Conclusione Violazione dell’art. 6-1; violazione dell’art. 14+6-1; danno patrimoniale e danno morale – risarcimento
TERZA SEZIONE
CAUSA PARROCCHIA GRECO CATTOLICA SÂMBATA BIHOR C. ROMANIA
( Richiesta no 48107/99)
SENTENZA
STRASBURGO
12 gennaio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Parrocchia Greco Cattolica Sâmbata Bihor c. Romania,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente, Elisabet Fura, Corneliu Bîrsan, Alvina Gyulumyan, Egbert Myjer, Luccichi López Guerra, Ann Power, giudici,
e dai Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio l’ 8 dicembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 48107/99) diretta contro la Romania e in cui una parrocchia ubicata in questo Stato, la parrocchia greco cattolica S. B. (“la richiedente”), aveva investito la Commissione europea dei diritti dell’uomo (“la Commissione”) l’ 11 giugno 1998 in virtù del vecchio articolo 25 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. La richiedente che è stata ammessa a favore dell’assistenza giudiziale, è stata rappresentata, in un primo tempo, da M. M., avvocato a Bucarest, poi da N. P., avvocato a Bucarest. Il governo rumeno (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, il Sig. Răzvan-Horatiu Radu, del ministero delle Cause estere.
3. La richiedente adduce in particolare un attentato al suo diritto di accesso ad un tribunale, in ragione del rifiuto delle giurisdizioni nazionali di deliberare sul suo diritto ad utilizzare un edificio di culto. Basandosi principalmente sugli stessi fatti, si lamenta anche di un attentato al suo diritto di proprietà ed alla sua libertà di religione, così come al principio di interdizione della discriminazione.
4. La richiesta è stata trasmessa alla Corte il 1 novembre 1998, data di entrata in vigore del Protocollo no 11 alla Convenzione (articolo 5 § 2 del Protocollo no 11).
5. Dopo avere comunicato la richiesta al Governo il 18 settembre 2001, con una decisione del 25 maggio 2004, la Corte ha dichiarato la richiesta ammissibile.
6. Tanto la richiedente che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte sul merito della causa (articolo 59 § 1 dell’ordinamento).
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
7. La richiedente è una Chiesa cattolica di rito orientale, greco -cattolica o uniate, della parrocchia di S. dipendente dell’arcivescovado rumeno uniate di Oradea.
A. Contesto storico
8. Fino al 1948, coesistevano a Sâmbăta due comunità cristiane, una uniate e l’altra ortodosso. Ciascuna aveva la sua propria chiesa.
9. Col decreto no 358/1948, il culto uniate fu considerato come sciolto ed i suoi praticanti furono obbligati ad affiliarsi al culto ortodosso. I beni appartenenti a questa Chiesa furono trasferiti alla chiesa ortodossa in virtù del decreto no 177/1948 che contemplava che, se la maggioranza dei parrocchiani di un culto diventava membro di un’altra Chiesa, i beni appartenuti al culto abbandonato sarebbero stati trasferiti nel patrimonio del culto che li aveva accolti.
10. Il 27 ottobre 1948, il prete uniate di Sâmbăta fu obbligato a mettere la chiesa dove celebrava l’ufficio a disposizione degli ortodossi. Il 22 novembre 1948, fu costretto di lasciare la casa parrocchiale e vi lasciò tutti i suoi beni, ivi compresi i mobili, i vestiti sacerdotali e la biblioteca.
B. I passi gratuiti della richiedente in vista di ricuperare l’uso per il servizio religioso della chiesa che le era appartenuta fino al 1948
11. Dopo la caduta del regime totalitario nel dicembre 1989, il decreto no 358/1948 fu abrogato dal decreto-legge no 9/1989. Il culto uniate fu riconosciuto ufficialmente dal decreto-legge no 126/1990. Per ciò che riguarda la situazione giuridica dei beni appartenuti alle parrocchie greco cattoliche, il decreto-legge no 126/1990 contemplava che questa doveva essere decisa da commissioni miste costituite da rappresentanti dei due culti, uniate ed ortodosso. Queste ultime dovevano prendere in conto la volontà dei credenti di ogni comunità.
12. Secondo un attestato rilasciato nel 1996 dal servizio dipartimentale di statistica di Bihor, il 27,8% degli abitanti del comune di Sâmbăta si dichiararono fedeli della chiesa greco cattolica all’epoca del censimento del 1991.
13. La richiedente iniziò dei passi gratuiti in vista di ricuperare l’uso, per il servizio religioso, della chiesa che le era appartenuta fino al 1948.
14. I rappresentanti dei greco cattolici e degli ortodossi del comune di Sâmbãta si riunirono il 3 maggio 1995. Così come risulta dal verbale stabilito in questa data, lo scopo di questa riunione era la formazione di una commissione mista. Il compito che doveva essere citato consisteva nel fissare l’orario del servizio religioso, affinché potesse essere celebrato da ciascuno dei due culti, alternativamente, nella chiesa che era appartenuta ai greco cattolici prima del 1948.
15. I rappresentanti del culto ortodosso si opposero a questa proposta, affermando che l’edificio religioso era da anni di proprietà della chiesa ortodossa. Facevano valere che i greco cattolici utilizzavano un’aula scolastica per i loro uffici e che si sarebbero costruiti una chiesa se ne avessero avuto bisogno.
16. All’epoca di questo incontro, i rappresentanti ortodossi rifiutarono la proposta dei greco – cattolici di tenere una nuova riunione.
C. L’azione in giustizia della richiedente
17. Nel 1996, la richiedente introdusse un’azione dinnanzi al tribunale di prima istanza di Beiuş. Chiedeva al tribunale di ordinare alla parrocchia ortodossa di Sâmbăta di permetterle di celebrare il servizio religioso nella chiesa che le era appartenuta fino al 1948. La richiedente faceva valere che si era rivolta a più riprese ai rappresentanti della chiesa ortodossa per costituire una commissione mista, conformemente al decreto-legge no 126/1990, ma che i suoi passi erano restati senza risultato. Adduceva di avere formato una contestazione presso la commissione mista superiore, costituita a livello dei due arcivescovadi, uniate ed ortodosso, ma senza avere mai ricevuto alcuna risposta.
18. Con una decisione del 24 ottobre 1996, il tribunale di prima istanza di Beiuş accolse l’azione del richiedente. Il tribunale considerò da prima che il rifiuto della parte convenuta di rispondere all’istanza della richiedente era abusivo. Constatò poi che, secondo il censimento del 1991, il 27,8% della popolazione di Sâmbăta era affiliato al culto uniate e giudicarono che, tenuto conto del fatto che non c’era a Sâmbăta alcun edificio di culto per gli uniati, anche il rifiuto della chiesa ortodossa di permettere a questi ultimi di celebrare l’ufficio in una delle due chiese del villaggio era abusivo.
