Conclusione Parzialmente inammissibile; Violazione dell’art. 6-1; violazione dell’arte. 13; danno morale – risarcimento
TERZA SEZIONE
CAUSA PARROCCHIA GRÉCO-CATTOLICA
SFÂNTUL VASILE POLONĂ C. ROMANIA
( Richiesta no 65965/01)
SENTENZA
STRASBURGO
7 aprile 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Parrocchia greco -cattolica Sfântul Vasile Polonă c. Romania,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente, Elisabet Fura-Sandström, Corneliu Bîrsan, Boštjan M. Zupančič, Alvina Gyulumyan, Ineta Ziemele, Ann Power, giudici,
e da Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 17 marzo 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 65965/01) diretta contro la Romania e in cui una parrocchia ubicata in questo Stato, la parrocchia greco- cattolica S. V. P. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 27 gennaio 2001 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è stato rappresentato, in un primo tempo, dai Sig. M ed I. B., avvocati a Bucarest, e, ora, da N. P,, avvocato a Bucarest. Il governo rumeno (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, il Sig. R. – H. Radu, del ministero delle Cause estere.
3. Il 29 novembre 2007, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è la parrocchia greco- cattolica S. V. P., sotto la tutela dell’arcidiocesi rumena uniate di A. I. e di F., che ha la sua sede a Bucarest.
1. Azione di sfratto introdottao dal richiedente contro la parrocchia ortodossa
5. Il 19 febbraio 1992, il richiedente citò dinnanzi al tribunale di prima istanza di Bucarest la parrocchia ortodossa che utilizzava parecchi beni ubicati al numero 50 via di Polonă, ossia una chiesa, una casa parrocchiale ed il terreno afferente. Fece valere che aveva perso questi beni a profitto della parrocchia ortodossa nel 1948, dopo lo scioglimento della culto greco -cattolico col decreto-legge no 358/1948. Fondando la sua azione sull’articolo 480 del codice civile che regolava la protezione del diritto di proprietà, intendeva ricuperare il possesso di questi beni di cui affermava non avere smesso di essere proprietario.
6. Con un giudizio del 16 novembre 1992, il tribunale di prima istanza respinse l’azione del richiedente, stimando che l’interessata avrebbe dovuto introdurre un’azione non di sfratto ma di rivendicazione.
7. Il richiedente formò un ricorso, arguendo che l’azione di rivendicazione che mirava a confrontare due titoli di proprietà, era inadatta poiché la parrocchia ortodossa non deteneva nessuno titolo.
8. Con una sentenza dell’ 11 giugno 1993, il tribunale dipartimentale di Bucarest accolse il mezzo avanzato dalla parrocchia ortodossa che riguardava la qualità per stare in giudizio del richiedente, e che il tribunale di prima istanza non aveva esaminato.
9. Il 16 febbraio 1994, dopo rinvio, il tribunale di prima istanza di Bucarest respinse l’azione del richiedente come inammissibile. Giudicò che, dal momento che i credenti che frequentano la chiesa in questione erano ortodossi, la parrocchia ortodossa era l’unica in diritto di utilizzare la chiesa ed ad avere il requisito per stare in giudizio. Secondo il tribunale, i documenti che attestano il diritto di proprietà del richiedente erano privi di pertinenza nello specifico.
10. Il richiedente interpose appello.
11. Con una sentenza del 19 dicembre 1994, dopo parecchi rinvii del pronunziato, il tribunale dipartimentale di Bucarest respinse l’appello riprendendo la motivazione del tribunale di prima istanza.
12. Il richiedente formò un ricorso.
13. Con una sentenza del 25 settembre 1995, la corte di appello di Bucarest accolse il ricorso, stimando che la sentenza del tribunale dipartimentale di Bucarest non era motivata rispetto all’oggetto dell’azione.
14. Dopo rinvio, con una decisione interlocutoria del 12 dicembre 1996, il tribunale dipartimentale di Bucarest, su richiesta delle parti, sospese la causa fino al 20 febbraio 1997 in vista dei negoziati per un eventuale ordinamento amichevole della causa.
15. In seguito al fallimento di questi negoziati, il tribunale dipartimentale di Bucarest riprese l’esame della causa e, con una sentenza del 25 giugno 1998, respinse di nuovo l’appello del richiedente come inammissibile in ragione della mancanza di qualità per stare in giudizio dell’interessata.
16. Il richiedente formò un ricorso invocando, tra l’altro, l’articolo 6 della Convenzione e l’esigenza del termine ragionevole dei procedimenti.
17. Con una sentenza del 29 marzo 1999, la corte di appello di Bucarest accolse il ricorso, considerando che, non essendo condizionato il diritto di accesso alla giustizia dal numero dei credenti di una parrocchia, il richiedente aveva requisito per stare in giudizio. Rinviò la causa dinnanzi al tribunale di prima istanza di Bucarest per un nuovo esame.
18. Il 16 novembre 1999, il tribunale di prima istanza sollevò d’ufficio l’eccezione d’incompetenza ratione materiae dei tribunali a deliberare sulle cause riguardanti la situazione giuridica delle chiese e delle case parrocchiali di cui i rappresentanti del culto ortodosso si erano impossessati. Il tribunale si basava sulle disposizioni dell’articolo 3 del decreto no 126/1990 che contemplava che la situazione di tali beni doveva essere decisa da una commissione mista.
19. Il richiedente replicò nelle suoi conclusioni che il rigetto della sua azione in virtù dell’articolo 3 del decreto no 126/1990 si analizzerebbe in realtà come un’incomprensione del suo diritto di accesso ad un tribunale garantito dall’articolo 6 della Convenzione.
20. Con un giudizio del 23 novembre 1999, il tribunale di prima istanza accolse l’eccezione. Considerò che l’articolo 3 del decreto in questione istituiva un procedimento preliminare ad ogni azione in giustizia che non contravveniva al diritto di accesso ad un tribunale. Citò parecchie decisioni rese in questo senso dai tribunali nelle cause di restituzione di chiese appartenute al culto uniate.
21. Il richiedente interpose appello.
22. Con una sentenza del 30 novembre 2000, il tribunale dipartimentale di Bucarest accolse l’appello e, dopo avere riconosciuto la competenza delle giurisdizioni per pronunciarsi sulla situazione giuridica dei beni appartenuti al culto uniate, rinviò la causa dinnanzi al tribunale di prima istanza.
23. Il richiedente e la convenuta formarono un ricorso. Il richiedente chiese che fosse il tribunale dipartimentale a decidere il merito della causa.
24. Con una sentenza del 9 marzo 2001, la corte di appello di Bucarest respinse i due ricorsi. Qualificando l’azione del richiedente come azione di rivendicazione dei beni, confermò la conclusione del tribunale dipartimentale per ciò che riguardava la competenza dei tribunali per pronunciarsi sulla situazione giuridica dei beni appartenuti al culto uniate.
