapere fin dove altre somme da versare per poter beneficiare di servizi pubblici devono essere considerate parimenti come “contributi” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 e crea dell’incertezza in quanto alla sua portata. Per di più, la sentenza non indica chiaramente se l’applicabilità dell’articolo in causa è limitata agli oneri di giustizia nei procedimenti di espropriazione o se l’ampiezza degli oneri può dare adito adesso a motivi di appello di attentato ai diritti di proprietà in ogni tipo di procedimenti.
Essendo così non dobbiamo esaminare ulteriormente queste questioni perché ad ogni modo-supponendo anche che l’articolo 1 del Protocollo no 1 sia applicabile e che ci sia stato attentato al diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni-non c’è stata, secondo noi, violazione della disposizione in causa.
La maggioranza ammette l’argomento del Governo che consiste nel dire che esiste una differenza di natura giuridica tra gli obblighi per lo stato di versare un’indennità in caso di espropriazione e l’obbligo per il giudicabile di saldare degli oneri di giustizia che quest’ ultimo non dipende dal campo dell’espropriazione propriamente detta e che, quindi, non ha nessuna incidenza sulla questione del rispetto dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere il paragrafo 72 della sentenza). Ci sembra tuttavia che la maggioranza non ha tratto la buona conclusione dalla sua adesione a questo argomento.
Risulta così chiaramente dalla sentenza che la maggioranza ha assegnato un peso considerevole al fatto che si trattava nello specifico di un procedimento di espropriazione per valutare l’ampiezza degli oneri di giustizia richiesti ai richiedenti (vedere, per esempio, i paragrafi 68 e 72). Come i giudici dissidenti della camera, stimiamo che la maggioranza della Grande Camera ha operato una confusione tra due cose differenti: l’indennità dovuta per un’espropriazione e gli oneri di giustizia richiesti ai richiedenti.
La Corte ha sempre fino a qui considerato nella sua giurisprudenza che gli Stati sono liberi di decidere del tipo e del livello delle tasse che desiderano imporre e che la Corte deve intervenire solamente se il sistema di imposta o il modo in cui è applicato in un dato caso è arbitrario. Parimenti, il calcolo degli oneri di giustizia deve essere lasciato alla valutazione degli Stati che devono beneficiare a questo riguardo di un ampio margine di valutazione. Così come rivelo lo studio di diritto comparato condotto nello specifico, il prodotto degli oneri di giustizia è utilizzato per diversi fini, ed ogni Stato deve, secondo noi, potere decidere liberamente delle modalità di finanziamento del suo sistema giudiziale, purché queste non diventino un ostacolo all’accesso alla giustizia e non facciano pesare un carico inaccettabile su una categoria particolare di giudicabili, ipotesi in cui sarebbero discriminatorie. Simili situazioni devono tuttavia, ciò è stato indicato sopra, essere valutate sotto l’angolo dell’articolo 6 della Convenzione o dell’articolo 14 composto con l’articolo 6. La presente sentenza può così essere interpretato come una prima tappa verso l’abbandono di un principio che è sempre stato fino qui stato seguito nella nostra giurisprudenza, ossia che, in modo generale, l’imposta di tasse e di contributi non può essere attaccata sul terreno dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Stimiamo che simile evoluzione non è auspicabile.
Nessuno ha sostenuto nello specifico che il regime portoghese degli oneri di giustizia manca di chiarezza o di prevedibilità. Gli articoli 6 § 1 s) e 13 combinati del vecchio codice degli oneri di giustizia davano così delle direttive precise sul modo in cui gli oneri di giustizia nelle cause di espropriazione dovevano essere calcolati. I richiedenti non lo contestano del resto. La circostanza che hanno dovuto saldare degli oneri di giustizia che superavano l’indennità che era stata assegnata loro è dovuta solamente al fatto che avevano richiesto dinnanzi ai tribunali un importo esorbitante che non trovava alcun appoggio in nessuna delle perizie che erano state effettuate. Per di più, il tribunale di prima istanza li aveva informati ad un stadio precoce del procedimento che gli oneri di giustizia sarebbero prossimi all’importo che era stato considerato dalla commissione di arbitraggio. La loro situazione non era in nessun caso differente da quella alla quale gli altri giudicabili devono fare a fronte quando sollecitano un importo largamente superiore a ciò che i tribunali stimano giustificato. Non vediamo perché le parti in causa nella cornice di procedimenti di espropriazione dovrebbero essere trattate in modo più favorevole che, per esempio, i giudicabili che sollecitano un indennizzo eccessivo per un incidente o una rottura di contratto che sia contro lo stato o contro un convenuto privato.
Infine, contrariamente alla maggioranza, non possiamo legare nessuna importanza al fatto che il legislatore portoghese ha, in seguito, modificato il sistema di calcolo degli oneri di giustizia. Niente prova che questa modifica fosse stata motivata da una qualsiasi incompatibilità del sistema anteriore con l’articolo 1 del Protocollo no 1.
In conclusione, stimiamo che non c’è stata violazione di questo articolo.
1. Sebbene alcune di loro siano stati all’epoca formulata in escudo portoghesi (l’euro è entrato in vigore il 1 gennaio 2002) tutte le somme menzionate nella presente sentenza sono, per semplicità, formulate in euro.

2. L’unit?

Testo Tradotto

Conclusion Violation de P1-1 ; Dommage matériel et préjudice moral – réparation
GRANDE CHAMBRE
AFFAIRE PERDIGÃO c. PORTUGAL
(Requête no 24768/06)
ARRÊT
STRASBOURG
16 novembre 2010
Cet arrêt est définitif. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Perdigão c. Portugal,
La Cour européenne des droits de l’homme, siégeant en une Grande Chambre composée de :
Jean-Paul Costa, président,
Christos Rozakis,
Nicolas Bratza,
Peer Lorenzen,
Josep Casadevall,
Ireneu Cabral Barreto,
Karel Jungwiert,
Elisabet Fura,
Alvina Gyulumyan,
Sverre Erik Jebens,
Ján Šikuta,
Ineta Ziemele,
Mark Villiger,
Giorgio Malinverni,
George Nicolaou,
Zdravka Kalaydjieva,
Mihai Poalelungi, juges
et de Johan Callewaert, greffier adjoint de la Grande Chambre,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil les 17 mars et 6 octobre 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 24768/06) dirigée contre la République portugaise et dont deux ressortissants de cet Etat, OMISSIS (« les requérants »), ont saisi la Cour le 19 juin 2006 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par Mes OMISSIS, avocats à Lisbonne. Le gouvernement portugais (« le Gouvernement ») a été représenté jusqu’au 23 février 2010 par son agent, M. J. Miguel, procureur général adjoint, et à partir de cette date par Mme M.F. Carvalho, également procureur général adjoint.
3. Les requérants se plaignaient en particulier d’une violation de leur droit de propriété au motif qu’une indemnité d’expropriation qui leur avait été accordée avait en définitive été totalement absorbée par la somme mise à leur charge au titre des frais de justice.
4. La requête a été attribuée à la deuxième section de la Cour (article 52 § 1 du règlement). Le 24 avril 2008, la Cour a décidé de la communiquer au Gouvernement et, comme le lui permet l’article 29 § 3 de la Convention, d’en examiner conjointement la recevabilité et le fond.
5. Le 4 août 2009, statuant à la fois sur la recevabilité et le fond de la requête, une chambre de ladite section composée de Françoise Tulkens, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó et Işıl Karakaş, juges, et de Françoise Elens-Passos, greffière adjointe de section, a, à la majorité, déclaré la requête recevable quant aux griefs tirés de l’article 1 du Protocole no 1 et irrecevable pour le surplus. Elle a conclu, par cinq voix contre deux, à la violation de l’article 1 du Protocole no 1. Le juge Zagrebelsky a formulé une opinion dissidente, à laquelle s’est rallié le juge Sajó.
6. Le 10 décembre 2009, faisant droit à une demande de renvoi présentée par le Gouvernement, le collège de la Grande Chambre a décidé de renvoyer l’affaire devant la Grande Chambre en vertu de l’article 43 de la Convention.
