A.N.P.T.ES. Associazione Nazionale per la Tutela degli Espropriati. Oltre 5.000 espropri trattati in 15 anni di attività.
Qui trovi tutto cio che ti serve in tema di espropriazione per pubblica utilità.

Se desideri chiarimenti in tema di espropriazione compila il modulo cliccando qui e poi chiamaci ai seguenti numeri: 06.91.65.04.018 - 340.95.85.515

Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE PAROISSE GRECO CATHOLIQUE SAMBATA BIHOR c. ROUMANIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 14, 06
Numero: 48107/99/2010
Stato: Romania
Data: 2010-01-12 00:00:00
Organo: Sezione Terza
Testo Originale

Conclusione Violazione dell’art. 6-1; violazione dell’art. 14+6-1; danno patrimoniale e danno morale – risarcimento
TERZA SEZIONE
CAUSA PARROCCHIA GRECO CATTOLICA SÂMBATA BIHOR C. ROMANIA
( Richiesta no 48107/99)
SENTENZA
STRASBURGO
12 gennaio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Parrocchia Greco Cattolica Sâmbata Bihor c. Romania,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente, Elisabet Fura, Corneliu Bîrsan, Alvina Gyulumyan, Egbert Myjer, Luccichi López Guerra, Ann Power, giudici,
e dai Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio l’ 8 dicembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 48107/99) diretta contro la Romania e in cui una parrocchia ubicata in questo Stato, la parrocchia greco cattolica S. B. (“la richiedente”), aveva investito la Commissione europea dei diritti dell’uomo (“la Commissione”) l’ 11 giugno 1998 in virtù del vecchio articolo 25 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. La richiedente che è stata ammessa a favore dell’assistenza giudiziale, è stata rappresentata, in un primo tempo, da M. M., avvocato a Bucarest, poi da N. P., avvocato a Bucarest. Il governo rumeno (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, il Sig. Răzvan-Horatiu Radu, del ministero delle Cause estere.
3. La richiedente adduce in particolare un attentato al suo diritto di accesso ad un tribunale, in ragione del rifiuto delle giurisdizioni nazionali di deliberare sul suo diritto ad utilizzare un edificio di culto. Basandosi principalmente sugli stessi fatti, si lamenta anche di un attentato al suo diritto di proprietà ed alla sua libertà di religione, così come al principio di interdizione della discriminazione.
4. La richiesta è stata trasmessa alla Corte il 1 novembre 1998, data di entrata in vigore del Protocollo no 11 alla Convenzione (articolo 5 § 2 del Protocollo no 11).
5. Dopo avere comunicato la richiesta al Governo il 18 settembre 2001, con una decisione del 25 maggio 2004, la Corte ha dichiarato la richiesta ammissibile.
6. Tanto la richiedente che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte sul merito della causa (articolo 59 § 1 dell’ordinamento).
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
7. La richiedente è una Chiesa cattolica di rito orientale, greco -cattolica o uniate, della parrocchia di S. dipendente dell’arcivescovado rumeno uniate di Oradea.
A. Contesto storico
8. Fino al 1948, coesistevano a Sâmbăta due comunità cristiane, una uniate e l’altra ortodosso. Ciascuna aveva la sua propria chiesa.
9. Col decreto no 358/1948, il culto uniate fu considerato come sciolto ed i suoi praticanti furono obbligati ad affiliarsi al culto ortodosso. I beni appartenenti a questa Chiesa furono trasferiti alla chiesa ortodossa in virtù del decreto no 177/1948 che contemplava che, se la maggioranza dei parrocchiani di un culto diventava membro di un’altra Chiesa, i beni appartenuti al culto abbandonato sarebbero stati trasferiti nel patrimonio del culto che li aveva accolti.
10. Il 27 ottobre 1948, il prete uniate di Sâmbăta fu obbligato a mettere la chiesa dove celebrava l’ufficio a disposizione degli ortodossi. Il 22 novembre 1948, fu costretto di lasciare la casa parrocchiale e vi lasciò tutti i suoi beni, ivi compresi i mobili, i vestiti sacerdotali e la biblioteca.
B. I passi gratuiti della richiedente in vista di ricuperare l’uso per il servizio religioso della chiesa che le era appartenuta fino al 1948
11. Dopo la caduta del regime totalitario nel dicembre 1989, il decreto no 358/1948 fu abrogato dal decreto-legge no 9/1989. Il culto uniate fu riconosciuto ufficialmente dal decreto-legge no 126/1990. Per ciò che riguarda la situazione giuridica dei beni appartenuti alle parrocchie greco cattoliche, il decreto-legge no 126/1990 contemplava che questa doveva essere decisa da commissioni miste costituite da rappresentanti dei due culti, uniate ed ortodosso. Queste ultime dovevano prendere in conto la volontà dei credenti di ogni comunità.
12. Secondo un attestato rilasciato nel 1996 dal servizio dipartimentale di statistica di Bihor, il 27,8% degli abitanti del comune di Sâmbăta si dichiararono fedeli della chiesa greco cattolica all’epoca del censimento del 1991.
13. La richiedente iniziò dei passi gratuiti in vista di ricuperare l’uso, per il servizio religioso, della chiesa che le era appartenuta fino al 1948.
14. I rappresentanti dei greco cattolici e degli ortodossi del comune di Sâmbãta si riunirono il 3 maggio 1995. Così come risulta dal verbale stabilito in questa data, lo scopo di questa riunione era la formazione di una commissione mista. Il compito che doveva essere citato consisteva nel fissare l’orario del servizio religioso, affinché potesse essere celebrato da ciascuno dei due culti, alternativamente, nella chiesa che era appartenuta ai greco cattolici prima del 1948.
15. I rappresentanti del culto ortodosso si opposero a questa proposta, affermando che l’edificio religioso era da anni di proprietà della chiesa ortodossa. Facevano valere che i greco cattolici utilizzavano un’aula scolastica per i loro uffici e che si sarebbero costruiti una chiesa se ne avessero avuto bisogno.
16. All’epoca di questo incontro, i rappresentanti ortodossi rifiutarono la proposta dei greco – cattolici di tenere una nuova riunione.
C. L’azione in giustizia della richiedente
17. Nel 1996, la richiedente introdusse un’azione dinnanzi al tribunale di prima istanza di Beiuş. Chiedeva al tribunale di ordinare alla parrocchia ortodossa di Sâmbăta di permetterle di celebrare il servizio religioso nella chiesa che le era appartenuta fino al 1948. La richiedente faceva valere che si era rivolta a più riprese ai rappresentanti della chiesa ortodossa per costituire una commissione mista, conformemente al decreto-legge no 126/1990, ma che i suoi passi erano restati senza risultato. Adduceva di avere formato una contestazione presso la commissione mista superiore, costituita a livello dei due arcivescovadi, uniate ed ortodosso, ma senza avere mai ricevuto alcuna risposta.
18. Con una decisione del 24 ottobre 1996, il tribunale di prima istanza di Beiuş accolse l’azione del richiedente. Il tribunale considerò da prima che il rifiuto della parte convenuta di rispondere all’istanza della richiedente era abusivo. Constatò poi che, secondo il censimento del 1991, il 27,8% della popolazione di Sâmbăta era affiliato al culto uniate e giudicarono che, tenuto conto del fatto che non c’era a Sâmbăta alcun edificio di culto per gli uniati, anche il rifiuto della chiesa ortodossa di permettere a questi ultimi di celebrare l’ufficio in una delle due chiese del villaggio era abusivo.
19. Il tribunale tenne anche conto del decreto no 177/1948, sempre in vigore secondo cui quando più del 10% dei praticanti di un culto lo lasciano per un altro, una percentuale uguale del patrimonio del culto che è stato abbandonato viene trasferita all’altro culto. Il tribunale proseguiva così:
“Di conseguenza, il 27,8% del patrimonio del culto ortodosso è stato trasferiti nel 1990 nel patrimonio della chiesa uniate, quando questa si è costituita. Quindi, siamo in presenza di una situazione di comproprietà sulla chiesa parrocchiale dei due culti religiosi di Sâmbăta.
Ne segue che le azioni che costituiscono atti di possesso o di uso del bene in causa possono essere compiuti simultaneamente da ciascuno dei comproprietari ed in concorrenza con gli altri e che ciascuno deve esercitare il suo diritto senza recare offesa al diritto altrui. “
20. Il tribunale ordinò di conseguenza alla parte convenuta di permettere alla richiedente di celebrare l’ufficio nella chiesa richiesta e di stabilire un orario alternativo secondo il principio dell’equità.
21. La parrocchia ortodossa di Sâmbăta formò un appello contro il giudizio del 24 ottobre 1996 che fu respinto dal tribunale dipartimentale di Bihor il 6 maggio 1997. Il tribunale aggiunse dei motivi supplementari rispetto a quelli evoluti dal tribunale di prima istanza e notò che una pratica giudiziale si era diffusa consistente nel riconoscere la legittimità dei diritti dei praticanti del culto uniate e che, fino alla regolamentazione della situazione tramite via legislativa, si imponeva un’utilizzazione in comune degli edifici religiosi da parte dei due culti.
22. La parrocchia ortodossa di Sâmbăta investì la corte di appello di Oradea di un ricorso contro la decisione del 6 maggio 1997.
23. Investì anche la corte di appello di un’istanza di sospensione dell’esecuzione costretta della decisione del 6 maggio 1997. Con sentenza interlocutoria del 20 maggio 1997, la corte di appello ordinò la sospensione dell’esecuzione finché non si fosse pronunciata sul ricorso formato contro suddetta decisione.
24. Con una sentenza del 12 gennaio 1998, la corte di appello di Oradea fece diritto al ricorso e dichiarò inammissibile la richiesta del richiedente. La corte di appello giudicò che il decreto-legge no 126/1990 era una legge speciale che derogava al codice civile. Secondo questo decreto-legge, le controversie riguardanti un diritto di proprietà o di uso degli edifici religiosi sfuggivano dalla competenza dei tribunali, essendo tali controversie di competenza esclusiva delle commissioni miste costituite in virtù di questo decreto.
D. L’ ulteriore evoluzione della situazione
25. Il 3 febbraio 2002, la richiedente informò la Corte che i credenti greco cattolici del comune di Sâmbăta avevano fatto costruire una nuova chiesa per il loro uso coi loro propri mezzi, senza l’aiuto degli ortodossi o dello stato. Afferma che il censimento del 2002 mostra che il 34% degli abitanti del comune si dichiarano greco cattolici.
E. Contesto generale dei passi e delle manifestazioni dei fedeli dei culti uniate ed ortodosso per ciò che riguarda gli edifici religiosi
26. Dopo il 1990, i fedeli del culto greco cattolico abitanti dei comuni ubicati in parecchi dipartimenti della regione occidentale della Romania, come Bihor, Cluj, Alba, Mureş, Bistriţa-Năsăud, Sibiu, tentarono di recuperare, o la proprietà ed il possesso esclusivo delle chiese che erano appartenute loro prima del 1948, o alternativamente l’uso condiviso di queste chiese, col culto ortodosso. Le parrocchie uniate iniziarono, come la richiedente, dei passi gratuiti, in virtù del decreto-legge no 126/1990, ma anche delle azioni in giustizia in virtù del diritto comune.
27. Per ciò che riguarda i passi gratuiti presso i rappresentanti della chiesa ortodossa che occupavano suddette chiese, restarono talvolta senza risultato, soprattutto nei comuni in cui i fedeli ortodossi erano maggioritari.
28. I rappresentanti dei due culti al più alto livello si riunirono parecchie volte per discutere di questi problemi. I primi sei incontri ebbero luogo il 28 ottobre 1998, il 29 gennaio,il 10 giugno e il 4 novembre 1999 ed il 28 settembre 2000 e il 27 settembre 2001.
29. Il comunicato adottato all’epoca della riunione del 29 gennaio 1999 tra le delegazioni ortodosse e greco – cattoliche notavano che la parte ortodossa insisteva affinché i greco cattolici rinunciassero alle azioni in giustizia e che il dialogo sulle possibilità di restituzione degli edifici del culto continuava a livello locale. Il testo del comunicato era formulato così, nelle sue parti pertinenti:
“La seconda riunione delle commissioni di dialogo si è svolta in un clima di apertura, di fraternità e di sincerità. Ci rallegriamo dei risultati e dei progressi compiuti dalla via del dialogo.
1. Riaffermiamo i principi del dialogo stabiliti all’epoca della prima riunione che si è svolta il 28 ottobre 1998 a Bucarest, e cioè:
– rinunciare all’occupazione con la forza degli edifici del culto;
– rinunciare alle azioni giuridiche e legislative;
– rinunciare ad ogni forma di proselitismo;
– stabilire tramite la via del dialogo l’uso degli edifici del culto.
2. Tenuto conto del fatto che la parte ortodossa ha condizionato l’invito fatto dal santo-sinodo della chiesa ortodossa rumena a Sua Santità Giovanni Paolo II di visitare la Romania alla rinuncia a tutte le azioni in giustizia introdotte fino al 22 febbraio 1999, la parte greco cattolica propone di abbordare in precedenza l’ordinamento delle dispute che hanno condotto a dette azioni giudiziali. Speriamo che questa divergenza di punti di vista sia decisa ulteriormente.
