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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE PAROISSE GRECO-CATHOLIQUE SFANTUL VASILE POLONA c. ROUMANIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 13, 06
Numero: 65965/01/2009
Stato: Romania
Data: 2009-04-07 00:00:00
Organo: Sezione Terza
Testo Originale

Conclusione Parzialmente inammissibile; Violazione dell’art. 6-1; violazione dell’arte. 13; danno morale – risarcimento
TERZA SEZIONE
CAUSA PARROCCHIA GRÉCO-CATTOLICA
SFÂNTUL VASILE POLONĂ C. ROMANIA
( Richiesta no 65965/01)
SENTENZA
STRASBURGO
7 aprile 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Parrocchia greco -cattolica Sfântul Vasile Polonă c. Romania,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente, Elisabet Fura-Sandström, Corneliu Bîrsan, Boštjan M. Zupančič, Alvina Gyulumyan, Ineta Ziemele, Ann Power, giudici,
e da Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 17 marzo 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 65965/01) diretta contro la Romania e in cui una parrocchia ubicata in questo Stato, la parrocchia greco- cattolica S. V. P. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 27 gennaio 2001 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è stato rappresentato, in un primo tempo, dai Sig. M ed I. B., avvocati a Bucarest, e, ora, da N. P,, avvocato a Bucarest. Il governo rumeno (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, il Sig. R. – H. Radu, del ministero delle Cause estere.
3. Il 29 novembre 2007, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è la parrocchia greco- cattolica S. V. P., sotto la tutela dell’arcidiocesi rumena uniate di A. I. e di F., che ha la sua sede a Bucarest.
1. Azione di sfratto introdottao dal richiedente contro la parrocchia ortodossa
5. Il 19 febbraio 1992, il richiedente citò dinnanzi al tribunale di prima istanza di Bucarest la parrocchia ortodossa che utilizzava parecchi beni ubicati al numero 50 via di Polonă, ossia una chiesa, una casa parrocchiale ed il terreno afferente. Fece valere che aveva perso questi beni a profitto della parrocchia ortodossa nel 1948, dopo lo scioglimento della culto greco -cattolico col decreto-legge no 358/1948. Fondando la sua azione sull’articolo 480 del codice civile che regolava la protezione del diritto di proprietà, intendeva ricuperare il possesso di questi beni di cui affermava non avere smesso di essere proprietario.
6. Con un giudizio del 16 novembre 1992, il tribunale di prima istanza respinse l’azione del richiedente, stimando che l’interessata avrebbe dovuto introdurre un’azione non di sfratto ma di rivendicazione.
7. Il richiedente formò un ricorso, arguendo che l’azione di rivendicazione che mirava a confrontare due titoli di proprietà, era inadatta poiché la parrocchia ortodossa non deteneva nessuno titolo.
8. Con una sentenza dell’ 11 giugno 1993, il tribunale dipartimentale di Bucarest accolse il mezzo avanzato dalla parrocchia ortodossa che riguardava la qualità per stare in giudizio del richiedente, e che il tribunale di prima istanza non aveva esaminato.
9. Il 16 febbraio 1994, dopo rinvio, il tribunale di prima istanza di Bucarest respinse l’azione del richiedente come inammissibile. Giudicò che, dal momento che i credenti che frequentano la chiesa in questione erano ortodossi, la parrocchia ortodossa era l’unica in diritto di utilizzare la chiesa ed ad avere il requisito per stare in giudizio. Secondo il tribunale, i documenti che attestano il diritto di proprietà del richiedente erano privi di pertinenza nello specifico.
10. Il richiedente interpose appello.
11. Con una sentenza del 19 dicembre 1994, dopo parecchi rinvii del pronunziato, il tribunale dipartimentale di Bucarest respinse l’appello riprendendo la motivazione del tribunale di prima istanza.
12. Il richiedente formò un ricorso.
13. Con una sentenza del 25 settembre 1995, la corte di appello di Bucarest accolse il ricorso, stimando che la sentenza del tribunale dipartimentale di Bucarest non era motivata rispetto all’oggetto dell’azione.
14. Dopo rinvio, con una decisione interlocutoria del 12 dicembre 1996, il tribunale dipartimentale di Bucarest, su richiesta delle parti, sospese la causa fino al 20 febbraio 1997 in vista dei negoziati per un eventuale ordinamento amichevole della causa.
15. In seguito al fallimento di questi negoziati, il tribunale dipartimentale di Bucarest riprese l’esame della causa e, con una sentenza del 25 giugno 1998, respinse di nuovo l’appello del richiedente come inammissibile in ragione della mancanza di qualità per stare in giudizio dell’interessata.
16. Il richiedente formò un ricorso invocando, tra l’altro, l’articolo 6 della Convenzione e l’esigenza del termine ragionevole dei procedimenti.
17. Con una sentenza del 29 marzo 1999, la corte di appello di Bucarest accolse il ricorso, considerando che, non essendo condizionato il diritto di accesso alla giustizia dal numero dei credenti di una parrocchia, il richiedente aveva requisito per stare in giudizio. Rinviò la causa dinnanzi al tribunale di prima istanza di Bucarest per un nuovo esame.
18. Il 16 novembre 1999, il tribunale di prima istanza sollevò d’ufficio l’eccezione d’incompetenza ratione materiae dei tribunali a deliberare sulle cause riguardanti la situazione giuridica delle chiese e delle case parrocchiali di cui i rappresentanti del culto ortodosso si erano impossessati. Il tribunale si basava sulle disposizioni dell’articolo 3 del decreto no 126/1990 che contemplava che la situazione di tali beni doveva essere decisa da una commissione mista.
19. Il richiedente replicò nelle suoi conclusioni che il rigetto della sua azione in virtù dell’articolo 3 del decreto no 126/1990 si analizzerebbe in realtà come un’incomprensione del suo diritto di accesso ad un tribunale garantito dall’articolo 6 della Convenzione.
20. Con un giudizio del 23 novembre 1999, il tribunale di prima istanza accolse l’eccezione. Considerò che l’articolo 3 del decreto in questione istituiva un procedimento preliminare ad ogni azione in giustizia che non contravveniva al diritto di accesso ad un tribunale. Citò parecchie decisioni rese in questo senso dai tribunali nelle cause di restituzione di chiese appartenute al culto uniate.
21. Il richiedente interpose appello.
22. Con una sentenza del 30 novembre 2000, il tribunale dipartimentale di Bucarest accolse l’appello e, dopo avere riconosciuto la competenza delle giurisdizioni per pronunciarsi sulla situazione giuridica dei beni appartenuti al culto uniate, rinviò la causa dinnanzi al tribunale di prima istanza.
23. Il richiedente e la convenuta formarono un ricorso. Il richiedente chiese che fosse il tribunale dipartimentale a decidere il merito della causa.
24. Con una sentenza del 9 marzo 2001, la corte di appello di Bucarest respinse i due ricorsi. Qualificando l’azione del richiedente come azione di rivendicazione dei beni, confermò la conclusione del tribunale dipartimentale per ciò che riguardava la competenza dei tribunali per pronunciarsi sulla situazione giuridica dei beni appartenuti al culto uniate.
25. Dopo rinvio, con una decisione interlocutoria del 21 settembre 2001, il tribunale di prima istanza di Bucarest, su richiesta delle parti, sospese la causa fino al 26 ottobre 2001 in vista dei negoziati extragiudiziali.
26. In seguito al fallimento dei negoziati, il tribunale di prima istanza di Bucarest riprese l’esame della causa. Con una decisione del 26 ottobre 2001, declinò la sua competenza a favore del tribunale dipartimentale in virtù dell’articolo 2 § 1 b) del codice di procedura civile, al motivo che il valore dei beni controversi superava i 2 miliardi di lei.
27. Con una sentenza del 20 giugno 2002, il tribunale dipartimentale di Bucarest respinse l’azione come inammissibile in virtù dell’articolo 8 § 2 della legge no 10/2001 sul regime giuridico dei beni presi abusivamente dallo stato tra il 6 marzo 1945 ed il 22 dicembre 1989. Questo articolo contemplava che il regime giuridico degli immobili appartenuti ai culti religiosi ed passati in possesso dello stato o di altre persone giuridiche sarebbe stato regolamentato da atti normativi speciali.
28. Il richiedente interpose appello.
29. Con una decisione sull’ammissibilità del 12 novembre 2002, la corte di appello di Bucarest accolse l’appello del richiedente, stimando che i tribunali erano competenti per decidere il merito della controversia. Considerò la causa per esaminarne il merito e precisò che vi avrebbe proceduto una volta la sua decisione sull’ammissibilità diventata definitiva.
30. La parte convenuta formò un ricorso contro la decisione della corte di appello.
31. Con una sentenza del 20 maggio 2003, l’Alta Corte di cassazione e di giustizia respinse il ricorso come inammissibile, giudicando che la decisione sull’ammissibilità del 12 novembre 2002 era una decisione intermedia che poteva essere oggetto di un ricorso solo una volta deciso il merito della causa.
32. Il 2 marzo 2004, la corte di appello di Bucarest respinse l’azione del richiedente come inammissibile. Sottolineò che, sebbene il richiedente avesse dimostrato il suo diritto di proprietà sui beni rivendicati, non aveva rispettato il procedimento speciale previsto dall’ordinanza di emergenza del Governo no 94/2000, una norma derogatoria al diritto comune, che regolava le modalità di restituzione dei beni che i culti religiosi, dopo essere stati proprietari, avevano perso durante il periodo comunista.
33. Il richiedente ricorse in cassazione. Denunciava, a titolo principale, il cambiamento arbitrario da parte della corte di appello del fondamento giuridico della sua azione, facendo valere che la sua azione era fondata sull’articolo 480 del codice civile e non sull’ordinanza di emergenza citata dalla corte di appello. Inoltre, adduceva la violazione del suo diritto di accesso ad un tribunale garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione così come dei suoi diritti protetti dagli articoli 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1. Si lamentava anche che il procedimento non fosse stato deciso in un termine ragionevole.
34. Con una sentenza del 2 febbraio 2005, l’Alta Corte di cassazione e di giustizia accolse il ricorso, annullò la sentenza della corte di appello di Bucarest e le rinviò la causa. Giudicò che la corte di appello aveva ignorato il principio della non-retroattività della legge civile facente applicazione dell’ordinanza di emergenza no 94/2000 e che avrebbe dovuto esaminare l’azione in virtù dell’articolo 480 del codice civile invocato dal richiedente. Considerò che ciò costituiva anche una violazione degli articoli 6 e 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1.
35. Con una sentenza del 24 novembre 2005, la corte di appello di Bucarest accolse l’azione del richiedente. Giudicò che il richiedente non aveva mai perso la proprietà dei suddetti beni poiché il decreto no 358/1948 contemplava che i beni mobili ed immobili del culto passavano nel patrimonio dello stato, eccetto i beni appartenenti alle parrocchie, e che, in più, la commissione interdipartimentale incaricata di fissare la destinazione finale di questi ultimi beni non li aveva mai assegnati allo stato o ad un’altra entità. Ordinò alla parrocchia ortodossa di cedere il possesso della chiesa, del campanile, della casa parrocchiale e del terreno afferente di 2 160 m² al richiedente.
36. La parrocchia ortodossa ricorse in cassazione.
37. Con una sentenza del 15 giugno 2006, l’Alta Corte di cassazione e di giustizia constatò la nullità del ricorso della parrocchia ortodossa per motivazione tardiva.
38. Durante il procedimento, il richiedente chiese a sette riprese il rinvio delle udienze al motivo che i suoi rappresentanti non potevano essere presenti. I tribunali fecero diritto a ciascuna di queste richieste.
2. Azione di rivendicazione introdotta dal richiedente contro la parrocchia ortodossa
39. Nel frattempo, il richiedente aveva investito il tribunale dipartimentale di Bucarest di un’azione di rivendicazione della chiesa, della casa parrocchiale e del terreno afferente, il 18 luglio 2000, beni ubicati al numero 50 di via Polonă, a Bucarest.
40. Secondo il richiedente, all’epoca dell’udienza del 1 novembre 2000, il giudice unico dichiarò di non gradire l’idea di immischiarsi delle cause delle chiese.
41. All’epoca dell’udienza del 29 novembre 2000, il giudice unico negò di versare alla pratica dei documenti prodotti dal richiedente.
42. Con un giudizio del 7 marzo 2001, il tribunale dipartimentale dichiarò l’azione inammissibile, stimando che i tribunali non erano competenti per deliberare sulla situazione giuridica dei beni controversi.
43. Il richiedente interpose appello. Denunciò tra l’altro una violazione degli articoli 6 e 9 della Convenzione e rinviò ad una decisione resa dall’Alta Corte di cassazione e di giustizia secondo la quale i tribunali erano competenti per decidere le azioni riguardanti la restituzione dei beni persi durante il periodo comunista. All’epoca dell’udienza pubblica del 12 dicembre 2001, si riferì inoltre alla sentenza della corte di appello di Bucarest del 9 marzo 2001 (punto 1 sopra) con cui la corte aveva deciso a favore della competenza dei tribunali di deliberare in tali casi.
44. Con una sentenza del 19 dicembre 2001, la corte di appello di Bucarest respinse l’appello e confermò il giudizio pronunciato in prima istanza.
45. Il richiedente ricorse in cassazione.
46. Il 24 settembre 2002, l’Alta Corte di cassazione e di giustizia rinviò al 4 febbraio 2003 l’istanza a causa dell’irregolarità del procedimento di citazione della parte convenuta.
47. Il 4 febbraio 2003, l’Alta Corte rinviò l’istanza al 22 aprile 2003 su richiesta della parte convenuta in vista della preparazione della sua difesa.
