A.N.P.T.ES. Associazione Nazionale per la Tutela degli Espropriati. Oltre 5.000 espropri trattati in 15 anni di attività.
Qui trovi tutto cio che ti serve in tema di espropriazione per pubblica utilità.

Se desideri chiarimenti in tema di espropriazione compila il modulo cliccando qui e poi chiamaci ai seguenti numeri: 06.91.65.04.018 - 340.95.85.515

Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE NEGREPONTIS-GIANNISIS c. GRÈCE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 14, 35, 06, 08, P1-1
Numero: 56759/08/2011
Stato: Grecia
Data: 2011-05-03 00:00:00
Organo: Sezione Prima
Testo Originale

Conclusione Violazione dell’art. 8; violazione dell’art. 14+8; violazione dell’art. 6; violazione di P1-1; Soddisfazione equa riservata
PRIMA SEZIONE
CAUSA NEGREPONTIS-GIANNISIS C. GRECIA
( Richiesta no 56759/08)
SENTENZA
(Fondo)
STRASBURGO
3 maggio 2011
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Negrepontis-Giannisis c. Grecia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Nina Vajić, presidentessa, Christos Rozakis, Peer Lorenzen, Khanlar Hajiyev, George Nicolaou, Mirjana Lazarova Trajkovska, Julia Laffranque, giudici,
e da André Wampach, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 5 aprile 2011,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 56759/08) diretta contro la Repubblica ellenica e in cui un cittadino di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 13 novembre 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da OMISSIS, avvocato ad Atene. Il governo greco (“il Governo”) è rappresentato dai delegati del suo agente, il Sig. Sig. Apessos, consigliare presso il Consulente legale dello stato, il Sig. K. Georgiadis, assessore del Consulente legale dello stato, e la Sig.ra Sig. Yermani, ascoltatrice presso il Consulente legale dello stato.
3. Il richiedente adduce in particolare una violazione del suo diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, garantito dall’articolo 8 della Convenzione.
4. Il 6 novembre 2009, la presidentessa della prima sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1964 e risiede ad Atene.
6. Il richiedente intratteneva dalla sua infanzia dei rapporti molto stretti con suo zio, il fratello di sua madre e membro del clero che portava prima del suo ordinamento il nome di OMISSIS, ribattezzato “Timothéos” dal suo ordinante. In ragione della sua moralità e del suo ruolo spirituale, OMISSIS era sempre stato un modello per il richiedente.
7. Nel 1981, all’età di diciassette anni, il richiedente andò a fare i suoi studi negli Stati Uniti, all’università dello stato di Wayne, dove rimase fino nel 1985. Durante tutti i suoi studi, il richiedente risedette presso domicilio di suo zio, a Detroit nel Michigan, dove OMISSIS era stato nominato vescovo.
8. Durante la loro vita comune negli Stati Uniti, un potente legame filiale si sviluppò tra il richiedente e suoi zii che vollero sigillare con una misura di adozione.
9. L’ 8 maggio 1984, il richiedente, dell’età di vent’ anni, e suo zio, di sessant’anni, depositarono al tribunale di Wayne delle memorie-dichiarazioni con cui motivavano la loro decisione ed il richiedente esprimeva il suo consenso. Suo zio firmò questa dichiarazione nella sua qualità di vescovo.
10. OMISSIS dichiarava la sua volontà di adottare il richiedente per avere un figlio legittimo che avrebbe ereditato la sua fortuna, le sue memorie, la sua grande collezione di manoscritti e di testi religiosi e poetici. Desiderava garantire la perennità del suo cognome dotato di una grande tradizione e di onore nella storia greca e mondiale. Da parte sua, il richiedente dichiarava di volere rinforzare il legame affettivo che lo legava a suo zio e di prendersi cura di lui nella sua vecchiaia. Affermava che era molto onorato di portare e perpetuare il nome di suo padre adottivo.
11. Il giudice Y.G.B. affidò ad un’assistente sociale la tenuta di un’inchiesta sull’opportunità di tale adozione, come previsto dalla legislazione americana in materia.
12. Il 9 maggio 1984, il richiedente e suo padre adottivo si presentarono dinnanzi al giudice incaricato a questo effetto per testimoniare e rispondere alle sue questioni sull’adozione. Lo stesso giorno, il richiedente firmò davanti al giudice la dichiarazione di consenso alla sua adozione con suo zio. Al termine di questo procedimento, il 28 giugno 1984, il giudice Y.G.B. prese la decisione di adozione no 60318. Il verbale di adozione e l’ordinanza di adozione fu stabilito lo stesso giorno. Non essendo stata colpita d’ appello, la decisione no 60318 diventò irrevocabile.
13. Giusto dopo l’adozione, il 28 giugno 1984, il Servizio di salute pubblica del Michigan stabilì un atto di nascita che aggiungeva al cognome del richiedente, il nome di suo padre adottivo.
14. Dal ritorno del richiedente in Grecia nel 1985, e fino nel 1996 all’epoca del ritorno definitivo di suo padre adottivo in Grecia, il richiedente gli rendeva regolarmente visita negli Stati Uniti. Il padre adottivo veniva parimenti ogni anno in Grecia per rendere visita al richiedente, in particolare per condividere con lui i due mesi d’ estate. Nel 1997, il padre adottivo del richiedente benedice il suo matrimonio officiandone la cerimonia.
15. Il padre adottivo del richiedente decedette l’ 11 dicembre 1998 ad Atene.
16. Con un giudizio reso ad una data non precisato nel 1999, la corte d’appello di Syros, investita dalla Sig.ra E.M, sorella del padre adottivo del richiedente, riconobbe che i suoi eredi erano suo tre fratello e sorelle in comunione e stabiliscono un certificato di erede a loro favore. Due dei tre eredi dichiararono di accettare la successione e questa accettazione fu registrata nei libri dell’ufficio delle ipoteche dell’isola di Paros.
17. Il 24 dicembre 1999, su richiesta del richiedente, la corte d’appello di Atene rese un giudizio (no 7256/1999) riconoscente che la decisione americano no 60318 relativo all’adozione aveva forza di cosa giudicata in Grecia e che produceva pienamente i suoi effetti sul suo territorio. Il tribunale precisò che non esisteva nessuna ragione di rifiutare una tale riconoscenza perché la decisione americana non era contraria all’ordine pubblico greco ed ai buoni costumi. In seguito al giudizio precitato, il richiedente iniziò un procedimento di cambiamento di nome- di OMISSIS- ciò che fu effettuato da una decisione del prefetto di Atene del 4 agosto 2001. In seguito ed alla richiesta del richiedente, lo stato gli rilasciò, il 10 settembre 2003, una carta di identità sulla quale figurava il cognome “OMISSIS”, precedendo il nome “OMISSIS” il cognome di suo padre biologico. Peraltro, sul suo documento di identità OMISSIS era indicato come essendo suo padre.
18. Il 26 giugno 2000, il fratello e le sorelle di OMISSIS, eccetto la madre del richiedente, formarono una terza opposizione contro il giudizio no 7256/1999. Il richiedente ricevette una copia di questa opposizione il 3 e il 13 luglio 2000. Con un giudizio dell’ 8 maggio 2001, la corte d’appello di Atene accolse parzialmente la terza opposizione ed annullò questo giudizio. La corte d’appello rilevò che la decisione americana che regolava una questione di adozione, era valida in Grecia senza nessuna altra formalità o procedimento. Però nel caso in cui l’applicazione di questa decisione e gli effetti che produceva aveva un’incidenza sui diritti di quelli che formava la terza opposizione, tali i diritti di successione, la questione doveva essere decisa nella cornice di un’azione declaratoria per verificare se le condizioni dell’articolo 780 del codice di procedimento civile erano riunite. Il tribunale conclude che l’opposizione doveva essere accolta nella misura in cui mirava il giudizio no 7256/1999 che era stato adottato senza che i richiedenti abbiano potuto partecipare in quanto parti mentre avevano un interesse legale. Respinse la terza opposizione nella misura in cui mirava ad ottenere che questa constatasse che le condizioni dell’articolo 780 del codice di procedimento civile non erano riunite nello specifico, ed affermò che questa questione doveva essere esaminata nella cornice di un’azione declaratoria.
19. Il 29 maggio 2000, il richiedente notificò a sua zia, la Sig.ra E.M, un documento che l’informava della decisione del giudice americano Y.G.B. ed in quanto pretendeva di essere il solo erede ab intestato di suo padre adottivo. Il 3 giugno 2000, il richiedente chiese alla corte d’appello di Syros di revocare il certificato di erede riconoscente come eredi i tre fratelli e sorelle di suo padre adottivo e di attestare che era egli l’unico erede. Il tribunale ordinò provvisoriamente l’interdizione dell’uso di questo certificato da parte del fratello e delle sorelle. Sospese il procedimento principale nell’attesa della decisione sull’azione introdotta dalla Sig.ra E.M. il 31 maggio 2001, paragrafo 20 sotto.
20. Il 31 maggio 2001, la Sig.ra E.M. introdusse un’azione di giustizia presso la corte d’appello di Atene tesa a riconoscere che la decisione no 60318 del tribunale americano non aveva autorità di cosa giudicata in Grecia. La Sig.ra E.M. sosteneva che il padre adottivo del richiedente aveva ricevuto la tonsura monastica il 7 marzo 1950 e che in ragione di questo stato, non aveva la capacità di adottare il richiedente. Sosteneva, inoltre, che suo fratello e sua sorella erano, con lei, i soli eredi del defunto.
21. Con un giudizio del 25 aprile 2002, la corte d’appello respinse la Sig.ra E.M, considerando che l’adozione da parte di un monaco non era vietata dal diritto greco. Il tribunale deliberò così:
“(…) i monaci della chiesa Ortodosso orientale sono capaci di adozione, dato che nessuna disposizione del codice civile o di altra legge specifica non lo vieta. Dopo l’abrogazione dell’impedimento di matrimonio dei monaci ortodosso, vecchio articolo 1364 del codice civile, i monaci sono oramai capaci di contrarre matrimonio, di fondare una famiglia, ivi compreso con adozione, e mantengono dunque la loro capacità di compiere degli atti giuridici. Non è concepibile avere la capacità di fondare una famiglia col matrimonio e di vietarlo con l’adozione.
(…)
Le conseguenze di questa decisione controversa per mezzo della quale l’adottante, vescovo tonsurato monaco, ha adottato il convenuto, il figlio di sua sorella, non possono essere considerate, secondo il tribunale, contrari ai principi e regole di ordine pubblico in vigore in Grecia; è ammesso, secondo ciò che precede che anche in caso di applicazione del diritto materiale greco, il convenuto sarebbe stato adottato dal vescovo, suo zio, in America, tonsurata monaco, Timothéos,. Questo punto di vista è corroborato anche dal fatto che lo stato personale dell’individuo deve essere stabile, che deve essere lo stesso nel più grande numero di paesi. “
22. La Sig.ra E.M. interpose appello contro questo giudizio dinnanzi alla corte di appello di Atene.
23. Con una sentenza del 18 dicembre 2003, la corte di appello diede guadagno di causa alla Sig.ra E.M. Giudicò che era vietato ad un monaco effettuare degli atti giuridici aventi un rapporto con attività secolari, come l’adozione, perché questa era incompatibile con la vita monacale e contraria ai principi di ordine pubblico greco. Più precisamente, si espresse così:
“(…) all’epoca della tonsura monacale, il monaco della chiesa Ortodosso orientale fa la sua promessa o la sua confessione monastica comprendenti i voti di castità, di ubbidienza e di povertà. Questi voti seguono il monaco durante tutta la sua vita, dato che, eccetto il caso di cambiamento di dogma o di religione, lo stato di monaco non può essere annullato, neanche sotto forma di sanzione pronunciata da un tribunale ecclesiastico. La tonsura assimila il monaco ad un defunto, a partire da ciò la sua successione è aperta e, in virtù di disposizioni specifiche del diritto ecclesiastico, gli è vietato assumere delle funzioni secolari. Inoltre, l’incapacità del monaco a compiere i suoi obblighi finanziari, addirittura gli obblighi giuridici provenienti dall’autorità parentale, in ragione del suo stato e dei compiti che questo stato genera, abbinato al fatto che deve astenersi dei compiti temporali, sostegno a favore del punto di vista secondo cui gli è proibito adottare. Ad ogni modo, l’adozione realizzata da un monaco della chiesa Ortodosso orientale è contraria all’ordine pubblico greco, opponendosi ai principi e delle concezioni di ordine pubblico che regolano la vita in Grecia. “
24. Il 2 maggio 2004, il richiedente ricorse in cassazione.
25. Nelle sue osservazioni, tra l’altro, contestava i diritti successori del fratello e sorelle di suo padre adottivo ed invocava la questione della successione di suo padre.
26. Con una sentenza del 22 febbraio 2006, la settima camera della Corte di cassazione respinse il ricorso. Sottolineò, tra l’altro, che la riconoscenza o meno della decisione di adozione avrebbe delle incidenze sulla questione dei diritti successori delle parti. Rinviò però alla formazione plenaria di questa la questione di sapere se l’adozione da parte di un monaco si opponeva all’ordine pubblico greco.
27. Nelle sue osservazioni dinnanzi alla formazione plenaria, il richiedente sosteneva che una decisione giudiziale che avrebbe allontanato la validità di un’adozione al motivo che era contraria all’ordine pubblico, sarebbe stara in contraddizione con l’articolo 8 della Convenzione. Come dinnanzi alle giurisdizioni inferiori, il richiedente sottolineava che il rispetto del principio dell’autorità della cosa giudicata della decisione di adozione impediva di venire attaccata dopo tutti questi anni.
28. Con una sentenza del 15 maggio 2008, per sedici voci contro otto, la formazione plenaria della Corte di cassazione rispose affermativamente a questa questione, in questi termini,:
“(…) conformemente al 6° cannone apostolico, al 3 cannone del Settimo concilio ecumenico ed all’ 11° cannone del concilio primo – secondo così come alle tradizioni sacre, i monaci non possono adottare di bambino, perché l’adozione provoca la presa in carico di compiti temporali, espressamente vietati dal 3° cannone fondamentale del 4° concilio ecumenico di Chalcidone, i cannoni apostolici 6, 81 e 83 ed il 45 cannone del concilio quini sexte. Secondo questi cannoni, coloro che hanno acquisito lo stato di monaco, così come coloro di loro che appartengono ad un qualsiasi grado dell’ordine clericale, sono allontanati totalmente di ogni compito temporale, poiché i “monaci non hanno legame sulla terra, aspirando alla vita dei cieli”, avendo abbandonato “il mondo ed i suoi beni.” (…) Risulta da ciò che precede che l’interdizione di adozione per un monaco, fondato sui cannoni apostolici e le tradizioni sacre, riguardi anche il monaco ordinato chierico e consacrato vescovo. Avuto riguardo al contenuto dei voti monastici, i cannoni apostolici e sinodo così come le tradizioni che vietano ai monaci ed ai monaci ordinati chierici di assumere dei compiti temporali, costituiscono, secondo le concezioni religiose e giuridiche della religione della chiesa Ortodosso orientale del Cristo, delle regole di ordine pubblico. La riconoscenza dunque della forza di cosa giudicata o dell’autorità di un giudizio estero in Grecia che ammette l’adozione realizzata da un monaco o un vescovo, generati dell’ordine monacale, urtati all’ordine pubblico internazionale dell’articolo 33 del codice civile e non è autorizzata. “
I testi dei cannoni apostolici sopra menzionati risalgono ai secoli 7° e 9°.