3. Tenuto conto del fatto che la maggior parte delle vecchie chiese greco cattoliche sono frequentate dai vecchi fedeli greco – cattolici che oggi sono e si dichiarano ortodossi, ma anche che ci sono ancora comunità greco cattoliche minoritarie che non dispongono di edifici di culto:
a) la parte ortodossa si avvia a riconoscere de facto che più di un centinaio di edifici del culto che erano prima del 1989 in possesso delle comunità ortodosse, ma sono utilizzati dai greco cattolici ora, resteranno in possesso di questi ultimi, qualunque sia la modalità con la quale questi edifici sono stati recuperati; questi non saranno rivendicati dagli ortodossi;
b) le commissioni miste locali continueranno i negoziati affinché nei comuni in cui c’è una parrocchia greco – cattolica e dove parecchi edifici di culto sono in possesso della maggioranza ortodossa, questa ultima analizzi la possibilità di offrire alla parrocchia greco – cattolica uno di questi edifici, col consenso del prete e dei fedeli ortodossi del comune “
30. Il comunicato adottato il 4 novembre 1999, all’epoca della quarta riunione delle delegazioni ortodosse e greco cattoliche, notava dei progressi modesti nell’ordinamento delle dispute patrimoniali. C’era stata l’ intenzione di dare precedenza agli ordinamenti amichevoli al posto di ricorrere alle azioni giudiziali. I rappresentanti dei due culti erano da una parte e dall’ altra disposti affinché i fedeli di ogni culto aiutino per quanto possibile gli altri a farsi costruire delle chiese. Le pretese avanzate dai greco cattolici concernenti la restituzione delle loro vecchie chiese nei comuni dove c’erano due chiese, e la condivisione dell’uso della chiesa là dove aveva ve ne era una sola, non furono accettate dagli ortodossi.
31. Con una lettera del 12 febbraio 2002 indirizzata al ministro della Giustizia, il patriarca della chiesa ortodossa rumena, ricordando i principi dell’autonomia della chiesa e del dialogo ecumenico tra i culti cattolico orientale ed ortodosso, fece valere che le commissioni miste stabilite in virtù del decreto-legge no 126/1990 erano le sole autorità competenti per conoscere delle dispute tra i due culti relative alla proprietà o all’uso degli edifici religiosi. Manifestò la sua preoccupazione in quanto alla pratica di certi tribunali di giudicare tali controversie secondo il diritto comune.
32. Il 26 febbraio 2004, l’arcivescovado di Transilvania (Mitropolia Ardealului) rese una decisione con la quale chiese alla chiesa uniate di scegliere tra “il dialogo e la giustizia”: se la via del dialogo era scelta, le parti dovevano avviarsi a togliere immediatamente tutte le azioni impegnate dinnanzi alle giurisdizioni nazionali. Il 26 maggio 2004, i partecipanti alla conferenza episcopale risposero che desideravano continuare il dialogo.
33. Anche alcune tensioni tra i fedeli dei due culti furono registrate. Così come risulta dal comunicato stampa del 16 marzo 2002 adottato dalla chiesa metropolitana rumena unita a Roma (greco cattolica) nella notte dal 15 al 16 marzo 2002, il prete greco – cattolico di Ocna Mureş così come un gruppo di fedeli furono espulsi con la forza dalla chiesa dai fedeli ortodossi accompagnati dal prete ortodosso. Le autorità intervennero per allontanare tutte le persone implicate nell’incidente, ma rimisero l’edificio religioso nelle mani degli ortodosse mentre, dal 7 febbraio 2002, la chiesa era stata assegnata in possesso ai greco cattolici, in virtù di una decisione della corte di appello di Alba-Iulia.
34. Altri incidenti simili furono menzionati anche sulla stampa.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
A. La Costituzione
35. L’articolo pertinente della Costituzione si legge così:
Articolo 21
“1) ogni persona può rivolgersi alla giustizia per la protezione dei suoi diritti, delle sue libertà e dei suoi interessi legittimi.
2) nessuna legge può restringere l’esercizio di questo diritto. “
B. Il decreto no 177/1948 per il regime generale dei culti religiosi
36. Questo decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale no 178 del 4 agosto 1948. Il suo testo è stato rettificato ed è stato pubblicato di nuovo sulla Gazzetta ufficiale no 204 del 3 settembre 1948. È redatto così nelle sue parti pertinenti:
Articolo 37
“1) se almeno il 10% dei credenti affiliati ad un culto lo lasciano per un altro culto, la comunità religiosa del culto che è stato lasciato perde di pieno dritto una parte del suo patrimonio proporzionalmente al numero dei credenti che l’ha lasciata. Questa parte viene trasferita, sempre di pieno dritto, nel patrimonio della comunità locale del nuovo culto adottato dai credenti. “
37. Questo decreto è stato abrogato l’ 11 gennaio 2007 dalla legge no 489/2006 sulla libertà della religione ed il regime generale dei culti, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale no 11 dell’ 8 gennaio 2007.
C. Il decreto-legge no 126/1990 su certe misure relative alla chiesa rumena unita a Roma, greco – cattolica, e le sue modifiche successive
38. Questo decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale no 54 del 25 aprile 1990. È formulato così, nelle sue parti pertinenti:
Articolo 1
“1) in seguito all’abrogazione del decreto no 358/1948 con il decreto-legge no 9 del 31 dicembre 1989, la chiesa rumena unita a Roma è riconosciuta ufficialmente “
Articolo 3
“La situazione giuridica degli edifici religiosi e delle case parrocchiali che sono appartenuti alla chiesa uniate e di cui la chiesa ortodossa rumena si è appropriata sarà determinata da una commissione mista, formata dei rappresentanti del clero di ciascuno dei due culti religiosi che prenderà in conto la volontà dei credenti delle comunità che detengono questi beni. “
39. L’articolo 3 del suddetto decreto-legge è stato completato dall’ordinanza del Governo no 64/2004 del 13 agosto 2004 (“l’ordinanza no 64/2004”) che ha aggiunto un secondo paragrafo, così formulato:
“Nel caso in cui i rappresentanti clericali dei due culti religiosi non trovino un accordo in seno alla commissione mista contemplata all’articolo 1, la parte interessata può introdurre un’azione in giustizia in virtù del diritto comune. “
40. La legge no 182/2005 del 13 giugno 2005 (“la legge no 182/2005”) che ha approvato l’ordinanza no 64/2004, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 14 giugno 2005, ha modificato il secondo capoverso dell’articolo 3 e ne ha aggiunto altri due, così redatti:
“La parte interessata convocherà l’altra parte, comunicandole per iscritto le sue pretese e informandola delle prove su cui fonda le sue pretese. La convocazione sarà fatta tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento o con la rimessa delle lettere in mani proprie. La data della convocazione della commissione mista sarà fissata solamente dopo trenta giorni dopo la data di ricevimento dei documenti. La commissione sarà costituita da tre rappresentanti di ogni culto. Se il giorno della convocazione, la commissione non si riunisce o se non arriva a nessun risultato o se la decisione scontenta una delle parti, la parte interessata può introdurre un’azione in giustizia sul diritto comune.
L’azione sarà esaminata dai tribunali.
L’azione sarà esente da tassa giudiziale. “
D. La giurisprudenza della Corte costituzionale
41. La decisione no 127 del 16 novembre 1994 della Corte costituzionale, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale no 66 dell’ 11 aprile 1995, disponi che:
“L’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 regola la modalità di ordinamento della situazione giuridica degli edifici del culto in controversia. Non impedisce tuttavia alle parti, cioè ai culti, di investire le giurisdizioni ordinarie. (…) I culti possono agire anche in giustizia ma unicamente dopo l’esaurimento del procedimento previsto dall’articolo 3 di suddetto decreto. “
42. La decisione no 49 del 19 maggio 1995 della Corte costituzionale, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale no 224 del 29 settembre 1995, è formulata così nelle sue parti pertinenti:
“(…) La Corte costituzionale è stata invitata prima a pronunciarsi sull’eccezione di incostituzionalità (excepţie de neconstituţionalitate) delle disposizioni dell’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990
La Corte costituzionale ha giudicato che l’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 era conforme alla Costituzione per i seguenti motivi:
-[…] il procedimento istituito dall’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 non ha infranto il principio del libero accesso alla giustizia prevista dall’articolo 21 della Costituzione, perché ha un carattere preliminare ad un eventuale processo che potrebbe risultare dall’incomprensione delle regole stabilite, come l’incomprensione della scelta della maggioranza dei parrocchiani;
– l’esigenza di tale procedimento preliminare al procedimento giudiziale non è incostituzionale, perché ha per scopo di evitare l’ingombro dei tribunali con delle controversie che potrebbero essere decise amichevolmente ma anche di preservare l’interesse delle parti a vedere la loro disputa decisa con celerità. (…)
Di conseguenza, bisogna seguire le disposizioni dell’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 in primo luogo .”
E. La giurisprudenza della Corte suprema di giustizia e di certi corsi di appello
43. Secondo la sentenza della Corte suprema di giustizia del 22 marzo 1996, i tribunali non potrebbero pronunciarsi sull’utilizzazione di un edificio religioso senza oltrepassare le competenze del potere giudiziale, e le decisioni così rese sono nulle.
44. In una sentenza del 17 febbraio 1999, la Corte suprema di giustizia ha segnato un cambiamento improvviso di giurisprudenza rispetto alla sua decisione del 22 marzo 1996. Ha respinto, per i seguenti motivi, il ricorso per annullamento formato dal procuratore generale contro una decisione definitiva che aveva dato guadagno di causa ad un parrocchia uniate nella sua azione di rivendicazione:
“In virtù dell’articolo 3 di questo [decreto-legge no 126/1990], la situazione giuridica degli edifici del culto e delle case parrocchiali che sono appartenuti alla chiesa rumeno uniate e di cui la chiesa ortodossa rumena si è appropriata, sarà determinata da una commissione mista, formata dai rappresentanti del clero di ciascuno dei due culti religiosi. Questa commissione prenderà in conto la volontà dei parrocchiani del culto che detiene questi beni.
(…) [Il] decreto-legge no 126 del 24 aprile 1990 contiene delle disposizioni legali promulgate anteriormente alla Costituzione, mentre la presente controversia si è svolta sotto l’impero delle disposizioni della Costituzione. È vero che in certi dipartimenti, le commissioni miste alle quali suddetto testo fa riferimento si sono costituite ma è anche vero che tale commissione non si è costituita a Sibiu.
Però, il fatto che tale commissione non si sia costituita non può impedire il libero accesso della richiedente alla giustizia, perché ciò sarebbe contrario al principio consacrato dall’articolo 21 della Costituzione secondo cui ogni persona può rivolgersi alla giustizia per la protezione dei suoi diritti, delle sue libertà e dei suoi interessi legittimi e che nessuna legge può restringere l’esercizio di questo diritto.
A questo scopo l’articolo 3 del codice civile dispone che il giudice nel caso in cui negasse di deliberare al motivo che la legge non contempla questo caso di figura o che non è chiara o è insufficiente, potrebbe essere perseguito per diniego di giustizia.
(…) [Questo ] dritto fondamentale di una persona di rivolgersi alla giustizia è consacrato anche nei trattati internazionali che la Romania ha ratificato.
Così, l’articolo 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali contempla che ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita, [equamente], pubblicamente ed in un termine ragionevole, da un tribunale indipendente ed imparziale, stabilito dalla legge che deciderà o delle contestazioni sui suoi diritti od obblighi di carattere civile, o della fondatezza di ogni accusa in materia penale diretta contro lei.
L’articolo 13 della stessa Convenzione enuncia anche che ogni persona i cui diritti e le libertà previsti da suddetta Convenzione sono stati violati ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad una giurisdizione nazionale. Peraltro, l’articolo 1 del Primo Protocollo addizionale a questa Convenzione contempla che ogni persona ha il diritto al rispetto dei suoi beni e che nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalle leggi e dei principi generali del diritto internazionale.
Pertanto, [la Corte] constata che i tribunali non hanno oltrepassato le loro competenze tramite le decisioni attaccate. (…)”
45. In una sentenza definitiva del 20 febbraio 1998, la corte di appello di Bucarest ha considerato che l’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 non era applicabile quando si trattava di un’azione per sfratto regolata dal diritto comune. La corte di appello ha giudicato che:
“(…) tenuto conto del fatto che l’edificio del culto appartiene ai credenti che hanno contribuito alla sua acquisizione ed ai loro successori, la richiedente ha il diritto di chiedere lo sfratto della parte convenuta in virtù dell’articolo 480 del codice civile. Il problema della ricostituzione del diritto di proprietà e quello dell’attribuzione di proprietà in funzione del numero dei fedeli di un culto non è pertinente. “
46. In una sentenza definitiva del 9 marzo 2001, la corte di appello di Bucarest ha considerato che spettava ai tribunali ordinari deliberare secondo il diritto comune, su un’azione di rivendicazione tesa a fare valere un diritto di proprietà esistente e non a vedersi assegnare in proprietà un bene. L’esercizio di tale azione non potrebbe essere subordinato al compimento di un procedimento preliminare obbligatorio.
47. La corte di appello di Oradea ha considerato peraltro nella sua sentenza definitiva del 22 aprile 1999 che:
“Il problema che si pone è quello di sapere se, dato che [il decreto-legge no 126/1990] contempla che la situazione giuridica degli edifici del culto sarà stabilita da una commissione mista formata di rappresentanti dei due culti, è ancora possibile investire i tribunali ordinari di controversie concernenti questi immobili.
