Conclusione Violazione dell’art. 6-1; danno patrimoniale – domanda respinta; Danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA ONORATO C. ITALIA
( Richiesta no 26218/06)
SENTENZA
STRASBURGO
24 maggio 2011
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Onorato c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, Giorgio Malinverni, Işıl Karakaş, Guido Raimondi, Paulo Pinto di Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 3 maggio 2011,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 26218/06) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. P. O. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 20 giugno 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da F. S., avvocato a Roma. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora.
3. Il richiedente adduce un attentato al suo diritto di accesso ad un tribunale.
4. Il 24 giugno 2008, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1938 e risiede a Fiesole.
6. È un magistrato alla Corte di cassazione.
7. Con una sentenza del 28 ottobre 1999, la Corte di cassazione aveva condannato M., deputato del parlamento italiano, per reati di natura fiscale. Il richiedente era il giudice delatore nella causa.
8. Il 17 gennaio 2000, il Sig. D. depositò una querela contro il richiedente, affermando che questo aveva omesso, in ragione delle sue idee politiche e allo scopo di nuocergli, di esaminare un’istanza di rimessa di pena che aveva presentato nella cornice del suo processo.
9. Un procedimento fu aperto contro il richiedente per trasgressione ai doveri dipendenti dalle sue funzioni (omissione di atti di ufficio).
10. Il 12 aprile 2002, il tribunale di Roma prosciolse il richiedente vista la mancanza dei fatti delittuosi. Il tribunale stabilisce in particolare che M. D. aveva rinunciato di sua spontanea volontà alla rimessa di pena, decidendo di chiedere l’applicazione di una pena negoziata col rappresentante della procura.
11. Nel frattempo, il Sig. D. fece delle dichiarazioni a parecchi giornali nazionali.
12. Il 5 marzo 2002, il giornale Il Giornale pubblicò un’intervista sotto il titolo “Indagine sul giudice che ha condannato il Sig. D..” L’articolo conteneva il seguente passaggio: “Considero che la mia causa dimostra una volta in più che dei magistrati che utilizzano il loro potere per nuocere agli avversari politici” esistono nel nostro paese.
Lo stesso giorno, in un articolo apparso sul Corriere della Sera, il deputato aveva dichiarato di avere subito un “giudizio speciale di natura politica” e di essere stato vittima di un “magistrato militante, sostenitore di una formazione politica avversa.”
Il 6 marzo 2002, il giornale Corriere della Sera pubblicò un’intervista nella quale il Sig. D. affermò che la sentenza della Corte di cassazione contro di lui era viziata in ragione di un “rifiuto colpevole di rendergli giustizia, il che provava l’esistenza di un complotto”. Inoltre, il deputato aveva dichiarato: La “mia condanna è stata decisa da un giudice con un passato comunista che ha negato di fare diritto ad un’istanza di giustizia.”
Il 15 marzo 2002, il Sig. D. dichiarò infine, al Corriere della Sera che il richiedente, “vecchio parlamentare del partito comunista italiano, ha scritto una sentenza di condanna affermando falsamente di non avere visto l’istanza di rimessa di pena.”
13. Stimando che le dichiarazioni del Sig. D. avevano recato offesa al suo onore ed alla sua reputazione, il 31 maggio 2002 il richiedente sporse querela a suo carico per diffamazione aggravata tramite stampa (“diffamazione a mezzo stampa”).
14. Il 26 giugno 2003, il giudice dell’udienza preliminare (“il GUP”) presso il tribunale di Milano rinviò a giudizio il Sig. D. in quanto alle dichiarazioni apparse il 5 marzo 2002 sui giornali Il Giornale ed il Corriere della Sera. Il richiedente si costituì parte civile nel procedimento dinnanzi al tribunale di Milano.
15. In compenso, con un giudizio dello stesso giorno, il GUP dichiarò un non luogo a procedere per ciò che riguardava le dichiarazioni del 6 e 15 marzo 2002. Affermò che queste non avevano un carattere diffamatorio e costituivano la manifestazione di un esercizio legittimo del diritto di critica del Sig. D. nei confronti il contesto politico-culturale in cui la sua condanna era stata decisa. Secondo il GUP, i propositi controversi si inserivano nel dibattito politico reale.