7. La composition de la Grande Chambre a été arrêtée conformément aux articles 27 §§ 2 et 3 de la Convention et 24 du règlement. Lors des délibérations finales, Mihai Poalelungi, suppléant, a remplacé Giovanni Bonnello, empêché (article 24 § 3 du règlement).
8. Le 19 janvier 2010, la Grande Chambre a décidé de ne pas tenir d’audience en l’espèce, estimant qu’elle n’en avait pas besoin pour s’acquitter des fonctions lui incombant en vertu de l’article 38 de la Convention (article 59 § 3 in fine du règlement). Les parties ont été invitées à déposer des mémoires sur le fond de l’affaire, mais seul le Gouvernement s’est prévalu de cette faculté.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
9. Les requérants sont nés respectivement en 1932 et en 1933 ; ils résident à Lisbonne.
A. La procédure d’expropriation
10. Les requérants étaient propriétaires d’un terrain d’une superficie totale de 128 619 m² sis dans la région d’Évora. Par une ordonnance du ministre des Travaux publics publiée au Journal officiel le 11 septembre 1995, ce terrain fut exproprié en faveur de la BRISA – Auto-Estradas de Portugal S.A. (ci-après « la BRISA »), société anonyme à capitaux exclusivement publics à l’époque, en vue de la construction d’une autoroute.
11. Aucun accord n’ayant été trouvé entre les requérants et l’administration, le dossier fut soumis, en vertu de la législation applicable, au président de la cour d’appel d’Évora, lequel désigna une commission d’arbitrage chargée d’évaluer le terrain. La commission évalua ce dernier à 177 987,17 euros (EUR)1.
12. Par une ordonnance du 3 mars 1997, le juge du tribunal d’Évora fit notifier la décision arbitrale aux requérants.
13. Le 21 mars 1997, les requérants introduisirent un recours contre la décision arbitrale devant le tribunal d’Évora. Ils considéraient que les experts avaient sous-estimé la valeur des terres agricoles et qu’ils avaient omis d’attribuer une valeur à une carrière située sur le terrain. Ils estimaient qu’il fallait prendre en considération, aux fins de la détermination de l’indemnité d’expropriation, les bénéfices qui pourraient être tirés de l’exploitation de la carrière en cause. Ils évaluaient ainsi le montant de l’indemnité d’expropriation à 20 864 292 EUR.
14. La BRISA attaqua également la décision des arbitres, estimant excessive l’évaluation faite par ces derniers : pour elle, l’indemnité d’expropriation ne devait pas dépasser 72 643 EUR. Le juge du tribunal d’Évora rejeta ce recours pour tardiveté mais l’accepta ultérieurement, la cour d’appel d’Évora ayant rendu le 11 décembre 1997 un arrêt qui annulait sa décision initiale.
15. Le 7 avril 1997, le greffe du tribunal d’Évora évalua à 158 381 EUR le montant total des frais de justice à régler à l’issue de la procédure.
16. Le 24 avril 1998, le juge du tribunal d’Évora décida qu’aucune somme ne devait encore être versée aux requérants à titre d’indemnité d’expropriation, le montant probable des frais de justice étant supérieur au montant minimum de l’indemnité d’expropriation qui, d’après les recours déposés par les parties, pouvait être octroyé aux requérants : en effet, le recours introduit par la BRISA demandait la fixation de l’indemnité à 72 643 EUR. Le juge désigna ensuite une nouvelle commission d’arbitrage, constituée de trois experts désignés par le tribunal et de deux experts désignés par les parties, chacune ayant désigné le sien. Le 11 mars 1999, les arbitres fixèrent, à la majorité, l’indemnité d’expropriation à 191 116 EUR. L’arbitre désigné par les requérants exprima l’avis que l’indemnité devait s’élever à 4 040 897 EUR.
17. Par une ordonnance du 25 mars 1999, le juge demanda d’office un nouveau rapport d’expertise, portant exclusivement sur le potentiel économique de la carrière existant sur le terrain. Trois géologues de l’Université d’Évora furent ainsi désignés comme experts. Le 9 février 2000, ils déposèrent leur rapport, dans lequel ils concluaient à une valeur maximale d’exploitation économique de la carrière de 9 704 113 EUR.
18. Par un jugement du 30 juin 2000, le juge rejeta le recours des requérants comme celui de la BRISA. Considérant que les bénéfices susceptibles de résulter de la carrière ne devaient pas être pris en compte, il fixa l’indemnité d’expropriation à 197 236,25 EUR.
19. Le 14 juillet 2000, les requérants firent appel de ce jugement devant la cour d’appel d’Évora.
20. Par un arrêt du 10 juillet 2003, la cour d’appel confirma le jugement en toutes ses dispositions.
21. Le 11 novembre 2003, les requérants se pourvurent en cassation, mais le juge rapporteur à la Cour suprême, par une ordonnance du 30 septembre 2004, déclara le pourvoi irrecevable.
22. Les requérants déposèrent encore, le 26 octobre 2004, un recours constitutionnel, que le Tribunal constitutionnel déclara irrecevable par une décision sommaire du 20 décembre 2004.
23. Le 26 janvier 2005, le dossier fut transmis au tribunal d’Évora.
B. Les frais de justice
24. Le 4 février 2005, les requérants reçurent de la part du tribunal d’Évora notification du décompte des frais de justice dus pour la procédure d’expropriation. Les frais mis à leur charge s’élevaient à 489 188,42 EUR.
25. Le 22 février 2005, les requérants déposèrent une réclamation au sujet de ce décompte, alléguant notamment une violation des principes de la juste indemnisation et du droit d’accès à un tribunal. Ils estimaient que pour rester proportionnée la somme à payer ne devait pas dépasser 15 000 EUR. Ils mentionnaient par ailleurs ce qu’ils jugeaient être des inexactitudes et erreurs de calcul dans le décompte des frais de justice. Ils contestaient ainsi la base retenue pour calculer la taxe judiciaire devant le tribunal d’Évora (qui selon eux devait être celle de l’article 18 § 2 du code des frais de justice) et la légitimité d’une condamnation à verser la moindre somme au titre des frais et dépens (custas de parte) à la BRISA, exemptée, en tant qu’organe étatique, du paiement des frais de justice.
26. Par une ordonnance du 1er avril 2005, le juge du tribunal d’Évora, à la suite d’une information obtenue du greffe, reconnut les erreurs de calcul indiquées par les requérants et ordonna la rectification du décompte. Le montant des frais fut donc réduit à 309 052,71 EUR. Après compensation des sommes dues de part et d’autre, les requérants restaient ainsi redevables envers l’Etat de la somme de 111 816,46 EUR. Le juge rejeta en outre la réclamation des intéressés quant aux violations alléguées des principes de la juste indemnisation et du droit d’accès à un tribunal.
27. Les requérants firent appel devant la cour d’appel d’Évora. Par un arrêt du 13 décembre 2005, porté à leur connaissance le 19 décembre 2005, la cour d’appel rejeta leur recours.
28. Le 12 mai 2006, les requérants introduisirent un recours constitutionnel contre cette décision, alléguant que l’interprétation des dispositions applicables du code des frais de justice, notamment de son article 66 § 2, était contraire aux principes de la juste indemnisation et du droit d’accès à un tribunal garantis par la Constitution. A leurs yeux, la somme à verser au titre des frais de justice ne devait en aucun cas être supérieure au montant de l’indemnité d’expropriation.
29. Par un arrêt du 28 mars 2007, le Tribunal constitutionnel rejeta leur recours. Après avoir observé à titre préliminaire qu’il ne pouvait examiner la constitutionnalité que de l’article 66 § 2 du code des frais de justice, seule norme appliquée par les juridictions a quo, il estima que cette disposition n’était pas contraire aux articles 20 (accès à un tribunal) et 62 § 2 (juste indemnisation) de la Constitution. S’agissant du droit d’accès à un tribunal, il souligna que, si la fixation à un niveau excessif du montant des frais de justice pouvait, dans certaines circonstances, entraver le droit d’accès à un tribunal, tel n’était pas le cas en l’espèce, les requérants ne devant selon lui payer que la somme de 15 000 EUR, qu’il considérait comme étant dans les limites du raisonnable. Concernant la juste indemnisation, le Tribunal constitutionnel estima que la question de la réparation du préjudice découlant de l’expropriation était différente de celle de l’acquittement des frais de justice et que, par conséquent, rien ne s’opposait à ce que la somme à verser à ce dernier titre fût supérieure au montant de l’indemnité d’expropriation.