29. Secondo i giudici dissidenti, non esisteva nessuna disposizione di legge nazionale che vieta ad un monaco o ad un membro del clero, ogni grado confuso, e di conseguenza, ad un vescovo, di procedere ad un’adozione. L’adozione realizzata da un vescovo, anche se questo è generato dall’ordine monacale, non può essere considerata come contraria all’ordine pubblico greco, perché il parere secondo cui tale adozione sarebbe impossibile non si basava su una disposizione di legge esplicita. Peraltro, questa questione dava adito a forti dissensi in seno alla comunità giuridica, i due punti di vista essendo difesi, e non si urtava di conseguenza ad una regola o ad un principio di un’importanza fondamentale maggiore e riflettendo una convinzione sociale e religiosa ferma che regolassero la vita in Grecia. Le relazioni evolute all’estero, fuori dalla cornice dell’ordine giuridico nazionale, potevano recare inoltre, raramente offesa alle convinzioni fondamentali nazionali. L’applicazione di un lex causae estero poteva essere impedita solamente in casi eccezionali. Trattandosi delle questioni che riguardavano la vita privata di un individuo, bisognava tenere conto tanto dell’articolo 8 della Convenzione, che dell’articolo 3 della Costituzione che proclama che la religione dominante in Grecia è quella della chiesa ortodossa orientale, e dei suoi articoli 5 e 13 che garantiscono rispettivamente il diritto di sviluppare liberamente la sua personalità e la libertà di coscienza religiosa.
30. La formazione plenaria della Corte di cassazione rinviò la causa dinnanzi alla seconda camera di questa affinché deliberasse sul quarto mezzo del ricorso del richiedente, tirato dal difetto di presa in conto dell’argomento secondo cui il padre adottivo del richiedente aveva rinunciato all’ordine monacale.
31. Con una sentenza del 4 agosto 2009, la seconda camera respinse il mezzo col seguente motivo:
“(…) poiché la corte di appello ha ammesso che il padre adottivo del richiedente faceva il monaco e che la formazione plenaria ha giudicato che l’adozione effettuata da un monaco è contraria all’ordine pubblico, anche se questo ha rinunciato dell’ordine monacale, il mezzo in questione è respinto come inoperante e è per questo fatto inammissibile. “
II. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNA PERTINENTI
32. L’articolo 780 del codice di procedimento civile dispone:
“(…) una decisione di un tribunale estero ha, in Grecia, senza nessuno altro procedimento, l’effetto che le riconosce il diritto dello stato del tribunale che l’ha resa, quando il seguente condizioni sono riunite:
1) se la decisione ha applicato la legge che doveva essere applicata in virtù del diritto greco ed è stata resa dal tribunale competente secondo il diritto dello stato.
2) se non è contraria ai buoni costumi o all’ordine pubblico. “
33. Il vecchio articolo 1364 del codice civile era formulato così:
È proibito il matrimonio dei membri del clero di ogni posto e dei monaci della chiesa Ortodosso orientale. “
34. L’articolo 3 della legge no 1250/1982 che istituisce il matrimonio civile ha annullato, tra l’altro, l’articolo 1364.
35. Il rapporto esplicativo di questa legge precisava che l’istituzione del matrimonio civile imponeva la soppressione di certi impedimenti che erano legati esclusivamente al dogma della chiesa Ortodosso orientale e non corrispondevano a nessun bisogno sociale. Questi impedimenti non potevano essere più validi nei confronti dello stato. La questione di sapere se il matrimonio era o meno permesso per i membri del clero ed i monaci dipendevano dalla competenza esclusiva della chiesa.
36. Gli articoli pertinenti del codice civile in materia di successione si leggono così:
Articolo 1193
È trascritta anche all’ufficio delle trascrizioni della regione dove è situato il bene ogni accettazione di successione o di eredità quando, in virtù di questa accettazione, l’erede o il legatario acquisiscono un immobile che dipende dalla successione. “
Articolo 1198
“A difetto di trascrizione, in casi dove questa è richiesta secondo gli articoli 1192 e 1193, il trasferimento della proprietà dell’immobile, così come la costituzione, il trasferimento o la soppressione di un diritto reale su questo, non si operano. “
Articolo 1846
“L’erede acquisisce la successione di pieno dritto fin dal momento della sua devoluzione, sotto riserva della disposizione dell’articolo 1198. “
Articolo 1871
“L’erede ha il diritto di esigere da quello che detiene, a titolo di erede, degli oggetti appartenenti alla successione, la riconoscenza del suo diritto successorio e la restituzione dell’eredità o di un oggetto di questo. “
IN DIRITTO
37. Il richiedente si lamenta della violazione degli articoli 6, 8 e 14 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo no 1 a causa della non riconoscenza della decisione di adozione.
I. SULL’OBIEZIONE DI NON-ESAURIMENTO DELLE VIE DI RICORSO INTERNE
38. A titolo principale, il Governo eccepisce del no-esaurimento delle vie di ricorso interne. Sostiene che risulta dalle osservazioni del richiedente dinnanzi alle giurisdizioni nazionali che a nessuno stadio del procedimento questo si è riferito, anche in modo generale ed astratto, ai diritti garantiti dalla Convenzione che invoca dinnanzi alla Corte adesso. Le affermazioni del richiedente erano fondate sul diritto interno e per niente agli articoli 6, 8 e 14 della Convenzione ed all’articolo 1 del Protocollo no 1. Il fatto che il richiedente si riferiva nelle sue osservazioni a “Timothéos” come “mio padre adottivo”, il richiamo delle disposizioni relative alla successione di monaci e la contestazione della decisione della corte di appello in quanto alla questione di sapere se l’ordine giuridico greco permettesse l’adozione da parte di un monaco, non possono costituire in nessun caso un’invocazione dei diritti protetti dalla Convenzione.
39. Supponendo anche che le giurisdizioni greche abbiano potuto, dovuto addirittura, esaminare d’ufficio la controversia sotto l’angolo della Convenzione, ciò non potrebbe dispensare il richiedente di appellarsi dinnanzi ad esse su questo trattato o di presentare loro dei mezzi di effetto equivalente simile ed attirare così la loro attenzione sul problema di cui intendeva investire dopo,o all’occorrenza, alla Corte.
40. Il Governo sostiene, inoltre, che il richiedente non ha esercitato dinnanzi alle giurisdizioni greche le vie di ricorso adeguate che avrebbero permesso di esaminare, a prescindere dalla validità della decisione americana, se esistevano tra il richiedente e suo zio un relazione padre e figlio o di dedicarsi su delle questioni di successione. In particolare, sottolinea che il richiedente non ha sottomesso alle giurisdizioni greche i fatti necessari per provare che un legame che meritava protezione sotto l’angolo dell’articolo 8 della Convenzione si era sviluppato tra egli e suo zio. Il parere della minoranza della Corte di cassazione fa un semplice riferimento a questo articolo e non dice che è stato violato, perché comunque l’alta giurisdizione non poteva esaminare delle questioni legate ai fatti della causa. In più, sul terreno dell’articolo 1 del Protocollo no 1, il riferimento alla successione di OMISSIS è fatto nella cornice dell’esame dell’azione di sua sorella. Le giurisdizioni greche non sono state investite dal richiedente di un’azione fondata sull’articolo 1871 del codice civile, ciò che avrebbe, tra l’altro, permesso di esaminare se il richiedente avesse una speranza legittima in quanto alla successione di OMISSIS.
41. Il richiedente sostiene che ha sollevato sistematicamente in sostanza dinnanzi alle giurisdizioni interni i motivi di appello che ha presentato dinnanzi alla Corte in seguito. Precisa che l’oggetto della controversia l’oppositore alla Sig.ra E.M. riguardava l’esecuzione in Grecia della decisione americana di adozione. Di conseguenza, era obbligato a presentare i suoi motivi di appello nei limiti della controversia in questione. Pure restante nell’oggetto della controversia, ha sollevato a più riprese dinnanzi a tutte le giurisdizioni interne, o espressamente o in sostanza, tutti i motivi di appello relativi alla Convenzione.
42. La Corte ricorda che la regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne si deve applicare con una certa flessibilità e senza formalismo eccessivo, ma non esige solamente l’immissione nel processo delle giurisdizioni nazionali competenti e l’esercizio di ricorsi destinati a combattere una decisione controversa già resa che viola presumibilmente un diritto garantito dalla Convenzione: obbliga anche, in principio, a sollevare dinnanzi a queste stesse giurisdizioni, almeno in sostanza e nelle forme e termini prescritti dal diritto interno, i motivi di appello che si intende formulare a livello internazionale in seguito (vedere, tra molto altri, Fressoz e Roire c. Francia [GC], no 29183/95, § 37, CEDH 1999-I; Azinas c. Cipro [GC], no 56679/00, § 38, CEDH 2004-III.
43. Per ciò che riguarda il motivo di appello relativo all’articolo 8, la Corte nota di entrata che il procedimento controverso teso a fare dichiarare l’adozione del richiedente contrario ai buoni costumi ed all’ordine pubblico ha un legame diretto con questo articolo. In più, il richiedente l’ha invocato espressamente dinnanzi alla formazione plenaria della Corte di cassazione. Se questa giurisdizione non ha avuto bisogno di riferirvisi per i bisogni della motivazione della sua sentenza, nella sua opinione dissidente, la minoranza l’ha fatto. Parimenti, concernente la questione della discriminazione addotta in quanto bambino adottivo, il richiedente ha sollevato in sostanza questo motivo di appello dinnanzi alle giurisdizioni interne. La Corte rileva a questo riguardo che la corte d’appello ha giudicato che poiché l’ordine giuridico greco riconosce il legame parentale tra un monaco ed i suoi bambini naturali, non saprebbe negare di farlo per lo stesso legame generato di un atto di adozione.
44. In quanto al motivo di appello relativo all’articolo 6, la questione dell’esecuzione in Grecia della decisione americana di adozione costituiva l’oggetto stesso della controversia dinnanzi al giudice interno ed il richiedente ha sostenuto che il rispetto del principio dell’autorità della cosa giudicata della decisione di adozione impediva che questa sia messo in causa dopo tutti questi anni.
45. Infine, a proposito del motivo di appello derivato della violazione del suo diritto al rispetto dei beni, la Corte nota che il richiedente ha legato la sorte della controversia concernente l’esecuzione della decisione di adozione alla riconoscenza dei suoi diritti successori, ha contestato i diritti successori del fratello e sorelle di suo padre adottivo e ha invocato la questione della successione di OMISSIS nella cornice della discussione sulla sua qualità di monaco. L’azione dell’articolo 1871 invocato dal Governo riguarda, secondo la sua formula, l’erede di una persona, requisito che il richiedente non poteva avere finché la decisione di adozione non era riconosciuta in Grecia. A questo riguardo, la Corte ricorda che nella sentenza Marckx c. Belgio, sentenza del 13 giugno 1979, serie A no 31, § 52, ha giudicato che la tenuta delle successioni – e delle liberalità – entro parenti stretti appare intimamente socio alla vita familiare. Questa non comprende unicamente delle relazioni di carattere sociale, morale o culturale, ma ingloba anche degli interessi patrimoniali (vedere anche Pla e Puncernau c). Andorra, no 69498/01, § 60, ECHR 2004-VIII.
46. Così, la Corte stima che nella cornice della controversia come si è svolto dinnanzi alle giurisdizioni greche, il richiedente ha reso queste attente agli imperativi di sicurezza giuridica e di non discriminazione che si riflettono anche nella Convenzione. Senza appellarsi in termini espressi a questa ultima, attinse nel diritto interno del suo paese degli argomenti che equivalevano a denunciare, in sostanza, un attentato ai diritti garantiti dagli articoli 6, 8 e 14 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1; ha dato loro allora l’occasione di evitare o di risanare le violazioni addotte, conformemente alla finalità dell’articolo 35 § 1.
Pertanto, conviene respingere l’eccezione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
47. Il richiedente si lamenta di una violazione del suo diritto al rispetto della sua vita privata e familiare. Messi da parte l’aspetto legale dell’adozione, sostiene avere creato dei legami familiari molto forti con suo padre adottivo che meritano di essere protetti dall’articolo 8. Oltre la privazione dei suoi diritti successori, il rifiuto della riconoscenza della sua adozione coi tribunali greci ha condotto alla negazione ed all’annullamento del suo statuto di figlio di suo padre adottivo, ciò che sconvolge la sua vita personale e sociale condotta durante 24 anni. Ciò provoca anche la negazione del suo diritto di portare il cognome di suo padre adottivo che utilizza in tutte le sue relazioni sociali e professionali; questo nome è anche quell’utilizzato dai suoi bambini ai quali farà fatica a spiegare la modifica della loro situazione personale che potrebbe risultare dalla sentenza della Corte di cassazione. Il richiedente invoca l’articolo 8 della Convenzione, così formulato:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
A. Sull’ammissibilità
48. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul fondo
1. Sull’esistenza di un’ingerenza
49. Il Governo contesta l’esistenza di un legame figlio-padre tra il richiedente ed OMISSIS ed adduce che non superano i legami che esistono tra uno zio e suoi nipoti. Non hanno tentato né l’uno né l’altro di fare riconoscere in Grecia la decisione americana di adozione durante gli anni, ciò che notifica che non si interessavano a fare conoscere il legame familiare che risulta dall’adozione. Il richiedente ha espresso un tale interesse quando è sorto la questione della successione. Il Governo adduce anche che la relazione del richiedente con OMISSIS non era apparente a terzi, poiché sua zia e suo zio si sono considerati loro stessi eredi di suo padre adottivo. I danni addotti del richiedente sarebbero dei pretesti e questo avrebbe modificato volontariamente il suo nome cercando di creare dei fatti compiuti. In quanto al nome dei suoi bambini, non può essere modificato secondo la legislazione greca che con l’accordo dei loro due genitori.