16. Il procuratore della Repubblica attaccò questo giudizio dinnanzi alla corte di appello di Milano sollecitando il rinvio a giudizio del Sig. D.. Il richiedente si costituì parte civile nel procedimento.
17. Con una delibera del 15 ottobre 2003, il Senato approvò alla maggioranza una proposta della commissione delle immunità parlamentari (“Giunta delle immunità parlamentari”) che mirava a dichiarare che i fatti di cui il Sig. D. era accusato erano coperti dall’immunità contemplata all’articolo 68 § 1 della Costituzione.
18. Il tribunale di Milano e la corte di appello di Milano sollevarono dinnanzi alla Corte costituzionale dei conflitti tra poteri dello stato, osservando che nessuna connessione poteva essere scoperta tra i fatti di cui il Sig. D. era accusato nei due rispettivi procedimenti e l’esercizio delle sue funzioni parlamentari.
19. La Corte costituzionale dichiarò le questioni sollevate dal tribunale e la corte di appello di Milano ammissibili.
20. Il 7 e il 13 luglio 2005, i conflitti tra poteri dello stato furono dichiarati inammissibili per tardività dalla Corte costituzionale, perché erano stati introdotti dopo il termine legale di venti giorni a contare dalla data della delibera parlamentare contestata.
21. Nella cornice del primo procedimento, con un giudizio del 23 novembre 2005, il tribunale di Milano pronunciò un non luogo a procedere a riguardo del Sig. D. “in applicazione dell’articolo 68 § 1 della Costituzione.” Con lo stesso giudizio, il tribunale dichiarò manifestamente mal fondata la questione di costituzionalità dell’articolo 3 della legge no 140 del 20 giugno 2003, nel frattempo sollevata dal richiedente e dal pubblico ministero.
Questo procedimento rimane pendente dinnanzi alla corte di appello di Milano.
22. Il 24 ottobre 2005, nella cornice del secondo procedimento, il richiedente sollevò la questione della costituzionalità dell’articolo 3 della legge no 140 del 20 giugno 2003.
23. Con una sentenza dell’ 11 gennaio 2006, depositata alla cancelleria la corte di appello di Milano dichiarò inammissibile la questione di costituzionalità del richiedente il 26 gennaio 2006, e prosciolse il Sig. D., che non era responsabile per i reati che gli erano rimproverati in virtù dell’articolo 68 § 1 della Costituzione.
La corte di appello affermò che, in seguito all’entrata in vigore della legge no 140 del 2003, l’immunità contemplata all’articolo68 § 1 della Costituzione copriva anche le opinioni espresse da un deputato all’infuori dei lavori parlamentari, per quanto esiste un legame con l’attività parlamentare.
Questa decisione non fu attaccata ed acquisì autorità di cosa giudicata.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
24. Il diritto e la pratica interna pertinenti sono descritti nelle sentenze Cordova c. Italia, il nostro 1 e 2, (rispettivamente, no 40877/98, §§ 22-27, CEDH 2003-I, e no 45649/99, §§ 26-31, CEDH 2003-I) e C.G.I.L. e Cofferati c. Italia (no 46967/07, §§ 24-26, 24 febbraio 2009,).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
25. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta di un attentato al suo diritto di accesso ad un tribunale nella cornice del secondo procedimento. Nelle sue parti pertinenti, questa disposizione si legge così:
“1. Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
26. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
1. L’eccezione del Governo derivata dal non-esaurimento delle vie di ricorso interne
27. Il Governo afferma che il richiedente ha omesso di attaccare la sentenza della corte di appello di Milano dell’ 11 gennaio 2006. Il procedimento di cassazione avrebbe offerto una seconda occasione per sollevare-in modo corretto -un conflitto tra poteri dello stato dinnanzi alla Corte costituzionale. Il Governo ne deduce che il richiedente ha omesso di esaurire le vie di ricorso che gli erano aperte in diritto italiano.