30. Le 20 avril 2007, les requérants déposèrent une demande en rectification de cet arrêt, soutenant que le Tribunal constitutionnel avait commis une erreur matérielle. Ils reprochaient en effet à la haute juridiction d’avoir considéré, aux fins de son raisonnement, qu’ils étaient redevables de la somme de 15 000 EUR au titre des frais de justice, alors qu’ils devaient en réalité verser la somme de 111 816,46 EUR.
31. Par un arrêt du 25 septembre 2007, le Tribunal constitutionnel reconnut l’erreur matérielle indiquée et la nécessité de rectifier l’arrêt pour autant que l’article 20 de la Constitution était concerné. Il considéra que la somme de 111 816,46 EUR était tellement élevée que le droit d’accès à un tribunal s’en trouvait affecté. Il déclara donc contraire à l’article 20 de la Constitution l’article 66 § 2 du code des frais de justice tel qu’interprété par les juridictions a quo. Sur la question de l’article 62 § 2 de la Constitution, concernant le principe de la juste indemnisation, il jugea en revanche que sa décision antérieure n’appelait aucune rectification.
32. Le 6 novembre 2007, les requérants, désireux de connaître le montant exact de la somme qu’ils devaient verser au titre des frais de justice, déposèrent une demande en éclaircissement de l’arrêt du 25 septembre 2007.
33. Par un arrêt du 13 novembre 2007, le Tribunal constitutionnel rejeta la demande, soulignant qu’il incombait à la juridiction du fond de déterminer la somme en question.
34. Par une ordonnance du 4 janvier 2008, le juge du tribunal d’Évora, saisi du dossier, décida, sans préciser ses raisons, que le montant des frais ne devait pas excéder de plus de 15 000 EUR le montant de l’indemnité d’expropriation.
35. Le 20 février 2008, les requérants versèrent la somme de 15 000 EUR.
C. La requête no 12849/05 devant la Cour européenne
36. Le 7 avril 2005, les requérants introduisirent devant la Cour une requête (no 12849/05) pour se plaindre de l’absence d’indemnisation pour autant que la carrière était concernée. Cette requête fut rejetée pour tardiveté par un comité le 30 août 2005.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
A. La Constitution
37. L’article 20 de la Constitution garantit le droit d’accès à un tribunal. L’article 62 de la Constitution garantit le droit de propriété ainsi que le droit à une juste indemnisation en cas d’expropriation.
B. Le code de procédure civile
38. La règle générale en matière de frais de justice est établie à l’article 446 du code de procédure civile. Aux termes de cette disposition, c’est en principe la partie qui succombe qui doit régler les frais de procédure.
C. Le code des expropriations
39. Au moment de l’expropriation litigieuse, le code des expropriations applicable était celui adopté par le décret-loi no 438/91, du 9 novembre 1991.
40. La procédure d’expropriation prévue à l’époque se déroulait de la manière suivante : à défaut d’accord entre l’entité expropriante et l’exproprié, le président de la cour d’appel ayant juridiction sur le lieu où se trouvait le bien à exproprier désignait une commission d’arbitrage chargée d’évaluer la valeur de ce dernier. L’exproprié pouvait saisir le tribunal de première instance d’un recours contre la décision arbitrale, une nouvelle expertise du bien ayant lieu si nécessaire. Il pouvait faire appel de la décision du tribunal de première instance, la cour d’appel statuant de manière définitive (arrêt de règlement (assento) de la Cour suprême du 30 mai 1995 fixant jurisprudence obligatoire pour toutes les juridictions et publié au Journal officiel le 15 mai 1997).
D. Les frais de justice
41. Au Portugal, l’obligation de payer des frais de justice revêt une nature fiscale. La Cour suprême estime en effet que cette obligation pour les justiciables équivaut à celle pour les contribuables de payer des taxes. L’Etat est ainsi en droit de percevoir ces sommes en tant que « sujet actif » de l’obligation fiscale en cause : il doit en contrepartie fournir aux individus – les « sujets passifs » de l’obligation fiscale – l’accès aux services de justice (arrêt de la Cour suprême du 5 février 2004 rendu dans la procédure no 03B3809).
42. A l’époque des faits, cette matière était régie par le code des frais de justice, adopté par le décret-loi no 224-A/96, du 26 novembre 1996, dans sa rédaction applicable avant les amendements apportés à ce texte par le décret-loi no 324/2003, du 27 décembre 2003.
43. Les dispositions pertinentes de ce code se lisaient comme suit :
Article 1er (Notion de frais de justice)
« 1. Les frais de justice comprennent la taxe judiciaire (taxa de justiça) et les autres frais (encargos).
2. Sauf disposition contraire de la loi, toutes les procédures sont assujetties aux frais de justice. »
Article 2 (Exemptions subjectives)
« 1. Sans préjudice des dispositions de lois spéciales, sont seuls exemptés du paiement des frais de justice :
a) l’Etat et tous ses services et organes, quand bien même ils disposeraient d’une personnalité juridique propre ;
(…) »
Article 6 (Règles particulières)
« 1. Dans les cas mentionnés ci-après, la valeur du litige, aux fins du calcul des frais de justice, est la suivante :
(…)
s) dans les recours portant sur des expropriations, la différence entre l’indemnité d’expropriation, telle que fixée par la commission d’arbitrage, et le montant demandé par [l’exproprié] (…)
(…) »
Article 13 (Base de calcul de la taxe judiciaire)
« 1. Sans préjudice des dispositions suivantes, les frais de procédure sont fixés sur la base du tableau ci-dessous et calculés sur la valeur des actions, des mesures incidentes et des recours.
(…)
Valeur jusqu’à .. euros Montant de la taxe judiciaire (en euros)
149,64 29,93
299,28 39,90
498,80 49,88
784,20 59,86
997,60 69,83
1 246,99 79,81
1 496,39 89,78
1 745,79 99,76
1 995,19 109,74
2 244,59 119,71
2 493,99 129,69
2 743,39 139,66
2 992,79 149,64
3 242,19 159,62
3 491,59 169,59
3 740, 98 179,57
3 990,38 189,54
4 239,78 199,52
4 489,18 209,50
4 738,58 219,47
4 987,98 229,45
5 985,57 239,42
6 983,17 249,40
7 980,77 259,37
8 978,36 269,35
9 975,96 279,33
11 472,35 299,28
12 968,75 319,23
14 465,14 339,18
15 961,53 359,13
17 457,93 379,09
18 954,32 399,04
20 450,71 418,99
21 947,11 438,14
23 443,50 458,89
24 939,89 478,85
27 433,88 498,80
29 927,87 518,75
32 421,86 538,70
34 915,85 558,65
37 409,84 578,61
39 903,83 598,56
42 397,82 618,51
44 891,81 638,46
47 385,80 658,41
49 879,79 678,37
au-delà de 49 879,79 49,88 pour chaque tranche de 4987,98 euros
Article 18 (Taxe judiciaire devant les juridictions de recours)
« (…)
2. Dans les recours, pourvois et appels contre des décisions rendues dans toute action ou mesure incidente (…) la taxe judiciaire correspond à la moitié des valeurs du tableau [de l’article 13].
(…) »
Article 29 (Dispense du paiement de l’avance sur frais et des paiements subséquents)
« (…)
2. Il n’y a pas lieu d’avancer de frais dans les procédures d’expropriation (…) »
Article 66 (Paiement des frais sur des sommes à verser au
débiteur sur ordre du tribunal)
« 1. Le débiteur de frais de justice bénéficiaire d’une décision du tribunal qui lui octroie une somme d’argent peut demander, dans le délai prévu pour le paiement volontaire, que l’on déduise de cette somme le montant des frais à payer.