25. Dopo rinvio, con una decisione interlocutoria del 21 settembre 2001, il tribunale di prima istanza di Bucarest, su richiesta delle parti, sospese la causa fino al 26 ottobre 2001 in vista dei negoziati extragiudiziali.
26. In seguito al fallimento dei negoziati, il tribunale di prima istanza di Bucarest riprese l’esame della causa. Con una decisione del 26 ottobre 2001, declinò la sua competenza a favore del tribunale dipartimentale in virtù dell’articolo 2 § 1 b) del codice di procedura civile, al motivo che il valore dei beni controversi superava i 2 miliardi di lei.
27. Con una sentenza del 20 giugno 2002, il tribunale dipartimentale di Bucarest respinse l’azione come inammissibile in virtù dell’articolo 8 § 2 della legge no 10/2001 sul regime giuridico dei beni presi abusivamente dallo stato tra il 6 marzo 1945 ed il 22 dicembre 1989. Questo articolo contemplava che il regime giuridico degli immobili appartenuti ai culti religiosi ed passati in possesso dello stato o di altre persone giuridiche sarebbe stato regolamentato da atti normativi speciali.
28. Il richiedente interpose appello.
29. Con una decisione sull’ammissibilità del 12 novembre 2002, la corte di appello di Bucarest accolse l’appello del richiedente, stimando che i tribunali erano competenti per decidere il merito della controversia. Considerò la causa per esaminarne il merito e precisò che vi avrebbe proceduto una volta la sua decisione sull’ammissibilità diventata definitiva.
30. La parte convenuta formò un ricorso contro la decisione della corte di appello.
31. Con una sentenza del 20 maggio 2003, l’Alta Corte di cassazione e di giustizia respinse il ricorso come inammissibile, giudicando che la decisione sull’ammissibilità del 12 novembre 2002 era una decisione intermedia che poteva essere oggetto di un ricorso solo una volta deciso il merito della causa.
32. Il 2 marzo 2004, la corte di appello di Bucarest respinse l’azione del richiedente come inammissibile. Sottolineò che, sebbene il richiedente avesse dimostrato il suo diritto di proprietà sui beni rivendicati, non aveva rispettato il procedimento speciale previsto dall’ordinanza di emergenza del Governo no 94/2000, una norma derogatoria al diritto comune, che regolava le modalità di restituzione dei beni che i culti religiosi, dopo essere stati proprietari, avevano perso durante il periodo comunista.
33. Il richiedente ricorse in cassazione. Denunciava, a titolo principale, il cambiamento arbitrario da parte della corte di appello del fondamento giuridico della sua azione, facendo valere che la sua azione era fondata sull’articolo 480 del codice civile e non sull’ordinanza di emergenza citata dalla corte di appello. Inoltre, adduceva la violazione del suo diritto di accesso ad un tribunale garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione così come dei suoi diritti protetti dagli articoli 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1. Si lamentava anche che il procedimento non fosse stato deciso in un termine ragionevole.
34. Con una sentenza del 2 febbraio 2005, l’Alta Corte di cassazione e di giustizia accolse il ricorso, annullò la sentenza della corte di appello di Bucarest e le rinviò la causa. Giudicò che la corte di appello aveva ignorato il principio della non-retroattività della legge civile facente applicazione dell’ordinanza di emergenza no 94/2000 e che avrebbe dovuto esaminare l’azione in virtù dell’articolo 480 del codice civile invocato dal richiedente. Considerò che ciò costituiva anche una violazione degli articoli 6 e 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1.
35. Con una sentenza del 24 novembre 2005, la corte di appello di Bucarest accolse l’azione del richiedente. Giudicò che il richiedente non aveva mai perso la proprietà dei suddetti beni poiché il decreto no 358/1948 contemplava che i beni mobili ed immobili del culto passavano nel patrimonio dello stato, eccetto i beni appartenenti alle parrocchie, e che, in più, la commissione interdipartimentale incaricata di fissare la destinazione finale di questi ultimi beni non li aveva mai assegnati allo stato o ad un’altra entità. Ordinò alla parrocchia ortodossa di cedere il possesso della chiesa, del campanile, della casa parrocchiale e del terreno afferente di 2 160 m² al richiedente.
36. La parrocchia ortodossa ricorse in cassazione.
37. Con una sentenza del 15 giugno 2006, l’Alta Corte di cassazione e di giustizia constatò la nullità del ricorso della parrocchia ortodossa per motivazione tardiva.
38. Durante il procedimento, il richiedente chiese a sette riprese il rinvio delle udienze al motivo che i suoi rappresentanti non potevano essere presenti. I tribunali fecero diritto a ciascuna di queste richieste.
2. Azione di rivendicazione introdotta dal richiedente contro la parrocchia ortodossa
39. Nel frattempo, il richiedente aveva investito il tribunale dipartimentale di Bucarest di un’azione di rivendicazione della chiesa, della casa parrocchiale e del terreno afferente, il 18 luglio 2000, beni ubicati al numero 50 di via Polonă, a Bucarest.
40. Secondo il richiedente, all’epoca dell’udienza del 1 novembre 2000, il giudice unico dichiarò di non gradire l’idea di immischiarsi delle cause delle chiese.
41. All’epoca dell’udienza del 29 novembre 2000, il giudice unico negò di versare alla pratica dei documenti prodotti dal richiedente.
42. Con un giudizio del 7 marzo 2001, il tribunale dipartimentale dichiarò l’azione inammissibile, stimando che i tribunali non erano competenti per deliberare sulla situazione giuridica dei beni controversi.
43. Il richiedente interpose appello. Denunciò tra l’altro una violazione degli articoli 6 e 9 della Convenzione e rinviò ad una decisione resa dall’Alta Corte di cassazione e di giustizia secondo la quale i tribunali erano competenti per decidere le azioni riguardanti la restituzione dei beni persi durante il periodo comunista. All’epoca dell’udienza pubblica del 12 dicembre 2001, si riferì inoltre alla sentenza della corte di appello di Bucarest del 9 marzo 2001 (punto 1 sopra) con cui la corte aveva deciso a favore della competenza dei tribunali di deliberare in tali casi.
44. Con una sentenza del 19 dicembre 2001, la corte di appello di Bucarest respinse l’appello e confermò il giudizio pronunciato in prima istanza.
45. Il richiedente ricorse in cassazione.
46. Il 24 settembre 2002, l’Alta Corte di cassazione e di giustizia rinviò al 4 febbraio 2003 l’istanza a causa dell’irregolarità del procedimento di citazione della parte convenuta.
47. Il 4 febbraio 2003, l’Alta Corte rinviò l’istanza al 22 aprile 2003 su richiesta della parte convenuta in vista della preparazione della sua difesa.
48. Il 22 aprile 2003, l’Alta Corte rinviò l’istanza al 25 novembre 2003 su richiesta del richiedente che desiderava prendere cognizione dell’esposto in difesa e dei documenti prodotti dalla parrocchia ortodossa all’epoca dell’udienza pubblica.