28. Il Governo ricorda che, a differenza della causa Cordova, precitata, nel presente caso la giurisdizione interna aveva stimato necessario sollevare un conflitto tra poteri dello stato che è stato dichiarato inammissibile solamente in ragione di un difetto procedurale. Di conseguenza, è molto probabile che la Corte di cassazione avrebbe sollevato anche tale conflitto prendendo cura di evitare lo stesso errore di procedimento.
Infine, la giurisprudenza interna vieta di sollevare uno stesso conflitto nello stesso grado di giurisdizione, ma non durante un’istanza ulteriore dello stesso procedimento.
29. Il richiedente afferma che un ricorso in cassazione non avrebbe avuto nessuna fortuna di successo, perché avrebbe cozzato contro la delibera parlamentare che concede l’immunità al Sig. D.. Peraltro, secondo la giurisprudenza interna pertinente, una sentenza della Corte costituzionale non può essere oggetto di nessuno ricorso. Non sarebbe stato dunque possibile sollevare, dinnanzi alla Corte di cassazione, un nuovo conflitto tra poteri dello stato.
30. La Corte osserva che, secondo il Governo, il richiedente sarebbe dovuto ricorrere in cassazione al solo scopo di sollecitare l’alta giurisdizione a sollevare un nuovo conflitto tra poteri dello stato, sperando che avrebbe stimato tale passo necessario.
31. Ha esaminato un’eccezione simile nella causa C.G.I.L. e Cofferati, precitata. In questa occasione, ha affermato che obbligare i richiedenti a riprendere un procedimento di prima istanza per interporre poi appello al giudizio, e questo al solo scopo di sollecitare la giurisdizione di seconda istanza a sollevare un nuovo conflitto tra poteri dello stato in presenza di una decisione negativa di una giurisdizione suprema, equivaleva ad imporre loro di fare ricorso ad artifici di procedimento le cui probabilità di successo sembrano inesistenti. Secondo la Corte, questo è contrario all’uso “normale” dei ricorsi interni richiesto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione (ibidem, §§ 46-47; mutatis mutandis, Patrono, Cascini e Stefanelli c. Italia, no 10180/04, § 42, 20 aprile 2006).
32. Non essendoci nessuna circostanza particolare che permetta di scostarsi da questa conclusione nel caso di specie, c’è luogo di respingere l’eccezione di non-esaurimento sollevata dal Governo.
2. Altri motivi di inammissibilità
33. La Corte constata che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) Il Governo
34. Il Governo afferma innanzitutto che non c’è stata ingerenza nel diritto del richiedente di avere accesso ad un tribunale. Difatti, il GUP si era pronunciato sul merito della causa, il 26 giugno 2003, ed aveva deciso di pronunciare un non luogo a procedere. Considera che il diritto di accesso alla giustizia non potrebbe estendersi fino a garantire ad un individuo il diritto affinché parecchie giurisdizioni si pronunci no sul merito delle sue affermazioni.
35. Secondo il Governo, supponendo anche che ci sia stata ingerenza in uno dei diritti garantiti dall’articolo 6, questa era prevista dalla legge ed inseguiva gli scopi legittimi di garantire la separazione dei poteri dello stato, l’indipendenza del potere legislativo, la libertà del dibattito parlamentare e la libera espressione dei rappresentanti del popolo. In più, era proporzionata a questi scopi.
36. In quanto ai protagonisti del gioco politico, gli eletti del popolo devono godere di una più grande latitudine nella libertà di espressione. Così, un atto o una dichiarazione che non entrerebbero in senso proprio nell’esercizio della funzione parlamentare, potrebbero tuttavia costituire un esercizio legittimo della libertà di espressione dell’eletto.
37. Del resto, l’immunità parlamentare entra in gioco solo se gli atti incriminati sono riprovevoli; se, in compenso, costituiscono una manifestazione legittima della libertà di espressione, l’immunità non ha nessuno ruolo da giocare. In questo ultimo caso, non si potrebbe riconoscere a quello che si stima a torto diffamato un diritto di accesso ad un tribunale per invocare dei diritti che non sono, in modo difendibile, riconosciuti dalla legislazione interna. Peraltro, quando un deputato esercita, anche all’infuori del suo mandato parlamentare, la sua libertà di espressione in modo legittimo, la sua eventuale condanna violerebbe l’articolo 10 della Convenzione. Questa ultima disposizione e la giurisprudenza occupano dunque un ruolo cruciale nella valutazione di un’ingerenza nel diritto di accesso in fatto applicazione ad un tribunale. Se non esiste nessuno diritto sostanziale, o se la controversia non è atta a garantirne direttamente la realizzazione, l’articolo 6 della Convenzione non si trova ad applicare.