2. Les frais de justice dus par un exproprié sont à déduire du montant de l’indemnité d’expropriation. »
44. Les custas de parte (frais et dépens) sont des sommes auxquelles la partie qui l’emporte a droit à l’issue du procès. Aux termes de l’article 33 du code des frais de justice tel qu’il était applicable à l’époque pertinente, ils comprenaient les sommes que la partie en question était obligée de dépenser à raison de la conduite de la procédure.
E. Le nouveau code des frais de justice
45. Le 24 février 2008, le Gouvernement a adopté un nouveau code des frais de justice (décret-loi no 34/2008). L’exposé des motifs de ce texte comporte notamment le passage suivant :
« D’après les nouveaux barèmes, le montant de la taxe judiciaire n’est pas fixé sur la base d’une simple correspondance avec la valeur du litige. On a constaté que la valeur du litige n’est pas un élément décisif dans l’appréciation de la complexité de la procédure et dans la génération de frais grevant les systèmes judiciaires. C’est ainsi que la recherche d’une amélioration dans la fixation de la taxe judiciaire a abouti à l’établissement d’un système mixte fondé sur la valeur du litige jusqu’à une certaine limite, avec possibilité de correction du montant dans le cas de procédures complexes, indépendamment de la valeur économique donnée au litige. »
46. Dans le nouveau système introduit par cette législation, il y a donc un montant maximum pouvant être réclamé au titre des frais de justice. S’agissant des procédures se déroulant devant les tribunaux de première instance, les montants correspondent, à l’heure actuelle, à 60 unités de compte2 pour les procédures normales et à 90 unités de compte pour les procédures particulièrement complexes. Les recours et appels sont taxés à 20 unités de compte. Bien entendu, les mesures incidentes continuent d’être taxées, le montant des frais de procédure pouvant aller jusqu’à 20 unités de compte en fonction de la mesure incidente en cause (voir les tableaux annexés au décret-loi no 34/2008 et les articles 6, 7, 8, 11, 12, 13 et 17 de ce texte).
III. LE DROIT COMPARÉ
47. La Cour a procédé à une étude de droit comparé concernant le paiement des frais de justice dans un certain nombre d’Etats membres du Conseil de l’Europe.
48. Il ressort de cette étude que, d’une manière générale, le montant des frais de justice varie en fonction de la valeur du litige (sauf dans les Etats où le montant des frais à acquitter n’est pas fonction de la somme en jeu). Les frais peuvent représenter un pourcentage de cette valeur, une somme fixe ou une combinaison des deux méthodes. Les lois de nombreux Etats où l’ampleur des frais est liée à la valeur de la prétention plafonnent le montant des dépens pouvant être mis à la charge d’une partie ; toutefois, dans d’autres États aucun plafond n’est fixé.
49. D’une manière générale c’est à la partie qui succombe de payer les frais de la partie qui l’emporte. Pour les cas où une prétention n’est accueillie qu’en partie, la plupart des Etats objet de l’étude laissent au pouvoir d’appréciation discrétionnaire du tribunal la décision quant aux frais. Dans certains Etats, des règles particulières s’appliquent aux affaires d’expropriation. Dans l’un des Etats concernés, par exemple, lorsque les frais sont calculés sous la forme d’un pourcentage de l’indemnité offerte, le principe est que l’individu exproprié doit néanmoins être remboursé intégralement, c’est-à-dire de tous les frais réellement engagés par lui, puisqu’il a droit normalement à une réparation intégrale de son préjudice.
50. Dans de nombreux Etats, il n’est pas exclu qu’un demandeur risque d’avoir à payer au titre des dépens et d’autres frais une somme supérieure à celle susceptible de lui être accordée au titre de sa prétention, notamment lorsqu’une petite partie seulement de celle-ci est accueillie. Un tel risque n’existe pas dans les Etats où les frais ne sont calculés qu’à l’issue de la procédure et sur la base de la somme effectivement allouée par le tribunal.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
51. Les requérants se plaignent du fait que l’indemnité d’expropriation qui leur avait été accordée a en définitive été totalement absorbée par la somme qu’ils ont dû verser à l’Etat au titre des frais de justice. Ils y voient une violation de l’article 1 du Protocole no 1, ainsi libellé :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. L’arrêt de la Chambre
52. Dans son arrêt, la Chambre a indiqué que l’absence d’indemnisation dénoncée par les requérants était le résultat de l’application de la réglementation relative aux frais de justice, que ceux-ci étaient des « contributions », au sens du second paragraphe de l’article 1 du Protocole no 1, et que cette disposition visait des cas particuliers d’atteinte au droit au respect des biens. En l’espèce toutefois, la Chambre a considéré que la situation incriminée devait être examinée à la lumière de la norme figurant dans la première phrase du premier paragraphe de l’article 1 du Protocole no 1, qui revêt un caractère général et énonce le principe du respect des biens. Elle a relevé que les requérants ne contestaient pas la légalité de l’expropriation en tant que telle, ni celle de la réglementation portant sur les frais de justice qui leur avait été appliquée, précisant que rien n’indiquait par ailleurs que l’ingérence litigieuse ait revêtu un caractère arbitraire, dès lors notamment que les requérants avaient pu soumettre leurs arguments aux juridictions nationales. A la différence du Gouvernement, la Chambre a estimé que l’on ne pouvait faire grief aux requérants d’avoir essayé par les moyens procéduraux à leur disposition de convaincre le tribunal d’inclure dans l’indemnité d’expropriation des éléments qui étaient à leur avis essentiels. Elle a jugé qu’il ne lui appartenait pas d’examiner de manière générale le système portugais relatif à la détermination et à la fixation des frais de justice, mais a constaté qu’en l’espèce l’application concrète de ce système avait conduit à une absence totale de dédommagement des requérants pour l’expropriation de leurs biens. Elle a dès lors conclu que les conditions d’indemnisation – ou plus précisément l’absence d’indemnisation – avaient imposé aux requérants une charge excessive, propre à rompre le juste équilibre devant régner entre l’intérêt général de la communauté et les droits fondamentaux de l’individu.
B. Thèse du Gouvernement devant la Grande Chambre
53. Le Gouvernement fait remarquer, à propos de l’objet de la requête, que l’expropriation en tant que telle n’est pas soumise à l’examen de la Cour. Il souligne que les requérants ont bien introduit une requête à cet égard, mais que la Cour l’a rejetée pour tardiveté. Seule serait donc ici en cause la compatibilité avec l’article 1 du Protocole no 1 du montant réclamé aux requérants au titre des frais de justice.
54. Examinant ensuite le système portugais de paiement des frais de justice qui était applicable à l’époque et celui en vigueur depuis 2008, le Gouvernement fait observer que la Convention n’impose pas la gratuité des services de la justice. Elle prévoit en revanche le droit pour les Etats de mettre en vigueur, dans l’exercice de leur marge d’appréciation, des lois visant à assurer le paiement des « impôts » et d’autres « contributions » au sens de l’article 1 du Protocole no 1, étant entendu qu’en vertu d’une jurisprudence ancienne et bien établie de la Commission européenne des droits de l’homme, les frais de justice s’analyseraient en pareilles « contributions » (Agis Antoniades c. Royaume-Uni, no 15434/89, décision de la Commission du 15 février 1990, Décisions et rapports (DR) 64, p. 237).
55. Le Gouvernement critique l’arrêt de la Chambre, estimant qu’il est méthodologiquement inapproprié et juridiquement incorrect de confondre l’indemnité d’expropriation et la somme à payer à la suite d’une condamnation aux frais de justice. Se référant à l’opinion dissidente jointe à l’arrêt (voir paragraphe 5 ci-dessus), le Gouvernement considère que les conclusions de la chambre sont le fruit d’un « amalgame fallacieux » entre deux situations distinctes du point de vue juridique, qui aboutit à mélanger « deux titres, l’un de crédit et l’autre de débit, qui sont (…) indépendants l’un de l’autre ». Le Gouvernement donne à titre d’exemple la situation dans laquelle un créancier saisit un tribunal aux fins d’obtenir le recouvrement d’une certaine somme, le débiteur lui opposant une demande reconventionnelle supérieure au montant de la prétention du créancier ; si le tribunal fait droit à la demande reconventionnelle, le créancier ne reçoit aucune somme et il doit de surcroît payer des frais, sans que l’on puisse y voir, de l’avis du Gouvernement, une quelconque atteinte au droit au respect des biens.