19. Il tribunale tenne anche conto del decreto no 177/1948, sempre in vigore secondo cui quando più del 10% dei praticanti di un culto lo lasciano per un altro, una percentuale uguale del patrimonio del culto che è stato abbandonato viene trasferita all’altro culto. Il tribunale proseguiva così:
“Di conseguenza, il 27,8% del patrimonio del culto ortodosso è stato trasferiti nel 1990 nel patrimonio della chiesa uniate, quando questa si è costituita. Quindi, siamo in presenza di una situazione di comproprietà sulla chiesa parrocchiale dei due culti religiosi di Sâmbăta.
Ne segue che le azioni che costituiscono atti di possesso o di uso del bene in causa possono essere compiuti simultaneamente da ciascuno dei comproprietari ed in concorrenza con gli altri e che ciascuno deve esercitare il suo diritto senza recare offesa al diritto altrui. “
20. Il tribunale ordinò di conseguenza alla parte convenuta di permettere alla richiedente di celebrare l’ufficio nella chiesa richiesta e di stabilire un orario alternativo secondo il principio dell’equità.
21. La parrocchia ortodossa di Sâmbăta formò un appello contro il giudizio del 24 ottobre 1996 che fu respinto dal tribunale dipartimentale di Bihor il 6 maggio 1997. Il tribunale aggiunse dei motivi supplementari rispetto a quelli evoluti dal tribunale di prima istanza e notò che una pratica giudiziale si era diffusa consistente nel riconoscere la legittimità dei diritti dei praticanti del culto uniate e che, fino alla regolamentazione della situazione tramite via legislativa, si imponeva un’utilizzazione in comune degli edifici religiosi da parte dei due culti.
22. La parrocchia ortodossa di Sâmbăta investì la corte di appello di Oradea di un ricorso contro la decisione del 6 maggio 1997.
23. Investì anche la corte di appello di un’istanza di sospensione dell’esecuzione costretta della decisione del 6 maggio 1997. Con sentenza interlocutoria del 20 maggio 1997, la corte di appello ordinò la sospensione dell’esecuzione finché non si fosse pronunciata sul ricorso formato contro suddetta decisione.
24. Con una sentenza del 12 gennaio 1998, la corte di appello di Oradea fece diritto al ricorso e dichiarò inammissibile la richiesta del richiedente. La corte di appello giudicò che il decreto-legge no 126/1990 era una legge speciale che derogava al codice civile. Secondo questo decreto-legge, le controversie riguardanti un diritto di proprietà o di uso degli edifici religiosi sfuggivano dalla competenza dei tribunali, essendo tali controversie di competenza esclusiva delle commissioni miste costituite in virtù di questo decreto.
D. L’ ulteriore evoluzione della situazione
25. Il 3 febbraio 2002, la richiedente informò la Corte che i credenti greco cattolici del comune di Sâmbăta avevano fatto costruire una nuova chiesa per il loro uso coi loro propri mezzi, senza l’aiuto degli ortodossi o dello stato. Afferma che il censimento del 2002 mostra che il 34% degli abitanti del comune si dichiarano greco cattolici.
E. Contesto generale dei passi e delle manifestazioni dei fedeli dei culti uniate ed ortodosso per ciò che riguarda gli edifici religiosi
26. Dopo il 1990, i fedeli del culto greco cattolico abitanti dei comuni ubicati in parecchi dipartimenti della regione occidentale della Romania, come Bihor, Cluj, Alba, Mureş, Bistriţa-Năsăud, Sibiu, tentarono di recuperare, o la proprietà ed il possesso esclusivo delle chiese che erano appartenute loro prima del 1948, o alternativamente l’uso condiviso di queste chiese, col culto ortodosso. Le parrocchie uniate iniziarono, come la richiedente, dei passi gratuiti, in virtù del decreto-legge no 126/1990, ma anche delle azioni in giustizia in virtù del diritto comune.
27. Per ciò che riguarda i passi gratuiti presso i rappresentanti della chiesa ortodossa che occupavano suddette chiese, restarono talvolta senza risultato, soprattutto nei comuni in cui i fedeli ortodossi erano maggioritari.
28. I rappresentanti dei due culti al più alto livello si riunirono parecchie volte per discutere di questi problemi. I primi sei incontri ebbero luogo il 28 ottobre 1998, il 29 gennaio,il 10 giugno e il 4 novembre 1999 ed il 28 settembre 2000 e il 27 settembre 2001.
29. Il comunicato adottato all’epoca della riunione del 29 gennaio 1999 tra le delegazioni ortodosse e greco – cattoliche notavano che la parte ortodossa insisteva affinché i greco cattolici rinunciassero alle azioni in giustizia e che il dialogo sulle possibilità di restituzione degli edifici del culto continuava a livello locale. Il testo del comunicato era formulato così, nelle sue parti pertinenti:
“La seconda riunione delle commissioni di dialogo si è svolta in un clima di apertura, di fraternità e di sincerità. Ci rallegriamo dei risultati e dei progressi compiuti dalla via del dialogo.
1. Riaffermiamo i principi del dialogo stabiliti all’epoca della prima riunione che si è svolta il 28 ottobre 1998 a Bucarest, e cioè:
– rinunciare all’occupazione con la forza degli edifici del culto;
– rinunciare alle azioni giuridiche e legislative;
– rinunciare ad ogni forma di proselitismo;
– stabilire tramite la via del dialogo l’uso degli edifici del culto.
2. Tenuto conto del fatto che la parte ortodossa ha condizionato l’invito fatto dal santo-sinodo della chiesa ortodossa rumena a Sua Santità Giovanni Paolo II di visitare la Romania alla rinuncia a tutte le azioni in giustizia introdotte fino al 22 febbraio 1999, la parte greco cattolica propone di abbordare in precedenza l’ordinamento delle dispute che hanno condotto a dette azioni giudiziali. Speriamo che questa divergenza di punti di vista sia decisa ulteriormente.