La corte considera che [il tribunale] ha stimato in modo erroneo che le disposizioni di suddetto decreto non permettevano alle giurisdizioni ordinarie di decidere tali controversie portate dinnanzi ad esse. Questo atto normativo è stato adottato naturalmente per rendere possibile l’ordinamento amichevole delle rivendicazioni nate dopo il ristabilimento della libertà di religione. È un atto normativo che ha valore di raccomandazione che non impedisce l’applicazione della legge civile generale in materia di acquisizione e di perdita del diritto di proprietà.
Le commissioni miste interclericali non hanno un carattere giurisdizionale e non sono state investite del potere di decidere le dispute comparse. È ciò che risulta anche dal documento intitolato “dichiarazione appello” che raccomanda alle due Chiese di giungere ad un’intesa per non essere ricorse alla legge.
(…)
[La corte] nota anche che, durante gli otto anni strascorsi dall’entrata in vigore del decreto-legge no 126/1990, la richiedente ha iniziato diversi passi presso la commissione mista in vista dell’ordinamento della controversia riguardante la rivendicazione dell’immobile in causa, ma nessuno indizio mostra che la commissione ha deciso o ha avuto l’intenzione di decidere questa disputa. Quindi, un’azione in giustizia si impone ed è tanto più giustificata. “
48. Investita di un’azione fondata sul secondo capoverso dell’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 introdotto dall’ordinanza no 64/2004, per constatazione della nullità di un’espropriazione e per restituzione di una chiesa appartenuta al culto religioso uniate, con una sentenza definitiva del 24 novembre 2004, dopo avere constatato che malgrado gli zeli dei rappresentanti della chiesa greco – cattolica, le commissioni miste non si erano costituite, l’Alta Corte di cassazione e di giustizia ha giudicato che l’azione in giustizia era ammissibile e non prematura.
49. All’epoca di un procedimento impegnato da una parrocchia ortodossa per delimitazione topografica di una chiesa uniate e di un altro immobile e che prevedeva delle circostanze simili a quelle della presente causa, la parrocchia greco cattolica interessata ha fatto istanza di intervento chiedendo l’annullamento dell’iscrizione sul libro fondiario del diritto di proprietà dello stato sulla chiesa e la sua restituzione. Con una sentenza del 20 gennaio 2006, basandosi sull’ordinanza no 64/2004, la corte di appello di Timişoara ha respinto l’istanza di intervento come prematura.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
50. La richiedente adduce che è stata privata del suo diritto di accesso ad un tribunale per il fatto che la corte di appello si è dichiarata incompetente per conoscere della controversia che l’opponeva alla chiesa ortodossa e che riguardava l’uso condiviso dell’edificio del culto. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione che si legge così nelle sue parti pertinenti:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Gli argomenti delle parti
51. Il Governo sostiene che la richiedente non si è visto negare il suo diritto di accesso ad un tribunale, ma che in virtù della legge interna, questo diritto ha subito delle limitazioni giustificate dalla natura della controversia.
52. Fa valere che, per ciò che riguarda le controversie tra le due Chiese, uniate ed ortodossa, relative agli edifici del culto ed alle case parrocchiali appartenenti ai greco cattolici prima 1948 e che, da allora, erano in possesso della chiesa ortodossa, il legislatore rumeno ha inteso adottare una regolamentazione speciale derogatoria al diritto comune. Così, la legge speciale, cioè il decreto-legge no 126/1990, contempla che appartiene alle commissioni miste formate dai rappresentanti delle due Chiese di decidere ogni controversia relativa agli edifici del culto. Istituendo tale procedimento derogatorio, il legislatore ha stabilito anche i criteri che devono essere applicati dalle commissioni miste. Secondo il Governo, queste devono tenere conto della volontà della maggioranza dei credenti di ogni comune.
53. Il Governo indica che a Sâmbăta, questa commissione mista si è costituita il 3 maggio 1995 e che ha preso in conto la volontà della maggioranza ortodossa che era di non condividere l’uso della chiesa ai fini dell’ufficio religioso da parte dei fedeli greco cattolici.
54. Il Governo fa valere poi che ogni decisione di una commissione mista è sottoposta ad un controllo giurisdizionale. Invocando l’interpretazione del decreto-legge no 126/1990 da parte della Corte costituzionale rumena, il Governo ammette che la competenza dei tribunali per conoscere di tali contestazioni era limitata a verificare se i criteri stabiliti dalla legge, come il rispetto della volontà della maggioranza dei credenti di un comune, erano stati rispettati.
55. Il Governo fa valere che questa soluzione legislativa che dipende del margine di valutazione dello stato, era giustificata dal fatto che, trattandosi di un ambito sensibile, mirava ad allontanare il rischio di agitazioni sociali nelle comunità dove dei greco cattolici e degli ortodossi coabitavano. Peraltro, il Governo sottolinea che gli alti rappresentanti dei due culti sono convenuti nel privilegiare la via del dialogo e nell’ evitare il ricorso ai tribunali.
56. Il Governo nota i cambiamenti legislativi portati al decreto-legge no 126/1990 dagli atti normativi successivi e, rinviando a due cause, pendenti dinnanzi all’Alta Corte di cassazione e di giustizia, stima che l’efficacia della via di ricorso prevista dalla legge no 182/2005 deve essere provata dagli esempi concreti di giurisprudenza.
57. La richiedente considera che le disposizioni legislative derogatorie invocate dal Governo sono contrarie alla Convenzione, alla Costituzione della Romania ed ai principi del codice civile in materia, perché costituiscono un attentato ingiustificato e sproporzionato alla sostanza stessa del diritto di accesso ad un tribunale.
58. La richiedente sottolinea che certe giurisdizioni interne, ivi compresa la Corte suprema di giustizia, hanno fatto prevalere, sul decreto-legge no 126/1990, la Convenzione ed i principi del diritto interno che danno ad ogni persona accesso ad un tribunale affinché deliberi su delle contestazioni relative ai suoi diritti civili. La richiedente non pretende che tale pratica sia consolidata a livello delle più alte giurisdizioni interne. Al contrario, fa notare che, in molti altri casi, come per ciò che la riguarda, le parrocchie uniate si sono viste rifiutare il diritto di accesso ad un tribunale.
59. Per ciò che riguarda il ricorso alle commissioni miste in virtù del decreto-legge no 126/1990, la richiedente stima che, nella misura in cui sarebbe considerato come procedimento preliminare o speciale, è di natura tale da svuotare del suo contenuto il diritto di accesso ad un tribunale. Fa valere che, o le commissioni miste non si sono costituite, o sono state il teatro di discussioni sterili, negando la parte ortodossa ogni volta di restituire ai greco cattolici le loro vecchie chiese o di condividerne l’uso. È precisamente ciò che è accaduto nel suo caso, così come risulta dal verbale della sola riunione dei rappresentanti dei due culti che ha avuto luogo a Sâmbăta il 3 maggio 1995. Inoltre, nella misura in cui le loro decisioni possono essere contestate dinnanzi ai tribunali ordinari solo sull’applicazione formale dei criteri stabiliti dall’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990, questo controllo giurisdizionale sarebbe così limitato che il diritto di accesso ad un tribunale diviene illusorio.
60. La richiedente sostiene anche che tale limitazione è ingiustificata e sproporzionata. Considera che il fatto di rimettere la sua contestazione relativa ai suoi diritti civili ed all’uso dell’edificio religioso tra le mani di un organo sottomesso alla pressione del gruppo maggioritario ortodosso non può essere giustificato legittimamente dalla volontà di evitare delle agitazioni sociali. In un Stato di diritto, la pace sociale si fonda sul rispetto dei diritti di ciascuno. Secondo lei, è il mantenimento di una situazione ambigua, autorizzando l’incomprensione di questi diritti che è di natura tale da intrattenere un clima di tensione.
61. In materia, formula delle riserve in quanto all’efficacia della via di ricorso prevista dalla legge no 182/2005 concernente l’evoluzione legislativa ed alla possibilità di vedere delle azioni introdotte in virtù del diritto comune respinte come premature, in mancanza per la parte interessata di avere seguito il procedimento preliminare.
B. La valutazione della Corte
62. La Corte ricorda al primo colpo che l’articolo 6 § 1 garantisce a ciascuno il diritto affinché un tribunale conosca di ogni contestazione relativa ai suoi diritti ed obblighi di carattere civile. Consacra quindi un “diritto ad un tribunale” il cui diritto di accesso, ossia il diritto di investire il tribunale in materia civile, costituisce solamente un aspetto (vedere, tra altre, Ernst ed altri c. Belgio, no 33400/96, § 48, 15 luglio 2003 e Waite e Kennedy c. Germania [GC], no 26083/94, § 50, CEDH 1999-I).
63. Certo, il diritto di accesso ad un tribunale non è assoluto. Può dare adito a limitazioni implicitamente ammesse perché richiama anche per sua natura una regolamentazione da parte dello stato che, per elaborarlo, gode di un certo margine di valutazione. Tuttavia, le limitazioni applicate non potrebbero restringere l’accesso aperto all’individuo in un modo o ad un punto tale che il diritto se ne trovi raggiunto nella sua sostanza stessa (Chiesa cattolica de la Canée c. Grecia, 16 dicembre 1997, § 38, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VIII). Inoltre, la Corte ricorda che una limitazione al diritto di accesso ad un tribunale si concilia con l’articolo 6 § 1 solo se insegue un scopo legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto (vedere, tra altre, Principe Hans-Adamo II del Liechtenstein c. Germania [GC], no 42527/98, § 44, CEDH 2001-VIII).
64. La Corte ricorda anche che non ha per compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne. Appartiene al primo capo alle autorità nazionali, in particolare ai corsi e ai tribunali, interpretare la legislazione interna (Waite e Kennedy precitata, § 54). Il suo ruolo si limita a verificare la compatibilità con la Convenzione degli effetti di simile interpretazione.
65. La Corte nota che l’azione della richiedente dipendeva dall’articolo 6 § 1 della Convenzione nel suo ramo civile dal momento che mirava a fare riconoscere il suo diritto di utilizzare un immobile, diritto di carattere patrimoniale.
66. La Corte constata che con la sua sentenza definitiva del 12 gennaio 1998, basandosi sull’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990, la corte di appello di Oradea ha respinto l’azione della richiedente al motivo che le controversie riguardanti un diritto di proprietà o di uso di un edificio religioso sfuggivano alla competenza dei tribunali ed era di competenza esclusiva delle commissioni miste. Ora, la Corte stima che non vi è nessun dubbio-e nessuna delle parti non lo nega -che la commissione mista prevista dall’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 formata dei rappresentanti delle due comunità religiose non può passare per un “tribunale” ai sensi dell’articolo 6 § 1.
67. Così come risulta dalla sentenza del 12 gennaio 1998 della corte di appello di Oradea alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale (paragrafi 41, 42 e 54 sopra) e come sostiene il Governo, questa tappa dinnanzi alla commissione mista era un preliminare obbligatorio all’immissione nel processo dei tribunali e la competenza di questi ultimi era limitata alla verifica del rispetto della volontà della maggioranza.
68. Ricorda che il fatto di affidare ad un organo non-giurisdizionale la cura di deliberare su certi diritti di carattere civile, non infrange in sé la Convenzione, se suddetto organo subisce il controllo ulteriore di un organo giudiziale di piena giurisdizione (Alberto ed Le Compte c. Belgio, 10 febbraio 1983, § 29, serie A no 58 e Helle c. Finlandia, sentenza del 19 dicembre 1997, Raccolta 1997-VIII, p. 2926, § 46). Quindi, la Corte deve verificare se questo grado di accesso limitato ad un tribunale bastava per garantire al richiedente il “diritto ad un tribunale”, avuto riguardo al principio della preminenza del diritto in una società democratica (Waite e Kennedy precitata, § 58).
69. Per ciò che riguarda lo scopo perseguito da questa limitazione, la Corte può ammettere che inseguiva uno scopo legittimo, ossia la protezione della pace sociale.
70. In quanto alla proporzionalità, per valutare la limitazione controversa portata all’articolo6 § 1, la Corte esaminerà da prima l’incidenza, sul diritto del richiedente di accesso ad un tribunale, del carattere obbligatorio del procedimento preliminare e, poi, quella della portata del controllo esercitato dal tribunale.
71. Nello specifico, come i tribunali hanno fatto notare, la richiedente ha seguito il procedimento preliminare previsto dall’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990. Così, all’epoca della sola riunione dei rappresentanti dei due culti che ha avuto luogo il 3 maggio 1995, ha chiesto di condividere l’uso, per l’ufficio religioso, della chiesa che le apparteneva prima del 1948 e ha incontrato un rifiuto della maggioranza ortodossa. Ora, la Corte constata che la legge in vigore all’epoca dei fatti non regolamentava né il procedimento da seguire per convocare una commissione mista, né quello da seguire da una commissione per rendere una decisione. Nessuna disposizione legale costrittiva obbligava le parti ad organizzare o a partecipare a queste commissioni. In più, nessuno termine era contemplato affinché una commissione mista rendesee una decisione. Queste lacune legislative hanno favorito un procedimento preliminare dilatorio che, tenuto conto del suo carattere obbligatorio, poteva bloccare sine die il diritto della richiedente di accesso ad un tribunale.