38. Affinché un’istanza di diffamazione sia accolta, occorre che le espressioni controverse siano intrinsecamente diffamatorie e che non costituiscano un esercizio legittimo del diritto alla libertà di espressione. Ora, nello specifico, per valutare le dichiarazioni del Sig. D. del 6 e del 15 marzo 2002, la Corte può tenere conto solamente della decisione di non luogo a procedere del GUP secondo la quale queste non avevano nessuno carattere diffamatorio.
B) Il richiedente
39. Il richiedente adduce che la delibera del Senato del 15 ottobre 2003, concedendo l’immunità al Sig. D., ha compreso l’impossibilità di inseguire il suo ricorso per diffamazione concernente i propositi del 6 e del 15 marzo 2002.
40. Il richiedente ricorda che la sua richiesta riguarda la questione di sapere se c’è stata ingerenza nel suo diritto di accesso ad un tribunale e se tale ingerenza era proporzionata. La questione di sapere se c’è stato un giusto equilibrio tra le libertà di espressione di una parlamentare e la protezione del diritto all’onore delle persone che si stimano offese da lui avrebbe potuto porsi unicamente se ci fosse stata decisione sul merito dell’azione per diffamazione. Il richiedente non ha avuto l’opportunità di convincere i giudici di appello che le dichiarazioni del Sig. D. superavano i limiti di una critica legittima e si analizzavano come offese gratuite.
41. Peraltro, il richiedente contesta l’argomento del Governo secondo cui M. D. godrebbe di una più grande latitudine nella sua libertà di espressione per la sola ragione di essere un politico. Bisognerebbe provare ancora che i propositi controversi abbiano un rapporto funzionale con l’esercizio del mandato parlamentare. Ora, le dichiarazioni controverse non hanno legame con l’attività parlamentare del Sig. D. e non si iscrivono in un dibattito politico generale.
2. Valutazione della Corte
42. La Corte nota che, con la sua delibera del 15 ottobre 2003, il Senato ha dichiarato che le affermazioni del Sig. D. messe in causa dal richiedente erano coperte dall’immunità consacrata dall’articolo 68 § 1 della Costituzione, il che impediva di continuare ogni procedimento penale o civile teso a stabilire la responsabilità del senatore in questione ed ad ottenere il risarcimento dei danni subiti.
43. Se è vero che il GUP si era pronunciato prima di tutto sulla causa ed aveva deciso che non c’era luogo di rinviare in giudizio il Sig. D. per i propositi tenuti il 6 e il 15 marzo 2002, si è costretti a constatare che il procuratore della Repubblica fece appello contro questa decisione dinnanzi alla corte di appello, chiedendo il rinvio in giudizio e la condanna dell’imputato, e che il richiedente si costituì parte civile nel procedimento, paragrafo 16 sopra.
44. La Corte ricorda che è di giurisprudenza consolidata che l’articolo 6 § 1 non costringe gli Stati a creare dei corsi di appello o di cassazione. Tuttavia, quando delle giurisdizioni di questa natura esistono, le garanzie contemplate all’articolo 6 devono essere rispettate, in particolare garantendo un accesso effettivo ai tribunali in modo che i querelanti ottengano una decisione relativa ai loro “diritti ed obblighi di carattere civile” e le persone perseguite sulla fondatezza delle accuse in materia penale diretta contro esse (vedere, mutatis mutandis, Delcourt c. Belgio, sentenza del 17 gennaio 1970, § 25, serie A no 11, e Sommerfeld c. Germania, no 31871/96, § 64, 11 ottobre 2001).
45. Nella presente causa, in seguito alle deliberazioni del Senato del 15 ottobre 2003, il Sig. D. è stato prosciolto dalla corte di appello, ed il richiedente che si era costituito parte civile, si è visto privato della possibilità di ottenere qualche forma di risarcimento che sia per il suo danno addotto.