49. Con una sentenza del 25 novembre 2003, l’Alta Corte annullò la sentenza della corte di appello di Bucarest e rinviò la causa dinnanzi a questa. Giudicò difatti che i tribunali erano competenti per deliberare sull’azione di rivendicazione del richiedente e che la sentenza della corte di appello ignorava il principio del libero accesso alla giustizia garantito dalla Costituzione e dall’articolo 6 della Convenzione.
50. Con una sentenza del 24 marzo 2004, la corte di appello di Bucarest accolse l’appello ed iscrisse la causa al suo ruolo.
51. Con una sentenza del 16 giugno 2004, la corte di appello di Bucarest respinse l’azione. Fece valere che, con la sentenza del 2 marzo 2004, aveva già respinto un’azione di rivendicazione del richiedente riguardante gli stessi beni. Riconobbe così l’autorità della cosa giudicata a questa ultima sentenza.
52. Il richiedente ricorse in cassazione.
53. Con una sentenza interlocutoria del 6 giugno 2007, l’Alta Corte di cassazione e di giustizia decise di sospendere l’esame della causa in ragione della mancanza delle parti al processo malgrado le convocazioni a comparire che erano state indirizzate loro.
54. Durante il procedimento, il richiedente chiese a tre riprese il rinvio delle udienze al motivo che i suoi rappresentanti non potevano essere presenti. I tribunali fecero diritto a ciascuna di queste richieste.
3. Situazione reale dei beni rivendicati
55. Il richiedente menziona che, durante tutta la durata dei procedimenti impegnati, ha dovuto ufficiare in una chiesa romano-cattolico secondo un calendario rigoroso e contro pagamento.
56. Al presente, gode del possesso dei suddetti beni.
57. Il 18 dicembre 2006, l’arcivescovado uniate e l’arcivescovado ortodosso di Bucarest conclusero un accordo d’ esecuzione della sentenza della corte di appello di Bucarest del 24 novembre 2005. In esecuzione di questo accordo, l’arcivescovado ortodosso cedette a favore del richiedente il possesso della chiesa situata al numero 50 di via Polonă, a partire dal 28 dicembre 2006, e della casa parrocchiale e del terreno afferente a partire dal 1 febbraio 2007.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
A. La Costituzione
58. Le disposizioni pertinenti nello specifico della Costituzione del 1991 si leggono così:
Articolo 11 § 2
“I trattati ratificati dal Parlamento secondo le vie legali fanno parte integrante dell’ordine giuridico interno. “
Articolo 20
“(1) le disposizioni costituzionali concernente i diritti e le libertà dei cittadini saranno interpretate ed applicate in conformità con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ed i patti ed altri trattati ai quali la Romania è parte.
(2) in caso di contraddizione tra i patti e i trattati concernenti i diritti fondamentali dell’uomo ai quali la Romania è parte e le leggi interne, le disposizioni internazionali prevalgono. “
Articolo 21
“(1) ogni persona può investire i tribunali in vista della difesa dei suoi diritti, delle sue libertà e dei suoi interessi legittimi.
(2) nessuna legge può impedire l’esercizio di questo diritto. “
Articolo 133 § 2
“Il Consiglio superiore della magistratura assolve il ruolo di consiglio disciplinare dei giudici. “
59. La Costituzione rivista il 31 ottobre 2003 è redatta così nelle sue parti pertinenti nello specifico:
Articolo 20 § 2
“(2) in caso di contraddizione tra i patti e i trattati concernenti i diritti fondamentali dell’uomo ai quali la Romania è parte e le leggi interne, le disposizioni internazionali prevalgono, salvo se la Costituzione o le leggi interne contengono delle disposizioni più favorevoli. “
Articolo 21 § 3
“Le parti hanno diritto ad un processo equo ed all’esame delle loro azioni in giustizia in un termine ragionevole. “
Articolo 133
“(2) il Consiglio superiore della magistratura assolve il ruolo di tribunale (instanţă de judecată) (…) nell’ambito della responsabilità disciplinare dei giudici e dei procuratori, in conformità col procedimento stabilito dalla sua legge organica. (…)
(3) le decisioni del Consiglio superiore della magistratura in materia disciplinare possono essere contestate dinnanzi all’Alta Corte di cassazione e di giustizia. “
B. La legge no 92 del 4 agosto 1992 sull’organizzazione giudiziale, come ripubblicata il 30 settembre 1997 (la legge no 92/1992)
60. Il titolo VII del legge no 92/1992 riguarda la responsabilità disciplinare dei magistrati. Questa responsabilità è impegnata in caso di trasgressione nel compimento delle loro funzioni (îndatoriri de serviciu) e di comportamenti che possono nuocere all’interesse del servizio o al prestigio della giustizia. L’azione disciplinare contro i giudici è impegnata dal ministro della Giustizia che può investire il Consiglio superiore della magistratura dopo avere ricevuto i risultati di un’inchiesta preliminare. Le sanzioni disciplinari sono l’avvertimento, la diminuzione dello stipendio, il trasferimento temporaneo in un altro tribunale, la sospensione temporanea della posizione, il rinvio della magistratura.
61. Questo titolo è stato abrogato dalla legge no 303 del 28 giugno 2004 sullo statuto dei magistrati.
C. La legge no 303 del 28 giugno 2004 sullo statuto dei magistrati (la legge no 303/2004)
62. Secondo l’articolo 95 della legge no 303/2004, ogni persona può investire il Consiglio superiore della magistratura dei casi che dipendono dall’attività o dal comportamento inadatto, della trasgressione agli obblighi professionali o dalla commissione di una mancanza disciplinare da parte di un magistrato. Secondo l’articolo 97 f) della legge, è considerata come mancanza disciplinare la mancata osservanza in modo ripetuto delle disposizioni legali relative all’esame delle azioni con celerità. L’articolo 98 della legge contempla le sanzioni disciplinari che sono simili a quelle iscritte nella legge no 92/1992.
D. La legge no 304 del 28 giugno 2004 sull’organizzazione giudiziale (la legge no 304/2004)
63. Questa legge ha abrogato la maggior parte delle disposizioni della legge no 92/1992. Secondo l’articolo 10 della legge no 304/2004, ogni persona ha diritto ad un processo equo e condotto in un termine ragionevole.
III. I LAVORI DELLA COMMISSIONE EUROPEA PER LA DEMOCRAZIA TRAMITE IL DIRITTO (COMMISSIONE DI VENEZIA)
64. All’epoca della sua 69a sessione plenaria (15-16 dicembre 2006), la Commissione di Venezia ha adottato un “Studio sull’effettività dei ricorsi interni in materia di durata eccessiva dei procedimenti”, documento CDL-AD(2006)036 i cui brani pertinenti nello specifico sono i successivi:
“59. In modo generale, la maggior parte degli Stati membri del Consiglio dell’Europa [eccetto l’Armenia, l’Azerbaigian, la Grecia, la Romania e la Turchia] dispongono di un mezzo procedurale che permette agli individui di sporgere querela in caso di durata eccessiva di un procedimento.