72. Inoltre, come riconosce il Governo, il controllo giudiziale al quale ogni decisione di questa commissione poteva essere sottoposta era limitato alla verifica del rispetto dei criteri stabiliti dalla legge tra cui il principale era il rispetto della volontà della maggioranza. Ora, secondo la Corte, affinché un “tribunale” possa decidere di una contestazione su dei diritti di carattere civile in conformità con l’articolo 6 § 1, occorre che abbia competenza per dedicarsi a tutte le questioni di fatto e di diritto pertinenti per la controversia di cui si trova investita (mutatis mutandis, Terra Woningen B.V. c. Paesi Bassi, 17 dicembre 1996, § 52, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-VI e Credito industriale c. Repubblica ceca, no 29010/95, § 68, CEDH 2003-XI (brani)). Ora, nello specifico, le giurisdizioni interne non erano competenti per deliberare sulla fondatezza di una decisione resa dalla commissione mista prendendo debitamente in conto degli interessi e dei diritti protetti in gioco. Quindi, la Corte stima che il controllo esercitato da un tribunale non era sufficiente ai fini dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
73. Del resto, la Corte nota che se l’azione della richiedente è stata dichiarata inammissibile dalla corte di appello di Oradea dopo un controllo limitato altre giurisdizioni hanno proceduto durante lo stesso periodo ad un controllo giurisdizionale pieno delle contestazioni che erano sottoposte loro (paragrafi 43-47 sopra). Si può dedurre che la limitazione che il legislatore ha voluto imporre al diritto di accesso al tribunale per questo tipo di controversia, non appariva necessaria a certi tribunali nazionali (paragrafi 44 e 47 sopra).
74. La Corte rileva infine che l’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 è stato modificato dall’ordinanza no 64/2004 e dalla legge no 182/2005 e che è oggi possibile investire le giurisdizioni interne che sono competenti per decidere le controversie riguardanti gli edifici religiosi e le case parrocchiali in virtù del diritto comune (paragrafi 39-40 sopra). Resta che questi cambiamenti legislativi, che conviene accogliere, sono largamente posteriori ai fatti denunciati dalla richiedente.
75. Secondo la Corte, un’esclusione generale della competenza dei tribunali dalle controversie come quella del caso specifico è in si contraria al diritto di accesso ad un tribunale garantito dall’articolo 6 della Convenzione (mutatis mutandis, Vasilescu c. Romania, 22 maggio 1998, §§ 39-41, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-III). Inoltre, la Corte stima che il sistema di risoluzione dei conflitti preliminari messo in posto dalla legge speciale non era sufficientemente regolamentato e che il controllo giurisdizionale sulla decisione della commissione mista non era adeguato (vedere, mutatis mutandis, Pellegrini c. Italia, no 30882/96, CEDH 2001-VIII). Alla vista di queste osservazioni e tenendo in mente il principio secondo cui la Convenzione ha per scopo di proteggere dei diritti non teorici o illusori, ma concreti ed effettivi (Artico c. Italia, 13 maggio 1980, § 33, serie A no 37,) la Corte stima che la richiedente non ha beneficiato di un diritto di accesso effettivo ad un tribunale.
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE, COMPOSTO CON L’ARTICOLO 6 § 1
76. La richiedente adduce che le istanze nazionali hanno mancato all’obbligo di garantirle il godimento senza discriminazione del diritto di accesso al tribunale. Invoca l’articolo 14 della Convenzione, così formulato:
“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza distinzione nessuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita od ogni altra situazione. “
A. Gli argomenti delle parti
77. Il Governo fa valere che non è possibile stabilire un’analogia tra la situazione del culto greco cattolico e quella degli altri culti riconosciuti in Romania, nella misura in cui nessuno degli altri culti è stato ristabilito dopo un periodo di interdizione. Ora, il ristabilimento del culto greco cattolico è stato abbinato a condizioni speciali, dovute al carattere singolare di questa situazione. Secondo il Governo, , gli Stati godono di un certo margine di valutazione in materia per determinare in quale misura le differenze tra le situazioni, ad altri riguardi analoghi, giustificano delle distinzioni di trattamento giuridico. Sottolinea che il procedimento derogatorio dinnanzi alle commissioni miste riguarda solamente certi immobili, come gli edifici religiosi, e non si estende agli altri beni immobiliari della chiesa greco cattolica.
78. La richiedente contesta questi argomenti, considerando che il trattamento differente che le è stato applicato trattandosi del suo diritto di accesso alla giustizia non è in nessun modo giustificato. Rileva non solo che l’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 è discriminatorio a riguardo del culto greco cattolico, ma che anche la pratica contraddittoria dei tribunali nazionali è discriminatoria.
B. La valutazione della Corte
79. La Corte ricorda che proibendo la discriminazione, l’articolo 14 vieta di trattare in modo differente delle persone collocate in materia in situazioni comparabili. Rileva che una distinzione è discriminatoria ai sensi dell’articolo 14 della Convenzione se “manca di giustificazione obiettiva e ragionevole”, cioè se non insegue uno “scopo legittimo” o se non c’è un “rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto” (Ernst ed altri precitata, § 84).
80. La Corte nota che la distinzione di trattamento che ha leso la richiedente nel godimento del suo diritto di accesso alla giustizia è stata motivata dalla sua appartenenza al culto greco cattolico. Il Governo ha avanzato delle giustificazioni in quanto a questa differenza di trattamento fondato sulla situazione particolare del culto che era appena stato riconosciuto di nuovo nel 1990. La Corte nota che in quel momento, il problema della restituzione degli edifici di culto ed altri immobili appartenuti alla chiesa uniate prima la sua interdizione si posava su una scala abbastanza importante ed era una questione socialmente sensibile (paragrafi 33-34 sopra).
81. Però, anche supponendo che tale giustificazione possa sembrare conforme alle esigenze dell’articolo 14 della Convenzione, non ne resta meno che i tribunali nazionali hanno interpretato in modo contraddittorio il decreto-legge no 126/1990, ora rifiutando, ora accettando di giudicare delle controversie portate dinnanzi ad essi dalle parrocchie greco cattoliche così che la richiedente è stata trattata in modo differente rispetto ad altre parrocchie che avevano avuto delle controversie simili (paragrafi 43-47 sopra). Ora, il Governo non ha portato alcuna giustificazione a questa differenza di trattamento (mutatis mutandis, Beian c. Romania (no 1), no 30658/05, § 40, CEDH 2007-XIII (brani)).
82. Questi elementi bastano alla Corte per concludere che questa differenza di trattamento subita dalla richiedente non si fondava su nessuna giustificazione obiettiva e ragionevole, senza che sia necessario pronunciarsi sulla questione di sapere se l’articolo 3 del decreto-legge no 126/1990 è discriminatorio a riguardo del culto greco cattolico.
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 14 della Convenzione combinato con l’articolo 6 § 1.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
83. La richiedente si lamenta anche che non esista nessuna istanza nazionale alla quale possa sottoporre efficacemente la sua richiesta concernente l’uso dell’edificio del culto. Invoca l’articolo 13 della Convenzione che è formulata così:
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
84. Il Governo si oppone a questa tesi.
85. La Corte ricorda che quando una questione di accesso ad un tribunale si pone, le garanzie dell’articolo 13 si trovano assorte da quelle dell’articolo 6 che è più rigoroso (Tinnelly & Suoni Ltd ed altri e McElduff ed altri c. Regno Unito, 10 luglio 1998, § 77, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-IV e Ravon ed altri c. Francia, no 18497/03, § 27, 21 febbraio 2008). Quindi, alla vista delle conclusioni che precedono sotto l’angolo dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e prendendo nota dei cambiamenti legislativi in materia, la Corte stima che non c’è luogo di esaminare separatamente questo motivo di appello relativo alla mancanza di un ricorso effettivo.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 9 DELLA CONVENZIONE E 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 ALLA CONVENZIONE, CONSIDERATI ISOLATAMENTE O COMBINATI CON L’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE
86. La richiedente adduce che il rifiuto della corte di appello di Oradea di decidere la controversia che prevedeva l’uso, per la celebrazione dell’ufficio religioso, dell’edificio di culto, rendendo così inefficaci le decisioni delle giurisdizioni inferiori, ha recato anche offesa alla sua libertà di religione ed al suo diritto al rispetto dei suoi beni, in violazione dell’articolo 9 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo no 1, ciascuno preso isolatamente o in combinazione con l’articolo 14 della Convenzione.
87. La Corte osserva che come formulato dalla richiedente e nelle circostanze dello specifico, il contenuto di questo motivo di appello è fondato essenzialmente sulla mancanza di protezione procedurale che ha appena considerato contraria all’articolo 6 § 1 della Convenzione (paragrafi 62-75 sopra). Stimando così di avere deliberato sul problema principale sollevato dalla richiedente, la Corte considera che non si impone di esaminare separatamente i motivi di appello derivati dall’articolo 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1, presi isolamento o combinati con l’articolo 14 (mutatis mutandis, Chiesa cattolica de la Canée precitata, § 50, e Credito industriale precitata, § 82).
V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
88. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
89. La richiedente chiede a titolo del danno patrimoniale o la restituzione dell’edificio religioso controverso, o 23 290,73 euro (“EUR”) rappresentanti il suo valore. Chiede anche 1270 EUR per i lavori effettuati dai membri della parrocchia per la pianificazione dello spazio messo a loro disposizione da una scuola per tenere il servizio religioso, e 3504 EUR rappresentanti gli affitti pagati dai membri della parrocchia per questo spazio. Sollecita anche 120 000 EUR a titolo del danno morale.
90. Il Governo sottolinea che la richiedente non ha un diritto di comproprietà sulla chiesa controversa e che l’oggetto del procedimento interno prevedeva l’uso alternativo dell’edificio religioso. Nessuna somma dovrebbe essere concessa alla richiedente quindi, in compenso della chiesa. Il Governo nota che risulta dai documenti versati alla pratica che i lavori sono stati effettuati in compenso dell’affitto e non per la pianificazione dello spazio messo a disposizione dei parrocchiani per l’esercizio del culto. In quanto al danno morale, il Governo stima che la somma chiesta è eccessiva e che un’eventuale sentenza di condanna costituirebbe in sé un risarcimento sufficiente del danno morale addotto.
91. La Corte rileva che l’unica base da considerare per la concessione di una soddisfazione equa risiede nello specifico nel fatto che la richiedente non ha beneficiato di un accesso ad un tribunale per fare valere il suo diritto di uso dell’edificio di culto e nel fatto che il rifiuto della corte di appello di Oradea di decidere la causa si era rivelato discriminatorio. La Corte non potrebbe speculare certo su ciò che sarebbe stata la conclusione del processo nel caso contrario, ma non stima irragionevole pensare che l’interessata abbia subito una perdita di fortuna reale (Pelissier e Sassi c. Francia [GC], no 25444/94, § 80, CEDH 1999-II e Glod c. Romania, no 41134/98, § 50, 16 settembre 2003).
92. Trattandosi del risarcimento del danno morale, la Corte ha giudicato già che il danno diverso da quellomateriale può comprendere, per una persona giuridica, degli elementi più o meno “obiettivi” e “soggettivi”. Tra questi elementi, bisogna riconoscere la reputazione dell’entità giuridica, ma anche l’incertezza nella pianificazione delle decisioni da prendere, le agitazioni causate alla gestione dell’entità giuridica stessa le cui conseguenze non suscitano un calcolo esatto, ed infine, sebbene in una minima misura, l’angoscia ed il dispiacere provati dai membri degli organi di direzione (Parrocchia greco – cattolica Sfântul Vasile Polonă c. Romania, no 65965/01, § 117, 7 aprile 2009). Nello specifico, il difetto di accesso ad un tribunale così come la discriminazione di cui la richiedente è stata oggetto di questo fatto, ha dovuto causare, nel capo della stessa interessata e dei suoi rappresentanti, dei dispiaceri ed un’incertezza prolungata, non se non fosse che sull’esercizio del culto.
93. Alla luce di ciò che precede, deliberando in equità, come vuole l’articolo 41, la Corte assegna alla richiedente 15 000 EUR ogni danno compreso.
B. Oneri e spese
94. La richiedente chiede il rimborso degli oneri e delle spese all’altezza 8 462,69 EUR di cui fornisce il dettaglio così: 98 EUR che rappresentano gli oneri di una perizia che stabilisce il valore della chiesa in controversia e 8 364,69 EUR rappresentanti la parcella di M. M., da versare direttamente all’avvocato.
95. Il Governo non si oppone al fatto che venga rimborsato alla richiedente la somma pagata effettivamente da lei ed in relazione con la violazione constatata.
96. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. La Corte nota che, il 31 ottobre 2002, la somma di 660 EUR è stata versata al primo avvocato della richiedente a titolo dell’assistenza giudiziale. Nello specifico, avuto riguardo ai criteri menzionati, al conteggio dettagliato delle ore di lavoro che le è stato sottoposto ed alle questioni che la presente causa ha sollevato, la Corte concede per oneri e spese 7 700 EUR da versare direttamente alla Sig. M. e. Concede anche la somma di 98 EUR alla richiedente, a titolo degli oneri e spese.