46. In queste condizioni, la Corte considera che il richiedente ha subito un’ingerenza nel suo diritto di accesso ad un tribunale (vedere, mutatis mutandis, Cordova, numeri 1 e 2, precitate, rispettivamente §§ 52-53 e §§ 53-54; De Jorioc. Italia, no 73936/01, §§ 45-47, 3 giugno 2004; Patrono, Cascini e Stefanelli c. Italia, precitata, §§ 55-58; C.G.I.L. e Cofferati c. Italia, precitata, § 67).
47. La Corte ricorda poi che questo diritto non è assoluto, ma può dare adito a limitazioni implicitamente ammesse. Tuttavia, queste limitazioni non potrebbero restringere l’accesso aperto all’individuo in un modo o ad un punto tale che il diritto se ne trova raggiunto nella sua sostanza stessa. Inoltre, si conciliano con l’articolo 6 § 1 solo se inseguono uno scopo legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto (vedere, Go-cart c. Turchia [GC], no 8917/05, §§ 79-80, 3 dicembre 2009).
48. La Corte ha già affermato che il fatto per gli Stati di accordare un’immunità più o meno ampia ai membri del Parlamento costituisce una pratica di lunga data che mira a permettere la libera espressione dei rappresentanti del popolo ed ad impedire che i perseguimenti partigiani possano recare offesa alla funzione parlamentare. In queste condizioni, la Corte stima nella presente sentenza l’ingerenza in questione era prevista dall’articolo 68 § 1 della Costituzione, perseguiva degli scopi legittimi, ossia la protezione del libero dibattito parlamentare ed il mantenimento della separazione dei poteri legislativi e giudiziali (C.G.I.L . e Cofferati c. Italia, precitata, § 69).
49. Trattandosi della proporzionalità delle ingerenze in materia di immunità parlamentare, la Corte rinvia innanzitutto alla giurisprudenza che è emanata nelle cause Cordova c. Italia (Cordova no 1 e 2, precitate, rispettivamente §§ 57-61 e §§ 58-62).
50. Nello specifico, la Corte rileva che, pronunciate nella cornice di interviste con la stampa, e dunque all’infuori di una camera legislativa, le dichiarazioni controverse del Sig. D. non erano legate all’esercizio di funzioni parlamentari. Il Governo non lo contesta del resto, limitandosi ad affermare il carattere non diffamatorio delle dichiarazioni di cui si tratta e sostenendo la grande latitudine nella libertà di espressione degli eletti del popolo.
51. La Corte osserva che i commenti del senatore del 6 e del 15 marzo 2002 vertevano sul modo in cui il richiedente aveva esercitato la sua attività giudiziale e mettevano in dubbio i requisiti di imparzialità e di obiettività, propri alla funzione di magistrato, in ragione delle sue convinzioni politiche. Così facendo, il Sig. D. non ha espresso delle opinioni di natura politica in quanto alle relazioni tra la magistratura ed i poteri esecutivi, ma ha assegnato dei comportamenti precisi e colpevoli al richiedente (mutatis mutandis, Patrono, Cascini e Stefanelli precitata, § 62). Ora, in tale caso, non si potrebbe giustificare un diniego di accesso alla giustizia col solo motivo che la lite avrebbe potuto essere di natura politica o legata ad un’attività politica (vedere, mutatis mutandis, Cordova, no 2, precitata, § 63, e De Jorioprecitata, § 53).
52. Del parere della Corte, la mancanza di un legame evidente con un’attività parlamentare richiama un’interpretazione stretta della nozione di proporzionalità tra gli scopi previsti ed i mezzi impiegati. Ne è particolarmente così quando le restrizioni al diritto di accesso derivano da una deliberazione di un organo politico. Concludere diversamente equivarrebbe a restringere in modo incompatibile con l’articolo 6 § 1 della Convenzione il diritto di accesso ad un tribunale degli individui ogni volta che i propositi attaccati in giustizia sono stati emessi rispettivamente da un membro del Parlamento (Cordova numeri 1 e 2, precitate, § 63 e § 64, e De Jorioprecitata, § 54).