65. I ricorsi aperti in caso di durata ritenuta eccessiva dei procedimenti possono essere introdotti in differenti modi.
-I ricorsi preventivi o di accelerazione mirano ad accorciare la durata dei procedimenti per evitare che non diventi eccessiva, mentre i ricorsi per risarcimento forniscono agli individui un indennizzo per i ritardi già provocati, sia che il procedimento sia ancora pendente o che sia finito.
-I ricorsi pecuniari offrono un risarcimento finanziario per il danno subito, materiale e/o giuridico. I ricorsi non pecuniari offrono un risarcimento morale, per esempio la riconoscenza della violazione o l’alleggerimento di una pena.
-Certi ricorsi sono al tempo stesso aperti per i procedimenti pendenti e compiuti, mentre altri lo sono solamente per i procedimenti pendenti. Difatti, quando un procedimento è finito, i ricorsi di accelerazione non avrebbero evidentemente nessuna utilità, ed il ricorso può consistere dunque solo in un risarcimento per il danno subito a causa della durata eccessiva del procedimento o in un’azione disciplinare contro l’autorità responsabile di questa durata eccessiva.
-Certi ricorsi possono essere applicabili a tutti i tipi di procedimenti (civili, amministrative o penali) mentre altri si applicano solamente ai procedimenti penali.
142. Di fatto, la Corte precisa che una combinazione dei due tipi di ricorso, uno destinato ad accelerare il procedimento e l’altro a portare un risarcimento, potrebbe sembrare costituire la migliore soluzione.
147. Un’azione disciplinare contro il giudice che ha dato prova di lentezza può essere assimilata ad un ricorso effettivo contro la durata dei perseguimenti ai termini dell’articolo 13 della Convenzione unicamente se ha una “conseguenza diretta ed immediata sul procedimento che ha dato adito a querela.” Ne segue che l’azione disciplinare deve presentare un certo numero di caratteristiche specifiche. Se viene depositata una querela, l’organo di controllo deve avere per obbligo di studiare la questione col giudice che ha fatto prova di lentezza. Il richiedente deve essere parte al procedimento. La decisione, qualunque sia, non deve avere unicamente degli effetti sulla situazione personale del giudice in causa.
148. Qualunque sia la forma del risarcimento, deve accompagnarsi della riconoscenza della violazione intervenuta. Di fatto, la giurisdizione interna deve riconoscere che l’esigenza di una durata ragionevole non è stata soddisfatta e che una misura specifica deve essere presa allo scopo di riparare la mancata osservanza del “termine ragionevole”, ai sensi dell’articolo 6 paragrafo 1 della Convenzione. Questa riconoscenza deve esistere “almeno in sostanza.”
151. L’articolo 13 non esige che un ricorso specifico venga contemplato per ciò che riguarda la durata eccessiva dei procedimenti; un ricorso costituzionale o giuridico generale, come un’azione in vista di stabilire la responsabilità non contrattuale dello stato, può bastare. Tale azione deve presentare tuttavia, un carattere effettivo tanto sul piano del diritto che su quello della pratica.
152. In mancanza di una base giuridica specifica, l’esistenza del ricorso e la portata della sua applicazione deve essere enunciata chiaramente e deve essere confermata, completate o, tramite la pratica degli organi competenti e/o la giurisprudenza appropriata.
153. Qualunque sia la misura ordinata dall’autorità competente, il ricorso interno per durata eccessiva soddisfarà le esigenze della Convenzione solo se ha acquisito, in teoria ed in pratica, la certezza giuridica sufficiente che permette al richiedente di averla utilizzata al momento del deposito di una richiesta presso la Corte.
158. Non occorre che i “ricorsi contro i ritardi” previsti dal diritto interno restino semplicemente teorici: deve esistere una giurisprudenza sufficiente che prova che l’esercizio di questi ricorsi può permettere realmente di accelerare il procedimento o di ottenere un risarcimento adeguato.
159. In mancanza di giurisprudenza specifica, un ricorso può essere considerato come “effettivo” se la formula della legge in questione indica senza equivoci che mira espressamente a regolare il problema della durata eccessiva di procedimenti dinnanzi alle giurisdizioni interne. “
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
65. Il richiedente adduce parecchi attentati al suo diritto ad un processo equo garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione. Questa disposizione è formulata così nella sua parte pertinente nello specifico:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita in un termine ragionevole, da un tribunale indipendente ed imparziale, stabilito dalla legge che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Sulla durata dei procedimenti impegnati dal richiedente
66. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta della durata eccessiva dei due procedimenti che miravano al recupero dei beni ubicati al numero 50 di via Polonă, a Bucarest.
1. Sulla durata del procedimento di sfratto
a) Sull’ammissibilità
67. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
b) Sul merito
i. Il periodo da prendere in considerazione
68. Il periodo da considerare è cominciato solamente con la presa d’effetto, il 20 giugno 1994, della riconoscenza del diritto di ricorso individuale da parte della Romania. Per valutare il carattere ragionevole dei termini trascorsi a partire da questa data, bisogna tenere conto dello stato in cui la causa si trovava allora. Conviene così notare che le giurisdizioni nazionali sono state investite della causa più di due anni prima dell’entrata in vigore della Convenzione a riguardo della Romania.
Il periodo in questione si è concluso il 15 giugno 2006, con la sentenza dell’Alta Corte di cassazione e di giustizia. È durato dunque quasi dodici anni per quattro gradi di giurisdizione.
ii. Sul carattere ragionevole della durata del procedimento
69. La richiedente stima che la durata del procedimento analizzato è eccessiva. Citando la causa Străin ed altri c. Romania (no 57001/00, CEDH 2005-VII,) sostiene che la sua causa non era complessa poiché si trattava in definitiva di un’azione di rivendicazione. Precisa poi che le sue richieste di rinvio delle udienze erano motivate dall’impossibilità obiettiva per i suoi avvocati di presentarsi alle udienze. Sostiene inoltre che la durata del procedimento è imputabile ai tribunali, avendo questi annullato a cinque riprese delle decisioni per difetti di procedimento che possono essere rimproverati ai tribunali inferiori, ciò che gli sembra dimostrare una deficienza seria nel sistema giudiziale nazionale (Wierciszewska c. Polonia, no 41431/98, § 46, 25 novembre 2003). Infine, sottolinea l’ampiezza della posta della causa per lei e ricorda che ha dovuto ufficiare in una chiesa romano-cattolico secondo un calendario rigoroso e contro pagamento.
70. Il Governo sostiene che il procedimento in questione era complesso dal momento che i tribunali si sono dovuti pronunciare su due eccezioni che miravano ratione materiae la loro competenza, sull’imparzialità di un giudice e su una richiesta di ricusazione, e che il procedimento ha conosciuto parecchie cassazioni con rinvio. Peraltro, secondo lui, non ci sono stati dei lunghi periodi di inoperosità dei tribunali, essendo state fissate le udienze ad intervalli regolari. Infine, il Governo fa notare che il richiedente a chiesto il rinvio dell’udienza a sette riprese al motivo che i suoi rappresentanti non potevano essere presenti, ed a due riprese in vista di negoziati tra le parti ai fini di un eventuale ordinamento amichevole della causa.