C. Interessi moratori
97. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 14 della Convenzione combinato con l’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare i motivi di appello tratti dagli articoli 13 e 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1, questi ultimi considerati isolatamente e combinati con l’articolo 14 della Convenzione;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare alla richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme, da convertire nella moneta nazionale dello stato convenuto al tasso applicabile in data dell’ordinamento,:
i. 15 000 EUR (quindicimila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, ogni danno compreso, da versare al richiedente,
ii. 7 700 EUR (settemila sette cento euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dalla richiedente, per oneri e spese, da versare direttamente alla prima rappresentante della richiedente, la Sig.ra. M.,
iii. 98 EUR (novantotto euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per oneri e spese, da versare alla richiedente;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 12 gennaio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Cancelliere Presidente

Testo Tradotto

Conclusion Violation de l’art. 6-1 ; Violation de l’art. 14+6-1 ; Dommage matériel et préjudice moral – réparation
TROISIÈME SECTION
AFFAIRE PAROISSE GRECO CATHOLIQUE SÂMBATA BIHOR c. ROUMANIE
(Requête no 48107/99)
ARRÊT
STRASBOURG
12 janvier 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Paroisse Greco Catholique Sâmbata Bihor c. Roumanie,
La Cour européenne des droits de l’homme (troisième section), siégeant en une chambre composée de :
Josep Casadevall, président,
Elisabet Fura,
Corneliu Bîrsan,
Alvina Gyulumyan,
Egbert Myjer,
Luis López Guerra,
Ann Power, juges,
et de Santiago Quesada, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 8 décembre 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 48107/99) dirigée contre la Roumanie et dont une paroisse sise dans cet État, la paroisse gréco catholique S. B. (« la requérante »), avait saisi la Commission européenne des droits de l’homme (« la Commission ») le 11 juin 1998 en vertu de l’ancien article 25 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. La requérante, qui a été admise au bénéfice de l’assistance judiciaire, a été représentée, dans un premier temps, par Me M. M., avocate à Bucarest, puis par Me N. P., avocate à Bucarest. Le gouvernement roumain (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, M. Răzvan-Horatiu Radu, du ministère des Affaires étrangères.
3. La requérante allègue en particulier une atteinte à son droit d’accès à un tribunal, en raison du refus des juridictions nationales de statuer sur son droit à utiliser un édifice de culte. Se fondant principalement sur les mêmes faits, elle se plaint également d’une atteinte à son droit de propriété et à sa liberté de religion, ainsi qu’au principe d’interdiction de discrimination.
4. La requête a été transmise à la Cour le 1er novembre 1998, date d’entrée en vigueur du Protocole no 11 à la Convention (article 5 § 2 du Protocole no 11).
5. Après avoir communiqué la requête au Gouvernement le 18 septembre 2001, par une décision du 25 mai 2004, la Cour a déclaré la requête recevable.
6. Tant la requérante que le Gouvernement ont déposé des observations écrites sur le fond de l’affaire (article 59 § 1 du règlement).
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
7. La requérante est une Église catholique de rite oriental (gréco-catholique ou uniate) de la paroisse de Sâmbăta dépendant de l’archevêché roumain uniate d’Oradea.
A. Contexte historique
8. Jusqu’en 1948, coexistaient à Sâmbăta deux communautés chrétiennes, l’une uniate et l’autre orthodoxe. Chacune avait sa propre église.
9. Par le décret no 358/1948, le culte uniate fut considéré comme dissous et ses pratiquants furent obligés de s’affilier au culte orthodoxe. Les biens appartenant à cette Eglise furent transférés à l’Église orthodoxe en vertu du décret no 177/1948 qui prévoyait que, si la majorité des paroissiens d’un culte devenaient membres d’une autre Église, les biens ayant appartenu au culte abandonné seraient transférés dans le patrimoine du culte qui les avait accueillis.
10. Le 27 octobre 1948, le prêtre uniate de Sâmbăta fut obligé de mettre l’église où il célébrait l’office à la disposition des orthodoxes. Le 22 novembre 1948, il fut forcé de quitter la maison paroissiale et y laissa tous ses biens, y compris les meubles, les vêtements sacerdotaux et la bibliothèque.
B. Les démarches gracieuses de la requérante en vue de récupérer l’usage pour le service religieux de l’église qui lui avait appartenu jusqu’en 1948
11. Après la chute du régime totalitaire en décembre 1989, le décret no 358/1948 fut abrogé par le décret-loi no 9/1989. Le culte uniate fut reconnu officiellement par le décret-loi no 126/1990. En ce qui concerne la situation juridique des biens ayant appartenu aux paroisses gréco catholiques, le décret-loi no 126/1990 prévoyait que celle-ci devait être tranchée par des commissions mixtes constituées de représentants des deux cultes, uniate et orthodoxe. Ces dernières devaient prendre en compte la volonté des croyants de chaque communauté.
12. D’après une attestation délivrée en 1996 par le service départemental de statistique de Bihor, 27,8 % des habitants de la commune de Sâmbăta se déclarèrent fidèles de l’Église gréco catholique lors du recensement de 1991.
13. La requérante entama des démarches gracieuses en vue de récupérer l’usage, pour le service religieux, de l’église qui lui avait appartenu jusqu’en 1948.
14. Les représentants des gréco catholiques et des orthodoxes de la commune de Sâmbăta se réunirent le 3 mai 1995. Ainsi qu’il ressort du procès-verbal établi à cette date, le but de cette réunion était la formation d’une commission mixte. La tâche qui devait lui être assignée consistait à fixer l’horaire du service religieux, afin qu’il puisse être célébré par chacun des deux cultes, alternativement, dans l’église qui avait appartenu aux gréco catholiques avant 1948.
15. Les représentants du culte orthodoxe s’opposèrent à cette proposition, affirmant que l’édifice religieux était la propriété de l’Église orthodoxe depuis des années. Ils faisaient valoir que les gréco catholiques utilisaient une salle de classe pour leurs offices et qu’ils se construiraient une église s’ils en avaient besoin.
16. Lors de cette rencontre, les représentants orthodoxes refusèrent la proposition des gréco-catholiques de tenir une nouvelle réunion.
C. L’action en justice de la requérante
17. En 1996, la requérante introduisit une action devant le tribunal de première instance de Beiuş. Elle demandait au tribunal d’ordonner à la paroisse orthodoxe de Sâmbăta de lui permettre de célébrer le service religieux dans l’église qui lui avait appartenu jusqu’en 1948. La requérante faisait valoir qu’elle s’était adressée à plusieurs reprises aux représentants de l’Église orthodoxe afin de constituer une commission mixte, conformément au décret-loi no 126/1990, mais que ses démarches étaient restées sans résultat. Elle alléguait avoir formé une contestation auprès de la commission mixte supérieure, constituée au niveau des deux archevêchés, uniate et orthodoxe, mais sans avoir jamais reçu de réponse.
18. Par une décision du 24 octobre 1996, le tribunal de première instance de Beiuş accueillit l’action de la requérante. Le tribunal considéra d’abord que le refus de la partie défenderesse de répondre à la demande de la requérante était abusif. Il constata ensuite que, selon le recensement de 1991, 27,8 % de la population de Sâmbăta étaient affiliée au culte uniate et jugea que, compte tenu du fait qu’il n’y avait pas à Sâmbăta d’édifice de culte pour les uniates, le refus de l’Église orthodoxe de permettre à ces derniers de célébrer l’office dans une des deux églises du village était également abusif.
19. Le tribunal tint également compte du décret no 177/1948, toujours en vigueur, selon lequel lorsque plus de 10 % des pratiquants d’un culte le quittent pour un autre, un pourcentage égal du patrimoine du culte qui a été abandonné est transféré à l’autre culte. Le tribunal poursuivait ainsi :
« Par conséquent, 27,8 % du patrimoine du culte orthodoxe a été transféré en 1990 dans le patrimoine de l’Église uniate, lorsque celle-ci s’est constituée. Dès lors, nous sommes en présence d’une situation de copropriété sur l’église paroissiale (…) des deux cultes religieux de Sâmbăta (…).
Il s’ensuit que les agissements constituant actes de possession ou d’usage du bien en cause peuvent être accomplis par chacun des copropriétaires simultanément et en concurrence avec les autres et que chacun doit exercer son droit sans porter atteinte au droit d’autrui. »
20. Le tribunal ordonna par conséquent à la partie défenderesse de permettre à la requérante de célébrer l’office dans l’église réclamée et établit un horaire alternatif selon le principe de l’équité.
21. La paroisse orthodoxe de Sâmbăta forma un appel contre le jugement du 24 octobre 1996, qui fut rejeté par le tribunal départemental de Bihor le 6 mai 1997. Le tribunal ajouta des motifs supplémentaires par rapport à ceux développés par le tribunal de première instance et nota qu’une pratique judiciaire s’était généralisée consistant à reconnaître la légitimité des droits des pratiquants du culte uniate et que, jusqu’à la réglementation de la situation par voie législative, une utilisation en commun des édifices religieux par les deux cultes s’imposait.
22. La paroisse orthodoxe de Sâmbăta saisit la cour d’appel d’Oradea d’un recours contre la décision du 6 mai 1997.
23. Elle saisit également la cour d’appel d’une demande de suspension de l’exécution forcée de la décision du 6 mai 1997. Par jugement avant dire droit du 20 mai 1997, la cour d’appel ordonna la suspension de l’exécution jusqu’à ce qu’elle se prononce sur le recours formé contre ladite décision.
24. Par un arrêt du 12 janvier 1998, la cour d’appel d’Oradea fit droit au recours et déclara irrecevable la demande de la requérante. La cour d’appel jugea que le décret-loi no 126/1990 était une loi spéciale qui dérogeait au code civil. Selon ce décret-loi, les litiges portant sur un droit de propriété ou d’usage des édifices religieux échappaient à la compétence des tribunaux, de tels litiges étant de la compétence exclusive des commissions mixtes constituées en vertu de ce décret.
D. L’évolution ultérieure de la situation
25. Le 3 février 2002, la requérante informa la Cour que les croyants gréco catholiques de la commune de Sâmbăta avaient fait construire une nouvelle église pour leur usage par leurs propres moyens, sans l’aide des orthodoxes ou de l’État. Elle affirme que le recensement de 2002 montre que 34 % des habitants de la commune se déclarent gréco catholiques.
E. Contexte général des démarches et manifestations des fidèles des cultes uniates et orthodoxe en ce qui concerne les édifices religieux
26. Après 1990, les fidèles du culte gréco catholique habitants des communes sises dans plusieurs départements de la région occidentale de la Roumanie, tels que Bihor, Cluj, Alba, Mureş, Bistriţa-Năsăud, Sibiu, tentèrent de recouvrer, soit la propriété et la possession exclusives des églises qui leur avaient appartenu avant 1948, soit l’usage partagé de ces églises, alternativement avec le culte orthodoxe. Les paroisses uniates entamèrent, comme la requérante, des démarches gracieuses, en vertu du décret-loi no 126/1990, mais également des actions en justice en vertu du droit commun.
27. Pour ce qui est des démarches gracieuses auprès des représentants de l’Église orthodoxe qui occupaient lesdites églises, elles restèrent parfois sans résultat, surtout dans les communes où les fidèles orthodoxes étaient majoritaires.
28. Les représentants des deux cultes au plus haut niveau se réunirent plusieurs fois pour discuter de ces problèmes. Les six premières rencontres eurent lieu les 28 octobre 1998, 29 janvier, 10 juin et 4 novembre 1999 et les 28 septembre 2000 et 27 septembre 2001.
29. Le communiqué adopté lors de la réunion du 29 janvier 1999 entre des délégations orthodoxe et gréco-catholique notait que la partie orthodoxe insistait pour que les gréco catholiques renoncent aux actions en justice et que le dialogue sur les possibilités de restitution des édifices du culte continue au niveau local. Le texte du communiqué était ainsi libellé, dans ses parties pertinentes :
« La deuxième réunion des commissions de dialogue s’est déroulée dans un climat d’ouverture, de fraternité et de sincérité. Nous nous félicitons des résultats et des progrès accomplis par la voie du dialogue.
1. Nous réaffirmons les principes du dialogue établis lors de la première réunion qui s’est déroulée le 28 octobre 1998 à Bucarest, à savoir :
– renoncer à l’occupation par la force des édifices du culte ;
– renoncer aux actions juridiques et législatives ;
– renoncer à toute forme de prosélytisme ;
– établir par la voie du dialogue l’usage des édifices du culte.
2. Compte tenu du fait que la partie orthodoxe a conditionné l’invitation faite par le saint-synode de l’Église orthodoxe roumaine à Sa Sainteté Jean-Paul II de visiter la Roumanie au renoncement à toutes les actions en justice introduites jusqu’au 22 février 1999, la partie gréco catholique propose d’aborder en priorité le règlement des différends qui ont mené auxdites actions judiciaires. Nous espérons que cette divergence de vues sera résolue ultérieurement.
3. Compte tenu du fait que la plupart des anciennes églises gréco catholiques sont fréquentées par les anciens fidèles gréco-catholiques qui aujourd’hui sont et se déclarent orthodoxes, mais aussi qu’il y a encore des communautés gréco catholiques minoritaires qui ne disposent pas d’édifice de culte :
a) la partie orthodoxe s’engage à reconnaître de facto que plus d’une centaine d’édifices du culte qui étaient avant 1989 en possession des communautés orthodoxes, mais sont à présent utilisés par les gréco catholiques, resteront en la possession de ces derniers, quelle que soit la modalité par laquelle ces édifices ont été récupérés ; ceux-ci ne seront pas revendiqués par les orthodoxes ;
b) les commissions mixtes locales continueront les négociations afin que dans les communes où il y a une paroisse gréco-catholique et où plusieurs édifices du culte sont en la possession de la majorité orthodoxe, cette dernière analyse la possibilité d’offrir à la paroisse gréco-catholique un de ces édifices, avec le consentement du prêtre et des fidèles orthodoxes de la commune (…) »
30. Le communiqué adopté le 4 novembre 1999, lors de la quatrième réunion des délégations orthodoxe et gréco catholique, notait des progrès modestes dans le règlement des différends patrimoniaux. Il était envisagé de donner priorité aux règlements amiables au lieu de recourir à des actions judiciaires. Les représentants des deux cultes étaient de part et d’autre disposés à ce que les fidèles de chaque culte aident autant que possible les autres à se faire construire des églises. Les prétentions avancées par les gréco catholiques concernant la restitution de leurs anciennes églises dans les communes où il y avait deux églises, et le partage de l’usage de l’église là où il n’y avait qu’une seule, ne furent pas acceptées par les orthodoxes.