48. Il 22 aprile 2003, l’Alta Corte rinviò l’istanza al 25 novembre 2003 su richiesta del richiedente che desiderava prendere cognizione dell’esposto in difesa e dei documenti prodotti dalla parrocchia ortodossa all’epoca dell’udienza pubblica.
49. Con una sentenza del 25 novembre 2003, l’Alta Corte annullò la sentenza della corte di appello di Bucarest e rinviò la causa dinnanzi a questa. Giudicò difatti che i tribunali erano competenti per deliberare sull’azione di rivendicazione del richiedente e che la sentenza della corte di appello ignorava il principio del libero accesso alla giustizia garantito dalla Costituzione e dall’articolo 6 della Convenzione.
50. Con una sentenza del 24 marzo 2004, la corte di appello di Bucarest accolse l’appello ed iscrisse la causa al suo ruolo.
51. Con una sentenza del 16 giugno 2004, la corte di appello di Bucarest respinse l’azione. Fece valere che, con la sentenza del 2 marzo 2004, aveva già respinto un’azione di rivendicazione del richiedente riguardante gli stessi beni. Riconobbe così l’autorità della cosa giudicata a questa ultima sentenza.
52. Il richiedente ricorse in cassazione.
53. Con una sentenza interlocutoria del 6 giugno 2007, l’Alta Corte di cassazione e di giustizia decise di sospendere l’esame della causa in ragione della mancanza delle parti al processo malgrado le convocazioni a comparire che erano state indirizzate loro.
54. Durante il procedimento, il richiedente chiese a tre riprese il rinvio delle udienze al motivo che i suoi rappresentanti non potevano essere presenti. I tribunali fecero diritto a ciascuna di queste richieste.
3. Situazione reale dei beni rivendicati
55. Il richiedente menziona che, durante tutta la durata dei procedimenti impegnati, ha dovuto ufficiare in una chiesa romano-cattolico secondo un calendario rigoroso e contro pagamento.
56. Al presente, gode del possesso dei suddetti beni.
57. Il 18 dicembre 2006, l’arcivescovado uniate e l’arcivescovado ortodosso di Bucarest conclusero un accordo d’ esecuzione della sentenza della corte di appello di Bucarest del 24 novembre 2005. In esecuzione di questo accordo, l’arcivescovado ortodosso cedette a favore del richiedente il possesso della chiesa situata al numero 50 di via Polonă, a partire dal 28 dicembre 2006, e della casa parrocchiale e del terreno afferente a partire dal 1 febbraio 2007.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
A. La Costituzione
58. Le disposizioni pertinenti nello specifico della Costituzione del 1991 si leggono così:
Articolo 11 § 2
“I trattati ratificati dal Parlamento secondo le vie legali fanno parte integrante dell’ordine giuridico interno. “
Articolo 20
“(1) le disposizioni costituzionali concernente i diritti e le libertà dei cittadini saranno interpretate ed applicate in conformità con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ed i patti ed altri trattati ai quali la Romania è parte.
(2) in caso di contraddizione tra i patti e i trattati concernenti i diritti fondamentali dell’uomo ai quali la Romania è parte e le leggi interne, le disposizioni internazionali prevalgono. “
Articolo 21
“(1) ogni persona può investire i tribunali in vista della difesa dei suoi diritti, delle sue libertà e dei suoi interessi legittimi.
(2) nessuna legge può impedire l’esercizio di questo diritto. “
Articolo 133 § 2
“Il Consiglio superiore della magistratura assolve il ruolo di consiglio disciplinare dei giudici. “
59. La Costituzione rivista il 31 ottobre 2003 è redatta così nelle sue parti pertinenti nello specifico:
Articolo 20 § 2
“(2) in caso di contraddizione tra i patti e i trattati concernenti i diritti fondamentali dell’uomo ai quali la Romania è parte e le leggi interne, le disposizioni internazionali prevalgono, salvo se la Costituzione o le leggi interne contengono delle disposizioni più favorevoli. “
Articolo 21 § 3
“Le parti hanno diritto ad un processo equo ed all’esame delle loro azioni in giustizia in un termine ragionevole. “
Articolo 133
“(2) il Consiglio superiore della magistratura assolve il ruolo di tribunale (instanţă de judecată) (…) nell’ambito della responsabilità disciplinare dei giudici e dei procuratori, in conformità col procedimento stabilito dalla sua legge organica. (…)
(3) le decisioni del Consiglio superiore della magistratura in materia disciplinare possono essere contestate dinnanzi all’Alta Corte di cassazione e di giustizia. “
B. La legge no 92 del 4 agosto 1992 sull’organizzazione giudiziale, come ripubblicata il 30 settembre 1997 (la legge no 92/1992)
60. Il titolo VII del legge no 92/1992 riguarda la responsabilità disciplinare dei magistrati. Questa responsabilità è impegnata in caso di trasgressione nel compimento delle loro funzioni (îndatoriri de serviciu) e di comportamenti che possono nuocere all’interesse del servizio o al prestigio della giustizia. L’azione disciplinare contro i giudici è impegnata dal ministro della Giustizia che può investire il Consiglio superiore della magistratura dopo avere ricevuto i risultati di un’inchiesta preliminare. Le sanzioni disciplinari sono l’avvertimento, la diminuzione dello stipendio, il trasferimento temporaneo in un altro tribunale, la sospensione temporanea della posizione, il rinvio della magistratura.
61. Questo titolo è stato abrogato dalla legge no 303 del 28 giugno 2004 sullo statuto dei magistrati.
C. La legge no 303 del 28 giugno 2004 sullo statuto dei magistrati (la legge no 303/2004)
62. Secondo l’articolo 95 della legge no 303/2004, ogni persona può investire il Consiglio superiore della magistratura dei casi che dipendono dall’attività o dal comportamento inadatto, della trasgressione agli obblighi professionali o dalla commissione di una mancanza disciplinare da parte di un magistrato. Secondo l’articolo 97 f) della legge, è considerata come mancanza disciplinare la mancata osservanza in modo ripetuto delle disposizioni legali relative all’esame delle azioni con celerità. L’articolo 98 della legge contempla le sanzioni disciplinari che sono simili a quelle iscritte nella legge no 92/1992.
D. La legge no 304 del 28 giugno 2004 sull’organizzazione giudiziale (la legge no 304/2004)
63. Questa legge ha abrogato la maggior parte delle disposizioni della legge no 92/1992. Secondo l’articolo 10 della legge no 304/2004, ogni persona ha diritto ad un processo equo e condotto in un termine ragionevole.
III. I LAVORI DELLA COMMISSIONE EUROPEA PER LA DEMOCRAZIA TRAMITE IL DIRITTO (COMMISSIONE DI VENEZIA)
64. All’epoca della sua 69a sessione plenaria (15-16 dicembre 2006), la Commissione di Venezia ha adottato un “Studio sull’effettività dei ricorsi interni in materia di durata eccessiva dei procedimenti”, documento CDL-AD(2006)036 i cui brani pertinenti nello specifico sono i successivi:
“59. In modo generale, la maggior parte degli Stati membri del Consiglio dell’Europa [eccetto l’Armenia, l’Azerbaigian, la Grecia, la Romania e la Turchia] dispongono di un mezzo procedurale che permette agli individui di sporgere querela in caso di durata eccessiva di un procedimento.
65. I ricorsi aperti in caso di durata ritenuta eccessiva dei procedimenti possono essere introdotti in differenti modi.
-I ricorsi preventivi o di accelerazione mirano ad accorciare la durata dei procedimenti per evitare che non diventi eccessiva, mentre i ricorsi per risarcimento forniscono agli individui un indennizzo per i ritardi già provocati, sia che il procedimento sia ancora pendente o che sia finito.
-I ricorsi pecuniari offrono un risarcimento finanziario per il danno subito, materiale e/o giuridico. I ricorsi non pecuniari offrono un risarcimento morale, per esempio la riconoscenza della violazione o l’alleggerimento di una pena.
-Certi ricorsi sono al tempo stesso aperti per i procedimenti pendenti e compiuti, mentre altri lo sono solamente per i procedimenti pendenti. Difatti, quando un procedimento è finito, i ricorsi di accelerazione non avrebbero evidentemente nessuna utilità, ed il ricorso può consistere dunque solo in un risarcimento per il danno subito a causa della durata eccessiva del procedimento o in un’azione disciplinare contro l’autorità responsabile di questa durata eccessiva.
-Certi ricorsi possono essere applicabili a tutti i tipi di procedimenti (civili, amministrative o penali) mentre altri si applicano solamente ai procedimenti penali.
142. Di fatto, la Corte precisa che una combinazione dei due tipi di ricorso, uno destinato ad accelerare il procedimento e l’altro a portare un risarcimento, potrebbe sembrare costituire la migliore soluzione.
147. Un’azione disciplinare contro il giudice che ha dato prova di lentezza può essere assimilata ad un ricorso effettivo contro la durata dei perseguimenti ai termini dell’articolo 13 della Convenzione unicamente se ha una “conseguenza diretta ed immediata sul procedimento che ha dato adito a querela.” Ne segue che l’azione disciplinare deve presentare un certo numero di caratteristiche specifiche. Se viene depositata una querela, l’organo di controllo deve avere per obbligo di studiare la questione col giudice che ha fatto prova di lentezza. Il richiedente deve essere parte al procedimento. La decisione, qualunque sia, non deve avere unicamente degli effetti sulla situazione personale del giudice in causa.
148. Qualunque sia la forma del risarcimento, deve accompagnarsi della riconoscenza della violazione intervenuta. Di fatto, la giurisdizione interna deve riconoscere che l’esigenza di una durata ragionevole non è stata soddisfatta e che una misura specifica deve essere presa allo scopo di riparare la mancata osservanza del “termine ragionevole”, ai sensi dell’articolo 6 paragrafo 1 della Convenzione. Questa riconoscenza deve esistere “almeno in sostanza.”
151. L’articolo 13 non esige che un ricorso specifico venga contemplato per ciò che riguarda la durata eccessiva dei procedimenti; un ricorso costituzionale o giuridico generale, come un’azione in vista di stabilire la responsabilità non contrattuale dello stato, può bastare. Tale azione deve presentare tuttavia, un carattere effettivo tanto sul piano del diritto che su quello della pratica.
152. In mancanza di una base giuridica specifica, l’esistenza del ricorso e la portata della sua applicazione deve essere enunciata chiaramente e deve essere confermata, completate o, tramite la pratica degli organi competenti e/o la giurisprudenza appropriata.
153. Qualunque sia la misura ordinata dall’autorità competente, il ricorso interno per durata eccessiva soddisfarà le esigenze della Convenzione solo se ha acquisito, in teoria ed in pratica, la certezza giuridica sufficiente che permette al richiedente di averla utilizzata al momento del deposito di una richiesta presso la Corte.
158. Non occorre che i “ricorsi contro i ritardi” previsti dal diritto interno restino semplicemente teorici: deve esistere una giurisprudenza sufficiente che prova che l’esercizio di questi ricorsi può permettere realmente di accelerare il procedimento o di ottenere un risarcimento adeguato.
159. In mancanza di giurisprudenza specifica, un ricorso può essere considerato come “effettivo” se la formula della legge in questione indica senza equivoci che mira espressamente a regolare il problema della durata eccessiva di procedimenti dinnanzi alle giurisdizioni interne. “
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
65. Il richiedente adduce parecchi attentati al suo diritto ad un processo equo garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione. Questa disposizione è formulata così nella sua parte pertinente nello specifico:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita in un termine ragionevole, da un tribunale indipendente ed imparziale, stabilito dalla legge che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Sulla durata dei procedimenti impegnati dal richiedente
66. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta della durata eccessiva dei due procedimenti che miravano al recupero dei beni ubicati al numero 50 di via Polonă, a Bucarest.
1. Sulla durata del procedimento di sfratto
a) Sull’ammissibilità
67. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
b) Sul merito
i. Il periodo da prendere in considerazione
68. Il periodo da considerare è cominciato solamente con la presa d’effetto, il 20 giugno 1994, della riconoscenza del diritto di ricorso individuale da parte della Romania. Per valutare il carattere ragionevole dei termini trascorsi a partire da questa data, bisogna tenere conto dello stato in cui la causa si trovava allora. Conviene così notare che le giurisdizioni nazionali sono state investite della causa più di due anni prima dell’entrata in vigore della Convenzione a riguardo della Romania.
Il periodo in questione si è concluso il 15 giugno 2006, con la sentenza dell’Alta Corte di cassazione e di giustizia. È durato dunque quasi dodici anni per quattro gradi di giurisdizione.
ii. Sul carattere ragionevole della durata del procedimento
69. La richiedente stima che la durata del procedimento analizzato è eccessiva. Citando la causa Străin ed altri c. Romania (no 57001/00, CEDH 2005-VII,) sostiene che la sua causa non era complessa poiché si trattava in definitiva di un’azione di rivendicazione. Precisa poi che le sue richieste di rinvio delle udienze erano motivate dall’impossibilità obiettiva per i suoi avvocati di presentarsi alle udienze. Sostiene inoltre che la durata del procedimento è imputabile ai tribunali, avendo questi annullato a cinque riprese delle decisioni per difetti di procedimento che possono essere rimproverati ai tribunali inferiori, ciò che gli sembra dimostrare una deficienza seria nel sistema giudiziale nazionale (Wierciszewska c. Polonia, no 41431/98, § 46, 25 novembre 2003). Infine, sottolinea l’ampiezza della posta della causa per lei e ricorda che ha dovuto ufficiare in una chiesa romano-cattolico secondo un calendario rigoroso e contro pagamento.