71. La Corte ricorda che il carattere ragionevole della durata di un procedimento si rivaluta secondo le circostanze della causa ed avuto riguardo ai criteri consacrati dalla sua giurisprudenza, in particolare la complessità della causa, il comportamento del richiedente e quello delle autorità competenti così come la posta della controversia per gli interessati (vedere, tra molte altre, Frydlender c. Francia [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
72. Ha concluso peraltro, già, in molte cause che sollevavano delle questioni simili a quelle del presente caso, alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (Frydlender precitata).
73. Nello specifico, stima che né la complessità della causa né il comportamento del richiedente non spiega la durata del procedimento.
74. Per ciò che riguarda il comportamento dei tribunali nazionali, la Corte constata che il ritardo nel procedimento è stato causato dalle cassazioni e dai rinvii successivi della causa. Così, la causa è stata rinviata cinque volte dinnanzi al tribunale di prima istanza, il tribunale dipartimentale o la corte di appello di Bucarest, per parecchie ragioni,: omissione di esaminare un motivo di appello, mancanza di motivazione, constatazioni scorrette in quanto alla questione della qualità per stare in giudizio della richiedente o della competenza dei tribunali per pronunciarsi sull’azione del richiedente. Inoltre, il rinvio della causa poteva continuare all’infinito, non potendo mettere nessuna disposizione legale un termine. A questo riguardo, la Corte ricorda che, sebbene non essendo competente per analizzare il modo in cui le giurisdizioni nazionali hanno interpretato ed applicato il diritto interno, considera tuttavia che le cassazioni con rinvio sono dovute in generale agli errori commessi dalle giurisdizioni inferiori (Wierciszewska, precitata, § 46) e che la ripetizione di tali cassazioni denota una deficienza di funzionamento del sistema giudiziale (Cârstea e Grecu c. Romania, no 56326/00, § 42, 15 giugno 2006).
75. Nello specifico, dopo avere esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti e tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte stima che la durata del procedimento controverso è eccessiva e non risponde all’esigenza del “termine ragionevole.”
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 per ciò che riguarda il procedimento di sfratto.
2. Sulla durata del procedimento di rivendicazione
a) Sull’ammissibilità
76. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
b) Sul merito
i. Il periodo da prendere in considerazione
77. Il periodo da considerare è cominciato il 18 luglio 2000 e si è concluso il 6 giugno 2007 quando l’Alta Corte di cassazione e di giustizia ha deciso di sospendere l’esame della causa in ragione della mancanza delle parti all’udienza. È durato sei anni, dieci mesi e venti giorni, dunque, per tre gradi di giurisdizione.
ii. Sul carattere ragionevole della durata del procedimento
78. La richiedente stima che la causa non presentava nessuna difficoltà particolare. Sottolinea che le sue richieste di rinvio di udienza erano motivate dall’impossibilità obiettiva per i suoi avvocati di presentarsi alle udienze. Secondo lei, la durata del procedimento è imputabile ai tribunali che, per più di sei anni, non si sono pronunciati sul merito della causa. Peraltro, sottolinea l’ampiezza della posta della causa per lei e ricorda che ha dovuto ufficiaee in una chiesa romano-cattolico secondo un calendario rigoroso e contro pagamento.
79. Il Governo sostiene che il procedimento in questione era complesso dato che i tribunali hanno dovuto ottenere delle informazione da parte delle autorità giudiziali nazionali e che il procedimento ha conosciuto una cassazione con rinvio. Peraltro, secondo lui, non ci sono stati dei lunghi periodi di inoperosità dei tribunali, essendo state fissate le udienze ad intervalli regolari. Infine, il Governo fa notare che il richiedente ha chiesto a tre riprese il rinvio dell’udienza al motivo che i suoi avvocati non potevano essere presenti.
80. Avuto riguardo ai criteri sopra menzionati (paragrafo 71 sopra) la Corte stima che né la complessità della causa né il comportamento del richiedente non spiegano la durata del presente procedimento.
81. Per ciò che riguarda il comportamento dei tribunali nazionali, la Corte constata che gli intervalli tra le udienze hanno raggiunto parecchi mesi talvolta( paragrafi 46-51 sopra) e che non si giustificavano rispetto agli atti di procedimento che le parti dovevano eseguire.
82. La Corte rileva poi che, nello spazio di più di sei anni, i tribunali non hanno mai esaminato il merito della causa ma che si sono limitati a respingere l’azione come inammissibile per diverse ragioni. Ora incombe sugli Stati contraenti di organizzare il loro sistema giudiziale in modo tale che le loro giurisdizioni possano garantire a ciascuno il diritto di ottenere una decisione definitiva sulle contestazioni relative ai suoi diritti ed obblighi di carattere civile in un termine ragionevole (Zwierzynski c. Polonia, no 34049/96, § 55, CEDH 2001-VI). Infine, la Corte nota che in questo procedimento vi è stata anche una cassazione motivata dal rifiuto dei tribunali di esaminare la causa al merito.
83. Dopo avere esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti e tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte stima che nello specifico la durata del procedimento controverso è eccessiva e non risponde all’esigenza del “termine ragionevole.”
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 anche per ciò che riguarda il procedimento di rivendicazione.
B. Sugli altri motivi di appello tratti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione
84. Il richiedente si lamenta dell’incomprensione del suo diritto di accesso ad un tribunale al motivo che i tribunali hanno respinto a più riprese le sue azioni per incompetenza ratione materiae, rifiutando così di esaminare il merito delle azioni. Si lamenta anche della mancanza di imparzialità dei tribunali. Così, per ciò che riguarda il primo procedimento che si è concluso con la sentenza dell’Alta Corte di cassazione e di giustizia del 15 giugno 2006, il richiedente si lamenta che i tribunali hanno utilizzato il criterio dell’orientamento religioso dei credenti per decidere dell’utilizzazione dell’edificio del culto; denuncia inoltre i cambiamenti ricorrenti della composizione delle formazioni di giudizio ed il carattere lacunoso e negligente della trascrizione dei dibattimenti. Per ciò che riguarda il secondo procedimento, il richiedente reitera che una dei giudici ha affermato di non amare immischiarsi delle cause delle chiese e che un altro giudice ha negato di versare alla pratica dei documenti prodotti da lei; infine, stima che la corte di appello di Bucarest, nella sua sentenza del 19 dicembre 2001, ha contraddetto la sua propria giurisprudenza, dal momento che aveva concluso il 9 marzo 2001 alla competenza dei tribunali per pronunciarsi sulla situazione giuridica dei beni appartenenti ai culti religiosi.