31. Par une lettre du 12 février 2002 adressée au ministre de la Justice, le patriarche de l’Église orthodoxe roumaine, rappelant les principes de l’autonomie de l’Église et du dialogue œcuménique entre les cultes catholique oriental et orthodoxe, fit valoir que les commissions mixtes établies en vertu du décret-loi no 126/1990 étaient les seules autorités compétentes pour connaître des différends entre des deux cultes relatifs à la propriété ou à l’usage des édifices religieux. Il fit part de sa préoccupation quant à la pratique de certains tribunaux de juger de tels litiges selon le droit commun.
32. Le 26 février 2004, l’archevêché de Transylvanie (Mitropolia Ardealului) rendit une décision par laquelle il demanda à l’église uniate de choisir entre « le dialogue et la justice » : si la voie du dialogue était choisie, les parties devaient s’engager à retirer immédiatement toutes les actions engagées devant les juridictions nationales. Le 26 mai 2004, les participants à la conférence épiscopale répondirent qu’ils souhaitaient continuer le dialogue.
33. Des tensions entre des fidèles des deux cultes furent également enregistrées. Ainsi qu’il ressort du communiqué de presse du 16 mars 2002 adopté par l’Église métropolitaine roumaine unie à Rome (gréco catholique) dans la nuit du 15 au 16 mars 2002, le prêtre gréco-catholique d’Ocna Mureş ainsi qu’un groupe de fidèles furent expulsés de force de l’église par des fidèles orthodoxes accompagnés par le prêtre orthodoxe. Les autorités intervinrent afin d’éloigner toutes les personnes impliquées dans l’incident, mais remirent l’édifice religieux entre les mains des orthodoxes alors que, depuis le 7 février 2002, l’église avait été attribuée en possession aux gréco catholiques, en vertu d’une décision de la cour d’appel d’Alba-Iulia.
34. D’autres incidents similaires furent également mentionnés dans la presse.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
A. La Constitution
35. L’article pertinent de la Constitution se lit ainsi :
Article 21
« 1) Toute personne peut s’adresser à la justice pour la protection de ses droits, de ses libertés et de ses intérêts légitimes.
2) Aucune loi ne peut restreindre l’exercice de ce droit. »
B. Le décret no 177/1948 pour le régime général des cultes religieux
36. Ce décret a été publié au Journal Officiel no 178 du 4 août 1948. Son texte a été rectifié et publié de nouveau au Journal Officiel no 204 du 3 septembre 1948. Il est ainsi rédigé dans ses parties pertinentes :
Article 37
« 1) Si au moins 10 % des croyants affiliés à un culte le quittent pour un autre culte, la communauté religieuse du culte qui a été quitté perd de plein droit une partie de son patrimoine proportionnellement au nombre des croyants qui l’a quittée. Cette partie est transférée, toujours de plein droit, dans le patrimoine de la communauté locale du nouveau culte adopté par les croyants. »
37. Ce décret a été abrogé le 11 janvier 2007 par la loi no 489/2006 sur la liberté de la religion et le régime général des cultes, publiée au Journal officiel no 11 du 8 janvier 2007.
C. Le décret-loi no 126/1990 sur certaines mesures relatives à l’Église roumaine unie à Rome (gréco-catholique) et ses modifications successives
38. Ce décret a été publié au Journal Officiel no 54 du 25 avril 1990. Il est ainsi libellé, dans ses parties pertinentes :
Article 1
« 1) A la suite de l’abrogation du décret no 358/1948 par le décret-loi no 9 du 31 décembre 1989, l’Église roumaine unie à Rome est reconnue officiellement (…) »
Article 3
« La situation juridique des édifices religieux et des maisons paroissiales qui ont appartenu à l’Église uniate et que l’Église orthodoxe roumaine s’est appropriés sera déterminée par une commission mixte, formée des représentants du clergé de chacun des deux cultes religieux, qui prendra en compte la volonté des croyants des communautés détenant ces biens. »
39. L’article 3 du décret-loi susmentionné a été complété par l’ordonnance du Gouvernement no 64/2004 du 13 août 2004 (« l’ordonnance no 64/2004 »), qui a ajouté un deuxième paragraphe, ainsi libellé :
« Au cas où les représentants cléricaux des deux cultes religieux ne trouvent pas un accord au sein de la commission mixte prévue à l’article 1er, la partie intéressée peut introduire une action en justice en vertu du droit commun. »
40. La loi no 182/2005 du 13 juin 2005 (« la loi no 182/2005 »), qui a approuvé l’ordonnance no 64/2004, publiée au Journal officiel du 14 juin 2005, a modifié le deuxième alinéa de l’article 3 et a ajouté deux autres, ainsi rédigés :
« La partie intéressée convoquera l’autre partie, en lui communiquant par écrit ses prétentions et en lui fournissant les preuves sur lesquelles elle fonde ses prétentions. La convocation sera faite par lettre recommandée avec avis de réception ou par la remise des lettres en mains propres. La date de la convocation de la commission mixte ne sera fixée qu’après trente jours après la date de réception des documents. La commission sera constituée de trois représentants de chaque culte. Si le jour de la convocation, la commission ne se réunit pas ou si elle n’arrive à aucun résultat ou si la décision mécontente l’une des parties, la partie intéressée peut introduire une action en justice sur le droit commun.
L’action sera examinée par les tribunaux.
L’action sera exemptée de la taxe judiciaire. »
D. La jurisprudence de la Cour constitutionnelle
41. La décision no 127 du 16 novembre 1994 de la Cour constitutionnelle, publiée au Journal Officiel no 66 du 11 avril 1995, dispose que :
« L’article 3 du décret-loi no 126/1990 régit la modalité de règlement de la situation juridique des édifices du culte (…) en litige. Il n’empêche pas pourtant les parties, c’est-à-dire les cultes, de saisir les juridictions ordinaires. (…) Les cultes peuvent également agir en justice (…) mais uniquement après l’épuisement de la procédure prévue par l’article 3 dudit décret (…). »
42. La décision no 49 du 19 mai 1995 de la Cour constitutionnelle, publiée au Journal Officiel no 224 du 29 septembre 1995, est ainsi libellée dans ses parties pertinentes :
« (…) La Cour constitutionnelle a été auparavant invitée à se prononcer sur l’exception d’inconstitutionnalité (excepţie de neconstituţionalitate) des dispositions de l’article 3 du décret-loi no 126/1990 (…)
La Cour constitutionnelle a jugé que l’article 3 du décret-loi no 126/1990 était conforme à la Constitution pour les motifs suivants :
– […] la procédure instituée par l’article 3 du décret-loi no 126/1990 n’enfreint pas le principe du libre accès à la justice prévu par l’article 21 de la Constitution, car elle a un caractère préalable à un éventuel procès qui pourrait résulter de la méconnaissance des règles établies, comme la méconnaissance du choix de la majorité des paroissiens ;
– l’exigence d’une telle procédure préalable à la procédure judiciaire n’est pas inconstitutionnelle, car elle a pour but d’éviter l’encombrement des tribunaux par des litiges qui pourraient être tranchés à l’amiable, mais aussi de préserver l’intérêt des parties à voir leur différend tranché avec célérité. (…)
Par conséquent, il faut suivre en premier lieu les dispositions de l’article 3 du décret-loi no 126/1990 (…) ».
E. La jurisprudence de la Cour suprême de justice et de certaines cours d’appel
43. Selon l’arrêt de la Cour suprême de justice du 22 mars 1996, les tribunaux ne sauraient se prononcer sur l’utilisation d’un édifice religieux sans outrepasser les compétences du pouvoir judiciaire, et les décisions ainsi rendues sont nulles.
44. Dans un arrêt du 17 février 1999, la Cour suprême de justice a marqué un revirement de jurisprudence par rapport à sa décision du 22 mars 1996. Elle a rejeté, pour les motifs suivants, le recours en annulation formé par le procureur général contre une décision définitive ayant donné gain de cause à une paroisse uniate dans son action en revendication :
« En vertu de l’article 3 du [décret-loi no 126/1990], la situation juridique des édifices du culte et des maisons paroissiales qui ont appartenu à l’Église roumaine uniate et que l’Église orthodoxe roumaine s’est appropriés, sera déterminée par une commission mixte, formée des représentants du clergé de chacun des deux cultes religieux. Cette commission prendra en compte la volonté des paroissiens du culte détenant ces biens.
(…) [L]e décret-loi no 126 du 24 avril 1990 contient des dispositions légales promulguées antérieurement à la Constitution, alors que le présent litige s’est déroulé sous l’empire des dispositions de la Constitution. Il est vrai que (…) dans certains départements, les commissions mixtes auxquelles ledit texte fait référence se sont constituées mais il est également vrai qu’une telle commission ne s’est pas constituée à Sibiu.
Cependant, le fait qu’une telle commission ne se soit pas constituée ne peut pas empêcher le libre accès de la requérante à la justice, car cela serait contraire au principe consacré par l’article 21 de la Constitution selon lequel toute personne peut s’adresser à la justice pour la protection de ses droits, de ses libertés et de ses intérêts légitimes et qu’aucune loi ne peut restreindre l’exercice de ce droit.
Dans ce but (…) l’article 3 du code civil dispose que le juge qui refuserait de statuer au motif que la loi ne prévoit pas ce cas de figure ou qu’elle n’est pas claire ou est insuffisante, pourrait être poursuivi pour déni de justice.
(…) [C]e droit fondamental d’une personne de s’adresser à la justice est également consacré dans les traités internationaux que la Roumanie a ratifiés.
Ainsi, l’article 6 de la Convention européenne des Droits de l’Homme et des Libertés fondamentales (…) prévoit que toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue, [équitablement], publiquement et dans un délai raisonnable, par un tribunal indépendant et impartial, établi par la loi, qui décidera soit des contestations sur ses droits ou obligations de caractère civil, soit du bien-fondé de toute accusation en matière pénale dirigée contre elle.
L’article 13 de la même Convention énonce également que toute personne dont les droits et libertés prévus par ladite Convention ont été violés a droit à l’octroi d’un recours effectif devant une juridiction nationale (…). Par ailleurs, l’article 1 du Premier Protocole additionnel à cette Convention (…) prévoit que toute personne a le droit au respect de ses biens et que nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par les lois et les principes généraux du droit international.
Partant, [la Cour] constate que les tribunaux n’ont pas outrepassé leurs compétences par les décisions attaquées. (…) »
45. Dans un arrêt définitif du 20 février 1998, la cour d’appel de Bucarest a considéré que l’article 3 du décret-loi no 126/1990 n’était pas applicable lorsqu’il s’agissait d’une action en expulsion régie par le droit commun. La cour d’appel a jugé que :
« (…) compte tenu du fait que l’édifice du culte appartient aux croyants qui ont contribué à son acquisition et à leurs successeurs, la requérante a le droit de demander l’expulsion de la partie défenderesse en vertu de l’article 480 du code civil. Le problème de la reconstitution du droit de propriété et celui de l’attribution en propriété en fonction du nombre des fidèles d’un culte ne sont pas pertinents. »
46. Dans un arrêt définitif du 9 mars 2001, la cour d’appel de Bucarest a considéré qu’il revenait aux tribunaux ordinaires de statuer selon le droit commun, sur une action en revendication tendant à faire valoir un droit de propriété existant et non à se voir attribuer en propriété un bien. L’exercice d’une telle action ne pourrait pas être subordonné à l’accomplissement d’une procédure préalable obligatoire.
47. La cour d’appel d’Oradea a considéré par ailleurs dans son arrêt définitif du 22 avril 1999 que :
« Le problème qui se pose est celui de savoir si, étant donné que [le décret-loi no 126/1990] prévoit que la situation juridique des édifices du culte sera établie par une commission mixte formée de représentants des deux cultes, il est encore possible de saisir les tribunaux ordinaires de litiges concernant ces immeubles.
La cour considère que [le tribunal] a estimé de façon erronée que les dispositions dudit décret ne permettaient pas aux juridictions ordinaires de trancher de tels litiges portés devant elles. Cet acte normatif a été adopté afin de rendre possible le règlement amiable des revendications nées naturellement après le rétablissement de la liberté de religion. C’est un acte normatif ayant valeur de recommandation qui n’empêche pas l’application de la loi civile générale en matière d’acquisition et de perte du droit de propriété.
Les commissions mixtes intercléricales n’ont pas un caractère juridictionnel et n’ont pas été investies du pouvoir de trancher les différends apparus. C’est ce qui ressort également du document intitulé « déclaration appel » qui recommande aux deux Églises de parvenir à une entente pour ne pas avoir recours à la loi.