70. Il Governo sostiene che il procedimento in questione era complesso dal momento che i tribunali si sono dovuti pronunciare su due eccezioni che miravano ratione materiae la loro competenza, sull’imparzialità di un giudice e su una richiesta di ricusazione, e che il procedimento ha conosciuto parecchie cassazioni con rinvio. Peraltro, secondo lui, non ci sono stati dei lunghi periodi di inoperosità dei tribunali, essendo state fissate le udienze ad intervalli regolari. Infine, il Governo fa notare che il richiedente a chiesto il rinvio dell’udienza a sette riprese al motivo che i suoi rappresentanti non potevano essere presenti, ed a due riprese in vista di negoziati tra le parti ai fini di un eventuale ordinamento amichevole della causa.
71. La Corte ricorda che il carattere ragionevole della durata di un procedimento si rivaluta secondo le circostanze della causa ed avuto riguardo ai criteri consacrati dalla sua giurisprudenza, in particolare la complessità della causa, il comportamento del richiedente e quello delle autorità competenti così come la posta della controversia per gli interessati (vedere, tra molte altre, Frydlender c. Francia [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
72. Ha concluso peraltro, già, in molte cause che sollevavano delle questioni simili a quelle del presente caso, alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (Frydlender precitata).
73. Nello specifico, stima che né la complessità della causa né il comportamento del richiedente non spiega la durata del procedimento.
74. Per ciò che riguarda il comportamento dei tribunali nazionali, la Corte constata che il ritardo nel procedimento è stato causato dalle cassazioni e dai rinvii successivi della causa. Così, la causa è stata rinviata cinque volte dinnanzi al tribunale di prima istanza, il tribunale dipartimentale o la corte di appello di Bucarest, per parecchie ragioni,: omissione di esaminare un motivo di appello, mancanza di motivazione, constatazioni scorrette in quanto alla questione della qualità per stare in giudizio della richiedente o della competenza dei tribunali per pronunciarsi sull’azione del richiedente. Inoltre, il rinvio della causa poteva continuare all’infinito, non potendo mettere nessuna disposizione legale un termine. A questo riguardo, la Corte ricorda che, sebbene non essendo competente per analizzare il modo in cui le giurisdizioni nazionali hanno interpretato ed applicato il diritto interno, considera tuttavia che le cassazioni con rinvio sono dovute in generale agli errori commessi dalle giurisdizioni inferiori (Wierciszewska, precitata, § 46) e che la ripetizione di tali cassazioni denota una deficienza di funzionamento del sistema giudiziale (Cârstea e Grecu c. Romania, no 56326/00, § 42, 15 giugno 2006).
75. Nello specifico, dopo avere esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti e tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte stima che la durata del procedimento controverso è eccessiva e non risponde all’esigenza del “termine ragionevole.”
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 per ciò che riguarda il procedimento di sfratto.
2. Sulla durata del procedimento di rivendicazione
a) Sull’ammissibilità
76. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
b) Sul merito
i. Il periodo da prendere in considerazione
77. Il periodo da considerare è cominciato il 18 luglio 2000 e si è concluso il 6 giugno 2007 quando l’Alta Corte di cassazione e di giustizia ha deciso di sospendere l’esame della causa in ragione della mancanza delle parti all’udienza. È durato sei anni, dieci mesi e venti giorni, dunque, per tre gradi di giurisdizione.
ii. Sul carattere ragionevole della durata del procedimento
78. La richiedente stima che la causa non presentava nessuna difficoltà particolare. Sottolinea che le sue richieste di rinvio di udienza erano motivate dall’impossibilità obiettiva per i suoi avvocati di presentarsi alle udienze. Secondo lei, la durata del procedimento è imputabile ai tribunali che, per più di sei anni, non si sono pronunciati sul merito della causa. Peraltro, sottolinea l’ampiezza della posta della causa per lei e ricorda che ha dovuto ufficiaee in una chiesa romano-cattolico secondo un calendario rigoroso e contro pagamento.
79. Il Governo sostiene che il procedimento in questione era complesso dato che i tribunali hanno dovuto ottenere delle informazione da parte delle autorità giudiziali nazionali e che il procedimento ha conosciuto una cassazione con rinvio. Peraltro, secondo lui, non ci sono stati dei lunghi periodi di inoperosità dei tribunali, essendo state fissate le udienze ad intervalli regolari. Infine, il Governo fa notare che il richiedente ha chiesto a tre riprese il rinvio dell’udienza al motivo che i suoi avvocati non potevano essere presenti.
80. Avuto riguardo ai criteri sopra menzionati (paragrafo 71 sopra) la Corte stima che né la complessità della causa né il comportamento del richiedente non spiegano la durata del presente procedimento.
81. Per ciò che riguarda il comportamento dei tribunali nazionali, la Corte constata che gli intervalli tra le udienze hanno raggiunto parecchi mesi talvolta( paragrafi 46-51 sopra) e che non si giustificavano rispetto agli atti di procedimento che le parti dovevano eseguire.
82. La Corte rileva poi che, nello spazio di più di sei anni, i tribunali non hanno mai esaminato il merito della causa ma che si sono limitati a respingere l’azione come inammissibile per diverse ragioni. Ora incombe sugli Stati contraenti di organizzare il loro sistema giudiziale in modo tale che le loro giurisdizioni possano garantire a ciascuno il diritto di ottenere una decisione definitiva sulle contestazioni relative ai suoi diritti ed obblighi di carattere civile in un termine ragionevole (Zwierzynski c. Polonia, no 34049/96, § 55, CEDH 2001-VI). Infine, la Corte nota che in questo procedimento vi è stata anche una cassazione motivata dal rifiuto dei tribunali di esaminare la causa al merito.
83. Dopo avere esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti e tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte stima che nello specifico la durata del procedimento controverso è eccessiva e non risponde all’esigenza del “termine ragionevole.”
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 anche per ciò che riguarda il procedimento di rivendicazione.
B. Sugli altri motivi di appello tratti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione
84. Il richiedente si lamenta dell’incomprensione del suo diritto di accesso ad un tribunale al motivo che i tribunali hanno respinto a più riprese le sue azioni per incompetenza ratione materiae, rifiutando così di esaminare il merito delle azioni. Si lamenta anche della mancanza di imparzialità dei tribunali. Così, per ciò che riguarda il primo procedimento che si è concluso con la sentenza dell’Alta Corte di cassazione e di giustizia del 15 giugno 2006, il richiedente si lamenta che i tribunali hanno utilizzato il criterio dell’orientamento religioso dei credenti per decidere dell’utilizzazione dell’edificio del culto; denuncia inoltre i cambiamenti ricorrenti della composizione delle formazioni di giudizio ed il carattere lacunoso e negligente della trascrizione dei dibattimenti. Per ciò che riguarda il secondo procedimento, il richiedente reitera che una dei giudici ha affermato di non amare immischiarsi delle cause delle chiese e che un altro giudice ha negato di versare alla pratica dei documenti prodotti da lei; infine, stima che la corte di appello di Bucarest, nella sua sentenza del 19 dicembre 2001, ha contraddetto la sua propria giurisprudenza, dal momento che aveva concluso il 9 marzo 2001 alla competenza dei tribunali per pronunciarsi sulla situazione giuridica dei beni appartenenti ai culti religiosi.
85. Per ciò che riguarda il primo procedimento, la Corte nota che è arrivata all’accoglimento dell’azione del richiedente e che si è concluso con la sentenza dell’Alta Corte di cassazione e di giustizia del 15 giugno 2006. La Corte stima dunque che il richiedente non è più vittima dell’incomprensione dell’articolo 6 della Convenzione che adduce, che questa parte del motivo di appello è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e che deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 § 4.
86. Per ciò che riguarda il secondo procedimento, la Corte osserva che il suo esame è stato sospeso con la decisione interlocutoria dell’Alta Corte di cassazione e di giustizia del 6 giugno 2007 in ragione della mancanza delle parti all’udienza. Ne segue che questo motivo di appello deve essere respinto per non-esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE PER CIÒ CHE RIGUARDA I MOTIVI DI APPELLO TRATTI DALL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
87. Il richiedente adduce parecchi attentati al suo diritto ad un ricorso effettivo garantito dall’articolo 13 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
A. Sull’esistenza di un ricorso effettivo che permette di denunciare la durata irragionevole dei procedimenti
88. La richiedente si lamenta di non disporre in dritto interno di nessuna via di ricorso che le permetta di lamentarsi della durata eccessiva dei due procedimenti impegnati in vista della restituzione dei beni controversi.
1. Tesi delle parti
89. Il Governo stima che il richiedente poteva investire il Consiglio superiore della magistratura di una querela relativa alla durata del procedimento interno. Aggiunge che in virtù delle leggi no 92/1992 e no 303/2004, questa istituzione può essere investita di una querela relativa alla mancata osservanza da parte dei magistrati di un obbligo legale che spetta loro, ossia quello di decidere con celerità le cause che sono state assegnate loro, e che l’incomprensione di un obbligo iscritto nello statuto dei magistrati può provocare la responsabilità disciplinare della persona riguardata.
90. Nota poi che tale possibilità raffigura tra i rimedi esaminati dalla Commissione di Venezia nel suo studio sulle vie di ricorso da utilizzare per l’ottenimento di un risarcimento in caso di durata eccessiva dei procedimenti. Considera che il Consiglio superiore della magistratura, essendo formato da giudici e da procuratori ed esercitando delle funzioni giurisdizionali nel procedimento disciplinare, beneficia delle garanzie di legalità e di imparzialità in ragione della sua composizione. Considera inoltre che si tratta di un’istanza nazionale che presenta un’efficacia quasi simile ad un’istanza giudiziale. Non esigendo l’articolo 13 della Convenzione che “l’istanza” sia un’istituzione giudiziale, stima che le esigenze di questa disposizione sono assolte nello specifico.
91. Il Governo rileva poi che la Costituzione rumena accorda la preminenza ai trattati in materia di diritti dell’uomo e permette l’applicazione diretta della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della giurisprudenza della Corte; quindi, secondo il Governo, sarebbe stato lecito per richiedente presentare direttamente dinnanzi alle istanze interne un’azione fondata sulla durata del procedimento. Sottolinea a questo riguardo che le giurisdizioni nazionali fanno spesso appello alla giurisprudenza della Corte nelle loro decisioni e che questo aspetto registra un’evoluzione continua, il che lo conduce alla conclusione che, se fossero state investite di tale azione, l’avrebbero esaminata. Rinvia alla sentenza del 2 febbraio 2005 pronunziata nel primo procedimento controverso con cui l’Alta Corte di cassazione e di giustizia ha fatto applicazione degli articoli 6 e 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1 (paragrafo 34 sopra).
92. Riferendosi alla sentenza Scordino c. Italia (no 1) ([GC], no 36813/97, CEDH 2006-V) la richiedente stima che la prima via indicata dal Governo non potrebbe passare per un ricorso effettivo. Difatti, secondo lei, una querela indirizzata al Consiglio superiore della magistratura che mette in causa la responsabilità dei magistrati non ha altro effetto che l’applicazione ai magistrati in causa delle sanzioni a carattere disciplinare; tale querela non sarebbe dunque, ai suoi occhi, di natura tale da arrivare alla concessione di un’indennità e non avrebbe potuto accelerare in nessun caso il procedimento in questione. La richiedente non sottopone alcun commento in quanto al secondo ricorso menzionato dal Governo.
2. Valutazione della Corte
a) Principi generali
93. In virtù dell’articolo 1 della Convenzione, ai termini del quale “[Le]Alti Parti contraenti riconoscono ad ogni persona che dipende dalla loro giurisdizione i diritti e le libertà definite al titolo I del Convenzione”, appartiene al primo capo alle autorità nazionali che spetta il collocamento in opera e la sanzione dai diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione. Il meccanismo di querela dinnanzi alla Corte riveste un carattere accessorio rispetto ai sistemi nazionali di salvaguardia dei diritti dell’uomo dunque. Questa sussidiarietà si esprime negli articoli 13 e 35 § 1 della Convenzione (Scordino, precitata, § 140, e Cocchiarella c. Italia [GC], no 64886/01, § 38, CEDH 2006-V).
94. L’articolo 13 della Convenzione garantisce l’esistenza in diritto interno di un ricorso che permette di prevalersi dei diritti e delle libertà della Convenzione come vi si possono trovare consacrati. Questa disposizione ha per conseguenza dunque di esigere un ricorso interno che abilita l’istanza nazionale competente ad esaminare il contenuto di un “motivo di appello difendibile” fondato sulla Convenzione ed ad offrire la correzione appropriata. L’effettività di un ricorso ai sensi dell’articolo 13 non dipende dalla certezza di una conclusione favorevole per il richiedente. Parimenti, l’insieme dei ricorsi offerti dal diritto interno può assolvere le esigenze dell’articolo 13, anche se nessuno di essi non vi risponde da solo.
95. La portata dell’obbligo derivante dall’articolo 13 varia in funzione della natura del motivo di appello che il richiedente fonda sulla Convenzione. Tuttavia, il ricorso richiesto dall’articolo 13 deve essere “effettivo” in pratica come in diritto (vedere, per esempio, la sentenza İlhan c. Turchia [GC], no 22277/93, § 97, CEDH 2000-VII).
96. I ricorsi di cui un giudicabile dispone sul piano interno per lamentarsi della durata di un procedimento sono “effettivi”, ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione, quando permettono di impedire il sopraggiungere o la continuazione della violazione addotta, o di fornire una correzione adeguata per ogni violazione all’interessato che si è già prodotta. Un ricorso è effettivo dunque dal momento che permette o di fare intervenire prima la decisione delle giurisdizioni investite, o di fornire al giudicabile un risarcimento adeguato per i ritardi già imputati (Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, §§ 157-158, CEDH 2000-XI, Mifsud c. Francia, (dec.) [GC], no 57220/00, § 17, CEDH 2002-VIII, e Sürmeli c. Germania [GC], no 75529/01, §§ 98-99, CEDH 2006-VII).