53. La Corte stima che nello specifico il proscioglimento del Sig. D., avendo impedito il richiedente di avere accesso ad un tribunale, non ha rispettato il giusto equilibrio che deve regnare in materia tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.
54. La Corte lega anche importanza al fatto che dopo la deliberazione del Senato del 15 ottobre 2003 e la sentenza di proscioglimento, il richiedente non disponeva di altre vie ragionevoli per proteggere efficacemente i suoi diritti garantiti dalla Convenzione (vedere, a contrario, Waite e Kennedy precitata, §§ 68-70, ed A. c. Regno Unito precitata, § 86).
55. A questo riguardo, la Corte ricorda che nelle cause Cordova ed in Jorio, aveva notato che la giurisprudenza della Corte costituzionale aveva conosciuto una certa evoluzione e che l’alta giurisdizione italiana stimava oramai illegittimo che l’immunità venisse estesa ai propositi che non hanno rapporto sostanziale con gli atti parlamentari preliminari di cui il rappresentante riguardato potrebbe passare per essere fatto rispettivamente l’eco (Cordova) si il nostro 1 e 2, precitati, § 65 e § 66, e De Jorioprecitato, § 56. Non ne rimane meno che nella presente mi affaccendo la corte di appello ha stimato che i propositi formulati all’infuori delle camere legislative e non legati strettamente ad un atto parlamentare preliminare rientravano nell’esercizio di “funzioni parlamentari” ed erano coperti dall’articolo 68 § 1 della Costituzione.
56. Non appartiene alla Corte -il Governo lo sottolinea a buon diritto-di dedicarsi sull’esattezza di questa interpretazione del diritto interno. Difatti, appartiene al primo capo alle autorità nazionali, ed in particolare ai corsi ed ai tribunali, interpretare la legislazione interna( Edificaciones March Gallego S.p.A. c. Spagna, sentenza del 19 febbraio 1998, § 33, Raccolta 1998-I, e Pérez di Rada Cavanilles c. Spagna, sentenza del 28 ottobre 1998, § 43, Raccolta 1998-VIII). In compenso, il ruolo della Corte è quello di verificare la compatibilità con la Convenzione degli effetti di simile interpretazione (Cordova) no 1, precitata, § 57, Kaufmann c. Italia, no 14021/02, § 33, 19 maggio 2005, ed Ielo c. Italia, no 23053/02, § 55, 6 dicembre 2005). Senza esaminare in abstracto la legislazione e la pratica pertinente, deve ricercare se il modo in cui hanno toccato i richiedenti ha infranto la Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Padovani c. Italia, sentenza del 26 febbraio 1993, § 24, serie A no 257-B). Ora, come la Corte ha appena constatato, paragrafo 53 sopra, l’ostacolo al diritto di accesso alla giustizia del richiedente non è stato, nello specifico, proporzionato agli scopi legittimi perseguiti.
57. Alla vista di ciò che precede, la Corte conclude che c’è stata violazione del diritto di accesso ad un tribunale garantito al richiedente con l’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
58. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
59. Il richiedente richiede 50 000 euro (EUR) per i danni materiali e morale che avrebbe subito. A titolo di danno patrimoniale, rivendica il rimborso degli oneri impegnati dinnanzi alle giurisdizioni nazionali. In quanto al danno morale, ricorda che le dichiarazioni controverse gli hanno assegnato dei comportamenti illeciti, il che avrebbe portato un grave attentato al suo onore ed alla sua reputazione di magistrato.
Infine, sollecita l’introduzione, nel sistema italiano, di un rimedio giudiziale che possa riparare la diffamazione che avrebbe subito.
60. Il Governo si oppone alle pretese del richiedente.
61. Per ciò che riguarda le misure generali chieste dal richiedente, appartiene allo stato in causa in primo luogo, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, scegliere i mezzi da mettere in opera nel suo ordine morale interno per liberarsi dal suo obbligo allo sguardo dell’articolo 46 della Convenzione (vedere, tra altre, Öcalan c. Turchia [GC], no 46221/99, § 210, CEDH 2005-IV).