3. Tenuto conto del fatto che la maggior parte delle vecchie chiese greco cattoliche sono frequentate dai vecchi fedeli greco – cattolici che oggi sono e si dichiarano ortodossi, ma anche che ci sono ancora comunità greco cattoliche minoritarie che non dispongono di edifici di culto:
a) la parte ortodossa si avvia a riconoscere de facto che più di un centinaio di edifici del culto che erano prima del 1989 in possesso delle comunità ortodosse, ma sono utilizzati dai greco cattolici ora, resteranno in possesso di questi ultimi, qualunque sia la modalità con la quale questi edifici sono stati recuperati; questi non saranno rivendicati dagli ortodossi;
b) le commissioni miste locali continueranno i negoziati affinché nei comuni in cui c’è una parrocchia greco – cattolica e dove parecchi edifici di culto sono in possesso della maggioranza ortodossa, questa ultima analizzi la possibilità di offrire alla parrocchia greco – cattolica uno di questi edifici, col consenso del prete e dei fedeli ortodossi del comune “
30. Il comunicato adottato il 4 novembre 1999, all’epoca della quarta riunione delle delegazioni ortodosse e greco cattoliche, notava dei progressi modesti nell’ordinamento delle dispute patrimoniali. C’era stata l’ intenzione di dare precedenza agli ordinamenti amichevoli al posto di ricorrere alle azioni giudiziali. I rappresentanti dei due culti erano da una parte e dall’ altra disposti affinché i fedeli di ogni culto aiutino per quanto possibile gli altri a farsi costruire delle chiese. Le pretese avanzate dai greco cattolici concernenti la restituzione delle loro vecchie chiese nei comuni dove c’erano due chiese, e la condivisione dell’uso della chiesa là dove aveva ve ne era una sola, non furono accettate dagli ortodossi.
31. Con una lettera del 12 febbraio 2002 indirizzata al ministro della Giustizia, il patriarca della chiesa ortodossa rumena, ricordando i principi dell’autonomia della chiesa e del dialogo ecumenico tra i culti cattolico orientale ed ortodosso, fece valere che le commissioni miste stabilite in virtù del decreto-legge no 126/1990 erano le sole autorità competenti per conoscere delle dispute tra i due culti relative alla proprietà o all’uso degli edifici religiosi. Manifestò la sua preoccupazione in quanto alla pratica di certi tribunali di giudicare tali controversie secondo il diritto comune.
32. Il 26 febbraio 2004, l’arcivescovado di Transilvania (Mitropolia Ardealului) rese una decisione con la quale chiese alla chiesa uniate di scegliere tra “il dialogo e la giustizia”: se la via del dialogo era scelta, le parti dovevano avviarsi a togliere immediatamente tutte le azioni impegnate dinnanzi alle giurisdizioni nazionali. Il 26 maggio 2004, i partecipanti alla conferenza episcopale risposero che desideravano continuare il dialogo.
33. Anche alcune tensioni tra i fedeli dei due culti furono registrate. Così come risulta dal comunicato stampa del 16 marzo 2002 adottato dalla chiesa metropolitana rumena unita a Roma (greco cattolica) nella notte dal 15 al 16 marzo 2002, il prete greco – cattolico di Ocna Mureş così come un gruppo di fedeli furono espulsi con la forza dalla chiesa dai fedeli ortodossi accompagnati dal prete ortodosso. Le autorità intervennero per allontanare tutte le persone implicate nell’incidente, ma rimisero l’edificio religioso nelle mani degli ortodosse mentre, dal 7 febbraio 2002, la chiesa era stata assegnata in possesso ai greco cattolici, in virtù di una decisione della corte di appello di Alba-Iulia.
34. Altri incidenti simili furono menzionati anche sulla stampa.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
A. La Costituzione
35. L’articolo pertinente della Costituzione si legge così:
Articolo 21
“1) ogni persona può rivolgersi alla giustizia per la protezione dei suoi diritti, delle sue libertà e dei suoi interessi legittimi.
2) nessuna legge può restringere l’esercizio di questo diritto. “
B. Il decreto no 177/1948 per il regime generale dei culti religiosi
36. Questo decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale no 178 del 4 agosto 1948. Il suo testo è stato rettificato ed è stato pubblicato di nuovo sulla Gazzetta ufficiale no 204 del 3 settembre 1948. È redatto così nelle sue parti pertinenti:
Articolo 37
“1) se almeno il 10% dei credenti affiliati ad un culto lo lasciano per un altro culto, la comunità religiosa del culto che è stato lasciato perde di pieno dritto una parte del suo patrimonio proporzionalmente al numero dei credenti che l’ha lasciata. Questa parte viene trasferita, sempre di pieno dritto, nel patrimonio della comunità locale del nuovo culto adottato dai credenti. “
37. Questo decreto è stato abrogato l’ 11 gennaio 2007 dalla legge no 489/2006 sulla libertà della religione ed il regime generale dei culti, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale no 11 dell’ 8 gennaio 2007.
C. Il decreto-legge no 126/1990 su certe misure relative alla chiesa rumena unita a Roma, greco – cattolica, e le sue modifiche successive
38. Questo decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale no 54 del 25 aprile 1990. È formulato così, nelle sue parti pertinenti:
Articolo 1
“1) in seguito all’abrogazione del decreto no 358/1948 con il decreto-legge no 9 del 31 dicembre 1989, la chiesa rumena unita a Roma è riconosciuta ufficialmente “
Articolo 3
“La situazione giuridica degli edifici religiosi e delle case parrocchiali che sono appartenuti alla chiesa uniate e di cui la chiesa ortodossa rumena si è appropriata sarà determinata da una commissione mista, formata dei rappresentanti del clero di ciascuno dei due culti religiosi che prenderà in conto la volontà dei credenti delle comunità che detengono questi beni. “
39. L’articolo 3 del suddetto decreto-legge è stato completato dall’ordinanza del Governo no 64/2004 del 13 agosto 2004 (“l’ordinanza no 64/2004”) che ha aggiunto un secondo paragrafo, così formulato:
“Nel caso in cui i rappresentanti clericali dei due culti religiosi non trovino un accordo in seno alla commissione mista contemplata all’articolo 1, la parte interessata può introdurre un’azione in giustizia in virtù del diritto comune. “
40. La legge no 182/2005 del 13 giugno 2005 (“la legge no 182/2005”) che ha approvato l’ordinanza no 64/2004, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 14 giugno 2005, ha modificato il secondo capoverso dell’articolo 3 e ne ha aggiunto altri due, così redatti:
“La parte interessata convocherà l’altra parte, comunicandole per iscritto le sue pretese e informandola delle prove su cui fonda le sue pretese. La convocazione sarà fatta tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento o con la rimessa delle lettere in mani proprie. La data della convocazione della commissione mista sarà fissata solamente dopo trenta giorni dopo la data di ricevimento dei documenti. La commissione sarà costituita da tre rappresentanti di ogni culto. Se il giorno della convocazione, la commissione non si riunisce o se non arriva a nessun risultato o se la decisione scontenta una delle parti, la parte interessata può introdurre un’azione in giustizia sul diritto comune.
L’azione sarà esaminata dai tribunali.