97. Essendo così, la Corte ha precisato recentemente che il migliore rimedio in assoluto è come in numerose ambiti, la prevenzione. Quando un sistema giudiziale è inadempiente a riguardo dell’esigenza derivante dall’articolo 6 § 1 della Convenzione in quanto al termine ragionevole, un ricorso che permette di fare accelerare il procedimento per impedire il sopraggiungere di una durata eccessiva costituisce la soluzione più efficace. Tale ricorso presenta un vantaggio incontestabile rispetto ad un ricorso unicamente indennizzante perché evita anche di dover constatare delle violazioni successive per lo stesso procedimento e non si limita ad agire a posteriori come fa un ricorso indennizzante. Certi Stati l’hanno compreso del resto perfettamente, scegliendo di combinare due tipi di ricorso, uno tendente all’accelerazione del procedimento, l’altro di natura indennizzante (Scordino precitata, §§ 183 e 186, e Cocchiarella precitata, §§ 74 e 77).
b) Applicazione dei principi al presente caso
98. Tenuto conto delle sue conclusioni in quanto al superamento del termine ragionevole dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (paragrafi 69-83 sopra) la Corte stima che il motivo di appello del richiedente riguardante la durata dei procedimenti impegnati dinnanzi ai tribunali nazionali costituisce un motivo di appello “difendibile” (vedere, mutatis mutandis, Öneryıldız c. Turchia [GC], no 48939/99, § 151, CEDH 2004-XI). Peraltro, stima che questa parte della richiesta solleva delle questioni di fatto e di diritto che meritano un esame al merito. Conclude che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e rileva inoltre che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità.
99. La Corte osserva che il Governo menziona due mezzi a disposizione della richiedente in caso di durata eccessiva di un procedimento: una querela disciplinare portata dinnanzi al Consiglio superiore della magistratura ed un’azione introdotta presso i tribunali. Secondo il Governo, il primo ricorso può essere fondato sulle disposizioni delle leggi numeri 92/1992 e 303/2004 ed il secondo sulla Costituzione.
100. Per ciò che riguarda il primo mezzo, la Corte rileva che non risulta dalle disposizioni delle due leggi menzionate dal Governo (paragrafi 60-62 sopra) che queste miravano espressamente all’ordinamento di un problema di durata eccessiva dei procedimenti dinnanzi alle giurisdizioni interne (vedere, a contrario, Slaviček c. Croazia, (dec.), no 20862/02, CEDH 2002-VII). Ad ogni modo, il Governo ha omesso di precisare se tale procedimento, avente come oggetto la responsabilità disciplinare dei giudici, avrebbe avuto delle conseguenze dirette ed immediate sulla durata dei procedimenti di cui il richiedente si lamentava. Si trattava di una delle condizioni considerate dalla Commissione di Venezia nel suo studio sull’effettività dei ricorsi interni in materia di durata eccessiva dei procedimenti (paragrafo 64, punto 147, sopra). La Corte constata anche che il Consiglio superiore della magistratura non può accordare neanche al richiedente alcun indennizzo per i ritardi già sopraggiunti. Ora, nelle cause di durata di procedimento, i richiedenti subiscono innanzitutto un danno morale per cui la Corte non li obbliga a provarne l’importo.
101. Alla vista di ciò che precede, la Corte stima che un procedimento disciplinare contro i giudici può avere unicamente degli effetti sulla situazione personale del magistrato in questione e non potrebbe passare quindi per un ricorso effettivo contro la durata eccessiva dei procedimenti (vedere, mutatis mutandis, Karrer ed altri c. Austria, no 7464/76, decisione della Commissione del 5 dicembre 1978, DR 14, Horvat c. Croazia, no 51585/99, § 47, CEDH 2001-VIII, e Kormacheva c. Russia, no 53084/99, § 62, 29 gennaio 2004).
102. Avuto riguardo a ciò che precede, la Corte stima che una richiesta fondata sulle leggi numeri 92/1992 sull’organizzazione giudiziale e 303/2004 sullo statuto dei magistrati non potrebbe essere considerata con un grado sufficiente di certezza come un ricorso effettivo nelle circostanze della causa del richiedente.
103. Per ciò che riguarda il secondo mezzo indicato dal Governo, la Corte rileva che la Convenzione è difatti direttamente applicabile in Romania e che prevale sulle disposizioni del diritto nazionale che sarebbero in contraddizione con lei (paragrafi 58-59 sopra). Ha considerato già peraltro che un sistema basato sul primato della Convenzione e della giurisprudenza relativa sui diritti nazionali è in grado di garantire al meglio il buon funzionamento del meccanismo di salvaguardia messo in posto dalla Convenzione e dai suoi protocolli addizionali (Dumitru Popescu c. Romania (no 2), no 71525/01, § 103, 26 aprile 2007).
104. Tuttavia, la Corte osserva che, nella presente causa, il Governo non ha fornito nessuno esempio in cui una persona si sarebbe appellata con successo alla Convenzione dinnanzi ad un’autorità nazionale per ottenere l’accelerazione dell’esame della sua causa civile o la concessione di danno-interessi per un ritardo già sopraggiunto. Questa mancanza di giurisprudenza indica la mancanza di certezza, nella pratica, di questo ricorso teorico (vedere, nello stesso senso, Sakık ed altri c. Turchia, 26 novembre 1997, § 53, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VII). In più, l’imprecisione rimane in quanto all’autorità alla quale rivolgersi, al procedimento da seguire ed al risultato di tale procedimento. La Corte stima quindi che un’istanza fondata sull’applicabilità diretta della Convenzione nel diritto rumeno non potrebbe avere il grado di certezza giuridica richiesto per potere costituire un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione (vedere, nello stesso senso, Doran c. Irlanda, no 50389/99, §§ 55-69, CEDH 2003-X (brani), e Rachevi c. Bulgaria, no 47877/99, § 64, 23 settembre 2004).
105. Infine, la Corte osserva che il richiedente ha denunciato, a due riprese ed invano, dinnanzi ai tribunali interni l’incomprensione del diritto all’esame della sua causa in un termine ragionevole, diritto garantito dall’articolo 6 della Convenzione (paragrafi 16 e 33 sopra).
106. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima che il Governo non ha provato sufficientemente nello specifico che il richiedente disponeva di un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione che gli avrebbe permesso di sollevare un motivo di appello fondato sulla durata del procedimento.
107. Questa conclusione non giudica a priori in nessun modo ogni evoluzione positiva che potrà conoscere, nell’avvenire, il diritto e la giurisprudenza interni su questo punto.
108. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione.
B. Sull’esistenza di un ricorso effettivo che permette di denunciare gli altri motivi di appello tratti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione
109. Il richiedente si lamenta dell’inesistenza in diritto rumeno di una via di ricorso che permette di denunciare le altre violazioni dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
110. Tenuto conto delle sue conclusioni in quanto ai motivi di appello tratti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere sopra paragrafi 84-6), la Corte stima che i motivi di appello della richiedente concernenti il difetto di accesso ad un tribunale e l’imparzialità dei tribunali non possono costituire dei motivi di appello “difendibili” ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione. Ne segue che questo motivo di appello è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 § 4.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 9 DELLA CONVENZIONE E DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1, PRESI ISOLATAMENTE E COMBINATI CON GLI ARTICOLI 13 E 14
111. la richiedente adduce che la sua libertà di religione è stata ostacolata, nella misura in cui il servizio religioso non ha potuto essere condotto in buone condizioni. Considerando che non aveva mai perso i beni in questione, si lamenta anche dell’incomprensione del suo diritto di proprietà su questi. Si appella a questo riguardo al rifiuto prolungato dei tribunali di riconoscere la loro competenza per decidere il merito della controversia riguardante il possesso dell’edificio di culto, della casa parrocchiale e del terreno afferente. Considera anche che le autorità nazionali hanno mancato al loro obbligo di garantire la sua libertà di religione ed il suo diritto al rispetto dei suoi beni senza discriminazione. Sostiene di essere stata inoltre privata di questi diritti per l’unica ragione che apparteneva al culto greco -cattolico minoritario e che era in controversia con la maggioranza ortodossa. Si lamenta infine che non esiste nessuna istanza nazionale alla quale avrebbe potuto sottoporre efficacemente i motivi di appello presentati sopra. Invoca gli articoli 9, 13 e 14 della Convenzione e l’articolo 1 del Protocollo no 1.
A. Sull’ammissibilità
112. La Corte constata, alla luce dell’insieme degli elementi in suo possesso, che questi motivi di appello non sono manifestamente mal fondati ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontrano nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararli ammissibili.
B. Sul merito
113. La Corte considera che questi motivi di appello sono legati direttamente al motivo di appello relativo alla durata del procedimento, esaminato sotto l’angolo dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. Avuto riguardo alle sue conclusioni che figurano sopra ai paragrafi 75 e 83, stima che non c’è luogo di deliberare sul merito di questi motivi di appello (vedere, mutatis mutandis, Laino c. Italia [GC], no 33158/96, § 25, CEDH 1999-I, Zanghì c. Italia, 19 febbraio 1991, § 23, serie A no 194-C, e Balcan c. Romania, no 37380/03, § 150, 29 luglio 2008).
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
114. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
115. La richiedente richiede 15 000 euro(EUR) per danno morale. Giustifica questo importo con lo sconforto provocato dalla durata irragionevole dei procedimenti impegnati in vista del recupero dei suoi beni; ciò l’ha mantenuta per più di quattordici anni nell’incertezza in quanto alla situazione giuridica dei suoi beni e nell’impossibilità di ufficiare nella sua propria chiesa. Sottolinea anche che durante tutti questi anni i beni hanno subito numerosi degradi che impongono dei lavori di ristrutturazione ora.
116. Il Governo stima in primo luogo che non è stato stabilito nessun legame di causalità tra il danno addotto e le presunte violazioni della Convenzione. In secondo luogo, citando parecchie sentenze della Corte, sostiene che la somma chiesta dal richiedente è eccessiva. Infine, stima che un’eventuale sentenza di condanna costituirebbe in sé un risarcimento sufficiente del danno morale addotto.
117. Trattandosi del risarcimento del danno morale, la Corte ha giudicato già che il danno diverso dal materiale può comprendere, per una persona giuridica, degli elementi più o meno “obiettivi” e “soggettivi”. Tra questi elementi, bisogna riconoscere la reputazione dell’entità giuridica, ma anche l’incertezza nella pianificazione delle decisioni da prendere, le agitazioni causate alla gestione dell’entità giuridica stessa le cui conseguenze non suscitano un calcolo esatto, ed infine, sebbene in una minima misura, l’angoscia ed i dispiaceri provati dai membri degli organi di direzione della società (Comingersoll S.p.A. c. Portogallo, [GC], no 35382/97, § 35, CEDH 2000-IV).
118. Nello specifico, il prolungamento dei procedimenti controversi al di là del termine ragionevole ha dovuto causare, a capo della parrocchia richiedente e dei suoi rappresentanti, dei dispiaceri considerevoli ed un’incertezza prolungata, non fosse che per il fatto dell’esercizio del culto. Questa si è vista in particolare privata della possibilità di beneficiare più velocemente della sua propria chiesa. A questo riguardo, la Corte stima dunque che la parrocchia richiedente è stata lasciata in una situazione di incertezza che giustifica la concessione di un’indennità.
119. La Corte considera che c’è luogo di concedere al richiedente 4 400 EUR a titolo del danno morale.
B. Oneri e spese
120. La richiedente chiede anche 7 560 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alla Corte, somma che si ripartisce così:
-5 160 EUR per la parcella di M. M., il primo avvocato che l’ha rappresentata dinnanzi alla Corte, da versare direttamente all’avvocato;
-2 100 EUR per la parcella di N. P., l’ultimo avvocato che l’ha rappresentata dinnanzi alla Corte, da versare direttamente all’avvocato;
-300 EUR per gli oneri di segreteria dell’associazione per la difesa dei diritti dell’uomo in Romania (il Comitato Helsinki).
121. Da parte sua, il Governo stima eccessiva la richiesta fatta per ciò che riguarda la parcella degli avvocati. Fa notare inoltre che il richiedente non ha prodotto nessuno giustificativo degli oneri di segreteria.
122. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico, avuto riguardo ai criteri menzionati, al conteggio dettagliato delle ore di lavoro che le è stato sottoposto ed alle questioni che la presente causa ha sollevato, la Corte concede per oneri e spese 2 500 EUR, da versare direttamente a M. , e 2 100 EUR, da versare direttamente a P..