62. La Corte stima poi che c’è luogo di considerare la domanda a titolo di danno patrimoniale come una domanda di rimborso di oneri di giustizia. Quindi, nessuna somma potrebbe essere concessa a titolo di danno patrimoniale. Suddetta domanda sarà presa in conto nella parte relativa agli oneri e spese, paragrafi 63-65 sotto.
La Corte giudica in compenso che l’interessato abbia subito un torto morale certo. Avuto riguardo alle circostanze della causa e deliberando in equità come vuole l’articolo 41 della Convenzione, decide di concedere al richiedente la somma di 8 000 EUR.
B. Oneri e spese
63. Il richiedente valuta gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alle giurisdizioni nazionali a 15 000 EUR. Chiede anche il rimborso degli oneri e delle spese incorsi dinnanzi alla Corte, che valuta a 18 555 EUR.
64. Il Governo considera che gli oneri e le spese concernenti i procedimenti interni non sono dovute al richiedente, non essendo legati alla violazione addotta. Inoltre, considera esorbitanti gli oneri relativi al procedimento dinnanzi alla Corte.
65. La Corte rileva che il richiedente, prima di rivolgersi a lei, si è costituito parte civile nel procedimento penale e ha sollevato la questione della legittimità dell’immunità parlamentare dinnanzi alle giurisdizioni interne competenti, esaurendo le vie di ricorso che gli erano offerte al penale. La Corte accetta di conseguenza che l’interessato sia incorso in delle spese per fare correggere la violazione della Convenzione tanto nell’ordine morale interno che a livello europeo (vedere Di Jorio, precitata, § 67). Trova però eccessivi gli oneri totali rivendicati a questo titolo. La Corte considera dal momento che c’è luogo di rimborsare solo in parte gli oneri esposti dal richiedente dinnanzi a lei e dinnanzi alle giurisdizioni nazionali (vedere, mutatis mutandis, Sakkopoulos c. Grecia, no 61828/00, § 59, 15 gennaio 2004). Tenuto conto degli elementi in suo possesso e della sua pratica in materia, e deliberando in equità, considera ragionevole accordargli la somma globale di 8 000 EUR.
C. Interessi moratori
66. La Corte giudica approporiato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile,;
2. Stabilisce, per sei voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce, per sei voci contro una,
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione,
( i) 8 000 EUR (ottomila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
(ii) 8 000 EUR (ottomila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta col richiedente, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge, all’unanimità, la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 24 maggio 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Francesca Tulkens
Cancelliere Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione separata del giudice Karakaş.
F.T.
S.H.N.
OPINIONE DISSIDENTE DEL GIUDICE KARAKAŞ
Non condivido il parere della maggioranza secondo cui c’è stata in questa causa violazione dell’articolo 6 della Convenzione.
L’immunità riconosciuta ai membri del Parlamento per i loro voti ed opinioni hanno per scopo di garantire agli interessati, nell’esercizio delle loro funzioni, la libertà di espressione più ampia possibile affinché possano dibattere liberamente ogni questione concernente la vita pubblica, senza dover temere delle persecuzioni o delle eventuali conseguenze giudiziali. Dall’entrata in vigore della legge no 140 di 2003, applicabile nello specifico, l’immunità contemplata all’articolo68 § 1 della Costituzione italiana copre anche le opinioni espresse da un deputato all’infuori dei lavori parlamentari.
La Corte ha già riconosciuto che il fatto, per gli Stati, di accordare generalmente un’immunità più o meno ampia ai parlamentati costituisce una pratica di lunga data che prevede gli scopi legittimi che sono la protezione della libertà di espressione al Parlamento ed il mantenimento della separazione dei poteri legislativi e giudiziali (A. c. Regno Unito, no 35373/97, §§ 75-78, CEDH 2002-X, 17 dicembre 2002, Cordova c,. Italia (no 1), no 40877/98, § 55, CEDH 2003-I, 30 gennaio 2003, Cordova c,. Italia (no 2), no 45649/99, § 56, CEDH 2003-I, 30 gennaio 2003, e De Jorioc. Italia, no 73936/01, § 49, 3 giugno 2004).