50. Più particolarmente, il Governo sostiene che il richiedente non prova che esistevano tra egli ed OMISSIS dei legami familiari stretti e, ancora meno, un legame padre-figlio. Il richiedente non dimostra che dopo 1984, i legami coi suoi genitori biologici erano tagliati, né che l’interesse ed i sentimenti che nutrivano al suo riguardo suo padre adottivo erano più bravi di quelli di questo aveva in quanto zio. Nessuno ha tentato finora di modificare il nome del richiedente che fa togliere quello di “OMISSIS.” Il richiedente ha proceduto alla modifica del suo nome dopo il decesso di suo padre adottivo, mentre il contenzioso con sua zia era durante. Comunque, il richiedente ha provato a creare un fatto compiuto facendosi stabilire una nuova carta di identità nel 2003 al nome di ” OMISSIS “, mentre il giudizio che riconosce l’adozione era stato annullato già. Se il richiedente fosse preoccupato talmente di fare uso del nome ” OMISSIS “, avrebbe tentato di fare riconoscere molto più presto la decisione americana e non nel momento in cui la questione della successione di suo zio si è porsi.
51. Infine, il Governo sostiene che il danno del richiedente che riguarda i suoi bambini è solamente un pretesto. I suoi bambini non hanno conosciuto mai OMISSIS, deceduto prima della loro nascita, e non hanno potuto sviluppare con lui delle relazioni di nipoti e nonno. Il solo nonno che conoscevano era il padre biologico del richiedente con che i legami non erano tagliati. In quanto al danno addotto dal richiedente in caso di nascita di un terzo bambino che porterebbe un nome differente degli altri bambini, si riferisce ad un avvenimento incerto.
52. Il richiedente sottolinea che il criterio per l’esistenza di un relazione padre e figlio non sono quantitativi, siccome lo pretende il Governo, ma qualitativo. Difatti, esisteva un vero relazione padre-figlio tra il richiedente e suoi padri adottivi che andava al di là dell’interesse normale di un zio per suo nipote. Di più, questa relazione non condiziona l’interruzione dei legami tra il richiedente ed i suoi genitori biologici. Il richiedente è stato adottato in quanto adulto con suo padre adottivo e l’interruzione dei legami coi suoi genitori biologici non era necessario per la determinazione di relazione padre-figlio con suo padre adottivo.
53. Il richiedente sostiene, inoltre, che il cambiamento del suo nome è stato effettuato nello stesso momento in cui la sua adozione, il 28 giugno 1984, dal Servizio di salute pubblica del Michigan. In Grecia, ha iniziato i procedimenti del cambiamento giusto dopo la riconoscenza della decisione americana di adozione e molto prima la contestazione della sua adozione da parte di sua zia l’ 11 giugno 2001. Infine, anche se il nome dei suoi bambini non cambierà, questi saranno defraudati e subiranno un danno giuridico col fatto che quello che avevano considerato dalla loro nascita come loro nonno, non potrà più essere considerato come tale.
54. La Corte ricorda che l’articolo 8 della Convenzione tende per l’essenziale a premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici; genera per di più degli obblighi positivi inerenti ad un “rispetto” effettivo della vita familiare. In un caso come nell’altro, bisogna avere esattamente riguardo equilibrio a predisporre tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo insieme; parimenti, nelle due ipotesi, lo stato gode di un certo margine di valutazione, Pini ed altri c. Romania, i nostri 78028/01 e 78030/01, § 149, CEDH 2004-V (brani)).
55. La Corte ricorda, inoltre che in questo sentenza Pini, §§ 140 e 142, ha giudicato che bene che il diritto di adottare non raffigura in quanto tale al numero dei diritti garantiti dalla Convenzione, le relazioni tra un adottanti ed un adottato sono parimenti in principio al naturale che le relazioni familiari protette con l’articolo 8. L’adozione conferisce gli stessi diritti ed obblighi all’adottante al riguardo dello adottato che quelli di un padre o di una madre al riguardo del suo bambino legittimo. La Corte nota anche che i diritti successori tra bambino ed affini sono legati così strettamente alla vita familiare che cadono sotto l’impero dell’articolo 8, Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979, § 51. Infine, il nome di una persona – come mezzo di identificazione personale e di legame con una famiglia-costituisce un elemento della sua vita privata e familiare, Znamenskaya c. Russia (no 77785/01, 2 giugno 2005, § 23,).
56. La Corte nota che nello specifico, è in presenza di un atto di adozione che riflette la volontà dei due adulti, espresso per iscritto da ciascuno di essi, paragrafo 10 sopra, ed che ha impegnato un procedimento in ogni cognizione di causa. Le loro dichiarazioni dinnanzi al giudice del tribunale di Wayne così come l’inchiesta condotta dall’assistente sociale, alla domanda del giudice ha convinto questo della realtà del legame che univa il richiedente a suo zio e dell’opportunità di pronunciare il dichiarante legato da adozione una decisione. La Corte non vede nessuna ragione di non ammettere la realtà di una vita familiare tra il richiedente e suoi padri adottivi e che ha provocato delle conseguenze nella vita del richiedente stesso e della sua famiglia. Non appartiene alla Corte esaminare lei stessa se una vera relazione padre-figlio esisteva tra il richiedente e suo zio, ciò che il Governo sembra mettere in dubbio in mancanza di una decisione delle giurisdizioni greche su questo punto. Ai fini della presente causa, gli basta constatare che le autorità giudiziali americane avevano emesso un atto di adozione e questo atto era supposto produrre degli effetti nella vita quotidiana del richiedente e della sua famiglia. In più, non mai è stato rimesso in causa dallo zio del richiedente.
57. Questo atto di adozione aveva delle incidenze sullo stato civile del richiedente perché riguardava la sua situazione nella sua famiglia stessa, ma anche nella società. Le decisioni giudiziali controverse hanno messo in causa una relazione che due persone adulte ed acconsentiamo avevano creato per regolare la loro sfera di vita privata e familiare.
58. Ora, non fa dubbio che la vita privata e familiare del richiedente è stata perturbata dai rifiuti delle giurisdizioni greche di riconoscere la sua adozione, ciò che ha costituito, del parere della Corte, un’ingerenza incontestabile nel diritto protetto dall’articolo 8. Il fatto che il richiedente e suo padre adottivo non hanno iniziato in comuni un procedimento di riconoscenza in Grecia dell’adozione prima del decesso di questo ultimo e che il fratello e sorelle del defunto non sono potuti essere informati durante un periodo di questa adozione non può avere nessuna influenza sul legame giuridico ed effettivo di questa.
59. Inoltre, la Corte non stima dovere derivare nessuna conclusione, siccome invitalo il Governo, della cronologia dei passi per ottenere la decisione del prefetto che modifica il nome OMISSIS a OMISSIS, il 4 aprile 2001, o per ottenere una nuova carta di identità, il 10 settembre 2003 che avrebbe menzionato i due nomi. Il cambiamento del nome del richiedente non poteva avere nessuna incidenza sulle questioni di successione di OMISSIS che, secondo il Governo, sarebbero stati al cuore delle preoccupazioni del richiedente.
60. La Corte ricorda infine, anche che nel sentenza Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo, no 76240/01, 28 giugno 2007, § 123, ha affermato che il rifiuto coi tribunali del Lussemburgo di accordare l’exequatur di un giudizio estero di adozione costituiva un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata e familiare.
2. Sulla giustificazione dell’ingerenza
61. Uguale ingerenza ignora l’articolo 8 salvo si, “previsto dalla legge”, insegue uno o degli scopi legittimi allo sguardo del secondo paragrafo di questa disposizione e è “necessario in una società democratica” per l’attentato. La nozione di “necessità” implica un’ingerenza fondata su un bisogno sociale imperioso e, in particolare, proporzionata allo scopo legittimo ricercato.
62. Il Governo sostiene che l’ingerenza era “prevista dalla legge” (articoli del codice di procedimento civile relativo alla riconoscenza delle sentenze dei tribunali esteri) articolo 33 del codice civile sul non applicazione delle disposizioni di dritto estero contrari ai buoni costumi o l’ordine pubblico, articolo 3 della Costituzione sul carattere dominante della religione ortodossa, e necessaria in una società democratica per non recare offesa a certe regole fondamentali che esistono in Grecia e che riflettono le concezioni sociali, economiche, politiche, religiose e giuridiche e che costituiscono un ostacolo all’applicazione in Grecia delle regole del diritto estero.
63. Il Governo sottolinea che se il diritto interno che regola le questioni relative alla vita di monaci ed alla successione di questi sembro severo, è in armonia col giuramento che i monaci prestano quando decidono di seguire la vita monacale. Lo stato non impone delle limitazioni alla vita privata e familiare di chi che sia ma adatta la sua legislazione agli imperativi della religione ortodossa che è la religione dominante in Grecia. Il padre adottivo del richiedente che ha durante tutta la sua vita servita la vita ecclesiastico occupante delle alte funzioni conosceva sicuramente gli imperativi di questa vita e non aveva chiesto mai sé la riconoscenza in Grecia della decisione americana.
64. Infine, il Governo sostiene che il no riconoscenza della decisione americana mirava a preservare la sicurezza delle transazioni. Siccome non sono stati informati dell’esistenza dell’adozione e come né il richiedente né suo zio non hanno tentato di fare riconoscere durante ventiquattro anni questa adozione in Grecia, il fratello e sorelle dello zio del richiedente avevano la speranza legittima di ereditare loro fratello e questa speranza era fondata tanto sulla realtà biologica che sulla mancanza di zelo del richiedente e di suo zio durante periodo così lungo.
65. Il richiedente sostiene che le regole ecclesiastiche invocate dal Governo ed interpretate con la Corte di cassazione non può essere considerata come una “legge” al senso della Convenzione. Inoltre, non assolvono i criteri di chiarezza, di precisione e di prevedibilità. Il richiedente aggiunge che il rifiuto della Corte di cassazione non era giustificato da nessuno “bisogno sociale imperioso”, se no lo stato avrebbe rifiutato la riconoscenza anteriore stesso che il fratello e sorelle di suo padre adottivo investono la giustizia per i motivi puramente finanziari. Il richiedente sottolinea che suo padre adottivo non era un monaco né non si considerava come tale. Non ha scelto mai la vita monacale e ha espresso chiaramente, adottando il richiedente, la sua volontà di avere una famiglia. In ogni caso, l’ingerenza è manifestamente sproporzionata, perché ventiquattro anni dopo l’adozione, lo stato priva il richiedente del suo statuto di figlio adottivo, del suo nome e dei suoi diritti successori e ciò fondato sull’affermazione che suo padre adottivo, rimanendo solamente durante due giorni in un monastero, è diventato automaticamente monaco per tutta la sua vita contro la sua propria volontà.
66. La Corte nota che la Corte di cassazione ha fondato il suo rifiuto di riconoscere la forza di cosa giudicata della decisione di adozione americana sugli articoli 323 § 5, 780 § 2 e 905 §§ 3 e 4 del codice di procedimento civile che riconosce la forza di cosa giudicata e la forza esecutiva di una decisione giudiziale estera se non è contraria all’ordine pubblico ed i buoni costumi, così come l’articolo 33 del codice civile che contempla che una disposizione del diritto estero non è applicabile in Grecia se cozza contro i buoni costumi ed all’ordine pubblico.
67. La Corte non saprebbe mettere neanche in causa lo fa che il rifiuto precitato della Corte di cassazione era motivato dalla preoccupazione di proteggere l’ordine pubblico ed i buoni costumi, ciò che costituiva già l’oggetto del rinvio dinnanzi alla formazione plenaria di questa. Deve concludere dunque che l’ingerenza era “prevista dalla legge” ed inseguiva uno “scopo legittimo.”
68. Per valutare la “necessità” delle misure controverse “in una società democratica”, la Corte esaminerà, alla luce dell’insieme della causa, se i motivi invocati per giustificare li sono pertinenti e sufficienti alle fini del paragrafo 2 dell’articolo 8 (vedere, tra altri, Kutzner c. Germania, no 46544/99, § 65, CEDH 2002-I.
69. La Corte ricorda al primo colpo che nella tenuta in controversia gli Stati contraenti godono di un larghi margino di valutazione (vedere, mutatis mutandis, Stjerna c. Finlandia, sentenza del 25 novembre 1994, serie Ha no 299-B, § 39. Inoltre, la Corte non ha per compito di sostituirsi alle autorità greche competenti per definire la politica più opportuna in materia di regolamentazione di adozione, ma di valutare sotto l’angolo della Convenzione le decisioni che hanno reso nell’esercizio del loro potere di valutazione (vedere, entra altri, Hokkanen c. Finlandia, sentenza del 23 settembre 1994, serie Ha no 299-ha, § 55, e Stjerna, precitato, § 39. La superficie del margine di valutazione varia secondo le circostanze, le tenute ed il contesto; la presenza o mancanza di un denominatore comune ai sistemi giuridici degli Stati contraenti può costituire a questo riguardo un fattore pertinente (vedere, mutatis mutandis, Rasmussen c. Danimarca, sentenza del 28 novembre 1984, serie Ha no 87, § 40.
70. Nello specifico, la Corte non stima necessaria di pronunciarsi sulla questione di sapere se OMISSIS era stato o non tonsurato monaco. Questa questione di fatto gli sembra secondario nell’occorrenza per prendere la sua decisione.
71. La Corte lega molta importanza alla natura delle regole su che si è basata la formazione plenaria della Corte di cassazione per dichiarare che l’adozione con un monaco opponeva all’ordine pubblico: il 6 cannone apostolico, il 3 cannone del Settimo concilio ecumenico, il 11 cannone del concilio premio-secondo, il 3 cannone fondamentale del 4 concilio ecumenico di Chalcidone, i cannoni apostolici 6, 81 e 83 ed il 45 cannone del concilio quini sexte. Come sostiene il richiedente, queste regole non permettono che i monaci assumano delle “cure secolari” ed a contare dalla loro tonsura, sono considerati come defunti e non possono adottare.
72. La Corte nota che queste regole sono tutte di al naturale ecclesiastico e datano dei settimo e nono secoli. La formazione plenaria della Corte di cassazione ha fatto applicazione di queste regole, mentre l’articolo 3 della legge 1250/1982 che abroga l’articolo 1364 del vecchio codice civile greco che vietava ai monaci sposarsi, autorizza oramai in modo espressa il loro diritto al matrimonio. Nei lavori preparatori di questa legge, era menzionato che certi impedimenti al matrimonio di cui l’interdizione del matrimonio di monaci, non inseguivano nessuna necessità sociale e non potevano applicarsi nell’ordine giuridico. Il Costo nota, inoltre, che nello specifico l’adozione è intervenuta in vigore dopo l’entrata di questa legge.