C. Interessi moratori
123. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dall’articolo 6 § 1 e 13 della Convenzione per ciò che riguarda la durata irragionevole dei procedimenti impegnati dalla richiedente ed in quanto ad un ricorso effettivo a questo riguardo, e degli articoli 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1, presi soli e combinati con gli articoli 13 e 14 della Convenzione, ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione per ciò che riguarda la durata dei procedimenti impegnati dal richiedente;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione a ragione dell’inesistenza in dritto rumeno di un ricorso efficace che permette al richiedente di invocare la durata eccessiva dei procedimenti interni;
4. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare al merito i motivi di appello derivati dagli articoli 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1, presi soli e combinati con gli articoli 13 e 14 della Convenzione;
5. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve accordare, alla richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva in virtù dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme, da convertire nella moneta nazionale dello stato convenuto al tasso applicabile in data dell’ordinamento,:
i. 4 400 EUR (quattromila quattro cento euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale da versare al richiedente,
ii. 2 500 EUR (duemila cinque cento euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese, da versare direttamente alla prima rappresentante del richiedente, M., e 2 100 EUR (duemila cento euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese, da versare direttamente all’ultima rappresentante del richiedente, P.;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6. Respingela domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 7 aprile 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Cancelliere Presidente

Testo Tradotto

Conclusion Partiellement irrecevable ; Violation de l’art. 6-1 ; Violation de l’art. 13 ; Préjudice moral – réparation
TROISIÈME SECTION
AFFAIRE PAROISSE GRÉCO-CATHOLIQUE
SFÂNTUL VASILE POLONĂ c. ROUMANIE
(Requête no 65965/01)
ARRÊT
STRASBOURG
7 avril 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Paroisse gréco-catholique Sfântul Vasile Polonă c. Roumanie,
La Cour européenne des droits de l’homme (troisième section), siégeant en une chambre composée de :
Josep Casadevall, président,
Elisabet Fura-Sandström,
Corneliu Bîrsan,
Boštjan M. Zupančič,
Alvina Gyulumyan,
Ineta Ziemele,
Ann Power, juges,
et de Santiago Quesada, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 17 mars 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 65965/01) dirigée contre la Roumanie et dont une paroisse sise dans cet État, la paroisse gréco-catholique S. V. P. (« la requérante »), a saisi la Cour le 27 janvier 2001 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. La requérante a été représentée, dans un premier temps, par Mes M. M et I. B., avocates à Bucarest, et, à présent, par Me N. P., avocate à Bucarest. Le gouvernement roumain (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, M. R.-H. Radu, du ministère des Affaires étrangères.
3. Le 29 novembre 2007, le président de la troisième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond de l’affaire.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
4. La requérante est la paroisse gréco-catholique S. V. P., sous la tutelle de l’archidiocèse roumain uniate d’A. I. et de F., ayant son siège à Bucarest.
1. Action en expulsion introduite par la requérante contre la paroisse orthodoxe
5. Le 19 février 1992, la requérante assigna devant le tribunal de première instance de Bucarest la paroisse orthodoxe qui utilisait plusieurs biens sis au numéro 50, rue de Polonă, à savoir une église, une maison paroissiale et le terrain afférent. Elle fit valoir qu’elle avait perdu ces biens au profit de la paroisse orthodoxe en 1948, après la dissolution du culte gréco-catholique par le décret-loi no 358/1948. Fondant son action sur l’article 480 du code civil régissant la protection du droit de propriété, elle entendait recouvrer la possession de ces biens dont elle affirmait n’avoir cessé d’être propriétaire.
6. Par un jugement du 16 novembre 1992, le tribunal de première instance rejeta l’action de la requérante, estimant que l’intéressée aurait dû introduire une action non pas en expulsion mais en revendication.
7. La requérante forma un recours, argüant que l’action en revendication, qui visait à comparer deux titres de propriété, était inappropriée puisque la paroisse orthodoxe ne détenait aucun titre.
8. Par un arrêt du 11 juin 1993, le tribunal départemental de Bucarest accueillit le moyen avancé par la paroisse orthodoxe, qui portait sur la qualité pour ester en justice de la requérante, et que le tribunal de première instance n’avait pas examiné.
9. Le 16 février 1994, après renvoi, le tribunal de première instance de Bucarest rejeta l’action de la requérante comme irrecevable. Il jugea que, dès lors que les croyants fréquentant l’église en question étaient orthodoxes, la paroisse orthodoxe était la seule en droit d’utiliser l’église et à avoir qualité pour ester en justice. Selon le tribunal, les documents attestant le droit de propriété de la requérante étaient dénués de pertinence en l’espèce.
10. La requérante interjeta appel.
11. Par un arrêt du 19 décembre 1994, après plusieurs ajournements du prononcé, le tribunal départemental de Bucarest rejeta l’appel en reprenant la motivation du tribunal de première instance.
12. La requérante forma un recours.
13. Par un arrêt du 25 septembre 1995, la cour d’appel de Bucarest accueillit le recours, estimant que l’arrêt du tribunal départemental de Bucarest n’était pas motivé par rapport à l’objet de l’action.
14. Après renvoi, par une décision avant dire droit du 12 décembre 1996, le tribunal départemental de Bucarest, sur demande des parties, suspendit l’affaire jusqu’au 20 février 1997 en vue de négociations pour un éventuel règlement amiable de l’affaire.
15. A la suite de l’échec de ces négociations, le tribunal départemental de Bucarest repris l’examen de l’affaire et, par un arrêt du 25 juin 1998, rejeta à nouveau l’appel de la requérante comme irrecevable en raison de l’absence de la qualité pour ester en justice de l’intéressée.
16. La requérante forma un recours en invoquant, entre autres, l’article 6 de la Convention et l’exigence de délai raisonnable des procédures.
17. Par un arrêt du 29 mars 1999, la cour d’appel de Bucarest accueillit le recours, considérant que, le droit d’accès à la justice n’étant pas conditionné par le nombre des croyants d’une paroisse, la requérante avait qualité pour ester en justice. Elle renvoya l’affaire devant le tribunal de première instance de Bucarest pour un nouvel examen.
18. Le 16 novembre 1999, le tribunal de première instance souleva d’office l’exception de l’incompétence ratione materiae des tribunaux à statuer sur les affaires portant sur la situation juridique des églises et des maisons paroissiales dont les représentants du culte orthodoxe s’étaient emparés. Le tribunal se fondait sur les dispositions de l’article 3 du décret no 126/1990 qui prévoyaient que la situation de tels biens devait être tranchée par une commission mixte.
19. La requérante répliqua dans ses conclusions que le rejet de son action en vertu de l’article 3 du décret no 126/1990 s’analyserait en réalité en une méconnaissance de son droit d’accès à un tribunal garanti par l’article 6 de la Convention.
20. Par un jugement du 23 novembre 1999, le tribunal de première instance accueillit l’exception. Il considéra que l’article 3 du décret en question instituait une procédure préalable à toute action en justice qui ne contrevenait pas au droit d’accès à un tribunal. Il cita plusieurs décisions rendues dans ce sens par les tribunaux dans des affaires de restitution d’églises ayant appartenu au culte uniate.
21. La requérante interjeta appel.
22. Par un arrêt du 30 novembre 2000, le tribunal départemental de Bucarest accueillit l’appel et, après avoir reconnu la compétence des juridictions à se prononcer sur la situation juridique des biens ayant appartenu au culte uniate, renvoya l’affaire devant le tribunal de première instance.
23. La requérante et la défenderesse formèrent un recours. La requérante demanda que ce soit le tribunal départemental qui tranche le fond de l’affaire.
24. Par un arrêt du 9 mars 2001, la cour d’appel de Bucarest rejeta les deux recours. En qualifiant l’action de la requérante d’action en revendication des biens, elle confirma la conclusion du tribunal départemental pour ce qui était de la compétence des tribunaux à se prononcer sur la situation juridique des biens ayant appartenu au culte uniate.
25. Après renvoi, par une décision avant dire droit du 21 septembre 2001, le tribunal de première instance de Bucarest, sur demande des parties, suspendit l’affaire jusqu’au 26 octobre 2001 en vue de négociations extrajudiciaires.
26. A la suite de l’échec des négociations, le tribunal de première instance de Bucarest reprit l’examen de l’affaire. Par une décision du 26 octobre 2001, il déclina sa compétence en faveur du tribunal départemental en vertu de l’article 2 § 1 b) du code de procédure civile, au motif que la valeur des biens litigieux dépassait 2 milliards de lei.
27. Par un arrêt du 20 juin 2002, le tribunal départemental de Bucarest rejeta l’action comme irrecevable en vertu de l’article 8 § 2 de la loi no 10/2001 sur le régime juridique des biens pris abusivement par l’État entre le 6 mars 1945 et le 22 décembre 1989. Cet article prévoyait que le régime juridique des immeubles ayant appartenu aux cultes religieux et étant passés dans la possession de l’État ou d’autres personnes juridiques serait réglementé par des actes normatifs spéciaux.
28. La requérante interjeta appel.
29. Par une décision sur la recevabilité du 12 novembre 2002, la cour d’appel de Bucarest accueillit l’appel de la requérante, estimant que les tribunaux étaient compétents pour trancher le fond du litige. Elle retint l’affaire pour en examiner le fond et précisa qu’elle y procéderait une fois sa décision sur la recevabilité devenue définitive.
30. La partie défenderesse forma un recours contre la décision de la cour d’appel.
31. Par un arrêt du 20 mai 2003, la Haute Cour de cassation et de justice rejeta le recours comme irrecevable, jugeant que la décision sur la recevabilité du 12 novembre 2002 était une décision intermédiaire qui ne pouvait faire l’objet d’un recours qu’une fois le fond de l’affaire tranché.
32. Le 2 mars 2004, la cour d’appel de Bucarest rejeta l’action de la requérante comme irrecevable. Elle souligna que, bien que la requérante eût fait la preuve de son droit de propriété sur les biens revendiqués, elle n’avait pas respecté la procédure spéciale prévue par l’ordonnance d’urgence du Gouvernement no 94/2000, une norme dérogatoire au droit commun, régissant les modalités de restitution des biens que les cultes religieux, après en avoir été propriétaires, avaient perdus pendant la période communiste.
33. La requérante se pourvut en cassation. Elle dénonçait, à titre principal, le changement arbitraire par la cour d’appel du fondement juridique de son action, faisant valoir que son action était fondée sur l’article 480 du code civil et non sur l’ordonnance d’urgence citée par la cour d’appel. En outre, elle alléguait la violation de son droit d’accès à un tribunal garanti par l’article 6 § 1 de la Convention ainsi que de ses droits protégés par les articles 9 de la Convention et 1 du Protocole no 1. Elle se plaignait également que la procédure n’eût pas été tranchée dans un délai raisonnable.
34. Par un arrêt du 2 février 2005, la Haute Cour de cassation et de justice accueillit le recours, cassa l’arrêt de la cour d’appel de Bucarest et lui renvoya l’affaire. Elle jugea que la cour d’appel avait méconnu le principe de la non-rétroactivité de la loi civile en faisant application de l’ordonnance d’urgence no 94/2000 et qu’elle aurait dû examiner l’action en vertu de l’article 480 du code civil invoqué par la requérante. Elle retint que cela constituait également une violation des articles 6 et 9 de la Convention et 1 du Protocole no 1.
35. Par un arrêt du 24 novembre 2005, la cour d’appel de Bucarest accueillit l’action de la requérante. Elle jugea que la requérante n’avait jamais perdu la propriété des biens susmentionnés puisque le décret no 358/1948 prévoyait que les biens meubles et immeubles du culte passaient dans le patrimoine de l’État, à l’exception des biens appartenant aux paroisses, et que, de plus, la commission interdépartementale chargée de fixer la destination finale de ces derniers biens ne les avait jamais attribués à l’État ou à une autre entité. Elle ordonna à la paroisse orthodoxe de céder la possession de l’église, du clocher, de la maison paroissiale et du terrain afférent de 2 160 m² à la requérante.
36. La paroisse orthodoxe se pourvut en cassation.
37. Par un arrêt du 15 juin 2006, la Haute Cour de cassation et de justice constata la nullité du recours de la paroisse orthodoxe pour motivation tardive.
38. Pendant la procédure, la requérante demanda à sept reprises le report des audiences au motif que ses représentants ne pouvaient être présents. Les tribunaux firent droit à chacune de ces demandes.
2. Action en revendication introduite par la requérante contre la paroisse orthodoxe
39. Entre-temps, le 18 juillet 2000, la requérante avait saisi le tribunal départemental de Bucarest d’une action en revendication de l’église, de la maison paroissiale et du terrain afférent, biens sis au numéro 50, rue Polonă, à Bucarest.
40. Selon la requérante, lors de l’audience du 1er novembre 2000, la juge unique déclara ne pas aimer l’idée de se mêler des affaires des églises.
41. Lors de l’audience du 29 novembre 2000, le juge unique refusa de verser au dossier des documents produits par la requérante.
42. Par un jugement du 7 mars 2001, le tribunal départemental déclara l’action irrecevable, estimant que les tribunaux n’étaient pas compétents pour statuer sur la situation juridique des biens litigieux.
43. La requérante interjeta appel. Elle dénonça entre autres une violation des articles 6 et 9 de la Convention et renvoya à une décision rendue par la Haute Cour de cassation et de justice, selon laquelle les tribunaux étaient compétents pour trancher les actions portant sur la restitution des biens perdus pendant la période communiste. Lors de l’audience publique du 12 décembre 2001, elle se référa en outre à l’arrêt de la cour d’appel de Bucarest du 9 mars 2001 (point 1 ci-dessus), par lequel la cour avait tranché en faveur de la compétence des tribunaux à statuer dans de tels cas.
44. Par un arrêt du 19 décembre 2001, la cour d’appel de Bucarest rejeta l’appel et confirma le jugement prononcé en première instance.
45. La requérante se pourvut en cassation.
46. Le 24 septembre 2002, la Haute Cour de cassation et de justice reporta au 4 février 2003 l’instance à cause de l’irrégularité de la procédure de citation de la partie défenderesse.
47. Le 4 février 2003, la Haute Cour reporta l’instance au 22 avril 2003 sur demande de la partie défenderesse en vue de la préparation de sa défense.
48. Le 22 avril 2003, la Haute Cour reporta l’instance au 25 novembre 2003 à la demande de la requérante, qui souhaitait prendre connaissance du mémoire en défense et des documents produits par la paroisse orthodoxe lors de l’audience publique.
49. Par un arrêt du 25 novembre 2003, la Haute Cour cassa l’arrêt de la cour d’appel de Bucarest et renvoya l’affaire devant celle-ci. Elle jugea en effet que les tribunaux étaient compétents pour statuer sur l’action en revendication de la requérante et que l’arrêt de la cour d’appel méconnaissait le principe du libre accès à la justice garanti par la Constitution et l’article 6 de la Convention.