L’azione sarà esente da tassa giudiziale. “
D. La giurisprudenza della Corte costituzionale
41. La decisione no 127 del 16 novembre 1994 della Corte costituzionale, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale no 66 dell’ 11 aprile 1995, disponi che:
“L’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 regola la modalità di ordinamento della situazione giuridica degli edifici del culto in controversia. Non impedisce tuttavia alle parti, cioè ai culti, di investire le giurisdizioni ordinarie. (…) I culti possono agire anche in giustizia ma unicamente dopo l’esaurimento del procedimento previsto dall’articolo 3 di suddetto decreto. “
42. La decisione no 49 del 19 maggio 1995 della Corte costituzionale, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale no 224 del 29 settembre 1995, è formulata così nelle sue parti pertinenti:
“(…) La Corte costituzionale è stata invitata prima a pronunciarsi sull’eccezione di incostituzionalità (excepţie de neconstituţionalitate) delle disposizioni dell’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990
La Corte costituzionale ha giudicato che l’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 era conforme alla Costituzione per i seguenti motivi:
-[…] il procedimento istituito dall’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 non ha infranto il principio del libero accesso alla giustizia prevista dall’articolo 21 della Costituzione, perché ha un carattere preliminare ad un eventuale processo che potrebbe risultare dall’incomprensione delle regole stabilite, come l’incomprensione della scelta della maggioranza dei parrocchiani;
– l’esigenza di tale procedimento preliminare al procedimento giudiziale non è incostituzionale, perché ha per scopo di evitare l’ingombro dei tribunali con delle controversie che potrebbero essere decise amichevolmente ma anche di preservare l’interesse delle parti a vedere la loro disputa decisa con celerità. (…)
Di conseguenza, bisogna seguire le disposizioni dell’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 in primo luogo .”
E. La giurisprudenza della Corte suprema di giustizia e di certi corsi di appello
43. Secondo la sentenza della Corte suprema di giustizia del 22 marzo 1996, i tribunali non potrebbero pronunciarsi sull’utilizzazione di un edificio religioso senza oltrepassare le competenze del potere giudiziale, e le decisioni così rese sono nulle.
44. In una sentenza del 17 febbraio 1999, la Corte suprema di giustizia ha segnato un cambiamento improvviso di giurisprudenza rispetto alla sua decisione del 22 marzo 1996. Ha respinto, per i seguenti motivi, il ricorso per annullamento formato dal procuratore generale contro una decisione definitiva che aveva dato guadagno di causa ad un parrocchia uniate nella sua azione di rivendicazione:
“In virtù dell’articolo 3 di questo [decreto-legge no 126/1990], la situazione giuridica degli edifici del culto e delle case parrocchiali che sono appartenuti alla chiesa rumeno uniate e di cui la chiesa ortodossa rumena si è appropriata, sarà determinata da una commissione mista, formata dai rappresentanti del clero di ciascuno dei due culti religiosi. Questa commissione prenderà in conto la volontà dei parrocchiani del culto che detiene questi beni.
(…) [Il] decreto-legge no 126 del 24 aprile 1990 contiene delle disposizioni legali promulgate anteriormente alla Costituzione, mentre la presente controversia si è svolta sotto l’impero delle disposizioni della Costituzione. È vero che in certi dipartimenti, le commissioni miste alle quali suddetto testo fa riferimento si sono costituite ma è anche vero che tale commissione non si è costituita a Sibiu.
Però, il fatto che tale commissione non si sia costituita non può impedire il libero accesso della richiedente alla giustizia, perché ciò sarebbe contrario al principio consacrato dall’articolo 21 della Costituzione secondo cui ogni persona può rivolgersi alla giustizia per la protezione dei suoi diritti, delle sue libertà e dei suoi interessi legittimi e che nessuna legge può restringere l’esercizio di questo diritto.
A questo scopo l’articolo 3 del codice civile dispone che il giudice nel caso in cui negasse di deliberare al motivo che la legge non contempla questo caso di figura o che non è chiara o è insufficiente, potrebbe essere perseguito per diniego di giustizia.
(…) [Questo ] dritto fondamentale di una persona di rivolgersi alla giustizia è consacrato anche nei trattati internazionali che la Romania ha ratificato.
Così, l’articolo 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali contempla che ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita, [equamente], pubblicamente ed in un termine ragionevole, da un tribunale indipendente ed imparziale, stabilito dalla legge che deciderà o delle contestazioni sui suoi diritti od obblighi di carattere civile, o della fondatezza di ogni accusa in materia penale diretta contro lei.
L’articolo 13 della stessa Convenzione enuncia anche che ogni persona i cui diritti e le libertà previsti da suddetta Convenzione sono stati violati ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad una giurisdizione nazionale. Peraltro, l’articolo 1 del Primo Protocollo addizionale a questa Convenzione contempla che ogni persona ha il diritto al rispetto dei suoi beni e che nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalle leggi e dei principi generali del diritto internazionale.
Pertanto, [la Corte] constata che i tribunali non hanno oltrepassato le loro competenze tramite le decisioni attaccate. (…)”
45. In una sentenza definitiva del 20 febbraio 1998, la corte di appello di Bucarest ha considerato che l’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 non era applicabile quando si trattava di un’azione per sfratto regolata dal diritto comune. La corte di appello ha giudicato che:
“(…) tenuto conto del fatto che l’edificio del culto appartiene ai credenti che hanno contribuito alla sua acquisizione ed ai loro successori, la richiedente ha il diritto di chiedere lo sfratto della parte convenuta in virtù dell’articolo 480 del codice civile. Il problema della ricostituzione del diritto di proprietà e quello dell’attribuzione di proprietà in funzione del numero dei fedeli di un culto non è pertinente. “
46. In una sentenza definitiva del 9 marzo 2001, la corte di appello di Bucarest ha considerato che spettava ai tribunali ordinari deliberare secondo il diritto comune, su un’azione di rivendicazione tesa a fare valere un diritto di proprietà esistente e non a vedersi assegnare in proprietà un bene. L’esercizio di tale azione non potrebbe essere subordinato al compimento di un procedimento preliminare obbligatorio.
47. La corte di appello di Oradea ha considerato peraltro nella sua sentenza definitiva del 22 aprile 1999 che:
“Il problema che si pone è quello di sapere se, dato che [il decreto-legge no 126/1990] contempla che la situazione giuridica degli edifici del culto sarà stabilita da una commissione mista formata di rappresentanti dei due culti, è ancora possibile investire i tribunali ordinari di controversie concernenti questi immobili.
La corte considera che [il tribunale] ha stimato in modo erroneo che le disposizioni di suddetto decreto non permettevano alle giurisdizioni ordinarie di decidere tali controversie portate dinnanzi ad esse. Questo atto normativo è stato adottato naturalmente per rendere possibile l’ordinamento amichevole delle rivendicazioni nate dopo il ristabilimento della libertà di religione. È un atto normativo che ha valore di raccomandazione che non impedisce l’applicazione della legge civile generale in materia di acquisizione e di perdita del diritto di proprietà.