73. A questo riguardo, la Corte rileva anche l’opinione dei giudici dissidenti della Corte di cassazione secondo la quale non esisteva nessuna disposizione di legge nazionale che vieta ad un monaco o ad un membro del clero, ogni grado confuso, e di conseguenza, ad un vescovo, di procedere ad un’adozione. L’adozione realizzata da un vescovo, anche se questo era generato dell’ordine monacale, non poteva essere considerata come essendo contrario all’ordine pubblico greco, perché il parere secondo che una tale adozione sarebbe impossibile non si basava su una disposizione di legge esplicita. Questi giudici hanno, peraltro, sottolineato che la questione aveva dato adito a forti dissensi in seno alla comunità giuridica e non aveva cozzato contro una regola o ad un principio di un’importanza fondamentale maggiore e riflettendo una convinzione sociale e religiosa ferma in Grecia.
74. La Corte ricorda anche che in una causa di adozione all’estero ma coi fatti differenti di quelli dello specifico, ha concluso che i giudici nazionali non potevano ragionevolmente passare oltre allo statuto giuridico creato validamente all’estero e corrispondente ad una vita familiare al senso dell’articolo 8 della Convenzione, né rifiutare la riconoscenza dei legami familiari che preesistevano di facto e dispensarsi da un esame concreto della situazione, Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo, no 76240/01, §§ 133 e 135, 28 giugno 2007.
75. Oltre gli elementi sopra menzionati, la Corte rileva che l’adozione controversa ha avuto luogo nel 1984, mentre il richiedente aveva raggiunto l’età adulta e che è durata ventiquattro anni prima che la Corte di cassazione metta non c’un termine con le sue sentenze. Le parti non hanno fornito peraltro nessuno elemento che tende a dimostrare che la realtà dei legami tra i richiedenti e suo padre adottivo siano stati messi in causa prima che la questione della successione non si porsi. A questo riguardo, la Corte constata sebbene, nella sua dichiarazione dinnanzi al tribunale americano, OMISSIS aveva espresso la sua volontà di adottare il richiedente per avere un figlio legittimo che avrebbe ereditato la sua fortuna, le sue memorie, la sua grande collezione di manoscritti e di testi religiosi e poetici, paragrafo 10 sopra.
76. La Corte considera che i motivi avanzati dalla Corte di cassazione per negare di riconoscere l’adozione del richiedente non rispondono ad un bisogno sociale imperioso. Non sono dunque proporzionati allo scopo legittimo perseguito per il fatto che hanno avuto per effetto la negazione dello statuto di figlio adottivo del richiedente.
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
III. SU LA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 COMBINATO CON L’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE
77. Il richiedente sostiene che in ragione del suo statuto di bambino adottivo, è stato oggetto di una discriminazione ingiustificata rispetto ad un bambino biologico di un membro del clero o anche di un monaco della chiesa Ortodosso orientale. Precisa che se era stato in fatto il bambino biologico di suo zio, generati di un matrimonio in accordo con la legislazione americana, o anche fuori matrimonio ma riconosciuto con suo padre, i tribunali greci non sarebbero passati oltre la realtà sociale ed i rapporti di facto tra padre e figli, soprattutto dopo la riconoscenza espressa con la legge della possibilità per i monaci di sposarsi. Adduce una violazione degli articoli 8 e 14 combinati. Questo ultimo articolo dispone:
“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza distinzione nessuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita od ogni altra situazione. “
78. Il Governo adduce che le giurisdizioni interne hanno fondato la loro valutazione unicamente sul fatto che il contenuto della decisione estera era contrario all’ordine pubblico senza essere influenzate dalla qualità del richiedente in quanto bambino adottivo. In più, pretende che non è permesso ai monaci ed agli alti membri del clero di sposarsi. Fa valere che questo è provato da una dichiarazione del padre adottivo sé dinnanzi alle autorità americane secondo la quale della funzione che occupava in seno alla chiesa ortodossa ellenica, era restato celibe e non ha avuto dei bambini a lui.
79. Il Governo sostiene, inoltre, che il richiedente non è stato oggetto di nessuno trattamento discriminatorio in ragione della sua qualità di bambino adottato, ma perché l’adozione non è stato convalidato e non è stata riconosciuta nell’ordine giuridico greco.
80. Nello specifico, la Corte ha dichiarato l’articolo 8 della Convenzione applicabile e ha concluso anche ad una violazione di suddetta disposizione. Quindi, i fatti dipendono dall’articolo 8 della Convenzione e dall’articolo 14 della Convenzione può applicarsi in combinazione con lui (vedere, mutatis mutandis, Mizzi c. Malta, no 26111/02, §§ 127 e 128, CEDH 2006 -… (brani)) ed il presente motivo di appello deve essere dichiarato ammissibile.
81. Allo sguardo dell’articolo 14 della Convenzione, una distinzione è discriminatoria se “manca di giustificazione obiettiva e ragionevole”, cioè se non insegue un “scopo legittimo” o se non c’è “rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto” (vedere, in particolare, Karlheinz Schmidt c. Germania, sentenza del 18 luglio 1994, serie A no 291-B, § 24.
82. La Corte ricorda che nella sentenza Pla e Puncernau c. Andorra, precitata, § 61, ha giudicato che un bambino essendo stato oggetto di un’adozione si trovava nella stessa posizione giuridica che se fosse stato il bambino biologico dei suoi genitori, e ciò sotto ogni riguardo: relazioni e conseguenze legate alla sua vita di famiglia e diritti patrimoniali che ne derivavano.
83. La Corte stima, per le ragioni esposte più alto, che non può essere escluso che lo scopo invocato dal Governo possa essere considerato come legittimo.
84. In quanto al rapporto ragionevole di proporzionalità, la Corte rileva che l’articolo 3 della legge 1250/1982 che abroga l’articolo 1364 del codice civile che vietava fino nel 1982, dunque prima dell’atto di adozione del richiedente, ai monaci di sposarsi autorizza in modo espressa il loro diritto al matrimonio. Il padre adottivo del richiedente avrebbe potuto dunque, in virtù di questa legge, sposarsi e fondare una famiglia e questo, anteriormente all’atto di adozione conclusa col richiedente nel 1984. Così, un bambino biologico di OMISSIS non avrebbe potuto essere privato dei suoi diritti filiali, con tutto ciò che provoca in materia di diritto di successione, di diritto al nome e di diritto a vivere, tutto sommato, nella società con un’identità diversa da quella che risulta dal rifiuto di riconoscenza dell’adozione.
C’è stato, quindi, violazione degli articoli 8 e 14 combinati.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
85. Il richiedente si lamenta anche di una violazione del suo diritto ad un processo equo, in ragione del rifiuto delle giurisdizioni greche di riconoscere la forza esecutiva della decisione di giustizia americana. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione di cui la parte pertinente si legge così:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
86. Il Governo contesta questa tesi. Pretende che la sentenza della Corte di cassazione non ha recato offesa al diritto del richiedente ad un processo equo e non ha mancato al suo dovere di proteggere questo diritto, perché questa protezione presupponeva la no-opposizione del contenuto della decisione estera all’ordine pubblico greco. In più, l’articolo 6 § 1 non impongono agli Stati la riconoscenza incondizionata delle decisioni giudiziali estere e le autorità nazionali devono beneficiare di un larghe margino di valutazione in ciò che riguarda l’interpretazione della nozione dell’ordine pubblico e dei buoni costumi.
87. Il richiedente ribatte che l’interpretazione da parte delle giurisdizioni interne delle nozioni suddette non deve essere diventata in modo arbitrario e sproporzionata, ma deve fondarsi su dei criteri precisi, tenendo conto delle condizioni e dei valori sociali di ogni epoca.
A. Sull’ammissibilità
88. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato al senso dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
89. La Corte ricorda che ha giudicato già che in materia di contestazione di cui la conclusione è determinante per i diritti di carattere civile, l’articolo 6 della Convenzione si applica anche all’esecuzione dei giudizi nazionali, Hornsby c. Grecia, sentenza del 19 marzo 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-II che all’esecuzione dei giudizi esteri, Pellegrini c. Italia, no 30882/96, CEDH 2001-VIII.
90. Nello specifico, la Corte nota che il procedimento dinnanzi alle giurisdizioni portava sui diritti di carattere civile del richiedente al senso dell’articolo 6, ossia il suo statuto di bambino adottivo. La Corte stima che la sentenza della Corte di cassazione non saprebbe essere assimilato ad un rifiuto di accordare l’exequatur ad un giudizio estero. Questa era stato accordato da un giudizio della corte d’appello di Atene indipendente al procedimento che si è concluso con la sentenza della corte di appello. Tuttavia, questa sentenza ha reso il perseguimento del procedimento di exequatur privo di ogni fortuna di successo. L’articolo 780 del codice di procedimento civile contempla un certo numero di condizioni che devono essere assolte affinché lo stato greco riconosca la forza esecutiva dei giudizi esteri nell’ordine giuridico interno tra che la condizione del rispetto dell’ordine pubblico. Tuttavia, l’interpretazione da parte del giudice greco della nozione di ordine pubblico non deve essere diventata in modo arbitrario e sproporzionata.
91. Tenuto conto dei testi su che si sono basati la Corte di cassazione per negare di dare effetto alla decisione di adozione, e delle conclusioni della Corte a questo riguardo sotto l’angolo dell’articolo 8 della Convenzione, la Corte considera che il principio di proporzionalità non è stato rispettato neanche sul terreno dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
92. Quindi, c’è stata violazione di questo articolo.
V. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
93. Il richiedente sostiene che il rifiuto della Corte di cassazione di riconoscere lo statuto di figlio adottivo, e di conseguenza i suoi diritti successori, ha costituito un’ingerenza sproporzionata nel suo diritto al rispetto dei beni. Adduce così una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 formula:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
94. Il Governo pretende che non c’è stata violazione di questo articolo, perché la successione del vescovo Timothéos non è mai diventata il patrimonio del richiedente. La speranza di questo ultimo di diventare l’erede del primo non costituire un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 perché nessuna giurisdizione interna l’ha riconosciuto come erede del defunto, mancanza di un’adozione conforme all’ordine pubblico greco. In più, il richiedente sapeva che poiché il vescovo aveva del fratello e sorelle, ogni pretesa da parte sua sull’eredità di questo ultimo era esclusa, se la decisione di adozione non era riconosciuta. In breve, il richiedente aveva un diritto condizionale e ne era cosciente.
95. Il richiedente ribatte che aveva una speranza legittima di ereditare da suo padre adottivo che sarebbe stata fondata sul fatto che per più di una ventina di anni nessuno aveva contestato la sua adozione, sul diritto successorio greco secondo che aveva acquisito automaticamente dei diritti successori fin dalla morte di suo padre adottivo e sul comportamento delle autorità greche che avevano riconosciuto la sua adozione, col giudizio no 7256/1999 della corte d’appello, e gli aveva rilasciato una carta di identità sulla quale raffigurava il nome del padre adottivo.
96. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, un richiedente può addurre una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 solo nella misura in cui le decisioni che incrimina si riferiscono ai suoi “beni” al senso di questa disposizione. La nozione di “beni” previsti dalla prima parte dell’articolo 1 del Protocollo no 1 ha una portata autonoma che è indipendente rispetto alle qualifiche formali del diritto interno, Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, § 100, CEDH 2000-I. Tuttavia, l’articolo 1 del Protocollo no 1 non garantisce il diritto di acquisire la proprietà tramite successione ab intestato o di liberalità, Marckx c. Belgio, sentenza del 13 giugno 1979, serie A no 31, § 50, ed Inze c. Austria, sentenza del 28 ottobre 1987, serie Ha no 126, § 37.
A. Sull’ammissibilità
97. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato al senso dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
98. Nello specifico, la Corte rileva che il 3 giugno 2000, il richiedente ha chiesto alla corte d’appello di Syros di revocare il certificato di erede riconoscente come eredi il tre fratello e sorelle di suo padre adottivo e di attestare che era egli l’unico erede. Il tribunale ha ordinato provvisoriamente l’interdizione dell’uso di questo certificato col fratello e sorelle. Ha sospeso il procedimento principale nell’attesa della decisione sull’azione introdotta dalla Sig.ra E.M. il 31 maggio 2001 di Atene che tende a riconoscere che la decisione no 60318 del tribunale americano non aveva autorità di cosa giudicata in Grecia.
99. La Corte nota che il richiedente è stato adottato nel 1984 in virtù di una decisione di giustizia americana che ha ricevuto inizialmente l’exequatur in Grecia con giudizio della corte d’appello di Atene del 24 dicembre 1999. Avvalendosi così della sua qualità di erede seguito al decesso di suo padre adottivo, il richiedente ha chiesto alla corte d’appello di Syros di revocare una decisione che riconosce il fratello e sorelle di suo padre adottivo come eredi e di attestare che era egli l’unico erede. Il tribunale ha rinviato il procedimento nell’attesa di una decisione in un altro procedimento nella quale la sorella del vescovo Timothéos contestava la validità in Grecia dell’atto di adozione.
100. La Corte rileva che la Corte di cassazione ha sottolineato che la decisione concernente la riconoscenza dell’adozione doveva decidere anche la questione dei diritti successori delle parti. La corte d’appello di Atene aveva, in modo più precisa, sottolineato questo nel suo giudizio del 8 maggio 2001, considerando che al caso dove l’applicazione della decisione di adozione e dei suoi effetti aveva un’incidenza sui diritti successori delle persone riguardate, la questione di sapere se l’adozione urtava l’ordine pubblico doveva essere decisa nella cornice di un’azione declaratoria.
101. La Corte ricorda che non è chiamata, in principio, a regolare delle dispute puramente private. Ciò essendo, nell’esercizio del controllo europeo che gli spetta, non saprebbe restare inerte quando l’interpretazione fatta da una giurisdizione nazionale di un atto giuridico, che si trattasse di una clausola testamentaria, di un contratto privato, di un documento pubblico, di una disposizione legale o ancora pratica amministrativa, appare come essendo irragionevole, arbitrario o, siccome nello specifico, in flagrante contraddizione coi principi sottostanti alla Convenzione, Larkos c. Cipro [GC], no 29515/95, §§ 30-31, CEDH 1999-I e Pla e Puncernau c. Andorra, precitato, § 59.
102. Ora, come la Corte ha constatato esaminando la violazione addotta dell’articolo 8, la Corte di cassazione ha concluso che la decisione di adozione urtava l’ordine pubblico greco che saprebbe ammettere solamente un uomo di chiesa possa procedere ad un’adozione. La Corte ha considerato allora che i testi su cui la Corte di cassazione si era basata erano di natura ecclesiastica, datavano 7 e 9 secolo ed erano interpretati dalla Corte di cassazione di un modo che non corrispondeva al diritto positivo che esiste al momento dei fatti e riflesso dall’articolo 3 della legge 1250/1982. Questa disposizione abrogava un articolo del codice civile che vietava ai monaci sposarsi. Di conseguenza, ed supponendo anche che il padre adottivo del richiedente potesse essere considerato come avente avuto lo statuto di monaco, niente impediva, in teoria e nei fatti, a questo ultimo di adottare nel 1984 negli Stati Uniti o in Grecia ed al richiedente di rivendicare i diritti che risultavano dall’atto di adozione. A questo proposito, la Corte constata che nella dichiarazione fatta in vista della determinazione dell’atto di adozione, OMISSIS aveva dichiarato la sua volontà di adottare il richiedente per avere un figlio legittimo che avrebbe ereditato i suoi beni.