85. Per ciò che riguarda il primo procedimento, la Corte nota che è arrivata all’accoglimento dell’azione del richiedente e che si è concluso con la sentenza dell’Alta Corte di cassazione e di giustizia del 15 giugno 2006. La Corte stima dunque che il richiedente non è più vittima dell’incomprensione dell’articolo 6 della Convenzione che adduce, che questa parte del motivo di appello è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e che deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 § 4.
86. Per ciò che riguarda il secondo procedimento, la Corte osserva che il suo esame è stato sospeso con la decisione interlocutoria dell’Alta Corte di cassazione e di giustizia del 6 giugno 2007 in ragione della mancanza delle parti all’udienza. Ne segue che questo motivo di appello deve essere respinto per non-esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE PER CIÒ CHE RIGUARDA I MOTIVI DI APPELLO TRATTI DALL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
87. Il richiedente adduce parecchi attentati al suo diritto ad un ricorso effettivo garantito dall’articolo 13 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
A. Sull’esistenza di un ricorso effettivo che permette di denunciare la durata irragionevole dei procedimenti
88. La richiedente si lamenta di non disporre in dritto interno di nessuna via di ricorso che le permetta di lamentarsi della durata eccessiva dei due procedimenti impegnati in vista della restituzione dei beni controversi.
1. Tesi delle parti
89. Il Governo stima che il richiedente poteva investire il Consiglio superiore della magistratura di una querela relativa alla durata del procedimento interno. Aggiunge che in virtù delle leggi no 92/1992 e no 303/2004, questa istituzione può essere investita di una querela relativa alla mancata osservanza da parte dei magistrati di un obbligo legale che spetta loro, ossia quello di decidere con celerità le cause che sono state assegnate loro, e che l’incomprensione di un obbligo iscritto nello statuto dei magistrati può provocare la responsabilità disciplinare della persona riguardata.
90. Nota poi che tale possibilità raffigura tra i rimedi esaminati dalla Commissione di Venezia nel suo studio sulle vie di ricorso da utilizzare per l’ottenimento di un risarcimento in caso di durata eccessiva dei procedimenti. Considera che il Consiglio superiore della magistratura, essendo formato da giudici e da procuratori ed esercitando delle funzioni giurisdizionali nel procedimento disciplinare, beneficia delle garanzie di legalità e di imparzialità in ragione della sua composizione. Considera inoltre che si tratta di un’istanza nazionale che presenta un’efficacia quasi simile ad un’istanza giudiziale. Non esigendo l’articolo 13 della Convenzione che “l’istanza” sia un’istituzione giudiziale, stima che le esigenze di questa disposizione sono assolte nello specifico.
91. Il Governo rileva poi che la Costituzione rumena accorda la preminenza ai trattati in materia di diritti dell’uomo e permette l’applicazione diretta della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della giurisprudenza della Corte; quindi, secondo il Governo, sarebbe stato lecito per richiedente presentare direttamente dinnanzi alle istanze interne un’azione fondata sulla durata del procedimento. Sottolinea a questo riguardo che le giurisdizioni nazionali fanno spesso appello alla giurisprudenza della Corte nelle loro decisioni e che questo aspetto registra un’evoluzione continua, il che lo conduce alla conclusione che, se fossero state investite di tale azione, l’avrebbero esaminata. Rinvia alla sentenza del 2 febbraio 2005 pronunziata nel primo procedimento controverso con cui l’Alta Corte di cassazione e di giustizia ha fatto applicazione degli articoli 6 e 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1 (paragrafo 34 sopra).
92. Riferendosi alla sentenza Scordino c. Italia (no 1) ([GC], no 36813/97, CEDH 2006-V) la richiedente stima che la prima via indicata dal Governo non potrebbe passare per un ricorso effettivo. Difatti, secondo lei, una querela indirizzata al Consiglio superiore della magistratura che mette in causa la responsabilità dei magistrati non ha altro effetto che l’applicazione ai magistrati in causa delle sanzioni a carattere disciplinare; tale querela non sarebbe dunque, ai suoi occhi, di natura tale da arrivare alla concessione di un’indennità e non avrebbe potuto accelerare in nessun caso il procedimento in questione. La richiedente non sottopone alcun commento in quanto al secondo ricorso menzionato dal Governo.
2. Valutazione della Corte
a) Principi generali
93. In virtù dell’articolo 1 della Convenzione, ai termini del quale “[Le]Alti Parti contraenti riconoscono ad ogni persona che dipende dalla loro giurisdizione i diritti e le libertà definite al titolo I del Convenzione”, appartiene al primo capo alle autorità nazionali che spetta il collocamento in opera e la sanzione dai diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione. Il meccanismo di querela dinnanzi alla Corte riveste un carattere accessorio rispetto ai sistemi nazionali di salvaguardia dei diritti dell’uomo dunque. Questa sussidiarietà si esprime negli articoli 13 e 35 § 1 della Convenzione (Scordino, precitata, § 140, e Cocchiarella c. Italia [GC], no 64886/01, § 38, CEDH 2006-V).
94. L’articolo 13 della Convenzione garantisce l’esistenza in diritto interno di un ricorso che permette di prevalersi dei diritti e delle libertà della Convenzione come vi si possono trovare consacrati. Questa disposizione ha per conseguenza dunque di esigere un ricorso interno che abilita l’istanza nazionale competente ad esaminare il contenuto di un “motivo di appello difendibile” fondato sulla Convenzione ed ad offrire la correzione appropriata. L’effettività di un ricorso ai sensi dell’articolo 13 non dipende dalla certezza di una conclusione favorevole per il richiedente. Parimenti, l’insieme dei ricorsi offerti dal diritto interno può assolvere le esigenze dell’articolo 13, anche se nessuno di essi non vi risponde da solo.
95. La portata dell’obbligo derivante dall’articolo 13 varia in funzione della natura del motivo di appello che il richiedente fonda sulla Convenzione. Tuttavia, il ricorso richiesto dall’articolo 13 deve essere “effettivo” in pratica come in diritto (vedere, per esempio, la sentenza İlhan c. Turchia [GC], no 22277/93, § 97, CEDH 2000-VII).
96. I ricorsi di cui un giudicabile dispone sul piano interno per lamentarsi della durata di un procedimento sono “effettivi”, ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione, quando permettono di impedire il sopraggiungere o la continuazione della violazione addotta, o di fornire una correzione adeguata per ogni violazione all’interessato che si è già prodotta. Un ricorso è effettivo dunque dal momento che permette o di fare intervenire prima la decisione delle giurisdizioni investite, o di fornire al giudicabile un risarcimento adeguato per i ritardi già imputati (Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, §§ 157-158, CEDH 2000-XI, Mifsud c. Francia, (dec.) [GC], no 57220/00, § 17, CEDH 2002-VIII, e Sürmeli c. Germania [GC], no 75529/01, §§ 98-99, CEDH 2006-VII).