Le commissioni miste interclericali non hanno un carattere giurisdizionale e non sono state investite del potere di decidere le dispute comparse. È ciò che risulta anche dal documento intitolato “dichiarazione appello” che raccomanda alle due Chiese di giungere ad un’intesa per non essere ricorse alla legge.
(…)
[La corte] nota anche che, durante gli otto anni strascorsi dall’entrata in vigore del decreto-legge no 126/1990, la richiedente ha iniziato diversi passi presso la commissione mista in vista dell’ordinamento della controversia riguardante la rivendicazione dell’immobile in causa, ma nessuno indizio mostra che la commissione ha deciso o ha avuto l’intenzione di decidere questa disputa. Quindi, un’azione in giustizia si impone ed è tanto più giustificata. “
48. Investita di un’azione fondata sul secondo capoverso dell’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 introdotto dall’ordinanza no 64/2004, per constatazione della nullità di un’espropriazione e per restituzione di una chiesa appartenuta al culto religioso uniate, con una sentenza definitiva del 24 novembre 2004, dopo avere constatato che malgrado gli zeli dei rappresentanti della chiesa greco – cattolica, le commissioni miste non si erano costituite, l’Alta Corte di cassazione e di giustizia ha giudicato che l’azione in giustizia era ammissibile e non prematura.
49. All’epoca di un procedimento impegnato da una parrocchia ortodossa per delimitazione topografica di una chiesa uniate e di un altro immobile e che prevedeva delle circostanze simili a quelle della presente causa, la parrocchia greco cattolica interessata ha fatto istanza di intervento chiedendo l’annullamento dell’iscrizione sul libro fondiario del diritto di proprietà dello stato sulla chiesa e la sua restituzione. Con una sentenza del 20 gennaio 2006, basandosi sull’ordinanza no 64/2004, la corte di appello di Timişoara ha respinto l’istanza di intervento come prematura.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
50. La richiedente adduce che è stata privata del suo diritto di accesso ad un tribunale per il fatto che la corte di appello si è dichiarata incompetente per conoscere della controversia che l’opponeva alla chiesa ortodossa e che riguardava l’uso condiviso dell’edificio del culto. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione che si legge così nelle sue parti pertinenti:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Gli argomenti delle parti
51. Il Governo sostiene che la richiedente non si è visto negare il suo diritto di accesso ad un tribunale, ma che in virtù della legge interna, questo diritto ha subito delle limitazioni giustificate dalla natura della controversia.
52. Fa valere che, per ciò che riguarda le controversie tra le due Chiese, uniate ed ortodossa, relative agli edifici del culto ed alle case parrocchiali appartenenti ai greco cattolici prima 1948 e che, da allora, erano in possesso della chiesa ortodossa, il legislatore rumeno ha inteso adottare una regolamentazione speciale derogatoria al diritto comune. Così, la legge speciale, cioè il decreto-legge no 126/1990, contempla che appartiene alle commissioni miste formate dai rappresentanti delle due Chiese di decidere ogni controversia relativa agli edifici del culto. Istituendo tale procedimento derogatorio, il legislatore ha stabilito anche i criteri che devono essere applicati dalle commissioni miste. Secondo il Governo, queste devono tenere conto della volontà della maggioranza dei credenti di ogni comune.
53. Il Governo indica che a Sâmbăta, questa commissione mista si è costituita il 3 maggio 1995 e che ha preso in conto la volontà della maggioranza ortodossa che era di non condividere l’uso della chiesa ai fini dell’ufficio religioso da parte dei fedeli greco cattolici.
54. Il Governo fa valere poi che ogni decisione di una commissione mista è sottoposta ad un controllo giurisdizionale. Invocando l’interpretazione del decreto-legge no 126/1990 da parte della Corte costituzionale rumena, il Governo ammette che la competenza dei tribunali per conoscere di tali contestazioni era limitata a verificare se i criteri stabiliti dalla legge, come il rispetto della volontà della maggioranza dei credenti di un comune, erano stati rispettati.
55. Il Governo fa valere che questa soluzione legislativa che dipende del margine di valutazione dello stato, era giustificata dal fatto che, trattandosi di un ambito sensibile, mirava ad allontanare il rischio di agitazioni sociali nelle comunità dove dei greco cattolici e degli ortodossi coabitavano. Peraltro, il Governo sottolinea che gli alti rappresentanti dei due culti sono convenuti nel privilegiare la via del dialogo e nell’ evitare il ricorso ai tribunali.
56. Il Governo nota i cambiamenti legislativi portati al decreto-legge no 126/1990 dagli atti normativi successivi e, rinviando a due cause, pendenti dinnanzi all’Alta Corte di cassazione e di giustizia, stima che l’efficacia della via di ricorso prevista dalla legge no 182/2005 deve essere provata dagli esempi concreti di giurisprudenza.
57. La richiedente considera che le disposizioni legislative derogatorie invocate dal Governo sono contrarie alla Convenzione, alla Costituzione della Romania ed ai principi del codice civile in materia, perché costituiscono un attentato ingiustificato e sproporzionato alla sostanza stessa del diritto di accesso ad un tribunale.
58. La richiedente sottolinea che certe giurisdizioni interne, ivi compresa la Corte suprema di giustizia, hanno fatto prevalere, sul decreto-legge no 126/1990, la Convenzione ed i principi del diritto interno che danno ad ogni persona accesso ad un tribunale affinché deliberi su delle contestazioni relative ai suoi diritti civili. La richiedente non pretende che tale pratica sia consolidata a livello delle più alte giurisdizioni interne. Al contrario, fa notare che, in molti altri casi, come per ciò che la riguarda, le parrocchie uniate si sono viste rifiutare il diritto di accesso ad un tribunale.
59. Per ciò che riguarda il ricorso alle commissioni miste in virtù del decreto-legge no 126/1990, la richiedente stima che, nella misura in cui sarebbe considerato come procedimento preliminare o speciale, è di natura tale da svuotare del suo contenuto il diritto di accesso ad un tribunale. Fa valere che, o le commissioni miste non si sono costituite, o sono state il teatro di discussioni sterili, negando la parte ortodossa ogni volta di restituire ai greco cattolici le loro vecchie chiese o di condividerne l’uso. È precisamente ciò che è accaduto nel suo caso, così come risulta dal verbale della sola riunione dei rappresentanti dei due culti che ha avuto luogo a Sâmbăta il 3 maggio 1995. Inoltre, nella misura in cui le loro decisioni possono essere contestate dinnanzi ai tribunali ordinari solo sull’applicazione formale dei criteri stabiliti dall’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990, questo controllo giurisdizionale sarebbe così limitato che il diritto di accesso ad un tribunale diviene illusorio.