103. Ora, l’interpretazione e l’applicazione del diritto interno, fatta dalle giurisdizioni greche ed in particolare dalla Corte di cassazione nello specifico, ha avuto per effetto di privare il richiedente del suo diritto alla successione di suo padre adottivo. La Corte reitera che un bambino che è stato oggetto di un’adozione-che è più di un’adozione plenaria – si trova nella stessa posizione giuridica che se fosse statao il bambino biologico dei suoi genitori, e ciò ad ogni riguardo: relazioni e conseguenze legate alla sua vita di famiglia e diritti patrimoniali che ne derivano, Pla e Puncernau c. Andorra, precitata, § 61.
104. La Corte stima così come il rifiuto delle giurisdizioni interne di riconoscere la validità dell’adozione in Grecia e dunque la qualità di erede che ne derivava, costituisce un’ingerenza nel suo diritto al rispetto dei beni che, tenuto conto della conclusione alla quale è arrivata sul terreno dell’articolo 8, paragrafo 76 sopra, è anche incompatibile con questo diritto. Tale conclusione la dispensa dal ricercare se un giusto equilibrio è stato mantenuto tra le esigenze dell

Testo Tradotto

Conclusion Violation de l’art. 8 ; Violation de l’art. 14+8; Violation de l’art. 6 ; Violation de P1-1 ; Satisfaction équitable réservée
PREMIÈRE SECTION
AFFAIRE NEGREPONTIS-GIANNISIS c. GRÈCE
(Requête no 56759/08)
ARRÊT
(Fond)
STRASBOURG
3 mai 2011
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Negrepontis-Giannisis c. Grèce,
La Cour européenne des droits de l’homme (première section), siégeant en une chambre composée de :
Nina Vajić, présidente,
Christos Rozakis,
Peer Lorenzen,
Khanlar Hajiyev,
George Nicolaou,
Mirjana Lazarova Trajkovska,
Julia Laffranque, juges,
et de André Wampach, greffier adjoint de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 5 avril 2011,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 56759/08) dirigée contre la République hellénique et dont un ressortissant de cet Etat, OMISSIS (« le requérant »), a saisi la Cour le 13 novembre 2008 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par Me OMISSIS, avocat à Athènes. Le gouvernement grec (« le Gouvernement ») est représenté par les délégués de son agent, M. M. Apessos, conseiller auprès du Conseil juridique de l’Etat, M. K. Georgiadis, assesseur auprès du Conseil juridique de l’Etat, et Mme M. Yermani, auditrice auprès du Conseil juridique de l’Etat.
3. Le requérant allègue en particulier une violation de son droit au respect de sa vie privée et familiale, garanti par l’article 8 de la Convention.
4. Le 6 novembre 2009, la présidente de la première section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le requérant est né en 1964 et réside à Athènes.
6. Le requérant entretenait depuis son enfance des rapports très étroits avec son oncle, le frère de sa mère et membre du clergé, lequel portait avant son ordination le nom de OMISSIS, rebaptisé « Timothéos » par son ordinant. En raison de sa moralité et de son rôle spirituel, OMISSIS avait toujours été un modèle pour le requérant.
7. En 1981, à l’âge de dix-sept ans, le requérant alla faire ses études aux Etats-Unis, à l’université de l’Etat de Wayne, où il demeura jusqu’en 1985. Pendant toutes ses études, le requérant résida au domicile de son oncle, à Détroit dans le Michigan, où OMISSIS avait été nommé évêque.
8. Durant leur vie commune aux Etats-Unis, un puissant lien filial se développa entre le requérant et son oncle qu’ils voulurent sceller par une mesure d’adoption.
9. Le 8 mai 1984, le requérant, âgé de vingt ans, et son oncle, âgé de soixante ans, déposèrent au tribunal de Wayne des mémoires-déclarations par lesquels ils motivaient leur décision et le requérant y exprimait son consentement. Son oncle signa cette déclaration en sa qualité d’évêque.
10. OMISSIS déclarait sa volonté d’adopter le requérant afin d’avoir un fils légitime qui hériterait de sa fortune, de ses mémoires, de sa grande collection de manuscrits et de textes religieux et poétiques. Il souhaitait assurer la pérennité de son nom de famille doté d’une grande tradition et d’honneur dans l’histoire grecque et mondiale. De son côté, le requérant déclarait vouloir renforcer le lien affectif qui le liait à son oncle et prendre soin de lui dans sa vieillesse. Il affirmait qu’il était très honoré de porter et perpétuer le nom de son père adoptif.
11. La juge Y.G.B. confia à une assistante sociale la tenue d’une enquête sur l’opportunité d’une telle adoption, comme prévu par la législation américaine en la matière.
12. Le 9 mai 1984, le requérant et son père adoptif se présentèrent devant le juge mandaté à cet effet pour témoigner et répondre à ses questions sur l’adoption. Le même jour, le requérant signa par-devant le juge la déclaration de consentement à son adoption par son oncle. A l’issue de cette procédure, le 28 juin 1984, la juge Y.G.B. prit la décision d’adoption no 60318. Le procès-verbal d’adoption et l’ordonnance d’adoption furent établis le même jour. N’ayant pas été frappée d’appel, la décision no 60318 devint irrévocable.
13. Juste après l’adoption, le 28 juin 1984, le Service de santé publique du Michigan établit un acte de naissance ajoutant au nom de famille du requérant, le nom de son père adoptif.
14. Depuis le retour du requérant en Grèce en 1985, et jusqu’en 1996 lors du retour définitif de son père adoptif en Grèce, le requérant lui rendait régulièrement visite aux Etats-Unis. De même le père adoptif venait tous les ans en Grèce pour rendre visite au requérant, en particulier pour partager avec lui les deux mois d’été. En 1997, le père adoptif du requérant bénit son mariage en officiant lui-même la cérémonie.
15. Le père adoptif du requérant décéda le 11 décembre 1998 à Athènes.
16. Par un jugement rendu à une date non précisée en 1999, le tribunal de grande instance de Syros, saisi par Mme E.M., sœur du père adoptif du requérant, reconnut que ses héritiers étaient ses trois frère et sœurs en indivision et établit un certificat d’héritier en leur faveur. Deux des trois héritiers déclarèrent accepter la succession et cette acceptation fut consignée dans les livres du bureau des hypothèques de l’île de Paros.
17. Le 24 décembre 1999, sur demande du requérant, le tribunal de grande instance d’Athènes rendit un jugement (no 7256/1999) reconnaissant que la décision américaine no 60318 relative à l’adoption avait force de chose jugée en Grèce et qu’elle produisait pleinement ses effets sur son territoire. Le tribunal précisa qu’il n’existait aucune raison de refuser une telle reconnaissance car la décision américaine n’était pas contraire à l’ordre public grec et aux bonnes mœurs. Suite au jugement précité, le requérant initia une procédure de changement de nom – de OMISSIS –ce qui fut effectué par une décision du préfet d’Athènes du 4 août 2001. Par la suite et à la demande du requérant, l’Etat lui délivra, le 10 septembre 2003, une carte d’identité sur laquelle figurait le nom de famille « OMISSIS», le nom « OMISSIS» précédant le nom de famille de son père biologique. Par ailleurs, sur sa pièce d’identité OMISSIS était indiqué comme étant son père.
18. Le 26 juin 2000, les frère et sœurs de OMISSIS, à l’exception de la mère du requérant, formèrent une tierce opposition contre le jugement no 7256/1999. Le requérant reçut une copie de cette opposition les 3 et 13 juillet 2000. Par un jugement du 8 mai 2001, le tribunal de grande instance d’Athènes accueillit partiellement la tierce opposition et annula ce jugement. Le tribunal de grande instance releva que la décision américaine, qui réglait une question d’adoption, était valable en Grèce sans aucune autre formalité ou procédure. Cependant au cas où l’application de cette décision et les effets qu’elle produisait avaient une incidence sur les droits de ceux qui formaient la tierce opposition (tels les droits de succession), la question devait être tranchée dans le cadre d’une action déclaratoire afin de vérifier si les conditions de l’article 780 du code de procédure civile étaient réunies. Le tribunal conclut que l’opposition devait être accueillie dans la mesure où elle visait le jugement no 7256/1999 qui avait été adopté sans que les demandeurs aient pu y participer en tant que parties alors qu’ils avaient un intérêt légal. Il rejeta la tierce opposition dans la mesure où elle visait à obtenir que celui-ci constate que les conditions de l’article 780 du code de procédure civile n’étaient pas réunies en l’espèce, et affirma que cette question devait être examinée dans le cadre d’une action déclaratoire.
19. Le 29 mai 2000, le requérant signifia à sa tante, Mme E.M., un document l’informant de la décision de la juge américaine Y.G.B. et dans lequel il prétendait être le seul héritier ab intestat de son père adoptif. Le 3 juin 2000, le requérant demanda au tribunal de grande instance de Syros de révoquer le certificat d’héritier reconnaissant comme héritiers les trois frère et sœurs de son père adoptif et d’attester que c’était lui l’unique héritier. Le tribunal ordonna provisoirement l’interdiction de l’usage de ce certificat par les frère et sœurs. Il suspendit la procédure principale dans l’attente de la décision sur l’action introduite par Mme E.M. le 31 mai 2001 (paragraphe 20 ci-dessous).
20. Le 31 mai 2001, Mme E.M. introduisit une action en justice auprès du tribunal de grande instance d’Athènes tendant à reconnaître que la décision no 60318 du tribunal américain n’avait pas autorité de chose jugée en Grèce. Mme E.M. soutenait que le père adoptif du requérant avait reçu la tonsure monastique le 7 mars 1950 et qu’en raison de cet état, il n’avait pas la capacité d’adopter le requérant. Elle soutenait, en outre, que son frère et sa sœur étaient, avec elle, les seuls héritiers du défunt.
21. Par un jugement du 25 avril 2002, le tribunal de grande instance débouta Mme E.M., considérant que l’adoption par un moine n’était pas interdite par le droit grec. Le tribunal statua ainsi :
« (…) les moines de l’Eglise Orthodoxe Orientale sont capables d’adoption, étant donné qu’aucune disposition du code civil ou d’autre loi spécifique ne l’interdit. Après l’abrogation (…) de l’empêchement de mariage des moines orthodoxes (ancien article 1364 du code civil) les moines sont désormais capables de contracter mariage, de fonder une famille, y compris par adoption, et maintiennent donc leur capacité d’accomplir des actes juridiques. Il n’est pas concevable d’avoir la capacité de fonder une famille par le mariage et de l’interdire par l’adoption.
(…)
Les conséquences de cette décision litigieuse, au moyen de laquelle l’adoptant, évêque tonsuré moine, a adopté le défendeur (le fils de sa sœur) ne peuvent être considérées, selon le tribunal, contraires aux principes et règles d’ordre public en vigueur en Grèce ; il est admis, d’après ce qui précède, que même en cas d’application du droit matériel grec, le défendeur aurait été adopté par l’évêque, son oncle (en Amérique) tonsuré moine, Timothéos. Ce point de vue est également corroboré par le fait que l’état personnel de l’individu doit être stable, qu’il doit être le même dans le plus grand nombre de pays. »
22. Mme E.M. interjeta appel contre ce jugement devant la cour d’appel d’Athènes.
23. Par un arrêt du 18 décembre 2003, la cour d’appel donna gain de cause à Mme E.M. Elle jugea qu’il était interdit à un moine d’effectuer des actes juridiques ayant un rapport avec des activités séculières, tels que l’adoption, car celle-ci était incompatible avec la vie monacale et contraire aux principes d’ordre public grec. Plus précisément, elle s’exprima ainsi :
« (…) lors de la tonsure monacale, le moine de l’Eglise Orthodoxe Orientale fait sa promesse ou sa confession monastique, qui comprend les vœux de chasteté, d’obéissance et de pauvreté. Ces vœux engagent le moine durant toute sa vie, étant donné que, hormis le cas de changement de dogme ou de religion, l’état de moine ne peut être annulé, même pas sous forme de sanction prononcée par un tribunal ecclésiastique. La tonsure assimile le moine à un défunt, en conséquence de quoi sa succession est ouverte et, en vertu de dispositions spécifiques du droit ecclésiastique, il lui est interdit d’assumer des fonctions séculières. En outre, l’incapacité du moine à accomplir ses obligations financières, voire les obligations morales qui émanent de l’autorité parentale, en raison de son état et des tâches que cet état génère, associée au fait qu’il doit s’abstenir des tâches temporelles, plaident en faveur du point de vue selon lequel il lui est défendu d’adopter. En tout état de cause, l’adoption réalisée par un moine de l’Eglise Orthodoxe Orientale est contraire à l’ordre public grec, s’opposant à des principes et des conceptions d’ordre public qui régissent la vie en Grèce. »
24. Le 2 mai 2004, le requérant se pourvut en cassation.
25. Dans ses observations, entre autres, il contestait les droits successoraux des frère et sœurs de son père adoptif et invoquait la question de la succession de son père.
26. Par un arrêt du 22 février 2006, la septième chambre de la Cour de cassation rejeta le pourvoi. Elle souligna, entre autres, que la reconnaissance ou non de la décision d’adoption aurait des incidences sur la question des droits successoraux des parties. Elle renvoya cependant à la formation plénière de celle-ci la question de savoir si l’adoption par un moine s’opposait à l’ordre public grec.
27. Dans ses observations devant la formation plénière, le requérant soutenait qu’une décision judiciaire, qui écarterait la validité d’une adoption au motif qu’elle était contraire à l’ordre public, serait en contradiction avec l’article 8 de la Convention. Comme devant les juridictions inférieures, le requérant soulignait que le respect du principe de l’autorité de la chose jugée de la décision d’adoption empêchait qu’elle soit attaquée après toutes ces années.