97. Essendo così, la Corte ha precisato recentemente che il migliore rimedio in assoluto è come in numerose ambiti, la prevenzione. Quando un sistema giudiziale è inadempiente a riguardo dell’esigenza derivante dall’articolo 6 § 1 della Convenzione in quanto al termine ragionevole, un ricorso che permette di fare accelerare il procedimento per impedire il sopraggiungere di una durata eccessiva costituisce la soluzione più efficace. Tale ricorso presenta un vantaggio incontestabile rispetto ad un ricorso unicamente indennizzante perché evita anche di dover constatare delle violazioni successive per lo stesso procedimento e non si limita ad agire a posteriori come fa un ricorso indennizzante. Certi Stati l’hanno compreso del resto perfettamente, scegliendo di combinare due tipi di ricorso, uno tendente all’accelerazione del procedimento, l’altro di natura indennizzante (Scordino precitata, §§ 183 e 186, e Cocchiarella precitata, §§ 74 e 77).
b) Applicazione dei principi al presente caso
98. Tenuto conto delle sue conclusioni in quanto al superamento del termine ragionevole dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (paragrafi 69-83 sopra) la Corte stima che il motivo di appello del richiedente riguardante la durata dei procedimenti impegnati dinnanzi ai tribunali nazionali costituisce un motivo di appello “difendibile” (vedere, mutatis mutandis, Öneryıldız c. Turchia [GC], no 48939/99, § 151, CEDH 2004-XI). Peraltro, stima che questa parte della richiesta solleva delle questioni di fatto e di diritto che meritano un esame al merito. Conclude che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e rileva inoltre che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità.
99. La Corte osserva che il Governo menziona due mezzi a disposizione della richiedente in caso di durata eccessiva di un procedimento: una querela disciplinare portata dinnanzi al Consiglio superiore della magistratura ed un’azione introdotta presso i tribunali. Secondo il Governo, il primo ricorso può essere fondato sulle disposizioni delle leggi numeri 92/1992 e 303/2004 ed il secondo sulla Costituzione.
100. Per ciò che riguarda il primo mezzo, la Corte rileva che non risulta dalle disposizioni delle due leggi menzionate dal Governo (paragrafi 60-62 sopra) che queste miravano espressamente all’ordinamento di un problema di durata eccessiva dei procedimenti dinnanzi alle giurisdizioni interne (vedere, a contrario, Slaviček c. Croazia, (dec.), no 20862/02, CEDH 2002-VII). Ad ogni modo, il Governo ha omesso di precisare se tale procedimento, avente come oggetto la responsabilità disciplinare dei giudici, avrebbe avuto delle conseguenze dirette ed immediate sulla durata dei procedimenti di cui il richiedente si lamentava. Si trattava di una delle condizioni considerate dalla Commissione di Venezia nel suo studio sull’effettività dei ricorsi interni in materia di durata eccessiva dei procedimenti (paragrafo 64, punto 147, sopra). La Corte constata anche che il Consiglio superiore della magistratura non può accordare neanche al richiedente alcun indennizzo per i ritardi già sopraggiunti. Ora, nelle cause di durata di procedimento, i richiedenti subiscono innanzitutto un danno morale per cui la Corte non li obbliga a provarne l’importo.
101. Alla vista di ciò che precede, la Corte stima che un procedimento disciplinare contro i giudici può avere unicamente degli effetti sulla situazione personale del magistrato in questione e non potrebbe passare quindi per un ricorso effettivo contro la durata eccessiva dei procedimenti (vedere, mutatis mutandis, Karrer ed altri c. Austria, no 7464/76, decisione della Commissione del 5 dicembre 1978, DR 14, Horvat c. Croazia, no 51585/99, § 47, CEDH 2001-VIII, e Kormacheva c. Russia, no 53084/99, § 62, 29 gennaio 2004).
102. Avuto riguardo a ciò che precede, la Corte stima che una richiesta fondata sulle leggi numeri 92/1992 sull’organizzazione giudiziale e 303/2004 sullo statuto dei magistrati non potrebbe essere considerata con un grado sufficiente di certezza come un ricorso effettivo nelle circostanze della causa del richiedente.
103. Per ciò che riguarda il secondo mezzo indicato dal Governo, la Corte rileva che la Convenzione è difatti direttamente applicabile in Romania e che prevale sulle disposizioni del diritto nazionale che sarebbero in contraddizione con lei (paragrafi 58-59 sopra). Ha considerato già peraltro che un sistema basato sul primato della Convenzione e della giurisprudenza relativa sui diritti nazionali è in grado di garantire al meglio il buon funzionamento del meccanismo di salvaguardia messo in posto dalla Convenzione e dai suoi protocolli addizionali (Dumitru Popescu c. Romania (no 2), no 71525/01, § 103, 26 aprile 2007).
104. Tuttavia, la Corte osserva che, nella presente causa, il Governo non ha fornito nessuno esempio in cui una persona si sarebbe appellata con successo alla Convenzione dinnanzi ad un’autorità nazionale per ottenere l’accelerazione dell’esame della sua causa civile o la concessione di danno-interessi per un ritardo già sopraggiunto. Questa mancanza di giurisprudenza indica la mancanza di certezza, nella pratica, di questo ricorso teorico (vedere, nello stesso senso, Sakık ed altri c. Turchia, 26 novembre 1997, § 53, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VII). In più, l’imprecisione rimane in quanto all’autorità alla quale rivolgersi, al procedimento da seguire ed al risultato di tale procedimento. La Corte stima quindi che un’istanza fondata sull’applicabilità diretta della Convenzione nel diritto rumeno non potrebbe avere il grado di certezza giuridica richiesto per potere costituire un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione (vedere, nello stesso senso, Doran c. Irlanda, no 50389/99, §§ 55-69, CEDH 2003-X (brani), e Rachevi c. Bulgaria, no 47877/99, § 64, 23 settembre 2004).
105. Infine, la Corte osserva che il richiedente ha denunciato, a due riprese ed invano, dinnanzi ai tribunali interni l’incomprensione del diritto all’esame della sua causa in un termine ragionevole, diritto garantito dall’articolo 6 della Convenzione (paragrafi 16 e 33 sopra).
106. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima che il Governo non ha provato sufficientemente nello specifico che il richiedente disponeva di un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione che gli avrebbe permesso di sollevare un motivo di appello fondato sulla durata del procedimento.
107. Questa conclusione non giudica a priori in nessun modo ogni evoluzione positiva che potrà conoscere, nell’avvenire, il diritto e la giurisprudenza interni su questo punto.
108. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione.