Le differenti forme che possono rivestire l’immunità parlamentare possono servire la protezione di una democrazia politica effettiva difatti, pietra angolare del sistema della Convenzione, nella misura in particolare dove tendono a proteggere l’autonomia legislativa e l’opposizione parlamentare (Kart c. Turchia, 8917/05, 3 dicembre 2009, § 81).
Nello specifico, bisogna sottolineare innanzitutto che il Tribunale di Milano abbia prosciolto il Sig. D. in applicazione dell’articolo 68 della Costituzione e dell’articolo 3 della legge no 140/2003. Il richiedente è ricorso in cassazione, ed il suo ricorso è stato convertito in appello. Il procedimento è sempre pendente.
Per ciò che riguarda le dichiarazioni del 6 e del 16 marzo 2002, il GUP ha reso un non luogo a procedere al motivo che queste non avevano un carattere diffamatorio e che costituivano una forma legittima di esercizio del diritto di critica di M.D. nei confronti del contesto politico-culturale in cui la sua condanna era stata pronunciata. Secondo il GUP, i propositi controversi si inserivano in un dibattito politico di attualità (§ 15 della sentenza).
La differenza tra questa causa e le cause italiane precedenti concernenti l’immunità parlamentare dove la Corte ha constatato la violazione dell’articolo 6, per esempio Cordova (no 2)) emerge chiaramente dal giudizio del GUP. Qui le dichiarazioni non sembrano iscriversi nella cornice di una lite tra individui”, De Jorio § 53) e occorreva comunque, a mio avviso, evitare una concezione troppo ampia della nozione di “lite tra individui” allo sguardo della protezione offerta dall’articolo 10 della Convenzione.
Nello specifico, la maggioranza conclude che le dichiarazioni controverse del Sig. D. erano state pronunciate nella cornice di interviste di stampa, dunque all’infuori di una camera legislativa, e che non erano legate all’esercizio di funzioni parlamentari (§ 50). Questa conclusione che non prende per niente in conto la grande latitudine degli eletti del popolo in materia di libertà di espressione, è anche ben più rigorosa ( e retrograde) della legislazione nazionale che estende l’immunità alle opinioni espresse da un eletto del popolo all’infuori delle camere legislative.
La maggioranza ha considerato che M. D. non aveva espresso delle opinioni di natura politica in quanto alle relazioni tra la magistratura ed i poteri esecutivi, e ha imputato dei comportamenti precisi e colpevoli al richiedente (§ 51). È difficile comprendere come la maggioranza abbia potuto constatare che le dichiarazioni contenevano delle imputazioni colpevoli mentre non esisteva tuttavia nessun giudizio di un tribunale interno in questo senso.
È chiaro che i corsi e i tribunali interni sono posti meglio per valutare il contesto politico e sociale interno in rapporto con le dichiarazioni controverse. Su questo punto, il giudizio di non luogo a procedere con cui il GUP ha constatato che le dichiarazioni controverse non erano costitutive del reato di diffamazione ma restavano dentro ai limiti della critica legittima e dell’esercizio della libertà di espressione, rispondeva chiaramente agli argomenti del richiedente, anche se questa decisione è stata oggetto di un appello della procura e che in definitiva, la corte di appello ha applicato l’articolo 68 della Costituzione e l’articolo 3 della legge no 140/2003.
Dato che il diritto di accesso ad un tribunale, riconosciuto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, non è assoluto e che suscita le limitazioni implicitamente ammesse, non poteva garantire al richiedente il diritto di ottenere che parecchie giurisdizioni deliberassero al merito nella stessa causa. Inoltre, non bisogna perdere di vista che gli Stati contraenti godono in materia di un certo margine di valutazione.
Nello specifico, per valutare la proporzionalità dell’ingerenza nel diritto di accesso ad un tribunale, in materia di diffamazione, la Corte avrebbe dovuto prendere in conto l’insieme degli elementi pertinenti della causa e non ignorarli limitandosi all’esame formale del legame tra le dichiarazioni controverse e gli esercizi della funzione parlamentare stricto sensu.
Nelle circostanze dello specifico, la restrizione al diritto di accesso ad un tribunale era proporzionata e non infrangeva il giusto equilibrio richiesto.