60. La richiedente sostiene anche che tale limitazione è ingiustificata e sproporzionata. Considera che il fatto di rimettere la sua contestazione relativa ai suoi diritti civili ed all’uso dell’edificio religioso tra le mani di un organo sottomesso alla pressione del gruppo maggioritario ortodosso non può essere giustificato legittimamente dalla volontà di evitare delle agitazioni sociali. In un Stato di diritto, la pace sociale si fonda sul rispetto dei diritti di ciascuno. Secondo lei, è il mantenimento di una situazione ambigua, autorizzando l’incomprensione di questi diritti che è di natura tale da intrattenere un clima di tensione.
61. In materia, formula delle riserve in quanto all’efficacia della via di ricorso prevista dalla legge no 182/2005 concernente l’evoluzione legislativa ed alla possibilità di vedere delle azioni introdotte in virtù del diritto comune respinte come premature, in mancanza per la parte interessata di avere seguito il procedimento preliminare.
B. La valutazione della Corte
62. La Corte ricorda al primo colpo che l’articolo 6 § 1 garantisce a ciascuno il diritto affinché un tribunale conosca di ogni contestazione relativa ai suoi diritti ed obblighi di carattere civile. Consacra quindi un “diritto ad un tribunale” il cui diritto di accesso, ossia il diritto di investire il tribunale in materia civile, costituisce solamente un aspetto (vedere, tra altre, Ernst ed altri c. Belgio, no 33400/96, § 48, 15 luglio 2003 e Waite e Kennedy c. Germania [GC], no 26083/94, § 50, CEDH 1999-I).
63. Certo, il diritto di accesso ad un tribunale non è assoluto. Può dare adito a limitazioni implicitamente ammesse perché richiama anche per sua natura una regolamentazione da parte dello stato che, per elaborarlo, gode di un certo margine di valutazione. Tuttavia, le limitazioni applicate non potrebbero restringere l’accesso aperto all’individuo in un modo o ad un punto tale che il diritto se ne trovi raggiunto nella sua sostanza stessa (Chiesa cattolica de la Canée c. Grecia, 16 dicembre 1997, § 38, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VIII). Inoltre, la Corte ricorda che una limitazione al diritto di accesso ad un tribunale si concilia con l’articolo 6 § 1 solo se insegue un scopo legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto (vedere, tra altre, Principe Hans-Adamo II del Liechtenstein c. Germania [GC], no 42527/98, § 44, CEDH 2001-VIII).
64. La Corte ricorda anche che non ha per compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne. Appartiene al primo capo alle autorità nazionali, in particolare ai corsi e ai tribunali, interpretare la legislazione interna (Waite e Kennedy precitata, § 54). Il suo ruolo si limita a verificare la compatibilità con la Convenzione degli effetti di simile interpretazione.
65. La Corte nota che l’azione della richiedente dipendeva dall’articolo 6 § 1 della Convenzione nel suo ramo civile dal momento che mirava a fare riconoscere il suo diritto di utilizzare un immobile, diritto di carattere patrimoniale.
66. La Corte constata che con la sua sentenza definitiva del 12 gennaio 1998, basandosi sull’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990, la corte di appello di Oradea ha respinto l’azione della richiedente al motivo che le controversie riguardanti un diritto di proprietà o di uso di un edificio religioso sfuggivano alla competenza dei tribunali ed era di competenza esclusiva delle commissioni miste. Ora, la Corte stima che non vi è nessun dubbio-e nessuna delle parti non lo nega -che la commissione mista prevista dall’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 formata dei rappresentanti delle due comunità religiose non può passare per un “tribunale” ai sensi dell’articolo 6 § 1.
67. Così come risulta dalla sentenza del 12 gennaio 1998 della corte di appello di Oradea alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale (paragrafi 41, 42 e 54 sopra) e come sostiene il Governo, questa tappa dinnanzi alla commissione mista era un preliminare obbligatorio all’immissione nel processo dei tribunali e la competenza di questi ultimi era limitata alla verifica del rispetto della volontà della maggioranza.
68. Ricorda che il fatto di affidare ad un organo non-giurisdizionale la cura di deliberare su certi diritti di carattere civile, non infrange in sé la Convenzione, se suddetto organo subisce il controllo ulteriore di un organo giudiziale di piena giurisdizione (Alberto ed Le Compte c. Belgio, 10 febbraio 1983, § 29, serie A no 58 e Helle c. Finlandia, sentenza del 19 dicembre 1997, Raccolta 1997-VIII, p. 2926, § 46). Quindi, la Corte deve verificare se questo grado di accesso limitato ad un tribunale bastava per garantire al richiedente il “diritto ad un tribunale”, avuto riguardo al principio della preminenza del diritto in una società democratica (Waite e Kennedy precitata, § 58).
69. Per ciò che riguarda lo scopo perseguito da questa limitazione, la Corte può ammettere che inseguiva uno scopo legittimo, ossia la protezione della pace sociale.
70. In quanto alla proporzionalità, per valutare la limitazione controversa portata all’articolo6 § 1, la Corte esaminerà da prima l’incidenza, sul diritto del richiedente di accesso ad un tribunale, del carattere obbligatorio del procedimento preliminare e, poi, quella della portata del controllo esercitato dal tribunale.
71. Nello specifico, come i tribunali hanno fatto notare, la richiedente ha seguito il procedimento preliminare previsto dall’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990. Così, all’epoca della sola riunione dei rappresentanti dei due culti che ha avuto luogo il 3 maggio 1995, ha chiesto di condividere l’uso, per l’ufficio religioso, della chiesa che le apparteneva prima del 1948 e ha incontrato un rifiuto della maggioranza ortodossa. Ora, la Corte constata che la legge in vigore all’epoca dei fatti non regolamentava né il procedimento da seguire per convocare una commissione mista, né quello da seguire da una commissione per rendere una decisione. Nessuna disposizione legale costrittiva obbligava le parti ad organizzare o a partecipare a queste commissioni. In più, nessuno termine era contemplato affinché una commissione mista rendesee una decisione. Queste lacune legislative hanno favorito un procedimento preliminare dilatorio che, tenuto conto del suo carattere obbligatorio, poteva bloccare sine die il diritto della richiedente di accesso ad un tribunale.