56. Pour le Gouvernement, l’atteinte alléguée aux droits des requérants découlerait uniquement de la condamnation des intéressés au paiement des frais de justice. Or ces derniers auraient été fixés dans le respect des dispositions applicables du code de procédure civile et du code des frais de justice, d’une part, et du principe de proportionnalité, d’autre part. La somme totale payée par les requérants – qui correspondrait à 1,02 % du montant de leur prétention – aurait en effet été fixée compte tenu de l’intense activité procédurale dont ils auraient fait preuve et du montant même auquel ils prétendaient, lequel s’écartait manifestement de la réalité.
C. Appréciation de la Cour
1. Sur l’applicabilité de l’article 1 du Protocole no 1
57. La Cour rappelle que l’article 1 du Protocole no 1 contient trois normes distinctes : la première, qui s’exprime dans la première phrase du premier alinéa et revêt un caractère général, énonce le principe du respect de la propriété ; la deuxième, figurant dans la seconde phrase du même alinéa, vise la privation de propriété et la soumet à certaines conditions ; quant à la troisième, consignée dans le second alinéa, elle reconnaît aux Etats le pouvoir, entre autres, de réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général. Il ne s’agit pas pour autant de règles dépourvues de rapport entre elles. La deuxième et la troisième ont trait à des exemples particuliers d’atteinte au droit de propriété ; dès lors, elles doivent s’interpréter à la lumière du principe consacré par la première (voir, entre autres, James et autres c. Royaume-Uni, 21 février 1986, § 37, série A no 98, qui reprend en partie les termes de l’analyse développée par la Cour dans son arrêt Sporrong et Lönnroth c. Suède (23 septembre 1982, § 61, série A no 52), et Depalle c. France [GC], no 34044/02, § 77, 29 mars 2010).
58. En l’espèce, les parties ne contestent pas que la situation litigieuse relève du champ d’application de cette disposition. En revanche, le Gouvernement est en désaccord avec la conclusion de la chambre selon laquelle il fallait examiner le grief des requérants à la lumière de la norme générale énoncée dans la première phrase. Soulignant que l’expropriation en tant que telle ne fait pas partie de l’objet du litige, il estime que seule est ici en cause la question de la compatibilité avec l’article 1 du Protocole no 1 du montant réclamé aux requérants au titre des frais de justice.
59. En l’occurrence, s’il est vrai que la Cour n’a pas à examiner l’expropriation en tant que telle (paragraphes 36 et 53 ci-dessus), il n’en demeure pas moins que c’est la privation de propriété subie par les requérants en faveur de l’Etat qui a donné lieu au litige sur les frais de justice et qui se trouve ainsi à l’origine de la présente requête. Ce constat a une incidence certaine sur la manière dont l’atteinte alléguée au droit des requérants doit être analysée, la jurisprudence de la Cour exigeant, dans les cas de privation de propriété pour cause d’utilité publique, le versement d’une somme raisonnablement en rapport avec la valeur du bien en question (Papachelas c. Grèce [GC], no 31423/96, § 48, CEDH 1999-II). La Cour rappelle à cet égard que lorsqu’elle examine s’il y a eu ou non atteinte au droit au respect des biens protégé par l’article 1 du Protocole no 1, il lui faut regarder au-delà des apparences et analyser les réalités de la situation litigieuse, la Convention visant à protéger des droits « concrets et effectifs » (Depalle, précité, § 78).
60. Cela étant, il est indéniable que le grief des requérants porte sur l’application faite en leur cause de la réglementation relative aux frais de justice. Le Gouvernement souligne à cet égard que le deuxième alinéa de l’article 1 du Protocole no 1 prévoit le droit pour les Etats de mettre en vigueur, dans l’exercice de leur marge d’appréciation, des lois visant à assurer le paiement des « impôts » et d’autres « contributions ». Il se réfère à la jurisprudence traditionnelle de la Commission européenne des droits de l’homme selon laquelle les frais de justice à verser dans le cadre d’une procédure judiciaire sont des « contributions » au sens de cette disposition (voir Agis Antoniades, précitée ; voir également Aires c. Portugal, no 21775/93, décision de la Commission du 25 mai 1995, DR 81, p. 48, citée dans l’arrêt de la chambre ; X. et Y. c. Autriche, no 7909/74, décision de la Commission du 12 décembre 1978, DR 15, p. 160 ; X. c. R.F.A., no 7544/76, décision de la Commission du 12 juillet 1978, DR 14, p. 60).
61. La Grande Chambre estime, à l’instar de la Chambre, qu’il y a lieu de confirmer les décisions de la Commission quant à la nature de « contributions », au sens du deuxième alinéa de l’article 1 du Protocole no 1, qui doit être reconnue aux frais de justice. En effet, l’imposition de frais de justice aux justiciables poursuit, entre autres, les buts d’assurer le financement du système judiciaire et l’alimentation du Trésor public. Au demeurant, si au Portugal le recouvrement de ces frais n’incombe pas aux autorités fiscales, il est clair que l’obligation de les payer revêt néanmoins une nature fiscale (paragraphe 41 ci-dessus). D’après les informations dont la Cour dispose, cela semble d’ailleurs être le cas dans d’autres Etats membres du Conseil de l’Europe. Bref, l’obligation de payer des frais de justice – et la réglementation y relative – relève du deuxième alinéa de l’article 1 du Protocole no 1, ces frais étant des « contributions » au sens de cette disposition. Dans les circonstances de l’espèce, la question se pose donc de savoir si et dans quelle mesure la condamnation des requérants au paiement des frais de justice en question peut s’analyser en une ingérence dans le droit de ces derniers au respect de leurs biens (voir, mutatis mutandis, Aires précitée). En effet, la somme d’argent que les requérants ont dû verser au titre des frais de justice a totalement absorbé l’indemnité d’expropriation, laquelle s’analyse en un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1.
62. Compte tenu de ce qui précède, la Grande Chambre estime indiqué d’examiner le grief des requérants sur le terrain de l’article 1 du Protocole no 1 pris dans son ensemble et ce d’autant plus que les situations visées dans la seconde phrase du premier alinéa et au second alinéa ne constituent que des cas particuliers d’atteinte au droit au respect des biens garanti par la norme générale énoncée dans la première phrase (Beyeler c. Italie [GC], no 33202/96, § 106, CEDH 2000-I). Dictée par les circonstances particulières du cas d’espèce, cette approche ne met cependant pas en cause le fait que les frais de justice sont des « contributions » au sens du deuxième alinéa de l’article 1 du Protocole no 1 (paragraphe 61 ci-dessus).
2. Sur l’observation de l’article 1 du Protocole no 1
63. La Cour rappelle que, pour être compatible avec l’article 1 du Protocole no 1, une atteinte au droit d’une personne au respect de ses biens doit d’abord respecter le principe de la légalité et ne pas revêtir un caractère arbitraire (Iatridis c. Grèce [GC], no 31107/96, § 58, CEDH 1999-II). Elle doit également ménager un « juste équilibre » entre les exigences de l’intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu (Sporrong et Lönnroth, précité, § 69).
64. Un tel « juste équilibre » doit exister même lorsqu’il s’agit du droit qu’ont les Etats de « mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour (…) assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ». En effet, comme le second alinéa doit s’interpréter à la lumière du principe général énoncé au début de l’article 1 du Protocole no 1, il doit exister un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé ; en d’autres termes, il incombe à la Cour de rechercher si l’équilibre a été maintenu entre les exigences de l’intérêt général et l’intérêt des individus concernés (Gasus Dosier- und Fördertechnik GmbH c. Pays-Bas, 23 février 1995, § 60, série A no 306-B ; voir également AGOSI c. Royaume-Uni, 24 octobre 1986, § 52, série A no 108).
a) Principe de légalité
65. La Grande Chambre observe que les requérants ne contestent ni la légalité de l’expropriation en tant que telle ni celle de la réglementation portant sur les frais de justice qui leur a été appliquée. La Chambre n’a, quant à elle, décelé aucun indice d’arbitraire, eu égard notamment au fait que les requérants ont pu soumettre leurs arguments aux juridictions nationales.