50. Par un arrêt 24 mars 2004, la cour d’appel de Bucarest accueillit l’appel et inscrivit l’affaire à son rôle.
51. Par un arrêt du 16 juin 2004, la cour d’appel de Bucarest rejeta l’action. Elle fit valoir que, par l’arrêt du 2 mars 2004, elle avait déjà rejeté une action en revendication de la requérante portant sur les mêmes biens. Elle reconnut ainsi l’autorité de la chose jugée à ce dernier arrêt.
52. La requérante se pourvut en cassation.
53. Par un jugement avant dire droit du 6 juin 2007, la Haute Cour de cassation et de justice décida de surseoir à l’examen de l’affaire en raison de l’absence des parties au procès malgré les convocations à comparaître qui leur avaient été adressées.
54. Pendant la procédure, la requérante demanda à trois reprises le report des audiences au motif que ses représentants ne pouvaient être présents. Les tribunaux firent droit à chacune de ces demandes.
3. Situation actuelle des biens revendiqués
55. La requérante mentionne que, pendant toute la durée des procédures engagées, elle a dû officier dans une église romano-catholique selon un calendrier strict et contre paiement.
56. A présent, elle jouit de la possession des biens susmentionnés.
57. Le 18 décembre 2006, l’archevêché uniate et l’archevêché orthodoxe de Bucarest conclurent un accord en exécution de l’arrêt de la cour d’appel de Bucarest du 24 novembre 2005. En exécution de cet accord, l’archevêché orthodoxe céda en faveur de la requérante la possession de l’église située au numéro 50, rue Polonă, à partir du 28 décembre 2006, et de la maison paroissiale et du terrain afférent à partir du 1er février 2007.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
A. La Constitution
58. Les dispositions pertinentes en l’espèce de la Constitution de 1991 se lisent ainsi :
Article 11 § 2
« Les traités ratifiés par le Parlement selon les voies légales font partie intégrante de l’ordre juridique interne. »
Article 20
« (1) Les dispositions constitutionnelles concernant les droits et libertés des citoyens seront interprétées et appliquées en conformité avec la Déclaration universelle des droits de l’homme et les pactes et autres traités auxquels la Roumanie est partie.
(2) En cas de contradiction entre les pactes et traités concernant les droits fondamentaux de l’homme auxquels la Roumanie est partie et les lois internes, les dispositions internationales prévalent. »
Article 21
« (1) Toute personne peut saisir les tribunaux en vue de la défense de ses droits, ses libertés et ses intérêts légitimes.
(2) Aucune loi ne peut empêcher l’exercice de ce droit. »
Article 133 § 2
« Le Conseil supérieur de la magistrature remplit le rôle de conseil disciplinaire des juges (…). »
59. La Constitution révisée le 31 octobre 2003 est ainsi rédigée dans ses parties pertinentes en l’espèce :
Article 20 § 2
« (2) En cas de contradiction entre les pactes et traités concernant les droits fondamentaux de l’homme auxquels la Roumanie est partie et les lois internes, les dispositions internationales prévalent, sauf si la Constitution ou les lois internes contiennent des dispositions plus favorables. »
Article 21 § 3
« Les parties ont droit à un procès équitable et à l’examen de leurs actions en justice dans un délai raisonnable. »
Article 133
« (2) Le Conseil supérieur de la magistrature remplit le rôle de tribunal (instanţă de judecată) (…) dans le domaine de la responsabilité disciplinaire des juges et des procureurs, en conformité avec la procédure établie par sa loi organique. (…)
(3) Les décisions du Conseil supérieur de la magistrature en matière disciplinaire peuvent être contestées devant la Haute Cour de cassation et de justice. »
B. La loi no 92 du 4 août 1992 sur l’organisation judiciaire, telle que republiée le 30 septembre 1997 (la loi no 92/1992)
60. Le titre VII de la loi no 92/1992 porte sur la responsabilité disciplinaire des magistrats. Cette responsabilité est engagée en cas de manquement dans l’accomplissement de leurs fonctions (îndatoriri de serviciu) et de comportements pouvant nuire à l’intérêt du service ou au prestige de la justice. L’action disciplinaire contre les juges est engagée par le ministre de la Justice, lequel peut saisir le Conseil supérieur de la magistrature après avoir reçu les résultats d’une enquête préliminaire. Les sanctions disciplinaires sont l’avertissement, la diminution du salaire, le transfert temporaire dans un autre tribunal, la suspension temporaire du poste, le renvoi de la magistrature.
61. Ce titre a été abrogé par la loi no 303 du 28 juin 2004 sur le statut des magistrats.
C. La loi no 303 du 28 juin 2004 sur le statut des magistrats (la loi no 303/2004)
62. Selon l’article 95 de la loi no 303/2004, toute personne peut saisir le Conseil supérieur de la magistrature des cas relevant de l’activité ou du comportement inapproprié, du manquement aux obligations professionnelles ou de la commission d’une faute disciplinaire par un magistrat. Selon l’article 97 f) de la loi, est considéré comme faute disciplinaire le non-respect de manière répétée des dispositions légales relatives à l’examen des actions avec célérité. L’article 98 de la loi prévoit les sanctions disciplinaires, lesquelles sont similaires à celles inscrites dans la loi no 92/1992.
D. La loi no 304 du 28 juin 2004 sur l’organisation judiciaire (la loi no 304/2004)
63. Cette loi a abrogée la plupart des dispositions de la loi no 92/1992. Selon l’article 10 de la loi no 304/2004, toute personne a droit à un procès équitable et conduit dans un délai raisonnable.
III. LES TRAVAUX DE LA COMMISSION EUROPÉENNE POUR LA DÉMOCRATIE PAR LE DROIT (COMMISSION DE VENISE)
64. Lors de sa 69e session plénière (15-16 décembre 2006), la Commission de Venise a adopté une « Étude sur l’effectivité des recours internes en matière de durée excessive des procédures » (document CDL-AD(2006)036), dont les extraits pertinents en l’espèce sont les suivants :
« 59. De manière générale, la plupart des États membres du Conseil de l’Europe [à l’exception de l’Arménie, de l’Azerbaïdjan, de la Grèce, de la Roumanie et de la Turquie] disposent d’un moyen procédural permettant aux individus de porter plainte en cas de durée excessive d’une procédure.
65. Les recours ouverts en cas de durée supposée excessive des procédures peuvent être classés de différentes manières.
– Les recours préventifs ou d’accélération visent à raccourcir la durée des procédures afin d’éviter qu’elle ne devienne excessive, tandis que les recours en réparation fournissent aux individus une indemnisation pour les retards déjà occasionnés (que la procédure soit encore pendante ou qu’elle soit achevée).
– Les recours pécuniaires offrent une réparation financière pour le préjudice subi (matériel et/ou moral). Les recours non pécuniaires offrent une réparation morale (par exemple la reconnaissance de la violation ou l’allègement d’une peine).
– Certains recours sont ouverts à la fois pour les procédures pendantes et achevées, tandis que d’autres ne le sont que pour les procédures pendantes. En effet, lorsqu’une procédure est achevée, les recours d’accélération n’auraient évidemment aucune utilité, et le recours ne peut donc consister qu’en un dédommagement pour le préjudice subi du fait de la durée excessive de la procédure ou en une action disciplinaire contre l’autorité responsable de cette durée excessive.
– Certains recours peuvent être applicables à tous les types de procédures (civiles, administratives ou pénales), tandis que d’autres ne s’appliquent qu’aux procédures pénales.
142. De fait, la Cour précise qu’une combinaison des deux types de recours, l’un destiné à accélérer la procédure et l’autre à apporter une réparation, pourrait sembler constituer la meilleure solution.
147. Une action disciplinaire à l’encontre du juge ayant fait preuve de lenteur peut être assimilée à un recours effectif contre la durée des poursuites aux termes de l’article 13 de la Convention uniquement si elle a une « conséquence directe et immédiate sur la procédure qui a donné lieu à la plainte ». Il s’ensuit que l’action disciplinaire doit présenter un certain nombre de caractéristiques spécifiques. Si une plainte est déposée, l’organe de contrôle doit avoir pour obligation d’étudier la question avec le juge ayant fait preuve de lenteur. Le requérant doit être partie à la procédure. La décision, quelle qu’elle soit, ne doit pas avoir uniquement des effets sur la situation personnelle du juge en cause.
148. Quelle que soit la forme de la réparation, elle doit s’accompagner de la reconnaissance de la violation intervenue. De fait, la juridiction interne doit reconnaître que l’exigence d’une durée raisonnable n’a pas été satisfaite et qu’une mesure spécifique doit être prise dans le but de réparer le non-respect du « délai raisonnable », au sens de l’article 6 paragraphe 1 de la Convention. Cette reconnaissance doit exister « au moins en substance ».
151. L’article 13 n’exige pas qu’un recours spécifique soit prévu pour ce qui est de la durée excessive des procédures ; un recours constitutionnel ou juridique général, tel qu’une action en vue d’établir la responsabilité non contractuelle de l’État, peut suffire. Toutefois, une telle action doit présenter un caractère effectif tant sur le plan du droit que sur celui de la pratique.
152. En l’absence d’une base juridique spécifique, l’existence du recours et la portée de son application doivent être clairement énoncées et confirmées, ou complétées, par la pratique des organes compétents et/ou la jurisprudence appropriée.
153. Quelle que soit la mesure ordonnée par l’autorité compétente, le recours interne pour durée excessive ne répondra aux exigences de la Convention que s’il a acquis, en théorie et en pratique, la certitude juridique suffisante permettant au requérant de l’avoir utilisé au moment du dépôt d’une requête auprès de la Cour.
158. Il ne faut pas que les « recours contre les retards » prévus par le droit interne restent simplement théoriques : il doit exister une jurisprudence suffisante prouvant que l’exercice de ces recours peut réellement permettre d’accélérer la procédure ou d’obtenir une réparation adéquate.
159. En l’absence de jurisprudence spécifique, un recours peut être considéré comme « effectif » si le libellé de la loi en question indique sans équivoque qu’elle vise expressément à régler le problème de la durée excessive de procédures devant les juridictions internes. »
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
65. La requérante allègue plusieurs atteintes à son droit à un procès équitable garanti par l’article 6 § 1 de la Convention. Cette disposition est ainsi libellée dans sa partie pertinente en l’espèce :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) dans un délai raisonnable, par un tribunal indépendant et impartial, établi par la loi, qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
A. Sur la durée des procédures engagées par la requérante
66. Invoquant l’article 6 § 1 de la Convention, la requérante se plaint de la durée excessive des deux procédures visant à la récupération des biens sis au numéro 50, rue Polonă, à Bucarest.
1. Sur la durée de la procédure en expulsion
a) Sur la recevabilité
67. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
b) Sur le fond
i. La période à prendre en considération
68. La période à considérer n’a commencé qu’avec la prise d’effet, le 20 juin 1994, de la reconnaissance du droit de recours individuel par la Roumanie. Pour apprécier le caractère raisonnable des délais écoulés à partir de cette date, il faut tenir compte de l’état où l’affaire se trouvait alors. Il convient ainsi de noter que les juridictions nationales ont été saisies de l’affaire plus de deux ans avant l’entrée en vigueur de la Convention à l’égard de la Roumanie.
La période en question s’est terminée le 15 juin 2006, par l’arrêt de la Haute Cour de cassation et de justice. Elle a donc duré presque douze ans pour quatre degrés de juridiction.
ii. Sur le caractère raisonnable de la durée de la procédure
69. La requérante estime que la durée de la procédure analysée est excessive. Citant l’affaire Străin et autres c. Roumanie (no 57001/00, CEDH 2005-VII), elle soutient que son affaire n’était pas complexe puisqu’il s’agissait en définitive d’une action en revendication. Elle précise ensuite que ses demandes de report d’audiences étaient motivées par l’impossibilité objective pour ses avocats de se présenter aux audiences. Elle soutient en outre que la durée de la procédure est imputable aux tribunaux, ceux-ci ayant annulé à cinq reprises des décisions pour des défauts de procédure pouvant être reprochés aux tribunaux inférieurs, ce qui lui paraît démontrer une déficience sérieuse dans le système judiciaire national (Wierciszewska c. Pologne, no 41431/98, § 46, 25 novembre 2003). Enfin, elle souligne l’ampleur de l’enjeu de l’affaire pour elle et rappelle qu’elle a dû officier dans une église romano-catholique selon un calendrier strict et contre paiement.
70. Le Gouvernement soutient que la procédure en question était complexe dès lors que les tribunaux ont dû se prononcer sur deux exceptions visant leur compétence ratione materiae, sur l’impartialité d’un juge et sur une demande de récusation, et que la procédure a connu plusieurs cassations avec renvoi. Par ailleurs, selon lui, il n’y a pas eu de longues périodes d’inaction des tribunaux, les audiences ayant été fixées à intervalles réguliers. Enfin, le Gouvernement fait remarquer que la requérante à demandé le report de l’audience à sept reprises au motif que ses représentants ne pouvaient être présents, et à deux reprises en vue de négociations entre les parties aux fins d’un éventuel règlement amiable de l’affaire.
71. La Cour rappelle que le caractère raisonnable de la durée d’une procédure s’apprécie suivant les circonstances de la cause et eu égard aux critères consacrés par sa jurisprudence, en particulier la complexité de l’affaire, le comportement du requérant et celui des autorités compétentes ainsi que l’enjeu du litige pour les intéressés (voir, parmi beaucoup d’autres, Frydlender c. France [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
72. Par ailleurs, elle a déjà conclu, dans maintes affaires qui soulevaient des questions semblables à celles de la présente espèce, à la violation de l’article 6 § 1 de la Convention (Frydlender précité).