B. Sull’esistenza di un ricorso effettivo che permette di denunciare gli altri motivi di appello tratti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione
109. Il richiedente si lamenta dell’inesistenza in diritto rumeno di una via di ricorso che permette di denunciare le altre violazioni dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
110. Tenuto conto delle sue conclusioni in quanto ai motivi di appello tratti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere sopra paragrafi 84-6), la Corte stima che i motivi di appello della richiedente concernenti il difetto di accesso ad un tribunale e l’imparzialità dei tribunali non possono costituire dei motivi di appello “difendibili” ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione. Ne segue che questo motivo di appello è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 § 4.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 9 DELLA CONVENZIONE E DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1, PRESI ISOLATAMENTE E COMBINATI CON GLI ARTICOLI 13 E 14
111. la richiedente adduce che la sua libertà di religione è stata ostacolata, nella misura in cui il servizio religioso non ha potuto essere condotto in buone condizioni. Considerando che non aveva mai perso i beni in questione, si lamenta anche dell’incomprensione del suo diritto di proprietà su questi. Si appella a questo riguardo al rifiuto prolungato dei tribunali di riconoscere la loro competenza per decidere il merito della controversia riguardante il possesso dell’edificio di culto, della casa parrocchiale e del terreno afferente. Considera anche che le autorità nazionali hanno mancato al loro obbligo di garantire la sua libertà di religione ed il suo diritto al rispetto dei suoi beni senza discriminazione. Sostiene di essere stata inoltre privata di questi diritti per l’unica ragione che apparteneva al culto greco -cattolico minoritario e che era in controversia con la maggioranza ortodossa. Si lamenta infine che non esiste nessuna istanza nazionale alla quale avrebbe potuto sottoporre efficacemente i motivi di appello presentati sopra. Invoca gli articoli 9, 13 e 14 della Convenzione e l’articolo 1 del Protocollo no 1.
A. Sull’ammissibilità
112. La Corte constata, alla luce dell’insieme degli elementi in suo possesso, che questi motivi di appello non sono manifestamente mal fondati ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontrano nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararli ammissibili.
B. Sul merito
113. La Corte considera che questi motivi di appello sono legati direttamente al motivo di appello relativo alla durata del procedimento, esaminato sotto l’angolo dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. Avuto riguardo alle sue conclusioni che figurano sopra ai paragrafi 75 e 83, stima che non c’è luogo di deliberare sul merito di questi motivi di appello (vedere, mutatis mutandis, Laino c. Italia [GC], no 33158/96, § 25, CEDH 1999-I, Zanghì c. Italia, 19 febbraio 1991, § 23, serie A no 194-C, e Balcan c. Romania, no 37380/03, § 150, 29 luglio 2008).
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
114. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
115. La richiedente richiede 15 000 euro(EUR) per danno morale. Giustifica questo importo con lo sconforto provocato dalla durata irragionevole dei procedimenti impegnati in vista del recupero dei suoi beni; ciò l’ha mantenuta per più di quattordici anni nell’incertezza in quanto alla situazione giuridica dei suoi beni e nell’impossibilità di ufficiare nella sua propria chiesa. Sottolinea anche che durante tutti questi anni i beni hanno subito numerosi degradi che impongono dei lavori di ristrutturazione ora.
116. Il Governo stima in primo luogo che non è stato stabilito nessun legame di causalità tra il danno addotto e le presunte violazioni della Convenzione. In secondo luogo, citando parecchie sentenze della Corte, sostiene che la somma chiesta dal richiedente è eccessiva. Infine, stima che un’eventuale sentenza di condanna costituirebbe in sé un risarcimento sufficiente del danno morale addotto.
117. Trattandosi del risarcimento del danno morale, la Corte ha giudicato già che il danno diverso dal materiale può comprendere, per una persona giuridica, degli elementi più o meno “obiettivi” e “soggettivi”. Tra questi elementi, bisogna riconoscere la reputazione dell’entità giuridica, ma anche l’incertezza nella pianificazione delle decisioni da prendere, le agitazioni causate alla gestione dell’entità giuridica stessa le cui conseguenze non suscitano un calcolo esatto, ed infine, sebbene in una minima misura, l’angoscia ed i dispiaceri provati dai membri degli organi di direzione della società (Comingersoll S.p.A. c. Portogallo, [GC], no 35382/97, § 35, CEDH 2000-IV).
118. Nello specifico, il prolungamento dei procedimenti controversi al di là del termine ragionevole ha dovuto causare, a capo della parrocchia richiedente e dei suoi rappresentanti, dei dispiaceri considerevoli ed un’incertezza prolungata, non fosse che per il fatto dell’esercizio del culto. Questa si è vista in particolare privata della possibilità di beneficiare più velocemente della sua propria chiesa. A questo riguardo, la Corte stima dunque che la parrocchia richiedente è stata lasciata in una situazione di incertezza che giustifica la concessione di un’indennità.
119. La Corte considera che c’è luogo di concedere al richiedente 4 400 EUR a titolo del danno morale.
B. Oneri e spese
120. La richiedente chiede anche 7 560 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alla Corte, somma che si ripartisce così:
-5 160 EUR per la parcella di M. M., il primo avvocato che l’ha rappresentata dinnanzi alla Corte, da versare direttamente all’avvocato;
-2 100 EUR per la parcella di N. P., l’ultimo avvocato che l’ha rappresentata dinnanzi alla Corte, da versare direttamente all’avvocato;
-300 EUR per gli oneri di segreteria dell’associazione per la difesa dei diritti dell’uomo in Romania (il Comitato Helsinki).
121. Da parte sua, il Governo stima eccessiva la richiesta fatta per ciò che riguarda la parcella degli avvocati. Fa notare inoltre che il richiedente non ha prodotto nessuno giustificativo degli oneri di segreteria.
122. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico, avuto riguardo ai criteri menzionati, al conteggio dettagliato delle ore di lavoro che le è stato sottoposto ed alle questioni che la presente causa ha sollevato, la Corte concede per oneri e spese 2 500 EUR, da versare direttamente a M. , e 2 100 EUR, da versare direttamente a P..
C. Interessi moratori
123. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dall’articolo 6 § 1 e 13 della Convenzione per ciò che riguarda la durata irragionevole dei procedimenti impegnati dalla richiedente ed in quanto ad un ricorso effettivo a questo riguardo, e degli articoli 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1, presi soli e combinati con gli articoli 13 e 14 della Convenzione, ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione per ciò che riguarda la durata dei procedimenti impegnati dal richiedente;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione a ragione dell’inesistenza in dritto rumeno di un ricorso efficace che permette al richiedente di invocare la durata eccessiva dei procedimenti interni;
4. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare al merito i motivi di appello derivati dagli articoli 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1, presi soli e combinati con gli articoli 13 e 14 della Convenzione;
5. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve accordare, alla richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva in virtù dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme, da convertire nella moneta nazionale dello stato convenuto al tasso applicabile in data dell’ordinamento,:
i. 4 400 EUR (quattromila quattro cento euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale da versare al richiedente,
ii. 2 500 EUR (duemila cinque cento euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese, da versare direttamente alla prima rappresentante del richiedente, M., e 2 100 EUR (duemila cento euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese, da versare direttamente all’ultima rappresentante del richiedente, P.;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6. Respingela domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 7 aprile 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Cancelliere Presidente