66. Même si l’on ne connaît pas les raisons pour lesquelles le juge du tribunal d’Évora a fixé, en date du 4 janvier 2008, les frais de justice à un montant dépassant de 15 000 EUR au plus celui de l’indemnité d’expropriation, la Cour s’estime dispensée d’examiner plus avant cette question, compte tenu notamment des considérations formulées ci-après sur la question du respect ou non du « juste équilibre ».
b) Juste équilibre
67. La Cour rappelle que la recherche de cet équilibre se reflète dans la structure de l’article 1 du Protocole no 1 tout entier, indépendamment des alinéas en jeu dans chaque affaire ; il doit toujours exister un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé. En contrôlant le respect de cette exigence, la Cour reconnaît à l’Etat une large marge d’appréciation tant pour choisir les modalités de mise en œuvre des mesures en cause que pour juger si leurs conséquences se trouvent légitimées, dans l’intérêt général, par le souci d’atteindre l’objectif de l’ingérence dénoncée. Cet équilibre est rompu si la personne concernée a eu à subir une charge spéciale et exorbitante (Depalle, précité, § 83).
68. La vérification de l’existence d’un tel équilibre exige un examen global des différents intérêts en cause. La Cour estime qu’il convient de procéder à un tel examen en ayant égard à deux éléments importants. D’abord, comme la Cour l’a déjà rappelé, à l’origine de la situation litigieuse se trouve la privation de propriété des requérants. Dans de telles situations, le « juste équilibre » exige le versement d’une somme raisonnablement en rapport avec la valeur du bien, sans quoi il y aurait une atteinte excessive aux droits des particuliers. Ensuite, la Cour rappelle que la Convention vise à protéger des droits non pas théoriques et illusoires mais « concrets et effectifs » (paragraphe 59 ci-dessus). Par ailleurs, la Cour doit également examiner le comportement des parties au litige, y compris les moyens employés par l’Etat et leur mise en œuvre (Beyeler, précité, § 114).
69. En l’espèce, les requérants se sont vu allouer une indemnité d’expropriation, d’un montant de 197 236,25 EUR. Toutefois, à la suite de la détermination de la somme qu’ils devaient verser au titre des frais de justice, ils n’ont en réalité rien perçu. Bien plus, ils ont dû verser à l’Etat un solde de 15 000 EUR, même après que le montant fixé initialement eut été sensiblement réduit.
70. La Grande Chambre observe qu’elle n’a pas à examiner dans l’abstrait le système portugais relatif à la détermination et à la fixation des frais de justice. Comme la Chambre l’a relevé, les Etats doivent pouvoir prendre les mesures qu’ils estiment nécessaires pour protéger l’intérêt général d’un financement équilibré des systèmes de justice. Dans ce domaine, les Etats contractants jouissent d’une large marge d’appréciation.
71. La Cour doit ainsi examiner l’application qui a été faite de ce système au cas concret dont elle se trouve saisie. A cet égard, force lui est de constater que le résultat auquel tend l’article 1 du Protocole no 1 n’a pas été atteint : non seulement les requérants ont été dépossédés de leur terrain, mais ils ont dû en outre verser 15 000 EUR à l’Etat.
72. Le Gouvernement insiste sur la différence de nature juridique qu’il y a selon lui entre l’obligation pour l’Etat de verser une indemnité d’expropriation et l’obligation pour le justiciable d’acquitter des frais de justice. Cette dernière ne relèverait pas du champ de l’expropriation proprement dite et, dès lors, n’aurait aucune incidence sur la question du respect de l’article 1 du Protocole no 1. La Cour admet que les finalités juridiques poursuivies par chacune de ces obligations ne sont en effet pas identiques ; elle tient d’ailleurs compte de cette différence lorsqu’elle qualifie les frais de justice de « contributions » au sens du deuxième alinéa de l’article 1 du Protocole no 1 (paragraphe 61 ci-dessus). Elle constate cependant qu’en l’espèce, les requérants étaient parties à un litige judiciaire qui les opposait à l’Etat et qui concernait la détermination du montant d’une indemnité d’expropriation, à la suite d’un acte accompli par l’Etat dans l’exercice de ses pouvoirs de puissance publique. Aux yeux de la Cour, ce cas est à distinguer, aux fins d’un examen de proportionnalité, de celui dans lequel des frais de justice sont imposés dans le cadre d’un litige de droit privé. Dans les circonstances particulières de l’espèce, il peut en effet sembler paradoxal que l’Etat reprenne d’une main – au moyen des frais de justice – plus que ce qu’il a accordé de l’autre. Aussi, dans une telle situation la différence de nature juridique entre l’obligation pour l’Etat de verser une indemnité d’expropriation et l’obligation pour le justiciable d’acquitter des frais de justice ne fait-elle pas obstacle à un examen global de la proportionnalité de l’ingérence dénoncée.
73. Le Gouvernement souligne également, sous l’angle de la proportionnalité de l’ingérence, le comportement, qu’il qualifie de téméraire, adopté par les requérants pendant la procédure. D’après lui, l’ampleur de la somme totale payée par les intéressés est la conséquence de la réclamation par eux d’un montant manifestement non conforme à la réalité ainsi que de l’intense activité procédurale qu’ils ont déployée.
74. La Cour constate que les requérants ont en effet demandé un montant bien supérieur à tous ceux qui ont été indiqués dans les différents rapports d’expertise produits tout au long de la procédure. Compte tenu de la législation portugaise en la matière, qui était connue des requérants, la fixation à ce niveau de la somme demandée a eu une influence sur le montant final des frais de justice. Toutefois, la Cour rappelle qu’il s’agissait notamment de savoir si les bénéfices susceptibles d’être tirés d’une éventuelle exploitation économique de la carrière sise sur le terrain devaient ou non être inclus dans l’indemnité d’expropriation. Saisies de la question par les requérants, les juridictions internes l’ont discutée de manière approfondie, le tribunal d’Évora allant même jusqu’à demander d’office une troisième expertise, alors que celles exigées par la loi avaient déjà été effectuées. Le comportement des requérants, s’il a certainement contribué au montant élevé des frais de justice, n’est pas en soi une raison suffisante pouvant justifier que la somme à acquitter au titre des frais de justice ait été fixée à un niveau tel qu’il en est résulté une absence totale de dédommagement, alors qu’une expropriation était en cause.
75. Quant au comportement, critiqué par le Gouvernement, que les requérants ont adopté, la Cour constate que l’action litigieuse a en effet connu un nombre élevé de recours et d’incidents de procédure. Elle observe cependant, au-delà du fait que ces incidents de procédure n’ont pas tous été provoqués par les requérants, que le comportement en cause a porté surtout sur les questions liées à la détermination du montant des frais de justice. En effet, la question de la privation de propriété en tant que telle a été résolue par le tribunal et la cour d’appel d’Évora, même si la Cour suprême et le Tribunal constitutionnel, saisis par les requérants, eurent également à rendre des décisions d’irrecevabilité. C’est en réalité la contestation par les requérants du montant demandé au titre des frais de justice par les juridictions internes qui a donné lieu à des décisions subséquentes du tribunal et de la cour d’appel d’Évora ainsi que, à trois reprises, du Tribunal constitutionnel.
76. La Cour en conclut que ni le comportement des requérants ni l’activité procédurale déployée en l’espèce ne peuvent justifier une somme aussi élevée au titre des frais de justice si l’on tient compte du montant fixé au titre de l’indemnité d’expropriation.
77. Enfin, la Cour note l’adoption, le 24 février 2008, du nouveau code des frais de justice, qui a plafonné les montants pouvant être réclamés au titre de ces frais. Si la nouvelle réglementation avait été appliquée au cas d’espèce, les frais de justice imposés auraient été d’un montant considérablement inférieur (paragraphes 45 et 46 ci-dessus). La réglementation actuelle semble ainsi moins susceptible de donner lieu à des situations comme celle du cas d’espèce.
78. Au vu de ce qui précède, la Cour estime que les requérants ont eu à supporter une charge exorbitante qui a rompu le juste équilibre devant régner entre l’intérêt général de la communauté et les droits fondamentaux de l’individu.