73. En l’espèce, elle estime que ni la complexité de l’affaire ni le comportement de la requérante n’expliquent la durée de la procédure.
74. En ce qui concerne le comportement des tribunaux nationaux, la Cour constate que le retard dans la procédure a été causé par les cassations et les renvois successifs de l’affaire. Ainsi, l’affaire a été renvoyée cinq fois devant le tribunal de première instance, le tribunal départemental ou la cour d’appel de Bucarest, pour plusieurs raisons : omission d’examiner un grief, absence de motivation, constats incorrects quant à la question de la qualité pour ester en justice de la requérante ou de la compétence des tribunaux à se prononcer sur l’action de la requérante. Qui plus est, le renvoi de l’affaire pouvait continuer à l’infini, aucune disposition légale ne pouvant y mettre un terme. A cet égard, la Cour rappelle que, bien que n’étant pas compétente pour analyser la manière dont les juridictions nationales ont interprété et appliqué le droit interne, elle considère toutefois que les cassations avec renvoi sont en général dues à des erreurs commises par les juridictions inférieures (Wierciszewska, précité, § 46), et que la répétition de telles cassations dénote une déficience de fonctionnement du système judiciaire (Cârstea et Grecu c. Roumanie, no 56326/00, § 42, 15 juin 2006).
75. En l’espèce, après avoir examiné tous les éléments qui lui ont été soumis et compte tenu de sa jurisprudence en la matière, la Cour estime que la durée de la procédure litigieuse est excessive et ne répond pas à l’exigence du « délai raisonnable ».
Partant, il y a eu violation de l’article 6 § 1 en ce qui concerne la procédure en expulsion.
2. Sur la durée de la procédure en revendication
a) Sur la recevabilité
76. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
b) Sur le fond
i. La période à prendre en considération
77. La période à considérer a débuté le 18 juillet 2000 et a pris fin le 6 juin 2007 lorsque la Haute Cour de cassation et de justice a décidé de surseoir à l’examen de l’affaire en raison de l’absence des parties à l’audience. Elle a donc duré six ans, dix mois et vingt jours, pour trois degrés de juridiction.
ii. Sur le caractère raisonnable de la durée de la procédure
78. La requérante estime que l’affaire ne présentait aucune difficulté particulière. Elle souligne que ses demandes de report d’audience étaient motivées par l’impossibilité objective pour ses avocats de se présenter aux audiences. Selon elle, la durée de la procédure est imputable aux tribunaux qui, pendant plus de six ans, ne se sont pas prononcés sur le fond de l’affaire. Par ailleurs, elle souligne l’ampleur de l’enjeu de l’affaire pour elle et rappelle qu’elle a dû officier dans une église romano-catholique selon un calendrier strict et contre paiement.
79. Le Gouvernement soutient que la procédure en question était complexe étant donné que les tribunaux ont dû obtenir des informations de la part des autorités judiciaires nationales et que la procédure a connu une cassation avec renvoi. Par ailleurs, selon lui, il n’y a pas eu de longues périodes d’inaction des tribunaux, les audiences ayant été fixées à intervalles réguliers. Enfin, le Gouvernement fait remarquer que la requérante à demandé à trois reprises le report de l’audience au motif que ses avocats ne pouvaient être présents.
80. Eu égard aux critères mentionnés ci-dessus (paragraphe 71 ci-dessus), la Cour estime que ni la complexité de l’affaire ni le comportement de la requérante n’expliquent la durée de la présente procédure.
81. En ce qui concerne le comportement des tribunaux nationaux, la Cour constate que les intervalles entre les audiences ont atteint parfois plusieurs mois (paragraphes 46-51 ci-dessus) et qu’ils ne se justifiaient guère par rapport aux actes de procédure que les parties devaient exécuter.
82. La Cour relève ensuite que, en l’espace de plus de six ans, jamais les tribunaux n’ont examiné le fond de l’affaire mais qu’ils se sont bornés à rejeter l’action comme irrecevable pour diverses raisons. Or il incombe aux États contractants d’organiser leur système judiciaire de telle sorte que leurs juridictions puissent garantir à chacun le droit d’obtenir une décision définitive sur les contestations relatives à ses droits et obligations de caractère civil dans un délai raisonnable (Zwierzynski c. Pologne, no 34049/96, § 55, CEDH 2001-VI). Enfin, la Cour note que dans cette procédure également il y a eu une cassation motivée par le refus des tribunaux d’examiner l’affaire au fond.
83. Après avoir examiné tous les éléments qui lui ont été soumis et compte tenu de sa jurisprudence en la matière, la Cour estime qu’en l’espèce la durée de la procédure litigieuse est excessive et ne répond pas à l’exigence du « délai raisonnable ».
Partant, il y a eu violation de l’article 6 § 1 également en ce qui concerne la procédure en revendication.
B. Sur les autres griefs tirés de l’article 6 § 1 de la Convention
84. La requérante se plaint de la méconnaissance de son droit d’accès à un tribunal au motif que les tribunaux ont rejeté à plusieurs reprises ses actions pour incompétence ratione materiae, refusant ainsi d’examiner le fond des actions. Elle se plaint également du manque d’impartialité des tribunaux. Ainsi, en ce qui concerne la première procédure qui a pris fin par l’arrêt de la Haute Cour de cassation et de justice du 15 juin 2006, la requérante se plaint que les tribunaux aient utilisé le critère de l’orientation religieuse des croyants pour décider de l’utilisation de l’édifice du culte ; elle dénonce en outre les changements récurrents de la composition des formations de jugement et le caractère lacunaire et négligent de la transcription des débats. Pour ce qui est de la deuxième procédure, la requérante réitère qu’une des juges a affirmé ne pas aimer se mêler des affaires des églises et qu’un autre juge a refusé de verser au dossier des documents produits par elle ; enfin, elle estime que la cour d’appel de Bucarest, dans son arrêt du 19 décembre 2001, a contredit sa propre jurisprudence, dès lors qu’elle avait conclu le 9 mars 2001 à la compétence des tribunaux à se prononcer sur la situation juridique des biens appartenant aux cultes religieux.
85. En ce qui concerne la première procédure, la Cour note qu’elle a abouti à l’accueil de l’action de la requérante et qu’elle a pris fin par l’arrêt de la Haute Cour de cassation et de justice du 15 juin 2006. La Cour estime donc que la requérante n’est plus victime de la méconnaissance de l’article 6 de la Convention qu’elle allègue, que cette partie du grief est incompatible ratione personae avec les dispositions de la Convention au sens de l’article 35 § 3 et qu’elle doit être rejetée en application de l’article 35 § 4.
86. En ce qui concerne la deuxième procédure, la Cour observe que son examen a été suspendu par la décision avant dire droit de la Haute Cour de cassation et de justice du 6 juin 2007 en raison de l’absence des parties à l’audience. Il s’ensuit que ce grief doit être rejeté pour non-épuisement des voies de recours internes, en application de l’article 35 §§ 1 et 4 de la Convention.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 13 DE LA CONVENTION EN CE QUI CONCERNE LES GRIEFS TIRÉS DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
87. La requérante allègue plusieurs atteintes à son droit à un recours effectif garanti par l’article 13 de la Convention, ainsi libellé :
« Toute personne dont les droits et libertés reconnus dans la (…) Convention ont été violés, a droit à l’octroi d’un recours effectif devant une instance nationale, alors même que la violation aurait été commise par des personnes agissant dans l’exercice de leurs fonctions officielles. »
A. Sur l’existence d’un recours effectif permettant de dénoncer la durée déraisonnable des procédures
88. La requérante se plaint de ne disposer en droit interne d’aucune voie de recours lui permettant de se plaindre de la durée excessive des deux procédures engagées en vue de la restitution des biens litigieux.
1. Thèses des parties
89. Le Gouvernement estime que la requérante pouvait saisir le Conseil supérieur de la magistrature d’une plainte relative à la durée de la procédure interne. Il ajoute qu’en vertu des lois no 92/1992 et no 303/2004, cette institution peut être saisie d’une plainte relative au non-respect par les magistrats d’une obligation légale leur incombant, à savoir celle de trancher avec célérité les affaires qui leur ont été attribuées, et que la méconnaissance d’une obligation inscrite dans le statut des magistrats peut entraîner la responsabilité disciplinaire de la personne concernée.
90. Il note ensuite qu’une telle possibilité figure parmi les remèdes examinés par la Commission de Venise dans son étude sur les voies de recours à utiliser pour l’obtention d’une réparation en cas de durée excessive des procédures. Il considère que le Conseil supérieur de la magistrature, étant formé de juges et de procureurs et exerçant des fonctions juridictionnelles dans la procédure disciplinaire, bénéficie des garanties de légalité et d’impartialité en raison de sa composition. Il considère en outre qu’il s’agit d’une instance nationale qui présente une efficacité quasi similaire à une instance judiciaire. L’article 13 de la Convention n’exigeant pas que « l’instance » soit une institution judiciaire, il estime que les exigences de cette disposition sont remplies en l’espèce.
91. Le Gouvernement relève ensuite que la Constitution roumaine accorde la prééminence aux traités en matière de droits de l’homme et permet l’application directe de la Convention européenne des droits de l’homme et de la jurisprudence de la Cour ; dès lors, selon le Gouvernement, il aurait été loisible à la requérante de présenter directement devant les instances internes une action fondée sur la durée de la procédure. Il souligne à cet égard que les juridictions nationales font souvent appel à la jurisprudence de la Cour dans leurs décisions et que cet aspect enregistre une évolution continue, ce qui le conduit à la conclusion que, si elles avaient été saisies d’une telle action, elles l’auraient examinée. Il renvoie à l’arrêt du 2 février 2005 prononcé dans la première procédure litigieuse, par lequel la Haute Cour de cassation et de justice a fait application des articles 6 et 9 de la Convention et 1 du Protocole no 1 (paragraphe 34 ci-dessus).
92. Se référant à l’arrêt Scordino c. Italie (no 1) ([GC], no 36813/97, CEDH 2006-V), la requérante estime que la première voie indiquée par le Gouvernement ne saurait passer pour un recours effectif. En effet, selon elle, une plainte adressée au Conseil supérieur de la magistrature et mettant en cause la responsabilité des magistrats n’a pas d’autre effet que l’application aux magistrats en cause de sanctions à caractère disciplinaire ; une telle plainte ne serait donc, à ses yeux, pas de nature à aboutir à l’octroi d’une indemnité et n’aurait en aucun cas pu accélérer la procédure en question. La requérante ne soumet pas de commentaires quant au deuxième recours mentionné par le Gouvernement.
2. Appréciation de la Cour
a) Principes généraux
93. En vertu de l’article 1 de la Convention, aux termes duquel « [L]es Hautes Parties contractantes reconnaissent à toute personne relevant de leur juridiction les droits et libertés définis au titre I de la (…) Convention », c’est au premier chef aux autorités nationales que reviennent la mise en œuvre et la sanction des droits et libertés garantis par la Convention. Le mécanisme de plainte devant la Cour revêt donc un caractère subsidiaire par rapport aux systèmes nationaux de sauvegarde des droits de l’homme. Cette subsidiarité s’exprime dans les articles 13 et 35 § 1 de la Convention (Scordino, précité, § 140, et Cocchiarella c. Italie [GC], no 64886/01, § 38, CEDH 2006-V).
94. L’article 13 de la Convention garantit l’existence en droit interne d’un recours permettant de s’y prévaloir des droits et libertés de la Convention tels qu’ils peuvent s’y trouver consacrés. Cette disposition a donc pour conséquence d’exiger un recours interne habilitant l’instance nationale compétente à examiner le contenu d’un « grief défendable » fondé sur la Convention et à offrir le redressement approprié. L’effectivité d’un recours au sens de l’article 13 ne dépend pas de la certitude d’une issue favorable pour le requérant. De même, l’ensemble des recours offerts par le droit interne peut remplir les exigences de l’article 13, même si aucun d’eux n’y répond à lui seul.
95. La portée de l’obligation découlant de l’article 13 varie en fonction de la nature du grief que le requérant fonde sur la Convention. Toutefois, le recours exigé par l’article 13 doit être « effectif » en pratique comme en droit (voir, par exemple, l’arrêt İlhan c. Turquie [GC], no 22277/93, § 97, CEDH 2000-VII).
96. Les recours dont un justiciable dispose au plan interne pour se plaindre de la durée d’une procédure sont « effectifs », au sens de l’article 13 de la Convention, lorsqu’ils permettent d’empêcher la survenance ou la continuation de la violation alléguée, ou de fournir à l’intéressé un redressement approprié pour toute violation s’étant déjà produite. Un recours est donc effectif dès qu’il permet soit de faire intervenir plus tôt la décision des juridictions saisies, soit de fournir au justiciable une réparation adéquate pour les retards déjà accusés (Kudła c. Pologne [GC], no 30210/96, §§ 157-158, CEDH 2000-XI, Mifsud c. France (déc.) [GC], no 57220/00, § 17, CEDH 2002-VIII, et Sürmeli c. Allemagne [GC], no 75529/01, §§ 98-99, CEDH 2006-VII).