28. Par un arrêt du 15 mai 2008, par seize voix contre huit, la formation plénière de la Cour de cassation répondit par l’affirmative à cette question, en ces termes :
« (…) conformément au 6ème canon apostolique, au 3ème canon du Septième concile œcuménique et au 11ème canon du concile prime-second ainsi qu’aux traditions sacrées, les moines ne peuvent adopter d’enfant, car l’adoption entraîne la prise en charge de tâches temporelles, expressément interdites par le 3ème canon fondamental du 4ème concile œcuménique de Chalcidone, les canons apostoliques 6, 81 et 83 et le 45ème canon du concile quinisexte. Selon ces canons, ceux qui ont acquis l’état de moine, ainsi que ceux d’entre eux qui appartiennent à un quelconque degré de l’ordre clérical, sont totalement écartés de toute tâche temporelle, puisque les « moines n’ont pas de lien sur la terre, aspirant à la vie des cieux », ayant abandonné « le monde et ses biens ». (…) Il résulte de ce qui précède que l’interdiction d’adoption pour un moine, fondée sur les canons apostoliques et les traditions sacrées, concerne également le moine ordonné clerc et consacré évêque. Eu égard au contenu des vœux monastiques, les canons apostoliques et synodaux ainsi que les traditions, qui interdisent aux moines et aux moines ordonnés clercs d’assumer des tâches temporelles, constituent, d’après les conceptions religieuses et morales de la religion de l’Eglise Orthodoxe Orientale du Christ, des règles d’ordre public. La reconnaissance donc de la force de chose jugée ou de l’autorité d’un jugement étranger en Grèce, qui admet l’adoption réalisée par un moine ou un évêque, issu de l’ordre monacal, se heurte à l’ordre public international de l’article 33 du code civil et n’est pas autorisée. »
Les textes des canons apostoliques mentionnés ci-dessus remontent aux 7e et 9e siècles.
29. Selon les juges dissidents, il n’existait aucune disposition de loi nationale interdisant à un moine ou à un membre du clergé, tous degrés confondus, et par conséquent, à un évêque, de procéder à une adoption. L’adoption réalisée par un évêque, même si celui-ci est issu de l’ordre monacal, ne peut pas être considérée comme étant contraire à l’ordre public grec, car l’avis selon lequel une telle adoption serait impossible ne se fondait pas sur une disposition de loi explicite. Par ailleurs, cette question donnait lieu à de fortes dissensions au sein de la communauté juridique, les deux points de vue étant défendus, et par conséquent ne se heurtait pas à une règle ou à un principe d’une importance fondamentale majeure et reflétant une conviction sociale et religieuse ferme qui régisse la vie en Grèce. En outre, les relations développées à l’étranger, hors du cadre de l’ordre juridique national, pouvaient rarement porter atteinte aux convictions fondamentales nationales. L’application d’une lex causae étrangère ne pouvait être empêchée que dans des cas exceptionnels. S’agissant des questions qui portaient sur la vie privée d’un individu, il fallait tenir compte tant de l’article 8 de la Convention, que de l’article 3 de la Constitution (qui proclame que la religion dominante en Grèce est celle de l’église orthodoxe orientale) et de ses articles 5 et 13, qui garantissent respectivement le droit de développer librement sa personnalité et la liberté de conscience religieuse.
30. La formation plénière de la Cour de cassation renvoya l’affaire devant la deuxième chambre de celle-ci pour qu’elle statue sur le quatrième moyen du pourvoi du requérant, tiré du défaut de prise en compte de l’argument selon lequel le père adoptif du requérant s’était désisté de l’ordre monacal.
31. Par un arrêt du 4 août 2009, la deuxième chambre rejeta le moyen par le motif suivant :
« (…) puisque la cour d’appel a admis que le père adoptif du requérant était moine et que la formation plénière a jugé que l’adoption effectuée par un moine est contraire à l’ordre public, même si celui-ci s’est désisté de l’ordre monacal, le moyen en question est rejeté comme inopérant et est de ce fait irrecevable. »
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
32. L’article 780 du code de procédure civile dispose :
« (…) une décision d’un tribunal étranger a, en Grèce, sans aucune autre procédure, l’effet que lui reconnaît le droit de l’Etat du tribunal qui l’a rendue, lorsque les conditions suivantes sont réunies :
1) si la décision a appliqué la loi qui devait être appliquée en vertu du droit grec et a été rendue par le tribunal compétent selon le droit de l’Etat (…).
2) si elle n’est pas contraire aux bonnes mœurs ou à l’ordre public. »
33. L’ancien article 1364 du code civil était ainsi libellé :
« Est prohibé le mariage des membres du clergé de tout rang et des moines de l’Eglise Orthodoxe Orientale. »
34. L’article 3 de la loi no 1250/1982 instituant le mariage civil a supprimé, entre autres, l’article 1364.
35. Le rapport explicatif de cette loi précisait que l’institution du mariage civil imposait la suppression de certains empêchements qui étaient exclusivement liés au dogme de l’Eglise Orthodoxe Orientale et ne correspondaient à aucun besoin social. Ces empêchements ne pouvaient plus être valables vis-à-vis l’Etat. La question de savoir si le mariage était ou non permis pour les membres du clergé et les moines relevait de la compétence exclusive de l’Eglise.
36. Les articles pertinents du code civil en matière de succession se lisent ainsi :
Article 1193
« Est également transcrite au bureau des transcriptions de la région où est situé le bien toute acceptation de succession ou de legs lorsque, en vertu de cette acceptation, l’héritier ou le légataire acquiert un immeuble dépendant de la succession (…). »
Article 1198
« A défaut de transcription, dans les cas où celle-ci est requise suivant les articles 1192 et 1193, le transfert de la propriété de l’immeuble, ainsi que la constitution, le transfert ou la suppression d’un droit réel sur celui-ci, ne s’opèrent point. »
Article 1846
« L’héritier acquiert la succession de plein droit dès le moment de sa dévolution, sous réserve de la disposition de l’article 1198. »
Article 1871
« L’héritier a le droit d’exiger de celui qui détient, à titre d’héritier, des objets appartenant à la succession (…) la reconnaissance de son droit successoral et la restitution de l’héritage ou d’un objet de celui-ci. »
EN DROIT
37. Le requérant se plaint de la violation des articles 6, 8 et 14 de la Convention et de l’article 1 du Protocole no 1 du fait de la non reconnaissance de la décision d’adoption.
I. SUR L’OBJECTION DE NON–EPUISEMENT DES VOIES DE RECOURS INTERNES
38. A titre principal, le Gouvernement excipe du non-épuisement des voies de recours internes. Il soutient qu’il ressort des observations du requérant devant les juridictions nationales qu’à aucun stade de la procédure celui-ci ne s’est référé, même de manière générale et abstraite, aux droits garantis par la Convention qu’il invoque maintenant devant la Cour. Les allégations du requérant étaient fondées sur le droit interne et nullement aux articles 6, 8 et 14 de la Convention et à l’article 1 du Protocole no 1. Le fait que le requérant se référait dans ses observations à « Timothéos » comme « mon père adoptif », le rappel des dispositions relatives à la succession de moines et la contestation de la décision de la cour d’appel quant à la question de savoir si l’ordre juridique grec permet l’adoption par un moine, ne peuvent constituer en aucun cas une invocation des droits protégés par la Convention.
39. A supposer même que les juridictions grecques aient pu, voire dû, examiner d’office le litige sous l’angle de la Convention, cela ne saurait dispenser le requérant de s’appuyer devant elles sur ce traité ou de leur présenter des moyens d’effet équivalent ou similaire et attirer ainsi leur attention sur le problème dont il entendait saisir après coup, au besoin, la Cour.
40. Le Gouvernement soutient, en outre, que le requérant n’a pas exercé devant les juridictions grecques les voies de recours appropriées qui auraient permis d’examiner, indépendamment de la validité de la décision américaine, s’il existait entre le requérant et son oncle une relation père et fils ou de se pencher sur des questions de succession. En particulier, il souligne que le requérant n’a pas soumis aux juridictions grecques les faits nécessaires pour prouver qu’un lien méritant protection sous l’angle de l’article 8 de la Convention s’était développé entre lui et son oncle. L’avis de la minorité de la Cour de cassation fait une simple référence à cet article et ne dit pas qu’il a été violé, car de toute manière la haute juridiction ne pouvait pas examiner des questions liées aux faits de la cause. De plus, sur le terrain de l’article 1 du Protocole no 1, la référence à la succession de OMISSIS est faite dans le cadre de l’examen de l’action de sa sœur. Les juridictions grecques n’ont pas été saisies par le requérant lui-même d’une action fondée sur l’article 1871 du code civil, ce qui aurait, entre autres, permis d’examiner si le requérant avait une espérance légitime quant à la succession de OMISSIS.
41. Le requérant soutient qu’il a systématiquement soulevé en substance devant les juridictions internes les griefs qu’il a présentés par la suite devant la Cour. Il précise que l’objet du litige l’opposant à Mme E.M. concernait l’exécution en Grèce de la décision américaine d’adoption. Par conséquent, il était obligé de présenter ses griefs dans les limites du litige en question. Tout en restant dans l’objet du litige, il a soulevé à maintes reprises devant toutes les juridictions internes, soit expressément soit en substance, tous les griefs relatifs à la Convention.
42. La Cour rappelle que la règle de l’épuisement des voies de recours internes doit s’appliquer avec une certaine souplesse et sans formalisme excessif, mais elle n’exige pas seulement la saisine des juridictions nationales compétentes et l’exercice de recours destinés à combattre une décision litigieuse déjà rendue qui viole prétendument un droit garanti par la Convention : elle oblige aussi, en principe, à soulever devant ces mêmes juridictions, au moins en substance et dans les formes et délais prescrits par le droit interne, les griefs que l’on entend formuler par la suite au niveau international (voir, parmi beaucoup d’autres, Fressoz et Roire c. France [GC], no 29183/95, § 37, CEDH 1999-I ; Azinas c. Chypre [GC], no 56679/00, § 38, CEDH 2004-III).
43. En ce qui concerne le grief relatif à l’article 8, la Cour note d’entrée que la procédure litigieuse visant à faire déclarer l’adoption du requérant contraire aux bonnes mœurs et à l’ordre public a un lien direct avec cet article. De plus, le requérant l’a expressément invoqué devant la formation plénière de la Cour de cassation. Si cette juridiction n’a pas eu besoin de s’y référer pour les besoins de la motivation de son arrêt, dans son opinion dissidente, la minorité l’a fait. De même, concernant la question de la discrimination alléguée en tant qu’enfant adoptif, le requérant a soulevé en substance ce grief devant les juridictions internes. La Cour relève à cet égard que le tribunal de grande instance a jugé que puisque l’ordre juridique grec reconnaît le lien parental entre un moine et son enfant naturel, il ne saurait refuser de le faire pour le même lien issu d’un acte d’adoption.
44. Quant au grief relatif à l’article 6, la question de l’exécution en Grèce de la décision américaine d’adoption constituait l’objet même du litige devant le juge interne et le requérant a soutenu que le respect du principe de l’autorité de la chose jugée de la décision d’adoption empêchait que celle-ci soit mise en cause après toutes ces années.
45. Enfin, au sujet du grief tiré de la violation de son droit au respect des biens, la Cour note que le requérant a lié le sort du litige concernant l’exécution de la décision d’adoption à la reconnaissance de ses droits successoraux, a contesté les droits successoraux des frère et sœurs de son père adoptif et a invoqué la question de la succession de OMISSIS dans le cadre de la discussion sur sa qualité de moine. L’action de l’article 1871 invoquée par le Gouvernement concerne, selon son libellé, l’héritier d’une personne, qualité que le requérant ne pouvait pas avoir tant que la décision d’adoption n’était pas reconnue en Grèce. A cet égard, la Cour rappelle que dans l’arrêt Marckx c. Belgique (arrêt du 13 juin 1979, série A no 31, § 52), elle a jugé que le domaine des successions – et des libéralités – entre proches parents apparaît intimement associé à la vie familiale. Celle-ci ne comprend pas uniquement des relations de caractère social, moral ou culturel, mais englobe aussi des intérêts matériels (voir aussi Pla et Puncernau c. Andorre, no 69498/01, § 60, ECHR 2004-VIII).
46. Ainsi, la Cour estime que dans le cadre du litige tel qu’il s’est déroulé devant les juridictions grecques, le requérant a rendu celles-ci attentives à des impératifs de sécurité juridique et de non-discrimination qui se reflètent aussi dans la Convention. Sans s’appuyer en termes exprès sur cette dernière, il puisa dans le droit interne de son pays des arguments qui équivalaient à dénoncer, en substance, une atteinte aux droits garantis par les articles 6, 8 et 14 de la Convention et 1 du Protocole no 1 ; il leur a donné alors l’occasion d’éviter ou de redresser les violations alléguées, conformément à la finalité de l’article 35 § 1.
Partant, il convient de rejeter l’exception.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 DE LA CONVENTION
47. Le requérant se plaint d’une violation de son droit au respect de sa vie privée et familiale. Mis à part l’aspect légal de l’adoption, il soutient avoir créé des liens familiaux très forts avec son père adoptif, qui méritent d’être protégés par l’article 8. Outre la privation de ses droits successoraux, le refus de la reconnaissance de son adoption par les tribunaux grecs ont conduit à la négation et à l’annulation de son statut de fils de son père adoptif, ce qui bouleverse sa vie personnelle et sociale menée pendant 24 ans. Cela entraîne aussi la négation de son droit de porter le nom de famille de son père adoptif qu’il utilise dans toutes ses relations sociales et professionnelles ; ce nom est également celui utilisé par ses enfants auxquels il aura du mal à expliquer la modification de leur situation personnelle qui pourrait résulter de l’arrêt de la Cour de cassation. Le requérant invoque l’article 8 de la Convention, ainsi libellé :
« 1. Toute personne a droit au respect de sa vie privée et familiale, de son domicile et de sa correspondance.
2. Il ne peut y avoir ingérence d’une autorité publique dans l’exercice de ce droit que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu’elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire à la sécurité nationale, à la sûreté publique, au bien-être économique du pays, à la défense de l’ordre et à la prévention des infractions pénales, à la protection de la santé ou de la morale, ou à la protection des droits et libertés d’autrui. »
A. Sur la recevabilité
48. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Sur l’existence d’une ingérence
49. Le Gouvernement conteste l’existence d’un lien fils-père entre le requérant et OMISSIS et allègue qu’ils ne dépassent pas les liens existant entre un oncle et son neveu. Ni l’un ni l’autre ont tenté de faire reconnaître en Grèce la décision américaine d’adoption pendant des années, ce qui signifie qu’ils ne s’intéressaient pas à faire connaître le lien familial résultant de l’adoption. Le requérant a manifesté un tel intérêt lorsque a surgi la question de la succession. Le Gouvernement allègue aussi que la relation du requérant avec OMISSIS n’était pas apparente aux tiers, puisque sa tante et son oncle se sont considérés eux-mêmes héritiers de son père adoptif. Les préjudices allégués du requérant seraient des prétextes et celui-ci aurait sciemment modifié son nom en cherchant à créer des faits accomplis. Quant au nom de ses enfants, il ne peut être modifié selon la législation grecque, qu’avec l’accord de leurs deux parents.