72. Inoltre, come riconosce il Governo, il controllo giudiziale al quale ogni decisione di questa commissione poteva essere sottoposta era limitato alla verifica del rispetto dei criteri stabiliti dalla legge tra cui il principale era il rispetto della volontà della maggioranza. Ora, secondo la Corte, affinché un “tribunale” possa decidere di una contestazione su dei diritti di carattere civile in conformità con l’articolo 6 § 1, occorre che abbia competenza per dedicarsi a tutte le questioni di fatto e di diritto pertinenti per la controversia di cui si trova investita (mutatis mutandis, Terra Woningen B.V. c. Paesi Bassi, 17 dicembre 1996, § 52, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-VI e Credito industriale c. Repubblica ceca, no 29010/95, § 68, CEDH 2003-XI (brani)). Ora, nello specifico, le giurisdizioni interne non erano competenti per deliberare sulla fondatezza di una decisione resa dalla commissione mista prendendo debitamente in conto degli interessi e dei diritti protetti in gioco. Quindi, la Corte stima che il controllo esercitato da un tribunale non era sufficiente ai fini dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
73. Del resto, la Corte nota che se l’azione della richiedente è stata dichiarata inammissibile dalla corte di appello di Oradea dopo un controllo limitato altre giurisdizioni hanno proceduto durante lo stesso periodo ad un controllo giurisdizionale pieno delle contestazioni che erano sottoposte loro (paragrafi 43-47 sopra). Si può dedurre che la limitazione che il legislatore ha voluto imporre al diritto di accesso al tribunale per questo tipo di controversia, non appariva necessaria a certi tribunali nazionali (paragrafi 44 e 47 sopra).
74. La Corte rileva infine che l’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 è stato modificato dall’ordinanza no 64/2004 e dalla legge no 182/2005 e che è oggi possibile investire le giurisdizioni interne che sono competenti per decidere le controversie riguardanti gli edifici religiosi e le case parrocchiali in virtù del diritto comune (paragrafi 39-40 sopra). Resta che questi cambiamenti legislativi, che conviene accogliere, sono largamente posteriori ai fatti denunciati dalla richiedente.
75. Secondo la Corte, un’esclusione generale della competenza dei tribunali dalle controversie come quella del caso specifico è in si contraria al diritto di accesso ad un tribunale garantito dall’articolo 6 della Convenzione (mutatis mutandis, Vasilescu c. Romania, 22 maggio 1998, §§ 39-41, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-III). Inoltre, la Corte stima che il sistema di risoluzione dei conflitti preliminari messo in posto dalla legge speciale non era sufficientemente regolamentato e che il controllo giurisdizionale sulla decisione della commissione mista non era adeguato (vedere, mutatis mutandis, Pellegrini c. Italia, no 30882/96, CEDH 2001-VIII). Alla vista di queste osservazioni e tenendo in mente il principio secondo cui la Convenzione ha per scopo di proteggere dei diritti non teorici o illusori, ma concreti ed effettivi (Artico c. Italia, 13 maggio 1980, § 33, serie A no 37,) la Corte stima che la richiedente non ha beneficiato di un diritto di accesso effettivo ad un tribunale.
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE, COMPOSTO CON L’ARTICOLO 6 § 1
76. La richiedente adduce che le istanze nazionali hanno mancato all’obbligo di garantirle il godimento senza discriminazione del diritto di accesso al tribunale. Invoca l’articolo 14 della Convenzione, così formulato:
“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza distinzione nessuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita od ogni altra situazione. “
A. Gli argomenti delle parti
77. Il Governo fa valere che non è possibile stabilire un’analogia tra la situazione del culto greco cattolico e quella degli altri culti riconosciuti in Romania, nella misura in cui nessuno degli altri culti è stato ristabilito dopo un periodo di interdizione. Ora, il ristabilimento del culto greco cattolico è stato abbinato a condizioni speciali, dovute al carattere singolare di questa situazione. Secondo il Governo, , gli Stati godono di un certo margine di valutazione in materia per determinare in quale misura le differenze tra le situazioni, ad altri riguardi analoghi, giustificano delle distinzioni di trattamento giuridico. Sottolinea che il procedimento derogatorio dinnanzi alle commissioni miste riguarda solamente certi immobili, come gli edifici religiosi, e non si estende agli altri beni immobiliari della chiesa greco cattolica.
78. La richiedente contesta questi argomenti, considerando che il trattamento differente che le è stato applicato trattandosi del suo diritto di accesso alla giustizia non è in nessun modo giustificato. Rileva non solo che l’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 è discriminatorio a riguardo del culto greco cattolico, ma che anche la pratica contraddittoria dei tribunali nazionali è discriminatoria.
B. La valutazione della Corte
79. La Corte ricorda che proibendo la discriminazione, l’articolo 14 vieta di trattare in modo differente delle persone collocate in materia in situazioni comparabili. Rileva che una distinzione è discriminatoria ai sensi dell’articolo 14 della Convenzione se “manca di giustificazione obiettiva e ragionevole”, cioè se non insegue uno “scopo legittimo” o se non c’è un “rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto” (Ernst ed altri precitata, § 84).
80. La Corte nota che la distinzione di trattamento che ha leso la richiedente nel godimento del suo diritto di accesso alla giustizia è stata motivata dalla sua appartenenza al culto greco cattolico. Il Governo ha avanzato delle giustificazioni in quanto a questa differenza di trattamento fondato sulla situazione particolare del culto che era appena stato riconosciuto di nuovo nel 1990. La Corte nota che in quel momento, il problema della restituzione degli edifici di culto ed altri immobili appartenuti alla chiesa uniate prima la sua interdizione si posava su una scala abbastanza importante ed era una questione socialmente sensibile (paragrafi 33-34 sopra).
81. Però, anche supponendo che tale giustificazione possa sembrare conforme alle esigenze dell’articolo 14 della Convenzione, non ne resta meno che i tribunali nazionali hanno interpretato in modo contraddittorio il decreto-legge no 126/1990, ora rifiutando, ora accettando di giudicare delle controversie portate dinnanzi ad essi dalle parrocchie greco cattoliche così che la richiedente è stata trattata in modo differente rispetto ad altre parrocchie che avevano avuto delle controversie simili (paragrafi 43-47 sopra). Ora, il Governo non ha portato alcuna giustificazione a questa differenza di trattamento (mutatis mutandis, Beian c. Romania (no 1), no 30658/05, § 40, CEDH 2007-XIII (brani)).
82. Questi elementi bastano alla Corte per concludere che questa differenza di trattamento subita dalla richiedente non si fondava su nessuna giustificazione obiettiva e ragionevole, senza che sia necessario pronunciarsi sulla questione di sapere se l’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 è discriminatorio a riguardo del culto greco cattolico.