97. Cela étant, la Cour a récemment précisé que le meilleur remède dans l’absolu est, comme dans de nombreux domaines, la prévention. Lorsqu’un système judiciaire est défaillant à l’égard de l’exigence découlant de l’article 6 § 1 de la Convention quant au délai raisonnable, un recours permettant de faire accélérer la procédure afin d’empêcher la survenance d’une durée excessive constitue la solution la plus efficace. Un tel recours présente un avantage incontestable par rapport à un recours uniquement indemnitaire car il évite également d’avoir à constater des violations successives pour la même procédure et ne se limite pas à agir a posteriori comme le fait un recours indemnitaire. Certains États l’ont d’ailleurs parfaitement compris, en choisissant de combiner deux types de recours, l’un tendant à l’accélération de la procédure, l’autre de nature indemnitaire (Scordino précité, §§ 183 et 186, et Cocchiarella précité, §§ 74 et 77).
b) Application des principes à la présente espèce
98. Compte tenu de ses conclusions quant au dépassement du délai raisonnable de l’article 6 § 1 de la Convention (paragraphes 69-83 ci-dessus), la Cour estime que le grief de la requérante portant sur la durée des procédures engagées devant les tribunaux nationaux constitue un grief « défendable » (voir, mutatis mutandis, Öneryıldız c. Turquie [GC], no 48939/99, § 151, CEDH 2004-XI). Par ailleurs, elle estime que cette partie de la requête soulève des questions de fait et de droit qui méritent un examen au fond. Elle conclut que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention et relève en outre qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité.
99. La Cour observe que le Gouvernement évoque deux moyens à la disposition de la requérante en cas de durée excessive d’une procédure : une plainte disciplinaire portée devant le Conseil supérieur de la magistrature et une action introduite auprès des tribunaux. Selon le Gouvernement, le premier recours peut être fondé sur les dispositions des lois nos 92/1992 et 303/2004 et le second sur la Constitution.
100. En ce qui concerne le premier moyen, la Cour relève qu’il ne ressort pas des dispositions des deux lois mentionnées par le Gouvernement (paragraphes 60-62 ci-dessus) que celles-ci visaient expressément au règlement d’un problème de durée excessive des procédures devant les juridictions internes (voir, a contrario, Slaviček c. Croatie (déc.), no 20862/02, CEDH 2002-VII). En tout état de cause, le Gouvernement a omis de préciser si une telle procédure, ayant comme objet la responsabilité disciplinaire des juges, aurait eu des conséquences directes et immédiates sur la durée des procédures dont la requérante se plaignait. Il s’agissait d’une des conditions retenues par la Commission de Venise dans son étude sur l’effectivité des recours internes en matière de durée excessive des procédures (paragraphe 64, point 147, ci-dessus). La Cour constate aussi que le Conseil supérieur de la magistrature ne peut pas non plus accorder à la requérante une quelconque indemnisation pour les retards déjà survenus. Or, dans les affaires de durée de procédure, les requérants subissent avant tout un préjudice moral, pour lequel la Cour ne les oblige pas à en prouver le montant.
101. Au vu de ce qui précède, la Cour estime qu’une procédure disciplinaire contre les juges peut avoir uniquement des effets sur la situation personnelle du magistrat en question et ne saurait dès lors passer pour un recours effectif contre la durée excessive des procédures (voir, mutatis mutandis, Karrer et autres c. Autriche, no 7464/76, décision de la Commission du 5 décembre 1978, DR 14, Horvat c. Croatie, no 51585/99, § 47, CEDH 2001-VIII, et Kormacheva c. Russie, no 53084/99, § 62, 29 janvier 2004).
102. Eu égard à ce qui précède, la Cour estime qu’une demande fondée sur les lois nos 92/1992 sur l’organisation judiciaire et 303/2004 sur le statut des magistrats ne saurait être considérée avec un degré suffisant de certitude comme un recours effectif dans les circonstances de l’affaire de la requérante.
103. En ce qui concerne le second moyen indiqué par le Gouvernement, la Cour relève qu’en effet la Convention est directement applicable en Roumanie et qu’elle l’emporte sur les dispositions du droit national qui seraient en contradiction avec elle (paragraphes 58-59 ci-dessus). Elle a déjà retenu par ailleurs qu’un système basé sur la primauté de la Convention et de la jurisprudence y relative sur les droits nationaux est à même d’assurer au mieux le bon fonctionnement du mécanisme de sauvegarde mis en place par la Convention et ses protocoles additionnels (Dumitru Popescu c. Roumanie (no 2), no 71525/01, § 103, 26 avril 2007).
104. Toutefois, la Cour observe que, dans la présente affaire, le Gouvernement n’a fourni aucun exemple dans lequel une personne se serait appuyée avec succès sur la Convention devant une autorité nationale afin d’obtenir l’accélération de l’examen de son affaire civile ou l’octroi de dommages-intérêts pour un retard déjà survenu. Cette absence de jurisprudence indique le manque de certitude, dans la pratique, de ce recours théorique (voir, dans le même sens, Sakık et autres c. Turquie, 26 novembre 1997, § 53, Recueil des arrêts et décisions 1997-VII). De plus, le flou subsiste quant à l’autorité à laquelle s’adresser, à la procédure à suivre et au résultat d’une telle procédure. La Cour estime dès lors qu’une demande fondée sur l’applicabilité directe de la Convention dans le droit roumain ne saurait avoir le degré de certitude juridique requis pour pouvoir constituer un recours effectif au sens de l’article 13 de la Convention (voir, dans le même sens, Doran c. Irlande, no 50389/99, §§ 55-69, CEDH 2003-X (extraits), et Rachevi c. Bulgarie, no 47877/99, § 64, 23 septembre 2004).
105. Enfin, la Cour observe que la requérante a dénoncé, à deux reprises et en vain, devant les tribunaux internes la méconnaissance du droit à l’examen de sa cause dans un délai raisonnable, droit garanti par l’article 6 de la Convention (paragraphes 16 et 33 ci-dessus).
106. A la lumière de ce qui précède, la Cour estime que le Gouvernement n’a pas suffisamment prouvé en l’espèce que la requérante disposait d’un recours effectif au sens de l’article 13 de la Convention qui lui aurait permis de soulever un grief fondé sur la durée de la procédure.
107. Cette conclusion ne préjuge aucunement de toute évolution positive que pourront connaître, à l’avenir, le droit et la jurisprudence internes sur ce point.
108. Partant, il y a eu violation de l’article 13 de la Convention.
B. Sur l’existence d’un recours effectif permettant de dénoncer les autres griefs tirés de l’article 6 § 1 de la Convention
109. La requérante se plaint de l’inexistence en droit roumain d’une voie de recours permettant de dénoncer les autres violations de l’article 6 § 1 de la Convention.
110. Compte tenu de ses conclusions quant aux griefs tirés de l’article 6 § 1 de la Convention (voir paragraphes 84-6 ci-dessus), la Cour estime que les griefs de la requérante concernant le défaut d’accès à un tribunal et l’impartialité des tribunaux ne peuvent constituer des griefs « défendables » au sens de l’article 13 de la Convention. Il s’ensuit que ce grief est incompatible ratione materiae avec les dispositions de la Convention au sens de l’article 35 § 3 et doit être rejeté en application de l’article 35 § 4.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 9 DE LA CONVENTION ET DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1, PRIS ISOLÉMENT ET COMBINÉS AVEC LES ARTICLES 13 ET 14
111. La requérante allègue que sa liberté de religion a été entravée, dans la mesure où le service religieux n’a pu être mené dans de bonnes conditions. Considérant qu’elle n’avait jamais perdu les biens en question, elle se plaint aussi de la méconnaissance de son droit de propriété sur ceux-ci. Elle s’appuie à cet égard sur le refus prolongé des tribunaux de reconnaître leur compétence à trancher le fond du litige portant sur la possession de l’édifice de culte, de la maison paroissiale et du terrain afférent. Elle considère également que les autorités nationales ont manqué à leur obligation de garantir sa liberté de religion et son droit au respect de ses biens sans discrimination. Elle soutient en outre avoir été privée de ces droits pour l’unique raison qu’elle appartenait au culte gréco-catholique minoritaire et qu’elle était en litige avec la majorité orthodoxe. Elle se plaint enfin qu’il n’existe aucune instance nationale à laquelle elle aurait pu soumettre efficacement les griefs présentés ci-dessus. Elle invoque les articles 9, 13 et 14 de la Convention et l’article 1 du Protocole no 1.
A. Sur la recevabilité
112. La Cour constate, à la lumière de l’ensemble des éléments en sa possession, que ces griefs ne sont pas manifestement mal fondés au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’ils ne se heurtent à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de les déclarer recevables.
B. Sur le fond
113. La Cour considère que ces griefs sont directement liés au grief relatif à la durée de la procédure, examiné sous l’angle de l’article 6 § 1 de la Convention. Eu égard à ses conclusions figurant aux paragraphes 75 et 83 ci-dessus, elle estime qu’il n’y a pas lieu de statuer sur le fond de ces griefs (voir, mutatis mutandis, Laino c. Italie [GC], no 33158/96, § 25, CEDH 1999-I, Zanghì c. Italie, 19 février 1991, § 23, série A no 194-C, et Balcan c. Roumanie, no 37380/03, § 150, 29 juillet 2008).
IV. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
114. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
115. La requérante réclame 15 000 euros (EUR) pour préjudice moral. Elle justifie ce montant par la détresse provoquée par la durée déraisonnable des procédures engagées en vue de la récupération de ses biens ; cela l’a maintenue pendant plus de quatorze ans dans l’incertitude quant à la situation juridique de ses biens et dans l’impossibilité d’officier dans sa propre église. Elle souligne également que durant toutes ces années les biens ont subi de nombreuses dégradations qui imposent à présent des travaux de restauration.
116. Le Gouvernement estime en premier lieu qu’aucun lien de causalité n’a été établi entre le dommage allégué et les prétendues violations de la Convention. En deuxième lieu, citant plusieurs arrêts de la Cour, il soutient que la somme demandée par la requérante est excessive. Enfin, il estime qu’un éventuel arrêt de condamnation constituerait en soi une réparation suffisante du préjudice moral allégué.
117. S’agissant de la réparation du préjudice moral, la Cour a déjà jugé que le préjudice autre que matériel peut comporter, pour une personne morale, des éléments plus ou moins « objectifs » et « subjectifs ». Parmi ces éléments, il faut reconnaître la réputation de l’entité juridique, mais également l’incertitude dans la planification des décisions à prendre, les troubles causés à la gestion de l’entité juridique elle-même, dont les conséquences ne se prêtent pas à un calcul exact, et enfin, quoique dans une moindre mesure, l’angoisse et les désagréments éprouvés par les membres des organes de direction de la société (Comingersoll S.A. c. Portugal, [GC], no 35382/97, § 35, CEDH 2000-IV).
118. En l’espèce, le prolongement des procédures litigieuses au-delà du délai raisonnable a dû causer, dans le chef de la paroisse requérante et de ses représentants, des désagréments considérables et une incertitude prolongée, ne serait-ce que sur l’exercice du culte. Celle-ci s’est vue notamment privée de la possibilité de bénéficier plus rapidement de sa propre église. A cet égard, la Cour estime donc que la paroisse requérante a été laissée dans une situation d’incertitude qui justifie l’octroi d’une indemnité.
119. La Cour considère qu’il y a lieu d’octroyer à la requérante 4 400 EUR au titre du préjudice moral.
B. Frais et dépens
120. La requérante demande également 7 560 EUR pour les frais et dépens engagés devant la Cour, somme qu’elle ventile ainsi :
– 5 160 EUR pour les honoraires de Me M. M., la première avocate qui l’a représentée devant la Cour, à verser directement à l’avocate ;
– 2 100 EUR pour les honoraires de Me N. P., la dernière avocate qui l’a représentée devant la Cour, à verser directement à l’avocate ;
– 300 EUR pour les frais de secrétariat de l’Association pour la défense des droits de l’homme en Roumanie (le Comité Helsinki).
121. Pour sa part, le Gouvernement estime excessive la demande faite en ce qui concerne les honoraires des avocates. Il fait en outre remarquer que la requérante n’a produit aucun justificatif des frais de secrétariat.
122. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. En l’espèce, eu égard aux critères mentionnés, au décompte détaillé des heures de travail qui lui a été soumis et aux questions que la présente affaire a soulevées, la Cour octroie pour frais et dépens 2 500 EUR, à verser directement à Me M., et 2 100 EUR, à verser directement à Me P..
C. Intérêts moratoires
123. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant aux griefs tirés de l’article 6 § 1 et 13 de la Convention pour ce qui est de la durée déraisonnable des procédures engagées par la requérante et quant à un recours effectif à cet égard, et des articles 9 de la Convention et 1 du Protocole no 1, pris seuls et combinés avec les articles 13 et 14 de la Convention, et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention en ce qui concerne la durée des procédures engagées par la requérante ;
3. Dit qu’il y a eu violation de l’article 13 de la Convention à raison de l’inexistence en droit roumain d’un recours efficace permettant à la requérante d’invoquer la durée excessive des procédures internes ;
4. Dit qu’il n’y a pas lieu d’examiner au fond les griefs tirés des articles 9 de la Convention et 1 du Protocole no 1, pris seuls et combinés avec les articles 13 et 14 de la Convention ;
5. Dit
a) que l’État défendeur doit accorder, à la requérante, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif en vertu de l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes, à convertir dans la monnaie nationale de l’État défendeur au taux applicable à la date du règlement :
i. 4 400 EUR (quatre mille quatre cents euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour dommage moral, à verser à la requérante,
ii. 2 500 EUR (deux mille cinq cents euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par la requérante, pour frais et dépens, à verser directement à la première représentante de la requérante, Me M., et 2 100 EUR (deux mille cent euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par la requérante, pour frais et dépens, à verser directement à la dernière représentante de la requérante, Me P. ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
6. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 7 avril 2009, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Greffier Président

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

Se l'espropriato ha già un Professionista di sua fiducia, può comunicagli che sul nostro sito trova strumenti utili per il suo lavoro.
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 - Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.

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  • Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
    - Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
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Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 13/12/2024