79. Partant, il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
80. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
1. L’arrêt de la Chambre
81. La Chambre a tenu compte, pour fixer le niveau de la réparation pour le préjudice matériel, de l’obligation pour les requérants d’acquitter des frais de justice. Elle a ainsi jugé équitable de leur accorder la somme de 190 000 EUR à ce titre.
2. Les positions des parties
82. Devant la Chambre, les requérants avaient demandé pour préjudice matériel la somme de 197 236,25 EUR, correspondant au montant de l’indemnité d’expropriation fixé par les juridictions portugaises. Ils avaient par ailleurs demandé 100 EUR pour préjudice moral.
83. Le Gouvernement avait estimé que la somme sollicitée par les requérants pour préjudice matériel ne présentait aucun lien avec l’objet de la requête. Il avait fait valoir que l’octroi d’une telle somme laisserait sans remboursement le système de justice national, alors même que la cause des requérants avait donné lieu à une activité procédurale intense. Quant à la somme demandée pour dommage moral, il s’en était remis à la sagesse de la Cour.
3. Appréciation de la Cour
84. Les requérants n’ayant présenté aucune demande supplémentaire, la Grande Chambre examinera les prétentions formulées par eux devant la Chambre.
85. Elle rappelle à cet égard qu’un arrêt constatant une violation entraîne pour l’Etat défendeur l’obligation juridique de mettre un terme à la violation et d’en effacer les conséquences de manière à rétablir autant que faire se peut la situation antérieure à celle-ci (Iatridis c. Grèce (satisfaction équitable) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI). Si le droit national ne permet pas ou ne permet qu’imparfaitement d’effacer les conséquences de la violation, l’article 41 habilite la Cour à accorder, s’il y a lieu, à la partie lésée la satisfaction qui lui semble appropriée. Dans l’exercice de ce pouvoir, elle dispose d’une certaine latitude ; l’adjectif « équitable » et le membre de phrase « s’il y a lieu » en témoignent. Parmi les éléments pris en considération par la Cour, lorsqu’elle statue en la matière, figurent le dommage matériel, c’est-à-dire les pertes effectivement subies en conséquence directe de la violation alléguée, et le dommage moral, c’est-à-dire la réparation de l’état d’angoisse, des désagréments et des incertitudes résultant de cette violation. En outre, là où les divers éléments constituant le préjudice ne se prêtent pas à un calcul exact ou là où la distinction entre dommage matériel et dommage moral se révèle difficile, la Cour peut être amenée à les examiner globalement (Comingersoll S.A. c. Portugal [GC], no 35382/97, § 29, CEDH 2000-IV).
86. La situation litigieuse appelle, de l’avis de la Cour, la fixation d’un montant en équité, comme le permet l’article 41. A cet égard, la Cour tient compte du fait que les requérants ont déjà dû s’acquitter des frais de justice, une somme de 15 000 EUR ayant déjà été versée à ce titre. Elle juge raisonnable d’allouer aux requérants la somme de 190 000 EUR, tous préjudices confondus.
B. Frais et dépens
87. Les requérants n’ayant pas demandé le remboursement de leurs frais et dépens, il n’y a pas lieu de leur accorder une somme à ce titre.
C. Intérêts moratoires
88. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR,
1. Dit, par quatorze voix contre trois, qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
2. Dit, par quatorze voix contre trois,
a) que l’Etat défendeur doit verser aux requérants, dans les trois mois, la somme de 190 000 EUR (cent quatre-vingt-dix mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, tous préjudices confondus ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
3. Rejette, à l’unanimité, la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français et en anglais, puis prononcé en audience publique au Palais des droits de l’homme, à Strasbourg, le 16 novembre 2010.
Johan Callewaert Jean-Paul Costa
Adjoint au greffier Président
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé des opinions séparées suivantes :
– opinion concordante commune aux juges Ziemele et Villiger ;
– opinion dissidente commune aux juges Lorenzen, Casadevall et Fura.
J.-P.C.
J.C.

OPINION CONCORDANTE COMMUNE AUX JUGES ZIEMELE ET VILLIGER
(Traduction)
1. Nous avons voté avec la majorité pour le constat en l’espèce d’une violation de l’article 1 du Protocole no 1, étant entendu, d’une part, que les Etats continuent de jouir d’une ample marge d’appréciation pour définir leurs systèmes de frais de justice et, d’autre part, que l’affaire revêt un caractère plutôt exceptionnel.
2. De fait, comme l’arrêt le précise, la Commission européenne des droits de l’homme avait déjà estimé dans l’affaire Aires c. Portugal (no 21775/93, décision de la Commission du 25 mai 1995, Décisions et rapports 81, p. 48) que les frais à acquitter dans le cadre des procédures judiciaires étaient des « contributions » au sens de l’article 1 du Protocole no 1, et la question peut se poser de savoir « si et dans quelle mesure la condamnation des requérants au paiement des frais de justice en question peut s’analyser en une ingérence dans le droit de ces derniers au respect de leurs biens » (paragraphes 60–61 de l’arrêt). Dès lors que le second paragraphe de l’article 1 du Protocole no 1 ne peut s’appliquer isolément de l’article dans sa globalité, et eu égard notamment au principe général du respect des biens énoncé dans la première phrase du premier paragraphe, on ne peut répondre à la question de savoir si le montant des frais de justice imposé en l’espèce était ou non disproportionné qu’en tenant compte de l’ensemble des circonstances de la cause. Pour nous, il est déterminant que le litige relatif à la somme réclamée au titre des frais de justice en l’espèce tire son origine d’une procédure d’expropriation entre l’Etat et les requérants, dans le cadre de laquelle l’Etat a privé ces derniers d’un bien sans devoir en définitive leur verser la moindre compensation, les intéressés ayant été contraints d’acquitter au titre des frais de justice une somme correspondant à la totalité de l’indemnité qui leur avait été accordée plus 15 000 EUR. Cela ne signifie pas qu’il soit désormais interdit aux Etats de se doter de systèmes dans lesquels les frais de justice pourraient excéder le montant des dommages-intérêts réclamés. A notre sens, le présent arrêt ne traite pas de cette question. Il est toutefois de jurisprudence constante qu’une expropriation requiert une indemnisation adéquate (Ex-roi de Grèce et autres c. Grèce [GC], no 25701/94, § 89, CEDH 2000-XII ; Platakou c. Grèce, no 38460/97, § 55, CEDH 2001-I), et il s’agit là d’un élément que la structure de l’article 1 du Protocole no 1 oblige la Cour à prendre en compte aussi lorsqu’elle est saisie de doléances portant sur des frais de justice.
3. Enfin, nous relevons que la Cour a toujours jusqu’ici examiné les questions relatives à l’ampleur des frais de justice dans le contexte de l’article 6, y voyant un aspect de l’accès à un tribunal. Il est intéressant de constater qu’en l’espèce le Tribunal constitutionnel portugais a considéré que le montant des frais de justice était tellement élevé que le droit d’accès à un tribunal s’en trouvait affecté (paragraphe 31 de l’arrêt). Cela montre également, d’après nous, le caractère disproportionné du montant des frais de justice réclamés aux requérants en l’espèce.

OPINION DISSIDENTE COMMUNE AUX JUGES LORENZEN, CASADEVALL ET FURA
(Traduction)
En l’espèce, la majorité a conclu à la violation de l’article 1 du Protocole no 1. Pour les raisons énoncées ci-dessous, nous ne pouvons souscrire à cette conclusion.
Il peut être utile de rappeler d’abord que le contexte factuel de l’affaire est l’expropriation d’un terrain qui appartenait aux requérants. La valeur de celui-ci fut estimée par une commission d’arbitrage à environ 178 000 EUR. Non satisfaits du montant en question – au motif qu’il ne tenait pas compte du bénéfice qui aurait pu être retiré d’une exploitation d’une carrière située sur le terrain –, les requérants intentèrent une action en justice, réclamant un montant de pratiquement 21 millions EUR. Peu après l’engagement de la procédure, ils furent avisés par le tribunal que les frais de justice s’élèveraient à un peu plus de 158 000 EUR. Au cours de la procédure, diverses expertises furent ordonnées. La plus favorable aux requérants conclut que, dans l’hypothèse où la carrière devrait être prise en considération, le montant maximal que son exploitation pourrait rapporter devait être évalué à quelque 9,7 millions EUR. L’expert désigné par les requérants exprima l’avis que l’indemnité devait être fixée à environ 4 millions EUR. Les tribunaux portugais considérèrent tous que le gain susceptible de résulter d’une exploitation de la carrière ne devait pas être pris en compte et fixèrent l’indemnité à un peu plus de 197 000 EUR.