50. Plus particulièrement, le Gouvernement soutient que le requérant ne prouve pas qu’il existait entre lui et OMISSIS des liens familiaux étroits et, encore moins, un lien père-fils. Le requérant ne démontre pas qu’après 1984, les liens avec ses parents biologiques étaient coupés, ni que l’intérêt et les sentiments que nourrissait à son égard son père adoptif étaient plus forts que ceux que celui-ci avait en tant qu’oncle. Personne jusqu’à présent n’a tenté de modifier le nom du requérant en faisant enlever celui de « Négrépontis ». Le requérant a procédé à la modification de son nom après le décès de son père adoptif, alors que le contentieux avec sa tante était pendant. De toute manière, le requérant a essayé de créer un fait accompli en se faisant établir une nouvelle carte d’identité en 2003 au nom de « Négrépontis-Giannisis », alors que le jugement reconnaissant l’adoption avait déjà été infirmé. Si le requérant était tellement préoccupé de faire usage du nom « Négrépontis », il aurait tenté de faire reconnaître la décision américaine beaucoup plus tôt et non au moment où la question de la succession de son oncle s’est posée.
51. Enfin, le Gouvernement soutient que le préjudice du requérant concernant ses enfants n’est qu’un prétexte. Ses enfants n’ont jamais connu OMISSIS, décédé avant leur naissance, et ils n’ont pas pu développer avec lui des relations de petits-enfants et grand-père. Le seul grand-père qu’ils connaissaient était le père biologique du requérant avec lequel les liens n’étaient pas coupés. Quant au dommage allégué par le requérant en cas de naissance d’un troisième enfant qui porterait un nom différent des autres enfants, elle se réfère à un événement incertain.
52. Le requérant souligne que le critère pour l’existence d’une relation père et fils n’est pas quantitatif, comme le prétend le Gouvernement, mais qualitatif. En effet, il existait une vraie relation père-fils entre le requérant et son père adoptif qui allait au-delà de l’intérêt normal d’un oncle pour son neveu. De plus, cette relation ne conditionne pas l’interruption des liens entre le requérant et ses parents biologiques. Le requérant a été adopté en tant qu’adulte par son père adoptif et l’interruption des liens avec ses parents biologiques n’était pas nécessaire pour l’établissement de relation père-fils avec son père adoptif.
53. Le requérant soutient, en outre, que le changement de son nom a été effectué en même temps que son adoption, le 28 juin 1984, par le Service de santé publique du Michigan. En Grèce, il a initié les procédures du changement juste après la reconnaissance de la décision américaine d’adoption et bien avant la contestation de son adoption par sa tante le 11 juin 2001. Enfin, même si le nom de ses enfants ne changera pas, ceux-ci seront frustrés et subiront un préjudice moral par le fait que celui qu’ils avaient considéré depuis leur naissance comme leur grand-père, ne pourra plus être considéré comme tel.
54. La Cour rappelle que l’article 8 de la Convention tend pour l’essentiel à prémunir l’individu contre des ingérences arbitraires des pouvoirs publics ; il engendre de surcroît des obligations positives inhérentes à un « respect » effectif de la vie familiale. Dans un cas comme dans l’autre, il faut avoir égard au juste équilibre à ménager entre les intérêts concurrents de l’individu et de la société dans son ensemble ; de même, dans les deux hypothèses, l’Etat jouit d’une certaine marge d’appréciation (Pini et autres c. Roumanie, nos 78028/01 et 78030/01, § 149, CEDH 2004-V (extraits)).
55. La Cour rappelle, en outre, que dans cet arrêt Pini (§§ 140 et 142), elle a jugé que bien que le droit d’adopter ne figure pas en tant que tel au nombre des droits garantis par la Convention, les relations entre un adoptant et un adopté sont en principe de même nature que les relations familiales protégées par l’article 8. L’adoption confère à l’adoptant les mêmes droits et obligations à l’égard de l’adopté que ceux d’un père ou d’une mère à l’égard de son enfant légitime. La Cour note aussi que les droits successoraux entre enfants et parents sont si étroitement liés à la vie familiale qu’ils tombent sous l’empire de l’article 8 (Marckx c. Belgique, 13 juin 1979, § 51). Enfin, le nom d’une personne – comme moyen d’identification personnelle et de lien avec une famille – constitue un élément de sa vie privée et familiale (Znamenskaya c. Russie (no 77785/01, 2 juin 2005, § 23).
56. La Cour note qu’en l’espèce, elle est en présence d’un acte d’adoption reflétant la volonté des deux adultes, exprimée par écrit par chacun d’eux (paragraphe 10 ci-dessus) et ayant engagé une procédure en toute connaissance de cause. Leurs déclarations devant le juge du tribunal de Wayne ainsi que l’enquête menée par l’assistante sociale, à la demande du juge ont convaincu celui-ci de la réalité du lien qui unissait le requérant à son oncle et de l’opportunité de prononcer une décision les déclarant liés par adoption. La Cour ne voit aucune raison de ne pas admettre la réalité d’une vie familiale entre le requérant et son père adoptif et qui a entraîné des conséquences dans la vie du requérant lui-même et de sa famille. Il n’appartient pas à la Cour d’examiner elle-même si une vraie relation père-fils existait entre le requérant et son oncle, ce que le Gouvernement semble mettre en doute à défaut d’une décision des juridictions grecques sur ce point. Pour les besoins de la présente affaire, il lui suffit de constater que les autorités judiciaires américaines avaient émis un acte d’adoption et cet acte était censé produire des effets dans la vie quotidienne du requérant et de sa famille. De plus, il n’a jamais été remis en cause par l’oncle du requérant.
57. Cet acte d’adoption avait des incidences sur l’état civil du requérant car elle concernait sa situation dans sa famille même, mais aussi dans la société. Les décisions judiciaires litigieuses ont mis en cause une relation que deux personnes adultes et consentantes avaient crée pour régir leur sphère de vie privée et familiale.
58. Or, il ne fait pas de doute que la vie privée et familiale du requérant a été perturbée par les refus des juridictions grecques de reconnaître son adoption, ce qui a constitué, de l’avis de la Cour, une ingérence incontestable dans le droit protégé par l’article 8. Le fait que le requérant et son père adoptif n’ont pas entamé en commun une procédure de reconnaissance en Grèce de l’adoption avant le décès de ce dernier et que les frère et sœurs du défunt ont pu ne pas être au courant pendant une période de cette adoption ne peut avoir aucune influence sur le lien juridique et effectif de celle-ci.
59. En outre, la Cour n’estime devoir tirer aucune conclusion, comme l’invite le Gouvernement, de la chronologie des démarches pour obtenir la décision du préfet modifiant le nom de Giannisis à Négrépontis, le 4 avril 2001, ou pour obtenir une nouvelle carte d’identité, le 10 septembre 2003, qui mentionnerait les deux noms. Le changement du nom du requérant ne pouvait avoir aucune incidence sur les questions de succession de OMISSIS lesquelles, selon le Gouvernement, auraient été au cœur des préoccupations du requérant.
60. Enfin, la Cour rappelle aussi que dans l’arrêt Wagner et J.M.W.L. c. Luxembourg (no 76240/01, 28 juin 2007, § 123), elle a affirmé que le refus par les tribunaux luxembourgeois d’accorder l’exequatur d’un jugement étranger d’adoption constituait une ingérence dans le droit au respect de la vie privée et familiale.
2. Sur la justification de l’ingérence
61. Pareille ingérence méconnaît l’article 8 sauf si, « prévue par la loi », elle poursuit un ou des buts légitimes au regard du second paragraphe de cette disposition et est « nécessaire dans une société démocratique » pour les atteindre. La notion de « nécessité » implique une ingérence fondée sur un besoin social impérieux et, notamment, proportionnée au but légitime recherché.
62. Le Gouvernement soutient que l’ingérence était « prévue par la loi » (articles du code de procédure civile relatifs à la reconnaissance des arrêts des tribunaux étrangers, article 33 du code civil sur la non application des dispositions de droit étranger contraires aux bonnes mœurs ou l’ordre public, article 3 de la Constitution sur le caractère dominant de la religion orthodoxe) et nécessaire dans une société démocratique afin de ne pas porter atteinte à certaines règles fondamentales existant en Grèce et reflétant les conceptions sociales, économiques, politiques, religieuses et morales et qui constituent un obstacle à l’application en Grèce des règles du droit étranger.
63. Le Gouvernement souligne que si le droit interne qui règle les questions relatives à la vie de moines et à la succession de ceux-ci semble sévère, il est en harmonie avec le serment que les moines prêtent lorsqu’ils décident de suivre la vie monacale. L’Etat n’impose pas des limitations à la vie privée et familiale de qui que ce soit mais adapte sa législation aux impératifs de la religion orthodoxe qui est la religion dominante en Grèce. Le père adoptif du requérant, qui a pendant toute sa vie servi la vie ecclésiastique en occupant de hautes fonctions connaissait sans aucun doute les impératifs de cette vie et n’avait jamais demandé lui-même la reconnaissance en Grèce de la décision américaine.
64. Enfin, le Gouvernement soutient que la non reconnaissance de la décision américaine visait à préserver la sécurité des transactions. Comme ils n’ont pas été informés de l’existence de l’adoption et comme ni le requérant ni son oncle n’ont tenté de faire reconnaître pendant vingt-quatre ans cette adoption en Grèce, les frère et sœurs de l’oncle du requérant avaient l’espérance légitime d’hériter leur frère et cette espérance était fondée tant sur la réalité biologique que sur le manque de diligence du requérant et de son oncle pendant une si longue période.
65. Le requérant soutient que les règles ecclésiastiques invoquées par le Gouvernement et interprétées par la Cour de cassation ne peuvent être considérées comme une « loi » au sens de la Convention. En outre, elles ne remplissent pas les critères de clarté, de précision et de prévisibilité. Le requérant ajoute que le refus de la Cour de cassation n’était justifié par aucun « besoin social impérieux », sinon l’Etat aurait refusé la reconnaissance avant même que les frère et sœurs de son père adoptif saisissent la justice pour des motifs purement financiers. Le requérant souligne que son père adoptif n’était pas un moine ni ne se considérait comme tel. Il n’a jamais choisi la vie monacale et a clairement exprimé, en adoptant le requérant, sa volonté d’avoir une famille. En tout cas, l’ingérence est manifestement disproportionnée, car vingt-quatre ans après l’adoption, l’Etat prive le requérant de son statut de fils adoptif, de son nom et de ses droits successoraux et cela fondé sur l’allégation que son père adoptif, en demeurant seulement pendant deux jours dans un monastère, est automatiquement devenu moine pour toute sa vie contre sa propre volonté.
66. La Cour note que la Cour de cassation a fondé son refus de reconnaître la force de chose jugée de la décision d’adoption américaine sur les articles 323 § 5, 780 § 2 et 905 §§ 3 et 4 du code de procédure civile (qui reconnaît la force de chose jugée et la force exécutoire d’une décision judiciaire étrangère si elle n’est pas contraire à l’ordre public et les bonnes mœurs), ainsi que l’article 33 du code civil qui prévoit qu’une disposition du droit étranger n’est pas applicable en Grèce si elle se heurte aux bonnes mœurs et à l’ordre public.
67. La Cour ne saurait pas non plus mettre en cause le fait que le refus précité de la Cour de cassation était motivé par le souci de protéger l’ordre public et les bonnes mœurs, ce qui constituait déjà l’objet du renvoi devant la formation plénière de celle-ci. Elle doit en conclure donc que l’ingérence était « prévue par la loi » et poursuivait un « but légitime ».
68. Pour apprécier la « nécessité » des mesures litigieuses « dans une société démocratique », la Cour examinera, à la lumière de l’ensemble de l’affaire, si les motifs invoqués pour les justifier sont pertinents et suffisants aux fins du paragraphe 2 de l’article 8 (voir, parmi d’autres, Kutzner c. Allemagne, no 46544/99, § 65, CEDH 2002-I).
69. La Cour rappelle d’emblée que dans le domaine en litige les Etats contractants jouissent d’une large marge d’appréciation (voir, mutatis mutandis, Stjerna c. Finlande, arrêt du 25 novembre 1994, série A no 299-B, § 39). En outre, la Cour n’a point pour tâche de se substituer aux autorités grecques compétentes pour définir la politique la plus opportune en matière de réglementation d’adoption, mais d’apprécier sous l’angle de la Convention les décisions qu’elles ont rendues dans l’exercice de leur pouvoir d’appréciation (voir, entre autres, Hokkanen c. Finlande, arrêt du 23 septembre 1994, série A no 299-A, § 55, et Stjerna, précité, § 39). L’étendue de la marge d’appréciation varie selon les circonstances, les domaines et le contexte; la présence ou absence d’un dénominateur commun aux systèmes juridiques des Etats contractants peut constituer un facteur pertinent à cet égard (voir, mutatis mutandis, Rasmussen c. Danemark, arrêt du 28 novembre 1984, série A no 87, § 40).
70. En l’espèce, la Cour n’estime pas nécessaire de se prononcer sur la question de savoir si OMISSIS avait été ou non tonsuré moine. Cette question de fait lui semble secondaire en l’occurrence pour prendre sa décision.
71. La Cour attache beaucoup d’importance à la nature des règles sur lesquelles s’est fondée la formation plénière de la Cour de cassation pour déclarer que l’adoption par un moine s’opposait à l’ordre public : le 6ème canon apostolique, le 3ème canon du Septième concile œcuménique, le 11ème canon du concile prime-second , le 3ème canon fondamental du 4ème concile œcuménique de Chalcidone, les canons apostoliques 6, 81 et 83 et le 45ème canon du concile quinisexte. Comme le soutient le requérant, ces règles ne permettent pas que les moines assument des « soins séculiers » et à compter de leur tonsure, ils sont considérés comme des défunts et ils ne peuvent pas adopter.
72. La Cour note que ces règles sont toutes de nature ecclésiastique et datent des septième et neuvième siècles. La formation plénière de la Cour de cassation a fait application de ces règles, alors que l’article 3 de la loi 1250/1982 abrogeant l’article 1364 de l’ancien code civil grec qui interdisait aux moines de se marier, autorise désormais de manière expresse leur droit au mariage. Dans les travaux préparatoires de cette loi, il était mentionné que certains empêchements au mariage, dont l’interdiction du mariage de moines, ne poursuivaient aucune nécessité sociale et ne pouvaient s’appliquer dans l’ordre juridique. La Cout note, en outre, qu’en l’espèce l’adoption est intervenue postérieurement à l’entrée en vigueur de cette loi.
73. A cet égard, la Cour relève aussi l’opinion des juges dissidents de la Cour de cassation selon laquelle il n’existait aucune disposition de loi nationale interdisant à un moine ou à un membre du clergé, tous degrés confondus, et par conséquent, à un évêque, de procéder à une adoption. L’adoption réalisée par un évêque, même si celui-ci était issu de l’ordre monacal, ne pouvait pas être considérée comme étant contraire à l’ordre public grec, car l’avis selon lequel une telle adoption serait impossible ne se fondait pas sur une disposition de loi explicite. Ces juges ont, par ailleurs, souligné que la question avait donné lieu à de fortes dissensions au sein de la communauté juridique et ne se heurtait pas à une règle ou à un principe d’une importance fondamentale majeure et reflétant une conviction sociale et religieuse ferme en Grèce.