(…)
[La cour] note également que, pendant les huit ans écoulés depuis l’entrée en vigueur du décret-loi no 126/1990, la requérante a initié diverses démarches auprès de la commission mixte en vue du règlement du litige portant sur la revendication de l’immeuble en cause, mais aucun indice ne montre que la commission a tranché ou a eu l’intention de trancher ce différend. Dès lors, une action en justice s’imposait et en est d’autant plus justifiée. »
48. Saisie d’une action fondée sur le deuxième alinéa de l’article 3 du décret-loi no 126/1990 introduit par l’ordonnance no 64/2004, en constatation de la nullité d’une expropriation et en restitution d’une église ayant appartenu au culte religieux uniate, par un arrêt définitif du 24 novembre 2004, après avoir constaté que malgré les diligences des représentants de l’église gréco-catholique, les commissions mixtes ne s’étaient pas constituées, la Haute Cour de cassation et de justice a jugé que l’action en justice était recevable et non pas prématurée.
49. Lors d’une procédure engagée par une paroisse orthodoxe en délimitation topographique d’une église uniate et d’un autre immeuble et qui visait des circonstances similaires à celles de la présente affaire, la paroisse gréco catholique intéressée a fait une demande d’intervention en demandant d’annulation de l’inscription du livre foncier du droit de propriété de l’État sur l’église et sa restitution. Par un arrêt du 20 janvier 2006, se fondant sur l’ordonnance no 64/2004, la cour d’appel de Timişoara a rejeté la demande d’intervention comme prématurée.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
50. La requérante allègue qu’elle a été privée de son droit d’accès à un tribunal du fait que la cour d’appel s’est déclarée incompétente pour connaître du litige qui l’opposait à l’Église orthodoxe et qui portait sur l’usage partagé de l’édifice du culte. Elle invoque l’article 6 § 1 de la Convention, qui se lit ainsi dans ses parties pertinentes :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (…) par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
A. Les arguments des parties
51. Le Gouvernement soutient que la requérante ne s’est pas vu nier son droit d’accès à un tribunal, mais qu’en vertu de la loi interne, ce droit a subi des limitations justifiées par la nature du litige.
52. Il fait valoir que, pour ce qui est des litiges entre les deux Églises, uniate et orthodoxe, relatifs aux édifices du culte et aux maisons paroissiales qui appartenaient aux gréco catholiques avant 1948 et qui, depuis lors, étaient en possession de l’Église orthodoxe, le législateur roumain a entendu adopter une réglementation spéciale dérogatoire au droit commun. Ainsi, la loi spéciale, c’est-à-dire le décret-loi no 126/1990, prévoit qu’il appartient aux commissions mixtes formées par les représentants des deux Églises de trancher tout litige relatif aux édifices du culte. En instituant une telle procédure dérogatoire, le législateur a également établi les critères qui doivent être appliqués par les commissions mixtes. Selon le Gouvernement, celles-ci doivent tenir compte de la volonté de la majorité des croyants de chaque commune.
53. Le Gouvernement indique qu’à Sâmbăta, cette commission mixte s’est constituée le 3 mai 1995 et qu’elle a pris en compte la volonté de la majorité orthodoxe, qui était de ne pas partager l’usage de l’église aux fins de l’office religieux avec les fidèles gréco catholiques.
54. Le Gouvernement fait ensuite valoir que toute décision d’une commission mixte est soumise à un contrôle juridictionnel. Invoquant l’interprétation du décret-loi no 126/1990 par la Cour constitutionnelle roumaine, le Gouvernement admet que la compétence des tribunaux pour connaître de telles contestations était limitée à vérifier si les critères établis par la loi, tels que le respect de la volonté de la majorité des croyants d’une commune, avaient été respectés.
55. Le Gouvernement fait valoir que cette solution législative, qui relève de la marge d’appréciation de l’État, était justifiée par le fait que, s’agissant d’un domaine sensible, elle visait à écarter le risque de troubles sociaux dans les communautés où des gréco catholiques et des orthodoxes cohabitaient. Par ailleurs, le Gouvernement souligne que les hauts représentants des deux cultes sont convenus de privilégier la voie du dialogue et d’éviter le recours aux tribunaux.
56. Le Gouvernement note les changements législatifs apportés au décret-loi no 126/1990 par les actes normatifs successifs et, en renvoyant à deux affaires pendantes devant la Haute Cour de cassation et de justice, il estime que l’efficacité de la voie de recours prévue par la loi no 182/2005 doit être prouvée par des exemples concrets de jurisprudence.
57. La requérante considère que les dispositions législatives dérogatoires invoquées par le Gouvernement sont contraires à la Convention, à la Constitution de la Roumanie et aux principes du code civil en la matière, car elles constituent une atteinte injustifiée et disproportionnée à la substance même du droit d’accès à un tribunal.
58. La requérante souligne que certaines juridictions internes, y compris la Cour suprême de justice, ont fait prévaloir, sur le décret-loi no 126/1990, la Convention et les principes du droit interne, qui donnent à toute personne accès à un tribunal afin qu’il statue sur des contestations relatives à ses droits civils. La requérante ne prétend pas qu’une telle pratique soit constante au niveau des plus hautes juridictions internes. Au contraire, elle fait remarquer que, dans beaucoup d’autres cas, comme en ce qui la concerne, les paroisses uniates se sont vu refuser le droit d’accès à un tribunal.
59. Pour ce qui est du recours aux commissions mixtes en vertu du décret-loi no 126/1990, la requérante estime que, dans la mesure où il serait considéré comme une procédure préalable ou spéciale, elle est de nature à vider de son contenu le droit d’accès à un tribunal. Elle fait valoir que, soit les commissions mixtes ne se sont pas constituées, soit elles ont été le théâtre de discussions stériles, la partie orthodoxe refusant à chaque fois de rendre aux gréco catholiques leurs anciennes églises ou d’en partager l’usage. C’est précisément ce qui s’est passé dans son cas, ainsi qu’il ressort du procès-verbal de la seule réunion des représentants des deux cultes qui a eu lieu à Sâmbăta le 3 mai 1995. En outre, dans la mesure où leurs décisions ne peuvent être contestées devant les tribunaux ordinaires que sur l’application formelle des critères établis par l’article 3 du décret-loi no 126/1990, ce contrôle juridictionnel serait si limité que le droit d’accès à un tribunal est illusoire.
60. La requérante soutient également qu’une telle limitation est injustifiée et disproportionnée. Elle considère que le fait de remettre sa contestation relative à ses droits civils et à l’usage de l’édifice religieux entre les mains d’un organe soumis à la pression du groupe majoritaire orthodoxe ne peut pas être légitimement justifié par la volonté d’éviter des troubles sociaux. Dans un État de droit, la paix sociale repose sur le respect des droits de chacun. Selon elle, c’est le maintien d’une situation ambiguë, autorisant la méconnaissance de ces droits, qui est de nature à entretenir un climat de tension.
61. Concernant l’évolution législative en la matière, elle formule des réserves quant à l’efficacité de la voie de recours prévue par la loi no 182/2005 et à la possibilité de voir des actions introduites en vertu de droit commun rejetées comme prématurées, faute pour la partie intéressée d’avoir suivi la procédure préalable.
B. L’appréciation de la Cour
62. La Cour rappelle d’emblée que l’article 6 § 1 garantit à chacun le droit à ce qu’un tribunal connaisse de toute contestation relative à ses droits et obligations de caractère civil. Il consacre de la sorte un « droit à un tribunal », dont le droit d’accès, à savoir le droit de saisir le tribunal en matière civile, ne constitue qu’un aspect (voir, parmi d’autres, Ernst et autres c. Belgique, no 33400/96, § 48, 15 juillet 2003 et Waite et Kennedy c. Allemagne [GC], no 26083/94, § 50, CEDH 1999-I).
63. Certes, le droit d’accès à un tribunal n’est pas absolu. Il peut donner lieu à des limitations implicitement admises car il appelle de par sa nature même une réglementation par l’État, qui, pour l’élaborer, jouit d’une certaine marge d’appréciation. Néanmoins, les limitations appliquées ne sauraient restreindre l’accès ouvert à l’individu d’une manière ou à un point tels que le droit s’en trouve atteint dans sa substance même (Église catholique de La Canée c. Grèce, 16 décembre 1997, § 38, Recueil des arrêts et décisions 1997-VIII). En outre, la Cour rappelle qu’une limitation au droit d’accès à un tribunal ne se concilie avec l’article 6 § 1 que si elle poursuit un but légitime et s’il existe un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé (voir, parmi d’autres, Prince Hans-Adam II de Liechtenstein c. Allemagne [GC], no 42527/98, § 44, CEDH 2001-VIII).
64. La Cour rappelle également qu’elle n’a pas pour tâche de se substituer aux juridictions internes. C’est au premier chef aux autorités nationales, notamment aux cours et tribunaux, qu’il incombe d’interpréter la législation interne (Waite et Kennedy précité, § 54). Son rôle se limite à vérifier la compatibilité avec la Convention des effets de pareille interprétation.
65. La Cour note que l’action de la requérante relevait de l’article 6 § 1 de la Convention dans sa branche civile dès lors qu’elle visait à faire reconnaître son droit d’utiliser un immeuble, droit de caractère patrimonial.
66. La Cour constate que par son arrêt définitif du 12 janvier 1998, se fondant sur l’article 3 du décret-loi no 126/1990, la cour d’appel d’Oradea a rejeté l’action de la requérante au motif que les litiges portant sur un droit de propriété ou d’usage d’un édifice religieux échappaient à la compétence des tribunaux et étaient de la compétence exclusive des commissions mixtes. Or, la Cour estime qu’il ne fait aucun doute – et aucune des parties n’en disconvient – que la commission mixte prévue par l’article 3 du décret-loi no 126/1990 formée des représentants des deux communautés religieuses ne peut passer pour un « tribunal » au sens de l’article 6 § 1.
67. Ainsi qu’il ressort de l’arrêt du 12 janvier 1998 de la cour d’appel d’Oradea à la lumière de la jurisprudence de la Cour constitutionnelle (paragraphes 41, 42 et 54 ci-dessus), et comme le soutient le Gouvernement, cette étape devant la commission mixte était un préalable obligatoire à la saisine des tribunaux et la compétence de ces derniers était limitée à la vérification du respect de la volonté de la majorité.
68. Elle rappelle que le fait de confier à un organe non-juridictionnel le soin de statuer sur certains droits de caractère civil, n’enfreint pas en soi la Convention, si ledit organe subit le contrôle ultérieur d’un organe judiciaire de pleine juridiction (Albert et Le Compte c. Belgique, 10 février 1983, § 29, série A no 58 et Helle c. Finlande, arrêt du 19 décembre 1997, Recueil 1997-VIII, p. 2926, § 46). Dès lors, la Cour doit vérifier si ce degré d’accès limité à un tribunal suffisait pour assurer à la requérante le « droit à un tribunal », eu égard au principe de la prééminence du droit dans une société démocratique (Waite et Kennedy précité, § 58).
69. Pour ce qui est du but poursuivi par cette limitation, la Cour peut admettre qu’elle poursuivait un but légitime, à savoir la protection de la paix sociale.
70. Quant à la proportionnalité, afin d’apprécier la limitation litigieuse apportée à l’article 6 § 1, la Cour examinera d’abord l’incidence, sur le droit de la requérante d’accès à un tribunal, du caractère obligatoire de la procédure préalable et, ensuite, celle de la portée du contrôle exercé par le tribunal.
71. En l’espèce, comme les tribunaux l’ont fait remarquer, la requérante a suivi la procédure préalable prévue par l’article 3 du décret-loi no 126/1990. Ainsi, lors de la seule réunion des représentants des deux cultes qui a eu lieu le 3 mai 1995, elle a demandé à partager l’usage, pour l’office religieux, de l’église qui lui appartenait avant 1948 et s’est heurtée à un refus de la majorité orthodoxe. Or, la Cour constate que la loi en vigueur à l’époque des faits ne réglementait ni la procédure à suivre afin de convoquer une commission mixte, ni celle à suivre par une commission pour rendre une décision. Aucune disposition légale contraignante n’obligeait les parties à organiser ou à participer à ces commissions. Qui plus est, aucun délai n’était prévu pour qu’une commission mixte rende une décision. Ces lacunes législatives ont favorisé une procédure préalable dilatoire qui, compte tenu de son caractère obligatoire, pouvait bloquer sine die le droit de la requérante d’accès à un tribunal.
72. En outre, comme le reconnaît le Gouvernement, le contrôle judiciaire auquel toute décision de cette commission pouvait être soumise était limité à la vérification du respect des critères établis par la loi, dont le principal était le respect de la volonté de la majorité. Or, de l’avis de la Cour, pour qu’un « tribunal » puisse décider d’une contestation sur des droits de caractère civil en conformité avec l’article 6 § 1, il faut qu’il ait compétence pour se pencher sur toutes les questions de fait et de droit pertinentes pour le litige dont il se trouve saisi (mutatis mutandis, Terra Woningen B.V. c. Pays-Bas, 17 décembre 1996, § 52, Recueil des arrêts et décisions 1996-VI et Credit industriel c. République tchèque, no 29010/95, § 68, CEDH 2003-XI (extraits)). Or, en l’espèce, les juridictions internes n’étaient pas compétentes pour statuer sur le bien-fondé d’une décision rendue par la commission mixte en prenant dûment compte des intérêts et des droits protégés en jeu. Dès lors, la Cour estime que le contrôle exercé par un tribunal n’était pas suffisant aux fins de l’article 6 § 1 de la Convention.
73. Au demeurant, la Cour note que si l’action de la requérante a été déclarée irrecevable par la cour d’appel d’Oradea après un contrôle limité, d’autres juridictions ont procédé pendant la même période à un contrôle juridictionnel plein des contestations qui leur étaient soumises (paragraphes 43-47 ci-dessus). On peut en déduire que la limitation que le législateur a voulu imposer au droit d’accès au tribunal pour ce type de litige, n’apparaissait pas nécessaire à certains tribunaux nationaux (paragraphes 44 et 47 ci-dessus).