L’affaire dont la Cour se trouve saisie ne concerne pas la question de savoir si l’indemnité a été fixée de manière incorrecte au motif qu’elle n’a pas tenu compte du gain qui eût pu résulter d’une exploitation de la carrière, un grief de violation de l’article 1 du Protocole no 1 à cet égard ayant été rejeté comme tardif (voir le paragraphe 35 de l’arrêt). Il s’agit uniquement en l’espèce de déterminer si les frais de justice réclamés aux requérants –environ 212 000 EUR – étaient excessifs au point de violer la Convention.
La Cour a déjà souvent déclaré que des frais de justice élevés peuvent, dans les circonstances particulières d’une affaire, s’analyser en une restriction au « droit d’accès à un tribunal » contraire à l’article 6 § 1 de la Convention (voir l’arrêt de principe Kreuz c. Pologne, no 28249/95, CEDH 2001-VI, et les nombreux arrêts rendus sur le même modèle par la suite). C’est également pour ce motif que le Tribunal constitutionnel portugais a jugé nécessaire de réduire le montant que les requérants s’étaient vu enjoindre de payer au titre des frais de justice (voir le paragraphe 16 de l’arrêt). Les requérants ne se sont toutefois jamais plaints devant la Cour que leur droit d’accès à un tribunal découlant de l’article 6 § 1 eût été violé, et nous pouvons souscrire au point de vue selon lequel la Cour n’avait pas à examiner d’office la question d’une possible violation de cet article.
La question de savoir si des frais de justice peuvent avoir été fixés à un montant à ce point élevé qu’il emporte violation de l’article 1 du Protocole no 1 n’a encore jamais été examinée par la Cour (voir les paragraphes 60 et 61 de l’arrêt). La majorité, faisant sienne la doctrine de la Commission, a jugé que l’article 1 du Protocole no 1 s’applique aux frais de justice et que ceux-ci doivent être considérés comme des contributions au sens de la deuxième phrase du paragraphe 1 de l’article en question. Il nous paraît que cette conclusion n’est pas évidente, du moins pas sur un plan général. On peut ainsi soutenir que l’obligation d’acquitter des frais de justice est liée à l’utilisation volontaire d’un service public – le système judiciaire – et que cela la distingue de l’obligation de payer des impôts ou taxes diverses. Nous relevons qu’en droit portugais les frais de justice revêtent une nature fiscale (voir le paragraphe 41 de l’arrêt), mais la majorité semble ne pas avoir limité l’applicabilité de l’article 1 du Protocole no 1 aux situations où tel est le cas. L’arrêt laisse ouverte la question de savoir jusqu’où d’autres sommes à verser pour pouvoir bénéficier de services publics doivent de même être considérées comme des « contributions » au sens de l’article 1 du Protocole no 1 et crée de l’incertitude quant à sa portée. De surcroît, l’arrêt n’indique pas clairement si l’applicabilité de l’article en cause est limitée aux frais de justice dans les procédures d’expropriation ou si l’ampleur des frais peut maintenant donner lieu à des griefs d’atteinte à des droits de propriété dans toutes sortes de procédures.
Cela étant, nous n’avons pas à examiner plus avant ces questions car en tout état de cause – à supposer même que l’article 1 du Protocole no 1 soit applicable et qu’il y ait eu atteinte au droit des requérants au respect de leurs biens – il n’y a, à notre sens, pas eu violation de la disposition en cause.
La majorité admet l’argument du Gouvernement consistant à dire qu’il existe une différence de nature juridique entre l’obligation pour l’Etat de verser une indemnité en cas d’expropriation et l’obligation pour le justiciable d’acquitter des frais de justice, que cette dernière ne relève pas du champ de l’expropriation proprement dite et que, dès lors, elle n’a aucune incidence sur la question du respect de l’article 1 du Protocole no 1 (voir le paragraphe 72 de l’arrêt). Il nous paraît toutefois que la majorité n’a pas tiré la bonne conclusion de son adhésion à cet argument.
Il ressort ainsi clairement de l’arrêt que pour apprécier l’ampleur des frais de justice réclamés aux requérants la majorité a attribué un poids considérable au fait qu’il s’agissait en l’espèce d’une procédure d’expropriation (voir, par exemple, les paragraphes 68 et 72). Comme les juges dissidents de la chambre, nous estimons que la majorité de la Grande Chambre a opéré une confusion entre deux choses différentes : l’indemnité due pour une expropriation et les frais de justice réclamés aux requérants.
La Cour a toujours jusqu’ici considéré dans sa jurisprudence que les Etats sont libres de décider du type et du niveau des taxes qu’ils souhaitent imposer et que la Cour ne doit intervenir que si le système d’imposition ou la manière dont il est appliqué dans un cas donné est arbitraire. De même, le calcul des frais de justice doit être laissé à l’appréciation des États, qui doivent bénéficier à cet égard d’une ample marge d’appréciation. Ainsi que le révèle l’étude de droit comparé menée en l’espèce, le produit des frais de justice est utilisé à diverses fins, et chaque Etat doit, d’après nous, pouvoir décider librement des modalités de financement de son système judiciaire, pourvu que celles-ci ne deviennent pas un obstacle à l’accès à la justice et ne fassent pas peser une charge inacceptable sur une catégorie particulière de justiciables, hypothèses dans lesquelles elles seraient discriminatoires. Pareilles situations doivent toutefois, cela a été indiqué ci-dessus, être évaluées sous l’angle de l’article 6 de la Convention ou de l’article 14 combiné avec l’article 6. Le présent arrêt peut ainsi être interprété comme une première étape vers l’abandon d’un principe qui a jusqu’ici toujours été suivi dans notre jurisprudence, à savoir que, d’une manière générale, l’imposition de taxes et de contributions ne peut être attaquée sur le terrain de l’article 1 du Protocole no 1. Nous estimons que pareille évolution n’est pas souhaitable.
Nul n’a soutenu en l’espèce que le régime portugais des frais de justice manque de clarté ou de prévisibilité. Les articles 6 § 1 s) et 13 combinés de l’ancien code des frais de justice donnaient ainsi des directives précises sur la manière dont les frais de justice dans les affaires d’expropriation devaient être calculés. Les requérants ne le contestent pas du reste. La circonstance qu’ils ont eu à acquitter des frais de justice qui excédaient l’indemnité qui leur avait été allouée n’est due qu’au fait qu’ils avaient réclamé devant les tribunaux un montant exorbitant, qui ne trouvait d’appui dans aucune des expertises qui avaient été effectuées. De surcroît, le tribunal de première instance les avait informés à un stade précoce de la procédure que les frais de justice seraient proches du montant qui avait été retenu par la commission d’arbitrage. Leur situation n’était en aucune manière différente de celle à laquelle les autres justiciables doivent faire face lorsqu’ils sollicitent un montant largement supérieur à ce que les tribunaux estiment justifié. Nous ne voyons pas pourquoi les plaideurs dans le cadre de procédures d’expropriation devraient être traités de manière plus favorable que, par exemple, les justiciables qui sollicitent une indemnisation excessive pour un accident ou une rupture de contrat, que ce soit contre l’Etat ou contre un défendeur privé.
Enfin, contrairement à la majorité, nous ne pouvons attacher aucune importance au fait que le législateur portugais a, par la suite, modifié le système de calcul des frais de justice. Rien ne prouve que cette modification fût motivée par une quelconque incompatibilité du système antérieur avec l’article 1 du Protocole no 1.
En conclusion, nous estimons qu’il n’y a pas eu violation de cet article.
1. Bien que ce

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