74. La Cour rappelle aussi que dans une affaire d’adoption à l’étranger mais avec des faits différents de ceux de l’espèce, elle a conclu que les juges nationaux ne pouvaient raisonnablement passé outre au statut juridique créé valablement à l’étranger et correspondant à une vie familiale au sens de l’article 8 de la Convention, ni refuser la reconnaissance des liens familiaux qui préexistaient de facto et se dispenser d’un examen concret de la situation (Wagner et J.M.W.L. c. Luxembourg, no 76240/01, §§ 133 et 135, 28 juin 2007).
75. Outre les éléments mentionnés ci-dessus, la Cour relève que l’adoption litigieuse a eu lieu en 1984, alors que le requérant avait atteint l’âge adulte et qu’elle a duré vingt-quatre ans avant que la Cour de cassation n’y mette un terme par ses arrêts. Les parties n’ont par ailleurs fourni aucun élément tendant à démontrer que la réalité des liens entre le requérant et son père adoptif ait été mise en cause avant que la question de la succession ne se pose. A cet égard, la Cour constate encore que, dans sa déclaration devant le tribunal américain, OMISSIS avait exprimé sa volonté d’adopter le requérant afin d’avoir un fils légitime qui hériterait de sa fortune, de ses mémoires, de sa grande collection de manuscrits et de textes religieux et poétiques (paragraphe 10 ci-dessus).
76. La Cour considère que les motifs avancés par la Cour de cassation pour refuser de reconnaître l’adoption du requérant ne répondent pas à un besoin social impérieux. Ils ne sont donc pas proportionnés au but légitime poursuivi en ce qu’ils ont eu pour effet la négation du statut de fils adoptif du requérant.
Partant, il y a eu violation de l’article 8 de la Convention.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 COMBINE AVEC L’ARTICLE 14 DE LA CONVENTION
77. Le requérant soutient qu’en raison de son statut d’enfant adoptif, il a fait l’objet d’une discrimination injustifiée par rapport à un enfant biologique d’un membre du clergé ou même d’un moine de l’Eglise Orthodoxe Orientale. Il précise que s’il avait été en fait l’enfant biologique de son oncle, issu d’un mariage en accord avec la législation américaine, ou même hors mariage mais reconnu par son père, les tribunaux grecs n’auraient pas passé outre la réalité sociale et les rapports de facto entre père et fils, surtout après la reconnaissance expresse par la loi de la possibilité pour les moines de se marier. Il allègue une violation des articles 8 et 14 combinés. Ce dernier article dispose :
« La jouissance des droits et libertés reconnus dans la (…) Convention doit être assurée, sans distinction aucune, fondée notamment sur le sexe, la race, la couleur, la langue, la religion, les opinions politiques ou toutes autres opinions, l’origine nationale ou sociale, l’appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance ou toute autre situation. »
78. Le Gouvernement allègue que les juridictions internes ont fondé leur appréciation uniquement sur le fait que le contenu de la décision étrangère était contraire à l’ordre public sans être influencées par la qualité du requérant en tant qu’enfant adoptif. De plus, il prétend qu’il n’est pas permis aux moines et aux hauts membres du clergé de se marier. Il fait valoir que ceci est prouvé par une déclaration du père adoptif lui-même devant les autorités américaines, selon laquelle de la fonction qu’il occupait au sein de l’église orthodoxe hellénique, il était resté célibataire et n’a pas eu des enfants à lui.
79. Le Gouvernement soutient, en outre, que le requérant n’a fait l’objet d’aucun traitement discriminatoire en raison de sa qualité d’enfant adopté, mais parce que l’adoption n’a pas été valide et n’a pas été reconnue dans l’ordre juridique grec.
80. En l’espèce, la Cour a déclaré l’article 8 de la Convention applicable et a même conclu à une violation de ladite disposition. Dès lors, les faits relèvent de l’article 8 de la Convention et l’article 14 de la Convention peut s’appliquer en combinaison avec lui (voir, mutatis mutandis, Mizzi c. Malte, no 26111/02, §§ 127 et 128, CEDH 2006-… (extraits)) et le présent grief doit être déclaré recevable.
81. Au regard de l’article 14 de la Convention, une distinction est discriminatoire si elle « manque de justification objective et raisonnable », c’est-à-dire si elle ne poursuit pas un « but légitime » ou s’il n’y a pas de « rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé » (voir, notamment, Karlheinz Schmidt c. Allemagne, arrêt du 18 juillet 1994, série A no 291-B, § 24).
82. La Cour rappelle que dans l’arrêt Pla et Puncernau c. Andorre, précité, § 61), elle a jugé qu’un enfant ayant fait l’objet d’une adoption se trouvait dans la même position juridique que s’il avait été l’enfant biologique de ses parents, et cela à tous les égards : relations et conséquences liées à sa vie de famille et droits patrimoniaux qui en découlaient.
83. La Cour estime, pour les raisons exposées plus haut, qu’il ne peut être exclu que le but invoqué par le Gouvernement puisse être considéré comme légitime.
84. Quant au rapport raisonnable de proportionnalité, la Cour relève que l’article 3 de la loi 1250/1982 abrogeant l’article 1364 du code civil qui interdisait jusqu’en 1982, donc avant l’acte d’adoption du requérant, aux moines de se marier autorise de manière expresse leur droit au mariage. Le père adoptif du requérant aurait donc pu, en vertu de cette loi, se marier et fonder une famille et ce, antérieurement à l’acte d’adoption conclu avec le requérant en 1984. Ainsi, un enfant biologique de OMISSIS n’aurait pas pu être privé de ses droits filiaux, avec tout que cela entraîne en matière de droit de succession, du droit au nom et du droit à vivre, en somme, dans la société avec une identité autre que celle qui résulte du refus de reconnaissance de l’adoption.
Il y a eu, dès lors, violation des articles 8 et 14 combinés.
IV. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
85. Le requérant se plaint également d’une violation de son droit à un procès équitable, en raison du refus des juridictions grecques de reconnaître la force exécutoire de la décision de justice américaine. Il invoque l’article 6 § 1 de la Convention, dont la partie pertinente se lit ainsi :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
86. Le Gouvernement conteste cette thèse. Il prétend que l’arrêt de la Cour de cassation n’a pas porté atteinte au droit du requérant à un procès équitable et n’a pas manqué à son devoir de protéger ce droit, car cette protection présupposait la non-opposition du contenu de la décision étrangère à l’ordre public grec. De plus, l’article 6 § 1 n’impose pas aux Etats la reconnaissance inconditionnelle des décisions judiciaires étrangères et les autorités nationales doivent bénéficier d’une large marge d’appréciation en ce qui concerne l’interprétation de la notion de l’ordre public et des bonnes mœurs.
87. Le requérant rétorque que l’interprétation par les juridictions internes des notions susmentionnées ne doit pas être faite de manière arbitraire et disproportionnée, mais elle doit reposer sur des critères précis, tenant compte des conditions et des valeurs sociales de chaque époque.
A. Sur la recevabilité
88. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
89. La Cour rappelle qu’elle a déjà jugé qu’en matière de contestation dont l’issue est déterminante pour des droits de caractère civil, l’article 6 de la Convention s’applique aussi bien à l’exécution des jugements nationaux (Hornsby c. Grèce, arrêt du 19 mars 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-II) qu’à l’exécution des jugements étrangers (Pellegrini c. Italie, no 30882/96, CEDH 2001-VIII).
90. En l’espèce, la Cour note que la procédure devant les juridictions portait sur les droits de caractère civil du requérant au sens de l’article 6, à savoir son statut d’enfant adoptif. La Cour estime que l’arrêt de la Cour de cassation ne saurait être assimilé à un refus d’accorder l’exequatur à un jugement étranger. Celle-ci avait été accordée par un jugement du tribunal de grande instance d’Athènes indépendant à la procédure qui a pris fin avec l’arrêt de la cour d’appel. Toutefois, cet arrêt a rendu la poursuite de la procédure d’exequatur dépourvue de toute chance de succès. L’article 780 du code de procédure civile prévoit un certain nombre de conditions qui doivent être remplies afin que l’Etat grec reconnaisse la force exécutoire des jugements étrangers dans l’ordre juridique interne, parmi lesquels la condition du respect de l’ordre public. Néanmoins, l’interprétation par le juge grec de la notion d’ordre public ne doit pas être faite de manière arbitraire et disproportionnée.
91. Compte tenu des textes sur lesquels s’est fondée la Cour de cassation pour refuser de donner effet à la décision d’adoption, et des conclusions de la Cour à cet égard sous l’angle de l’article 8 de la Convention, la Cour considère que le principe de proportionnalité n’a pas été non plus respecté sur le terrain de l’article 6 § 1 de la Convention.
92. Dès lors, il y a eu violation de cet article.
V. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
93. Le requérant soutient que le refus de la Cour de cassation de reconnaître le statut de fils adoptif, et par conséquent ses droits successoraux, a constitué une ingérence disproportionnée dans son droit au respect des biens. Il allègue une violation de l’article 1 du Protocole no 1 ainsi libellé :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
94. Le Gouvernement prétend qu’il n’y a pas eu violation de cet article, car la succession de l’évêque Timothéos n’est jamais devenu le patrimoine du requérant. L’espérance de ce dernier de devenir l’héritier du premier ne constitue pas un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1 car aucune juridiction interne ne l’a reconnu comme héritier du défunt, faute d’une adoption conforme à l’ordre public grec. De plus, le requérant savait que puisque l’évêque avait des frère et sœurs, toute prétention de sa part sur l’héritage de ce dernier était exclue, si la décision d’adoption n’était pas reconnue. En bref, le requérant avait un droit conditionnel et il en était conscient.
95. Le requérant rétorque qu’il avait une espérance légitime d’hériter de son père adoptif qui serait fondée sur le fait que pendant plus d’une vingtaine d’année personne n’avait contesté son adoption, sur le droit successoral grec selon lequel il avait automatiquement acquis des droits successoraux dès la mort de son père adoptif et sur le comportement des autorités grecques qui avaient reconnu son adoption (par le jugement no 7256/1999 du tribunal de grande instance) et lui avait délivré une carte d’identité sur laquelle figurait le nom du père adoptif.
96. Selon la jurisprudence constante de la Cour, un requérant ne peut alléguer une violation de l’article 1 du Protocole no 1 que dans la mesure où les décisions qu’il incrimine se rapportent à ses « biens » au sens de cette disposition. La notion de « biens » prévue par la première partie de l’article 1 du Protocole no 1 a une portée autonome qui est indépendante par rapport aux qualifications formelles du droit interne (Beyeler c. Italie [GC], no 33202/96, § 100, CEDH 2000-I). Toutefois, l’article 1 du Protocole no 1 ne garantit pas le droit d’acquérir la propriété par voie de succession ab intestat ou de libéralités (Marckx c. Belgique, arrêt du 13 juin 1979, série A no 31, § 50, et Inze c. Autriche, arrêt du 28 octobre 1987, série A no 126, § 37).
A. Sur la recevabilité
97. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
98. En l’espèce, la Cour relève que le 3 juin 2000, le requérant a demandé au tribunal de grande instance de Syros de révoquer le certificat d’héritier reconnaissant comme héritiers les trois frère et sœurs de son père adoptif et d’attester que c’était lui l’unique héritier. Le tribunal a ordonné provisoirement l’interdiction de l’usage de ce certificat par les frère et sœurs. Il a suspendu la procédure principale dans l’attente de la décision sur l’action introduite par Mme E.M. le 31 mai 2001 d’Athènes tendant à reconnaître que la décision no 60318 du tribunal américain n’avait pas autorité de chose jugée en Grèce.
99. La Cour note que le requérant a été adopté en 1984 en vertu d’une décision de justice américaine qui a initialement reçu l’exequatur en Grèce par jugement du tribunal de grande instance d’Athènes du 24 décembre 1999. Se prévalant ainsi de sa qualité d’héritier suite au décès de son père adoptif, le requérant a demandé au tribunal de grande instance de Syros de révoquer une décision reconnaissant les frère et sœurs de son père adoptif comme héritiers et d’attester que c’était lui l’unique héritier. Le tribunal a ajourné la procédure dans l’attente d’une décision dans une autre procédure dans laquelle la sœur de l’évêque Timothéos contestait la validité en Grèce de l’acte d’adoption.
100. La Cour relève que la Cour de cassation a souligné que la décision concernant la reconnaissance de l’adoption devait également résoudre la question des droits successoraux des parties. Le tribunal de grande instance d’Athènes avait, de manière plus précise, souligné ceci dans son jugement du 8 mai 2001, en considérant qu’au cas où l’application de la décision d’adoption et de ses effets avait une incidence sur les droits successoraux des personnes concernées, la question de savoir si l’adoption heurtait l’ordre public devait être tranchée dans le cadre d’une action déclaratoire.
101. La Cour rappelle qu’elle n’est pas appelée, en principe, à régler des différends purement privés. Cela étant, dans l’exercice du contrôle européen qui lui incombe, elle ne saurait rester inerte lorsque l’interprétation faite par une juridiction nationale d’un acte juridique, qu’il s’agisse d’une clause testamentaire, d’un contrat privé, d’un document public, d’une disposition légale ou encore d’une pratique administrative, apparaît comme étant déraisonnable, arbitraire ou, comme en l’espèce, en flagrante contradiction avec les principes sous-jacents à la Convention (Larkos c. Chypre [GC], no 29515/95, §§ 30-31, CEDH 1999-I et Pla et Puncernau c. Andorre, précité, § 59).
102. Or, comme la Cour l’a constaté en examinant la violation alléguée de l’article 8, la Cour de cassation a conclu que la décision d’adoption heurtait l’ordre public grec qui ne saurait admettre qu’un homme d’église puisse procéder à une adoption. La Cour a alors considéré que les textes sur lesquels la Cour de cassation s’était fondée étaient de nature ecclésiastique, dataient du 7ème et 9ème siècle et étaient interprétés par la Cour de cassation d’une manière qui ne correspondait pas au droit positif existant au moment des faits et reflété par l’article 3 de la loi 1250/1982. Cette disposition abrogeait un article du code civil qui interdisait aux moines de se marier. Par voie de conséquence, et à supposer

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

Se l'espropriato ha già un Professionista di sua fiducia, può comunicagli che sul nostro sito trova strumenti utili per il suo lavoro.
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 - Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.

  • La consulenza iniziale, con esame di atti e consigli, è sempre gratuita
    - Per richiederla cliccate qui: Colloquio telefonico gratuito
  • Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
    - Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
    - Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI

Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 15/10/2024