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 14 della Convenzione combinato con l’articolo 6 § 1.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
83. La richiedente si lamenta anche che non esista nessuna istanza nazionale alla quale possa sottoporre efficacemente la sua richiesta concernente l’uso dell’edificio del culto. Invoca l’articolo 13 della Convenzione che è formulata così:
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
84. Il Governo si oppone a questa tesi.
85. La Corte ricorda che quando una questione di accesso ad un tribunale si pone, le garanzie dell’articolo 13 si trovano assorte da quelle dell’articolo 6 che è più rigoroso (Tinnelly & Suoni Ltd ed altri e McElduff ed altri c. Regno Unito, 10 luglio 1998, § 77, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-IV e Ravon ed altri c. Francia, no 18497/03, § 27, 21 febbraio 2008). Quindi, alla vista delle conclusioni che precedono sotto l’angolo dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e prendendo nota dei cambiamenti legislativi in materia, la Corte stima che non c’è luogo di esaminare separatamente questo motivo di appello relativo alla mancanza di un ricorso effettivo.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 9 DELLA CONVENZIONE E 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 ALLA CONVENZIONE, CONSIDERATI ISOLATAMENTE O COMBINATI CON L’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE
86. La richiedente adduce che il rifiuto della corte di appello di Oradea di decidere la controversia che prevedeva l’uso, per la celebrazione dell’ufficio religioso, dell’edificio di culto, rendendo così inefficaci le decisioni delle giurisdizioni inferiori, ha recato anche offesa alla sua libertà di religione ed al suo diritto al rispetto dei suoi beni, in violazione dell’articolo 9 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo no 1, ciascuno preso isolatamente o in combinazione con l’articolo 14 della Convenzione.
87. La Corte osserva che come formulato dalla richiedente e nelle circostanze dello specifico, il contenuto di questo motivo di appello è fondato essenzialmente sulla mancanza di protezione procedurale che ha appena considerato contraria all’articolo 6 § 1 della Convenzione (paragrafi 62-75 sopra). Stimando così di avere deliberato sul problema principale sollevato dalla richiedente, la Corte considera che non si impone di esaminare separatamente i motivi di appello derivati dall’articolo 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1, presi isolamento o combinati con l’articolo 14 (mutatis mutandis, Chiesa cattolica de la Canée precitata, § 50, e Credito industriale precitata, § 82).
V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
88. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
89. La richiedente chiede a titolo del danno patrimoniale o la restituzione dell’edificio religioso controverso, o 23 290,73 euro (“EUR”) rappresentanti il suo valore. Chiede anche 1270 EUR per i lavori effettuati dai membri della parrocchia per la pianificazione dello spazio messo a loro disposizione da una scuola per tenere il servizio religioso, e 3504 EUR rappresentanti gli affitti pagati dai membri della parrocchia per questo spazio. Sollecita anche 120 000 EUR a titolo del danno morale.
90. Il Governo sottolinea che la richiedente non ha un diritto di comproprietà sulla chiesa controversa e che l’oggetto del procedimento interno prevedeva l’uso alternativo dell’edificio religioso. Nessuna somma dovrebbe essere concessa alla richiedente quindi, in compenso della chiesa. Il Governo nota che risulta dai documenti versati alla pratica che i lavori sono stati effettuati in compenso dell’affitto e non per la pianificazione dello spazio messo a disposizione dei parrocchiani per l’esercizio del culto. In quanto al danno morale, il Governo stima che la somma chiesta è eccessiva e che un’eventuale sentenza di condanna costituirebbe in sé un risarcimento sufficiente del danno morale addotto.
91. La Corte rileva che l’unica base da considerare per la concessione di una soddisfazione equa risiede nello specifico nel fatto che la richiedente non ha beneficiato di un accesso ad un tribunale per fare valere il suo diritto di uso dell’edificio di culto e nel fatto che il rifiuto della corte di appello di Oradea di decidere la causa si era rivelato discriminatorio. La Corte non potrebbe speculare certo su ciò che sarebbe stata la conclusione del processo nel caso contrario, ma non stima irragionevole pensare che l’interessata abbia subito una perdita di fortuna reale (Pelissier e Sassi c. Francia [GC], no 25444/94, § 80, CEDH 1999-II e Glod c. Romania, no 41134/98, § 50, 16 settembre 2003).
92. Trattandosi del risarcimento del danno morale, la Corte ha giudicato già che il danno diverso da quellomateriale può comprendere, per una persona giuridica, degli elementi più o meno “obiettivi” e “soggettivi”. Tra questi elementi, bisogna riconoscere la reputazione dell’entità giuridica, ma anche l’incertezza nella pianificazione delle decisioni da prendere, le agitazioni causate alla gestione dell’entità giuridica stessa le cui conseguenze non suscitano un calcolo esatto, ed infine, sebbene in una minima misura, l’angoscia ed il dispiacere provati dai membri degli organi di direzione (Parrocchia greco – cattolica Sfântul Vasile Polonă c. Romania, no 65965/01, § 117, 7 aprile 2009). Nello specifico, il difetto di accesso ad un tribunale così come la discriminazione di cui la richiedente è stata oggetto di questo fatto, ha dovuto causare, nel capo della stessa interessata e dei suoi rappresentanti, dei dispiaceri ed un’incertezza prolungata, non se non fosse che sull’esercizio del culto.
93. Alla luce di ciò che precede, deliberando in equità, come vuole l’articolo 41, la Corte assegna alla richiedente 15 000 EUR ogni danno compreso.
B. Oneri e spese
94. La richiedente chiede il rimborso degli oneri e delle spese all’altezza 8 462,69 EUR di cui fornisce il dettaglio così: 98 EUR che rappresentano gli oneri di una perizia che stabilisce il valore della chiesa in controversia e 8 364,69 EUR rappresentanti la parcella di M. M., da versare direttamente all’avvocato.
95. Il Governo non si oppone al fatto che venga rimborsato alla richiedente la somma pagata effettivamente da lei ed in relazione con la violazione constatata.
96. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. La Corte nota che, il 31 ottobre 2002, la somma di 660 EUR è stata versata al primo avvocato della richiedente a titolo dell’assistenza giudiziale. Nello specifico, avuto riguardo ai criteri menzionati, al conteggio dettagliato delle ore di lavoro che le è stato sottoposto ed alle questioni che la presente causa ha sollevato, la Corte concede per oneri e spese 7 700 EUR da versare direttamente alla Sig. M. e. Concede anche la somma di 98 EUR alla richiedente, a titolo degli oneri e spese.
C. Interessi moratori
97. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 14 della Convenzione combinato con l’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare i motivi di appello tratti dagli articoli 13 e 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1, questi ultimi considerati isolatamente e combinati con l’articolo 14 della Convenzione;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare alla richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme, da convertire nella moneta nazionale dello stato convenuto al tasso applicabile in data dell’ordinamento,:
i. 15 000 EUR (quindicimila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, ogni danno compreso, da versare al richiedente,
ii. 7 700 EUR (settemila sette cento euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dalla richiedente, per oneri e spese, da versare direttamente alla prima rappresentante della richiedente, la Sig.ra. M.,
iii. 98 EUR (novantotto euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per oneri e spese, da versare alla richiedente;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 12 gennaio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Cancelliere Presidente