74. La Cour relève enfin que l’article 3 du décret-loi no 126/1990 a été modifié par l’ordonnance no 64/2004 et par la loi no 182/2005 et qu’il est aujourd’hui possible de saisir les juridictions internes qui sont compétentes pour trancher les litiges portant sur les édifices religieux et les maisons paroissiales en vertu du droit commun (paragraphes 39-40 ci-dessus). Il reste que ces changements législatifs, qu’il convient de saluer, sont largement postérieurs aux faits dénoncés par la requérante.
75. De l’avis de la Cour, une exclusion générale de la compétence des tribunaux des litiges comme celui du cas de l’espèce est en soi contraire au droit d’accès à un tribunal garanti par l’article 6 de la Convention (mutatis mutandis, Vasilescu c. Roumanie, 22 mai 1998, §§ 39-41, Recueil des arrêts et décisions 1998-III). En outre, la Cour estime que le système de résolution de conflits préalables mis en place par la loi spéciale n’était pas suffisamment réglementé et que le contrôle juridictionnel sur la décision de la commission mixte n’était pas adéquat (voir, mutatis mutandis, Pellegrini c. Italie, no 30882/96, CEDH 2001-VIII). Au vu de ces observations et gardant à l’esprit le principe selon lequel la Convention a pour but de protéger des droits non pas théoriques ou illusoires, mais concrets et effectifs (Artico c. Italie, 13 mai 1980, § 33, série A no 37), la Cour estime que la requérante n’a pas bénéficié d’un droit d’accès effectif à un tribunal.
Partant, il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 14 DE LA CONVENTION, COMBINÉ AVEC L’ARTICLE 6 § 1
76. La requérante allègue que les instances nationales ont manqué à l’obligation de lui assurer la jouissance sans discrimination du droit d’accès au tribunal. Elle invoque l’article 14 de la Convention, ainsi libellé :
« La jouissance des droits et libertés reconnus dans la (…) Convention doit être assurée, sans distinction aucune, fondée notamment sur le sexe, la race, la couleur, la langue, la religion, les opinions politiques ou toutes autres opinions, l’origine nationale ou sociale, l’appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance ou toute autre situation. »
A. Les arguments des parties
77. Le Gouvernement fait valoir qu’il n’est pas possible d’établir une analogie entre la situation du culte gréco catholique et celle des autres cultes reconnus en Roumanie, dans la mesure où aucun des autres cultes n’a été rétabli après une période d’interdiction. Or, le rétablissement du culte gréco catholique a été assorti de conditions spéciales, dues au caractère singulier de cette situation. D’après le Gouvernement, en la matière, les États jouissent d’une certaine marge d’appréciation pour déterminer dans quelle mesure les différences entre des situations, à d’autres égards analogues, justifient des distinctions de traitement juridique. Il souligne que la procédure dérogatoire devant les commissions mixtes ne concerne que certains immeubles, comme les édifices religieux, et ne s’étend pas aux autres biens immobiliers de l’Église gréco catholique.
78. La requérante conteste ces arguments, considérant que le traitement différent qui lui a été appliqué s’agissant de son droit d’accès à la justice n’est aucunement justifié. Elle relève non seulement que l’article 3 du décret-loi no 126/1990 est discriminatoire à l’égard du culte gréco catholique, mais que la pratique contradictoire des tribunaux nationaux est elle aussi discriminatoire.
B. L’appréciation de la Cour
79. La Cour rappelle qu’en prohibant la discrimination, l’article 14 interdit de traiter de manière différente des personnes placées en la matière dans des situations comparables. Elle relève qu’une distinction est discriminatoire au sens de l’article 14 de la Convention si elle « manque de justification objective et raisonnable », c’est-à-dire si elle ne poursuit pas un « but légitime » ou s’il n’y a pas un « rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé » (Ernst et autres précité, § 84).
80. La Cour note que la distinction de traitement qui a affecté la requérante dans la jouissance de son droit d’accès à la justice a été motivée par son appartenance au culte gréco catholique. Le Gouvernement a avancé des justifications quant à cette différence de traitement fondée sur la situation particulière du culte qui venait d’être reconnu à nouveau en 1990. La Cour note qu’à ce moment-là, le problème de restitution des édifices de culte et autres immeubles ayant appartenu à l’église uniate avant son interdiction se posait à une échelle assez importante et était une question socialement sensible (paragraphes 33-34 ci-dessus).
81. Cependant, même à supposer qu’une telle justification puisse paraître conforme aux exigences de l’article 14 de la Convention, il n’en reste pas moins que les tribunaux nationaux ont interprété le décret-loi no 126/1990 de façon contradictoire, tantôt refusant, tantôt acceptant de juger des litiges portés devant eux par des paroisses gréco catholiques de sorte que la requérante a été traitée de manière différente par rapport à d’autres paroisses ayant eu des litiges similaires (paragraphes 43-47 ci-dessus). Or, le Gouvernement n’a pas apporté de justification à cette différence de traitement (mutatis mutandis, Beian c. Roumanie (no 1), no 30658/05, § 40, CEDH 2007-XIII (extraits)).
82. Ces éléments suffisent à la Cour pour conclure que cette différence de traitement subie par la requérante ne reposait sur aucune justification objective et raisonnable, sans qu’il soit nécessaire de se prononcer sur la question de savoir si l’article 3 du décret-loi no 126/1990 est discriminatoire à l’égard du culte gréco catholique.
Partant, il y a eu violation de l’article 14 de la Convention combiné avec l’article 6 § 1.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 13 DE LA CONVENTION
83. La requérante se plaint également qu’il n’existe aucune instance nationale à laquelle elle puisse soumettre efficacement sa demande concernant l’usage de l’édifice du culte. Elle invoque l’article 13 de la Convention, qui est ainsi libellé :
« Toute personne dont les droits et libertés reconnus dans la (…) Convention ont été violés, a droit à l’octroi d’un recours effectif devant une instance nationale, alors même que la violation aurait été commise par des personnes agissant dans l’exercice de leurs fonctions officielles. »
84. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
85. La Cour rappelle que lorsqu’une question d’accès à un tribunal se pose, les garanties de l’article 13 se trouvent absorbées par celles de l’article 6 qui sont plus strictes (Tinnelly & Sons Ltd et autres et McElduff et autres c. Royaume-Uni, 10 juillet 1998, § 77, Recueil des arrêts et décisions 1998-IV et Ravon et autres c. France, no 18497/03, § 27, 21 février 2008). Dès lors, au vu des conclusions qui précèdent sous l’angle de l’article 6 § 1 de la Convention et en prenant note des changements législatifs en la matière, la Cour estime qu’il n’y a pas lieu d’examiner séparément ce grief relatif à l’absence d’un recours effectif.
IV. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DES L’ARTICLES 9 DE LA CONVENTION ET 1 DU PROTOCOLE NO 1 À LA CONVENTION, CONSIDÉRÉS ISOLÉMENT OU COMBINÉS AVEC L’ARTICLE 14 DE LA CONVENTION
86. La requérante allègue que le refus de la cour d’appel d’Oradea de trancher le litige visant l’usage, pour la célébration de l’office religieux, de l’édifice de culte, rendant ainsi inefficaces les décisions des juridictions inférieures, a porté atteinte également à sa liberté de religion et à son droit au respect de ses biens, en violation de l’article 9 de la Convention et de l’article 1 du Protocole no 1, chacun pris soit isolément soit en combinaison avec l’article 14 de la Convention.
87. La Cour observe que tel que formulé par la requérante et dans les circonstances de l’espèce, le contenu de ces grief est essentiellement fondé sur l’absence de protection procédurale qu’elle vient de considérer contraire à l’article 6 § 1 de la Convention (paragraphes 62-75 ci-dessus). Estimant ainsi avoir statué sur le problème principal soulevé par la requérante, la Cour considère qu’il ne s’impose pas d’examiner séparément les griefs tirés de l’article 9 de la Convention et 1 du Protocole no 1, pris isolement ou combinés avec l’article 14 (mutatis mutandis, Église catholique de La Canée précité, § 50, et Credit industriel précité, § 82).
V. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
88. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
89. La requérante demande au titre du préjudice matériel soit la restitution de l’édifice religieux litigieux, soit 23 290,73 euros (« EUR ») représentant sa valeur. Elle demande également 1270 EUR pour les travaux effectués par les membres de la paroisse pour l’aménagement de l’espace mis à leur disposition par une école pour tenir le service religieux, et 3504 EUR représentant les loyers payés par les membres de la paroisse pour cet espace. Elle sollicite également 120 000 EUR au titre du préjudice moral.
90. Le Gouvernement souligne que la requérante n’a pas un droit de copropriété sur l’église litigieuse et que l’objet de la procédure interne visait l’usage alternatif de l’édifice religieux. Dès lors, aucune somme ne devrait être octroyée à la requérante en contrepartie de l’église. Le Gouvernement note qu’il ressort des documents versés au dossier que des travaux ont été effectués en contrepartie du loyer et non pas pour l’aménagement de l’espace mis à la disposition des paroissiens pour l’exercice du culte. Quant au préjudice moral, le Gouvernement estime que la somme demandée est excessive et qu’un éventuel arrêt de condamnation constituerait en soi une réparation suffisante du préjudice moral allégué.
91. La Cour relève que la seule base à retenir pour l’octroi d’une satisfaction équitable réside en l’espèce dans le fait que la requérante n’a pas bénéficié d’un accès à un tribunal pour faire valoir son droit d’usage de l’édifice de culte et dans le fait que le refus de la cour d’appel d’Oradea de trancher l’affaire s’était avéré discriminatoire. La Cour ne saurait certes spéculer sur ce qu’eût été l’issue du procès dans le cas contraire, mais n’estime pas déraisonnable de penser que l’intéressée a subi une perte de chance réelle (Pelissier et Sassi c. France [GC], no 25444/94, § 80, CEDH 1999-II et Glod c. Roumanie, no 41134/98, § 50, 16 septembre 2003).
92. S’agissant de la réparation du préjudice moral, la Cour a déjà jugé que le préjudice autre que matériel peut comporter, pour une personne morale, des éléments plus ou moins « objectifs » et « subjectifs ». Parmi ces éléments, il faut reconnaître la réputation de l’entité juridique, mais également l’incertitude dans la planification des décisions à prendre, les troubles causés à la gestion de l’entité juridique elle-même, dont les conséquences ne se prêtent pas à un calcul exact, et enfin, quoique dans une moindre mesure, l’angoisse et les désagréments éprouvés par les membres des organes de direction (Paroisse gréco-catholique Sfântul Vasile Polonă c. Roumanie, no 65965/01, § 117, 7 avril 2009). En l’espèce, le défaut d’accès à un tribunal ainsi que la discrimination dont la requérante a fait l’objet de ce fait, a dû causer, dans le chef de la l’intéressée et de ses représentants, des désagréments et une incertitude prolongée, ne serait-ce que sur l’exercice du culte.
93. A la lumière de ce qui précède, statuant en équité, comme le veut l’article 41, la Cour alloue à la requérante 15 000 EUR tous préjudices confondus.
B. Frais et dépens
94. La requérante demande le remboursement des frais et dépens à hauteur de 8 462,69 EUR, dont elle fournit le détail ainsi : 98 EUR représentant les frais d’une expertise établissant la valeur de l’église en litige et 8 364,69 EUR représentant les honoraires de Me M. M., à verser directement à l’avocate.
95. Le Gouvernement ne s’oppose pas à ce que soit remboursées à la requérante les sommes effectivement payées par elle et en relation avec la violation constatée.
96. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. La Cour note que, le 31 octobre 2002, la somme de 660 EUR a été versée à la première avocate de la requérante au titre de l’assistance judiciaire. En l’espèce, eu égard aux critères mentionnés, au décompte détaillé des heures de travail qui lui a été soumis et aux questions que la présente affaire a soulevées, la Cour octroie pour frais et dépens 7 700 EUR à verser directement à Me M. M.. Elle octroie également la somme de 98 EUR à la requérante, au titre des frais et dépens.
C. Intérêts moratoires
97. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.

PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 14 de la Convention combiné avec l’article 6 § 1 de la Convention ;
3. Dit qu’il n’y a pas lieu d’examiner les griefs tirés des articles 13 et 9 de la Convention et 1 du Protocole no 1, ces derniers considérés isolément et combinés avec l’article 14 de la Convention ;
4. Dit
a) que l’État défendeur doit verser à la requérante, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes, à convertir dans la monnaie nationale de l’État défendeur au taux applicable à la date du règlement :
i. 15 000 EUR (quinze mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, tous préjudices confondus, à verser à la requérante,
ii. 7 700 EUR (sept mille sept cents euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par la requérante, pour frais et dépens, à verser directement à la première représentante de la requérante, Me M. M.,
iii. 98 EUR (quatre-vingt-dix-huit euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour frais et dépens, à verser à la requérante ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
5. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 12 janvier 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Greffier Président

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

Se l'espropriato ha già un Professionista di sua fiducia, può comunicagli che sul nostro sito trova strumenti utili per il suo lavoro.
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 - Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.

  • La consulenza iniziale, con esame di atti e consigli, è sempre gratuita
    - Per richiederla cliccate qui: Colloquio telefonico gratuito
  • Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
    - Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
    - Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI

Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 11/12/2024